LAURA MATELDA PUPPINI O GORIZIA TU SEI MALEDETTA1 … NOTERELLE SU COSA COMPORTO’ PER LA POPOLAZIONE DELLA CARNIA, LA PRIMA GUERRA MONDIALE, DETTA “LA GRANDE GUERRA.” Quel Nazionalismo che invase l’Europa … Correva il XVIII ° secolo quando si consolidarono , in Europa, il concetto di nazione e di stato nazionale, derivati dall’ unificazione di popoli diversi sotto le monarchie assolute. Prima del 1800, però, il concetto di nazione implicava unicamente la presenza di una “realtà collettiva” e solo in un secondo momento si svilupparono i concetti di identità ed appartenenza alla nazione stessa. Scrive G. Mosse che un rinnovato senso di “comunità” sorse dalla condivisione di rigide regole morali imposte dalla religione, e che dallo stesso si giunse, poi, al concetto di “nazione” e di “ appartenente ad una nazione” come di persona con caratteristiche definite ed ereditarie.2 Nel 1800 il concetto di nazione diventò globale ed inclusivo, e la nazione coincise con un popolo, ed inizialmente con la borghesia, gruppo sociale composto da persone aventi gli stessi diritti e doveri, superando la dicotomia fra feudatari e plebe. Sempre più si cercarono, in ambito storico, linguistico, culturale, elementi distintivi per gli abitanti di ogni nazione portando, in tal modo, a sviluppare il concetto di nazionalità. Il “noi” si sostituì all’io, noi che si fondava sulle caratteristiche evidenziate come comuni agli abitanti di una nazione, definita anche geograficamente come corrispondente ad un territorio con confini precisi, e basata su di un unico assetto politico – amministrativo, cioè su un unico Stato. E con la nazione – stato si venne a consolidare, pure, la discriminazione nelle sue varianti, fino al razzismo. Un forte concetto di comunità nazionale presuppone una struttura mentale che considera "l'altro " o un “gruppo omogeneo di altri” diversi da "noi" in modi che possono essere stabili ed insormontabili. Questo senso di differenza fornisce una base, una motivazione per trattare coloro che vengono considerati diversi in modi che si potrebbero definire"crudeli ed ingiusti ", se applicati a membri del nostro gruppo di appartenenza.3 Da ciò al razzismo il passo fu breve. Nell’Europa di fine ‘800 l’insistenza su caratteri nazionali portò ad avversare coloro che non possedevano tali caratteri, generando odio, intolleranza, disprezzo verso popoli che vennero definiti, sempre arbitrariamente, inferiori, che si dovevano sottomettere e portare alla “civiltà”, giustificando il colonialismo e l’imperialismo. E il concetto di nazione forte presuppose anche un ampliamento dei territori assoggettati. Inoltre si iniziò a vivere alcune comunità, che si trovavano all’interno della nazione, come pericoli per la stessa. Così nel 1800 riprese vigore l’antisemitismo, e gli ebrei vennero accusati, in Francia come in Germania, di voler impadronirsi del mondo intero con un complotto. 4 Una nazione presupponeva un territorio che venne individuato, arbitrariamente, entro confini dettati da un’ ipotetica identità di usi, costumi, lingua, aspetti culturali. E, piano piano anche singole comunità , che avevano comunanza di lingua costumi e territorio si identificarono nel concetto di nazione, dando origine a movimenti nazionalistici autonomistici e per l’indipendenza. La situazione europea all’ inizio della prima guerra mondiale. In Francia, ai primi ‘900 vi era un movimento socialista e sindacale in crescita ma anche un forte movimento nazionalista, violento, autoritario, antisemita, e razzista in espansione, che vedeva non solo negli ebrei un possibile pericolo, ma anche nei tedeschi. A livello coloniale, nello stesso periodo, la Francia aveva occupato, in Africa l’Algeria ed annesso la Tunisia ed il bacino del Niger, ed aveva occupato, in Asia, la Cambogia, il Laos ed il territorio vietnamita. 1 La Gran Bretagna, che vantava, agli inizi ‘900 ancora un primato nei settori dell’industria, commercio e finanza, iniziò a subire una fase di recessione, che la portò a puntare sull’espansione coloniale, alla ricerca di nuovi prodotti, ricchezze, mercati. La Germania, unificata, si affacciava come nuova potenza europea, con un fortissimo esercito ed una flotta seconda solo a quella inglese. L’impero austro- ungarico aveva un governo molto centralizzato, scarsa industrializzazione ed una gran diversità di popolazioni che abitavano nel suo stato: vi erano boemi, moravi, trentini, istriani, galiziani, sloveni, dalmati, ungheresi, croati, serbi, rumeni, italiani, che rivendicavano anche la propria autonomia politica. L’impero ottomano era in disfacimento a causa di gravi problemi interni quali le ribellioni di gruppi alla ricerca di una indipendenza dallo stato centrale e dei giovani turchi. Questa situazione non poteva che scatenare, negli stati europei, le mire verso i territori balcanici. 5 La situazione in Italia... e quelle Venezie che si disse dovevano esser liberate. L’Italia si era unita nel 1861, ma il Veneto, il Friuli e la Carnia entrarono a far parte del Regno d’Italia solo nel 1866. Ed in quell’anno, come confesserà stupito e rammaricato Quintino Sella, alla notizia della pace tra Austria e Italia e della scontata annessione all’Italia, in Friuli «non vi fu la più piccola traccia di manifestazione, come se si fosse trattato di una pace tra la Cina ed il Giappone» . E mai vi furono in Carnia moti antiaustriaci di popolo .6 A due passi dalla prima guerra mondiale, si può dire che l’Italia era una nazione di recente formazione e con molte ambizioni. Nel 1863 il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli aveva coniato i termini Venezia Giulia, Venezia Tridentina e Venezia Euganea, unite nelle “Tre Venezie.” Dopo la creazione del Regno d’Italia, movimenti irredentisti, in particolare a Trento eTrieste, puntarono all’unificazione di tutti i territori, che si trovavano nelle Tre Venezie, sotto l’Italia, ritenendo gli stessi geograficamente, culturalmente e linguisticamente italiani. Ad alimentare l'irredentismo triestino furono soprattutto le classi borghesi in ascesa, le cui potenzialità ed aspirazioni politiche non trovavano pieno soddisfacimento all'interno dell'Impero austro-ungarico. Quest'ultimo veniva visto da molti come un naturale protettore del gruppo etnico slavo che viveva sia in città che nell’entroterra, poi Venezia Giulia, e che, ai primi del Novecento, era in piena ascesa demografica, sociale ed economica. Ciò spiega come l'irredentismo assunse spesso, nella città giuliana, un carattere marcatamente anti-slavo, di cui il maggiore teorizzatore fu Ruggero Timeus7. La convivenza fra i vari gruppi etnici che aveva, per secoli, contraddistinto la realtà sociale di Trieste e di Gorizia, subì pertanto, un generale deterioramento fin dagli anni che precedettero la prima guerra mondiale.8 Anche in Trentino le spinte irredentiste trovarono nei ceti medi e colti dei centri urbani, così come nel mondo studentesco, i propri privilegiati bacini di reclutamento. Lo stesso associazionismo nazionale trentino (dalla Lega Nazionale alla Società degli Alpinisti Trentini) contribuì a tenere alta la tensione irredentista difendendo l’italianità delle valli “dagli attacchi del pangermanismo”. Sul territorio italiano le forze irredentiste trentine si coagularono intorno al Circolo Trentino di Milano, fondato nel 1879 su iniziativa di alcuni trentini esuli impegnati nella realizzazione degli ideali risorgimentali. Ma l’irredentismo trentino non assunse mai i toni accesi e aggressivi di quello giuliano. Come ha scritto Maria Garbari, «la via dell’irredentismo, in questa terra, aveva un tracciato proprio che non escludeva incroci con il nazionalismo, ma non prevedeva nemmeno la confluenza in un unico alveo.» Comunque, quando si dovette decidere per la neutralità o l’interventismo, gli irredentisti trentini si schierarono per l’intervento armato, ritenendo la 2 guerra un’occasione privilegiata per dare concretezza ai disegni di completamento del processo di unificazione nazionale. 