Lezione 5 - Darwin - Storia della Fisica e Storia della Scienza e

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Corso di
Storia della Fisica
A.A. 2011-2012
Lezione 5 - Darwin
Copyright, 2011-2012 © Giulio Peruzzi
Lamarck e Darwin
[trasformismi (Barsanti, p. 171): “Lamarck riesce a far
virare il teologico “creazione” nel mondano
“trasformazione”, antenato del moderno “evoluzione”]
Se è certo ormai che è “futile” la controversia sul fatto
che Lamarck sia stato o meno precursore di Darwin,
può essere utile soffermarsi su alcune differenze e
convergenze particolarmente significative fra i due in
relazione alla interpretazioni delle componenti di una
teoria dell’evoluzione:
1) La realtà dell’evoluzione (dal mondo statico al
mondo in mutamento): in questo Lamarck fu un
precursore di Darwin.
2) Il meccanismo dell’evoluzione: posizioni distanti.
L’unico punto di contatto è la credenza in un effetto
dell’uso e del disuso (molto meno accentuata in
Darwin), cioè della cosiddetta “eredità debole”.
3) Interesse per la diversità (speciazione) e
l’adattamento (evoluzione filetica).
- Per Darwin evoluzione è prima di tutto discendenza
comune (prioritario è dare una risposta alla
speciazione) mentre Lamarck è più concentrato
sull’evoluzione filetica.
- Per Darwin l’adattamento è prodotto dalla selezione
naturale, per Lamarck da processi fisiologici imposti
da bisogni sollecitati da cambiamenti dell’ambiente.
Da Lamarck a Darwin
Dal 1809, l’anno della Philosophie zoologique, al
1859, l’anno di On the Origin of Species,
trascorrono cinquant’anni nei quali si discute di
teoria dell’evoluzione senza di fatto assistere a una
sua effettiva ampia adozione.
Ma il processo di progressiva accettazione del
pensiero evoluzionistico, anche dopo Darwin, non
implica di per sé la definizione e l’adozione di
un’unica teoria che ne spieghi il meccanismo.
Come abbiamo già visto in altri casi (si pensi per
esempio alle teorie del flogisto), non è sempre
facile capire le differenze tra queste teorie perché
in alcuni autori (se non in tutti) sono presenti
combinazioni tra diverse di queste teorie/tipo dei
meccanismi evolutivi, o almeno tra parecchie
delle loro componenti.
Si possono, seguendo una classificazione di
Mayr (cit. p. 305), individuare sei principali nuclei
teorici.
(A) Capacità intrinseca o tendenza verso la perfezione
crescente (teorie autogenetiche). Era un’idea presente
nella teoria di Lamarck e venne ampiamente
sostenuta, per esempio, da Chambers, Nägeli, Eimer
(ortogenesi = rilievo sempre maggiore di certi caratteri
che portano a modifiche della specie in una direzione
privilegiata), Osborn fino a Teilhard de Chardin
(principio omega).
(B) L’effetto dell’uso e del riuso combinato con
l’ereditarietà dei caratteri acquisiti.
(C) L’induzione diretta da parte dell’ambiente (non
accettata da Lamarck ma adottata da È. Geoffroy
Saint-Hilaire).
(D) Il saltazionismo (mutazionismo), improvvisa
origine di specie nuove o di tipi ancor più distinti
(Maupertuis, Kölliker, Galton, Bateson, de Vries,
Willis, Goldschmidt, Schindewolf).
(E) La differenziazione casuale (stocastica), senza
che né l’ambiente (direttamente o tramite selezione)
né fattori interni influiscano sulla direzione della
variazione o dell’evoluzione (Gulick, Hagedoorn,
“evoluzione non darwiniana”).
(F) La direzione (ordine) imposta alla variazione
casuale dalla selezione naturale (in parte il
darwinismo, il neodarwinismo).
(A), (B) e (C) ottennero sostanziali consensi per oltre
un secolo dopo Lamarck.
(D), saltazionismo, viene oggi rifiutato come
meccanismo normale di speciazione o di origine di tipi
nuovi, anche se se ne è dimostrata la validità in casi
speciali.
Non si sa bene valutare l’incidenza della variazione
casuale (E), ma è oggi ampiamente accettato il fatto
che la maggior parte dei fenomeni evolutivi e
variazionali possa essere spiegata combinando (E) ed
(F).
Spesso i non-biologi sono portati a un
fraintendimento cruciale: le dispute tra i
sostenitori dell’una o dell’altra di questi nuclei
teorici vengono interpretate come controversie
sulla validità della teoria dell’evoluzione in
quanto tale.
