Dal comportamento economico alla razionalità sociale

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Gian Primo Cella
DAL COMPORTAMENTO ECONOMICO
ALLA RAZIONALITÀ SOCIALE.
ALCUNI CENNI ALLE PARTICOLARITÀ DEL MONDO RURALE
1. Razionalità sociale e istituzioni .................................pag. 3
2. L'orientamento dalle istituzioni ................................... «
9
3. Verso una razionalità cognitiva ................................... « 14
4. Particolarità del mondo rurale...................................... « 21
Riferimenti bibliografici .............................................. « 27
1.
Razionalità sociale e istituzioni
Conciliare l'individuo con la società, i suoi interessi con gli orizzonti della
società, le sue forme di ragionamento con il sapere o la "coscienza" dell'ambiente
sociale circostante, è da sempre, in modo più o meno implicito, il tema al centro
della riflessione delle scienze sociali. Una riflessione preceduta da almeno due
secoli di pensiero all'incrocio fra economia e filosofia morale.
Il tema,
trasformato in questione, ha trovato molteplici risposte, più o meno fruttuose di
ulteriori riflessioni, e più o meno durature. Una molteplicità originata anche dal
conflitto fra le due soluzioni estreme proposte alla questione della conciliazione,
quella che riconduceva tutto all'individuo, e quella che
si richiamava alla
determinazione pressochè esclusiva della società. Un conflitto non solo
metaforico, se pensiamo alla vivacità di quel Methodenstreit ottocentesco, che in
parte coinvolgeva proprio tale questione. Talvolta, come in questi ultimi due
decenni, il conflitto si è trasferito sulla scena politica, ed anche in questo caso le
soluzioni estreme non sono mancate. Si pensi a quella negazione di quel
"qualcosa" a cui sia attribuibile il termine società a cui si riferiva in termini
espliciti, ed eticamente molto impegnativi, il leader politico più famoso della
riscossa neo-liberale, ovvero la iron lady Margaret Thatcher.
I conflitti sono vivaci, ma non sempre molto fruttuosi nelle scienze sociali,
specie quando si trasformano in scontri con caratteri ideologici. C'è di buono che
in questi ultimi tempi, anche al fine di conciliare maggiormente, dietro a
individuo e società, l'economia con le altre scienze sociali, non sono mancate
riflessioni che hanno introdotto atteggiamenti pacifisti, se non irenici, fra le
soluzioni estreme, aspramente contrapposte. Pensiamo a grandi economisti come
Arrow, con i suoi dubbi sulla possibilità di ricondurre la razionalità in modo
esclusivo all'individuo isolato, a storici economici come North, che pur
proveniendo dalla New Economic History si è adoperato per imporre le istituzioni
sociali nel discorso economico, ad eclettici scienziati sociali come Elster, che nel
mentre sottopone le scelte degli individui al vaglio e ai paradossi della razionalità
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
3
strumentale riconduce sulla scena a pieno titolo, correndo il rischio dell'ingenuità,
le norme sociali adottate senza ragioni di strumentalità.
Anche le riflessioni che qui propongo potranno giovarsi di questo insieme di
contributi, eterogeneo nelle ispirazioni teoriche e nei percorsi analitici, ma unito
da una certa volontà di ricomposizione dei frammenti delle scienze sociali. In
questo quadro, adottare posizioni eclettiche non dovrebbe essere più considerato,
per necessità, fonte di precarietà teorica e metodologica. L'obiettivo sarà quello
di
proporre un
sentiero lungo il quale valutare i rapporti e i contrasti fra
comportamento economico (quasi sempre individuale) e razionalità sociale, con
particolare attenzione alle particolarità che questo rapporto e questa tensione
assumono nel mondo rurale, o nella sfera della produzione agricola.
Entro questo quadro e con questo obiettivo non dovrebbe essere necessario
iscriversi a qualche particolare scuola di pensiero, per considerare, come punto di
partenza, che il comportamento economico si manifesta normalmente all'interno
di assetti istituzionali. Il primo rapporto che occorre quindi considerare è quello
fra comportamento e istituzioni, intese in senso molto generale come insiemi di
regole formali ed informali che svolgono il compito di selezione fra i tanti
comportamenti possibili, sanzionandone alcuni e incentivandone altri. Una
relazione che sarà meglio intesa come intercorrente fra azione e istituzioni, se si
vuole con il termine azione accentuare gli aspetti intenzionali, o di significato, per
i soggetti. Con i connessi problemi di scelta.
Questa collocazione del comportamento economico all'interno di istituzioni,
sociali o specificamente economiche, è più che mai richiesta proprio dall'obiettivo
di queste note: proporre un percorso adatto in particolare ai comportamenti che
hanno luogo in agricoltura. Se uno sforzo eroico di astrazione va comunque fatto
per immaginare un comportamento economico nel vuoto istituzionale, tali sforzi
diventano quasi impossibili, insostenibili, nel caso più specifico dell'agricoltura.
Saranno solo delle strutture ed istituzioni sociali, come quelle della reciprocità
familiare o tribale, per molte produzioni agricole di sussistenza (ad esempio nelle
società primitive) o
istituzioni politico-economiche come quelle dell'Unione
Europea per l'agricoltore nostro contemporaneo, ma sempre i comportamenti, e le
scelte, del mondo agricolo sono più o meno orientati dalle istituzioni. Non solo,
se si pensa alla storia europea, vediamo come tutte le grandi trasformazioni
4
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
istituzionali siano passate in primo luogo attraverso l'agricoltura, a segnalarne una
duratura centralità negli equilibri
delle relazioni sociali e della
stessa
sopravvivenza umana1.
Un ulteriore chiarimento è imposto dall'altro polo concettuale che ho
introdotto nel titolo di queste note, dopo comportamento (o azione), ovvero
razionalità sociale. Un chiarimento opportuno, visto che esso richiama uno dei
più noti problemi teorici del modello economico. E' bene dire subito che non mi
occuperò qui del problema centrale dell'economia del benessere che, come ci
ricorda Arrow nel saggio del 1951, è proprio quello di "derivare dai desideri degli
individui un massimo sociale" (1977, p.5). Ovvero del famoso teorema che a
questo autore si richiama: la impossibilità di rispettare una nozione di razionalità
collettiva
speculare
a
quella
di
razionalità
individuale,
rispettando
contemporaneamente una serie di assiomi che garantiscano la democraticità della
scelta. Quello che qui si propone ha solo un legame metaforico con questo
problema, con minori esigenze assiomatiche e senza vincoli di massimizzazione.
Si vuole piuttosto richiamare con la dizione razionalità sociale l'adozione da
parte dei soggetti di una logica di decisione che vada oltre il livello della
razionalità individuale, ed anche che non si limiti ad un ambito di riferimento, o a
un orizzonte temporale, di cortissimo periodo. Con la prima logica si favoriscono
forme di cooperazione, e si tengono sotto controllo i comportamenti da free-rider.
Con la seconda si attenua la "miopia" sociale, ovvero ci si convince ad agire e a
decidere tenendo conto nel presente delle conseguenze nel futuro delle proprie
scelte. E' evidente il legame fra le due logiche: la cooperazione sarà favorita e
meglio focalizzata, continuando la metafora oculistica, con una buona correzione
della miopia.
Con la cooperazione e con comportamenti non miopi si favorisce la
realizzazione dell'ordine sociale, conducendo alla riduzione o al controllo, se si
segue il discorso di Elster (1995, pp.11-12), di due fonti di disordine: l'assenza di
1
Si pensi alla definizione dei diritti di proprietà, che ha anticipato il trionfo della società
dell'individualismo possessivo (come direbbe Macpherson, 1978), e che si è tradotta
innanzitutto nei processi di chiusura delle terre (su questo Dovring, 1974, pp.679-685).