9 Ma rimasero estranei all’irredentismo i contadini del trentino, gli operai giuliani, i contadini friulani e gli emigranti carnici presi da ben altri problemi come quello della sopravvivenza. Alle porte della prima guerra mondiale: interventisti e neutralisti. Il 28 giugno 1914 avveniva l’uccisione, a Saraievo, dell’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono d’Austria – Ungheria e di sua moglie Sofia per mano del diciannovenne studente serbo Gavilo Princip membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo politico che mirava all'unificazione di tutti gli "jugoslavi" cioè di tutti gli Slavi del sud. A questo punto l’impero Austro- ungarico dichiarò guerra alla Serbia, dando inizio alla prima guerra mondiale, che però fu causata anche da molti altri problemi, tensioni, rivendicazioni, aspirazioni della borghesia più che degli strati poveri della popolazione. Comunque l’ultimatum dell’ Impero Austro – ungarico alla Serbia fu tale da permettere al governo italiano , allora impegnato nella Triplice Alleanza10, di dichiarare la neutralità dal conflitto. La neutralità italiana aprì un dibattito che coinvolse partiti e organi di stampa che presero posizione rispetto alla scelta governativa. Neutralista fu sempre Giovanni Giolitti che riteneva la guerra una prova durissima e rischiosa per l’Italia. Ma mentre le polemiche infuriavano e le manifestazioni di piazza si succedevano, anche in un clima di violenza come quello creato dall’interventista D’Annunzio a Roma, che chiedeva il linciaggio di Giolitti, il governo Salandra stipulava, nel marzo 1915, il “Patto di Londra” che impegnava l’Italia ad intervenire contro gli imperi centrali in cambio del Trentino, del Sud Tirolo e dell’Istria, esclusa Fiume e la Dalmazia, di eventuali compensi nella Turchia meridionale in caso di spartizione della stessa, e di un equo compenso coloniale nel caso di ulteriori domini coloniali di Gran Bretagna e Francia a spese della perdente Germania. Con il patto di Londra Salandra e Sonnino, allora ministro degli esteri, che lo avevano voluto, fecero precipitare l’Italia in una guerra che avrebbe fatto oltre 600.00011 morti fra i soldati italiani ed altre vittime, aperto la porta al fascismo, e creato mille problemi alla popolazione. E coloro che andarono soldati non a caso cantavano, senza farsi molto udire, «O Gorizia tu sei maledetta, per ogni cuore che sente coscienza, dolorosa ci fu la partenza e per molti ritorno non fu».12 E quel 1914 fu una tragedia per il Friuli e per la Carnia, terra di confine e di emigrazione … E dovettero rientrare gli emigranti senza salario e senza speranza…. Circa un mese dopo l’assassinio di Sarajevo, ebbe dunque inizio la prima guerra mondiale, che vide l’Italia assumere una posizione di neutralità. Il 3 agosto 1914 il Consiglio dei Ministri intimava alla popolazione di rispettare le norme del diritto internazionale per la neutralità; venivano richiamate alle armi le classi 1889 e 1890; veniva stabilito, per quanto riguardava la provincia di Udine, che il territorio di tutti i Comuni compresi nei distretti amministrativi di Ampezzo, Cividale, Codroipo, Gemona, Latisana, Maniago, Moggio, Palmanova, Pordenone, San Daniele, San Pietro al Natisone, Spilimbergo, Tarcento, Tolmezzo ed Udine, fosse soggetto a polizia militare. Gli effetti della conflagrazione europea, poi, non mancarono di farsi sentire in Friuli e, fin dai primi giorni di quel mese di agosto, incominciò il rimpatrio degli emigranti dagli stati in guerra, che, con il loro forzato ritorno, effettuato in tristissime condizioni, mostravano lo spettro della miseria. Lo scoppio della prima guerra mondiale «interrompeva bruscamente tutte le feconde iniziative innovatrici della classe operaia. Nell’agosto dello stesso anno tutti gli emigranti italiani nei Paesi Europei furono scacciati e furono costretti a rientrare nella loro Patria. La marea fluttuante dei diseredati ripercorreva a ritroso la triste Pontebbana a dividere le miserie dei loro cari. »13 Il rovesciarsi della massa di mancati emigranti nel Friuli non fece che aumentare le difficoltà che si erano già fatte sentire per l’interruzione dei traffici con l’Austria. 3 «Migliaia e migliaia di lavoratori delle fornaci, delle miniere, delle tessiture, della edilizia affluirono in pochi giorni dai vari centri della Monarchia austro – ungarica a Pontebba, congestionando le ferrovie, intasando le strade e portando nel paese, e giù giù in tutta la vallata, penoso spettacolo del loro esodo. Né si poteva farli proseguire sulle ferrovie italiane perché gli emigranti che la tempesta ributtava ributtava in Patria, erano privi di denaro e con sé avevano solamente lo scarno bagaglio, né le autorità, prese alla sprovvista, avevano disposto per un rapido smistamento degli stessi. La maggior parte di questi infelici, i primi a provare le conseguenze della guerra, erano rimpatriati senza avere neppure percepito il salario, che per consuetudine, eccettuato quello in viveri, veniva loro pagato al termine della stagione migratoria. Molti di essi erano stati licenziati con appena pochi denari necessari al viaggio in territorio austriaco, adducendo i datori di lavoro l’impossibilità di pagare a causa della moratoria delle Banche.»14 Lungo il tragitto che li riportava a casa, i mancati emigranti trovarono però persone che li soccorsero ed aiutarono, pensando che si trattasse di rimpatriati che erano stati richiamati alle armi per la prossima entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Austria, a cui era legata dalla Triplice Alleanza. Ma non fu così. Il 5 agosto 1914 a Pontebba si trovavano ormai concentrati ben 4000 emigranti ed altrettanti alla stazione di confine di San Giorgio di Nogaro. Nei giorni successivi il numero andò ancora aumentando in modo impressionante mettendo in imbarazzo le autorità italiane, non preparate a quell’esodo. « Agli ultimi di agosto su 80.000 persone all’incirca, che ogni anno dalla Provincia di Udine si recavano, da aprile a novembre, a lavorare in Austria – Ungheria, in Germania, in Svizzera, in Francia e nei paesi balcanici, circa 53.000 avevano già fatto ritorno.»15 Era impensabile aiutare tutti con una sola elargizione ad ognuno di una somma di denaro e i Deputati friulani, riunitisi il 12 agosto presso il palazzo della Provincia, decisero di dare corso ad importanti ed urgenti lavori, per i quali le pratiche erano ormai chiuse, oltre che di inviare un dettagliato memoriale sulla situazione venutasi a creare in Friuli, al Presidente del Consiglio. In detto memoriale si sottolineava come, dal 1866, anno dell’ annessione all’Italia, il Friuli non avesse mai chiesto nulla al governo, provvedendo da solo a sviluppare le industrie, estendere i commerci, diffondere l’istruzione, coltivare terre incolte, perfezionare l’agricoltura. Ma poiché tutto ciò non bastava a mantenere tutti, metà dei suoi figli emigravano, ogni anno, in tutti i paesi d’Europa, ove svolgevano al meglio attività lavorativa, riuscendo a portate in Patria un certo benessere. Ed il Friuli nulla aveva chiesto neppure nei periodi di relativa crisi, sopperendo da solo . Ma ora la situazione era gravissima. Stretti dal bisogno, per la prima volta in cinquant’ anni, ci si rivolgeva al Governo, non riuscendo a provvedere Comuni, Provincia e privati con largizioni, a tutti. Il Governo spronò i Comuni a far eseguire agli operai, senza lavoro, opere pubbliche, sposando quanto ipotizzato dai Deputati friulani, ma la situazione richiedeva aiuti immediati e consistenti. 16 «La provincia di Udine – scrive Giuseppe Del Bianco – aveva sempre dato il maggior contingente alla emigrazione temporanea, per lo più incanalata verso l’Austria e la Baviera. La stagione migratoria del 1914, prima per il suo stentato e ritardato avviamento, poi per la sua chiusa affrettata e disastrosa, rese ai nostri operai poco più della metà di quanto soleva dare (in media gli emigranti friulani importavano dall’estero ogni anno 30 milioni di lire); (…), tenuto conto che i più coraggiosi e coloro che si trovavano a lavorare in Romania ed in altri paesi non ancora in guerra, rimpatriarono nel novembre, a stagione finita. Il Friuli si vide così improvvisamente aumentare di circa un decimo la sua popolazione normale; nell’ottobre 1914 erano già rimpatriati circa 62.000 emigranti, che salirono nel dicembre a 83.275 quando i lavoratori agrari normali trovavansi nel periodo di stasi invernale, quando la impressionante preoccupazione politica ed economica consigliava tutti ad un regime di più stretta economia.» 17 Venivano a mancare il lavoro, i soldi ed il carbone, e le industrie dovevano chiudere, c’era chi faceva incetta di generi alimentari che iniziavano a scarseggiare ed aumentavano di prezzo. Il 7 agosto 1914 la Giunta comunale di Udine era costretta a prendere provvedimenti a causa della guerra che aveva coinvolto l’Europa. In questo documento si possono già leggere le conseguenze del conflitto sulla popolazione friulana. 