Via Lattea - Il mondo di Lila

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VIA LATTEA
- Lila -
Il latte è latte, deve starsene lì buono, buonino
nel frigo fino alla mattina, finché non arrivo io
che lo prendo, gli do una scaldatina e inizio a
interrogarlo.
Il latte se ne deve stare lì, immobile e lasciarmi
domandare, finché non diventa freddo
nuovamente e io lo scaldo un’altra volta ancora.
Il latte del mattino conosce un sacco dei miei
segreti ed è quello che ne sa più di tutti riguardo
ai miei sogni.
Stamattina non lavoro, ho preso un giorno tutto
per me, regalo di compleanno.
Il latte mi guarda ed è il primo a farmi pensare
che non sono cresciuta poi tanto: esatto, a volte
lo bevo proprio come i bambini, con un po’ di
Orzobimbo-bim-bum-bam dentro.
Ora mi guarda, mi osserva con quella sua faccia
perennemente pallida e, prima che lo colori di
marrone, mi rivolge la sua prima domanda:
“E come pensi di festeggiare oggi?”.
Sono ancora troppo addormentata quando ha
deciso di pronunciare queste parole. Faccio finta
di niente, appoggio le labbra al bordo della tazza,
gli soffio, credo sia ancora bollente.
Immergo la faccia nel buio di questa ceramica
che mi scalda le mani, il mio naso ingombrante
riesce perfino a toccare questo latte la cui
brillantezza sembra riflettere l’immagine dei miei
pensieri.
Di solito, quando mi fa domande alle quali non
so rispondere, slurp, lo ingurgito tutto d’un
fiato. Questa è una di quelle volte, ma sto
esitando, il che è ancora peggio: mal sopporta le
indecisioni.
A un certo punto, seppure sembra intiepidirsi,
incalza: “Allora? Come pensi di festeggiare
oggi?”
Si scalda, altroché, così tanto da scottarmi la
lingua.
Non lo so, fatti venire qualche bella idea, lattino
delle mie brame.
A lui piace quando gli do importanza: il suo ego
si gonfia come quando bolle nel pentolino.
“Sta passando un altro anno: non è il caso di
darti una mossa?”
Accidenti, deve aver voglia di fare discorsi
pesanti e siccome è un latte poco digeribile,
continua: “Hai compiuto un altro anno e non
stai combinando nulla di buono!”
Evviva, ma che bella accoglienza stamattina!
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Meriti proprio due sorsetti netti. Vedi, lattino, ti
stai prosciugando nella mia tazza, se vuoi che
nulla più rimanga di te, ti conviene avere un po’
più di rispetto per questa ventiduenne.
Comunque, vieni al dunque: con te è inutile
tergiversare, anche se, attento, potrei versarti nel
lavandino.
“Un anno in più è come una stella, dipende solo
da te se lo vuoi far brillare” asserisce facendosi
un po’ più scuro in volto – credo di avere
esagerato con la polvere d’orzo.
Be’ non direi, una stella brilla indipendentemente da tutto, è nella sua natura brillare, dico
io.
“Non è proprio così. Alcune stelle sembrano
splendere, invece non ci sono già più: la
luminosità impiega anni luce per arrivare alla
Terra. È tutto una specie d’illusione. La verità è
lontana dagli occhi”.
Il solito lattino saccente.
Quindi cosa vorresti dire? Vieni al dunque!
“Che dipende da te, da quello che conosci
davvero di quella stella. Brilla veramente?
Oppure è solo un’illusione?”
Lattino, sono ancora mezza addormentata, non
capisco, a cosa stai alludendo?
“Alla tua illusione che non brilla più: stai ancora
dormendo! Non hai ancora aperto gli occhi sulla
tua storia!”
Non ho ancora aperto gli occhi, punto. Calma,
dammi il tempo, vado a sciacquarmi la faccia e
poi facciamo i conti. Aspetta.
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Mentre lascio scorrere l’acqua fresca sul mio
volto, la mente inizia a schiarirsi. Diventa duro
guardarsi allo specchio quando un latte esigente
è in cucina ad aspettarti. Un latte un po’ pesante.
Lo è sempre stato per me, indigesto, ma
riconosco i suoi straordinari effetti: mi fa bene
alle ossa e queste devono sostenere tutto il mio
essere di poco più di cinquanta chili tra materia
grigia, muscoli, grassi, nervi, liquidi, organi più o
meno funzionanti.
Ritorno in cucina. È diventato nel frattempo
freddo, non spiccica parola.
Lo scaldo nuovamente, un po’ si scoccia, ma
sopporta.
Con la faccia sempre più incupita, ma più cauto
dice: “Stai annegando in me la tua sofferenza,
ma non hai ancora imparato una cosa”.
