UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Facoltà di Medicina e

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in infermieristica
L’ARRESTO CARDIACO INTRAOSPEDALIERO
PROTOCOLLO INFERMIERISTICO D’ATTIVAZIONE DELLA
CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa RITA DALL’OVO
Laureando:
GIOVANNA BUSI
Anno Accademico 2004-2005
Ai miei cari genitori e ai miei fratelli, che mi hanno sostenuto ed hanno
avuto fiducia in me per tutto questo tempo.
Ai miei più cari amici, soprattutto Eleonora, che nei momenti difficili
mi han sempre garantito la loro presenza.
Al mio ragazzo che, anche se solo per un anno, ha sopportato tutti i miei
sbalzi d’umore e il mio caratteraccio.
A tutti i miei tutor clinici ma in particolar modo:
Daniela, che ha reso reale uno dei miei sogni più grandi,
Sabrina, che mi ha fatto capire quanto io valga,
Ramona e Olga che mi hanno insegnato ad amare un dono della vita, i
bambini.
Vorrei ringraziare anche i nostri professori, ma in particolar modo i
nostri tutor didattici: Paola Corazza ed Ivana Agnelli.
Infine per ultimi, ma non sicuramente per importanza, chi ha vissuto
con me questa splendida avventura di 3 anni tra lacrime e sorrisi: i miei
compagni di corso,
senza di loro sarei stata persa. Grazie soprattutto a
Barbara, Chiara, Enrico e Fieramente.
Per il loro affetto.
Grazie di Tutto
Giovanna
…Non è vero che abbiamo
Poco tempo:
la verità è
che ne perdiamo troppo...
Seneca
Indice
Introduzione
pag. 1
Capitolo 1
L’arresto cardiaco intraospedaliero
- Premessa
- Perché il BLSD?
- Danno anossico cerebrale
- L’ACC e la terapia elettrica
- La defibrillazione
- I defibrillatori
pag. 6
pag. 6
pag. 8
pag. 11
pag. 13
pag. 20
pag. 24
Capitolo 2
Legislazione
- Uso del defibrillatore in ambito
Ospedaliero da parte del personale
Infermieristico
pag. 30
Capitolo 3
Dati statistici relativi all’ACC
pag. 39
Capitolo 4
Indagine conoscitiva sull’organizzazione
dell’emergenza intraospedaliera nell’ospedale
di Parma e Cremona
pag. 47
Capitolo 5
La catena della sopravvivenza in ospedale
- Primo anello: allarme precoce
pag. 69
pag. 74
- Secondo e terzo anello: RCP precoce +
Defibrillazione precoce
- Procedure operative con defibrillatore
semiautomatico esterno
- Quarto anello: precoce ALS
- Algoritmo FV/TV
- Algoritmo PEA
- Algoritmo Asistolia
- Check-list carrello dell’emergenza
- Protocollo catena della sopravvivenza
a 2 operatori
- Protocollo catena della sopravvivenza
a 1 operatore
pag. 79
pag. 84
pag. 90
pag. 92
pag. 96
pag. 97
pag. 98
pag. 101
pag. 102
Capitolo 7
La collaborazione con il personale
Per la rianimazione avanzata
- L’assistenza durante l’intubazione
Endotracheale
- Applicazione degli elettrodi per
elettrocardiogramma/defibrillazione
pag. 110
Capitolo 8
Organizzazione delle risorse per una
precoce attivazione della catena
della sopravvivenza
- I materiali
- Formazione del personale
pag. 111
pag. 112
pag. 114
pag. 103
pag. 103
- Individuazione delle aree meno
raggiungibili dell’equipe ALS e
disposizione di punti strategici per
posizionamento dei DAE
- Attivazione dell’ALS
- Raccolta dati
pag. 119
pag. 121
pag. 123
Conclusioni
pag. 124
Allegati
- Allegato 1: Questionario conoscitivo
sull’organizzazione delle emergenze
intraospedaliere
- Allegato 2: Locandina ACC
- Allegato 3: Modello “Utstein Style”
intraospedaliero
pag. 127
Bibliografia
pag. 133
pag. 127
pag. 130
pag. 131
INTRODUZIONE
Per definizione, l’emergenza è una situazione che si verifica
improvvisamente, è imprevedibile, fortunatamente non frequente,
può interessare una o più persone, ed esige prontezza, efficienza e
decisioni immediate.
L’urgenza, invece, è una condizione più frequente, in cui non esiste
un immediato pericolo di vita, ma nella quale è necessario adottare
entro breve tempo l’opportuno intervento terapeutico.
Le possibili cause d’emergenza/urgenza in corsia possono essere:
• ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO
• ARRESTO RESPIRATORIO
• TRAUMA CRANICO GRAVE
• DOLORE TORACICO
• EMERGENZE PSICHIATRICHE
• INSUFFICIENZA RESPIRATORIA GRAVE
• PROBLEMI DEL RITMO CARDIACO LETALI
• EMERGENZE
MEDICHE,
NEUROLOGICHE
• MACROEMERGENZA
-1-
CHIRURGICHE
E
Alla stregua del territorio, anche l’emergenza in ambito ospedaliero
deve essere considerata come un insieme d’atti, procedure e
protocolli il cui fine ultimo è la sopravvivenza del paziente e, per
quanto possibile, il suo recupero fisico e psichico. Se avvenisse, ad
esempio, un arresto cardiaco in un reparto non intensivo come
chirurgia, ortopedia, otorino, ecc., la tempestività e l’ appropriatezza
dell’attivazione della catena della sopravvivenza influenzerebbero in
modo rilevante l’esito finale. Compiendo, infatti, una corretta e
completa rianimazione cardiopolmonare con defibrillazione e
attivando entro i primissimi minuti l’equipe ACLS (molto spesso
formata da un rianimatore e un infermiere specializzato ), le
possibilità di successo possono arrivare fino al 90%.
Se invece, per qualsiasi motivo non fosse effettuato un BLSD
immediato,
e
attendendo
così
l’arrivo
dell’equipe
avanzata,
avremmo queste percentuali di recupero :
Entro 7-10 minuti, il 20% circa
Oltre i 10 minuti, il 2-8%, con danni neurologici rilevanti.
Da questi semplici dati si evince quanto sia importante fronteggiare
l’emergenza con determinazione, efficienza e capacità ricordando
l’assioma “il tempo è miocardio”!
-2-
Il “Manifesto Europeo per la Medicina d’Emergenza”, pubblicato
dalla European Society for Emergency Medicine, definisce il suo
ambito di azione “nella diagnosi precoce e nel contemporaneo
trattamento di tutte quelle condizioni che mettono a repentaglio la
sopravvivenza di un intero organismo o parte di esso. Una rapida,
opportuna e ben coordinata risposta riduce la durata e la gravità
della morbilità e mortalità dopo un trauma e una malattia acuta”.
Tali
caratteristiche
della
medicina
d’emergenza
indicano
chiaramente come il tempo sia il fattore più importante per un
intervento medico d’emergenza. Mentre le vittime di arresto
cardiorespiratorio fuori dall’ospedale sono generalmente persone
relativamente sane, i pazienti ricoverati in ospedale presentano,
evidentemente, malattie concomitanti di vario genere che possono
abbassare la probabilità di sopravvivenza alla rianimazione. A ciò
dovrebbe contrapporsi favorevolmente, almeno teoricamente, il fatto
che la catena della sopravvivenza, in ospedale, risulta accorciata
grazie a una contrazione dei tempi tra l’insorgenza dell’arresto
cardiorespiratorio e l’arrivo del defibrillatore. Tuttavia, tale evenienza
non è la regola in molti reparti, vuoi perché il defibrillatore non è
immediatamente disponibile, vuoi perché il personale addestrato a
usarlo è limitato. Sarebbe auspicabile che tutto il personale sanitario
-3-
che opera con il pubblico fosse addestrato a praticare la RCP e la
defibrillazione ma, purtroppo, questa spesso non è la realtà.
La disciplina richiede, quindi,capacità e conoscenza per la diagnosi
e il trattamento immediato di qualsiasi affezione critica, e i corsi di
rianimazione
cardiopolmonare
di
base
e
non,
forniscono
un’introduzione alle competenze richieste.
Tuttavia, una reale capacità richiede, più che insegnamento e studio,
addestramento pratico e contatto con la realtà dell’emergenza.
L’aumento delle pubblicazioni in questo settore, la maggiore
attenzione dei media e la diffusione di una cultura laica
dell’emergenza (per cui non è più inusuale che anche personale non
sanitario esegua correttamente le misure di primo soccorso)
rendono infine ragione dell’importanza sempre maggiore che le
misure di primo soccorso rivestono nella nostra società.
Con la nascita di questi corsi di formazione base di primo soccorso,
l’obiettivo è proprio quello di definire, nelle diverse realtà, una figura
professionale che, comunque, sia in grado di affrontare nel modo
più corretto possibile una condizione di emergenza e che quindi
sappia gestire in modo appropriato e consapevole qualsiasi
emergenza che possa mettere a repentaglio la sopravvivenza
dell’intero organismo o parte di esso.
-4-
In emergenza, il ruolo dell’infermiere di unità operativa è
fondamentale. È questi, infatti, che più frequentemente è chiamato a
valutare un caso di emergenza/urgenza a seguito di una richiesta di
soccorso del parente o del vicino del letto del paziente. È quindi un
suo compito prestare fin dall’inizio i primi soccorsi ed attivare
precocemente, oltre al medico di guardia, anche l’equipe ACLS.
Lo scopo quindi del mio lavoro, è quello di fornire un nuovo modo di
gestione dei malati “critici” soprattutto nei reparti di base e non
facenti parte quindi del dipartimento di area critica tramite:
• Un protocollo in grado di snellire l’allertamento di un’equipe di
soccorso avanzato
• Riorganizzazione delle attrezzature (defibrillatori e borse)
• Formazione di base e continua
• Se possibile garantire una raccolta dati tramite il modello
“Utstein” universalmente accettata.
-5-
Capitolo 1
PREMESSA
Seconde stime basate su dati ISTAT e su quelli dello studio
MONICA per le aree italiane, ogni anno nel nostro paese 160.000
persone sono colpite da attacco cardiaco: una persona ogni 3-4
minuti, una ogni 350 abitanti.
Di queste 1 su 4 non sopravvive, ed in più nella metà dei casi la
morte avviene prima di raggiungere l’ospedale, in circa il 50% dei
casi come morte improvvisa (entro 1 ora dall’esordio dei sintomi) o
addirittura istantanea per arresto cardiaco.
D’altra parte dai dati del Registro Regionale di mortalità Emilia
Romagna relativo all’anno 2004 si evidenzia che la principale causa
di morte è determinata dalle malattie del sistema circolatorio in
particolar modo le malattie ischemiche del cuore:
Totale morti
44.601
Malattie ischemiche del miocardio
17.873
Tumori
14.218
Malattie apparato respiratorio
3.005
Traumatismi e avvelenamenti
1.899
….
-6-
Dai dati sopra riportati risulta chiaramente la frequenza crescente
delle urgenze/emergenze cardiovascolari e di conseguenza credo
che il modo più corretto per affrontare il discorso emergenza in
ambiente ospedaliero sia l’affrontare in modo globale l’evento
arresto cardiaco in ospedale.