4 «Provvedimento per rendere meno gravi le conseguenze della guerra. – La Giunta constatato che immediata conseguenza della guerra è il rimpatrio di tutti gli emigranti, che altra conseguenza è il pericolo di aumento del costo dei viveri per incetta o per privata speculazione, che in dipendenza della crisi monetaria e della mancanza dei carboni molte industrie vengono a trovarsi in gravi difficoltà, il che può fatalmente dare origine ad una generale e forzata disoccupazione, ritenuto essere doveroso che l’amministrazione comunale concorra, e con opera propria ed eccitando provvide iniziative, a rendere meno gravi le sopracitate conseguenze, delibera a)Per il rimpatrio degli emigranti di concedere apposito locale per ricovero temporaneo, di fare premure all’Ufficio pubblico gratuito di collocamento ad esercitare verso i lavoratori rimpatriati, con speciale interessamento e sollecitudine, la sua provvida azione; b)per il rincaro dei viveri di delegare al Sindaco la costituzione di una Commissione di sorveglianza sui prezzi dei generi di prima necessità al fine di ravvisare i mezzi più adatti ad impedire eventuali artificiosi elevamenti; ( il primo calmiere reca la data del 28 agosto 1914) c) per la disoccupazione e per la crisi del lavoro di incaricare il Sindaco, di fronte all’eventualità di chiusura degli stabilimenti industriali, a prendere intelligenze con l’on. Presidenza della Camera di Commercio e coi direttori ed amministratori dei citati stabilimenti per esercitare tutte quelle azioni che possono allontanare il pericolo di una maggiore disoccupazione.»18 Inoltre da una inchiesta eseguita con dati pervenuti dalla Regia Sotto – Prefettura e raccolti dall’Ufficio Provinciale del Lavoro risultava che « i rimpatriati, nel 1914, si potevano così classificare a seconda dei Distretti di appartenenza: CIVIDALE GEMONA PALMANOVA PORDENONE SAN DANIELE SAN VITO AL TAGLIAM. SPILIMBERGO TOLMEZZO UDINE NO EMIGRAZIONE 4.992 15.385 4.456 10.687 10.142 5.154 11.937 16.442 4.080 DISOCCUPAZIONE 3.417 9.967 3.378 6.505 5.333 3.085 10.448 14.603 1.935 BISOGNOSI 1.902 7.615 2.089 3.917 4.238 2.110 8.155 11.755 1.567 TOTALI 83.275 58.711 43.348 e secondo la loro professione: MURATORI MANOVALI, STERRATORI FORNACIAI SCALPELLINI, TAGLIAPIETRA TERRAZZIERI, MOSAICISTI MINATORI BOSCAIOLI, FALEGNAMI, FABBRI 31.940 16.100 25.330 2.500 2.578 2.308 2.579 La Prefettura di Udine – scrive Del Bianco- fu all’altezza della situazione ed i funzionari, ed in special modo quelli della 4a Divisione, con a capo il dott. Giuseppe Castellani, si sacrificarono con un lavoro estenuante perché le pratiche non rimanessero ferme a sbadigliare negli archivi polverosi. 5 Da notarsi poi che il Comitato di Soccorso, il quale incominciò a funzionare il giorno 16 agosto 1914 e si sciolse il 17 maggio 1915, elargì in sussidi appena lire 91.616,96!»19 La situazione che si era venuta a creare nella provincia di Udine, spinse Michele Gortani a scrivere una lettera al Presidente del Comitato di Soccorso pro emigranti e disoccupati, alla quale allegava anche una propria personale offerta in denaro. « Mi duole – scriveva Gortani - di non poter prendere parte alla prossima seduta del Comitato di soccorso pro emigranti e disoccupati. Ma tengo ad esprimerLe la mia opinione su ciò che ora occorre di fare. Il Friuli non ha corrisposto come doveva ai nostri appelli ripetuti. Per troppo tempo non fu compresa, neppure nella nostra Provincia, la reale gravità dei bisogni che dalle nostre indagini risultavano e che il ragionamento ci dimostrava destinati ad accrescersi in proporzioni sempre più vaste. Ma oggi che la miseria dilaga infrenabile e raccapricciante, nessuno, per poco che possa, deve rifiutare il suo obolo. Vorrei dunque che il Comitato, pur invocando nuovi aiuti dal Ministero e dagli Enti Pubblici, aprisse una nuova sottoscrizione “per gli affamati” soprattutto donne e bambini; e che la distribuzione venisse in minor misura a Udine ed in misura assai più larga nei Comuni più miseri e più abbandonati della provincia. Le accludo un’ offerta, confidando che il Comitato accolga l’idea, e che il risultato concreto dimostri ancora una volta la fratellanza stretta fra tutti i figli della nostra piccola Patria. Con deferente rispetto f.to M.Gortani» 20 E quegli operai senza lavoro, che credevano nel socialismo, manifestarono, invano, contro la guerra e per la neutralità dell’Italia. Le ripercussioni economiche della guerra portarono ben presto nelle masse operaie, più provate, malcontento ed agitazione. Inoltre anche i socialisti neutralisti scesero nella piazze, urlando il loro “no” alla guerra. Si ebbero riunioni definite “tumultuose” e manifestazioni, di cui la prima, sotto forma di comizio, si svolse il 13 settembre 1914. Lo stesso giorno i socialisti udinesi si riunirono e affermarono che: « i lavoratori di tutti i paesi, passate le bufere, dovevano stringersi in formidabile famiglia internazionale di fratelli, dimentichi degli stupidi odii nazionali , consci del loro dovere di combattere tutte le borghesie» e invitarono i compagni a sostenere la neutralità italiana, in una guerra che ritenevano voluta solo dalle grandi potenze per i loro interessi. «No alla guerra sia per lo knut russo sia per il bastone tedesco», fu il motto dei socialisti neutralisti. 21 Ma la posizione dei socialisti non fu unanime perché l’ala riformista del partito si attestò su posizioni interventiste, ed in Carnia interventisti furono Riccardo Spinotti e Vittorio Cella, appartenenti a quest’ area politica. 6 settembre 1914, infatti, i socialisti riformisti approvarono a Roma il seguente ordine del giorno: «La "Direzione Centrale del Partito Socialista" riformista e il Gruppo parlamentare, di fronte alle vicende del conflitto provocato dagli Imperatori di Germania e d'Austria-Ungheria per il predominio austriaco sulla Serbia e per essa sulla penisola balcanica, nonché per il trionfo quasi definitivo dell'egemonia germanica; mentre affermano che la dichiarazione di neutralità dell'Italia fu una doverosa sconfessione dei disegni di violenza e di rapina di cui insidiosamente i due imperi tendevano a farne complice l'Italia; affermano altresì che con questo atto, che deve essere interpretato secondo sincerità politica e in accordo con la coscienza del popolo italiano, il trattato della Triplice ha perduto ogni effettiva consistenza essendo venute a mancare, per fatto dei due contraenti, le ragioni essenziali di esso, e cioè il mantenimento delle pace europea e la garanzia contro le espansioni e il predominio austriaco nella penisola balcanica; ritengono inoltre che con la dichiarazione di neutralità il popolo d'Italia non ha inteso disinteressarsi alle vicende ed ai risultati del conflitto, destinato a ripercuotersi sulla vita politica, morale ed economica di tutte le nazioni; che, al contrario, esso ben avverte quale minaccia porterebbe allo sviluppo democratico il trionfo degli 6 Imperi centrali, mentre la vittoria della Triplice intesa, essendo vittoriosa sulle forze e sulle tendenze più spiccatamente militariste, aprirebbe il varco alla possibilità di un generale disarmo, che permetterebbe all'Europa di rivolgere le sue energie alle grandi opere di pace e di civiltà, e permetterebbe al proletariato di tutti i paesi di svolgere le sue rivendicazioni per la giustizia sociale, onde in definitiva le forze armate della Triplice Intesa operano nel senso di una rivoluzione democratica e socialista; che anche dal punto di vista nazionale, in accordo con gli interessi proletari, la vittoria degli Imperi centrali avendo per conseguenza ineluttabile il prevalere dell'Austria-Ungheria sulla penisola balcanica creerebbe all'Italia il pericolo di vedersi ridotta alle condizioni in cui con la sua nota l'Impero austro-ungarico vuole ridurre la Serbia, donde il perpetuarsi di uno sforzo d'armamento da cui sarebbe paralizzata ad esaurita ogni potenzialità del nostro Paese; che, da ultimo, il popolo d'Italia non può dissimulare per egoistiche considerazioni le proprie solidarietà fraterne col Paese della grande rivoluzione, che invaso oggi dagli eserciti imperiali, attraverso la violata neutralità dell'eroico Belgio, trova la sua difesa nel proletariato socialista che dà il suo sangue sui campi di battaglia, mentre accetta nell'ora della sciagura nazionale la responsabilità del Governo; per queste ragioni fanno voto che il Governo italiano interpreti nei suoi atti la proclamata neutralità, non quale rinuncia preventiva ed assoluta ad ogni intervento nel conflitto e meno come aiuto indiretto agli Imperi coi quali deve intendersi rotta ogni dichiarazione di alleanza, ma la esplichi con rivendicata libertà d'azione da svolgersi secondo i criteri suindicati, nel momento e nelle forme più opportune, previe le deliberazioni dell'assemblea nazionale».22 Ed interventista fu pure il Partito Radicale, che riteneva che l’Italia dovesse entrare in guerra per energicamente tutelare i propri interessi definiti e valutati secondo gli elementi nuovi della situazione e prescindendo dai criteri ai quali si uniformava lo Stato di transizione e di adattamento prima della guerra; per non lasciar trascorrere il momento di rivendicare i confini naturali, compiendo così una lunga aspirazione non mai abbandonata; per far pesare nella maggior misura possibile, all'atto della definizione del nuovo assetto internazionale, la propria influenza