Si è rilevato anche che, in certi momenti, una riforma istituzionale dell'agricoltura è
considerata come un presupposto necessario all'avvento dell'industrializzazione: così
rileva Gerschenkron (1976, cap.VII) nella sua ricostruzione della politica agraria russa
a partire dall'atto del 1861 che proclamava la abolizione della servitù della gleba.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
5
cooperazione e l'assenza di prevedibilità. Elster rappresenta questo disordine
attraverso due famosi immagini classiche. La prima richiama la visione
hobbesiana della vita delle origini, come "solitaria, povera, sgradevole, brutale,
breve". La seconda identifica il dramma della incertezza, nella visione della vita
del Macbeth, secondo la quale essa appare come "una storia raccontata da un
idiota, piena di clamori e di furia, che non significa niente". La drammaticità di
queste immagini ci riconduce ai clangori della rivoluzione inglese del XVII
secolo (v. Morton, 1972), tuttavia è difficile rendere meglio situazioni nelle quali
i soggetti, da una parte, non potendo contare in alcun modo sull'aiuto degli altri
sono condotti ad intraprendere solo comportamenti egoisti, dall'altra, sono
rinchiusi nel breve periodo dall'insicurezza e dalla incertezza derivanti dalla
incapacità di prevedere gli effetti delle proprie e delle altrui scelte.
Con razionalità sociale, lo si sarà capito, non ci si vuole riferire ad un attributo
o a dei corsi di azione della società. Quest'ultima non può mai essere considerata
come un attore sociale a patto di incorrere in quella "trappola del realismo" sulla
quale Simmel ci ha messo in guardia una volta per tutte. Questa concezione
realistica delle strutture sociali è implicitamente seguita da una buona parte della
teoria sociale, specie di ascendenza durkheimiana. Se non si intende adottare
questa concezione non è tuttavia necessario aderire alla visione opposta, che
attribuisce la razionalità (per il momento non meglio definita) esclusivamente ai
singoli soggetti. Saranno infatti le istituzioni a strutturare, a scoraggiare o a
favorire la razionalità dei singoli e, ad alcune condizioni, a sostenere l'adozione di
corsi di azione coerenti con la logica della razionalità sociale. Tale impostazione
dovrebbe essere già chiara dalle prime righe di questo scritto, ma su di essa si
tornerà più oltre.
Se rimandiamo più avanti l'esplicitazione di ciò che possiamo intendere per
razionalità, qualcosa va detto ancora sull'aggettivo sociale. Esso più che un
soggetto identifica un oggetto, ovvero qualifica una categoria di razionalità che
partendo dagli individui singoli, orientata e strutturata dalle istituzioni sociali ed
economiche-sociali, conduce a considerare in modo esplicito le conseguenze sugli
altri, sui diversi assetti di convivenza sociale, delle scelte intraprese2. Ovviamente
2
L'antropologa Mary Douglas (1995, p.8) sembra, su questi aspetti, seguire una
impostazione simile, ad esempio quando nella "lettura" del Mulino del 1994 così si
6
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
non di tutte le scelte relative a tutte le transazioni economiche, ma solo di quelle
che coinvolgono la cooperazione degli altri, o dipendono dagli orizzonti temporali
nelle quali si collocano.
Gli economisti parlerebbero a questo punto di internalizzazione delle
esternalità, talvolta di ottimalità paretiana, altre volte di considerazione degli altri
nelle proprie funzioni di utilità. Ma sono dizioni troppo esigenti e che implicano
l'adozione di un tipo particolare di razionalità, quella economico-strumentale.
Dall'ottica della teoria sociale questo, come si vedrà, non è necessario. La
considerazione degli altri è necessaria per favorire la cooperazione: è difficile che
altri soggetti siano disposti a cooperare in presenza esclusiva di mie scelte egoiste
od opportuniste.
Ma si accompagna anche alle scelte che riducono
l'imprevedibilità e l'insicurezza: il disordine sociale in questo caso non nasce solo
dalle conseguenze disastrose su di me delle mie scelte passate, ma anche dalla
reazione degli altri ad una aggregazione di scelte individuali miopi.
Sempre con l'intenzione di evitare la reificazione dei concetti, specificazioni
ulteriori sono richieste proprio dal significato dell'aggettivo sociale. Esso si
riferisce non tanto al sistema sociale, piuttosto ad un ambito nel quale le
transazioni intraprese dagli individui (o dai loro rappresentanti) si aggregano con
una certa coesione, e ad un livello al quale la percezione di tale aggregazione
acquista un senso per i soggetti che hanno intrapreso le transazioni stesse. Per i
lavoratori di una azienda in crisi che accettano nei "contratti di solidarietà" lo
scambio fra riduzione del salario e riduzione dell'orario al fine del mantenimento
del posto di lavoro, il livello sociale è ritrovabile nell'insieme dei lavoratori
dipendenti dalla azienda e talvolta anche nell mercato del lavoro locale o
nell'intera categoria sindacale. Per
i contadini di una comunità alpina che
gestiscono secondo la logica della reciprocità l'utilizzazione del patrimonio
forestale, l'ambito sociale di riferimento può essere composto dalla comunità ed
anche dagli utenti del patrimonio ad altro titolo (escursionisti, associazioni
naturaliste, ecc.). Per i lavoratori di una categoria dell'impiego pubblico alle prese
con la scelta fra le diverse opzioni pensionistiche, in una situazione di possibile
scambio fra pensionamento anticipato e riduzione per tutti gli appartenenti al
esprime: "Viene così alla luce il motivo profondo della nostra avversione per l'uomo
economico: la manchevolezza del suo concetto di responsabilità verso gli altri".
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
7
settore dell'importo delle pensioni,
l'ambito sociale delle transazioni è
identificabile con tutta la categoria dei dipendenti pubblici. Per i produttori di latte
sottoposti alla regolamentazione dell' Unione Europea alle prese con l'alternativa
fra scelte opportunistiche o l'accettazione dei tetti produttivi, l'ambito sociale può
coprire tutta la agricoltura nazionale, qualora sia in gioco la sua protezione
nell'ambito delle politiche agricole comunitarie.
Apparirà chiaro come questa relativizzazione del termine sociale, conduca alla
possibilità di tensioni fra i diversi livelli. Da questo punto di vista, le scelte frutto
della razionalità sociale conducono a esiti migliori rispetto a quelle guidate dalla
razionalità individuale (sono Pareto-ottimali, esattamente come nel dilemma del
prigioniero la scelta della cooperazione), ma possono configurare esiti disastrosi
per livelli sociali superiori, o comunque differenti (talvolta allo stesso livello, altre
volte anche inferiori). E' per questo che la cautela è d'obbligo, come sono da
evitare forzature idealizzanti ( o ideologiche). In taluni casi potrebbe risultare
improprio l'utilizzo stesso della dizione razionalità sociale. Per ciascuno degli
esempi sopra riportati è
possibile trovare possibili ricadute
socialmente
"irrazionali" per altri livelli. E' questo il problema di cui si è occupato anche
Olson (1984) nello studiare gli effetti a livello macro, sulla performance
economica di interi sistemi economici, di un associazionismo sindacale
particolaristico così capace di sconfiggere il free-riding a livello di base, ma così
"irresponsabile" delle conseguenze generali delle proprie politiche rivendicative.