Questo perché la realtà ospedaliera è estremamente variegata ed
accanto a realtà come il Pronto soccorso e la Medicina d’urgenza, la
Rianimazione, la Cardiologia e l’UTIC, dove il personale è
addestrato ad affrontare l’emergenza dell’arresto cardiaco con
pazienti monitorati o prontamente monitorabili, defibrillatori pronti,
esistono altri reparti dove il personale non è addestrato in modo
specifico, manca l’attrezzatura per la rianimazione e tanto più
mancano i defibrillatori.
-7-
PERCHE' IL BLSD?
Si stima che la morte cardiaca improvvisa ogni anno, nel mondo
occidentale, sia pari a 500 casi l’anno per milione d’abitanti. È noto
che una percentuale valutata fra l’80% e il 90% degli arresti cardiaci
“primari” (cioè non sopravvenuti per condizioni terminali di altre
malattie), è dovuta all’insorgere di aritmie ipercinetiche ventricolari
(Tachicardia ventricolare, TV o Fibrillazione Ventricolare, FV) che
possono essere attualmente risolte solo con lo shock elettrico,
erogato da un defibrillatore. La sequenza operativa è quindi volta a
tentare di sbloccare il circolo vizioso che si instaura: l’insorgenza di
una FV causa l’inefficacia contrattile del cuore, la paralisi cardiaca
induce arresto circolatorio e respiratorio che danneggia rapidamente
i vari organi, primi fra i quali il cervello e il cuore stesso. Il paziente in
FV è ancora recuperabile, purché s’intervenga in tempo utile. Nel
giro di pochi minuti l’altezza delle onde elettriche della FV si
abbassa progressivamente, sino a giungere ad una linea piatta
(asistolia). A questo punto, se non si è intervenuti in tempo utile, non
è in concreto più possibile recuperare il paziente. Le compressioni
toraciche esterne e la respirazione artificiale servono appunto a
mantenere il paziente in FV, garantendo un minimo flusso perfusorio
che consente di guadagnare tempo per la defibrillazione.
-8-
Di conseguenza, lo scopo del BLS è quello di garantire il pronto
riconoscimento del grado di compromissione delle funzioni vitali
(fase della valutazione) e di supportare ventilazione e circolo (fase
dell’azione) fino al momento in cui possono essere impiegati mezzi
efficaci a correggere la causa che ha determinato l’arresto. Si tratta
perciò di una “procedura di mantenimento”, quantunque in alcuni
casi può di per sé correggere la causa e permettere un recupero
completo, ad esempio quando la causa che ha determinato
l’arresto,sia primitivamente respiratoria. Poiché è ampiamente
documentato che la Tachicardia Ventricolare senza polso e la
Fibrillazione
Ventricolare,
ribadisco
unici
ritmi
defibrillabili,
rappresentano i più frequenti ritmi di esordio nell’arresto cardiaco, è
evidente la necessità di ampliare le abilità del BLS e di diffondere e
addestrare all’uso del defibrillatore automatico esterno (DAE) per
permettere un precoce utilizzo dell’unico trattamento efficace in
questi casi.
Parleremo quindi di BLSD poiché tutti gli operatori BLS dovrebbero
essere addestrati, equipaggiati e resi idonei all’uso dei DAE.
L’obiettivo principale del BLS consiste nella prevenzione dei danni
anossici
cerebrali
attraverso
procedure
standardizzate
di
rianimazione cardiopolmonare (RCP) atte a mantenere la pervietà
-9-
delle vie aeree (Airway), sostenere la respirazione (Breathing) e il
circolo (Circulation) ogni qualvolta si verifichi un’improvvisa
cessazione dell’attività respiratoria e/o della pompa cardiaca, in altre
parole ogni qualvolta un paziente:
• Ha perso coscienza
• Non respira
• Non ha polso carotideo né segni di presenza di circolo.
A quest’obiettivo si aggiunge quello di un precoce riconoscimento e
intervento su ritmi defibrillabili (Defibrillation).
Le manovre di BLS-D evitano il rapido instaurarsi di danni cerebrali
irreversibili, prolungando la persistenza della FV nel tempo,
permettono di intervenire prima che la FV si converta in asistolia. In
altre parole creano i presupposti per il ripristino di un ritmo cardiaco
valido e un totale recupero del paziente.
La probabilità di successo della defibrillazione diminuisce del 7-10%
ogni minuto dopo l’insorgenza della FV, in assenza di RCP (Fig. 1).
- 10 -
Fig.1
DANNO ANOSSICO CEREBRALE
Nelle
situazioni
d’arresto
cardiocircolatorio
(ACC),
indipendentemente dalla causa che lo ha determinato, viene meno
la capacità contrattile del cuore, con conseguente impossibilità di
diffusione dell’ossigeno ai tessuti, ed immediato arresto delle
funzioni respiratorie.
La mancanza d’apporto d’ossigeno alle cellule cerebrali (anossia
cerebrale) produce lesioni che sono dapprima reversibili ma che
diventano irreversibili dopo circa 10 minuti d’assenza di circolo.
L’attuazione di procedure atte a mantenere un’ossigenazione
d’emergenza
può
interrompere
la
progressione
verso
una
condizione di irreversibilità dei danni tissutali. Qualora il circolo
venga ripristinato ma il soccorso sia stato ritardato o inadeguato,
- 11 -
l’anossia cerebrale prolungata si manifesterà con esiti di entità
variabile: stato di coma persistente, deficit motori o sensoriali,
alterazioni delle capacità cognitive e della sfera affettiva, ecc. Le
possibilità di prevenire il danno anossico dipendono dalla rapidità e
dalla efficacia delle procedure di soccorso, ed in particolare dalla
corretta applicazione della “catena della sopravvivenza”.
L’ARRESTO
CARDIOCIRCOLATORIO
ELETTRICA
- 12 -
E
LA
TERAPIA
L’arresto
cardiocircolatorio
è
una
condizione
caratterizzata
dall’assenza contemporanea di coscienza, respiro e attività
circolatoria. La diagnosi di arresto cardiaco è solo clinica, quindi non
necessita l’utilizzo di particolari attrezzature.
Questa situazione può verificarsi senza segni premonitori ed essere
la prima manifestazione della malattia coronaria, nel qual caso il
cuore è spesso sufficientemente sano da permettere al soggetto di
sopravvivere, purché sia soccorso precocemente, correttamente e
con strumenti idonei. Può diversamente essere preceduta da
sintomi molto variabili per intensità, durata e caratteristiche. Da ciò
deriva l’importanza di un pronto riconoscimento dei segni e sintomi
dell’infarto miocardio, ossia dei così detti “segni d’allarme”, quali
dolore o senso d’oppressione al centro del torace o localizzato alle
spalle, al collo, alla mandibola o alla parte superiore dell’addome in
corrispondenza dello stomaco, sudorazione, nausea, sensazione di
“mancanza di respiro” e di debolezza. I sintomi possono comparire
sotto sforzo o a riposo e con vari gradi d’intensità.
L’arresto cardiaco può essere provocato da numerosissime affezioni,
- 13 -
CARDIOPATIE
Insufficienza coronaria (acuta o cronica) su base aterosclerotica
Esiti di infarto del miocardio (aneurisma del ventricolo sinistro)
Spasmo coronario
Coronaropatia acquisita non aterosclerotica e congenita
Valvulopatia (soprattutto stenosi aortica)
Endocardite infettiva
Miocardite, Cardiomiopatia
Tumore cardiaco
ALTERAZIONI DELL’ATTIVITA’ ELETTRICA DEL CUORE
Allungamento dell’intervallo Q-T
Alterazioni secondarie del sistema di conduzione
Aritmie ipercinetiche gravi, Blocco atrio-ventricolare
Malattia del nodo seno-atriale
Sindrome di Wolff-Parkinson-White
ALTERAZIONI DELL’ATTIVITA’ MECCANICA DEL CUORE
Rottura o dissezione di aneurisma aortico
Stato di shock
Tamponamento cardiaco
Tromboembolia polmonare
Pneumotorace ipertensivo
SQUILIBRI IDRO-ELETTROLITICI
Ipomagnesiemia, Ipopotassiemia
Iperpotassiemia, Ipercalciemia
USO INAPPROPRIATO DI FARMACI
Anestetici, Antiaritmici, Digitale
MANOVRE MEDICO-CHIRURGICHE
Anestesia locale e generale
Cateterismo cardiaco
Coronarografia, Embolia gassosa
Massaggio seno-carotideo
Pericardiocentesi, Toracentesi, Tracheotomia
Somministrazione di mezzi di contrasto iodati in soggetti allergici
ALTRE CAUSE
Annegamento, Folgorazione
Emorragia cerebrale
Intossicazione da CO
Ipercapnia, Ipossia
Ipotermia
Tab. 1
- 14 -
di natura cardiaca o extra-cardiaca, brevemente riassunte nella
tabella 1.
Solitamente, qualunque sia la causa, l’arresto cardiocircolatorio può
manifestarsi
attraverso
diversi
ritmi
elettrocardiografici
che
forniscono la situazione che ci si presenta e la relativa terapia da
intraprendere. I principali sono:
1. FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE (FV) (Fig. 2)
Fig. 2
Contrazioni dei ventricoli multiple e disorganizzate caratterizzano la
fibrillazione ventricolare e comportano sostanzialmente un arresto
cardiaco. La fibrillazione ventricolare può iniziare improvvisamente o
fare seguito ad un’extra-sistole ventricolare, una tachicardia o un
flutter ventricolare. Il cuore pur avendo una forte energia elettrica,
- 15 -
questa è talmente disorganizzata che non in grado di essere
utilizzata in maniera coerente, con la conseguenza di un deficit di
pompa cardiaca e quindi un’ipoperfusione tissutale. In attesa della
defibrillazione elettrica, le manovre di rianimazione cardiopolmonare
avviate tempestivamente possono salvare la vita del paziente.
2. TACHICARDIA VENTRICOLARE SENZA POLSO (TV) (Fig.3)
Fig.3
La tachicardia ventricolare è un’aritmia ipercinetica ad attività
elettrica sincronizzata; una volta iniziata, può essere sostenuta
finché termina spontaneamente, o con farmaci o con cardioversione
elettrica, oppure può essere intermittente. I complessi QRS sono
larghi e di forma bizzarra, e la frequenza è solitamente compresa tra
- 16 -
150 e 250 battiti al minuto. Il ritmo, quindi, nella maggior parte dei
casi è regolare e di rado lievemente irregolare. L’attività atriale,
dissociata da quella ventricolare, può non essere influenzata.
Anche in questo caso, a causa dell’elevata frequenza, la gittata
cardiaca non è garantita totalmente in quanto non vi è un completo
riempimento del ventricolo sinistro.
La tachicardia ventricolare può evolvere, se non trattata, in
fibrillazione ventricolare e portare come quest’ultima, ad arresto
cardiaco.
La terapia anche in questa situazione è la defibrillazione elettrica.
3. ASISTOLIA (Fig.4)
Fig.4
Una fibrillazione ventricolare e una tachicardia ventricolare, se non
trattate, molto spesso evolvono in asistolia che si presenta al
monitor come una linea isoelettrica piatta che sta ad indicare una
cessazione dell’attività elettrica e meccanica del cuore.
- 17 -
Al suo primo riscontro è necessario escludere che si tratti di una FV
fine il cui asse sia perpendicolare al tracciato elettrocardiografici, per
cui bisogna verificare attraverso la visualizzazione di più derivazioni.
Tra tutte le aritmie è quella a prognosi più infausta.