allo scopo di tutelare le sue supreme esigenze nazionali e al tempo stesso i principi di nazionalità e di ossequio al diritto in nome dei quali l'Italia riconquistò la sua unità di Nazione. Si augurava, pertanto, che il Governo, considerasse «con animo risoluto, con meditato ardimento e con fiducia nelle energie del Paese, la mirabile coincidenza degli interessi economici e politici della Patria con gli interessi ideali della civiltà che gli impongono ormai il gravissimo ma imprescindibile dovere di mutare la neutralità dell'Italia in attiva partecipazione al conflitto».23 E si attestò su posizioni interventiste anche il Partito Repubblicano: il 7 settembre 1914, la sezione romana di detto partito approvava all'unanimità il seguente ordine del giorno: «La sezione repubblicana romana, di fronte alle vicende del conflitto europeo, mentre si associa alla civile protesta contro l'offesa del diritto delle genti e gli eccessi di ferocia bellica degli eserciti tedeschi culminante nella distruzione della città di Lovanio, constata che la presente situazione internazionale implica il fallimento della politica triplicista seguita all'infuori del sentimento popolare durante trent'anni dal regno d'Italia; afferma che, se la riconquistata libertà d'azione ci ha consentito la neutralità, questa non potrebbe essere mai accolta come sinonimo di oblio delle tradizioni e rinunzia alle aspirazioni nazionali; riconosce pertanto nella parte repubblicana, in coerenza del suo passato storico, il dovere di un'azione diretta a impedire che pavidi opportunismi sorgano a certa ora a sopraffare la corrente dei sentimenti e le rivendicazioni dei diritti italiani».24 Ma neutralisti erano, oltre i socialisti massimalisti, gli operai e gli sfruttati, anche carnici, che avevano già iniziato a pagare sulla propria pelle il conflitto. E la loro posizione non mancò di farsi sentire. 7 E gridavano il loro dissenso gli operai disoccupati, gli sfruttati, le donne …e il 28 febbraio 1915 vi fu il grandissimo comizio neutralista di Villa Santina. Il 28 febbraio 1915, a Villa Santina, fu organizzato un grande comizio contro la guerra, per la neutralità dell’Italia, e per chiedere pane e lavoro. «Le autorità prevedendo che il comizio di Villa Santina avrebbe potuto degenerare, vi posero il veto, ma “ad onta del divieto governativo e di quello del V. Prefetto dott.Bottecchio”, furono circa “5.000 gli intervenuti, innumerevoli i sodalizi aderenti e 50 i vessilli” che risposero all’appello, e si “poteva avere una folla almeno doppia” se la polizia e gli avversari non avessero fatto propaganda per trattenere i lavoratori a casa con la scusante “della nota livragazione del diritto di riunione in tutta Italia.»25 Così descrive Osvaldo Fabian, che ne fu uno dei protagonisti, la grande manifestazione di Villa Santina contro la guerra. « Non c’era nessuna proficua occupazione di lavoro , un inverno durissimo, fame, disperazione e miseria. Gli animi si esasperavano con ritmo ognor più crescente, mentre lo spettro della guerra si profilava anche per l’Italia come un pauroso fantasma. L’oro di Barrère26 assoldava la ciurma guidata dal traditore Mussolini. Sulle piazze d’Italia avvennero i primi scontri tra gli interventisti ed i neutralisti. Prato27 ormai antesignana di lotte, non poteva restare né inerte né indifferente. I suoi organismi si mossero decisi. La Società Operaia, il gruppo anarchico, e la sezione Socialista, si fecero promotori di una grande manifestazione, da tenersi a Villa Santina il 28 febbraio 1915. Contro la disoccupazione! Contro la guerra! Da Prato vennero diramati tutti gli inviti agli organismi d’avanguardia della Carnia. Forse quella manifestazione fu la più bella e nobile battaglia di quella generazione di pionieri del Socialismo. Era una grigia e gelida mattina, un lungo corteo di uomini, intabarrati, di donne e di ragazzi da Prato si snodava lentamente come una serpe nell’angusta carreggiabile verso Villa Santina distante 18 Km. In testa alla lunga colonna, garrivano nel vento le bandiere del lavoro. Le note allegre della fanfara rompevano la monotonia della valle. Settecento cittadini di Prato marciavano incolonnati con ordine dietro i loro simboli. Al passaggio dei crocicchi e delle frazioni sottostanti, gruppi di altri lavoratori erano lì, con le loro bandiere, ad attendere quelli di Prato. Un urlo, e un evviva! E come per natura, i vari ruscelli discendendo a valle si univano al troncone maggiore. Così la marea nereggiante frastagliata dal rosseggiare delle loro bandiere discendeva le valli. Al ponte di San Michele, a qualche Km. da Villa Santina, due staffette ansanti si fanno incontro al corteo. La moltitudine si arresta, ordinata come una legione. Breve parlamentare dei responsabili, infine uno di essi, salito su un muricciolo, comunica alla folla impietrita: «La Questura ha proibito il comizio di Villa, e ingenti forze militari e di polizia presidiano la località. Che cosa dobbiamo fare? Un urlo possente, come il fragore di una valanga, prorompe dalla folla: “ A Villa! A Villa!” Dopo alcune raccomandazioni equilibrate e calme uno squillo di tromba suona l’ “avanti”. I visi pallidi, la lunga colonna si muove ordinata scandendo il passo al ritmo degli inni della fanfara. La lunga colonna raggiunge così le prime case dell’abitato di Villa. Allo sbocco della valle, ove la visuale si spazia più vasta. (sic!). Ed ecco la scena: sulla strada di Lauco una folta schiera di lavoratori con le loro bandiere stazionava; un altro gruppo, proveniente dalla Val Tagliamento era lì ferma ad Esemon; infine si poteva scorgere più lontano, nella “Forchiata” un’altra falange proveniente da Verzegnis. Probabilmente i vari gruppi avevano ricevuto lo stesso ordine di proibizione ed erano lì fermi ed indecisi ad attendere. E fu un attimo veramente impressionante ed indescrivibile. Dai vari gruppi in attesa, appena videro spuntare la marea di Prato, proruppe un urlo possente e minaccioso: un urlo che sembrava ruggito di leone, s’incrociò nell’etere del centro carnico. E le note dell’internazionale e dell’inno dei lavoratori riecheggiava nella Valle. 8 Le varie colonne dei Lavoratori, provenienti da tutte le valli, s’inoltrarono nell’abitato. L’ordine di proibizione del Comizio aveva esasperato gli animi. Un imponente schieramento di forze d’esercito e di polizia aveva bloccato i punti nevralgici, tentando di mantenere divisi ed isolati i vari gruppi e vietare così l’accesso alla piazza principale. Questo piano della P.S. riuscì fino ad un certo punto. Difatti la colonna di Prato fu deviata per una via laterale e convogliata verso il piazzale della stazione ferroviaria. Dal balcone dell’Albergo Italia E. Piemonte28 parlò alla folla, illustrando la protesta dei Carnici contro la disoccupazione e la minaccia della guerra. Non mancò, come rientra nel suo temperamento, l’esortazione alla calma. A sua volta prese la parola il Sindaco di Villa Santina Venier29, quasi spaventato, implorando la calma. Ma i lavoratori non si ritenevano soddisfatti. Essi volevano raggiungere la piazza principale e ricongiungersi ai restanti gruppi che le forze dell’ordine tenevano isolati. Finiti i discorsi e le varie esortazioni alla calma, nel centro della Carnia l’atmosfera era diventata pesante e minacciosa. Le folle, istintivamente, straripavano da ogni direzione e pressavano gli schieramenti della P.S. La strada che dal piazzale della stazione porta alla piazza del centro, era bloccata da cordoni di carabinieri e da agenti di Polizia. Altri reparti di carabinieri e di alpini, in pieno assetto di guerra,sostavano nei cortili adiacenti pronti ad intervenire. La strada stessa era bloccata circa nella sua metà. Questa volta i Carnici erano decisi come non mai. E la marea si mosse come un’ariete. I più animosi e giovani passarono in prima fila (Compreso lo scrivente). Il cordone di carabinieri e degli agenti era là, fermo come una muraglia umana. Un signore, probabilmente il questore in persona, si staccò dal gruppo seguito da altri che lo attorniavano. Un carabiniere con la tromba a tracolla seguiva il gruppo. Pallido, quel tale signore prese di mano a un suo collega un involto. Era la ormai classica sciarpa tricolore che subito cinse frettoloso30, impartendo alcuni ordini impercettibili tra l’urlo di grida e di clamori. Uno squillo di tromba; rintuonò: “Attenti”. Era suonato da un carabiniere. Un fremito indicibile scosse gli animi. Immediatamente un trombettiere della nostra fanfara suonò con più forza: “Riposo”. Il frastuono e le grida erano diventate assordanti. Dai cortili uscivano altri reparti armati, baionette inastate ed a passo di carica, verso la muraglia umana che non indietreggiava, ma si stringeva sempre più compatta. La scena diventava sempre più drammatica. Gli squilli