Il dibattito sulla nozione di evoluzione fu al
centro solo nel periodo che separa Lamarck da
Darwin, ma le controversie sui meccanismi
sono invece interne alla teoria dell’evoluzione
data come quadro di riferimento irrinunciabile.
[cit. Eldredge, Ripensare Darwin, pp. 30 e ss.]
I tre principali paesi europei in cui veniva coltivata la
ricerca biologica, cioè
la Francia,
la Germania e
l’Inghilterra,
reagirono in modo diverso alle questioni sollevate
dall’accumularsi di fatti che avevano portato
Lamarck a introdurre la nozione di evoluzione.
FRANCIA
•
Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844), grande esperto di
anatomia comparata. Con convinzioni deiste elabora una teoria che
si incentra sull’attivazione di potenzialità esistenti in un dato tipo e
non sull’evoluzione. Fautore di una concezione in cui “l’ambiente è
onnipotente nel modificare i corpi organizzati”, propose sicuramente
alcune idee interessanti anche per un evoluzionista, come quella di
considerare alcune modificazioni prodotte dall’ambiente più utili di
altre (ma cf. anche Barsanti pp. 176 e ss.).
•
Georges Cuvier (1769-1832) certamente contribuì in modo
sostanziale ad accrescere le conoscenze che avrebbero sostenuto
la teoria dell’evoluzione: studiò gli invertebrati (e la loro “anatomia
interna”); fondò la paleontologia; fondò l’anatomia comparata. Ma fu
sempre avversario dell’idea di evoluzione, con argomentazioni così
convincenti (basate sulla sua convinzione essenzialista) da
ostacolare l’affermarsi dell’evoluzionismo in Francia. Ciò che si
constatava ovunque erano discontinuità e specializzazioni irregolari
assolutamente incompatibili, secondo Cuvier, con interpretazioni di
tipo evoluzionistico.
GERMANIA
Contrastante influenza della Naturphilosophie, che da un lato sembra
preparare il terreno per l’accettazione delle teorie evoluzionistiche (più
rapida che in qualunque altro paese) mentre dall’altro genera una
reazione negli ambienti scientifici (le idee evolutive propugnate dai
Naturphilosophen risultano troppo speculative, metafisiche).
Certo è, come sostiene Mayr (p. 335 e ss.), che tra i molti precursori di
Darwin pochi meritano di essere citati più del botanico viennese Franz
Unger (1800-1870). Nella sua opera Versuch einer Geschichte der
Pflanzenwelt (1852), un capitolo dal titolo “L’origine delle piante, la loro
moltiplicazione e l’origine dei tipi differenti” è espressamente dedicato
all’evoluzione. E non è un caso che tra i suoi allievi ci sia Gregor
Mendel.
È lo steso Mendel a riferire che le riflessioni del suo maestro sull’origine
delle variazioni (una specie nuova si genera da una metamorfosi
complessiva di una passata specie o solo da uno o pochi individui che
mutano per diventare il ceppo ancestrale della nuova specie?) lo
indussero a compiere i suoi esperimenti genetici.
INGHILTERRA
La situazione in Inghilterra, fino alla metà dell’Ottocento, è ben diversa
da quella in Francia e Germania.
La geologia era qui di gran lunga dominante tra le “scienze naturali” e,
al tempo stesso, si realizzava una stretta alleanza tra scienza e
cristianesimo.
In questo senso, molti scienziati-filosofi credenti - basti pensare a Lyell,
Whewell e Herschel - pur riconoscendo i limiti della teologia naturale,
erano restii ad accettare una spiegazione naturalistica dell’adattamento
e della diversità delle specie. È qui che vede la luce quella corrente che
cerca di riformulare in chiave creazionista la scala naturae, il cosiddetto
progressionismo: a ogni catastrofe si succede una creazione
completamente ex novo e ogni creazione successiva riflette le mutate
condizioni del mondo (Louis Agassiz).
Vale la pena menzionare almeno due personaggi che esercitarono, in
modo diverso, la loro influenza su Darwin: Charles Lyell e Robert
Chambers.
L’uniformismo e la
sua polisemia
*
* Cause configurazionali (Simpson, 1970) =
Configurazioni diverse dei medesimi fattori
(cambiamento dell’atmosfera da riducente a
ossidante, irregolarità nel succedersi delle ere
glaciali, effetti della tettonica a zolle, intensità del
vulcanismo) possono determinare risultati
drasticamente diversi.
Un confronto tra diversi autori, sostenitori e avversari dell’evoluzionismo, sui
nodi concettuali sottesi alle concezioni uniformista e catastrofista.
