i corpi minori del sistema solare

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Dispensa n. 6 del corso di
PLANETOLOGIA
(Prof. V. Orofino)
I CORPI MINORI DEL SISTEMA SOLARE:
POLVERE INTERPLANETARIA, METEOROIDI E
SATELLITI
Università del Salento
Corso di Laurea Magistrale in Fisica
A.A. 2011-2012
Ultimo aggiornamento: Agosto 2011
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1. Classificazione dei corpi minori
Come dice il nome stesso, i corpi minori del Sistema Solare sono corpi dalle
dimensioni piccole rispetto a quelle planetarie. Essi si suddividono, in ordine
crescente di dimensioni1, in particelle di polvere interplanetaria, meteoroidi, comete,
asteroidi e satelliti dei pianeti.
In questa dispensa, parleremo appunto di questi oggetti fornendo le nozioni di
base su di essi.
2. Polvere interplanetaria
La polvere interplanetaria è costituita da particelle, note con l’acronimo di
IDPs (Interplanetary Dust Particles), di dimensioni inferiori al millimetro, con una
grossa percentuale intorno ai 100 m. Essa è una componente decisamente
minoritaria del nostro Sistema Solare, avendo una massa totale di solo 2.5 1019 g
(Whipple, 1967), circa 3 milioni di volte minore di quella della Luna. Ciò nonostante
essa è importante per la spiegazione di alcuni fenomeni fisici come ad esempio la luce
zodiacale. Tale fenomeno è prodotto, infatti, dalla diffusione della luce solare nel
visibile da parte di grani con dimensioni di circa 100 m posti principalmente sul
piano dell’eclittica. In effetti la distribuzione spaziale della polvere interplanetaria ha
un massimo molto accentuato in prossimità dell’eclittica. La polvere interplanetaria è
anche presente negli anelli circumplanetari ed è responsabile delle micrometeoriti che
penetrano con continuità nella nostra atmosfera.
Per quanto riguarda la composizione, si può dire che nelle IDPs raccolte
nell’atmosfera terrestre predominano i silicati cristallini (in particolare olivine e
pirosseni) e vari materiali carbonacei amorfi (Sandford e Walker, 1985; Sandford,
1989). Tuttavia abbastanza diffusi devono essere anche ossidi di ferro o alluminio
(Sandford e Walker, 1985), come pure materiali ghiacciati e metallici (Mukai, 1989).
Quanto alla struttura, sono state raccolte sia IDPs compatte (con densità > 2-3
g cm 3) che porose (
1 g cm 3). Queste ultime sono aggregati di particelle più
piccole probabilmente cementate tra loro da ghiacci che, sublimando all’ingresso
nell’atmosfera, hanno dato luogo ai pori osservati appunto in questi grani.
In passato si pensava che la polvere interplanetaria rappresentasse il residuo
del materiale particolato presente nella nebulosa presolare dalla quale hanno avuto
origine il Sole e tutti i pianeti. Si è poi capito che le particelle di polvere
interplanetaria sono soggette a diversi processi che rimuovono tali grani dal Sistema
Solare, sia espellendoli verso l’esterno, che inviandoli verso il Sole, nelle cui
( 1 ): Nel senso che i più grandi oggetti di una classe hanno dimensioni sicuramente minori dei
maggiori corpi della classe successiva.
2
vicinanze sublimano. Questi processi di rimozione sono dovuti alla pressione di
radiazione e del vento solare, alle collisioni tra grani e all’effetto Pointing-Robertson,
ed hanno tempi-scala molto minori dell’età del Sistema Solare. Pertanto, se le
particelle di polvere interplanetaria fossero state prodotte all’atto della formazione del
Sistema Solare, sarebbero già state rimosse da lungo tempo. Il fatto che le osserviamo
ancor oggi significa che esse vengono continuamente prodotte sia per effetto delle
collisioni tra meteoroidi, asteroidi e comete, sia quando le comete entrano nelle parti
interne del Sistema Solare, rilasciando per sublimazione dei ghiacci cospicue quantità
di polvere.
3. Meteoroidi, meteoriti e meteore
I meteoroidi sono dei pezzi di roccia che popolano lo spazio interplanetario.
Essi hanno dimensioni intermedie tra quelle della polvere interplanetaria e quelle
degli asteroidi. La linea di demarcazione con questi ultimi corpi, che hanno la stessa
natura, è tutt’altro che netta e definita. Tuttavia il termine meteoroide è in genere
usato per indicare corpi con dimensione inferiore a 10 100 m.