si susseguivano agli squilli come un forsennato dialogo, tragico e beffeggiante. Il questore stretto dalla calca, sospinse per il petto una giovane e bella donna di Prato. Immediatamente questa, facendosi largo, vibrò al funzionario due sonori ceffoni in faccia. La situazione diventava sempre più drammatica. Gruppi di animosi erano spariti improvvisamente. Erano saliti sui tetti delle case adiacenti e maneggiavano le tegole pronti a colpire. Altri con gli strumenti necessari avevano raggiunto altre posizioni elevate negli edifici, pronti a tagliare le comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Frattanto nella strada gli scontri proseguivano e si localizzavano con crescente violenza. Un animoso dimostrante aveva strappato il moschetto ad un carabiniere, e se lo teneva minaccioso con le mani insanguinate. Altri carabinieri venivano disarmati in un batter d’occhio. Altri dimostranti s’infilavano tra gli alpini, che subito fraternizzavano: erano piemontesi figli di lavoratori anch’essi. I cordoni si infransero. Il questore era lì, nel quadrato protetto dai suoi scherani, impotente e sbiancato come una statua di marmorea. La folla aveva vinto. E la marea passava ed urlava come una valanga. Si ricongiunse agli altri gruppi nella piazza centrale al grido di: “Abbasso la guerra!” Il questore scomparve. »31 Secondo quanto riportato da altra fonte: «Il questore, trovato dapprima un rifugio in un cortile con le sue truppe sbandate, montò poi su un camion dileguandosi»32; fu quindi «permesso il corteo per il paese e il comizio in piazza; dalla terrazza dell’albergo Cimenti si susseguirono diversi oratori tra cui i socialisti 9 Piemonte e Renzo Cristofoli, e anarchici di cui uno “non riusciamo a sapere il nome”, che dopo aver esposto le condizioni di miseria dei lavoratori, stigmatizzò la guerra, dicendone “di tutti i colori” agli interventisti, l’anarchico “Giovanni Frezza di Verzegnis”, il quale “è più volte interrotto dal delegato di P.S. ed applaudito ogni qual volta impreca alla guerra” e poi molti altri ancora che “ne dicono di cotte e di crude contro la guerra e ogni volta che se ne parla è un solo grido che irrompe da 5.000 petti: “abbasso la guerra”. Venne infine approvato un ordine del giorno in cui si richiedeva “l’immediato finanziamento dei lavori pubblici per porre efficace rimedio alla terribile ed imperversante disoccupazione”; i socialisti approvarono anche un altro ordine del giorno, secondo il quale “il proletariato carnico avrebbe dovuto levare alta la sua voce di umana protesta contro l’ubriacatura imperialista imperversante in Italia”; la manifestazione si sciolse al grido di “abbasso il governo ... vogliamo il pane!, a morte gli affamatori, viva la rivoluzione sociale, viva l’anarchia! Viva l’internazionalista”.» 33 «È interessante notare – scrive Massimo Dubini - come la stampa evidenzi il coraggio e la massiccia presenza delle donne della Val Pesarina in testa al corteo; ben 150 donne partirono da Prato Carnico a piedi alla volta di Villa Santina per reclamare pane ai loro figli, queste “marciano in testa alla colonna e suscitano in tutti un’ondata di commozione e di entusiasmo”, e furono loro “le prime a lanciarsi contro le baionette”; La Patria del Friuli parla di “ragazze scalmanate” che gesticolano come ossesse al grido: “in piazza! andiamo in piazza! evviva l’anarchia” e descrive una donna di Prato che “sventola la bandiera nera sotto gli occhi dei pazientissimi carabinieri” mentre la marea di gente si agita, spinge, sospinge nei primi tafferugli.»34 E vi furono : «colluttazioni- squilli-discorsi anarchici» e vi furono «donne e bambini con cartelli riportanti le scritte: “Lauco: pane non piombo”, “pane e lavoro”, “lavoro non guerra”, “morte al regno della morte”, “morte alla guerra”, “adunatevi: è giunta l’ora”, “noi donne per i nostri figli domandiamo pane e lavoro”, “abbasso la guerra e viva l’anarchia”.»35 Secondo Fabian, dopo l’allontanamento del questore: «La truppa venne ritirata. Nella piazza stazionava ormai solo un piccolo nucleo di carabinieri. I lavoratori l’avevano conquistata duramente. Venne individuata una tribuna: la pesa pubblica, dominante la piazza. Un operaio di Prato, Fabian Giacomo36, venne sospinto ed aiutato dai compagni a salirvi. Dall’improvvisata tribuna venne arringata la fola entusiasta. Seguì dalla stessa tribuna un operaio di Verzegnis, Boria ed altri operai, improvvisati oratori. La indimenticabile manifestazione veniva chiusa dal suono dell’Internazionale e dell’Inno dei Lavoratori fra l’entusiasmo dei dimostranti.»37 E continua Fabian dicendo che un’altra manifestazione contro la guerra si svolse a Prato in occasione del I° maggio. «Erano gli ultimi aneliti di protesta e di rivolta. E così si chiudeva il ciclo di una generazione di lotte operaie. Lo spettro orribile della guerra ghignava all’orizzonte come uno spettro terribile ed immane. Da Prato vennero deportati alcuni elementi che si ritenevano pericolosi: O. Puntil38, A. Casali39, G. Cleva40, e G. Petris41, ( la stessa che aveva schiaffeggiato a Villa S. il questore). Vennero confinati a domicilio coatto ad Avezzano. Altri esponenti politici operai vennero diffidati e sorvegliati nelle loro abitazioni.»42 Così invece descrive la manifestazione Giuseppe De Bianco: «Il conflitto sembrava inevitabile ed imminente quando il consigliere comunale Marco Renier, al ballatoio di una casa, esortò alla calma quella moltitudine, che voleva sfondare il cordone di truppe per entrare in paese, e facendo presente essere ben riuscita la manifestazione di compattezza, per l’adesione totalitaria dei sindaci della Carnia e del Canal del Ferro, disarmò gli animi. A lui si unirono gli organizzatori doc. Ernesto Piemonte e Renzo Cristofoli di Treppo C.co 43 e il comizio si sciolse dopo grida ed invettive contro il Governo, contro gli “affamatori” e la “sbirraglia”, con cui reclamavasi “l’immediato finanziamento dei lavori pubblici”. Questi erano elencati in un memoriale presentato al Prefetto sin dal settembre 1914. 10 L’ordine del giorno plaudiva poi al proposito manifestato da tutti i sindaci di presentare collettivamente le dimissioni, ove non si fosse provveduto, entro il 30 marzo, all’inizio dei lavori “per porre efficace rimedio alla terribile ed imperversante disoccupazione”».44 E si giunse, fra fame, disoccupazione, e richiami sotto le armi degli uomini “validi”, al 24 maggio, a quel “ maggio radioso … « Il 24 maggio 1915 “Il maggio radioso “ La guerra divampa furiosa. Aveva inizio il martirologio della Carnia, di questa Carnia eroica. - scrive Osvaldo Fabian - Bandi, proclami , ordinanze, coprivano o muri delle borgate carniche ammutolite. Linguaggi furenti e perentori. “Noi, tenente generale … nel nome di S.M. il Re… decretiamo, ordiniamo, … i trasgressori saranno puniti… ecc.” “Tutti gli uomini validi delle classi… sono chiamati alle armi… “ Sulle vallate della Carnia calavano le tenebre. Coprifuoco ed altre restrizioni rintanavano i poveri abitanti muti e perplessi. Gli operai venivano mobilitati a scavare mulattiere e strade verso le vette di confine; a sospingere i cannoni a mano e con corde, nelle impervie salite. E i cannoni tuonarono, lacerando la quiete di quelle vette solitarie, rintronando cupamente nelle valli. Il cielo si illuminava di sinistri bagliori di fuoco. Nei crocicchi delle strade di tutte le povere borgate, gli addii mesti, i distacchi dolorosi, il pianto amaro delle spose e delle madri ai loro cari, molti dei quali non tornarono più. Le tristi nuove di morte giungevano ai mesti focolari come delle raffiche dolenti. E le povere spose si vestivano di gramaglie. I lavoratori erano stati spinti lassù, nelle insanguinate trincee, del Pal Piccolo, del Carso, e ovunque al fronte, per contendere il passo agli agguerriti eserciti degli Asburgo, a fare la guerra, ad uccidere fratelli. Forse i loro compagni di lavoro e di fatica nelle varie peregrinazioni di migranti. (…) erano gli stessi lavoratori che pochi mesi prima avevano osato gridare:”abbasso la guerra” , sfidando le baionette degli sbirri, che vennero sospinti lassù tra le nevi e la gelida tormenta. (…). (…). Non si può dimenticare la lunga teoria di eroismi di queste genti sobrie ed oscure: eroismi sublimi di popolo in armi, per difendere la loro terra e con essa tutte le contrade d’Italia. (…) caduti e mutilati oscuri sono là figli di questa terra, a testimoniare il loro olocausto, ed anche i civili ebbero la loro parte. (…). I Carnici restarono sempre tali, tenaci, eroici ed anche ribelli. La guerra lunga e snervante, i sussidi insufficienti alle famiglie, il lento alternarsi dei cambi in prima linea, questi ed altri fattori influirono a determinare fra le truppe una certa stanchezza e delusione. (…). Più tardi la funesta ritirata di Caporetto. (…). Le truppe della Carnia abbandonavano i valichi e le vette che avevano strenuamente difeso . E giù verso le valli e le arterie, che portavano verso la piana, incalzati dal nemico famelico, rifattosi baldanzoso alla vista delle ubertose pianure. (…) la dinamite con le sue terrificanti vampate, completava il triste tramonto. I manufatti militari, i ponti, i magazzini, le polveriere, esplodendo, riempivano le valli con il loro triste boato. Con le truppe in fuga una parte degli abitanti scendeva profuga. 