Nel 1844 compare l’opera (anonima) Vestiges of the
Natural History of Creation (l’identità dell’autore,
Robert Chambers, il celebre editore della
Chambers’ Encyclopedia, fu svelata solo dopo la
sua morte nel 1871).
Le “scandalose” e “eretiche” tesi evoluzionistiche
che vi venivano enunciate erano in realtà frutto di
una impostazione deista piuttosto che atea
dell’autore, contrario all’idea di un intervento
costante di Dio nella sua creazione:
“tra la creazione speciale e l’azione di leggi generali
stabilite dal Creatore, io direi che quest’ultima è di
gran lunga preferibile in quanto implica una
concezione molto più sublime della potenza e della
dignità divine che non l’altra”.
Esso rese due favori a Darwin: “ha richiamato
l’attenzione del paese sul tema dell’evoluzione avviando
la rimozione dei pregiudizi”; inoltre le critiche che suscitò
fornirono a Darwin una sorta di prontuario delle obiezioni
tipiche nei confronti dell’evoluzione alle quali rispose in
modo sistematico nella sua Origine delle specie.
NOTE
– Il ruolo dei dilettanti ignari che vedono un problema
nell’insieme mentre gli specialisti possono perdersi
nei dettagli;
– È possibile sviluppare teorie anche senza disporre
inizialmente di una spiegazione soddisfacente di tutti I
meccanismi implicati (vale per Chambers sui
meccanismi evolutivi e per Darwin sui meccanismi
dell’eredità)
Charles Darwin (1809-1882)
Nato a Shrewsbury, nel Kent, figlio di un medico e nipote di Erasmus
Darwin (medico, poeta, filosofo, botanico e tecnologo), sembra che fosse
un bambino non particolarmente precoce o geniale.
Lasciati a mezzo gli studi di medicina
a Edimburgo, entrò al Christ College
di Cambridge, dove rivelò presto un
grande interesse e attitudine per la
storia naturale.
Del suo periodo giovanile sappiamo
essenzialmente solo quello che è
contenuto nella sua Autobiografia,
scritta a 67 anni: troppo lontana nel
tempo perché la memoria non possa
tradire l’autore e troppo impregnata
della modestia tipica dell’epoca
vittoriana per costituire un resoconto
oggettivo.
A Cambridge la persona che influì di più, direttamente o indirettamente,
sulla formazione di Darwin fu sicuramente il reverendo John Stevens
Henslow (1796-1861), professore di botanica.
Grazie a Henslow, Darwin conosce varie persone dell’ambiente
scientifico e filosofico di Cambridge, tra cui Whewell, e affina il suo
talento di naturalista imparando da lui molte cose sulla botanica,
l’entomologia, la chimica, la mineralogia e la geologia. E per quanto
riguarda la geologia, fu sempre Henslow che spinse Darwin a
interessarsi a questi studi e a seguire Adam Sedgwick (professore di
geologia a Cambridge) in una spedizione geologica in Galles. Al ritorno
dal Galles, Darwin trova l’invito a partecipare, come naturalista, al
viaggio del Beagle (27 dicembre 1831-2 ottobre 1836): un viaggio di
circumnavigazione terrestre con scopi scientifici e di rilevazione
cartografica.
Senza il viaggio sul Beagle, Darwin probabilmente sarebbe diventato un
reverendo naturalista, un po’ come Henslow. Invece Darwin parte a 22
anni per tornare in Inghilterra da maturo naturalista, con una
preparazione superiore a quella di quasi tutti i suoi contemporanei.
Anche se il suo ruolo ufficiale sul Beagle era quello di naturalista, il
settore in cui Darwin era più preparato era quello della geologia, e
proprio alla geologia dedicò gran parte del suo tempo (aveva con sé
il primo volume dei Principles of Geology di Lyell, appena
pubblicato, e il secondo volume - contenente argomenti contro
Lamarck e l’evoluzione - gli fu recapitato a Montevideo nell’ottobre
del 1832).
Sono questi libri che permisero a Darwin di farsi una solida base
sull’uniformismo, e allo stesso tempo suscitarono in lui numerosi
dubbi che si sostanziarono negli anni successivi in una presa di
distanze da Lyell.
Tornato dal viaggio del Beagle, Darwin si stabilisce a Cambridge
dove inizia a classificare e ripartire le sue collezioni. Nel 1837 si
sposta a Londra, dove nel 1839 sposa la cugina Emma Wedgwood.
Nel 1842 si trasferisce con la moglie nella casa di campagna nel
villaggio di Down nel Kent, a sud di Londra, dove Darwin visse fino
alla morte, recandosi solo raramente a Londra.