Tuttavia si può affermare che, entro appropriati assetti istituzionali, è possibile
che le scelte socialmente razionali ad un livello sociale inferiore (ad esempio a
livello di un gruppo organizzato attraverso legami associativi) manifestino questo
tipo di razionalità anche per livelli superiori, addirittura per interi sistemi socioeconomici. Quando ciò accade, i gruppi e le associazioni, fonti di disordine
sociale e politico nelle teorie della democrazia liberale, si trasformano in risorse
per l'ordine. E' quello che è avvenuto negli assetti istituzionali concertativicollaborativi che si sono affermati nelle esperienze di molte democrazie centronord europee nell'ultimo mezzo secolo (cfr. Streeck e Schmitter, 1985). Le
istituzioni appropriate sono necessarie, ed esse configurano soprattutto delle
deleghe da parte dello stato e del sistema politico finalizzate al raggiungimento di
fini importanti e condivisi (come uno sviluppo senza inflazione). Tuttavia, se si
8
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
tiene conto delle argomentazioni di Olson più sopra ricordate, questi sbocchi
virtuosi a livelli sociali superiori dei legami associativi , dipenderanno anche dalle
modalità di soluzione o di controllo del problema del free-riding che si adottano
all'interno delle associazioni3.
E' difficile, quasi per definizione, che siano
utilizzabili per questi sbocchi delle associazioni abbastanza piccole da non essere
vulnerate dalle conseguenze delle proprie scelte particolaristiche, se non
opportunistiche. Lo saranno invece delle associazioni in grado (anche per
necessità) di farsi carico delle conseguenze delle proprie scelte. Sono le
associazioni che Olson definisce di tipo encompassing.
2.
L'orientamento dalle istituzioni
Se il comportamento economico avviene sempre all'interno del quadro fornito
dalle istituzioni economico-sociali, si pongono subito delle questioni rilevanti:
come si passa dal livello micro (quello del comportamento economico
individuale) al livello macro (quello del condizionamento e dei vincoli
istituzionali)? Come sorgono e come cambiano le istituzioni? Quali i rapporti fra
strutture sociali ed istituzioni economiche?
Le istituzioni economiche possono essere rappresentate, in modo sintetico,
attraverso il famoso modello di Karl Polanyi che configura tre diverse forme di
integrazione fra economia e società: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio
di mercato. Le istituzioni economiche, dal punto di vista della teoria sociale, sono
infatti insiemi di regole e sanzioni che hanno proprio il complito di integrare
l'economia alla società, ed anche, alla fin fine, quello di difendere la società dal
funzionamento stesso dell'economia. Nelle parole di Polanyi (1978, p.306): "la
reciprocità sta a indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici; la
redistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e
3
Olson dedica notevole attenzione ai problemi dell'organizzazione dei gruppi in
agricoltura, ad esempio l'American Farm Bureau Federation in Olson, 1977, pp. 153159. V. anche Olson, 1985.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
9
successivamente provenienti da esso; lo scambio si riferisce qui a movimenti
bilaterali che si svolgono fra due 'mani' in un sistema di mercato"4.
Sono chiare le necessità, e i requisiti, istituzionali delle diverse forme: la
reciprocità richiede gruppi sociali (parentali, tribali, di comunità) organizzati in
forma simmetrica; la redistribuzione necessita
di una qualche forma di
centralizzazione e di autorità centrale (una amministrazione burocratica che
utilizzi criteri "politici"); lo scambio di mercato, per dare luogo a relazioni di tipo
integrativo, richiede l'operare di mercati autoregolati attraverso i prezzi. I gruppi
simmetrici e le strutture centralizzate (con le istituzioni corrispondenti) si
presentano però come strutture della società, interne alla società, funzionanti con
criteri sociali (o politici). E' solo il mercato a presentarsi come struttura e
istituzione autonoma, che ritrova solo al suo interno i criteri di funzionamento (i
prezzi) e che si qualifica perciò come autoregolata, ovvero non necessariamente
rispettosa delle esigenze della società. Sarà quest'ultima caratteristica a costituire
per Polanyi quasi una ossessione analitica, e morale. Per questa distinzione
Polanyi creerà la
altrettanto famosa dicotomia fra economia embedded
(incorporate) e disembedded nella società5. Alla prima categoria apparterrebbe
l'economia nella forma della reciprocità e della redistribuzione, alla seconda
l'economia nella forma dello scambio di mercato.
Le forme di integrazione (o di allocazione) in quanto vere e proprie forme
istituzionalizzate
di
organizzazione
sociale
delle
attività
economiche
identificherebbero anche, in via indiretta, i tipi si sanzioni istituzionali (sociali,
politiche, economiche) che regolano i rapporti fra i soggetti che prendono parte al
processo economico6. Nella forma della reciprocità le sanzioni derivano dai
requisiti o dalle aspettative di comportamento imposti dal sistema parentale, dalla
4
Pressochè tutti gli scritti di Polanyi sono disponibili in italiano a partire dall'opera più
famosa The Great Transformation, apparsa in edizione originale negli Stati Uniti nel
1944. Molto ricca è anche in questi ultimi due decenni la letteratura "polanyiana". Per
una rivisitazione critica del modello delle tre forme, e per un suo adeguamento sulla
base delle riflessioni più recenti delle scienze sociali, mi permetto di rinviare a Cella,
1997.
5 Questa distinzione è stata ampiamente ripresa nei principali scritti della nuova
sociologia economica: ad es in Granovetter, 1985.
6 Su questo si sofferma in particolare H.W.Pearson (1983), uno degli allievi e
collaboratori più stretti di Polanyi. Questa precisazione sulle sanzioni andrà tenuta
presente soprattutto per quanto si dirà nell'ultimo paragrafo di questo scritto.
10
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
comunità, dalle reti di solidarietà, dai vincoli associativi. Si tratta di aspettative
generali e diffuse, la sanzione di conseguenza invaderà la vita sociale nella sua
interezza, quello che è in gioco è l'appartenenza e l'identità sociali del soggetto.
La sanzione inoltre sarà spesso inflitta dagli stessi attori delle transazioni. Nella
redistribuzione le sanzioni, specifiche ma talvolta anche generali (penali),
derivano da regole formali più o meno efficienti, emesse dall'autorità politica e
finalizzate al raggiungimento dell'ordine politico. Nel mercato il motivo dei
comportamenti è l'interesse individuale, i conflitti sono risolti dal movimento dei
prezzi, le sanzioni sono specifiche e attengono in prevalenza, se non
esclusivamente, alla sfera economica.
In questa occasione le tre forme polanyiane possono essere agevolmente
considerate come altrettante famiglie di istituzioni economiche (o, meglio,
economico-sociali), tutte ritrovabili nel mondo agricolo, ripercorso nella storia e
nella contemporaneità. Nelle reciprocità possiamo ricomprendere l'attività
tradizionale agricola di sussistenza, l'agricoltura tribale della Melanesia studiata
dai classici della antropologia economica (Malinowski, 1978, prima di tutti), ma
anche l'organizzazione attuale delle aree di pascolo in alcune comunità alpine.
Nella redistribuzione ritroviamo la gestione per ammassi delle produzioni
cerealicole nei grandi imperi centralizzati dell'antichità (l'Egitto dei faraoni), ma
anche l'organizzazione della produzione lattiera nell'Europa comunitaria. Nel
mercato collochiamo le grandi produzioni di cereali del Mid-West, sensibili
all'andamento dei prezzi alla borsa di Chicago, come le tipiche produzioni
specializzate europee di ortaggi o fiori.