4. ATTIVITA’ ELETTRICA SENZA POLSO (PEA)
L’attività elettrica senza polso, chiamata anche dissociazione
elettromeccanica, è caratterizzata dalla conservazione della ritmicità
elettrica cardiaca, ma in assenza di una funzione meccanica
effettiva. Al monitor sarà presente quindi un ritmo cardiaco che può
considerarsi normale ma nella effettiva realtà non è presente la
funzione di pompa cardiaca. Da ciò si avrà la perdita della
perfusione periferica e anche la scomparsa quindi dei polsi centrali.
Alla diagnosi clinica, quindi, si presenterà un quadro di arresto
cardiocircolatorio.
A seconda del ritmo di presentazione di un ACC, il trattamento della
patologia sarà diverso ed è perciò necessario identificare quale sia il
ritmo cardiaco presente.
La terapia per eccellenza dell’arresto cardiocircolatorio è la
defibrillazione, ma quest’ultima non può essere applicata a tutti i
- 18 -
principali tipi di aritmie che ho appena descritto, per cui è necessario
fare una differenziazione:
RITMI DEFIBRILLABILI
RITMI NON DEFIBRILLABILI
Fibrillazione ventricolare
Attività elettrica senza polso (PEA)
Tachicardia ventricolare sp
Asistolia
Nello specifico prenderò in considerazione ciò che riguarda la
terapia elettrica dei ritmi defibrillabili poiché attuabile in tempi molto
ristretti da un infermiere che ha a disposizione un defibrillatore, al
contrario di una terapia farmacologia in cui vi è richiesta anche una
capacità decisionale medica.
- 19 -
LA DEFIBRILLAZIONE
Come
già
ribadito,
i
ritmi
più
frequentemente
responsabili
dell’arresto cardiocircolatorio sono la fibrillazione ventricolare (FV) e
la tachicardia ventricolare senza polso (TVsp) e in entrambi i casi
l’unico
trattamento
risolutivo
“salvavita”
è
costituito
dalla
defibrillazione, che consiste nell’erogare un’adeguata corrente
elettrica (picco di corrente, misurato in ampère) che, attraversando
in un breve intervallo di tempo (4/20 millisecondi), una quota
sufficiente di massa miocardica (massa critica), renda il cuore
refrattario all’onda di attivazione della FV, che viene pertanto
interrotta. Solo una parte esigua della corrente erogata durante uno
shock (il 4% circa) attraversa il cuore, dato che la maggior parte
viene “assorbita” e “dispersa” o passa da un elettrodo all’altro
attraverso la gabbia toracica “saltando” il miocardio. Ad ogni modo,
allo stato di refrattarietà provocato dallo shock, in genere subentra il
risveglio di segnapassi naturali che ripristinano l’ordine elettrico ed
un ritmo organizzato.
Il successo o l’insuccesso di tale manovra sono però influenzati da
diversi fattori:
• Soglia di defibrillazione: risente soprattutto della durata
dell’aritmia. Altri fattori che possono influenzare sono: lo
- 20 -
stato metabolico e patologico del miocardio, la temperatura
corporea, la presenza in circolo di farmaci.
• Picco
di
corrente
ed
energia
erogati:
il
fattore
maggiormente correlato alle possibilità di successo della
defibrillazione, indipendentemente dalla forma d’onda usata,
è dato dal picco di corrente, che rappresenta quindi
l’indicatore ideale d’efficacia di uno shock. Per comodità
comunque, dato che la misurazione del picco di corrente
che attraversa il miocardio è a tutt’oggi ancora difficoltosa in
condizioni di emergenza, il parametro elettrico che viene
normalmente usato per definire l’entità dello shock è
l’energia.
• Forme d’onda: si possono classificare innanzitutto in
monofasiche o bifasiche in base al numero delle fasi. Si
parla di onda monofasica quando la corrente che
depolarizza la massa cardiaca si dirige in un’unica
direzione, da un elettrodo all’altro. Quando invece la
direzione della corrente a un certo punto si inverte, l’onda
viene detta bifasica. Dal punto grafico quindi la forma
d’onda bifasica è rappresentata da una prima fase sopra lo
zero elettrico, e da una seconda fase al di sotto dello zero.
- 21 -
• Impedenza transtoracica: è la resistenza che si interpone
al passaggio della corrente. Tra i fattori che la determinano,
oltre all’energia selezionata, al materiale di interfaccia
elettrodi-cute, al numero e l’intervallo di tempo intercorso da
precedenti shock, alla fase di ventilazione e alla pressione
di contatto elettrodo-cute, ci sono anche:
1. dimensione degli elettrodi: in generale, tanto più sono
grandi gli elettrodi tanto minore sarà l’impedenza; tuttavia
gli elettrodi troppo grandi possono dare luogo ad un
inadeguato contatto con la superficie toracica, o provocare
il passaggio di gran parte della corrente attraverso vie di
conduzione
extra-cardiache,
“mancando”
il
cuore.
Nell’adulto la maggior parte degli elettrodi dimostratisi
efficaci varia da 8.5 a 12 cm di diametro.
2. posizione degli elettrodi: gli elettrodi devono essere posti in
una posizione che garantisce il passaggio del massimo
flusso di corrente attraverso il miocardio. La posizione
raccomandata è sterno-apicale. L’elettrodo sternale è posto
alla destra della parte superiore dello sterno sotto alla
clavicola, e quello apicale alla sinistra del capezzolo con la
parte centrale in corrispondenza della linea medio-ascellare.
- 22 -
Gli elettrodi autoadesivi per monitoraggio e defibrillazione sono
efficaci quanto quelli a placca metallica; sono probabilmente più
comodi e sicuri poiché consentono una defibrillazione a mani
libere.
• Correlazioni
tra
energia,
picco
di
corrente,
impedenza e forma d’onda: tutti questi fattori,
precedentemente descritti, sono strettamente correlati.
È generalmente ammesso che, a parità d’impedenza,
i
defibrillatori
che
impiegano
forme
d’onda
monofasiche abbisognano di alte energie e quindi
devono produrre voltaggi più alti rispetto a quelli
necessari ad un defibrillatore bifasico; è ormai
provato inoltre che, a parità di energia erogata, la
defibrillazione
con
defibrillatori
bifasici
ha
probabilità di successo rispetto a quelli monofasici.
- 23 -
più
I DEFIBRILLATORI
Si distinguono due categorie principali di defibrillatori, differenziate
dalla capacità o meno dello strumento di fornire indicazioni sul tipo
di ritmo presente e, anche, dal ruolo dell’operatore nel decidere la
quantità di energia da erogare. In pratica esistono:
• Defibrillatori manuali
• Defibrillatori esterni automatici e semi-automatici
(DAE)
I defibrillatori manuali (Fig.5) sono chiamati così proprio perché è
necessaria per il loro funzionamento la capacità diagnostica,
decisionale e manuale di una
persona, nello specifico la figura
medica (a meno che non sia presente
un protocollo interno al reparto che
deleghi
gli
infermieri
autonomo
del
manuale).
Infatti
all’utilizzo
defibrillatore
Fig. 5
il
defibrillatore
manuale è fornito da diverse alternative di utilizzo che, a seconda
delle aritmie presenti e riconosciute sul monitor, verrà adeguato al
programma desiderato. In particolare è costituito: pulsante di
accensione e spegnimento, selettore del livello di energia da
somministrare (espressa in Joules o Watt/sec) in corso di
- 24 -
defibrillazione, tasto per scegliere tra i modi sincronizzato
(utilizzabile in corso di aritmie sopraventricolari, quali il flutter e la
fibrillazione atriali) e defibrillazione (da usare ne trattamento della
FV E TVsp), schermo monitor sul quale, oltre la traccia
elettrocardiografica, compaiono in display i valori di frequenza
cardiaca, il modello di defibrillazione, l’energia selezionata di
corrente l’indicatore di attivazione o disattivazione degli allarmi,
registratore su carta, cavo da elettrocardiografo a tre o cinque
elettrodi a seconda del modello e infine sono dotati delle due piastre
da defibrillazione, una delle quali dotate di pulsante di carica ed
entrambe fornite di pulsante di scarica.
Questi ultimi due pulsanti devono essere
premuti
contemporaneamente
realizzare la defibrillazione.
per
Fig. 6
Il termine generico di defibrillatore esterno
automatico (Fig.6), invece, si riferisce ai defibrillatori esterni che
incorporano un sistema di analisi del ritmo in grado di indicare al
soccorritore se la scossa salvavita è necessaria o no, ed un sistema
di caricamento automatico. L’operatore che utilizza un defibrillatore
completamente automatico deve semplicemente collegare gli
elettrodi al paziente e accendere l’apparecchio, che in pochi secondi
- 25 -
procede all’analisi del ritmo cardiaco: se si è presenza di FV o di TV
il dispositivo carica i propri condensatori ed eroga lo shock. Questo
tipo di defibrillatori non è in commercio nel nostro Paese. Possiamo
invece disporre di altri apparecchi detti semiautomatici, che per
erogare lo shock elettrico attendono la conferma dell’operatore
addestrato ed attivarli su pazienti privi di conoscenza, di respiro e di
polso.
Tutti i DAE vengono collegati al paziente con due elettrodi adesivi
mediante cavi di connessione. Questi elettrodi adesivi hanno due
funzioni: rilevare il ritmo ed erogare lo shock elettrico.
I DAE possono essere distinti in :
• DAE che richiedono da parte dell’operatore, una volta acceso
il dispositivo, non solo l’attivazione del sistema di analisi, ma
anche del caricamento prima di procedere all’erogazione dello
shock elettrico. Potremmo anche definirli “DAE a 4 tasti”, in
quanto la sequenza operativa prevede nell’ordine:
1. accensione
(tasto ON)
2. analisi
(tasto ANALYSE)
3. caricamento
(tasto CHARGE)
4. shock
(tasto SHOCK)
- 26 -
• DAE che necessitano, una volta acceso il dispositivo,
dell’attivazione del sistema di analisi prima di procedere
all’erogazione dello shock. Li possiamo anche definire “DAE a
3 tasti”, in quanto, in questo caso, la sequenza operativa è
data da:
1. accensione
(tasto ON)
2. analisi
(tasto ANALYSE)
3. shock
(tasto SHOCK)
• DAE nei quali l’analisi del ritmo cardiaco viene attivata
automaticamente all’accensione dell’apparecchio: “DAE a 2
tasti”. La sequenza operativa in tal caso prevede solamente:
1. accensione e analisi
(tasto ON)
2. shock
(tasto SHOCK)
I DAE a 2 tasti sono ovviamente i più facili da usare. Sono
particolarmente indicati nei programmi di PAD (Public Access
Defibrillation, ovvero Defibrillazione Precoce nella Comunità) dato
che è ampliamente dimostrato che operatori laici sono in grado di
apprendere il loro corretto uso più facilmente e rapidamente di
quanto non avvenga con le manovre di RCP di base.
Esperienze cliniche ormai molto ampie hanno dimostrato che i DAE
hanno alta specificità e sensibilità e quindi non vengono tratti in
- 27 -
inganno dai movimenti del paziente (ad es. convulsioni e
respirazione agonica), né dai movimenti che altri causano al
paziente, né da segnali e artefatti. L’analisi deve essere avviata solo
se vi è certezza dell’ACC (incoscienza, assenza di respiro e polso) e
dopo la cessazione di qualsiasi possibile interferenza (quali, ad
esempio, quelle prodotte dalle vibrazioni dei mezzi di trasporto).
Un altro vantaggio dei DAE deriva dall’uso di placche-elettrodo
defibrillatore applicate al paziente mediante cavi di connessione.