Darwin parte inizialmente da posizioni ispirate dall’ortodossia
cristiana, che includevano una credenza in un mondo creato, abitato
da specie costanti: questa posizione era essenzialmente comune a
molti degli intellettuali con cui era entrato in contatto a Cambridge e
Londra (Henslow, Whewell, Lyell, Sedgwick).
Egli abbandonò la fede nei due anni successivi al ritorno in
Inghilterra, anche se nell’Autobiografia parla di agnosticismo: “il
mistero del principio dell’universo è insolubile per noi, e perciò, per
quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico”.
Tra le ragioni che possono averlo indotto a questa svolta: un
atteggiamento più critico nei confronti della Bibbia e la crescente
consapevolezza della non tenibilità delle argomentazioni
sull’esistenza di un progetto.
Certo è che la scoperta della selezione naturale come meccanismo
evolutivo (sia nell’adattamento che nella diversificazione), rendeva
obsoleto il ricorso a un “ordinatore” (o “orologiaio”) sovrannaturale.
La teoria darwiniana delle scogliere coralline
Fin dall’inizio del suo viaggio, Darwin mostra di aver fatto propri gli
insegnamenti di Lyell dei Principles of geology, in particolare l’idea
che la storia della superficie terrestre sia un lento e costante
susseguirsi di innalzamenti e abbassamenti.
Su questa base interpreta alcuni aspetti della geologia del Sud
America, erroneamente attribuiti a un grande diluvio, come dovuti al
lento e graduale sollevamento del continente e, più in generale, le
Ande come sollevamento graduale del continente compensato
dall’abbassamento del letto oceanico (sono proprio queste sue
riflessioni che compariranno in due articoli del 1844 e del 1846).
Gli effetti dell’abbassamento congiunti all’osservazione della
crescita dei coralli verso l’alto, lo portano a enunciare la sua teoria
delle barriere coralline, in contrasto con la teoria diffusa all’epoca (e
condivisa anche da Lyell) che le scogliere coralline si formassero
per accumulo dei coralli sulle bocche di vulcani estinti che si
ergevano verso la superficie del mare.
Darwin, nella sua comunicazione del 1837
alla Geological Society e successivamente in
The structure and distribution of coral reefs
del 1842, divide le barriere coralline in tre
categorie:
1. scogliere litoranee che formano una sorta
di frangia intorno a un’isola o tratto di
terraferma;
2. scogliere a barriera, separate dall’isola o
dal continente mediante una laguna;
3. atolli o scogliere ad anello, senza isola al
centro.
Rovesciando l’interpretazione allora corrente, Darwin
individua nelle tre categorie di scogliere le fasi di un unico
processo: l’abbassamento sotto il livello del mare di un’isola
o di un tratto di continente con il contemporaneo crescere
dei coralli verso l’alto.
1) Le scogliere crescono dapprima in prossimità della
terraferma o dell’isola (per sollevamento dei coralli);
2) con l’abbassamento del letto dell’oceano si formano
bracci di mare più o meno ampi tra costa e barriera
corallina;
3) infine l’isola sprofonda completamente e resta l’atollo.
La teoria di Darwin ha subito varie modifiche e integrazioni
(in particolare per le forme litoranee e a barriera), tuttavia le
sue linee generali sono accettate ancora oggi, anche se il
problema non è definitivamente risolto.
La teoria dell’evoluzione
Attraverso quali fasi Darwin si “converte” all’evoluzionismo? Quello che
lui dichiara nell’introduzione all’Origine delle specie sembra poco
attendibile (cit. in Mayr, p. 353 e 354).
– Certamente nell’opera di classificazione del materiale al suo
ritorno dal viaggio con il Beagle (per la quale chiede aiuto in
particolare a Richard Owen, per i fossili, e all’ornitologo John
Gould), Darwin fu indotto a riflettere sulla questione delle specie
e della loro variabilità.
– È altrettanto certo che durante il viaggio sul Beagle era
“ortodosso” (ancorché con dubbi) ma nel luglio del 1837 apre il
suo primo taccuino intitolato “sulla trasmutazione delle specie”.
– Una volta demolito il concetto di costanza delle specie fu come
se si fosse dissipata una nebbia e di colpo le cose si
mostrassero in una luce diversa. (cit. Mayr, p. 355)
In letteratura si possono rintracciare due posizioni
estreme sullo sviluppo della teoria dell’evoluzione in
Darwin, che oggi di fatto sono ritenute erronee:
– una sostiene che Darwin abbia completamente
sviluppato la sua teoria subito dopo la sua
conversione all’evoluzionismo;
– l’altra invece sostiene che Darwin abbia cambiato
continuamente parere e che solo in tarda età abbia
del tutto abbandonato le sue convinzioni
precedenti.