Il modello polanyiano è, come si vede, di grande duttilità applicativa, sia in
senso diacronico che sincronico, ogni volta che appare necessario cogliere ed
apprezzare i rapporti fra strutture sociali ed istituzioni economiche, i diversi
criteri di regolazione e di allocazione, i corrispondenti tipi di sanzioni. Il suo
punto debole riguarda la questione del mutamento, ovvero delle ragioni di
passaggio fra le diverse forme e quella del ruolo dell'attore, ovvero del livello
micro. Ed è proprio ad una mancata specificazione di questo ruolo che si deve
buona parte della sua debolezza sugli aspetti dinamici. Tale specificazione è di
particolare rilievo in questa sede. Sarà infatti il soggetto, l'attore economico, per
tornare alle nostre preoccupazioni, ad adottare, sia pure orientato e incentivato
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
11
dalle istituzioni, schemi di razionalità sociale. Nell'utilizzare, almeno in parte, il
modello polanyiano un rischio, forse introdotto dallo stesso pensiero del grande
teorico sociale, va comunque evitato: quello di considerare la razionalità sociale
come appannaggio esclusivo delle prime due forme di integrazione (e di
allocazione), la reciprocità e la redistribuzione. Non è in questo senso, come si
vedà, che il modello va utilizzato.
In questa direzione, ci si inserisce lungo un cammino, che è stato molto ben
indicato, ed in parte percorso, da North (1994, p. 26): "Costruire una teoria delle
istituzioni sulla base delle scelte individuali è un passo verso una migliore
armonia tra la scienza economica e le altre scienze sociali". Forse è da ridurre
qualche eccesso di "individualismo metodologico", del resto piuttosto controllato
nella argomentazione dell'autore, ma l'indicazione è chiara. Questa teoria delle
istituzioni è ancora distante, tuttavia l'indicazione resta tracciata, ed i connessi
cambiamenti richiesti alla prospettiva tradizionale degli economisti, restia ad
assegnare ruoli rilevanti alle istituzioni, non sono di poco conto. Il risultato, ci
dirà più avanti North iniziando ad affrontare i divergenti sentieri di sviluppo
dell'America del Nord e dell'America Latina, sarà "un sistema teorico che offre
una qualche speranza di collegare il livello dell'attività microeconomica con
quello degli incentivi macroeconomici forniti dal sistema istituzionale" (ibid.,
p.162). E questi incentivi derivano dagli assetti istituzionali, così come questi
sono plasmati dalle istituzioni sociali di fondo. Per capire i fallimenti delle
istituzioni economiche latinoamericane, incapaci di fornire gli incentivi adatti alla
modernizzazione economica, bisognerà così riandare a quelle strutture sociali
centralizzate ereditate dalla tradizione spagnola, ed in particolare di quelle nate
sugli altopiani della Castiglia. In questo senso, i sentieri dello sviluppo si
accompagnano a dei veri e propri sentieri istituzionali (institutional path).
Nel processo di relazione fra micro e macro, i due contatti che meritano una
attenzione particolare sono quelli fra istituzioni sociali (e strutture macro-sociali)
e comportamenti individuali, da un lato, e fra questi ultimi e le istituzioni
economiche. Una impostazione efficace potrebbe essere ottenuta
attribuendo
all'attore delle possibilità di scelta all'interno di un quadro fornito dalle strutture o
dalle istituzioni macro-sociali (la comunità di villaggio alpina nell'esempio dei
pascoli), dalle istituzioni economiche (le regole di utilizzazione dei pascoli), da un
12
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
contesto istituzionale (l'insieme più o meno integrato di regole economiche,
politiche, sociali). Le tre dizioni "istituzionali" non sono generiche, o
considerabili come sinonimi intercambiabili, ma individuano delle situazioni
differenti. Ritornando al modello polanyiano, nella transizione fra micro e macro,
sono le scelte che potrebbero intervenire fra la fase 1 (istituzioni sociali o strutture
macro-sociali) e la fase 2 (comportamenti economici), ma anche fra la fase 3
(istituzioni economiche) e la fase 2 in un momento successivo.
In termini molto semplici, la domanda a cui si tenta di fornire una risposta in
questa sede è la seguente: in quali situazioni o contesti istituzionali, è possibile
che i soggetti di transazioni economiche, magari operatori del mondo rurale,
adottino scelte orientate da una qualche forma di razionalità sociale? Una tale
possibilità può essere favorita attraverso istituzioni, formali ed informali, che
forniscono una cornice od una "struttura", che conducono a "strutturare", a
orientare, ad ordinare le scelte e le decisioni dei soggetti. James Coleman (1987,
p.160) parlava a questo proposito di un "algoritmo" tutto particolare, con il
compito di introdurre "una istituzione che impone una particolare struttura al
sistema".
In questo senso è rilanciato il ruolo della sociologia nello studio dei processi
economici, con dei ritorni quasi ai decenni dell'età classica, a cavallo dei due
secoli (cfr. Gislain e Steiner, 1995). Sarà lo stesso Coleman ad esprimere
chiaramente questo ritorno (nell'intervista a Swedberg, 1994, p.56): "ciò che è
peculiare della sociologia non sono le azioni dei giocatori -che si possono
assumere come date- ma piuttosto l'insieme delle regole del gioco; le strutture
cioè in cui agiscono le persone: fissare gli obiettivi, costruire la struttura degli
incentivi e poi lasciare che il sistema funzioni". Si potrà obiettare sulla
considerazione come date delle azioni individuali, su qualche eccesso di teoria
della scelta razionale, ma il programma teorico e di ricerca sembra ben tracciato,
ed in buona parte condivisibile.
Per muoversi lungo questa direzione non sembra però necessaria la strada
forte della razionalità individuale (ovvero della razionalità economica
strumentale), che andrebbe talvolta sconfitta a favore della razionalità sociale.
Basterebbe seguire l'ispirazione derivante da affermazioni (inconsuete nel
mainstream economico anche se non nelle altre scienze sociali) come la seguente
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
13
di Arrow:"...voglio sottolineare che la razionalità non è una proprietà
dell'individuo isolato, sebbene sia normalmente presentata in questo modo.
Piuttosto, essa raccoglie non solo la sua forza ma anche il suo significato più
profondo dal contesto sociale nel quale essa è incorporata (embedded)" (1986,
p.201). Affermazioni che bene si adattano a programmi di teoria sociale come
quelli di Polanyi. Programmi e modelli che possono essere allora aggiornati ed
adattati, con l'introduzione dei meccanismi di scelta dell'attore, senza risultare
eccessivamente stravolti.
3.
Verso una razionalità cognitiva?
Per rappresentare, e interpretare le scelte che conducono verso la razionalità
sociale, certo non sarà possibile limitarsi al campo della razionalità strumentale7.
Occorrerà in qualche modo ragionare sui fini che i soggetti si pongono. Se, ad
esempio, fine del soggetto che intraprende l'azione, o che sceglie fra diversi corsi
di azione, è quello di preservare il proprio ambito sociale di riferimento, o la
propria posizione entro questo ambito, si potranno meglio rappresentare molte
"deviazioni" dal cammino della razionalità individuale. Si comprenderà anche
come, talvolta, questi orizzonti aiutino a fare uscire il soggetto dalla "tirannia"
delle microdecisioni (come direbbe Schelling), o ad evitare la frustrazione degli
stessi fini individuali in conseguenza di scelte socialmente "miopi".
Ma ragionare sui fini, e dunque sulla
razionalità dei fini, implica di
conseguenza misurarsi con una razionalità dei valori, senza i quali sarebbe
impossibile giudicare i fini. Su questo cammino weberiano, si riusciranno a
percepire le differenze fra le concezioni della razionalità tipiche dell'economia e
quelle accettabili dalle altre scienze sociali. E' proprio su questo "ritorno" verso le
scienze sociali dell'età classica che si apriva quel confronto
di Chicago fra
economisti e psicologi del 1985 che va ricordato come una preziosa fonte di
stimoli e di intuizioni. Nella introduzione di Hogarth e Reder, una affermazione
7
Queste argomentazioni sono esposte con maggiore dettaglio, in riferimento alle
ragioni di passaggio fra una forma di allocazione all'altra nel modello polanyiano, in
Cella, 1997, cap. 3.
