Applicazioni della Geometria Differenziale alla Teoria dell

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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea Triennale in Fisica
Applicazioni della Geometria Differenziale
alla Teoria dell’Elettromagnetismo
ed alla Teoria di Yang-Mills
Tesi di Laurea in Elettrodinamica Classica / Teoria dei Gruppi
Relatore:
Chiar.mo Prof.re
ROBERTO ZUCCHINI
Presentata da:
ENRICO MASINA
Sessione II
Anno Accademico 2011/2012
CAPITOLO 0
Introduzione
In Fisica, le teorie di gauge, sono una classe di teorie di campo basate sull’idea
che alcune trasformazioni che lasciano invariata la Lagrangiana del sistema, siano
possibili anche localmente, oltre che globalmente.
Il termine gauge si riferisce ai gradi di libertá non fisici nella Lagrangiana; un gauge,
matematicamente é un certo grado di libertá all’interno di una teoria i cui effetti
fisici non sono osservabili.
Una trasformazione di gauge é quindi una trasformazione di questo grado di libertá
che non modifica nessuna proprietá fisica osservabile.
In Fisica ed in Matematica, la descrizione di ogni situazione fisica, contiene solitamente un eccesso di gradi di libertá; la stessa situazione fisica sarebbe infatti
ugualmente ben descritta da molte configurazioni matematiche equivalenti.
Ad esempio, nella dinamica Newtoniana, se due configurazioni sono relazionate da
una trasformazione di Galileo, esse rappresentano la stessa situazione fisica. Queste
trasformazioni formano un gruppo di simmetrie della teoria, ed una situazione fisica
corrisponde dunque non ad una configurazione matematica individuale, ma ad una
classe di configurazione legate ad un’altra da questo gruppo di simmetrie.
Le moderne teorie fisiche, descrivono la realtá in termini di campi, come ad esempio il campo elettromagnetico, il campo gravitazionale e campi per le particelle
elementari, tra le quali in modo particolare l’elettrone.
Un elemento che accomuna queste teorie, é il fatto che nessuno di questi campi
fondamentali (cosı́ sono chiamati i campi soggetti ad una trasformazione di gauge),
puó essere misurato direttamente.
D’altro canto, le quantitá osservabili (ovvero le quantitá che si possono misurare
sperimentalmente, quali la carica, l’energia, la velocitá ecc...) non cambiano sotto
una trasformazione di gauge, anche qualora esse siano state derivate dai campi fondamentali.
Questo tipo di invarianza ed in generale ogni tipologia di invarianza sotto una
trasformazione, é chiamata simmetria.
Come preannunciato all’inizio, si cerca di generalizzare queste idee per includere le
simmetrie localial pari di quelle globali; infatti la maggior parte delle teorie della fisica sono descritte da Lagrangiane che sono invarianti sotto certe trasformazioni del
sistema di coordinate che sono eseguite identicamente in ogni punto dello spaziotempo (si dice quindi che presentano simmetrie globali) ed il concetto alla base delle
teorie di gauge é appunto di postulare che le Lagrangiane debbano possedere anche
simmetrie locali, cioé che debba essere possibile effettuare queste trasformazioni di
simmetria solo in una particolare e limitata regione dello spaziotempo senza interessare il resto dell’Universo.
Questo requisito puó essere visto come una versione generalizzata del principio di
equivalenza della Relativitá Generale che afferma che in un campo gravitazionale
1
0. INTRODUZIONE
2
qualsiasi é sempre possibile scegliere un sistema di riferimento rispetto al quale é
sempre possibile scegliere un intorno di un punto in cui gli effetti dell’accelerazione
dovuti al campo gravitazionale sono nulli.
Una teoria di gauge, dunque, é un modello matematico che ha simmetrie di questo
tipo, tali che le predizioni fisiche siano consistenti con le simmetrie del modello.
L’importanza per la fisica delle teorie di gauge, nasce dall’enorme successo di questo
formalismo matematico nel descrivere, in un solo quadro teorico unificato, le teorie
di campo quantistico dell’elettromagnetismo, dell’interazione nucleare debole e dell’interazione nucleare forte. Questo quadro teorico noto come modello standard,
descrive accuratamente i risultati sperimentali di tre delle quattro forza fondamentali della natura ed é una teoria di gauge, con gruppo di gauge SU(3)×SU(2)×U(1).
Anche altre teorie moderne come la teoria delle stringhe e certe formulazioni della
teoria della relativitá generale sono, in un modo o nell’altro, teorie di gauge.
Con l’avvento della meccanica quantistica nel 1920, e con i successivi progressi nella
teoria quantistica dei campi, l’importanza delle trasformazioni di gauge é cresciuta enormemente. Le teorie di gauge vincolano le leggi della fisica, poiché tutte le
variazioni indotte da una trasformazione di gauge, si cancellano a vicenda quando
agiscono su quantitá osservabili.
Nel corso del ventesimo secolo, i fisici hanno gradualmente realizzato che tutte le
forze (le interazioni fondamentali), nascono dai vincoli imposti da una simmetria di
gauge locale, ovvero il caso in cui le trasformazioni variano punto per punto nello
spazio e nel tempo.
La teoria quantistica perturbativa descrive le forze in termini di particelle-mediatori
delle forze stesse, chiamati bosoni di gauge (si pensi ad esempio alla forza elettromagnetica, i cui mediatori sono i fotoni, od alla forza nucleare forte, i cui mediatori
sono i gluoni, od ancora all’interazione nucleare debole, i cui mediatori sono i bosoni
vettori W± e Z0 ).
La natura di queste particelle é determinata dalla natura delle trasformazioni di
gauge, i cui risultati culminano nel giá accennato Modello Standard, una teoria
quantistica di campo che spiega tutte le interazioni fondamentali, eccetto la gravitá.
La prima teoria fisica che presentó una simmetria di gauge, fu la teoria elettrodinamica di Maxwell; l’elettrostatica si puó formulare sia in termini del campo
elettrico E, sia del suo corrispondente potenziale φ.
Un potenziale φ0 che differisce da φ per una costante, ovvero φ0 = φ + k, fornisce
lo stesso campo elettrico E corrispondente a φ; questo poiché il campo elettrico é
riferito alla variazione del potenziale punto per punto nello spazio, e la costante k
si elide quando si va a sottrarla per trovare la variazione del potenziale.
In termini di calcolo vettoriale, il campo elettrico é il gradiente con segno opposto
del potenziale scalare φ:
E = −∇φ
(0.1)
0. INTRODUZIONE
3
Generalizzando all’elettromagnetismo, abbiamo un secondo potenziale, il potenziale
vettore A, tale che:
E = −∇φ −
∂A
∂t
B=∇×A
(0.2)
(0.3)
E la trasformazione di gauge generalizzata diviene ora:
A −→ A + ∇f
φ −→ φ −
∂f
∂t
(0.4)
(0.5)
ove f = f (r, t) é una funzione che dipende dalla posizione e dal tempo.
I campi E e B restano i medesimi sotto la trasformazione di gauge, e dunque le
equazioni di Maxwell sono ancora soddisfatte.
Si dice che le equazioni di Maxwell sono dotate di simmetria di gauge.
Tuttavia l’importanza di questa simmetria delle equazioni di Maxwell non fu messa
in risalto dalle prime formulazioni. Dopo lo sviluppo di Einstein della teoria della Relativitá Generale, Hermann Weyl, in un tentativo di unificare questa teoria
all’elettromagnetismo, ipotizzó che l’invarianza al variare della scala di misura (appunto gauge, in inglese), poteva essere anche una simmetria locale della teoria della
relativitá generale: purtroppo gli sviluppi di questa congettura hanno portato a
risultati fisicamente inaccettabili. Tuttavia, dopo l’avvento della meccanica quantistica, Weyl, Fock e London, scoprirono che quella stessa idea, sviluppata alla luce
di nuovi concetti (cambiare il fattore di scala con una quantitá complessa e sostituire la trasformazione di scala con una trasformazione di fase, cioé una simmetria
di gauge U(1)) spiegava elegantemente l’effetto di un campo elettromagnetico sulla
funzione d’onda di una particella quantistica elettricamente carica. Questa fu la
prima teoria di gauge della storia.