La ricerca recente ha però documentato in modo
abbastanza definitivo come in una fase iniziale (il
contesto della scoperta), tra il 1837 e il 1838, Darwin
abbia accettato e respinto in rapida successione varie
teorie, ma che successivamente sia rimasto
essenzialmente fedele ai tratti fondamentali della sua
teoria proposta negli anni 1840, mutando solo il peso
relativo da attribuire a certi fattori (come l’isolamento
geografico e l’eredità debole).
Quello che sostiene sull’evoluzione nella sesta edizione
dell’Origine (1872) e in The Descent of Man [L’origine
dell’uomo] (1871) è in sostanza assai simile a quanto
sostenuto in un suo saggio del 1844 e nella prima
edizione dell’Origine (1859).
La distribuzione geografica degli organismi (speciazione
geografica)
[su Wallace, cf. la cit. in Barsanti, p. 223]
Sia Darwin sia Wallace hanno un approccio diverso all’origine
delle specie rispetto a quello di qualunque loro “precursore”: i
taxa non vengono confrontati solo nella loro dimensione
temporale, ma taxa contemporanei vengono messi a confronto
nella loro distribuzione geografica.
– L’osservazione della moltiplicazione delle specie in zone con
caratteristiche fisiche e climatiche affini, o l’osservazione di
specie simili in ambienti diversi spinge non solo a
riconsiderare il ruolo delle migrazioni dai centri di “creazione”,
ma a rivedere la concezione dell’adattamento all’ambiente:
un organismo può adattarsi anche ad ambienti con caratteri
fortemente diversi da quello per il quale è stato “creato”. E
questo adattamento può avere anche esito negativo
(estinzione della specie).
– Leopold von Buch (geologo) aveva già
sostenuto in un saggio del 1825 sulle Canarie
che l’isolamento geografico potesse portare
alla diversificazione delle varietà a tal punto da
ingenerare nuove specie.
– Ostacoli naturali limitano la diffusione degli
organismi che però possono essere trasportati
per distanze amplissime nei modi più
impensati. Contro teorie di Lyell, Hooker e altri,
che supponevano l’esistenza di antichi ponti di
terra tra le attuali terre emerse, Darwin fa
esperimenti sulle possibilità di trasporto di
organismi da una zona all’altra.
Da principio (per pochi mesi) Darwin ammette una
teoria della “senescenza delle specie” (del tipo di
quella sostenuta dal geologo Brocchi, 1772-1826):
le specie hanno una durata prestabilita e si
estinguono quando questa si compie e non per
cause fisiche.
Subito dopo, però, sostituisce a questa teoria una
teoria “riproduttiva” della trasformazione organica.
Il primo taccuino sulle specie si apre con la frase “la
causa finale della generazione [cioè la riproduzione]
è l’adattamento a un mondo che cambia”.
La concatenazione logica è la seguente:
1. l’ambiente muta, in modo graduale e costante;
2. questi mutamenti selezionano variazioni (casuali)
nell’organismo, legate specialmente al meccanismo della
riproduzione;
3. la riproduzione sessuale, a differenza di quella
asessuale, produce nella prole modificazioni su cui la
selezione può agire su base adattiva.
Le imperfezioni e le stranezze che tanti esseri viventi
manifestano sono residui di adattamenti un tempo
perfetti.
La riproduzione sessuale, quindi, come causa insieme di
uniformità e differenziazione.
A differenza di Wallace (che non crede all’eredità dei
caratteri acquisiti e rifiuta la selezione sessuale), Darwin
rivolge grande attenzione allo studio delle razze
domestiche.
– In esse la divergenza tra le varietà comporta la
sterilità degli ibridi e ostacoli comportamentali
all’incrocio fra razze diversificate.
– Le varietà domestiche sono però frutto dell’azione
umana sulla riproduzione animale: l’allevatore e
l’orticoltore selezionano per loro capriccio, mentre la
natura per il bene dell’organismo.
Ma l’azione della natura è davvero così diversa da
quella dell’uomo? Se l’uomo, con tutti i suoi limiti, riesce
a ottenere forme tanto variate, che cosa può fare la
natura che ha disposizione risorse e tempi lunghissimi?
E Darwin utilizza una metafora deistica-laplaciana
(presente sia nell’Abbozzo del 1842 sia nel Saggio del
1844, ma sparita nell’Origine del 1859 dove opera solo
il meccanismo della selezione):
La Natura può essere paragonata a un “essere
infinitamente più sagace dell’uomo”, non
necessariamente un creatore onnisciente, ma piuttosto
un “grande allevatore”; questi potrebbe modificare
quasi a piacimento le forme organiche accumulando in
una certa direzione le numerosissime variazioni che si
presentano spontaneamente.