Questo approccio consente una defibrillazione comandata “senza
mani”, che è un metodo più sicuro per gli operatori, in particolare in
spazi ristretti. Le placche adesive possono inoltre consentire un
migliore posizionamento degli elettrodi durante una rianimazione
prolungata.
Con questa tecnica però l’operatore non può esercitare la pressione
che usualmente si pratica con le classiche piastre manuali. Questa
pressione
abbassa
la
impedenza
transtoracica
grazie
al
miglioramento del contatto fra cute ed elettrodi. Le placche adesive
garantiscono tuttavia un simile abbassamento dell’impedenza grazie
al loro migliore adattamento alla parete toracica.
L’utilizzo dei DAE però non può essere utilizzato in ambito pediatrico
poiché essi non sono in grado di ridurre l’energia al livello
- 28 -
necessario alla defibrillazione pediatrica. Il livello massimo di
energia consigliato per gli shock defibrillatori nei bambini è di 4 J/Kg.
I DAE, monofasici o bifasici, erogano una scarica iniziale di 150200J. Per i bambini di età superiore a 8 anni, il cui peso medio è
superiore a 25 Kg, questa scarica corrisponde a meno di 10J/Kg che
può essere considerata accettabile. Per questo motivo è indicato
l’uso del DAE in bambini di età superiore ad 8 anni o di peso
superiore a 25 Kg circa.
Capitolo 2
LEGISLAZIONE:
USO DEL DEFIBRILLATORE IN AMBITO OSPEDALIERO DA
PARTE DEL PERSONALE INFERMIERISTICO
- 29 -
Circa la normativa in materia di uso dei defibrillatori manuali e
semiautomatici da parte degli infermieri professionali nell’ambito
ospedaliero, va detto subito che manca una legislazione specifica e
che i principi in argomento vanno dedotti dal combinato disposto
della legislazione ordinaria e da quella relativa a settori diversi.
Riguardo alla detta legislazione per settori diversi deve essere citata
la L.3.4.01 n.120 (uso dei defibrillatori semiautomatici in ambiente
extraospedaliero) che recita come segue: “è consentito l’uso del
defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche al
personale sanitario non medico, nonché al personale non
sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle
attività di rianimazione cardiopolmonare”.
Detta legge, nella sostanza non rivoluziona il panorama normativo
(si dirà più avanti che la detta legge è la logica conseguenza
dell’innovazione tecnologica e che l’uso del defibrillatore, avvenendo
prevalentemente nell’area dello stato di necessità, risulterebbe
comunque scriminato dalla stessa e da altre cause di giustificazione)
ed
introduce
professionale
per
converso
un
sperequazione
può
utilizzare
autonomamente
il
(l’infermiere
defibrillatore
semiautomatico solo in ambiente extraospedaliero) sulla quale si
- 30 -
tornerà più oltre e che appare solo parzialmente giustificata dalla
diversità delle situazioni.
Ciò conferma peraltro l’affermazione commentata più avanti (allo
stato la defibrillazione è strettamente avvinta alla competenza
medica).
Salta all’occhio l’impiego da parte del legislatore di frasi del tipo “è
consentito
…
anche
al
personale
non
medico”.
Non c’è chi non veda che tali frasi richiamano una riserva di
competenza al personale medico.
Deve essere citata altresì la legge sulla emergenza sanitaria (D.p.r.
27.3.92) per la quale il personale infermieristico professionale, nello
svolgimento del servizio di emergenza è autorizzato a svolgere “le
manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai
protocolli decisi dal medico responsabile di centrale”.
Serve quindi una delega del medico al personale infermieristico, il
quale
non
Resterebbe
è
il
confermata
titolare
la
delle
centralità
citate
del
manovre.
medico.
Si ritiene ancora, come per la legge sopra commentata, che le
pratiche in questione possano essere affidate solo eccezionalmente
all’infermiere professionale.
- 31 -
Dalla manualistica e dalla normativa di carattere generale si ricava
quanto
segue.
La defibrillazione è un atto conseguente alla diagnosi di arresto
cardiaco.
Detta
diagnosi
è
riservata
al
medico.
Di competenza medica è pure la decisione riguardo all’intensità
della stimolazione elettrica (terapia).
Tutela e sanziona tale riserva di competenza l’art.348 del codice
penale (esercizio abusivo di professione riservata) per cui
“chiunque abusivamente esercita una professione per la quale
è richiesta una speciale abilitazione dello stato, è punito con la
reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a
un milione”.
E’ notorio che esistono tipi diversi di defibrillatore: a) il defibrillatore
manuale; b) il defibrillatore semiautomatico; c) il defibrillatore
automatico.
Quanto al defibrillatore manuale serve appena sottolineare che lo
stesso eroga semplicemente lo shock elettrico secondo l’intensità
decisa dall’operatore.
L’uso dello stesso presuppone l’emissione di una diagnosi di arresto
cardiaco e la stima dell’intensità della scarica (di competenza
- 32 -
medica).
Quanto al defibrillatore automatico è risaputo che lo stesso agisce in
completa autonomia rispetto all’operatore, il quale deve solo
connettere
gli
elettrodi.
L’apparecchio analizza il ritmo cardiaco, riconosce in proprio
fibrillazione e tachicardia ventricolare (con percentuali di errore
trascurabili) ed eroga autonomamente lo shock elettrico.
Il defibrillatore semiautomatico è simile nel funzionamento al
defibrillatore
automatico.
In aggiunta all’operatore incombe di attivare manualmente sia la
funzione di analisi del ritmo cardiaco, sia il comando di scarica, la
quale pur tuttavia viene “consigliata” dall’apparecchio stesso al
termine
del
processo
di
analisi
(l’apparecchio
si
carica
autonomamente).
Per entrambi i modelli di DAE non servono diagnosi medica e
prescrizione relativa all’intensità dello shock (terapia) alle quali
provvede
l’apparato.
Svanirebbe dunque la minaccia di imputazione di esercizio abusivo
della
professione
medica
(art.348
c.p.).
L’innovazione tecnologica in commento ha aperto la strada
- 33 -
all’impiego dello strumento (DAE) anche a personale non sanitario,
limitatamente all’ambiente extraospedaliero.
Di qui l’emanazione della richiamata legge 3.4.01 n.120, sulla quale
si
è
già
scritto.
Si è scritto pure (e va sottolineato) che non esistono ancora
disposizioni
di
legge
che
consentano
l’utilizzo
autonomo
all’infermiere professionale dei DAE nell’ambiente ospedaliero (ciò
che gli sarebbe concesso solo in ambiente extraospedaliero).
La sperequazione non appare giustificata, atteso la preparazione
che si richiede oggigiorno al personale infermieristico, attesa ancora
la semplicità di impiego dei DAE e per converso il bisogno di
assoluta tempestività delle manovre rianimatorie che si registra
anche
in
corsia.
La difficoltà della situazione appare superabile come segue.
La defibrillazione va eseguita urgentemente (agli effetti della
sopravvivenza, il tempo massimo utile non va oltre i dieci minuti
dall’arresto
cardiaco).
Sono notorie le perdite di chances di sopravvivenza per il ritardo
(10% per ciascun minuto perso) nonché i danni prodotti dalla
ritardata
rianimazione.
- 34 -
Il personale sanitario non può sottrarsi alla defibrillazione e non
deve ritardarla.
Presidiano e sanzionano la mancata o la cattiva esecuzione della
defibrillazione le norme del codice penale in materia di lesioni ed
omicidio colposi (art.589 e segg. codice penale), di rifiuto d’atti
d’ufficio (art.328: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un
pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo
ufficio che per ragioni … di sanità deve essere compiuto senza
ritardo è punito con la reclusione da sei mesi a due anni) e di
omissione di soccorso (art.593: “soggiace … alla reclusione fino
a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila … chi
trovando … una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette
di prestare l’assistenza occorrente … se da siffatta condotta
deriva una lesione personale la pena è aumentata … se ne
deriva la morte la pena è raddoppiata”).
L’urgenza della defibrillazione e le conseguenze della sua mancata
o ritardata attuazione collocano le relative manovre nell’area
dell’atto
necessitato.
Lo stato di necessità (art. 54 del codice penale: “non è punibile chi
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona,
- 35 -
pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti
evitabile”) esclude la punibilità per il reato di esercizio abusivo della
professione medica (art.348 c.p.).
L’uso del defibrillatore in condizioni di urgenza da parte del
personale
infermieristico
è
collocabile
altresì
nell’area
dell’adempimento di un dovere (art.51 c.p.: “l’esercizio di un diritto
o l’adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica
…
esclude
la
punibilità”).
In effetti gli infermieri professionali debbono essere addestrati alle
manovre di rianimazione.
Le manovre di rianimazione competono indubbiamente agli
infermieri professionali (si veda la L.26.2.99 n.42: “… il campo
proprio di attività e di responsabilità …” della professione
infermieristica “… è determinato dai decreti ministeriale
istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti
didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario”) e
rappresentano in ultimi analisi un obbligo per gli stessi a norma
dell’art.593 c.p. (per cui è punito chiunque, avendo le cognizioni
occorrenti, omette di prestare assistenza ad una persona in
pericolo).
L’adempimento dell’obbligo esclude il reato.
- 36 -
Tanto
premesso
valga
quanto
segue.
Nel caso di intervento tempestivo del medico “nulla quaestio” posto
che
l’equipe
viene
diretta
dallo
stesso.
Non mette conto stabilire chi manovra il defibrillatore manuale
(anche l’infermiere professionale può farlo, riservate al medico
diagnosi e prescrizione e richiamato quanto si è detto circa la
formazione ed addestramento dello stesso infermiere professionale).
Qualora non vi sia l’intervento del medico nei tempi anzidetti
l’infermiere professionale può e deve azionare il DAE (ovviamente
se
disponibile).
In difetto le imputazioni ipotizzabili sono quelle ex art.593 c.p.
aggravate dall’evento (morte o lesioni colpose).
L’uso del defibrillatore semiautomatico risulterebbe comunque
scriminato ex art.51 c.p. (adempimento di un dovere) e 54 c.p. (stato
di
Voglio
necessità).
astenermi
dal
commentare
il
caso
dell’infermiere
professionale il quale, nei frangenti anzidetti, usa il defibrillatore
manuale e salva la vita al paziente (emergendo eventualmente
scriminato ex art.54 c.p.).
Farebbe da contro altare allo stesso caso quello dell’infermiere il
quale, nei medesimi frangenti, sbaglia la diagnosi, nuoce al paziente
- 37 -
e risponde a termini dell’art.348 c.p. (esercizio abusivo della
professione medica) e 589 e segg. c.p. (omicidio colposo o lesioni
colpose).
- 38 -
Capitolo 3
DATI STATISTICI
I maggiori studi relativi alla rianimazione cardiopolmonare in
ospedale effettuati negli ultimi anni, arrivano principalmente da paesi
esteri, ma anche in Italia sono presenti alcune ricerche relative
all’argomento in questione. In entrambe i casi però, succede che
ogni studio differisca notevolmente per quanto riguarda i metodi
utilizzati e le relative raccolte dati per cui è presente una certa
disuguaglianza sui vari risultati ottenuti, soprattutto perché questi
studi prendevano in considerazione strutture ospedaliere con
differenti modalità di gestione delle emergenze intraospedaliere.