Durante gi anni ’50, tendando di mettere ordine nel gran caos di fenomeni non
spiegati della fisica delle particelle elementari, Chen Ning Yang e Robert Mills introdussero teorie di gauge non abeliane come modelli per comprendere l’interazione
forte che tiene insieme i nucleoni dei nuclei degli atomi.
Generalizzando l’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo, essi cercarono di costruire una teoria basata sull’azione del gruppo di simmetria non abeliano SU(2) sul
doppietto di isospin formato da protoni e neutroni che fosse simile alla teoria di
Weyl, Fock e London sull’azione del gruppo U(1) sui campi spinoriali dell’elettrodinamica quantistica.
L’interesse per le teorie di gauge divenne anche maggiore quando venne dimostrato
che le loro versioni non abeliane possedevano una proprietá detta libertá asintotica,
che si supponeva essere una caratteristica fondamentale dell’interazione forte.
0. INTRODUZIONE
4
Questo fatto diede avvio alle ricerche di una teoria di gauge per quest’ultima interazione, che una volta scoperta fu battezzata cromodinamica quantistica: questa é
una teoria di gauge per l’azione del gruppo SU(3) sulle terne di colore dei quark.
CAPITOLO 1
Forme Differenziali
1. Forme Differenziali
In analisi matematica, e piú precisamente nel calcolo differenziale a piú variabili,
una forma differenziale é un particolare oggetto che estende la nozione di funzione
a piú variabili.
In molti contesti per utilizzare le forme differenziali é sufficiente basarsi su una
definizione simile a quella di polinomio: una forma differenziale é semplicemente
una scrittura formale di un certo tipo. Si definiscono quindi operazioni come quella
di somma, prodotto ed integrazione su un insieme opportuno.
Introduciamo dunque la definizione formale di forma differenziale.
Definizione 1.1. Sia Ω un aperto di Rn . Sia p un intero, con p ≤ n. Una p-forma
differenziale ω é una espressione del tipo:
X
ω=
ai1 ···ip (x)dxi1 ∧ · · · ∧ dxip
(1.1)
i<i2 <···<ip <n
ove ai1 ···ip : Ω → R é una funzione differenziabile totalmente antisimmetrica in
i1 , ..., ip .
Il simbolo ∧ é chiamato prodotto Wedge o prodotto esterno, del quale parleremo
piú avanti. Non deve essere confuso col prodotto vettoriale, anch’esso chiamato
prodotto esterno, che non gode delle stesse proprietá.
Nel caso in cui sia p = 0, ω é semplicemente una funzione differenziabile definita su
Ω.
In generale, la proprietá che caratterizza una forma differenziale, é la possibilitá di
effettuare l’integrale di tale forma su un qualsiasi oggetto geometrico S dello spazio
euclideo Rn di analoga dimensione. Una 1-forma é quindi integrabile su una curva
(del piano o dello spazio), una 2-forma é integrabile su una superficie e cosi via.
Una 1-forma su Rn si scrive come:
ω = a1 (x1 · · · xn )dx1 + · · · + an (x1 · · · xn )dxn
Ove le ai sono funzioni differenziabili.
Sono esempi di 1-forme le scritture: ez dz; dx + 3dy
Una 2-forma su R3 si scrive come:
ω = a(x, y, z)dx ∧ dy + b(x, y, z)dy ∧ dz + c(x, y, z)dx ∧ dz
5
1. FORME DIFFERENZIALI
6
Ed in generale anche come:
ω=
X
ωij (xi , ..., xj )dxi ∧ dxj
i<j
É un esempio di 2-forma su R3 la scrittura ω = 3dx ∧ dy + yzdy ∧ dz.
In generale una n-forma su Rn si scrive sempre usando un unico addendo:
ω = a(x1 · · · xn )dx1 ∧ · · · ∧ dxn
(1.2)
Ove a(x1 , · · · , xn ) é una funzione differenziabile.
Le forme differenziali possono peró essere definite in modo piú profondo usando
l’algebra lineare ed i concetti di tensore e fibrato tangente; in questo modo le forme
risulterebbero definite in contesti piú ampi: ad esempio il loro dominio non é necessariamente un aperto di Rn , ma una qualsiasi varietá differenziabile.
Introduciamo dunque una seconda definizione di funzione differenziabile, la definizione
come tensore.
Definizione 1.2. Una p-forma é una sezione liscia della p-esima potenza esterna
del fibrato coangente di una varietá differenziabile M.
ω : M → Λp (T ∗ (M))
In altre parole, per ogni punto x, x ∈ M, é data una funzione multilineare antisimmetrica:
p−volte
z
}|
{
ω(x) : Tx M × · · · × Tx M → R
ove Tx M é lo spazio tangente ad M in x.
La funzione ω(x) é differenziabile infinite volte al variare di x. Equivalentemente ω
é un campo tensoriale che associa ad ogni punto x di M un tensore antisimmetrico
di tipo (0, p).
Ad esempio una 1-forma é un campo tensoriale di tipo (0, 1) cioé una sezione del
fibrato cotangente.
Corollario 1.1. Se M é un aperto di Rn , in ogni punto lo spazio tangente
Tx M é identificato con Rn . La base canonica per Rn induce quindi una base per lo
spazio vettoriale Λp ((Rn )∗ ) del tipo:
b = {dxi1 ∧ · · · ∧ dxip |1 < i1 < · · · < ip < n}
2. PRODOTTO WEDGE
7
la forma differenziale ω(x) si puó allora scrivere come combinazione lineare di elementi di tale base tramite coefficienti che variano in modo differenziabile rispetto
ad x:
X
ω(x) =
ai1 ···ip (x)dxi1 ∧ · · · ∧ dxip
1<i1 <···<ip <n
Se p = 1 si ha che Λ1 ((Rn )∗ ) = (Rn )∗ é lo spazio duale dei funzionali lineari su Rn
e b é la base duale {dx1 · · · dxp } della base canonica.
2. Prodotto Wedge
Introduciamo ora la nozione di prodotto Wedge, o prodotto esterno, precedentemente accennata. Sia Λp V lo spazio vettoriale delle p-forme lineari a valori reali:
p−volte
}|
{
z
Λ V = φ : V × V × · · · × V → R, multilineari, alternate
p
Ove multilineari significa lineari in ognuna delle p variabili, mentre alternate vuol
dire che per ogni p-forma φ:
φ(..., vi , ..., vj ...) = −φ(..., vj , ..., vi ...)
ed implica che una forma valutata su un insieme di vettori (v1 , ..., vp ) linearmente
dipendenti é zero.
Definizione 2.1. Data una p-forma φ, φ =
p
φ ∈ Λ V, ed una q-forma ψ, ψ =
X
X
φi1 ,...,ip dxi1 ∧ · · · ∧ dxip ,
i1 <...<ip
ψj1 ,...,jq dxj1
∧ · · · ∧ dxjq , ψ ∈ Λq V.
j1 <...<jq
Si definisce prodotto wedge l’operazione:
φ∧ψ =
X
X
φi1 ,...,ip ψj1 ,...,jq dxi1 ∧ · · · ∧ dxip ∧ dxj1 ∧ · · · ∧ dxjq
i1 <...<ip j1 <...<jp
che restituisce una (p + q)-forma.
Il prodotto Wedge dunque é la mappa lineare:
∧ : Λp V × Λq V → Λp+q V
che restituisce una (p + q)-forma, con le seguenti proprietá:
3. DERIVATA ESTERNA
8
1) Bilinearitá:
(φ1 + φ2 ) ∧ ψ = φ1 ∧ ψ + φ2 ∧ ψ
φ ∧ (αψ) = α(φ ∧ ψ), α ∈ R
2) Proprietá associativa:
(φ ∧ ψ) ∧ χ = φ ∧ (ψ ∧ χ)
3) Commutativitá gradata:
φ ∧ ψ = (−1)pq ψ ∧ φ, φ ∈ Λp V, ψ ∈ Λq V
In particolare si ha:
(φ ∧ ψ) = φψ qualora φ sia una 0-forma
φ ∧ φ = 0 qualora φ sia dispari
3. Derivata Esterna
Sia data ora una forma differenziale φ di grado p (p = 0, 1, ..., n); φ mappa ogni
punto x ∈ U in una p-forma alternata φx dello spazio tangente Tx M.
Applicando allora φx ai vettori tangenti v1 , ..., vp ∈ Tx M, otteniamo il numero reale
φx (v1 , ..., vp ).