Sono proprio questi studi sulle razze domestiche che
contribuiscono alla proposta del meccanismo di
selezione naturale.
La selezione naturale
Negli stessi anni in cui comincia a scrivere nei suoi
taccuini sulla questione delle specie, Darwin include
anche l’uomo nelle sue concezioni evoluzionistiche.
Questa inclusione lo porta ad annotare riflessioni sui
rapporti
mente/corpo
istinti/abitudini
comportamenti inconsci/comportamenti razionali
E non vengono trascurate questioni relative all’origine
e al significato delle idee morali, o al libero arbitrio.
L’interesse per l’uomo è anche legato al fatto che
in esso lo studio degli effetti dell’uso o del disuso
delle facoltà e delle conseguenze dell’eredità
delle caratteristiche (fisiche e mentali) acquisite
trova un campo particolarmente favorevole.
È anche da qui, dallo studio dell’uomo, che
traggono origine e sostanza molte delle sue
riflessioni di carattere epistemologico su nozioni
come causa, legge, caso, finalità (sotto l’influsso
di Herschel e Whewell, e indirettamente di
Compte). Ma questo suo interesse è, in
particolare, la molla che lo spinge a leggere scritti
di economia politica e scienze morali.
Tra queste letture ha un ruolo particolarmente importante (per lui
come per Wallace) il saggio del reverendo Thomas Robert Malthus
(1766-1834) dal titolo Essay on the principle of population (1798,
18266).
Nell’ottobre 1838 - scrive Darwin nell’Autobiografia - cioè
quindici mesi dopo l’inizio della mia ricerca sistematica, lessi
per diletto il libro di Malthus sulla Popolazione e poiché, date
le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e
delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per
valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto,
fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni
vantaggiose tendessero a essere conservate, e quelle
sfavorevoli a essere distrutte. Il risultato poteva essere la
formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria
su cui lavorare, ma ero così preoccupato di evitare ogni
pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche tempo,
neanche una brevissima nota.
Secondo Malthus, è inevitabile che ciclicamente si produca una
sproporzione crescente tra le risorse alimentari e la quantità di
popolazione fino al momento in cui fattori inibitori (carestie, malattie,
guerre, ecc.) non ristabiliscono l’equilibrio.
Una legge crudele? Il dibattito all’epoca (e anche successivamente) fu
molto acceso. Secondo l’autore se guardata da un “superiore punto di
vista” questa legge era benefica: le minacce legate all’eccesso di
popolazione inducono a maggiore prudenza e temperanza (soprattutto
sessuale); ma se il moral restraint è inefficace, allora intervengono
“vizio e miseria”.
Sul ruolo giocato dalla posizione di Malthus nella proposta darwiniana
dell’evoluzione per selezione naturale si sono divisi storici sociali (che
lo sostengono cruciale) e storici della biologia (più marginale).
Certo è che Darwin trova in Malthus conferma della forza della
pressione demografica: il rapporto predatore/preda individua solo un
aspetto della lotta per l’esistenza, a esso si associa una spietata
concorrenza fra i membri della stessa specie per la soddisfazione dei
bisogni essenziali.
La teoria di Darwin - come si legge in Mayr (pp. 425 e ss.) - si imperniava su
tre inferenze basate su cinque fatti che a loro volta derivavano in parte
dall’ecologia di popolazione, in parte dai fenomeni dell’eredità.
Fatto 1. Tutte le specie hanno una fertilità potenziale così elevata che
le dimensioni delle loro popolazioni dovrebbero crescere
esponenzialmente se tutti gli individui nati si riproducessero a loro
volta con successo.
Fatto 2. Escluse le fluttuazioni annuali di minore entità e le fluttuazioni
occasionali più rilevanti, le popolazioni mostrano normalmente
stabilità.
Fatto 3. Le risorse naturali sono limitate. In un ambiente stabile esse
rimangono relativamente costanti.
Inferenza 1. Siccome gli individui prodotti sono più numerosi di quanto
le risorse possano sostentare, ma la popolazione rimane
numericamente stabile, se ne deduce che deve esistere una feroce
lotta per la sopravvivenza tra individui di una popolazione, il cui esito è
la sopravvivenza solo di una parte, spesso esigua, della progenie di
ciascuna generazione.