Molti meteoroidi devono la loro origine a collisioni tra corpi maggiori (ossia
tra asteroidi ed asteroidi, comete e comete, asteroidi e comete, asteroidi e pianeti e
anche tra comete e pianeti). Altri, soprattutto i più piccoli, vengono rilasciati dalle
comete. Non si può nemmeno escludere che alcuni meteoroidi siano i residui (mai
inglobati in corpi maggiori) della formazione del Sistema Solare. In effetti, al
contrario della polvere interplanetaria, le loro dimensioni sono sufficientemente
grandi da non risentire dei processi distruttivi sopra menzionati. Pertanto tali
meteoroidi possono essersi formati all’epoca in cui ha avuto origine il Sistema Solare
ed essere sopravvisuti fino ad i nostri giorni.
In molti testi i meteoroidi vengono erroneamente suddivisi in meteore, ossia
tutti quei corpi che penetrano nell’atmosfera terrestre, e meteoriti, cioè tutti quei
meteoroidi che riescono a raggiungere la superficie terrestre. Tale classificazione
appare però in contraddizione con la definizione di micrometeorite, con cui si indica
un piccolo meteoroide che spesso non riesce a giungere al suolo. Più correttamente il
termine meteorite indica qualunque meteoroide che entri nell’atmosfera terrestre,
indipendentemente che arrivi o meno al suolo. La meteora, anche detta nel linguaggio
comune stella cadente, è invece il fenomeno luminoso (e talvolta acustico) dovuto al
passaggio di un meteorite nell’atmosfera terrestre. Si definiscono poi bolidi quelle
meteore particolarmente brillanti con magnitudine visuale inferiore a
4. Una
meteora è quindi una traccia luminosa che può percorrere anche varie decine di gradi
in cielo per poi sparire in un tempo generalmente dell’ordine dei secondi, oppure un
fenomeno analogamente osservabile con apparecchiature radar. La traccia lasciata da
3
una meteora è usualmente di colore bianco o blu, ma anche il rosso ed il giallo sono
colori spesso osservati. Il colore è probabilmente indicativo della composizione degli
strati esterni dell’oggetto. Ad esempio, le rare scie tendenti al verde sono
probabilmente dovute alla presenza di rame.
Le osservazioni mostrano che normalmente le meteore divengono visibili ad
una quota compresa tra 60 e 120 km, e scompaiono qualche decina di chilometri più
in basso, percorrendo la traiettoria a velocità comprese tra circa 12 e 72 km s-1. Il
fatto che non sono mai state osservate meteoriti con velocità distintamente superiori a
72 km s-1 (velocità di fuga dal Sole), indica che si tratta di corpi membri del Sistema
Solare.
Le meteore presentano in cielo un fenomeno così spettacolare che spesso si
tende a sopravvalutare la massa e le dimensioni dei corpi che producono quel
fenomeno. In effetti studi recenti riportano per la massa della meteorite associata ad
una meteora di magnitudine visuale 0 valori compresi tra 0.06 e 25 g (a seconda della
composizione e della distanza) e ciò si traduce in una dimensione compresa tra 0.3 e
5 cm. I bolidi sono prodotti invece da meteoriti di massa maggiore ai 100 grammi;
non di rado la luminosità può superare quella della luna piena e la scia può persistere
anche per alcuni minuti. Si stima che in qualche caso eccezionale le meteoriti
raggiungano la tonnellata; in tali casi la luce prodotta è intensa come quella del Sole,
illuminando a giorno il luogo di caduta.
D’altro canto le meteore più deboli visibili ad occhio nudo corrispondono ad
oggetti della massa di circa un millesimo di grammo. Tali meteoriti più piccole sono
chiamate micrometeoriti, nome con cui si indicano anche le IDPs che entrano
nell’atmosfera (v. fig. 1). Nella maggior parte dei casi esse non danno luogo ad alcuna
meteora. La massa totale del materiale meteoritico che ogni giorno colpisce la Terra è
enorme, essendo compresa tra 106 e 107 kg, ed è quasi totalmente dovuta a
micrometeoriti invisibili o rilevabili solo con osservazioni radar.