14
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
semplice quanto perentoria così impostava il problema: "Mentre la razionalità
economica si riferisce solo ai mezzi, il concetto di razionalità nelle altre scienze
sociali (come anche nel linguaggio quotidiano) tipicamente coinvolge una qualche
combinazione delle razionalità di mezzi e fini" [1986, p.4]. Questo è il tracciato.
Secondo questa linea di riflessione una prima possibilità, quasi una tentazione,
potrebbe essere quella di distinguere fra azione orientata dalle norme sociali, ed
azione guidata dalla razionalità strumentale. Si intende con la prima dizione, in
senso proprio, rifarsi alle norme condivise socialmente almeno in un ambito di
riferimento, non necessariamente sanzionate in termini giuridici, bensì collegate
alla stima, alla riprovazione sociale, all' onore, alla tradizione, ecc. Ma l'efficacia
di queste sanzioni sociali, positive e negative, dipende soprattutto dalla
interiorizzazione delle norme stesse. Le norme sociali possono anche trovare una
sanzione giuridica, ma non è questa a caratterizzarle in termini specifici. Questo
rafforzamento del potere obbligante delle norme sociali attraverso la sanzione
giuridica avveniva anche nelle società antiche o tradizionali. Si pensi a quelle
"norme suntuarie", che limitavano i consumi o le spese di lusso per alcuni strati
sociali. Con l'avvento delle società legali-burocratiche sono aumentate le norme
sociali che ritrovano una sanzione giuridica, nel mentre si riduce la capacità di
orientamento e di obbligazione derivante dalle norme sociali stesse. Tuttavia in
molti casi prevale il potere obbligante derivante dalla interiorizzazione delle
norme sociali anche laddove è previsto l'intervento della sanzione legale. Si pensi
a molti obblighi nascenti nell'ambito familiare.
Seguendo questa impostazione, la scelta fra diverse forme di allocazione o di
regolazione, l'emergere o il declino di una di esse, la loro logica di funzionamento
dipenderebbe in molti casi non tanto dall'operare di una qualche forma di
razionalità (strumentale), quanto dall'influenza di norme sociali.
Sotto altri
aspetti, l'adozione di corsi di azione conducenti a scelte cooperative o non miopi,
sarebbe favorita dalla interiorizzazione di norme sociali. Il saluto che si
scambiano viandanti o escursionisti anonimi sui sentieri di montagna
(sull'esempio del comportamento di pastori o contadini), da questo punto di vista,
non sarebbe suggerito dalle possibili situazioni di bisogno in cui il viandante
potrebbe trovarsi, ma dalla adozione (magari limitata nel tempo e nello spazio) di
una norma di buon vicinato tipica delle aree alpine.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
15
Così facendo l'invito di Hogarth e Reder è accolto solo in parte, solo per
quanto riguarda la limitazione dell'intervento della razionalità strumentale. La
razionalità dei fini è accantonata, od aggirata, attraverso l'intervento delle norme
sociali. Su questo percorso, se diamo un significato proprio alle parole, verso le
diverse forme di allocazione, e verso le "famiglie" istituzionali da esse
rappresentate, guiderebbero azioni frutto di scelte orientate da una qualche forma
di razionalità strumentale8, ma anche comportamenti orientati dalle norme sociali.
E' stato Elster ad avere reintrodotto attraverso i suoi numerosi scritti, teorici ed
applicativi, questa distinzione (invero tutt'altro che nuova nel pensiero
sociologico). Per la spiegazione dei due problemi dell'ordine sociale (derivanti da
assenza di prevedibilità e assenza di cooperazione ) già più sopra ricordati, Elster
utilizza infatti due strumenti concettuali. Il primo nasce dalla teoria della scelta
razionale, il secondo dalla teoria delle norme sociali. La distinzione è netta;
l'autore sostiene infatti che "le norme sociali forniscono un importante tipo di
motivazione per l'azione, una motivazione che non può essere ricondotta alla
razionalità, né, in effetti, ad altre forme di meccanismi di ottimizzazione" [1995,
30]. La
differenza dalla razionalità è indubbia anche se Elster ammette di
utilizzare una nozione poco esigente di razionalità, una "nozione minimalista,
secondo la quale il comportamento razionale è coerente, orientato al futuro e
strumentalmente efficiente" [ibid.,56].
Nel suo Nuts and Bolts [1989] è ancora più esplicito, riguardo alla distinzione,
se non alla contrapposizione, fra norme sociali e razionalità. Rafforza inoltre
questa posizione replicando alle possibili obiezioni sulla strumentalità nascosta
sia delle norme sociali che del comportamento orientato dalle norme stesse. Che
le norme possano essere strumentali a fini sociali può essere scontato. Ma che
attraverso una impostazione strettamente consequenzialista
si possa spiegare
l'esistenza di tutte le norme sociali è perlomeno dubbio. In merito al
comportamento individuale, il sostenere che è sempre messo in atto guardando al
risultato (ovvero ad evitare la sanzione sociale, che sia riprovazione o ritiro della
stima), impedisce di valutare sia il peso della interiorizzazione (che permette
8
Azioni che sarebbero in questo caso spiegabili magari attraverso il modello dei costi di
transazione (v. North, 1994). Sarebbero intraprese le forme che presentano i costi di
transazione minori, o che permettono una riduzione di questi costi.
16
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
talvolta di escludere il ruolo della sanzione) sia la estrema debolezza di alcune
eventuali sanzioni.
Tuttavia, per i fini che qui ci si propone, questa distinzione non convince
appieno. Innanzitutto per una possibile, e non rara, sovrapposizione fra le due
fonti di orientamento dell'azione.
Molti azioni guidate dalla razionalità
strumentale, ad esempio nel mercato o verso il mercato, continuerebbero ad essere
influenzate da norme sociali, ovvero da costrizioni istituzionali informali , per
usare la terminologia di North. Sono ad esempio quelle che conducono verso la
costruzione sociale della fiducia. E' in fondo un richiamo della constatazione
durkheimiana dei fondamenti extra-contrattuali dei contratti stessi. Ma ulteriori
esempi potremmo coglierli nella persistenza di regole nascoste di fairness in
molte transazioni di mercato9. Per spiegare questa sovrapposizione, e questa
sopravvivenza, delle norme sociali anche in contesti di mercato sarebbe
opportuno ricorrere ad una fonte più unitaria di orientamento dell'azione dei
soggetti. E' la direzione
cognitiva verso la quale
proprio North invita a
procedere: "Il modo in cui la mente umana processa le informazioni non solo è
alla base dell'esistenza delle istituzioni, ma è anche la chiave di lettura delle
relazioni causali tra i vincoli informali e la costruzione dell'insieme di scelte che
caratterizza l'evoluzione di breve e lungo periodo delle società" (1994,p.73). Al di
là della indicazione impegnativa ed ambiziosa, è proprio di questa fonte unitaria
di cui si richiama l'esigenza.
L'accettazione
di una norma sociale non impedisce poi l'intervento della
razionalità strumentale nella scelta delle forme di regolazione attraverso la quale
si potrebbero perseguire le finalità previste dalla norma stessa. Nell'ottica delle
forme di regolazione qualcosa di simile è capitato sulle polemiche in merito alla
liberalizzazione o meno del commercio e dell'uso delle droghe (più o meno
leggere). L'accettazione di una norma (occuparsi dei cittadini con maggiore
disagio), al di là delle prescrizioni giuridiche, non impedisce il manifestarsi di
9
Questa persistenza è rilevabile nella bella ed interessante ricerca di Jorion (1990) sui
meccanismi della vendita del pesce nelle comunità di pescatori della costa bretone:"il
fattore determinante della formazione dei prezzi non sarebbe il nudo confronto
dell'offerta con la domanda, ma lo status reciproco delle parti che entrano in relazione
nella vendita del pesce" (p.61).