Se vi é un campo vettoriale, abbiamo che vi (x) ∈ Tx M, ed otteniamo φx (v1 (x), ..., vp (x)),
funzione su U.
Denotiamo ora con Λp U l’insieme delle p-forme su U, facendo bene attenzione a
non confondere U con V che invece é l’insieme delle p-forme su uno spazio vettoriale V.
Per definizione Λ0 Tx U = R, e si ha che Λ0 U é l’insieme di tutte le funzioni lisce su
U. Introduciamo ora la definizione di derivata esterna.
Definizione 3.1. Data una p-forma φ, φ ∈ Λp U, si definisce Derivata Esterna d
(o differenziale) un’operazione che mappa le p-forme in (p + 1)-forme:
d : Λp U → Λp+1 U
avente le seguenti proprietá:
1) d é lineare
3. DERIVATA ESTERNA
9
2) d(Λp U) ⊂ Λp+1 U
3) Se f é una funzione (ovvero una 0-forma, f : U → R), si ha che
n
X
∂f i
df =
dx
i
∂x
i=1
4) Vale la regola di Leibniz:
d(φ ∧ ψ) = (dφ) ∧ ψ + (−1)p φ ∧ dψ
per φ ∈ Λp U
5) d2 = 0
n
X
∂
∈ Tx U, il valore del differen∂xi
i=1
ziale df sul vettore tangente v fornisce la derivata direzionale di f in direzione v:
Inoltre se v é un vettore tangente, v =
(df )x (v) =
vi
n
n
n
X
∂f i X j ∂ X i ∂f
v
dx
=
v
∂xi
∂xj
∂xi
j=1
i=1
i=1
(1.3)
In particolare applicando il differenziale ad una funzione coordinata xi si ottiene:
d(xi ) =
n
X
∂xi j
dx = dxi
j
∂x
i=1
(1.4)
Consideriamo infine alcuni casi speciali nei quali verrá illustrata una connessione tra la derivata esterna ed alcuni operatori dell’analisi vettoriale.
∂f
rispetto ai
∂xi
1
2
n
1
2
n
frames dx , dx , ..., dx . Se x , x , ..., x sono coordinate cartesiane, esse sono le
componenti del gradiente di f , ∇f :
a) Sia f una funzione; la derivata esterna di f ha componenti
b) Sia φ una 2-forma in R3 , scritta come:
φ=
3
1 X
εijk φi dxj ∧ dxk = φ1 dx2 ∧ dx3 + φ2 dx3 ∧ dx1 + φ3 dx1 ∧ dx2
2
ijk=1
Allora si ha che:
dφ =
3
X
∂φi
i=1
∂xi
dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
(1.5)
4. TEOREMA DI STOKES
10
Se x1 , x2 , x3 sono coordinate cartesiane e φ1 , φ2 , φ3 sono interpretate come le com∂
∂
∂
ponenti di un campo vettoriale rispetto a ∂x
1 , ∂x2 , ∂x3 , allora l’espressione (1.5)
equivale alla divergenza di questo campo vettoriale: dφ = ∇ · φ.
c) Infine se φ é una 1-forma in R3 , φ =
3
X
φi dxi , abbiamo:
i=1
dφ = φˆ1 dx2 ∧ dx3 + φˆ2 dx3 ∧ dx1 + φˆ3 dx1 ∧ dx2
(1.6)
ove:
∂φ2
∂φ3
−
φˆ1 (x) =
∂x2
∂x3
∂φ3
∂φ1
−
φˆ2 (x) =
3
∂x
∂x1
∂φ1
∂φ2
−
φˆ3 (x) =
1
∂x
∂x2
(1.7)
Se tutte le componenti fanno riferimento ad una base cartesiana, le espressioni
(1.7) rappresentano il rotore del campo vettoriale, ∇ × φ.
Risulta quindi piú chiaro vedere che l’espressione d2 = 0 per una 0-forma su R3
corrisponde all’operazione ∇ × (∇f ), mentre per un campo vettoriale A in R3 ,
l’operazione ∇ · (∇ × A) = 0 é contenuta nell’espressione d2 φ = 0 con φ ∈ Λ1 R3 .
4. Teorema di Stokes
Sia M una varietá differenziabile in Rn di dimensione p, con M ⊂ U, e sia φ
una (p − 1)-forma, φ ∈ Λp−1 U, a supporto compatto su M, con frontiera ∂M con
la sua orientazione indotta.
Il Teorema di Stokes afferma che:
Z
Z
dφ =
φ
(1.8)
M
∂M
ove dφ é il differenziale di φ.
Il teorema di Stokes presenta alcuni casi particolari:
1) Sia p = n = 2 ed M un sottospazio regolare di U, con U ≡ R2 , inoltre l’orientazione é data dalle coordinate cartesiane x1 , x2 su U.
Per una forma φ = φ1 dx1 + φ2 dx2 , φ ∈ Λ1 U abbiamo:
∂φ2
∂φ1
−
dx1 ∧ dx2
dφ =
∂x1
∂x2
4. TEOREMA DI STOKES
11
da cui si ha:
Z
ZZ
dφ =
M
M
∂φ2
∂φ1
−
dx1 dx2
∂x1
∂x2
ed il teorema di Stokes restituisce il ben noto teorema di Green:
ZZ Z
∂φ2
∂φ1
1
2
−
dx
dx
=
φ1 (x)dx1 + φ2 (x)dx2
1
2
∂x
∂x
M
∂M
2) Sia p = n = 3, ed M un sottospazio sufficientemente regolare di U, con U ≡ R3 ,
e siano le coordinare cartesiame di R3 , x1 , x2 , x3 il sistema di coordinate orientato.
Se φ ∈ Λ2 U si ha che:
3
1 X
εijk φi dxj ∧ dxk
φ=
2
ijk=1
Dall’espressione (1.5) ricaviamo il differenziale dφ, e per il teorema di Stokes abbiamo che:
Z ∂φ2
∂φ3
∂φ1
+
+
dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
1
∂x2
∂x3
M ∂x
Z
=
φ1 (x)dx2 ∧ dx3 + φ2 (x)dx3 ∧ dx1 + φ3 (x)dx1 ∧ dx2
∂M
In cui si riconosce il teorema integrale di Gauss.
3) Sia p = 2, n = 3, U ≡ R3 , e sia M una superficie orientata in R3 . Siamo
x1 , x2 , x3 il sistema di coordinate cartesiane in R3 . In accordo con le equazioni
3
X
φi dxi , φ ∈ Λ1 U abbiamo:
(1.6),(1.7) per φ =
dφ =
i=1
∂φ3 ∂φ2
∂φ1 ∂φ3
∂φ2 ∂φ1
2
3
3
1
−
dx ∧ dx +
−
dx ∧ dx +
−
dx1 ∧ dx2
∂x2 ∂x3
∂x3 ∂x1
∂x1 ∂x2
e dalla relazione (1.8) si ottiene:
Z ∂φ3
∂φ2
∂φ1
∂φ3
∂φ2
∂φ1
2
3
3
1
−
dx
∧
dx
+
−
dx
∧
dx
+
−
dx1 ∧ dx2
2
3
3
1
1
2
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
M
Z
=
3
X
φi dxi
∂M i=1
che altri non é che il classico teorema di Stokes.
5. HODGE STAR
12
4) Sia p = 1 e sia x1 , ..., xn il sistema di coordinate cartesiane su U ≡ Rn .
La superficie M é ora una curva con rappresentazione parametrica:
Q : [a, b] → U,
(a < b)
Per una 0-forma (una funzione) φ, φ ∈ Λ0 U, abbiamo:
dφ =
n
X
∂φ i
dx
∂xi
i=1
e dal teorema di Stokes otteniamo:
n
X
∂φ i
dx = φ Q(b) − φ Q(a)
i
M i=1 ∂x
Z
(1.9)
Nel quale si nota che il membro alla sinistra é l’integrale di linea del gradiente di φ
lungo M.
Nel caso speciale in cui n = 1, otteniamo dalla (1.9):
Z
a
b
dφ
dx = φ(b) − φ(a)
dx
(1.10)
che altro non é che il noto teorema fondamentale del calcolo.
5. Hodge Star
Sia V uno spazio vettoriale reale n-dimensionale, e definiamo una metrica su
tale spazio vettoriale.