45 La maggior parte degli abitanti, però, rinchiusa e sprangata la porta, attese l’invasore, ammutolita e perplessa. (…). Fu indubbiamente un anno duro e doloroso (…). (…). Consumate le poche scorte alimentari lo spettro della fame ghignava nei solitari focolari. Ed allora giù verso la pianura. Attraverso i posti di blocco. I vecchi e le donne trainavano miseri e rudimentali carretti, lasciando ai contadini di quelle plaghe più ricche un po’ di formaggio, la vera, o gli orecchini d’oro in cambio di un po’ di grano.»46 Poi il Piave, la riscossa, la vittoria. Ma la situazione per la povera gente non mutò di molto. Così la descrive Osvaldo Fabian: « I combattenti rientrati dai vari fronti e dai vari campi di concentramento, dimenticati e disoccupati. Dimenticato il grande contributo, di privazioni e di sangue, che questa martoriata terra aveva generosamente dato al Paese. Il Patrio Governo di allora si limitava ad inviare ai Parroci le campane…(…) che i tedeschi avevano rubato. Intanto però, inasprita da quella precaria situazione, la carica per tanti anni 11 repressa esplodeva. Le vie dell’emigrazione erano ancora chiuse. Manifestazioni di masse minacciose e furenti si susseguirono nelle piazze dei centri Carnici e ovunque nei comuni. »47 Ed ebbe inizio il biennio rosso a cui seguì la dittatura fascista. Ma non furono solo questi i disagi che la popolazione carnica dovette subire durante la guerra. Subito dopo il 24 maggio, quel maggio radioso, le autorità militari diffusero, in Carnia, un clima di sospetto, atto a scovare “ gli austriacanti” che dette origine ad una specie di “caccia alle streghe”.48 Così furono sgomberati i paesi di Timau e Cleulis, e quello di Forni Avoltri, che si diceva fosse abitato da spie filo- austriache, così viene fatto arrestare, su indicazione del solerte maggiore del R. E. I. Abele Piva, il muratore di Collina di Forni Avoltri, Giovanni Sottocorona, perché “sobillatore e favoreggiatore dell’Austria”, mentre i Carabinieri confermano il contrario. Pietro Eder, fabbroferraio, finisce in prigione perché “ favoreggiatore degli austriaci “ e “ con parenti e simpatie in Austria”, e stessa sorte capita ad altri, vittime della vox pubblica e di militari troppo abituati a dar credito a chiacchiere di paese.49 Altre presunte spie restano vittime di errori o della loro curiosità. Per esempio Domenico Morocutti, arrotino di 55 anni, viene arrestato «perché osservava con troppo interessamento la linea telefonica Bordano- Monte Festa, e Carlo Tomat e Giobatta Cimenti di Lauco, muratori disoccupati, costretti per vivere alla mendicità, vengono arrestati perché si sono avvicinati troppo ad una cabina telefonica, e così vengono ritenuti da una guardia di finanza “ in attitudine di ascolto”. Sobillatori ed antimilitaristi vengono considerati Giovanni Pellegrina e Vittore Zanier di Rigolato salvati dal Sindaco; Angela Simonitti e la madre vengono invece processate come spie per presunte segnalazioni al nemico fatte con due fanalini da stalla ed un lume a petrolio, con cui cercavano di far luce mentre si lavavano, e verranno assolte dal giudice; altri vengono accusati di segnalazioni al nemico per aver agitato un fazzoletto o aver alimentato ad intermittenza il fuoco.50 E lo stesso Parroco di Zuglio, don Enrico Madussi, segnava di esser stato fermato il 23 maggio 1915, vigilia dell’entrata in guerra, mentre si stava portando a Sutrio, perché considerato una spia e di esser stato trattenuto per 6 ore presso il Comando militare della Croce Rossa di Arta, e liberato.51 Così scrive don Ugo Larice, parroco di Illegio, allo scoppio della guerra…. “Non avranno orrore di quello che fanno?” 52 Mentre il Parroco di Illegio così si esprimeva, prima dell’inizio del conflitto, aggiungendo a questa frase delle sue riflessioni sul «Capitalismo, unica origine dei nostri mali» e sull’Umanità che «pensava ormai di non aver più bisogno di Dio»53, altri parroci carnici si limitarono a registrare alcuni avvenimenti anche curiosi relativi all’ inizio della guerra. Ma anche i carnici più settici si convinsero che l’Italia era entrata in guerra quando si sentirono rimbombare i primi colpi di cannone, vennero affissi i manifesti per il reclutamento degli uomini validi, si cominciarono a vedere i primi feriti. «Ad un certo punto udiamo un rombo cupo venire dall’alto dei monti di nord; le vallate sottostanti rispondono con eco profonda. E’ il cannone che tuona. Discendiamo a Paularo. I primi feriti sono ormai in Lodin.»54 Viene limitato il suono delle campane ad un tocco per le funzioni principali, vengono proibite le processioni, molti sacerdoti vengono chiamati a svolgere il ruolo di cappellani militari, lasciando sguarnite le parrocchie, molti collaboratori dei parroci vengono chiamati al fronte, iniziano le requisizioni di edifici, per esempio l’asilo infantile di Sutrio, per uso militare.55 Ogni paese incomincia a contare i suoi morti e le sue difficoltà. «21.5.1916. E’ domenica terza del mese. – scrive il parroco di Paularo – A mattina Prima Comunione di una quarantina di bambini. Non l’allegro scampanio, ma il rombo del cannone accompagna la festa. Alla Messa delle dieci la Chiesa si affolla discretamente. Ma durante la predica si odono degli scoppi vicini: subentra un po’ di panico fra la gente. Interrompo la predica, raccomando la calma, e, non sapendo lì prendere una decisione, intono il Credo. Ma gli scoppi raddoppiano d’intensità e, ciò che più importa, l’obbiettivo è la Chiesa. 12 Allora faccio chiudere la porta maggiore perché nessuno esca in vista del nemico: si aprono le porte laterali e molti escono da questa parte, altri si ricoverano nella Sagrestia, parecchi si fermano imperterriti al loro posto. Io continuo la Santa Messa piano. Verso mezzodì cessa il bombardamento; tre case sono state colpite. Verso le due fischia una granata che viene a colpire la casa canonica. (…). Così passò questo giorno segnato da gravissimo pericolo, ma altresì dalla visibile protezione di Dio.»56 Il 3 settembre 1916, domenica, sul cielo della Carnia, fa la sua comparsa il primo aeroplano nemico, che suscita subito timori e preoccupazioni nella popolazione, ed all’ una pomeridiana ha inizio il bombardamento dei paesi di Misincinis e Paularo,che per fortuna non fa grossi danni. 57 L’11 novembre 1916 una squadriglia di aeroplani nemici sorvola Tolmezzo lanciando bombe. Un apparecchio italiano abbatte uno del nemico, che cade in località “Pradenon”. I due piloti che lo guidavano vengono feriti gravemente ed uno dei due muore subito. «Fui uno dei primi sul posto – scrive il parroco Gian Battista Facci – e mi lasciò enorme impressione, oltre i feriti grondanti di sangue, il contegno dei medici nostri che li degnarono appena di uno sguardo.»58 Poi il Comunicato Cadorna59, che rende palese lo sfondamento delle prime linee italiane, e la ritirata che vede interi reggimenti attraversare i paesi della Carnia, alcuni allo sbaraglio altri più ordinati. «Un accozzaglia di uomini senza ordini, né direzione – scrive don Giovanni Battista Facci - con automobili, camion, trattrici, carrette, carriole, che va in fretta, come una valanga inesorabile. Chi getta lo zaino, chi una coperta, chi il fucile munizioni e bombe dappertutto.»60 Ma altre testimonianze narrano anche di reparti che ripiegano in modo disciplinato. La popolazione dei monti è carica di angoscia e timori, l’imminente calata del nemico terrorizza. Ed infine l’esercito austriaco giunge anche nei paesi della Carnia. Esso è composto da « uomini malvestiti, stanchi affamati»61, scrive don Facci, e porta con sé un consistente numero di donne bavaresi ed ungare, «che servono a soddisfare le “esigenze” dei soldati».62 Mancano all’esercito occupante viveri e mano d’opera ed allora si procede alle solite requisizioni, fatte in modo più o meno civile a seconda delle persone. Ed anche se vengono istituite amministrazioni civili, le esigenze dei militari prevaricano quelle dei civili che sono rimasti, che non sono scappati in altre parti d’Italia. Per la verità anche il Regio Esercito Italiano aveva proceduto a requisizioni, ma in genere limitate a materiale di costruzione e vestiario per i soldati.63 L’occupazione austriaca della Carnia portò quindi a saccheggi e razzie da parte dei militari occupanti ma anche «da parte di borghesi delle città e soprattutto dei villaggi che tentano di approfittare del clima di violenza e di incertezza».64 Inoltre, dal gennaio 1918 vennero posti sotto sequestro, dagli austriaci, anche la gran parte degli animali domestici e degli attrezzi da lavoro, oltre i viveri, le materie prime come cereali e grassi, la lana, il cotone, la seta, il fieno, mezzi di locomozione comprese le biciclette, armi ed altro ancora. Vengono persino requisite le campane, per fonderle e ricavarne bronzo. 