Quando parla così, so che non vuole essere
interrotto, quindi aspetto che continui: “Non hai
imparato a trattarmi come un latte e basta. Sbagli
a prendere me come tuo confidente: mi fai
domande, mi parli, mi racconti. Basta! Io sono
un latte e tale devo rimanere: appena tolto dal
frigo sono freddo, bianco e indifeso; poi mi
accendi, mi scaldi e mi fai nero. Ti lascio fare,
accetto anche che tu mi prenda in giro con lo
zucchero e sono così affabile che potrei anche
pensare di essere sulla bocca di tutti. Oltre a
questo, però, non posso più sopportare! Invece,
tu mi riempi di domande, di pensieri, di cose
senza senso per un latte. È più di un anno che
vai avanti così. Ti lamenti, ti arrovelli. Vorrei
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fare una scrematura dei tuoi pensieri e forse
avresti dovuto scegliere un latte parzialmente
scremato, ma io assorbo tutto, perché sono un
latte intero; per di più, ti dico tutto quello che
penso: tu non stai più brillando, la tua storia non
brilla più dentro di te!”
Rimango a bocca aperta. Ho ventidue anni oggi,
non ho più denti da latte, eppure costui mi parla
come nessuno ha mai fatto prima di adesso,
cogliendo in pieno tanta sostanza.
Vorrei tuttavia non continuasse a parlare e
provo un desiderio grande di azzittirlo, ma
prima di tentare a deglutire l’ultima sua parte,
affonda: “Hai bisogno di scoprire cosa non va
nella tua storia. Io sono solo un latte e tra l’altro
il detto stabilisce che Non puoi piangere sul latte
versato. Non puoi continuare a versare su di me
le tue lacrime, devi poterci fare qualcosa!”
Vero.
Quante lacrime ho versato nelle mie tazze di
latte con Orzobimbo dentro. Già. Trascorro il
tempo con un ragazzo che è sì dolce, carino, ma
dal quale non mi sento gran che compresa. Dal
mio canto, poi, un giorno gli chiedo di portarmi
la luna e il giorno che me la porta, gli dico di
rimetterla al suo posto; il dramma è che
nemmeno si infastidisce! Così, mi riduco a
parlare con il mio latte, di quanta sfortuna mi
capita di stare con un ragazzo che considero la
mia vera disgrazia.
“Non dimenticare: l’amore è come una palla da
bowling, deve calzare al meglio, altrimenti ti
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sfugge di mano. In più, non puoi passare il resto
della tua vita a parlare con me. E poi di che cosa
posso parlare io?”
In realtà, lattino mio, tu la sai lunga, sei un latte a
lunga conversazione! Ma ho capito dove vuoi
arrivare. Sono giunta al capolinea, non è vero?
“Credo proprio di sì e non puoi più continuare a
fingere. Vedi, un latte e una mozzarella possono
stare bene insieme, possono avere delle cose in
comune da condividere. Possono parlare del
lattosio, delle allergie ai latticini, delle mucche al
pascolo sulle montagne. Insieme possono aprire
una latteria o vivere felici in prateria; ma tu e
Alfredo non parlate mai, non avete più nulla da
dirvi o da condividere”.
Vero.
Alfredo ed io ci guardiamo negli occhi, ma non
ci vediamo più. E quando chiudiamo gli occhi,
sogniamo di essere lontano.
Non ha più senso tutto questo, tu hai
perfettamente ragione, lattino, dici allora che mi
devo decidere a darci un taglio? Ma non è
semplice, sai?
“Fatti questo regalo di compleanno. Dacci un
taglio” conclude con un filo di latte.
Non so se troverò il coraggio. Per oggi, però, mi
concederò un taglio da “Colpo di testa”, il mio
amato parrucchiere in centro. Il ragazzo che lava
i capelli mi fa sempre tante domande ed è in
grado di trasformare il mio cuoio capelluto in
un’invidiabile pelle d’oca, tanto mi fa sognare.
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Magari stasera, a cena fuori, di fronte alla torta
di compleanno riuscirò a dire: “Alfredo,
stamattina ho parlato a lungo con il mio latte e
lui mi ha fatto capire che queste candeline non si
possono più accendere così. Per favore, prendi
le tue cose e portale lontane anni luce da me:
non brillano più. Lascia che il firmamento possa
riprendere il fiato, lascia che i nostri cuori
respirino nuovamente. Lascia, mio caro, che
tutto riprenda il suo ritmo naturale, che i sensi
rinascano senza più impedimenti, lascia entrare il
profumo del mondo, lascia scorrere la musica
intorno, lascia la tua anima cavalcare le onde e
lasciala amare come ne ha veramente bisogno.
Lattino, avevi ragione: chissà, a volte manca solo
il coraggio di stare un po’ con il naso insù e
trovare la forza di capire cosa sia.
Per esaudire un desiderio non basta soffiare
lucine su una torta o aspettare di vedere stelle
cadenti. Non è facile certamente scorgere le
nostre vere stelle che si nascondono dietro
quelle che non splendono più. Ci vuole appunto
molto coraggio per svegliarsi un giorno e capire
che non ci sentiamo più le stesse, che spesso
proiettiamo solo illusioni e additiamo gli altri,
incolpandoli di non renderci felici, mentre in
realtà il problema è solamente nostro, del tutto
personale e solo noi abbiamo la grande
responsabilità nella scelta più importante per noi
stesse: quella di renderci felici.
Sembra la notte di San Lorenzo: cadono una
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dietro l’altra le mie stelle irreali e con esse tutte
le mie paure.
È bastato un soffio di desiderio e un buon vento
a rendere il cielo più chiaro ai miei occhi.
Ah, che meravigliosa Via Lattea, stasera…
(disegni di D. Ferrante)
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