Definizione 5.1. Una metrica su V é per definizione una forma bilineare:
g :V×V→R
Con le seguenti proprietá:
1) g é simmetrica:
g(v, w) = g(w, v), con v, w vettori, v, w ∈ V
2) g é non degenere:
Se g(v, w) = 0, ∀w ∈ V allora v = 0
5. HODGE STAR
13
Sia ora bi , i = 1, ..., n, una base di V. Definiamo la matrice della metrica rispetto
alla base, come:
gij = g(bi , bj )
in cui gij é una matrice simmetrica n × n con det(gij ) = 0.
Sotto un cambiamento di base
b0i =
X
(γ −1 )ji bj
j
ove γ ∈ GLn é una matrice, la matrice della metrica si trasforma come:
0
gij
= g(b0i , b0j ) = (γ −1T gγ −1 )ij
(1.11)
Introduciamo ora il teorema di Gram-Schmidt, essenziale per poter proseguire nella
definizone dell’operatore Hodge Star.
Teorema 5.1. Ogni metrica ammette una base ortonormale, ossia una base
e1 , ..., en (la cui scelta non é unica) tale che
g(ei , ej ) = ηij
in cui η é la matrice diagonale con un numero r di elementi +1, ed un numero s
di elementi -1, tali che r + s = n:
r
s
}|
{
z }| {z
η = diag(1, 1, ..., 1−1, −1, ..., −1)
In altre parole, per ogni matrice g simmetrica n × n con determinante non null0,
esiste una matrice invertibile γ tale che:
γ −1T gγ −1 = η
A questo punto é possibile introdurre la nozione dell’operatore
Hodge Star, inizian
do con l’osservare che dimΛp V = dimΛn−p V = nk
Definizione 5.2. Sia ei una base ortonormale orientata di Λ1 V. L’operatore Hodge
Star é la mappa lineare
? : Λp V → Λn−p V
tale che:
def
?(ei1 ∧ · · · ∧ eip ) = eip+1 ∧ eip+2 ∧ · · · ∧ ein
6. CODERIVATA
14
ove {i1 , ..., ip , ip+1 , ..., in } é una permutazione pari di {1, 2, ..., n}.
n
Ovviamente, di queste n!
2 relazioni, soltanto k sono indipendenti.
La definizione inoltre non dipende dalla scelta della base ortonormale.
La mappa lineare ? é biiettiva, e data una p-forma φ:
?2 φ = (−1)p(n−1)+s φ,
φ ∈ Λp V
Data una base arbitraria orientata β i , ogni p-forma puó essere scritta come:
φ=
1 X
φi ,...,ip β i1 ∧ · · · ∧ β ip
p! i ,...,i 1
1
(1.12)
p
da cui segue che
?2 φ =
i
X h1 X
X
p
1
εi1 ,...,in | det gkl | ×
φj1 ,...,jp g i1 j1 · · · g ip jp β ip+1 ∧· · ·∧β in
(n − p)! i ,...,i p! i ,...,i
j ,...,j
p+1
n
1
p
1
p
(1.13)
6. Coderivata
Sia U un aperto di Rn , dotato di un’orientazione ω ed una metrica g di segnatura
r −s. Combinando l’operazione algebrica della Hodge Star ? con la derivata esterna
d, otteniamo un nuovo operatore chiamato Coderivata.
Definizione 6.1. Si chiama coderivata δ una mappa lineare
δ : Λp U → Λp−1 U
con le seguenti proprietá:
1) δ 2 = 0
2) Se φ é una p-forma, φ ∈ Λp U, allora
δφ = (−1)np+n+1+s ? d ? dφ
In particolare se φ é una 1-forma, φ =
3
X
φ1 dxi , si ha che:
i=1
n
−1 X ∂ √
δφ = √
gφj g kj
g ij=1 ∂xk
ove g = det(gij )
6. CODERIVATA
15
3) Data una p-forma ψ, ψ ∈ Λp U, ed una (p − 1)-forma φ, φ ∈ Λp−1 U, vale la
relazione:
Z
Z
dφ ∧ ?ψ = φ ∧ ? δψ
In parole povere: la coderivata é Rl’aggiunto formale della derivata esterna rispetto
al prodotto scalare delle p-forme φ ∧ ? ψ.
CAPITOLO 2
Elettrodinamica
Si applica il formalismo geometrico alla formulazione delle teorie di Gauge: si
tratteranno il caso abeliano (le equazioni di Maxwell), con particolare attenzione
all’invarianza di Gauge (locale), ed il caso non abeliano (la teoria di Yang-Mills).
1. Equazioni di Maxwell
Nella notazione standard, in unitá naturali c = ε0 = µo = 1 le equazioni di Maxwell
si scrivono:
∂B
∂t
∂D
∇×H=J+
∂t
∇×E=−
∇·B=0
(2.1)
∇·D=ρ
(2.2)
completate dalle relazioni: B = H e D = E
Ci proponiamo di descrivere l’elettromagnetismo tramite forme differenziali nello
spaziotempo quadridimensionale di Minkowski, identificato con R4 con coordinate
(x0 , x1 , x2 , x3 ) numerato dall’orientazione associata, in cui x0 ≡ t, e (x1 , x2 , x3 ) ≡
(x, y, z) e dalla metrica
g
∂
∂ ,
= ηµν
∂xµ ∂xν
con ηµν = diag(1, −1, −1, −1)
Tramite queste definizioni di base, il campo elettromagnetico é codificato in due
2-forme:
F =−
3
X
Ei dx0 ∧ dxi +
i=1
G=
3
X
i=1
Hi dx0 ∧ dxi +
3
1
1 X
εijk Bi dxj ∧ dxk = Fµν dxµ ∧ dxν
2
2
(2.3)
i,j,k=1
3
1 X
1
εijk Di dxj ∧ dxk = Gµν dxµ ∧ dxν
2
2
i,j,k=1
In cui le matrici dei coefficienti sono date da:
16
(2.4)
1. EQUAZIONI DI MAXWELL

Fµν
0
 E1
=
 E2
E3
−E1
0
−B3
B2


−E3
−B2 

B1 
0
−E2
B3
0
−B1
Gµν
0
 −H1
=
 −H2
−H3
17
H1
0
−D3
D2
H2
D3
0
−D1

H3
−D2 

D1 
0
La densità di carica, e le componenti della densità di corrente, sono incorporate
nel quadrivettore J µ , J µ ≡ (ρ, J̃), chiamato quadricorrente.
Tale quadrivettore è utilizzato per costruire la 3-forma densita di corrente
J = ρ dx1 ∧ dx2 ∧ dx3 −
1X
1
εijk J i dx0 ∧ dxj ∧ dxk =
εµνλρ J µ dxν ∧ dxλ ∧ dxρ
2
3!
ijk
(2.5)
Grazie a questo formalismo differenziale, le equazioni di Maxwell assumono una
forma piu semplice:
dF = 0
dG = F
(2.6)
Infatti:
1
µ
ν
Fµν dx ∧ dx
dF = d
2
X
X
3
1
0
i
j
k
=d −
Ei dx ∧ dx + d
εijk Bi dx ∧ dx
2
i=1
ijk
3
X1
1 X
=
∂i Ej − ∂j Ei dx0 ∧ dxi ∧ dxj +
εijk ∂0 Bi ∧ dx0 ∧ dxj ∧ dxk
2 i,j=1
2
ijk
X
1
2
3
+
∂i Bi dx ∧ dx ∧ dx
i
X1
X
=
εijk εilm ∂l Em + ∂0 Bi dx0 ∧ dxj ∧ dxk +
∂i Bi dxi ∧ dxj ∧ dxk
2
i
ijkl,
=0
1
µ
ν
Gµν dx ∧ dx
dG = d
2
X
X
3
1
=d
Hi dx0 ∧ dxi + d
εijk Di dxj ∧ dxk
2
i=1
ijk
X
1
1X
=−
∂i Hj − ∂j Hi dx0 ∧ dxi ∧ dxj +
εijk ∂0 Di ∧ dx0 ∧ dxj ∧ dxk
2 i,j
2
ijk
1
2
+ ∂i Di dx ∧ dx ∧ dx
=
3
X 1
X
εijk − εilm ∂l Hm + ∂0 Di dx0 ∧ dxj ∧ dxk +
∂i Di dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
2
i
ijklm
=J
1. EQUAZIONI DI MAXWELL
=−
18
1X
εijk Ji dx0 ∧ dxj ∧ dxk + J0 dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
2
ijk
Le equazioni scritte in tal modo sono generalmente covarianti, e non contengono
coordinate, dunque non necessitano di una metrica, pertanto esse sono invarianti
sotto trasformazioni arbitrarie di coordinate, e non solo sotto trasformazioni di
Poincarè.