Coordinando questi fatti legati all’ecologia di popolazione con i fatti
dell’eredità (diremmo oggi genetici):
Fatto 4. non esistono due individui che siano esattamente uguali; al
contrario ogni popolazione mostra un’enorme variabilità;
Fatto 5. gran parte di questa variazione è ereditabile;
si ottengono altre due importanti inferenze:
Inferenza 2. La sopravvivenza nella lotta per l’esistenza non è
casuale, ma dipende in parte dalla costituzione ereditaria degli
individui che sopravvivono. Questa ineguale sopravvivenza
costituisce il processo di selezione naturale.
Inferenza 3. Nel corso delle generazioni questo processo di
selezione naturale condurrà a un continuo cambiamento graduale
delle popolazioni, cioè all’evoluzione e alla produzione di specie
nuove.
I principali elementi della teoria della selezione naturale sono quindi:
! La fertilità.
! La lotta per l’esistenza e l’equilibrio della natura.
! Pur confessando la sua ignoranza sulle cause della variazione,
Darwin distingue nettamente il problema dell’origine della variazione
da quello dell’origine delle specie: considerando la variabilità come
dato di fatto e le variazioni come casuali (cioè non insorgenti al fine
di un adattamento all’ambiente), egli costruisce una teoria
dell’evoluzione ancorata all’eriditarietà dei caratteri prima che si
abbia una teoria dell’eredità.
! Una volta che le variazioni si sono prodotte casualmente vengono
messe alla prova e selezionate. Vale allora un principio (principio di
divergenza dei caratteri): tendono a essere selezionate le varietà
che più divergono dal tipo parentale perché sono in grado di
occupare i posti più diversi, nuovi e meno sfruttati dell’economia
naturale.
La comprensione dell’unicità di ogni individuo fu forse il
cambiamento più rivoluzionario avvenuto nel modo di
pensare di Darwin; questo gli permise il passaggio dal
modo di pensare tipologico a quello popolazionale.
La lotta per l’esistenza dovuta alla competizione era un
fenomeno che riguardava gli individui e non le specie.
Il modo di pensare popolazionale di Darwin costituisce,
come scrive Mayr (p. 434), una delle più importanti rivoluzioni
della biologia.
È questa una nozione specificamente biologica, la cui
adozione è intimamente connessa al rifiuto
dell’essenzialismo, cioè al rifiuto del fatto che la variazione
sia irrilevante e priva di interesse, e per questo estranea al
modo di pensare e operare del fisico e del chimico.
Questi caratteri generali della teoria darwiniana si
affinano e articolano nelle opere zoologiche e botaniche
successive all’Origin:
– The variation of animals and plants under
domestication (1868) [dove presenta la sua teoria della
“pangenesi”]
– On the various contrivances by which … orchids are
fertilized by insect … (1862)
– The effects of cross and self fertilisation in the
vegetable kingdom (1876)
– The different forms of flower on plants of the same
species (1877, raccolta di articoli )
L’evoluzione dell’uomo
Le due opere che Darwin dedica all’uomo sono: The
descent of man, and selection in relation to sex (1871)
e The expression of the emotions in man and animals
(1872).
Come si è già avuto modo di notare, Darwin non
accenna all’uomo nell’Origin anche se i suoi interessi
sull’uomo erano iniziati contemporaneamente alla
questione delle specie. Si era limitato a scrivere nella
conclusione:
“un giorno si farà luce sull’origine dell’uomo e sulla sua
storia”.
The descent of man [L’origine dell’uomo] è divisa in
due parti:
– la prima tratta dell’origine dell’uomo da forme
inferiori
– la seconda tratta della selezione sessuale: le
differenze tra razze umane sono dovute
all’accentuazione, già in epoche remote, dei
diversi standard estetici delle varie tribù
[cit. Cavalli-Sforza, pp. ix-xii, xiv e ss., xxii]
L’espressione delle emozioni
L’opera del 1872 è una ricerca su problemi al confine tra
neurofisiologia, psicologia e analisi filogenetica: un tentativo di
spiegare l’origine di determinati comportamenti e la correlazione
tra evoluzione per selezione naturale, processi neuromuscolari
e fenomeni fisiologici, sottolineando una stretta corrispondenza
fra comportamento umano e animale.
“Lo studio della teoria dell’espressione - scrive Darwin alla fine
dell’opera - conferma, entro certi limiti, la conclusione che
l’uomo è derivato da una qualche forma animale inferiore e
rafforza il punto di vista dell’unità specifica o subspecifica delle
diverse razze umane; d’altra parte, per quanto possa valere la
mia opinione, ritengo non ci fosse bisogno di questa conferma”.
Non solo unico progenitore per tutte le razze umane (questo
potrebbe essere l’Adamo dei creazionisti), ma anche una
comunanza tra espressioni dell’uomo e degli animali (tesi
anticreazionista).