Le tre maggiori reviews che raccolgono più di 50 articoli sulla
sopravvivenza
dopo
arresto
estremamente
significative
cardiaco
della
in
variabilità
ospedale,
sono
nell’affrontare
e
registrare l’evento:
Mc Grath ha riferito una sopravvivenza a 24 ore del 38% (range
13%-59%) e del 15% (range 3%-27%) alla dimissione dall’ospedale.
De Bard ha riportato una sopravvivenza del 39% a 24 ore e del 17%
alla dimissione.
Cummins e Graves rivisitando 44 articoli hanno rilevato una
sopravvivenza alla dimissione variabile dal 3% al 27%.
- 39 -
Da ciò si può dedurre che comunque, nonostante le difformità dei
vari studi condotti, si giunge a un dato molto significativo anzi
diciamo il più importante, che la sopravvivenza per arresto cardiaco
all’interno dell’ospedale, alla dimissione dei pazienti si aggiri intorno
al 15%, dato che non si può considerare molto soddisfacente.
Come già dicevo sono stati eseguiti molti studi relativi alla
sopravvivenza per arresto cardiaco in ospedale e la relativa
organizzazione dell’emergenza in termini di risorse strumentali ed
umane ma tra quelli di cui sono a conoscenza, hanno suscitato il
mio interesse per i risultati ottenuti solo alcuni.
È da citare sicuramente uno fra i primi studi effettuati: lo studio di
BRESUS effettuato in Inghilterra nei primi anni ’90. Questa ricerca
ebbe come obiettivo quello di determinare le circostanze, l’incidenza
e la sopravvivenza successive a una rianimazione cardiopolmonare.
Venne effettuata un’indagine su 12 ospedali britannici per un
periodo di 12 mesi e vennero registrate 3765 rianimazioni effettuate
(di queste 3765, 927 nelle quali l’arresto cardiaco ebbe inizio al di
fuori dell’ospedale). Di tutti casi rilevati si è potuto studiare poi la
relativa sopravvivenza dopo la rianimazione iniziale, a 24 ore, alla
dimissione dall’ospedale e infine ad un anno dall’evento. Questi
furono i risultati:
- 40 -
• 39% ebbero ripresa di circolo;
• 28% sopravvissero a 24 ore;
• 17% erano vivi alla dimissione;
• 12.5% erano vivi ad un anno dall’evento.
Oltre a queste percentuali di sopravvivenza questo studio riportò
anche che la maggiore probabilità di ripristino di circolo, si ebbe nei
reparti di cura intensiva. Ciò dovuto alla carenza negli altri reparti di
materiali, apparecchiature e addestramento.
Qualche anno dopo fu effettuata una ricerca su alcuni ospedali
portoghesi che studiò la sopravvivenza a seconda del ritmo iniziale
di presentazione e prese in considerazione anche se le manovre di
RCP di base furono iniziate oppure no prima dell’arrivo della
squadra di ACLS. Si ottenne che sul 90% delle chiamate (120
chiamate registrate), il supporto di base delle funzioni vitali è stato
iniziato, mentre nel 10% non erano state praticate manovre di BLS.
Dei 90% (108 pazienti), il 31,5% (34 pazienti) ha avuto ripristino di
circolo, mentre dei 10% (12 pazienti) solo l’ 8.3% (1 paziente) ha
avuto ripristino di circolo.
Un altro aspetto da citare di questo studio fu la sopravvivenza a
seconda del ritmo di presentazione iniziale: fibrillazione ventricolare
nell’ 8%, tachicardia ventricolare nel 24%, asistolia o PEA nel
- 41 -
restante 68% dei casi. La sopravvivenza in caso di fibrillazione
ventricolare/tachicardia ventricolare senza polso (alla dimissione), fu
del 39,4%; la sopravvivenza in caso di asistolia o PEA alla
dimissione fu del 5,2%.
Un altro fattore molto importante che venne considerato dal Servizio
di Cardiologia del centro medico dell’esercito di Brooke del Texas, è
il tempo. Infatti in questo centro venne introdotto un metodo per
ridurre il tempo di intervento in ogni fase della catena della
sopravvivenza.
Innanzitutto
dell’inserimento
di
questa
registrarono
ricerca
e
il
poi
tempo
prima
successivamente
all’introduzione di questa. Si ricavò prima di tutto che i tempi di
reazione medi dipendevano dall’ eziologia, dalla posizione del
paziente
nell’ospedale
apparecchiature
di
e
dalla
emergenza.
posizione
Ma
dei
presidi
fondamentalmente
si
e
è
dimostrato questo: La riduzione dei tempi di intervento in minuti, per
l’inizio della RCP (1.3 contro 0.4), dell’arrivo della squadra di
emergenza (1.6 contro 1.2), della prima defibrillazione (7.8 contro
6.6) e del primo farmaco (4.1 contro 3.8) hanno portato a un
miglioramento della sopravvivenza (47% contro il 57% successivo).
- 42 -
Analizzando questi dati ci si può rendere conto di quante variabili
possano intervenire nell’affrontare l’arresto cardiaco in ospedale ma
anche nel raccogliere e confrontare dati.
Si può dire quindi, che i fattori che influiscono sulla riuscita di una
rianimazione cardiopolmonare possono essere suddivisi fra fattori
intrinseci al paziente e fattori chiamiamoli ambientali:
FATTORI DEL PAZIENTE
FATTORI ESTERNI
• Età
• Tempi della catena della
• Ritmo iniziale (FV/TV o
sopravvivenza
• Disponibilità di materiale
Asistolia/PEA)
• Patologie concomitanti
• Posizione del paziente
• Durata della rianimazione
• Formazione del personale
Riassumendo si può dire che le maggiori variabili che influiscono
sull’esito di un arresto cardiaco sono:
1. L’ospedale inteso come struttura architettonica, reparti
diversi, organizzazione interna.
2. Il paziente con le sue caratteristiche cliniche, le
comorbidità, la terapia in atto.
3. Causa dell’arresto ed evoluzione immediata dell’evento
- 43 -
4. Risultato inteso come sopravvivenza a tempi diversi,
esiti.
Quel che è certo è che in ospedale, al di fuori dei reparti dedicati
all’emergenza, si debbono fare i conti con le due componenti che,
più di altre, influiscono sull’esito: il tempo e la preparazione del
primo soccorritore che deve sapere chi attivare ma deve anche
sapere fare.
Come primo soccorritore in ospedale possiamo sicuramente
identificare l’infermiere, ed è questa figura professionale che deve
conoscere ed attivare la catena della sopravvivenza con i suoi
quattro anelli fondamentali.
Per fare un quadro generale sulla situazione in Italia posso fare
riferimento al 4^ Censimento delle strutture cardiologiche in Italia
effettuato nel 2000/2001: i dati di questa ricerca si riferiscono a 687
enti di ricovero. Essi riguardano attività rivolte all’addestramento del
personale mediante la realizzazione di programmi educativi e
all’allestimento di protocolli diagnostico-terapeutici.
Per quanto riguarda i programmi di addestramento alla rianimazione
cardiopolmonare il 59.1% (406/687) degli ospedali ha realizzato
programmi di addestramento per la RCP: il 60% (356/593) degli
ospedali pubblici e il 53.2% (50/94) degli ospedali privati. La
- 44 -
frequenza con la quale sono stati realizzati questi programmi risulta
maggiore negli ospedali collocati al Nord (74.4%) in confronto a
quelli collocati al Centro (61.7%) e al Sud d’Italia (39.9%) ed è stata
mediamente maggiore negli ospedali dotati di UTIC (69.1%) in
confronto a quelli che ne sono privi (47.1%). Nella grande
maggioranza (73.1%), i programmi sono stati rivolti a tutto il
personale, nel 22.9% dei casi al solo personale infermieristico,
nell’1.5% al solo personale medico e nel 2.5% dei casi ad altro
personale.
In confronto al 1995 la percentuale degli ospedali pubblici che
hanno attivati programmi di rianimazione cardiopolmonare risulta più
che raddoppiata (60 vs 28.8%).
Invece per quanto riguarda un protocollo di intervento per far fronte
all’arresto cardiaco che si verifica all’interno dell’ospedale ma al di
fuori delle aree intensive, è stato realizzato nel 50.2% degli ospedali:
molto più spesso, però, in quelli privati (71.3%) che in quelli pubblici
(46.9%).
Il protocollo è gestito in collaborazione tra il cardiologo e lo
specialista rianimatore in 111 casi (32.2%), dal solo rianimatore in
107 (31%), dal solo cardiologo in 78 (22.6%) e da una combinazione
di figure mediche diverse dalle precedenti in 49 (14.2%).
- 45 -
Nel momento dell’emergenza in 201 ospedali (58.3%) viene
chiamato indifferentemente il cardiologo o l’anestesista rianimatore,
in 71 (20.6%) il rianimatore, in 65 (18.8%) il cardiologo.
Per quanto riguarda l’uso del defibrillatore la grande maggioranza
degli ospedali (64.5%) utilizza defibrillatori tradizionali, il 19.7%
defibrillatori semiautomatici, il 12.7% dispone di entrambi.
- 46 -
Capitolo 4
INDAGINE
CONOSCITIVA
SULL’ORGANIZZAZIONE
DELL’EMERGENZA INTRAOSPEDALIERA NELL’OSPEDALE DI
PARMA E CREMONA
Allo scopo di conoscere la situazione relativa all’ospedale di Parma,
ho effettuato un’analisi dei reparti non intensivi del suddetto
ospedale e in più, ho voluto mettere in pratica questa ricerca anche
nell’ospedale di Cremona, per poter avere un confronto di due realtà
molto simili ma che organizzativamente possono risultare differenti.
Per poter svolgere questo lavoro ho utilizzato un questionario
(Allegato 1) rivolto agli infermieri dei reparti scelti, di 14 domande,
alcune a risposta singola e alcune a risposta multipla, che vertiva su
2 componenti esenziali: la formazione alla RCP degli infermieri e
l’organizzazione interna del reparto.
I questionari sono stati distribuiti nel mese di settembre. A parma
sono stati somministrati 110 questionari a cui hanno risposto 79
infermieri (71.8%) dei reparti prescelti. A Cremona sono stati
consegnati 90 questionari a cui hanno risposto 69 infermieri (76.6%).
I risultati ottenuti da entrambe gli ospedali si possono definire
similari ma con qualche lieve differenza su alcuni punti. Per questo,
- 47 -
per ogni domanda, metterò a confronto i due grafici percentuali
ottenuti.
Quale tra questi corsi di formazione base di primo soccorso ha
frequentato?
DOMANDA 1
BLS
22%
34%
1%
4%
BLSD
PBLS
CORSO EMERG-URG
10%
ALTRO
29%
NESSUNO
Grafico 1 CR
DOMANDA 1
20%
BLS
20%
BLSD
5%
5%
8%
PBLS
CORSO EMERG-URG
ALTRO
42%
NESSUNO
Grafico 1 PR
Da questi grafici risulta che in entrambe le aziende ospedaliere più
della metà degli infermieri intervistati, ha partecipato a corsi di
- 48 -
rianimazione cardiopolmonare di base (BLS-BLSD): a Cremona il
63% dei rispondenti ha partecipato a corsi di rianimazione per adulto,
mentre a Parma il 62%. Per quanto riguarda la rianimazione
pediatrica sono ancora percentuali ridotte in quanto questo ambito,
sarà sicuramente più frequentato da infermieri pediatrici rispetto alla
mia popolazione d’indagine. Ma ho inserito ugualmente il PBLS in
quanto volevo verificare se può essere per gli infermieri presi in
questione, solo un’integrazione al proprio bagaglio culturale o
comunque un accumulo di crediti ECM, come è poi risultato.