Ciò che causa una restrizione del gruppo di invarianza dell’elettromagnetismo al
solo gruppo di Poincarè, sono le equazioni di completezza: B = H , D = E, che
in termini di forme si leggono:
?F =G
(2.7)
Per la definizione della Hodge star ?, é necessaria una metrica.
La densità di corrente J , non può essere scelta in modo arbitrario, e poiché d2 = 0,
ciò implica dJ = d(dG) = d2 G = 0, alché le equazioni di Maxwell sono consistenti
solo se viene soddisfatta la condizione dJ = 0.
Essendo
dJ = ∂µ J µ dx0 ∧ dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
(2.8)
dJ = 0
(2.9)
la relazione
esprime la conservazione della carica.
In soli termini di forme si ha:
dF = 0
?
dG = J −→ dG = d(?F) = J −
→ ?d ? F = ?J
Poiché nel nostro caso l’operazione ?d? coincide con la coderivata, ovvero ?d? ≡ δ,
si ottiene immediatamente
δF = ?J
(2.10)
Essendo dF = 0, F è una forma chiusa, ed in una regione stellata il lemma di
Poincaré garantisce l’esistenza di un potenziale 1-forme A, tale che si possa scrivere:
F = dA
(2.11)
Chiaramente F determina A solamente a meno di una trasformazione di gauge,
ovvero un’operazione che trasforma una 1-forma A in una 1-forma A0 = A + dΛ
per ogni 0-forma Λ (ovvero uno scalare), tali che A e A + dΛ portano allo stesso
campo F.
Laddove le equazioni di Maxwell omogenee (dF = 0), sono soddisfatte dall’Identitá
di Bianchi: F = dA, le equazioni di Maxwell non omogenee (δF = ?J ), ci danno
1. EQUAZIONI DI MAXWELL
19
l’equazione del moto per A:
δ(dA) = ?J
(2.12)
Vediamo come tale equazione del moto possa essere derivata dal principio di
azione:
Z S(A) =
Z 1
1
µν
µ
− F ∧ ?F −J ∧A =
− Fµν F +Jµ A dx0 ∧dx1 ∧dx2 ∧dx3
2
4
(2.13)
L’azione è gauge-invariante solo per la corrente J conservata:
Z
Z
Z
S(A + dΛ) − S(A) = − J ∧ dΛ =
d J ∧Λ −
dJ ∧ Λ
(2.14)
Il primo termine, si annulla per 0, per il teorema di Stokes, ed il secondo è 0 solo
se dJ = 0, per Λ arbitrario.
Per derivare l’equazione del moto suddetta, dalla condizione di stazionarietá dell’azione, dobbiamo considerare S come funzionale di A; si tenga a mente che
F = dA.
Con la variazione A −→ A + a si ottiene:
Z S A + a − S A = − (da) ∧ ? dA + a ∧ J + · · ·
(2.15)
E come precedentemente ricordato, poiché F = dA, si ottiene:
S A+a −S A =
Z 1
− d(A + a) ∧ ? d(A + a) − J ∧ (A + a)
2
1
+ (dA ∧ ? dA) + J ∧ A
2
Z =
1
− ( dA ∧ ? dA + dA ∧ ? da + da ∧ ? dA + da ∧ ? da)
2
−J ∧a−J ∧A+
=
Z 1
dA ∧ ? dA + J ∧ A
2
− da ∧ ? dA − J ∧ a + O(a2 )
(2.16)
1. EQUAZIONI DI MAXWELL
Z
Ora, sfruttando la relazione
Z 20
Z
dα ∧ ? β =
α ∧ ? δβ
si ottiene:
Z Z
−da∧? dA−J ∧a =
−a∧? δdA−J ∧a = a∧ −? δdA+J (2.17)
ed operando ulteriormente con l’operatore ?, mediante la relazione ?? = (−1)p−1
sulle p-forme ottengo dunque:
Z
a ∧ − ? δdA + ? ? J =
Z
a∧?
− δdA + ? J
La condizione di stazionarietà è allora soddisfatta per
?J = δdA.
(2.18)
CAPITOLO 3
Trasporto Parallelo, Derivata Covariante,
Curvatura
1. Trasporto Parallelo
In teoria dei campi, lo spazio-tempo su cui si propagano i campi, é una varietá
differenziabile M. Un generico campo é una funzione φ che associa ad ogni punto
x ∈ M dello spazio-tempo, un vettore φ(x) ∈ Vx , ove Vx é uno spazio vettoriale
dipendente da x, ed é linearmente isomorfo ad uno spazio vettoriale V per ogni x,
essendo V uno spazio vettoriale
fissato.
[
Formalmente, φ : M →
Vx con la proprietá che φ(x) ∈ Vx per ogni x ∈ M.
x
La dinamica dei campi richiede chiaramente di definire una nozione di differenziazione dei campi stessi. Questo é tuttavia problematico in quanto la definizione
formale di derivata direzionale di φ nel punto x lungo la direzione v ∈ Tx M (lo
spazio tangente), ovvero
dv φ(x) = lim
ε→0
φ(x + εv) − φ(x)
ε
non ha senso, essendo che φ(x) ∈ Vx e φ(x + εv) ∈ Vx+εv , in cui Vx e Vx+εv sono
due spazi vettoriali distinti sebbene isomorfi.
Per risolvere questo problema, si introduce la nozione di trasporto parallelo. Intuitivamente, il trasporto parallelo permette di comparare valori di φ in diversi punti
di M. D’altra parte la scelta del trasporto parallelo non é univoca. Si definisce
dunque in termini formali, l’operazione del trasporto parallelo.
Definizione 1.1. Si chiama curva, una funzione Q : [0, 1] → M differenziabile a
tratti.
Formalmente Q é un percorso in M parametrizzato da un tempo fittizio t ∈ [0, 1]
in cui si definisce:
Q(0) = x punto iniziale della curva;
Q(1) = y punto f inale della curva
Per sottolineare il fatto che la curva é un percorso in M che inizia in x e termina in y, scriveremo talora Q : x → y oppure anche Qxy .
Definizione 1.2. Siano Q1 e Q2 due curve in M, tali che Q2 : x → y e Q1 : y → z.
É definita la curva prodotto Q2 Q1 : x → z come segue:
21
1. TRASPORTO PARALLELO
22



1
Q2 (2t) per 0 6 t 6 ;
2
Q1 Q2 (t) =
1

 Q1 (2t − 1) per
6 t 6 1.
2
Si nota immediatamente che Q1 Q2 é la curva ottenuta percorrendo in successione
le curve Q2 e Q1 .
Definizione 1.3. Sia Q una curva in M, Q : x → y. Si definisce la curva inversa
Q−1 : y → x come segue:
Q−1 (t) = Q(1 − t)
per
0≤t≤1
(3.1)
Risulta ovvio che Q−1 é la curva ottenuta percorrendo la curva Q a ritroso.
Definizione 1.4. Per ogni x ∈ M, é data una curva costante Ix definita come
Ix (t) = x
(3.2)
Questa é la curva che inizia e termina in x senza mai lasciare x stesso, in altre
parole, la curva puntiforme.
Si introduce ora la nozione di Trasporto Parallelo.