Impatto della rivoluzione darwiniana:
• dal mondo statico si passa a quello in evoluzione
(già prima di Darwin, ma da Darwin articolato in
forma compiuta), un passaggio che ha vasto
impatto sullo sviluppo della scienza in generale
• inaccettabilità del creazionismo
• confutazione della teleologia cosmica
• eliminazione di qualsiasi giustificazione
all’antropocentrismo assoluto attraverso
l’applicazione del principio di discendenza
comune
• la spiegazione del “progetto” presente nel
mondo attraverso il processo
esclusivamente materialistico della
selezione naturale, un processo consistente
nell’interazione tra la variazione non
direzionale e il successo riproduttivo
opportunistico che era completamente
estraneo al dogma cristiano
• la sostituzione dell’essenzialismo con
l’approccio popolazionale che è diventato
uno dei connotati della biologia moderna
Nuove e importanti idee e questioni aperte
! Una serie di dubbi (cit. Rossi, p. 221-222)
! la teoria darwiniana fu accusata di non essere una vera
teoria scientifica
! il problema della selezione naturale (cit. Du BoisReymond in Rossi p. 223)
Il paradosso nelle teorie evoluzionistiche postdarwiniane (come scrive La Vergata in Rossi, p. 237) è che
l’idea di evoluzione si afferma perché Darwin ne propone
un meccanismo accettabile, cioè la selezione naturale,
ma questo meccanismo non ha la stessa fortuna
dell’idea di evoluzione.
I succesivi sviluppi della teoria dell’ereditarietà
1.
La teoria cellulare (introdotta da Schleiden e Schwann,
tra il 1837 e il 1839).
•
Il protoplasma, non come “prima cosa creata”, ma
come elemento comune alle cellule animali e
vegetali (Purkyn!, fisiologo cèco, 1839).
•
Il nucleo cellulare (Purkyn!,1830, Brown, 1833,
Henle, 1837): alla fine degli anni ‘40 la struttura
cellulare è ormai definita.
•
Divisione cellulare, divisione nucleare, cromosomi:
tra gli anni ‘40 e gli anni ‘80. I fondamentali
contributi di Walther Flemming (cromatina e
cromosomi): le basi cellulari della sessualità e la
centralità dei cromosomi nella trasmissione dei
caratteri ereditari.
2. Alle origini della teoria genetica
•
L’ipotesi “provvisoria” della pangenesi di Darwin (cap. XXVII di
The variation of animals and plants under domestication,1868):
1. i caratteri di un organismo sono rappresentati nelle cellule
germinali da un gran numero di piccole particelle invisibili
(gemmule), tra loro diverse, che si moltiplicano per divisione e
vengono trasmesse durante la divisione cellulare; 2. un
organismo è composto da cellule, le cui caratteristiche sono
determinate dalle gemmule che si trovano in esse.
•
Francis Galton (cugino di Darwin) nel 1875 propone una teoria
dell’eredità basata sulle idee di Darwin e aggiunge l’idea che le
unità eriditarie non si fondono.
•
Johann (Gregor) Mendel (1866): matematica, statistica e
biologia. Il suo lavoro viene ignorato per circa 35 anni. Nel
1900 viene riscoperto ed esteso. Le ragioni di questa mancata
diffusione sono essenzialmente legate allo stato della biologia
a metà Ottocento, la svolta novecentesca porterà a una rapida
e diffusa rivalutazione del lavoro mendeliano.
Il dibattito attuale alla Tavola Alta dell’evoluzione
[da Niels Eldredge, Ripensare Darwin, Einaudi 1999]
• Il neodarwinismo: Fisher, Haldane e Sewall Wright (pp.
20-21)
• Ultradarwinisti versus Naturalisti (pp. 7-12)
• Chi sono i protagonisti del dibattito? (pp. 13-14)
• Il richiamo al pluralismo nella spiegazione evolutiva da
parte di Gould e Lewontin (pp. 44 e ss.)
• Il grande dibattito sulla stasi (pp. 66 e ss.)
Note bibliografiche
• Paolo Rossi (a cura di), Storia della Scienza, vol.
“Dall’età romatica alla società industriale”, UTET (o
TEA), Torino (Milano).
• Ernst Mayr, Storia del pensiero biologico, Bollati
Boringhieri, Torino 1990.
• Giulio Barsanti, Una lunga pazienza cieca, Einaudi,
Torino 2005.
• Julian Huxley e Alfred Haddon, Noi Europei,
Edizioni Comunità, Torino 2002.
• Niles Eldredge, Ripensare Darwin, Einaudi, Torino
1999.
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