Nonostante ciò, è direi quasi indispensabile conoscere la sequenza
del PBLS, poiché la popolazione che si presenta in un’azienda
ospedaliera ogni giorno comprende qualsiasi personaggio di ogni
età. Essere formati e, quindi pronti, ad ogni evenienza, non è mai
troppo.
C’è da sottolineare che una buona fetta tra gli infermieri intervistati
(a Cremona il 22% e a Parma il 20%), non ha mai partecipato a
corsi di rianimazione cardiopolmonare.
- 49 -
Se li ha frequentati, per quali è certificato?
DOMANDA 2
13%
BLS
3%1% 3%
BLSD
43%
PBLS
CORSO EMERG-URG
ALTRO
37%
NESSUNO
Grafico 2 CR
DOMANDA 2
6% 5% 5%
BLS
BLSD
PBLS
CORSO EMERG-URG
ALTRO
23%
11%
50%
NESSUNO
Grafico 2 PR
La certificazione è il processo grazie al quale un’agenzia o
un’associazione non governativa certifica che una persona,
autorizzata ad esercitare la professione, ha soddisfatto alcuni
standard predeterminati specificati dalla professione per quell’area
di pratica. La certificazione è stata ideata per garantire al pubblico
che una professionista ha acquisito un corpo di conoscenze ed
abilità in una determinata specialità. Per ciò ora la certificazione è
- 50 -
requisito essenziale per poter praticare e assicurare una corretta
sequenza di rianimazione cardiopolmonare. La certificazione in
pratica, esplicita come devono lavorare i professionisti; quindi
definisce i limiti dell’autonomia degli infermieri, ma anche in cosa è
autonomo.
Dalle risposte ottenute ben pochi, tra quelli che hanno frequentato
corsi di RCP, non sono certificati dai corsi di formazione che hanno
seguito. A Cremona l’80% dei rispondenti che hanno frequentato
corsi di BLS-BLSD è certificato, a Parma il 73%. Si può dire che la
competenza degli infermieri viene definita dalla formazione, le
conoscenze e le abilità possedute.
- 51 -
Quanto tempo fa li ha frequentati?
DOMANDA 3
13%
4%
29%
< 1 ANNO
> 1 ANNO
1 ANNO
19%
2 ANNI
3 ANNI
35%
Grafico 3 CR
DOMANDA 3
18%
14%
9%
18%
< 1 ANNO
> 1 ANNO
1 ANNO
2 ANNI
3 ANNI
41%
Grafico 3 PR
il processo di certificazione deve anche garantire un meccanismo
che attesti il mantenimento delle competenze. La maggior parte dei
programmi di certificazione hanno un meccanismo di ricertificazione
ogni 2-3 anni. Nella mia domanda ho semplicemente chiesto da
quanto tempo erano stati frequentati i corsi e non se era stato
effettuato un retraining a questi corsi, perché sono a conoscenza del
fatto che solo da quest’anno nell’azienda ospedaliera di Parma (a
- 52 -
Cremona non ancora), è iniziato il retraining al BLS-BLSD. Per cui
presumo che solo una ridottissima percentuale abbia di nuovo
rifrequentato il corso.
Comunque risulta in entrambe gli ospedali (a Cremona il 64%, a
Parma il 59%) hanno frequentato i corsi da più di 2-3 anni. Le
restanti percentuali (a Cremona il 36%, a Parma il 41%) hanno
frequentato i corsi da 1 anno o meno. Ciò può far pensare che vi sia
una
riduzione
abbastanza
consistente
degli
infermieri
che
frequentino questi corsi, o semplicemente che la maggior parte degli
infermieri dell’azienda li ha già praticati.
- 53 -
I corsi di formazione sono stati seguiti per:
DOMANDA 4
FORMAZ.OBB
18%
INTERESSE PERS
39%
ATTIVITA' EXTRA-LAV
4%
39%
ACCREDITAMENTO
ECM
Grafico 4 CR
DOMANDA 4
FORMAZ.OBB
33%
22%
INTERESSE PERS
ATTIVITA' EXTRA-LAV
6%
ACCREDITAMENTO
ECM
39%
Grafico 4 PR
Questa domanda è stata posta semplicemente per capire se gli
infermieri che seguono questo tipo di formazione abbiano una
motivazione soddisfacente che li porti a frequentare con interesse gli
argomenti trattati e non solo per ottenere i crediti ottenibili con la
certificazione.
La domanda era a risposta multipla ma comunque una buona
percentuale (39% sia Parma che Cremona) ha barrato la casella
- 54 -
dell’interesse personale in unione però anche all’accreditamento
ECM (33% Parma e 39% Cremona).
La serie di domande successive del questionare sono indirizzate
tutte ad indagare come sia preparata una determinata struttura
ospedaliera a far fronte ad un evento come l’arresto cardiaco in aree
non intensive.
Di che presidi di emergenza è dotata la vostra unità operativa?
DOMANDA 5
0% 9%
8%
BORSA EMERG
CARRELLO EMERG
ALTRO
NULLA
83%
Grafico 5 CR
DOMANDA 5
4%0%
14%
BORSA EMERG
CARRELLO EMERG
ALTRO
NULLA
82%
Grafico 5 PR
- 55 -
È utile conoscere in che modo e attraverso quali presidi il personale
può far fronte ad una situazione d’emergenza come l’arresto
cardiaco.
All’incirca i risultati ottenuti sono similari: sia nell’ospedale di Parma
(82%), che in quello di Cremona (83%), l’utilizzo del carrello
dell’emergenza è la prerogativa più diffusa, e direi anche la migliore.
In alcuni reparti è anche risultato l’utilizzo di una borsa per
l’emergenza (Cremona 8%, Parma 14%), ma che era presente
sempre in concomitanza con il carrello dell’emergenza e mai come
singola possibilità. Evidentemente in questi reparti hanno il buon uso
di conservare una borsa dell’emergenza come “scorta”, per una
possibile contemporanea presenza di più emergenze nello stesso
momento.
È presente però, nell’ospedale di Cremona, un inatteso 9% che
ammette di non essere a disposizione di nessun presidio specifico
per una possibile emergenza, ma nel caso si presenti usufruiscono
soltanto di farmaci e presidi presenti nel reparto in quel momento.
- 56 -
È presente un defibrillatore nella vostra unità operativa?
DOMANDA 6
SI
41%
NO
59%
Grafico 6 CR
DOMANDA 6
18%
SI
NO
82%
Grafico 6 PR
Se si, di che tipo?
DOMANDA 7
37%
DAE
MANU
ALE
63%
Grafico 7 CR
- 57 -
DOMANDA 7
24%
DAE
MANUALE
76%
Grafico 7 PR
Da questa due domande si può notare come nell’ospedale di Parma
(82%) la diffusione dei defibrillatori sia più radicale rispetto
all’ospedale di Cremona che solo il 59% degli infermieri facente
parte dei reparti prescelti, dichiara di essere a disposizione di
defibrillatore nel proprio reparto. Inoltre nell’azienda ospedaliera di
Parma è stato attuato un programma ancora in esecuzione, che
garantisca la presenza del defibrillatore semiautomatico esterno in
tutti i reparti dell’azienda ospedaliera; infatti come si può notare dalle
risposte ottenute, dell’82% che mi ha confermato della presenza di
defibrillatore in reparto, il 76% è costituito da defibrillatori
semiautomatici esterni (DAE), rispetto a Cremona in cui solo il 59%
dei rispondenti è a disposizione di defibrillatore, del quale solo il
37% è costituito da DAE.
- 58 -
Ciò porta sicuramente a un vantaggio dell’ospedale di Parma
rispetto a quello di Cremona, poiché sicuramente quest’ultimo avrà
più difficoltà a garantire una defibrillazione precoce, a meno che
ogni reparto sia dotato di un protocollo che indichi l’utilizzo del
defibrillatore
convenzionale
anche
da
parte
del
personale
infermieristico. Ciò però implicherebbe anche il riconoscimento da
parte dell’operatore di un ritmo defibrillabile e, di conseguenza di un
corretto utilizzo del defibrillatore manuale (vedi parte legislativa
cap.3).
- 59 -
Ha mai eseguito una sequenza di rianimazione
cardiopolmonare?
DOMANDA 8
SI
33%
NO
67%
Grafico 8 CR
DOMANDA 8
SI
46%
NO
54%
Grafico 8 PR
- 60 -
Se no, si sentirebbe pronto ad eseguirla?
DOMANDA 9
30%
SI
NO
70%
Grafico 9 CR
DOMANDA 9
31%
SI
NO
69%
Grafico 9 PR
Per praticare la RCP sono richieste sia conoscenze teoriche che
capacità manuali. Le conoscenze teoriche possono rimanere parte
integrante delle conoscenze di un infermiere, ma senza la pratica
(come è stato dimostrato da uno studio condotto sulle modalità di
insegnamento di tecniche di RCP) queste capacità manuali possono
essere perse.
- 61 -
Le domande 8 e 9 chiariscono almeno in parte questa spiegazione.
Nell’ospedale di Cremona il 33% dei rispondenti non ha mai
praticato una sequenza di rianimazione cardiopolmonare. Di questo
33% risulta che il 70% non si sentirebbe nemmeno pronto ad
eseguirla, anche se probabilmente nel 33% sono compresi infermieri
certificati al BLS-BLSD.
Analogamente a Parma il 46% degli infermieri indicati non ha mai
eseguito una sequenza di RCP. Di questo 46%, il 69% non si
sentirebbe pronto a realizzare manovre salvavita.
Per questo credo che il programma di retraining sia condizione
essenziale per garantire l’esecuzione di manovre salvavita in caso di
necessità.
- 62 -
Ha mai utilizzato un defibrillatore?
DOMANDA 10
12%
SI
42%
NO
L'HO VISTO USARE
46%
Grafico 10 CR
DOMANDA 10
27%
34%
SI
NO
L'HO VISTO USARE
39%
Grafico 10 PR
Da questi grafici risulta che una percentuale molto ridotta tra gli
intervistati ha utilizzato un defibrillatore. Nello specifico a Cremona
solo il 12% ha fatto uso di defibrillatore, mentre a Parma la
percentuale aumenta fino al 39%.
- 63 -
I corsi di formazione che ha seguito, le sono serviti per
apportare delle modifiche nella gestione dei presidi e
dell’emergenza in se stessa?
DOMANDA 11
26%
SI
NO
74%
Grafico 11 CR
DOMANDA 11
11%
SI
NO
89%
Grafico 11 PR
Se si, in che cosa è migliorato?
DOMANDA 12
UTILIZZO PRESIDI
DISPOSIZIONE FISICA
PRESIDI
3%
9%
39%
DISPONIBILITA' DI
ULTERIORI PRESIDI
UTILIZZO DELLE
PROCEDURE
38%
5%
ISTITUZIONE DI
PROTOCOLLI INTERNI
6%
TUTTE
Grafico 12 CR
- 64 -
DOMANDA 12
UTILIZZO PRESIDI
DISPOSIZIONE FISICA
PRESIDI
4%
8%
DISPONIBILITA' DI
ULTERIORI PRESIDI
34%
UTILIZZO DELLE
PROCEDURE
31%
9%
ISTITUZIONE DI
PROTOCOLLI INTERNI
14%
TUTTE
Grafico 12 PR
I corsi di formazione oltre a fornire delle conoscenze teoriche e una
capacità pratica sulle manovre di RCP, sono utili per dare degli
“input” ad una eventuale organizzazione interna del reparto. Ciò l’ho
chiesto appunto agli infermieri che hanno frequentato corsi di RCP.