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
17
preferenze per una forma (la proibizione) o l'altra (la liberalizzazione), giustificate
attraverso argomentazioni di tipo strumentale.
Ancor di più. Il permanere di una norma sociale, non delimita una volta per
tutte i suoi ambiti di influenza e di "costrizione". In talune situazioni sembra quasi
che i soggetti, più o meno orientati dalle costrizioni sociali informali, possano
decidere in merito agli ambiti di applicazione di una norma, nei confronti della
quale si continua a manifestare sensibilità, se non deferenza. La diffusione delle
assicurazioni sulla vita (permessa dal superamento di norme sociali tradizionali),
non ha fatto scomparire la sanzione sociale esistente verso la utilizzazione del
criterio del prezzo sulle questioni attinenti alla vita umana.
Si è
allora in qualche modo costretti a ritornare all'invito perentorio di
Hogarth e Reder, ricordato più sopra. Se la ricerca di una fonte di orientamento
unitaria dell'azione è auspicabile, difficilmente questa fonte può essere ritrovata
nella razionalità strumentale, ed in quest'ambito nella più esigente e rigorosa delle
forme di razionalità, quella economica. Dovremo semmai ricercare una forma
della razionalità più comprensiva, una categoria più ampia della quale faccia parte
sia la razionalità strumentale sia, in una posizione ancor più particolare, quella
economica. Che la razionalità economica possa assumere una posizione più
generale sembra oltremodo difficile.
Entro questa forma più comprensiva
potranno trovare spazio forme di razionalità sociale10.
Più che mai convincente sulla non giustificata applicabilità generale della
razionalità economica è ancora l'intervento di Arrow [1986]
presentato in
occasione del convegno di Chicago del 1985 fra psicologi ed economisti.
Il
punto di partenza di Arrow, lo ho ricordato più sopra, riguarda il ruolo del
contesto sociale nel formarsi e nella espressione della razionalità. In effetti,
continua Arrow, la assunzione di razionalità non è strettamente connessa alla
formulazione di una teoria economica. Per di più quando le teorie cercano
applicazioni dirette tendono a fondarsi su assunti di altra natura, senza i quali
sarebbe ingestibile il modello di razionalità. Fra questi assunti quello secondo il
10
E' interessante notare, come ricorda Lechi (1993, pp.53-54), che secondo Buchanan
non ha senso parlare di "razionalità sociale", in quanto non sarebbero giustificati due
livelli di razionalità, quello individuale e quello collettivo. La sola reazionalità sarebbe
quella individuale, ed alle scelte collettive si arriverebbe attraverso processi di
contrattazione e scambio
18
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
quale tutti gli uomini avrebbero la stessa funzione di utilità. Ma , si chiede Arrow
con un paradosso devastante, quale posto ci sarebbe per gli scambi, ad esempio
nei mercati finanziari interpretati dai modelli macro-economici, se tutti gli attori
fossero simili? Un altro assunto
non facilmente sostenibile riguarda la
presunzione di razionalità che ogni attore deve attribuire non solo al
comportamento dell'attore con cui scambia, ma a quello di tutti gli altri attori.
Una catena non plausibile, a meno di immaginare qualcosa di vicino ad una
costruzione sociale della razionalità (come si affermava in partenza). Lo stesso
assunto di perfetta informazione condurrebbe ad effetti paradossali, anche in
questo caso verrebbero resi inspiegabili le transazioni. Una ragione degli scambi,
ad esempio nei mercati finanziari, riguarda proprio la differenza di informazione
fra gli attori. Ma in tal caso l'assunto cade.
L'adozione del modello di razionalità economica condurrebbe dunque a
conclusioni molto distanti dai fenomeni osservati. Esattamente come nella ben
nota, e divertente, osservazione secondo la quale non ci potrebbe mai essere
denaro sulla strada, perchè qualcun altro avrebbe già provveduto a raccorglierlo.
L'affermazione finale è ancor più trasgressiva, ed evocativa, degli inviti di North.
Le analisi future, conclude Arrow [1986, 214], dovranno adottare più efficaci
assunti di computability
nella formulazione delle ipotesi di comportamento
economico, ma "questo è probabile presenti non poche difficoltà, innanzitutto
perchè non ogni cosa è calcolabile, ma anche perchè ci sarà in questo senso un
inerente imprevedibile elemento nel comportamento razionale. Qualcuno sarà
felice di questa conclusione".
La ricerca di una fonte unitaria di orientamento delle azioni non implica certo
la risoluzione dei problemi derivanti dal carattere
politetico del concetto di
razionalità, ovvero dalla pluralità di sensi con cui il concetto stesso è usato. Un
carattere che bene ha messo in luce Boudon ispirandosi a Wittgenstein: "non si
può sperare di ottenere un accordo su alcuna definizione la quale supponga
implicitamente che il termine sia non politetico" [Boudon 1993, 340]. Si tratta in
questo caso, come accade per il termine causa nel linguaggio scientifico ed anche
per il termine uguaglianza nelle scienze sociali, di una sorta di a priori linguistico.
Viene usata cioè una sola parola per identificare un tipo di parole. E' indubbio
che la trasformazione in senso non politetico del termine razionalità possa
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
19
rafforzare la metodicità del discorso scientifico nelle scienze economico-sociali.
E' quello che accade con il concetto semplificato di razionalità strumentale, ed
ancor di più con quello di razionalità economica.
Ma il vantaggio della metodicità, può essere compensato, e superato, dagli
svantaggi del riduzionismo. La famiglia di parole, e di concetti, che tendiamo a
nominare con il termine unico di razionalità, continua ad essere molto affollata. E
continua a comprendere, ci ricorda Boudon (ibid., p.415) significati che vanno da
quello utilitaristico, a quello teleologico (la razionalità strumentale identificata
dalla Zweckrationalität weberiana), a quello normativo (la Wertrationalität
weberiana), a quello tradizionale, fino a quello cognitivo.
Tutto quello che possiamo fare è quello di adottare il significato unitario che
più permette di rispettare la politeticità del termine. Nulla di più. La proposta di
Boudon è quella di utilizzare una concezione "ostensiva" di razionalità . Propone
cioè di definire la razionalità come si usa in linguistica, presentando con il
termine l'oggetto o il processo che rappresentano il significato della parola che si
vuole definire. Da questo punto di vista sarà definita come razionale o orientata
dalla razionalità, ogni azione della quale è possibile affermare come il soggetto
avesse delle "buone ragioni" per intraprenderla.11 Questa concezione ostensiva si
avvicina molto al significato cognitivo della razionalità. E' una fonte unitaria
dell'agire ma
rispetta
il carattere polititetico della razionalità. E' un
suggerimento prezioso per il percorso che stiamo qui conducendo, perchè su di
essa sarà possibile fare operare sia i condizionamenti delle strutture macrosociali, sia quelli del contesto istituzionale. In questo quadro la razionalità sociale,
non sarà
configurabile tanto come frutto della sconfitta della razionalità
individuale (economico-strumentale, soprattutto), quanto come un orientamento
delle scelte del soggetto, con origine da una una fonte unitaria, che ha chances di
affermazione quando le condizioni istituzionali (in combinazione con le strutture
macro-sociali) lo favoriscano.
11
Il cammino delle "buone ragioni" è perfezionato da Boudon in un lavoro successivo,
dal titolo evocativo ed inconsueto nelle scienze sociali Le juste et le vrai (1995). In
esso si adotta una versione morbida del modello cognitivista (ovvero che non contiene
una teoria dell'apprendimento), partendo dal presupposto "che l'azione del soggetto
debba essere analizzata come avente un senso per lui stesso, e questo senso si
riconduce nella maggior parte delle situazioni esaminate dalla sociologia, dalla storia,
dall'economia a un sistema di ragioni percepite dal soggetto come solide" (p.289).