La luminosità di una meteora non è dovuta al fatto che la meteorite diventa
incandescente a causa del calore generato dall’attrito con l’atmosfera. In effetti
l’energia cinetica della meteorite è impiegata soprattutto per ionizzare gli atomi che si
creano per la vaporizzazione degli strati esterni del corpo (ablazione). La luminosità
osservata è dovuta soprattutto alla fotoricombinazione di tali atomi. Negli spettri delle
meteore compaiono infatti le righe dei metalli; ad esempio sono molto intense le righe
H e K del calcio ionizzato e quelle del ferro. Davanti alle meteoriti si trova anche
un’onda d’urto, responsabile dei fenomeni acustici, simili a boati, che talvolta
accompagnano l’emissione luminosa (soprattutto nel caso dei meteoriti più grandi).
Occasionalmente si possono osservare delle scie che rimangono visibili anche per
un’ora, dovute forse a processi di ricombinazione più lunghi.
4
Fig. 1 Le micrometeoriti vengono raccolte tramite appositi dispositivi portati da aerei in alta quota.
L’esempio in (a) è un aggregato irregolare delle dimensioni di pochi centesimi di millimetro. La
particella sferica in (b), rinvenuta in sedimenti oceanici, risulta dalla fusione almeno parziale, durante il
passaggio in atmosfera, di un grano di polvere irregolare, che ha dato luogo ad una goccia di materiale
solidificatosi in seguito (da Cellino et al., 2000).
Le meteore possono essere osservate sia come eventi sporadici che in sciami.
Questi ultimi sono dovuti a meteoroidi rilasciati da certe comete e disseminati lungo
le loro orbite. Tra questi sciami è famosissimo quello delle Perseidi che si verifica
ogni anno in prossimità del 10 agosto (la notte di San Lorenzo), quando la Terra
interseca l’orbita della cometa Swift-Tuttle (in realtà la massima frequenza di meteore
si ha il 12 agosto). Particolarmente interessante è anche lo sciame delle Leonidi,
dovuto a meteoroidi prodotti dalla cometa Tempel. La Terra interseca la sua orbita
una volta all’anno, intorno al 16 di novembre, ma a causa della distribuzione
fortemente non uniforme dei meteoroidi, solo in alcuni anni particolari si ha
un’attività molto intensa. Quando la cometa Tempel (che possiede un periodo orbitale
di 33 anni) è da poco passata nelle regioni interne del Sistema Solare, si possono
avere le manifestazioni più intense delle Leonidi. Si parla in questo caso di vere e
proprie piogge di stelle cadenti, con l’avvistamento continuo di meteore in tutto il
cielo (fino a varie decine di migliaia di meteore all’ora!). Questo fenomeno,
assolutamente eccezionale, ha una durata tipica di poche ore.
Sebbene gli strati esterni della meteorite vengano riscaldati dall’attrito con
l’atmosfera fino a temperature molto elevate, la limitata conducibilità termica della
maggior parte delle meteoriti unita al brevissimo tempo di riscaldamento fanno sì che
generalmente solo uno strato esterno di circa un millimetro di spessore viene fuso.
Sebbene tale spessore possa aumentare in qualche caso di circa dieci volte, si può
comunque concludere che una grossa frazione del volume delle meteoriti che riescono
a giungere al suolo rimane praticamente inalterata.
Esattamente come le IDPs, non poche meteoriti sono sicuramente porose,
composte, cioè, da particelle più piccole tra cui esistono molti spazi vuoti. Lo si
5
deduce dalle basse velocità di alcuni di questi oggetti, che indicano un’elevata
resistenza aerodinamica e quindi una bassa densità. Al contrario tutte le meteoriti che
raggiungono il suolo hanno invece una struttura compatta.
Se una meteorite ha una massa inferiore a 104 kg (d < 1.5 2.0 m), essa arriva
al suolo con una velocità compresa tra 0.1 e 0.3 km s-1 e l’impatto non dà in genere
origine ad alcun cratere. Al contrario meteoriti di dimensioni maggiori producono
crateri meteorici del tipo di quelli osservati sulla Luna e su altri corpi del Sistema
Solare (Jessberger, 1981).
Una determinazione precisa dell’orbita seguita dal meteoroide prima di
impattare contro il nostro pianeta sarebbe preziosissima per comprenderne l’origine.