È risultato che nell’89% dei casi a Cremona e nel 74% a Parma
sono serviti per apportare delle modifiche in diversi ambiti:
- utilizzo presidi (39% Cremona; 34% Parma)
- disposizione fisica dei presidi (6% Cremona; 14% Parma)
- disponibilità di ulteriori presidi (5% Cremona; 9% Parma)
- utilizzo delle procedure (38% Cremona; 31% Parma)
- istituzione di protocolli interni (3% Cremona; 4% Parma)
- tutte (9% Cremona; 8% Parma)
- 65 -
È presente un protocollo interno di attivazione precoce di
personale ACLS (supporto cardiaco avanzato o di almeno un
rianimatore)?
DOMANDA 13
14%
SI
NO
86%
Grafico 13 CR
DOMANDA 13
12%
SI
NO
88%
Grafico 13 PR
Come sospettavo, dalle percentuali di risposta ottenute in entrambe
gli ospedali, nella maggior parte dei reparti non è presente un
protocollo interno per far fronte a una situazione di arresto cardiaco
che necessita di manovre particolari e della presenza di personale
avanzato.
- 66 -
A Cremona l’86% ha affermato che nel proprio reparto non è
presente un protocollo specifico, mentre a Parma l’88%. È probabile
poi che non tutti gli infermieri dei reparti che hanno risposto si siano
a conoscenza dell’esistenza di questo protocollo.
- 67 -
È presente nel vostro reparto uno strumento di raccolta dati (es.
una scheda da compilare dopo l’evento), relativa agli interventi
d’emergenza effettuati?
DOMANDA 14
0%
SI
NO
100%
Grafico 14 CR e PR
In questo caso non ho differenziato i due grafici di Cremona e
Parma, perché in questa domanda i risultati ottenuti sono gli stessi.
Anche per quanto riguarda una raccolta dati, entrambe gli ospedali
sono privi di strumenti per la valutazione della performance delle
manovre di RCP e anche, quindi, di una valutazione della
sopravvivenza a breve e lungo termine dopo l’evento.
- 68 -
Capitolo 5
LA
CATENA
DELLA
SOPRAVVIVENZA
ALL’INTERNO
DELL’OSPEDALE
Nel 1991, Cummins e coll. pubblicarono un articolo dov’era
elaborato il concetto di catena della sopravvivenza. Tale concetto
nasceva dall’osservazione che non era il singolo intervento che
determinava la prognosi del paziente, per quanto tecnicamente ben
condotto,
ma
l’organizzazione,
la
coordinazione
e
la
standardizzazione di una serie di valutazioni e azioni che devono
essere necessariamente eseguite da più persone insieme o in tempi
successivi per fornire il trattamento cardiaco d’emergenza.
Il primo obiettivo di tale trattamento non è solo quello di ripristinare
l’attività cardiaca spontanea e autonoma, ma, soprattutto, di
ottenere questo risultato prima che il cervello sia stato danneggiato
parzialmente o definitivamente. Infatti, è proprio il cervello che
determina il tempo utile d’intervento, poiché è l’organo vitale con
minore capacità di resistenza all’ipossia-ischemia. Si ricorda che,
nella maggior parte dei casi, un insulto ischemico cerebrale
determina un danno almeno parzialmente irreversibile già entro 4-6
minuti. Per sottolineare l’importanza di questo dato, oltre 10 anni fa,
Safar ha proposto di sostituire la sigla comunemente usata di RCP
- 69 -
(rianimazione cardiopolmonare) con la sigla RCCP ( rianimazione
cerebro-cardio-polmonare).
Da quanto detto sopra appare evidente la necessità che, non solo
gli operatori dell’emergenza agiscano con rapidità, precisione,
coordinamento e uniformità di comportamento, ma anche che tali
operatori, siano chiamati e possano raggiungere il paziente nel più
breve tempo possibile. Inoltre, nel tempo di attesa del personale
professionalmente dedicato al trattamento avanzato del paziente in
arresto cardio-respiratorio, devono essere rese fattibili, con poche e
semplici manovre, la preservazione e/o sostituzione delle funzioni
vitali del paziente.
Per sintetizzare questi concetti, si è ricorso alla metafora della
catena della sopravvivenza, in cui, come in ogni catena, tutti gli
anelli sono ugualmente importanti. Così, poiché basta che un anello
ceda perché tutta la catena non funzioni, la resistenza complessiva
è determinata dall’anello più debole, ossia dall’evento più critico
della sequenza.
Classicamente, gli anelli della catena sono quattro (Fig. 7)
1. rapido
riconoscimento
dell’arresto
cardiorespiratorio
e
conseguente immediata chiamata dei soccorsi (ALLARME
PRECOCE)
- 70 -
2. PRECOCE RCP
3. PRECOCE DEFIBRILLAZIONE
4. PRECOCE trattamento cardiaco avanzato (Advanced Life
Support – ALS)
Fig. 7
Il concetto di catena della sopravvivenza si basa su alcuni principi
fondamentali:
• se uno qualsiasi degli anelli che la compongo è
inadeguato, il risultato finale produrrà comunque un
basso indice di sopravvivenza dei pazienti trattati;
• anche se ognuno degli anelli è ugualmente importante,
come è stato già sottolineato la defibrillazione precoce è
il trattamento che permette di evitare la morte nella
maggior parte degli arresti cardiopolmonari. Gli arresti
dovuti ad asistolia e ad attività elettrica senza polso
hanno una mortalità altissima anche nelle condizioni di
trattamento più favorevoli;
- 71 -
• il parametro fondamentale per verificare l’efficacia del
sistema della catena della sopravvivenza e, quindi, del
trattamento
dell’arresto
cardiaco,
è
l’indice
di
sopravvivenza immediato e a lungo termine, piuttosto
che la valutazione dell’efficacia di un singolo anello.
Recentemente sono state definite delle linee guida per la
conduzione di studi, la corretta terminologia e l’analisi
dei
risultati
delle
ricerche
sulla
rianimazione
cardiopolmonare. Tali linee guida sono definite The
Utstein Style, dal luogo dove le commissioni delle
sociètà internazionali le hanno redatte. Queste linee
guida definiscono metodologie per la raccolta e l’analisi
dei dati nell’arresto cardiaco sul territorio, in ospedale e
in casi speciali ( come nei pazienti pediatrici o negli
annegati). Ciò è stato fatto alo scopo di facilitare la
ricerca futura nel campo della RCP e quindi di
ottimizzare
la
funzionalità
della
catena
della
sopravvivenza in ciascuna comunità.
Allo scopo di avere linee guida comuni, è stato formato
l’International Liaison Committee on Resuscitation (ILCOR) che
raccoglie
organizzazioni
come
- 72 -
American
Heart
Association,
European Resuscitation Council, Heart and Stroke Foundation of
Canada,ecc. L’ILCOR, nel 2000, ha prodotto e pubblicato le nuove
linee guida, valide per ognuna delle organizzazioni che ne fanno
parte, sulla rianimazione cardiopolmonare di base e avanzata.
La catena della sopravvivenza però se viene adeguata all’ambiente
intraospedaliero deve subire una lieve modifica o meglio un
adattamento:
infatti,
grazie
alla
formazione
del
personale
infermieristico alla RCP e, grazie alla diffusione dei defibrillatori
semiautomatici, il secondo e il terzo anello verrebbero in pratica a
combaciare poiché si esplicherebbe la sequenza del BLSD (Fig. 8)
RCP
DEFIBRILLA
ZIONE
Fig. 8
- 73 -
PRIMO ANELLO: ALLARME PRECOCE
Risulta intuitivo che questo anello della catena coinvolge qualsiasi
persona ovunque si possa verificare un arresto cardiorespiratorio
(per strada, in casa, nei luoghi pubblici o in ospedale).
Per cui, qualsiasi persona che sia testimone dell’evento o che
sopraggiunga sul luogo dove l’evento è avvenuto, è tenuta a
verificare quanto accaduto, a rendersi conto del problema con
sollecitudine e ad attivare immediatamente i soccorsi in caso di
necessità. Prendendo in considerazione l’ambiente ospedale,
questo compito è affidato alla figura/e infermieristica/e presenti in
quel momento.
Importante componente di questo anello è anche la capacità
di
riconoscere i sintomi d’allarme di possibile arresto cardiorespiratorio.
Questa valutazione viene effettuata appunto dal primo soccorritore
che nel gergo viene indicato come Leader, in quanto oltre ad essere
il soccorritore che effettuerà tutte le valutazioni necessarie, sarà
quello che “comanderà” l’intera sequenza di azioni degli altri
operatori. Il soccorritore (o i soccorritori) che praticherà in unione al
leader le manovre salvavita, è chiamato Esecutore.
È fondamentale che ogni fase della sequenza sia preceduta, come
ho già accennato, da una valutazione che autorizza all’esecuzione
- 74 -
successiva delle azioni appropriate al caso. In questo primo anello
la valutazione necessaria da effettuarsi è la valutazione dello stato
di coscienza della persona e di apertura delle vie aeree (FASE AAIRWAY).
Per cui il leader procederà con la valutazione dello stato di
coscienza che si effettua semplicemente chiamando ad alta voce la
vittima e la si scuote leggermente per le spalle. Se non risponde e
quindi è accertata la sua non
SIGNORE MI
SENTE? TUTTO
BENE?
coscienza, il leader avvertirà
subito il suo compagno di
Fig .9−10
NON È COSCIENTE
PORTA IL DAE!
portare DAE e carrello dell’emergenza (Fig. 9-10); il leader quindi
nell’attesa porrà la vittima nelle condizioni migliori perché la
sequenza venga attuata nella maniera più efficace possibile: porrà
- 75 -
la vittima supina su un piano rigido (se la persona si trova per terra
la sequenza verrà effettuata sul pavimento, se invece si trova sul
letto verificare l’eventuale necessità di porre una tavola rigida
(Resque board) sotto la schiena del paziente), poiché il massaggio
cardiaco se praticato su una superficie morbida non avrebbe alcuna
efficacia, allineando testa, tronco e arti e ne scopre il torace. Se il
paziente si trova nel letto sarà utile spostare il letto dalla parete e
sfilare la testata del letto per rendere più semplici le successive
manovre di rianimazione.
Successivamente si dovrà provvedere ad aprire le vie aeree,
ostruite dalla caduta della lingua, che non è più sostenuta dal tono
muscolare.
La tecnica di apertura delle vie aeree prevede tre manovre:
Fig. 11
- 76 -
1. iperestensione del capo: una mano posta sulla fronte della
vittima spinge all’indietro la testa (Fig. 11);
2. rimozione
eventuali
di
corpi
estranei visibili nel
cavo
Fig. 12
orale
con
l’altra mano (o con
l’utilizzo dell’aspiratore se si tratta di materiali liquidi come
secrezioni o vomito) (Fig. 12);
3. sollevamento del mento: con due dita dell’altra mano si
provvede a sollevare la mandibola agendo sulla parte ossea
del mento applicando una forza verso l’alto (Fig. 11).
Se sono presenti eventuali protesi dentarie vanno rimosse solo se
dislocate. Va ricordato che se esiste il sospetto di trauma (raro in
ambiente ospedaliero, ma possibile) non deve essere effettuata
l’iperestensione del capo ma solo il sollevamento della mandibola,
per evitare che eventuali fratture vertebrali provochino lesioni
mieliche.