20
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
4.
Particolarità del mondo rurale
La conciliazione degli obiettivi individuali con le esigenze sociali,
l'orientamento del comportamento individuale derivante dagli assetti istituzionali,
l'adozione da parte dei soggetti di forme di razionalità sociale acquistano un
significato del tutto particolare nel mondo rurale, della tradizione così come della
contemporaneità. Un ambiente nel quale la razionalità individuale di tipo
economico-strumentale, tipica della regolazione e della allocazione attraverso la
forma del mercato, incontra
vistosi limiti,
fisici, sociali, istituzionali. La
considerazione di queste particolarità, e di questi limiti, introduce un punto di
vista che non è comune nella analisi dei fatti economici, specie ad opera della
stessa scienza economica. E' un punto di vista che potremmo definire
"sostanzialista" se non avessimo il timore di riaprire quel dibattito, quasi un
conflitto, fra sostanzialisti e formalisti che ha scosso per lunghi anni le riflessioni
e le ricerche della antropologia economica. Uno di quei conflitti che, come si
diceva agli inizi, potrebbe essere agevolmente ricomposto attraverso l'adozione di
schemi più eclettici, e di posizioni più pacifiste. Pur con questa sensibilità,
potremmo comunque dire che l'adozione degli schemi formalisti ha impedito, ed
impedisce, di cogliere le specificità (anche sul piano dei modelli di razionalità)
che presentano situazioni produttive o di transazione come quelle diffuse in
agricoltura12.
I limiti fisici riguardano sia la produzione in situazioni di rischio (specie di
tipo metereologico), sia la necessità di "internalizzare" le esternalità. Nella
12
Sono comunque gli antropologi economici ad aver dedicato più attenzione alle
particolarità della situazione agricola, specie in riferimento aglli aspetti legati alla
"questione contadina", ovvero, come nota Wilk (1997, p.45), "del più vasto gruppo di
individui presenti nel nostro pianeta". Le domande in proposito riguardano soprattutto
la "diversità" della logica produttiva dei contadini all'interno della stessa produzione
agricola. Le conclusioni tratte dalle ricerche antropologiche non concordano. Alcune,
come quella di Scott (1976) sottolineano i fondamenti del sistema contadino
"sull'ordine morale e su una logica economica che opera a livello comunitario e non
individuale" (Wilk, 1997, p.47). Altre (ad es. Popkin, 1979) riconoscono invece, sotto
gli atteggiamenti comunitari di copertura, l'operare di una vera e propria razionalità
economica strumentale.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
21
situazione di rischio sono coinvolti i produttori agricoli a pressochè ogni livello
della scala di stratificazione, non solo i grandi produttori rivolti al mercato ma
anche i piccoli contadini dediti a coltivazioni per l'autoconsumo. La
internalizzazione non riguarda tutta la produzione per la totalità dei produttori (ad
esempio non i nomadi), tuttavia coinvolge almeno una parte di coltivazioni per
tutti. I limiti sociali riguardano soprattutto la popolazione contadina (che
rappresenta la grande maggioranza della popolazione attiva in agricoltura) ed
identificano gli stretti legami fra strutture familiari, ed anche tribali e comunitarie,
e strutture produttive. I limiti istituzionali, già ricordati più sopra, sono
generalizzati in tutte le epoche e in tutte le società e si traducono in forti
costrizioni (formali ed informali) al comportamento economico.
Tutti questi limiti comportano vincoli notevoli alla espressione della
razionalità economica individuale. Per di più essi agiscono talvolta rafforzandosi
a vicenda. I limiti sociali, ad esempio, possono aggravare le situazioni di rischio,
rafforzando anche per cause emotive le difficoltà cognitive (v. le ricerche di
Tversky e Kahnemann, 1981) in cui comunque i soggetti incorrono per la
valutazione di tali situazioni. I limiti istituzionali, a loro volta, possono imporre
con sanzioni le esigenze di internalizzazione. Nel complesso la necessità di
intraprendere corsi di azione orientati alla cooperazione e alla prevedibilità
(ovvero rifuggenti dalla "miopia") è più pressante rispetto ad altre situazioni
produttive, o ad altri sistemi di transazioni economiche.
A queste necessità non sempre i soggetti saranno però in grado di rispondere in
termini di razionalità sociale. A questi limiti è imputabile un certio
"conservatorismo" rilevabile negli ambienti agricoli, e nel mondo contadino
soprattutto (cfr. Wilk, 1997, pp.164-165. Da qua anche una certa improbabilità di
una manifestazione a livello individuale del comportamento innovativo. Saranno
piuttosto assetti istituzionali opportuni a favorire l'innovazione, permettendo una
piena espressione delle potenzialità della
razionalità sociale. In questi casi,
attraverso opportune reti di relazioni sociali istituzionalmente favorite, anche le
difficoltà cognitive potranno essere tenute sotto controllo (così sostiene Mary
Douglas, 1995, p.21).
In altri termini, tali limiti possono essere rappresentati come conseguenze di
tre particolarità fortemente caratteristiche della produzione agricola. La prima
22
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
riguarda la "atipicità" della merce terra (osservata da Polanyi); la seconda è
connessa all'ampio intervento della politica, o delle politiche, nei compiti di
regolazione delle attività e delle transazioni in agricoltura; la terza deriva dalla
estesa presenza nel settore di risorse comuni ( quelle individuate nel famoso
articolo di Hardin del 1968 su "Science", Tragedy of the Commons) per le quali il
problema fondamentale è di regolarne l'uso per preservarne la validità economica
nel lungo periodo (si tratta di risorse idriche per l'irrigazione, foreste, pascoli, aree
di pesca, ecc.).
La caratterizzazione della terra come merce "fittizia" (fictitious commodity) è
presente in Polanyi già in The Great Trasformation (del 1944). Essa appartiene ad
una terna di elementi (lavoro, terra, moneta) la cui descrizione come merce si
rivela del tutto fittizia. Permettere di assogettare queste merci alla logica di
mercato, condurrebbe alla distruzione della società. Certamente i mercati, in una
società di mercato, sono essenziali anche per queste "merci", ma nel momento in
cui si ammette questo va anche riconosciuto che la società, a pena della sua
sopravvivenza, pone continui limiti al funzionamento di questi mercati. Questo è
rilevabile con chiarezza dalla storia sociale del XIX secolo, che può essere
considerata come il risultato
di
un
doppio
movimento:
"l'estensione
dell'organizzazione del mercato rispetto alle sue merci vere e proprie era
accompagnata dalla sua limitazione rispetto a quelle fittizie" (1974, p.98). La
funzione economica, è solo una delle molteplici funzioni vitali della terra, in
questo è accomunabile al lavoro. E' significativo come, almeno un trentennio
prima degli inizi della diffusione della sensibilità per la
difesa ambientale,
Polanyi facesse derivare da questo carattere della terra delle considerazioni più
che mai attuali13. E' sorprendente come da queste caratteristiche costanti della
terra e del lavoro, non siano state tratte dalla scienza economica conseguenze
adeguate per quanto attiene al comportamento dell'attore ed ai suoi modelli di
razionalità. Ha prevalso l'uso metaforico del termine merce.