Definizione 1.5. Si definisce trasporto parallelo una regola T che associa ad ogni
curva Q : x → y in M un isomorfismo lineare T(Q) : Vx → Vy tale che siano
soddisfatte le seguenti condizioni:
1) Se Q2 : x → y e Q1 : y → z sono due curve in M, allora
T(Q1 Q2 ) = T(Q1 )T(Q2 )
(3.3)
e si ha in modo ovvio che T(Q1 Q2 ) : Vx → Vz come risulta dal diagramma:
T(Q1 Q2 )
z
T(Q2 )
}|
T(Q1 )
{
Vx −−−−→ Vy −−−−→ Vz
2) Se Q : x → y é una curva, allora data la curva inversa Q−1 : y → x si definisce:
T(Q−1 ) = T(Q)−1
e risulta:
(3.4)
1. TRASPORTO PARALLELO
T(Q)
23
T(Q−1 )
Vx −−−→ Vy −−−−−→ Vx
3) Per ogni x ∈ M, si definisce:
T(Ix ) = 1Vx
Sia ora φ : M →
una curva Q : x → y:
[
(3.5)
Vx un campo, e sia T un trasporto parallelo. Allora, data
x
T(Q)φ(x) ∈ Vy
(3.6)
Questo é il trasporto parallelo del campo φ dal punto x al punto y lungo la curva
Q. Esso non é unico, poiché infatti dipende dalla scelta della curva che connette i
due punti x ed y, e chiaramente anche dalla scelta di T(Q).
Definizione 1.6. Si chiama trivializzazione una famiglia di isomorfismi
i(x) : Vx → V, con x ∈ M.
Definizione 1.7. Si chiama trasformazione di gauge una famiglia di isomorfismi
γ(x) : V → V, con x ∈ M, differenziabile in x.
Le trasformazioni di gauge γ formano un gruppo, dotato della proprietá della
moltiplicazione puntuale, ovvero, dato γ1 e γ2 si ha che:
γ1 γ2 (x) = γ1 (x)γ2 (x)
(3.7)
Data
una
trivializzazione
i(x)
|x
∈
M
, si ottengono tutte le altre trivializzazioni
0
i (x) |x ∈ M tramite:
i0 (x) = γ(x)i(x)
(3.8)
Ove γ varia nel gruppo delle trasformazioni di gauge.
Definizione 1.8. Sia i(x) : Vx → V una trivializzazione e sia φ : M →
[
Vx un
x
campo. L’operazione
e
φ(x)
= i(x)φ(x)
(3.9)
definisce una funzione vettoriale φe : M → V, e φe é la rappresentazione di φ nella
trivializzazione i(x).
1. TRASPORTO PARALLELO
24
Sotto un cambiamento di trivializzazione i(x) → i0 (x), mediante una trasformazione
di gauge γ si ha:
e
φe0 = γ(x)φ(x)
Questa é la legge di trasformazione della rappresentazione φe sotto una trasformazione di gauge γ.
Definizione 1.9. Sia i(x) : Vx → V una trivializzazione, e sia T un trasporto
parallelo. Allora per ogni curva Q : x → y si pone:
e
T(Q)
= i(y)T(Q)i(x)−1 : V → V
(3.10)
e
ove T(Q)
é la rappresentazione del trasporto parallelo T rispetto alla trivializzazione
e
i(x). Inoltre T(Q)
é un isomorfismo come risulta dal diagramma:
e
T(Q)
z
i(x)−1
}|
T(Q)
i(y)
{
V −−−−→ Vx −−−→ Vy −−→ V
Sotto un cambiamento di trivializzazione i(x) → i0 (x), mediante una trasformazione
di gauge γ si ha:
−1
e
Te0 (Q) = γ(y)T(Q)γ(x)
(3.11)
Ed in particolare si ha:
^
T(Q)φ(x)
= i(y)T(Q)φ(x)
.
e
e
= T(Q)
φ(x)
(3.12)
2. DERIVATA COVARIANTE ESTERNA
25
2. Derivata Covariante Esterna
Come abbiamo anticipato nel precedente paragrafo, per poter definire la dinamica dei campi e quindi scrivere le equazioni di campo, é necessaria la nozione
di differenziazione dei campi stessi, cosa resa problematica per il fatto che l’usuale
definizione di derivata direzionale di un campo φ in un punto x appartenente alla
varietá M lungo una direzione v, scritta come
φ(x + εv) − φ(x)
,
ε→0
ε
Dv φ(x) = lim
non ha senso in quanto φ(x + εv) e φ(x) appartengono a due spazi vettoriali diversi, mentre ovviamente per effettuare l’operazione, necessitiamo che entrambi
appartengano al medesimo spazio.
Avendo introdotto le nozioni di trasporto parallelo e di trivializzazione, possiamo
ora essere in grado di affrontare e risolvere il problema.
Sia dato dunque un punto x, e sia x + εv una variazione infinitesima del punto x,
in cui v é un vettore tangente appartenente allo spazio tangente Tx M, ed ε é un
parametro infinitesimale.
Dato un trasporto parallelo T ed una curva Q : x → x+εv, l’operazione T(Qx,x+εv )φ(x),
ovvero il trasporto parallelo del campo φ lungo la curva Q, fornisce un vettore che
appartiene allo spazio vettoriale Vx+εv , lo stesso spazio vettoriale a cui appartiene
anche φ(x + εv). In tal modo l’operazione di derivazione suddetta risulta possibile,
e si puó porre:
Dv φ(x) = lim
ε→0
φ(x + εv) − T(Qx,x+εv )φ(x)
ε
(3.13)
Per il calcolo di Dv φ(x) si sceglie una trivializzazione i(x) e la si applica ad entrambi i membri della suddetta relazione, ottenendo:
φ(x + εv) − T(Qx,x+εv )φ(x)
ε→0
ε
i(x)Dv φ(x) = i(x) lim
(3.14)
Per definizione si ha che i(x)Dv φ(x) = D^
v φ(x), dunque si ottiene:
φ(x + εv) − T(Qx,x+εv )φ(x)
D^
v φ(x) = i(x) lim
ε→0
ε
(3.15)
Poiché formalmente si puó scrivere i(x) come lim i(x + εv), si porta i(x) dentro
ε→0
all’operazione di limite, in modo tale che la trivializzazione possa agire su entrambi
i membri, restituendo al fine:
D^
v φ(x)
h φ(x + εv) − T(Q
i
x,x+εv )φ(x)
= lim i(x + εv)
ε→0
ε
(3.16)
e + εv) − T(Q
e
e x,x+εv) φ(x)
φ(x
= lim
ε→0
ε
3. CURVATURA
26
fµ a valori in V, tale che
Definiamo ora un campo vettoriale A
e x,x+εv ) − 1v = −εv µ Aeµ (x) + O(ε2 )
T(Q
(3.17)
e x,x+εv )φ(x) = 1 − εv µ Aeµ (x) φ(x)
T(Q
(3.18)
allora:
Aµ é detto campo di gauge.
Poiché banalmente si ha che:
e + εv) − T(Q
e
e + εv) − φ(x)
e
e
e x,x+εv )φ(x)
e x,x+εv ) φ(x)
φ(x
= φ(x
− 1 − T(Q
si ottiene:
h
i
e + εv) − T(Q
e
e x,x+εv )φ(x)
fv φ(x) = lim 1 φ(x
D
ε→0 ε
i
1he
e
e x,x+εv ) φ(x)
φ(x + εv) − φ(x)
+ 1 − T(Q
ε→0 ε
= lim
i
1he
e
e
φ(x + εv) − φ(x)
+ εv µ Aeµ (x)φ(x)
ε→0 ε
= lim
(3.19)
e
e + εv) − φ(x)
e
φ(x
εv µ Aeµ (x)φ(x)
+ lim
ε→0
ε→0
ε
ε
= lim
e
e
= v µ ∂µ φ(x)
+ Aeµ φ(x)
3. Curvatura
Introduciamo ora la nozione di curvatura. Supponiamo di avere una curva
chiusa Q, composta da quattro curve L1 , L2 , L3 , L4 definite in questo modo:
L1 : x −→ x + ε1 v1
L2 : x + ε1 v1 −→ x + ε1 v1 + ε2 v2
L3 : x + ε1 v1 + ε2 v2 −→ x + ε2 v2
L4 : x + ε2 v2 −→ x
Come si legge nel diagramma sottostante:
3. CURVATURA
x
x

L4 
L
1
−−−−
→
27
x + ε1 v1

L
y 2
x + ε2 v2 ←−−−− x + ε1 v1 + ε2 v2
L3
(Nota: Per semplicitá di notazione nel calcolo, scriveremo il campo vettoriale Aeµ
semplicemente come Aµ , senza il simbolo di tilde).