65 E si cerca di requisire anche le poche braccia rimaste. Gli uomini “validi” sono in guerra: quindi si pensa alla “requisizione” di qualche maschio che per caso sia rimasto in paese e delle donne dai 16 ai 50 anni. Per tal motivo il 14 marzo 1918 il generale Von Below66 emana un ‘ordinanza che richiede che ogni amministrazione stili un elenco degli uomini dai 15 ai 60 anni e delle donne dai 16 ai 50 anni, con esperienza in lavori agricoli e nelle fabbriche presenti sul territorio. Si pubblicano bandi di requisizione, si adunano operai, si chiede ai comuni di fornire, a scadenza, manodopera, in numero, prefissato. Poteva accadere, però, che i singoli cittadini e le amministrazioni comunali non rispondessero agli appelli, con il risultato che le gendarmerie facevano irruzione nei paesi e nelle case, sequestrando persone apparentemente abili al lavoro, ragazze e fanciulli.67 Il lavoro o non è pagato o è pagato in fittizia moneta veneta68, l’imposizione del lavoro coatto alle giovani donne porta allo sdegno dei sacerdoti dei canali di Sa Pietro ed Incaroio ed alla disperazione delle ragazze, che verranno, però, rese in ben poco tempo alle famiglie.69 13 Poi la rimonta del Regio Esercito Italiano, fino alla vittoria. Il 31 ottobre e i primi giorni di novembre 1918 file interminabili di militari austriaci lasciano la terra italiana. Alla liberazione dall’occupazione austriaca scene «di entusiasmo patriottico si fondono con il più completo sciacallaggio sia da parte dei soldati che della popolazione.»70 E di fatto: «Domina l’anarchia. I borghesi saccheggiano magazzini, depositi, stazioni. I prigionieri italiani (…) d’aiuto per l’ordine, s’impossessano di cavalli, carrozze, veicoli, e con tali provvidenziali mezzi d’occasione battono a tappe la via del ritorno in patria.»71 In Patria, invece, non ritornano i quattro alpini accusati di diserzione e fucilati a Cercivento, e ora riabilitati: Gaetano Silvio Ortis e Basilio Matiz entrambi di Paluzza , Giovanni Battista Coradazzi di Forni di Sopra e Angelo Primo Massaro di Maniago; non ritornano i 7.000 soldati condannati a morte dal Regio Esercito per i motivi più svariati, dall’insubordinazione all’intelligenza col nemico, dalla disobbedienza alla codardia all’auto-lesionismo.72 La guerra è finita, ed i soldati rientrano a casa pieni di speranza…. La fine della guerra è funestata dall’ epidemia di influenza spagnola, che colpì, per quel che è dato sapere, un miliardo di persone, e ne uccise 50 milioni. Si presentava con i sintomi del tifo, e per tifo venne scambiata inizialmente. Portata in Italia probabilmente da soldati statunitensi, fu segnalata, la prima volta, in provincia di Vicenza, e provocò in Italia oltre 300.000 morti. Don Ugo Larice indicava un centinaio di affetti da influenza spagnola ad Illegio, mentre i soldati rientravano in paese, e quindi a Sezza 10 morti, a Fielis 3, a Vinaio 18, e deceduti praticamente in ogni paese.73 E con la fine della guerra si disotterrarono gli ori e gli argenti ed oggetti più o meno preziosi delle chiese e delle famiglie, nascosti per tema che fossero rubati; ritornarono i soldati dal fronte, e spesso trovarono una situazione pesante ed inaspettata, con parenti deceduti, saccheggi e violenze subiti, e forse, in qualche caso, un figlio non proprio in più od nipotino da mantenere, come succede in ogni guerra, e la gioia si trasformò in disperazione e dolore. Poi il dopoguerra. I reduci non trovano lavoro, la moneta veneta è carta straccia, la fame che aveva tiranneggiato i paesi e le famiglie non accenna ad andarsene. «Almeno germogliassero le erbe» scriveva il 2 gennaio 1918, in piena occupazione austriaca, don Angelo De Reggi – Questo è l’augurio comune. Ogni mezzo satolla. Polenta di crusca… di macinato di pannocchia di grano…radici cotte.. . La patata diventa cibo per pochi. Il condimento scompare, il sale scarseggia. Di pepe non se ne parla. I fumatori utilizzano le foglie di noce, i fiutatori usano la genziana alpina polverizzata. Anche i fiammiferi mancano. Ritorna in uso la pietra focaia.»74 Si cerca la via del Friuli per lo scambio di burro e formaggio con farina, aleggia l’ombra della speculazione e della rapina alle carovane di poveracci. Il denaro, svalutato, non serve più a nulla, le speculazioni sono all’ordine del giorno, e riempiono le tasche degli sciacalli, la guerra « Chi dissangua chi rimpinza».75 Ma non pare che, nel dopoguerra la situazione migliori di molto. Forse i parroci riescono a riempire di nuovo le chiese che si erano svuotate a causa degli eventi, dei pericoli e delle difficoltà; probabilmente i sacerdoti riescono ad impedire i balli che ritengono causa di immoralità per le giovani. L’alcool continua ad offuscare qualche mente, anche se la popolazione della Carnia forse ne utilizza meno che durate la guerra, quando «per sfuggire alla realtà dei fatti» la gente si abbandonava all’alcool annebbiando vista e ragione»76 ma la situazione è difficilissima. Vittorio Cella, verso la fine di gennaio del 1919, riesce a far giungere 5 treni di viveri per le filiali della Cooperativa Carnica di Consumo, che riprende l’attività. Ma non c’ è lavoro, e non si può più emigrare in Austria e Germania. Anche gli operai occupati alle dipendenze del Genio Civile si trovano lo stipendio 14 decurtato; un grosso processo inflattivo perseguita l’economia; iniziano gli scioperi e si forma la Lega Operaia Carnica, poi Camera del Lavoro; manifestazioni iniziano ad agitare il paese. «Operai della Carnia e del Canal del Ferro! - si legge sul volantino riportato da “La Voce della Cooperazione, organo di stampa del gruppo delle Cooperative Carniche – Tutti dovete intervenire, con le vostre donne, con i vostri figli, con le bandiere dei vostri sodalizi e dei vostri circoli. Tutti dovete gridare forte che anche noi abbiamo diritto di vivere, che vogliamo lavorare, che domandiamo la rifusione di tutti i danni recati dalla guerra alle nostre persone ed alle nostre cose!»77 Ma il Ministero Terre Liberate, che dovrebbe rifondere i danni, è piuttosto lento e latitante, la mancanza di lavoro attanaglia le famiglie, inizia il biennio rosso ed il fascismo è alle porte. 1 “O Gorizia tu sei maledetta”, è il titolo di una canzone che fa parte del patrimonio popolare e pacifista. Si contano, della stessa, più versioni con alcune differenze, non significative, fra loro. «Si dice che chi veniva sorpreso a cantare questa canzone durante la guerra era accusato di disfattismo e poteva essere fucilato. La versione originale venne raccolta da Cesare Bermani, a Novara, da un testimone che affermò di averla ascoltata dai fanti che conquistarono Gorizia il 10 agosto 1916. Bisogna ricordare che la battaglia di Gorizia (9-10 agosto 1916) costò, secondo dati ufficiali, la vita a 1.759 ufficiali e 50.000 soldati circa, di parte italiana; a 862 ufficiali e 40.000 soldati circa, di parte austriaca.» (Canzoni contro la guerra - O Gorizia, tu sei maledetta -www.antiwarsongs.org/). 2 MOSSE Lachmann George, Il razzismo in Europa, Editori Laterza, terza ed. economica 2007, prima edizione 1978, p. 10. 3 FREDRICKSON George .M. "Breve storia del -razzismo', Universale Donzelli - ed-, 2002, p. 15 . 4 Per l’ evoluzione dalla xenofobia all’olocausto, cfr. CANDIDO Annalisa, Dalla xenofobia alla discriminazione religiosa e razziale, alla schiavitù, all’olocausto, ricerca inedita, svolta nell’a.s. 2002 - 2003. Per quanto riguarda la Francia, non si può dimenticare il caso Dreyfus, che ebbe luogo durante un periodo di acceso antisemitismo. 5 Cfr. per approfondimenti cfr.: RUATA PIAZZA Ada, PASCHETTO Dario, Storia dossier – Dalle rivoluzioni alla grande guerra, Petrini ed., 2003. 6 Storia di Carnia - Cjargne Online in: www.cjargne.it/storia.htm 7 Ruggero Timeus nacque a Trieste il 16 febbraio 1892, da famiglia appartenente alla piccola borghesia locale. Dopo gli studi ginnasiali, si iscrisse all'Università di Graz, senza però laurearsi. Non ancora ventenne si trasferì in Italia, prima a Firenze, poi a Roma. Si fece conoscere, grazie alla collaborazione saltuaria con due giornali irredentisti, per il suo acceso nazionalismo e per il suo irredentismo esasperato, che si fondava sulla supremazia della componente italiana della popolazione triestina su quella slava. Tale posizione lo allontanò dagli irredentisti più moderati, come Scipio Slataper e Giani Stuparich. Allo scoppio della grande guerra, si arruolò volontario fra gli Alpini, e fu inquadrato, con il grado di tenente, nel battaglione "Tolmezzo" dell’ 8º Reggimento Alpini. Perse la vita in battaglia, ventitreenne, sul Pal Piccolo, il 14 settembre 1915. Le sue idee furono diffuse anche attraverso un suo libretto intitolato:Trieste, e pubblicato a Roma nel 1914. (it.wikipedia.org/wiki/Ruggero_ ). 