13
Si veda questo passo: "La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l'ambiente ed il
paesaggio deturpati, i fiumi inquinati, la sicurezza militare messa a repentaglio e la
capacità di produrre cibo e materie prime, distrutta" (Polanyi, 1974, pp.94-95). Un
drammatico misto di Hobbes e di Macbeth, per riprendere le immagini riportate più
sopra.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
23
L'ampio intervento delle logiche della politica in agricoltura costituisce una
particolarità sulla quale è difficile non concordare. Esso identifica un settore in
cui "il peso delle scelte politiche incide in modo decisivo sui meccanismi
economici" (Lechi,1993, p.44). Questo carattere potrebbe sconvolgere il discorso
degli economisti solo se si resta legati al tradizionale modello della razionalità
individuale di tipo economico-strumentale. Altro è, come ci suggerisce ancora
Lechi (p. 45), se si coglie l'opportunità per approfondire la logica di
comportamento degli attori, nonchè la formazione dei fini ed il peso dei valori. Il
modello di razionalità da adottare potrebbe essere simile a quello proposto nelle
ultime righe del precedente paragrafo, non alieno dalla considerazione dei valori,
attraverso le "buone ragioni" dei soggetti.
Le politiche di intervento in agricoltura contribuiscono tutte a strutturare il
campo di azione dei soggetti (come direbbe Coleman), anche se nel loro insieme
possono costituire un insieme altamente eterogeneo. In molti casi, attraverso
compiti selettivi dei comportamenti, possono favorire l'adozione di forme di
razionalità sociale, ma in certe situazioni l'ambito di riferimento può essere
altamente ristretto, non più ampio di piccoli gruppi di produttori. E' opportuno
così proporre una distinzione fra le grandi categorie di politiche. La più famosa è
quella proposta da Rausser (1982) e si fonda sulla distinzione fra politiche
PERT's (political economic resource transaction policies) e politiche PEST's
(political economic-seeking transfer policies). Le politiche del primo gruppo sono
rivolte all'aumento dell'efficienza del sistema attraverso la riduzione dei costi di
transazione presenti nel sistema privato, correggono fallimenti del mercato, e
forniscono beni pubblici. Sarebbero insomma rivolte all'aumento del benessere
sociale. Il secondo tipo di politiche ha compiti di redistribuzione della ricchezza
da un gruppo ad un altro, secondo il loro potere di pressione, e non è direttamente
coinvolto con problemi di efficienza.
Le due politiche sono rappresentate da Rausser con la popolare immagine
dell'economia come una torta: " Le politiche PERT's espandono la misura della
torta, quelle PEST's allocano le porzioni servite" (Rausser e Foster, 1990, p.641).
Le prime sono tipicamente di fonte pubblica, le seconde originano dai settori
privati, ma possono essere incluse nei programmi di governo qualora si riveli
necessario ottenere l'appoggio di quei gruppi potenti che potrebbero boicottare
24
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
proprio le politiche PERT's. Queste ultime favoriranno l'adozione di forme di
razionalità sociale (rivolte verso la cooperazione e la prevedibilità) con ambiti di
riferimento ampi ed elevati. Gli ambiti coinvolti dalle seconde saranno molto
più ristretti, e questo dipenderà soprattutto dal grado di "miopia" e di
irresponsabilità dei gruppi di pressione relativi14.
La tragedia dei
commons è l'immagine hobbesiana con la quale si è
simbolizzato il degrado, la distruzione dell'ambiente derivanti dall'uso da parte di
molti individui di una risorsa scarsa in comune. I problemi della fornitura, e della
regolazione, di queste risorse hanno generato un interessante filone di ricerca
nelle scienze sociali, che si affianca, con solo qualche sovrapposizione, a quello
più consolidato dedicato allo studio dei public goods. Al centro di queste ricerche
stanno contributi come quello di E.Ostrom (1990). Il punto di partenza è sempre
la definizione del problema data da Hardin, efficacemente rappresentata
dall'esempio del pastore "razionale" in un pascolo "aperto a tutti": ogni pastore
riceverà un beneficio diretto dall'aumento senza limiti del pascolo per gli animali
di sua proprietà, ma sopporterà in futuro solo una parte dei costi (o dei danni)
risultanti dall'utlizzazione eccessiva (overgrazing). La tragedia è proprio quella a
cui conduce il perseguimento "razionale" (e illimitato) dei propri interessi
individuali in un ambiente limitato, senza cooperazione e con scelte fortemente
miopi. La tragedia sfocerà nel disordine.
Il grave problema di regolazione che si pone, ricorda la Ostrom, ha suscitato
proposte contrastanti di soluzione: "I sostenitori della regolazione centralista,
della privatizzazione, e della regolazione attraverso i soggetti direttamente
coinvolti hanno spinto le loro prescrizioni di politiche in una varietà di differenti
arene" (1990, p.1). L'avvicinamento al modello polanyiano delle tre forme di
allocazione e di regolazione è evidente, anche se, come spesso accade, viene
sottaciuto. Le soluzioni sono ritrovabili non solo nel Leviatano (il centralismo) o
14
Lechi (1993, p.92) , a questo proposito, introduce la distinzione fra azioni
"altruistiche" (favorite dalle politiche PERT's) ed azioni "egoistiche" (rivolte alle, o
favorite dalle, PEST's). Forse una tale distinzione è eccessiva, in quanto entrambi i tipi
di politiche possono favorire una uscita dalla semplice razionalità individuale. Mi
sembra più rilevante considerare l'ampiezza ed il livello dell'ambito sociale di
riferimento, ed il grado di responsabilità delle associazioni degli agricoltori. Le
istituzioni possono comunque favorire la adozione di una vera e propria razionalità
sociale.
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
25
nella privatizzazione (l'operare nel mercato di diritti di proprietà privati), ma
anche in una sfera che molto si avvicina a quella polanyiana della reciprocità,
nella quale le attività di controllo o di monitoraggio, e di erogazione delle
sanzioni, non sono condotte da autorità esterne, ma dagli stessi partecipanti alle
transazioni.
Significativi esempi di successo nella regolazione di problemi che vanno dalla
utilizzazione delle aree di pesca alla partecipazione a sistemi di irrigazione,
possono essere iscritti proprio a questa terza forma, efficace soprattutto quando
può fondarsi su appropriate, e coerenti, strutture sociali (ad esempio popolazioni
stabili e confini ben
definiti)15. Anche in questo caso siamo di fronte alla
necessità di indagare in ordine alle forme istituzionali che possano favorire
l'adozione di criteri di razionalità sociale. Le istituzioni create dai soggetti proprio
per risolvere i propri problemi di appropriazione dei commons sembrano favorire
particolarmente l'uso di questi criteri.
Anche le indicazioni finali del contributo della Ostrom, bene si iscrivono nella
visione di razionalità che si è più sopra sostenuto: "I costi e i benefici devono
essere scoperti ed apprezzati da individui che usano le loro capacità di giudizio in
situazioni altamente incerte e complesse, che sono rese ancor più complesse nella
misura in cui gli altri si comportano strategicamente" (1990, p.210). E' il
cammino della razionalità cognitiva, ed in questo quadro le istituzioni potranno
favorire la comparsa della razionalità sociale. L'insegnamento tratto dalle ricerche
della Ostrom può in qualche modo fornire una considerazione conclusiva coerente
con lo spirito di queste note: la razionalità sociale difficilmente può essere
imposta dall'esterno, essa piuttosto va ritrovata e favorita in nuovi rapporti fra
azione individuale e istituzioni. E' arduo pensare che solo il mondo agricolo possa
aver bisogno della diffusione di tale razionalità.
15
E' questa corrispondenza con appropriate strutture sociali che distingue queste forme
di regolazione da altre istituzioni volontarie presenti nel settore agricolo (come il
Codex Alimentarius, nato in ambito FAO) e che soffrono per la debolezza
sanzionatoria (cfr. Gaeta, 1996).
26
Dal comportamento economico alla razionalità sociale
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