Sfortunatamente questo problema presenta delle difficoltà quasi insormontabili. Per
questo motivo, le orbite calcolate sono veramente molto poche. La prima meteorite
ritrovata, di cui fosse stata fotografata la traccia, è quella di Pribram (Repubblica
Ceca) nel 1959. Tutti i dati concordano nell’indicare che le orbite di questi oggetti
sono prograde (ovvero essi si muovono nella stessa direzione dei pianeti maggiori), a
bassa inclinazione ed eccentricità, simili a quelle seguite da un certo tipo di asteroidi
chiamati NEA. Quest’argomento sarà ripreso nel par. 4.3
Sulla base della loro composizione mineralogica le meteoriti vengono
catalogate in tre classi: meteoriti pietrose (aeroliti), ferrose (sideriti) e ferro-pietrose
(sideroliti). Il 94% è costituito da meteoriti pietrose, composte in gran parte da silicati,
il 5% da sideriti, costituite quasi interamente da ferro e nichel, e solo l’1% da
sideroliti, dove silicati e metalli hanno abbondanze confrontabili. Le meteoriti
pietrose, a loro volta, possono essere suddivise in condriti e acondriti. Le prime, di
gran lunga dominanti (essendo pari all’86% di tutte le aeroliti) non hanno subito, nel
corso della loro vita, processi evidenti di alterazione, tuttavia a causa di qualche
evento non ben compreso si è avuta al loro interno la formazione di condrule, ovvero
di piccole concrezioni cristalline o vetrose formate principalmente da silicati, di forma
tondeggiante e di dimensione compresa tra 0.01 e 0.5 cm circa (v. fig. 2). Al
contrario, le acondriti (che costituiscono il 14% di tutte le aeroliti) hanno subito una
più o meno profonda alterazione. Esse sono distinte e classificate a seconda del
contenuto di calcio. Tra le condriti sicuramente interessanti sono quelle chiamate
condriti carbonacee (v. fig. 3) che costituiscono il 6% delle aeroliti e la cui
formazione dovrebbe risalire alla nascita del Sistema Solare, come suggerito
dall’elevata abbondanza di composti volatili.
Sebbene le meteoriti pietrose costituiscano la stragrande maggioranza di tutto
il materiale meteoritico caduto sulla Terra, le aeroliti sono tra le meteoriti quelle più
difficili da trovare. Se non vengono recuperate immediatamente dopo la loro caduta,
allora bastano pochi anni di esposizione agli agenti atmosferici per far sì che esse
6
divengano indistinguibili dalle comuni rocce terrestri2. Le ricerche più fruttuose sono
avvenute in Antartide, dove i ghiacci perenni possono conservare meteoriti ed isolarli
in un ambiente totalmente privo, in certe zone, di rocce di origine terrestre. Le
campagne di ricerca in Antartide sono quindi sempre fruttuose e di grande utilità.
Fig. 2 Dettaglio di una sezione sottile della meteorite Tieschitz che mostra chiaramente le condrule
(dal sito web http://rst.gsfc.nasa.gov/Sect20/A11.html).
Fig. 3 Immagine della meteorite Allende caduta in Messico nel 1969. Questa condrite carbonacea,
oltre alle condrule, contiene anche delle inclusioni ricche di calcio e alluminio (CAI). Al contrario delle
condrule, che hanno forma rotonda e sono principalmente composte da silicati, le inclusioni CAI sono
di forma irregolare, hanno un colore bianco-grigiastro e sono costituite da minerali refrattari. Il
campione nella foto misura 11 cm da sinistra a destra (dal sito web http://meteorites.asu.edu/met-info).
(2): Al contrario le sideriti sono molto più facili da individuare, non solo per la loro morfologia
molto diversa dalle pietre terrestri, ma anche per la possibilità di localizzarle tramite un metal
detector.
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Il nichel è un elemento importante per stabilire la natura extraterrestre di un
oggetto che si sospetta possa essere una meteorite. La sua presenza è infatti una
condizione necessaria, anche se non sufficiente, per affermare che ci si trova davanti
una meteorite.
4. Satelliti
Questi membri del Sistema Solare sono quelli per i quali la dizione di corpi
minori è talvolta del tutto inadeguata. Ciò in quanto Ganimede e Callisto (i due
maggiori satelliti di Giove), Titano (il più grande satellite di Saturno) e Tritone (il
maggiore dei satelliti di Nettuno) hanno diametri maggiori di quello di Mercurio ed
hanno una gravità sufficiente per trattenere un’atmosfera. Pur avendo, quindi,
caratteristiche planetarie essi vengono definiti “corpi minori” unicamente perché non
orbitano intorno al Sole.
In base alle caratteristiche dinamiche i satelliti si suddividono in due classi. I
cosiddetti satelliti regolari si muovono su orbite quasi circolari giacenti su un piano
che praticamente coincide con il piano equatoriale del pianeta. Essi hanno moto
progrado, ossia ruotano intorno al pianeta nello stesso senso con cui quest’ultimo
ruota intorno al Sole. I satelliti irregolari hanno orbite che non godono di almeno una
di queste caratteristiche. Non di rado tali satelliti hanno orbite fortemente eccentriche
ed inclinate sul piano equatoriale e si muovono di moto retrogrado, ossia in verso
opposto a quello di rivoluzione del pianeta intorno al Sole.