8 it.wikipedia.org/wiki/Trieste. 9 storiaterritoriotrentino.fbk.eu/contenuti/eta.../monarchia.../irredentismo. 10 La Triplice alleanza fu un patto militare difensivo stipulato il 20 maggio 1882 a Vienna dagli imperi di Germania e Austria (che già formavano la Duplice Alleanza) e dal Regno d'Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Italia, dopo un lungo percorso di avvicinamento e di accordi con la Francia, con la Gran Bretagna e con la Russia, in forza dell'articolo 4 del trattato, dichiarò la sua neutralità. Nel 1915 la Triplice intesa propose all'Italia, in cambio della sua entrata in guerra contro l'Austria, ampliamenti territoriali a scapito di Vienna e una posizione di dominio nell'Adriatico. Lo stesso anno l'Italia rifiutava le inferiori proposte 15 dell'Austria, denunciava la Triplice alleanza ed entrava nel conflitto contro l'Austria. (it.wikipedia.org/wiki/Triplice_alleanza_(1882). 11 Il dato è ripreso da: Da Vittime della prima guerra mondiale, in: www.lucadia.it. 12 Frase dalla canzone: O Gorizia tu sei maledetta” per la quale si rimanda alla nota 1 di questo testo. 13 FABIAN Osvaldo, diario fotocopiato nel 1983, presente in Archivio Giorgio Ferigo, Comeglians, p. 34. 14 DEL BIANCO Giuseppe, La guerra e il Friuli, opera in 4 volumi, ristampa anastatica 2001, vol I, pp. 334 – 335. 15 Ivi, pp. 335- 336. 16 Ivi, pp. 336- 337. 17 Ivi, nota 10, p. 353. 18 Ivi, nota 12 p. 354. 19 Ivi, note 13, 14, p.355. 20 Ivi, n. 12, p. 375. 21 Ivi, p. 337. 22 Da: www.storiologia.it/mondiale2/bollettino00.htm. 23 Ivi. 24 Ivi. 25 DUBINI MASSIMO, La casa del diavolo, origine e caratteri del movimento operaio nella val Pesarina, tesi di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, relatore Umberto Sereni, a.a. 2002 – 2003, p. 88. 26 Il riferimento è a Camille Barrère (La Charité-sur-Loire, 23 novembre 1851 – Parigi, 7 ottobre 1940) diplomatico francese. Ex comunardo, poi giornalista, entrò in diplomazia grazie alla volontà dei diversi governi della Terza Repubblica francese di ampliare la base sociale di questo corpo fino ad allora riservato essenzialmente all'aristocrazia o all'alta borghesia.Barrère rappresentò il governo francese a Roma dal 1897 al 1924. In tale veste favorì la firma di un trattato di commercio tra la Francia e l'Italia, elaborò un regolamento cordiale sul contenzioso coloniale in Libia, agì per mantenere l'Italia neutrale nel settembre 1914 per poi a condurla all'alleanza con l'Intesa franco-britannica nel 1915. (it.wikipedia.org/wiki/Camille_Barrère). 27 Qui si intende Prato Carnico, ove il gruppo socialista massimalista ed il movimento operaio erano molto forti. Osvaldo Fabian era uno dei massimi esponenti dello stesso assieme al padre Giacomo. 28 Trattasi di Giuseppe Ernesto Piemonte, nato a Canelli, in Piemonte, il 20 aprile 1878. Socialista, fu inviato ad Udine, ai primi del 1900 per collaborare con Giovanni Cosattini per organizzare il segretariato dell’emigrazione e rimase in Friuli sino alla morte, avvenuta ad Udine il 17 febbraio 1960. Fu consigliere comunale, consigliere provinciale e deputato alla camera per i socialisti dopo il 1919. 29 Si tratta di Giusto Venier, allora sindaco di Villa Santina. 30 Anche al giorno d’oggi ai nuovi Funzionari di Polizia viene consegnata la Sciarpa Tricolore. Risale al 20 marzo del 1864 la prima previsione normativa che faceva obbligo ai Funzionari di pubblica sicurezza di fregiarsi di un “nastro 16 tricolore ad armacollo” ogni qual volta occorresse sciogliere una riunione o un assembramento ovvero fosse necessario impartire ordini e fare intimazioni in nome della legge. (Da: Giornata nazionale della bandiera, in: questure.poliziadistato.it › ... › Firenze › Tutte le notizie › Attualità12/gen/2010). 31 FABIAN Osvaldo, op. cit., pp. 34- 40. 32 DUBINI MASSIMO, op. cit., p. 89 33 Ivi, pp. 89 – 90. 34 Ivi, p. 90. 35 Ivi, pp. 88- 89. 36 Giacomo Fabian, operaio emigrante, padre di Osvaldo, autore del testo. 37 FABIAN Osvaldo, op. cit., p. 40. 38 Ottavio Puntil, scalpellino, emigrato in varie località della Germania (Sassonia, Vesfalia, ecc.), in Siberia e in sud America, segretario della sezione socialista di Prato Carnico e nel 1913, da poco rimpatriato dall'Argentina, presidente della Società Casa del Popolo. Membro anche del Consiglio della Federazione Socialista Carnica, morì a 48 anni, poco dopo la fine della 'grande guerra'. (Puppini Marco, Movimento operaio e solidarismo in val pesarina dal primi del ‘900 alla Resistenza, in: AA.VV., “Compagno tante cose vorrei dirti… “ Il funerale di Giovanni Casali, anarchico – Prato Carnico 1933, Centro editoriale Friulano, 1984, p.54). 39 Antonio Casali, muratore in varie località della Germania. 40 Giobatta Cleva, muratore in varie località della Germania. 41 Trattasi di Giacomina Petris. 42 FABIAN Osvaldo, op. cit., p.40. 43 Si tratta di Lorenzo, (detto Renzo) Cristofoli, socialista, fra i fondatori della S. e.c.a.b., e facente parte della Cooperativa Carnica di Consumo, come addetto alla consegna merci ed ai rapporti con le filiali. 44 DEL BIANCO Giuseppe, op. cit. vol.I°, pp. 373- 374. 45 Cfr. per esempio, l’esperienza di profuganza descritta da Romano Marchetti in: MARCHETTI Romano (a cura di Laura Matelda Puppini) Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel ‘900 italiano, ifsml e kappavu ed. 2013, pp. 29- 31. Per l’argomento in generale cfr. pure, FOLISI Enrico, 1918. L'Orribile anno della vittoria, immagini e parole della guerra, della profuganza e dell'occupazione delle province friulane invase, Forum 2009. 46 FABIAN Osvaldo, op. cit., pp.40- 46. 47 Ivi, pp. 46- 47. 48 DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, La Grande Guerra in Carnia, Gaspari ed. 2006, p.14. 49 Ivi, p.15 – 16. 50 Cfr. Ivi, pp. 15- 23. 51 Ivi, p.68. Citazione da: don Enrico Madussi, Archivio parrocchiale di Zuglio. 17 52 Ivi, p.68. 53 Ambedue le citazioni si trovano in DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, op. cit., p. 68. 54 Ivi, p.69. Citazione da: don Giovanni Battista Della Pietra, Archivio parrocchiale di Paularo. 55 Ivi, p. 70. 56 Ivi, p. 73. 57 Ivi, p. 74. 58 Ivi, p. 74. Citazione da don Facci Gian Battista, archivio parrocchiale di Rivalpo. 59 « Il primo comunicato di Cadorna al governo, bollettino che in seguito fu modificato ed attenuato dall'intervento della censura, dichiarava che “La mancata resistenza di reparti della II Armata vilmente ritiratasi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze armate austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte giulia”. Successivamente lo stesso generale però affermava che «L'esercito cede, vinto, non dal nemico esterno, ma dal nemico interno», volendo in questo modo attribuire la disfatta alle mancanze morali e politiche dell'intera nazione.» (it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Caporetto_(storiografia). 60 DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, op. cit., pp. 75- 76. Citazione da don Giovanni Battista Facci, cit.. 61 Ivi, p. 79. 62 Ivi, p. 122. Citazione da don Candoni Emilio, archivio parrocchiale Pieve di Gorto. 63 Ivi, p. 108. 64 Ivi, p. 108. 65 Ivi, pp. 109 – 110. Per la requisizione delle campane carniche, cfr. Ivi, p. 114- 116. 66 Si tratta del generale Otto von Below, per la cui figura si rimanda a it.wikipedia.org/wiki/Otto_von_Below. 67 DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, op. cit., p.94. La situazione, per quanto riguarda le requisizione ed il lavoro coatto, non pare si diversifichi molto durate la seconda guerra mondiale quando gli occupanti erano i tedeschi e cosacchi. 68 Moneta fittizia, emessa, per ordine degli stati occupanti, dalla Cassa Veneta, che non aveva alcun patrimonio alla spalle. (Cfr. DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, op. cit., nota 11, p. 107). 69 Ivi, pp. 94- 96. 70 Ivi,p. 87. 71 Ivi, p. 88. 72 Da: Appunti e disappunti sulla grande guerra, in: www.cjargne.it/alpinortis.htm 73 DREOSTI Angelo, DURI’Aldo, op. cit., p.90. 74 Ivi, p.134. Citazione da don Angelo De Reggi, Archivio Parrocchiale Sutrio. 18 75 Ivi, P.140. citazione da don Emilio Candoni cit.. 76 Ivi, p. 168. Citazione da don Ugo Larice, cit.. 77 PUPPINI Laura (Matelda), Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le Cooperative Carniche, GIi Ultimi, 1988, pp. 68 - 69. 19