Allora, si ottiene:
e
T(Q)
e 4 )T(L
e 3 )T(L
e 2 )T(L
e 1)
= T(L
= 1 + Aκ (x + ε2 v2 )ε2 v2κ 1 + Aλ (x + ε1 v1 + ε2 v2 )ε1 v1λ
· 1 − Aµ (x + ε1 v1 )ε2 v2µ 1 − Aν (x)ε1 v1ν
h
ih
i
= 1 + ε2 v2κ Aκ (x) + ∂ρ Aκ (x)ε2 v2ρ
1 + ε1 v1λ Aλ (x) + ∂σ Aλ (x) ε1 v1σ + ε2 v2σ
h
ih
i
· 1 − ε2 v2µ Aµ (x) + ∂τ Aµ (x)ε1 v1τ
1 − ε1 v1ν Aν (x)
= 1 + ε2 v2κ Aκ (x) + ε1 v1λ Aλ (x) − ε2 v2µ Aµ (x) − ε1 v1ν Aν (x) + ε22 v2κ v2ρ ∂ρ Aκ (x) +
+ε21 v1λ v1σ ∂σ Aλ (x) + ε1 ε2 v1λ v2σ ∂σ Aλ (x) − ε1 ε2 v1τ v2µ ∂τ Aµ (x) + ε1 ε2 v1λ v2κ Aκ Aλ (x)−
−ε22 v2κ v2µ Aκ Aµ (x) − ε2 ε1 v2κ v1ν Aκ Aν (x) − ε1 ε2 v1λ v2µ Aλ Aµ (x) − ε21 v1λ v1ν Aλ Aν (x)+
+ε2 ε1 v2µ v1ν Aµ Aν (x)
h
i
= 1 − ε1 ε2 v1κ v2λ ∂κ Aλ − ∂κ Ak + Aκ Aλ − Aκ Aλ (x) +
+ε21 v1κ v1λ ∂κ Aλ − Aκ Aλ (x) + ε22 v2κ v2λ ∂κ Aλ − Aκ Aλ (x)
∂2 e
T(Q) − 1 = −v1κ v2λ Feκλ (x)
⇒
∂ε1 ∂ε2
ε1 =ε2 =0
(3.20)
e
e
Ricordando la definizione di T(Q)
− 1 , si trova che Fe é la curvatura di A.
0
Consideriamo un cambiamento di trivializzazione i(x) → i (x) = γ(x)i(x).
−1
e
e 0 (Q) = γ(y)T(Q)γ(x)
e
Sappiamo che per una curva Q : x → y, T(Q)
si trasforma come T
e 0 (Q) = 1 − εv µ Ae0 (x).
Sappiamo inoltre che per Qx,x+εv , T
µ
3. CURVATURA
28
In questo modo possiamo calcolare e definire la relazione che intercorre fra Ae0µ e
Aeµ :
Te0 (Q)
= γ(x) + εv µ ∂µ γ(x) 1 − εv µ Aeµ (x) γ(x)−1
(3.21)
= 1 + εv
µ
−1
∂µ γ(x)γ(x)
− γ(x)Aeµ (x)γ(x)−1
Si ottiene allora la relazione cercata:
f0 µ (x) = γ(x)Aeµ (x)γ(x)−1 − ∂µ γ(x)γ(x)−1
A
(3.22)
La costruzione geometrica sopra descritta puó essere riformulata in termini di
forme differenziali come segue::
Il campo di gauge Aeµ definisce la 1-forma:
A = Aeµ dxµ
(3.23)
La derivata covariante Dφ di φ, definisce similarmente la 1-forma:
Dφ = Dµ φ dxµ
(3.24)
Se φ é un campo 1-forme, la derivata covariante Dφ di tale campo puó inoltre
essere espressa in termini della 1-forma A nel modo seguente:
Dφ = dφ + Aφ
(3.25)
Risulta inoltre ovvia la generalizzazione della suddetta relazione (3.25) nel caso
in cui il campo φ sia una p-forma. Si ha infatti:
Dφ = dφ + A ∧ φ
(3.26)
Dalle proprietá della derivata esterna, sappiamo che d2 = 0. La derivata covariante
esterna invece si comporta diversamente. Per un campo φ vale infatti:
3. CURVATURA
D2 φ
29
= d(dφ + A ∧ φ) + A ∧ (dφ + A ∧ φ)
= d2 φ + dA ∧ φ − A ∧ dφ + A ∧ dφ + A ∧ A ∧ φ
(3.27)
= (dA + A ∧ A) ∧ φ
Ove compare la 2-forma:
F = dA + A ∧ A
(3.28)
che é chiamata curvatura (di gauge) di A.
Se γ é una trasformazione di gauge, ed A0 é il trasformato di gauge di A, dalla
relazione (3.22) si ha che:
A0 = γAγ −1 + γdγ −1
(3.29)
Se φ é un campo, il suo trasformato di gauge φ0 é dato da:
φ0 = γφ
(3.30)
La relazione (3.30) si estende senza modifiche al caso in cui φ sia un campo pforme. Si verifica inoltre dalle relazioni (3.29) e (3.30) che:
Dφ0 = γDφ
(3.31)
Infatti:
(Dφ)0
= d(γφ) + (γAγ −1 + γdγ −1 ) ∧ γφ
= dγφ + γdφ + γAφ + γdγ −1 γ ∧ φ
= γDφ
La curvatura F si trasforma in accordo alla rappresentazione aggiunta, sotto trasformazione di gauge:
F 0 = γFγ−1
Infatti
(3.32)
3. CURVATURA
F0
30
= d(γAγ −1 + γdγ −1 ) + (γAγ −1 + γdγ −1 ) ∧ (γAγ −1 + γdγ −1 )
= dγ ∧ Aγ −1 + γdAγ −1 − γA ∧ dγ −1 + dγ ∧ dγ −1 + γ ∧ d2 γ −1 + γA ∧ Aγ −1 +
+ γA ∧ dγ −1 + γdγ −1 ∧ γAγ −1 + γdγ −1 ∧ γdγ −1
= γ(dA + A ∧ A)γ −1 − γγ −1 dγ ∧ Aγ −1 + dγ ∧ Aγ −1 − γγ −1 dγ ∧ dγ −1 + dγ ∧ dγ −1
= γFγ −1
Si ha infine che DF, la derivata covariante della curvatura, vale:
DF
= d(dA + A ∧ A) + A ∧ (dA + A ∧ A) − (dA + A ∧ A) ∧ A
= d2 A + dA ∧ A − A ∧ dA + A ∧ dA + A ∧ A ∧ A − dA ∧ A − A ∧ A ∧ A
=0
dimostrando in tal modo l’Identitá di Bianchi:
DF = 0
che generalizza le equazioni omogenee di Maxwell.
(3.33)
CAPITOLO 4
Teoria di Yang-Mills
Se vogliamo scrivere l’azione per un sistema di campi di gauge A e campi scalari
φ, abbiamo bisogno di una metrica.
Ci restringiamo al caso in cui il nostro gruppo di simmetria G sia semplice e compatto, od equivalente ad U(1). Inoltre é data una rappresentazione R di G su V,
lo spazio in cui φ prende valori.
In termini di forme, l’azione di Yang-Mills si scrive:
Z
Z
Z
†
1
tr F ∧ ?F +
Dφ ∧ ? Dφ − m2 φ† ∧ ?φ
(4.1)
S= 2
g
in cui g é la costante di accoppiamento di gauge, m é la massa, φ é considerato
come un vettore colonna di 0-forme a valori complessi, e φ† denota il coniugato
Hermitiano di φ.