In genere i satelliti regolari sono i più interni; una notevole eccezione è
costituita da Tritone che pur essendo molto vicino al suo pianeta ha un’orbita
retrograda fortemente inclinata. Un’altra caratteristica generale è che i satelliti di
dimensioni maggiori sono di solito regolari. Fa di nuovo eccezione Tritone, che pur
essendo il più grande dei satelliti di Nettuno è irregolare. Tali caratteristiche generali
portano a ritenere che i satelliti regolari si siano formati nel posto dove ora li vediamo
(ossia sono stati da sempre satelliti del loro pianeta), mentre quelli irregolari siano
corpi catturati successivamente (ossia sono diventati satelliti solo dopo la loro
formazione, avvenuta altrove).
I satelliti possono essere trovati solo entro un certo intervallo di distanze dai
loro pianeti. Il limite interno è determinato dall’effetto disgregatore delle forze
mareali. In effetti, come abbiamo già visto, non esistono satelliti di dimensioni
maggiori di qualche centinaio di chilometri in orbita entro il raggio di Roche,
semplicemente perché verrebbero distrutti dalle forze di marea. Il limite esterno è
determinato, invece, da una sorta di bilancio tra la forza di attrazione dovuta al Sole e
quella dovuta al pianeta. Tale limite esterno rL è dato dalla relazione empirica
(Catalano, 1980):
8
log (
rL
)
r
0.318 log (
mP
mP
M
) 0.327
dove r è la distanza del pianeta (primario) dal Sole, mentre mP ed M rappresentano
rispettivamente la massa del pianeta e del Sole.
Per distanze dal pianeta superiori a rL l’attrazione solare domina, sicché un
corpo a quella distanza è completamente slegato dal pianeta ed orbita soltanto intorno
al Sole. Per distanze minori di rL è l’attrazione del pianeta a dominare ed il corpo
risulta saldamente legato al pianeta.
Tutti i satelliti noti si trovano ad una distanza dal loro pianeta che non supera
0.6 rL; in particolare i satelliti regolari si trovano tutti entro 0.5 rL dal primario
(Catalano, 1980).
Il problema dei tre corpi permette di valutare teoricamente la distanza entro la
quale l’attrazione dovuta al pianeta prevale su quella solare. In effetti, essendo per tutti
i pianeti del Sistema Solare mP << M, i primi due punti di Lagrange L1 ed L2 del
sistema Pianeta-Sole-Corpo secondario si trovano alla stessa distanza dal primario.
Siccome inoltre L1 ed L2 rappresentano punti di equilibrio, sia pure instabile, per il
sistema, allora è lecito assumere che, per distanze dal primario minori di quella (rH)
che separa quest’ultimo da L1 ed L2, la gravità del pianeta domini su quella del Sole,
mentre per distanze maggiori di rH è l’attrazione solare a dominare. Ad rH viene dato
il nome di raggio di Hill, mentre la regione sferica, di raggio pari al raggio di Hill,
centrata intorno al pianeta viene chiamata detta sfera di Hill o anche sfera di influenza.
Il problema dei tre corpi dà al raggio di Hill il valore:
rH
mp
1/ 3
3M
r
0.69
mp
M
0.33
r .
Siccome dalla definizione di raggio limite data precedentemente risulta:
rL
0.318
mp
mp
M
10
0.327
r
0.48
0.32
mp
r,
M
si vede che le due definizioni danno tutto sommato risultati numerici abbastanza
simili tra loro.
E’ interessante osservare che nei sistemi Terra-Luna e soprattutto PlutoneCaronte il rapporto tra la massa del satellite e quella del pianeta assume valori di gran
lunga più grandi rispetto a quelli che si hanno per tutti gli altri sistemi Pianeta-Satellite
che orbitano intorno al Sole, tanto che in questi due casi si potrebbe parlare di pianeti
9
doppi. Ciò farebbe pensare a meccanismi di formazione (collisioni distruttive?) del
tutto simili per questi due sistemi e sostanzialmente diversi da quelli che hanno portato
alla formazione degli altri sistemi di satelliti.
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Per la bibliografia di tutti gli altri articoli citati in questa dispensa si veda inoltre:
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Università di Lecce.
11
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