Il primo termine dell’azione é la generalizzazione non abeliana del termine F ∧ ?F
dell’elettromagnetismo. Infatti, per creare un’analogia con la teoria di gauge dell’elettromagnetismo nel gruppo di gauge U(1), in cui si manifesta la teoria di gauge non
abeliana, dobbiamo introdurre una costante di accoppiamento g e definire:
A = −ig  ;
F = −ig F̂
ove
F̂ = d − ig  ∧ Â
cosi che sia: F ∧ ?F = −ig F̂ ∧ ? (−ig F̂) = (+i2 g 2 )F̂ ∧ ?F̂ = −g 2 F̂ ∧ ?F̂
In modo da riscrivere una Lagrangiana nella sua forma convenzionale, scegliamo
una base Ta , (a = 1, 2, · · · , dimG), di dimensione G in accordo con:
1
tr(Ta Tb ) = − δab
2
X
c
[Ta Tb ] =
fab
Tc
(4.2)
(4.3)
c
Ta† = −Ta
(4.4)
Allora scriviamo:
A = Aµ a Ta dxµ
F=
1
Fµν a Ta dxµ ∧ dxν
2
ove
a b c
Fµν a = ∂µ Aaν − ∂ν Aaµ + fbc
Aµ Aν
Si noti che A† = −A, e F † = −F. Per le componenti della 1-forma a valori in
31
4. TEORIA DI YANG-MILLS
32
V otteniamo:
(Dφ)i = (Dµ φ)i dxµ
(Dµ φ)i = ∂µ φi + Aaµ (Ta )ij φj
in cui (Ta )ij é la matrice rappresentativa di T a in V
Allora la Lagrangiana si riscrive come:
L
1
tr(F ∧ ?F) + (Dφ)† ∧ ?Dφ − m2 φ† ∧ ?φ =
g2
"
#
1 1
a
bµν
= 2 tr Fµν Ta F
Tb dx0 ∧ dx1 ∧ dx2 ∧ dx3 + · · ·
g
2
=
"
#
1 a
=
F F bµν tr(Ta Tb ) + · · · dx0 ∧ dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
2g 2 µν
"
=
#
1 a
aµν
µ i
2 i i
i
+ (Dµ φ) (D φ) − m φ φ dx0 ∧ dx1 ∧ dx2 ∧ dx3
− 2 Fµν F
4g
(4.5)
Le equazioni di campo si ottengono dalla variazione dell’azione S rispetto ai campi
A e φ.
Per eseguire il calcolo notiamo che S = SI + SII + SIII , ove SI , SII , SIII corrispondono ai tre termini in (4.1) nell’ordine dato.
In tal modo possiamo calcolare la variazione totale di S calcolando separatamente
la variazione dei tre termini:
δS = δSI + δSII + δSIII :
Calcolo di δSI :
Z
Z
1
2
δSI = 2
tr(δF ∧ ?F + F ∧ ?δF) = 2
tr(δF ∧ ?F)
g
g
Ora, poiché
δF = δ(dA + A ∧ A) = dδA + δA ∧ A + A ∧ δA = DδA
Si giunge, grazie anche alla relazione D† = ?D?, a:
δSI =
2
g2
Z
tr(DδA ∧ ?F) =
2
g2
Z
tr(δA ∧ ?D† F) ≡
2
g2
Z
tr(δA ∧ D ? F) (4.6)
4. TEORIA DI YANG-MILLS
33
Calcolo di δSII :
δSII
Z h
i
=
δ(Dφ)† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?(δDφ)
Per le proprietá della derivata covariante, si ha:
δDφ = δ(dφ + Aφ) = dδφ + δAφ + Aδφ = Dδφ + δAφ
Inoltre
(Dδφ)† = (dδφ + Aδφ)† = dδφ† + δφ† A† = dδφ† − δφ† A
in quanto A† = −A
Allora,
Z
(Dδφ)† ∧ ?Dφ =
Z
(dδφ† − δφ† A) ∧ ?Dφ
Z "
=
#
†
†
(4.7)
†
d(δφ ∧ ?Dφ) − δφ d ? Dφ − δφ A ∧ ?Dφ
Il primo termine dell’integrale si annulla per il teorema di Stokes e pertanto, essendo d ? Dφ + A ∧ ?Dφ = D ? Dφ:
Z
†
(Dδφ) ∧ ?(Dφ) = −
Z
δφ† D ? Dφ
(4.8)
Allora si ha:
δSII
=
=
=
=
=
Z h
i
δ(Dφ)† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?(δDφ)
Z h
i
(Dδφ + δAφ)† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?(Dδφ + δAφ)
Z h
(Dδφ)† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?Dδφ + φ† δA† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?δAφ
i
Z h
(Dδφ)† ∧ ?Dφ + (Dδφ)† ∧ ?Dφ + φ† δA† ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?δAφ
i
Z h
− δφ† D ? Dφ − (D ? Dφ)† δφ − φ† δA ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?δAφ
i
(4.9)
4. TEORIA DI YANG-MILLS
34
Infine per la terza parte si ha in modo immediato:
2
δSIII = −m
Z δφ† ? φ + φ† ? δφ
(4.10)
In conclusione, sommando le tre variazioni ottenute, si ottiene:
δS
=
Z
2
g2
tr(δA ∧ D ? F) −
Z h
δφ† (D ? Dφ + m2 ? φ) + (D ? Dφ + m2 ? φ)† δφ−
−φ† δA ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?δAφ
i
(4.11)
Denotando δS = δS 0 + δS 00 , in cui δS 0 é la parte relativa a δA e δS 00 é la parte
relativa a δφ:
i
g2 †
g2
φ δA ∧ ?Dφ + (Dφ)† ∧ ?δAφ
2
2
0
Z h
δS 00 =
Z h
i
δφ† ∧ ?(?D ? Dφ − m2 φ) + ?(?D ? Dφ − m2 φ)† δφ
2
δS = 2
g
tr(δA ∧ ?DF) −
(4.12)
(4.13)
Si ottiene allora, da δS 00 , la prima delle due equazioni del moto:
? D ? D − m2 φ = 0
(4.14)
Prendendo ora δS 0 , ed espandendo A nel suo generatore: δA = δAa Ta si ottiene
δS
0
2
= 2
g
Z h
i
g2
g2
δAa ∧ (φ† Ta ? Dφ) +
(Dφ)† Ta φ ∧ ?δAa
δAa ∧ tr(Ta D ? F) −
2
2
2
= 2
g
Z
g2 †
g2
φ Ta ? Dφ +
? (Dφ)† Ta φ
δAa ∧ tr(Ta D ? F) −
2
2
(4.15)
4. TEORIA DI YANG-MILLS
35
Ed otteniamo cosı́ la seconda equazione del moto:
tr(Ta D ? F) −
g2
? (φ† Ta Dφ − (Dφ)† Ta φ) = 0
2
(4.16)
Se non vi sono campi di materia, l’equazione di campo diviene:
D?F =0
(4.17)
Inoltre é soddisfata l’identitá di Bianchi: DF = 0.
Nota 0.1. Nello spazio R4 di Minkowski, ??F = −F, mentre nello spazio Euclideo
? ? F = F.
Nota 0.2. Nel solo caso Euclideo, puó esistere un campo di gauge auto-duale tale
che F = ?F, ed un campo di gauge anti-auto-duale tale che F = − ? F.
Bibliografia
[1] M. Göckeler, T. Schücker: Differential geometry, gauge theories and gravity, Cambridge
University Press, 1989;
[2] Bernard Schutz: Geometrical methods of mathematical physics, Cambridge University
Press, 1999;
[3] David Bleecker: Gauge theory and variational principles, Addison-Wesley Publishing
Company, 1981;
[4] Lev D. Landau, Evgenij M. Lifsits: Fisica Teorica Vol.2: Teoria dei campi, Editori
Riuniti, 1999;
[5] Boris A. Dubrovin, Sergej P. Novikov, Anatolij T. Fomenko: Contemporary Geometry
Vol.1: The geometry of surfaces, transformation groups, and fields, Springer, 1992;
[6] G. Turchetti: Dinamica classica dei sistemi fisici, Zanichelli, 1998;
[7] Lewis H. Ryder: Quantum field theory, Cambridge University Press, 2002;
[8] John D. Jackson: Classical Electrodynamics, John Wiley & Sons, 1999;
[9] Attay Kovets: Electromagnetic theory, Oxford University Press, 2000;
[10] Stefan Pokorski: Gauge field theories, Cambridge University Press, 2000;
[11] R. Soldati, A. Bassetto, G. Nardelli: Yang-Mills theories in algebraic non-covariant
gauges : canonical quantization and renormalization, World Scientific, 1991;
36
Indice
Capitolo 0.
Introduzione
1
Capitolo 1. Forme Differenziali
1. Forme Differenziali
2. Prodotto Wedge
3. Derivata Esterna
4. Teorema di Stokes
5. Hodge Star
6. Coderivata
5
5
7
8
10
12
14
Capitolo 2. Elettrodinamica
1. Equazioni di Maxwell
16
16
Capitolo 3. Trasporto Parallelo, Derivata Covariante, Curvatura
1. Trasporto Parallelo
2. Derivata Covariante Esterna
3. Curvatura
21
21
25
26
Capitolo 4.
31
Teoria di Yang-Mills
Bibliografia
36
37
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