Quando il collega giunge sul luogo con tutti i presidi necessari è
possibile in questa fase applicare alla vittima la cannula faringea o
cannula di Mayo o di Guedel che favorisce il mantenimento della
- 77 -
pervietà delle vie aeree: posta tra la lingua e la parete posteriore del
faringe garantisce il passaggio dell’aria attraverso le vie aeree
superiori, sia in caso di respiro spontaneo che durante ventilazione
artificiale. Il suo utilizzo, però, non sostituisce la manovra di
sollevamento del mento ed iperestensione del
capo che va comunque effettuata (Fig. 13). È
opportuno utilizzare la cannula solo se non
sono presenti riflessi faringei, che potrebbero
Fig. 13
stimolare il vomito; la misura corretta della
cannula può essere stimata prendendo la distanza dall’angolo della
bocca al lobo dell’orecchio. La cannula deve essere inserita con la
concavità rivolta verso il naso e, una volta introdotta fino ad
apprezzare il palato molle, ruotata di 180° e introdotta fino a far
combaciare l’anello rigido della parte terminale con l’arcata dentale.
- 78 -
SECONDO
E
TERZO
ANELLO:
RCP
PRECOCE
+
DEFIBRILLAZIONE PRECOCE
Una volta garantita la pervietà delle vie aeree (FASE A) occorre
valutare se l’attività respiratoria è presente (FASE B- BREATHING).
Il leader si pone a fianco della vittima e:
• Guarda se il torace si espande;
• Ascolta se ci sono rumori respiratori;
• Sente sulla propria guancia l’eventuale flusso di aria.
Fig. 14
Questa
manovra
(GAS) (Fig. 14) deve essere effettuata per 10 secondi, mantenendo
la pervietà delle vie aeree con la tecnica prima descritta. È
necessario in questa fase non confondere l’attività respiratoria con il
cosiddetto respiro agonico o gasping, che consiste nella presenza di
contrazioni dei muscoli respiratori non efficaci per la ventilazione: il
- 79 -
torace non si espande e non è presente flusso di aria. Il gasping può
comparire nei primi momenti dopo la perdita di coscienza e
mantenersi per pochissimi minuti.
Se la vittima ha un’attività respiratoria
spontanea,
ma
rimane
incosciente,
è
necessario garantire la pervietà delle vie
aeree evitando che la lingua vada ad
ostruire il faringe. In questo caso può
essere utilizzata la posizione laterale di
sicurezza (Fig. 15), che permette di:
• Mantenere il capo iperesteso;
• Prevenire
eventuali
inalazioni
di
materiale gastrico rigurgitato;
• Mantenere il corpo in una posizione
Fig. 15
stabile su un fianco.
La presenza di attività respiratoria deve comunque essere verificata
regolarmente.
Se invece la vittima non respira il leader, che già si trova alla testa
del paziente poiché ha effettuato la manovra del GAS, dovrà
somministrare 2 insufflazioni di emergenza. La ventilazione
- 80 -
Fig. 16
artificiale si realizza tramite il
sistema
pallone
di
Ambu
+
maschera collegato a una fonte
di
ossigeno
(se
disponibile,
collegare anche un reservoir al
pallone
di
Ambu)
forniti
dall’esecutore, che già aveva
preparato (Fig. 16).
Le insufflazioni sono lente e
progressive, della durata di 2 secondi; in questo modo è meno
probabile il passaggio di aria in esofago e la distensione gastrica.
Il leader dovrà assicurarsi che la maschera sia ben aderente e di
misura appropriata poiché il risultato sarebbe un’ipoventilazione, con
conseguente inefficacia della manovra.
Dopo avere praticato le 2 insufflazioni d’emergenza è necessario
valutare la presenza o meno di circolo, della quale si occuperà di
nuovo il leader. Questa fase è indicata come FASE CCIRCULATION.
Per valutare la presenza di attività circolatoria occorre cercare i
segni di circolo ed il polso carotideo; il polso alla carotide è ampio e
- 81 -
di facile accesso, ma a volte può non essere percepito anche se
presente. Pertanto per valutare se è presente il circolo si
raccomanda di cercare per 10
Fig. 17
secondi segni di circolo come
colpi di tosse, movimenti, atti
respiratori
normali
e
contemporaneamente
valutare la presenza del polso
carotideo (Fig. 17). Se sono
presenti segni di circolo e il
polso
carotideo
non
è
apprezzabile, il circolo si deve
considerare presente.
Se il polso o segni di circolo
sono presenti il leader inizierà la ventilazione, mantenendo una
frequenza di 12 atti/minuto.
Se il polso o i segni di circolo sono assenti l’esecutore avvierà
l’analisi del ritmo attraverso il DAE. Qualora il DAE non fosse
disponibile si inizia la rianimazione cardiopolmonare alternando 15
compressioni toraciche a 2 insufflazioni.
- 82 -
CIRCOLO ASSENTE
DAE non disponibile
DAE disponibile
RCP: ventilazioni/compressioni
ANALISI del ritmo
Quindi se non è presente il DAE, il leader informerà l’esecutore
dell’assenza di circolo che inizierà ad effettuare le compressioni
toraciche (quest’ultimo aveva già effettuato la ricerca del punto di
repere durante la valutazione del circolo da parte del leader)(Fig.
18).
Fig. 18
- 83 -
PROCEDURE
OPERATIVE
CON
DEFIBRILLATORE
SEMIAUTOMATICO ESTERNO
Rispetto alle procedure avanzate di rianimazione cardiopolmonare
(ALS), i tentativi di rianimazione con il DAE sono più semplici poiché
prevedono un minor numero di opzioni terapeutiche. Infatti possono
essere effettuate soltanto la defibrillazione semiautomatica e la RCP
di base. Come abbiamo visto, all’arrivo sulla scena dell’evento, i due
soccorritori assumo funzioni e compiti specifici: un infermiere si
occupa della valutazione del paziente (leader) e l’altro del DAE
(esecutore). Riconosciuto l’ACC, il soccorritore che si occupa
dell’apparecchio avvia le procedure di defibrillazione. Il Leader, che
in questo momento non ha compiti, richiede l’intervento della
squadra ALS avendo cura di allontanarsi almeno 2 metri dal DAE se
deve utilizzare un telefono portatile.
Il soccorritore−DAE dispone l’apparecchio accanto all’orecchio
sinistro del paziente: collocarsi a sinistra del paziente garantisce un
migliore accesso ai controlli del DAE ed una più facile applicazione
delle placche di defibrillazione.
Tutti i DAE possono essere utilizzati seguendo 4 semplici punti:
- 84 -
1. Accendere il dispositivo: il DAE inizia ad emettere messaggi
vocali e a registrare, se previsto, suoni ambientali e voci
degli operatori.
2. Collegarlo al paziente: gli elettrodi devono essere collegati
al defibrillatore (se il modello non li prevede già connessi) e
posizionati sul torace del paziente, rispettivamente in
posizione sottoclaveare destra e sulla linea ascellare media
sinistra all’altezza del capezzolo, inizia la registrazione del
tracciato ECG (valutare la stato del torace del paziente: se
bagnato asciugare bene, se molto villoso depilare la zona
per favorire l’adesione degli elettrodi/placche).
3. Avviare l’analisi del ritmo: quando le placche sono adese,
prima di avviare l’analisi, si deve evitare ogni tipo di
interferenza avendo cura di sospendere la RCP, non
toccare il paziente e non usare apparecchi telefonici nelle
immediate vicinanze del DAE. La valutazione del ritmo dura
da 5 a 15 secondi, a seconda del modello di DAE. Se è
presente un ritmo che richiede lo shock, l’apparecchio ne
da annuncio con messaggi visivi e vocali. Come abbiamo
visto precedentemente, i DAE a due tasti attivano
automaticamente l’analisi.
- 85 -
4. Erogare la scarica, se necessaria.
Mentre il DAE effettua l’analisi e prima di erogare la scarica,
l’operatore deve sempre enunciare ad alta voce il messaggio di
“allontanarsi
dal
paziente”,
accertandosi
che
ciò
sia
effettivamente avvenuto.
Nella gran parte degli apparecchi che ne sono dotati,
schiacciando il tasto “ANALISI” si dà inizio al caricamento dei
condensatori se è stato individuato un ritmo da trattare. L’inizio
del caricamento è segnalato da un suono, da una voce
sintetizzata o da un indicatore luminoso. La somministrazione
dello shock provoca di solito contrazioni della muscolatura del
paziente, come del resto succede utilizzando un defibrillatore
convenzionale. Dopo che è stata impartita la scarica, non si
controlla il polso, ma si deve premere immediatamente il pulsante
di analisi iniziando un altro ciclo di valutazione del ritmo cardiaco.
Se la FV persiste, il dispositivo lo renderà noto e verrà così
ripetuta, per la seconda e terza defibrillazione, la progressione
caricamento-shock in rapida sequenza (vedi algoritmo:Fig. 19)
Si raccomanda di non procedere ad alcuna valutazione del polso
tra una defibrillazione e la successiva. Imporre una valutazione
del polso tra le defibrillazioni ritarderebbe la rapida identificazione
- 86 -
ed il tempestivo trattamento di una FV persistente, interferirebbe
con le capacità valutative del DAE ed incrementerebbe le
possibilità di errore da parte dell’operatore.
Analogamente gli infermieri che hanno soccorso il paziente e i
presenti sulla scena dell’evento, non devono toccare il paziente
mentre il DAE analizza il ritmo, carica i condensatori e,
ovviamente, mentre si eroga lo shock.
Con l’uso dei DAE, gli effetti negativi della
temporanea
sospensione della RCP sono superati dai benefici indotti dalla
defibrillazione. Gli standard internazionali accettano un periodo
massimo di 90 secondi per diagnosticare l’ACC, effettuare
l’analisi ed erogare le tre scariche.
FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE PERSISTENTE
→
Dopo la terza defibrillazione vengono valutati il polso carotideo e
gli altri segni della presenza di circolo. Se assenti, si deve iniziare
a
praticare
la
RCP
per
un
minuto
(4
cicli
di
ventilazioni/compressioni). Trascorso tale periodo, il DAE inizia
una nuova analisi del ritmo. In caso di persistenza di FV, si inizia
una nuova sequenza di tre scariche, senza fermarsi a valutare il
polso fra uno shock e l’altro. Se anche questi tentativi non danno
risultato, rivalutato il polso, si procede ancora a RCP per un
- 87 -
minuto e quindi, se necessario, ad una nuova “tripletta” di
scariche (vedi algoritmo Fig. 19).
→
SHOCK NON INDICATO
Quando il DAE segnala che lo shock non è indicato ed il paziente
è in arresto cardiaco (assenza di polso appena verificata se si
tratta di una prima analisi, o verificata nuovamente se l’analisi è
successiva ad uno shock) si deve praticare la RCP per un minuto.
Al termine del minuto, il DAE inizia una nuova analisi del ritmo.
DEFIBRILLAZIONE IN SITUAZIONI PARTICOLARI
→
• Paziente in ipotermia grave (raro in ospedale): la sequenza
va limitata ai primi tre shock. Se inefficaci, in attesa di
disponibilità ALS, praticare la RCP nel miglior modo
possibile.
• Paziente bagnato o in prossimità di acqua: il paziente va
rapidamente spostato su superficie asciutta; il torace va
asciugato e deterso prima di applicare gli elettrodi per la
defibrillazione.
• Donna in gravidanza: adottare il protocollo abituale di
defibrillazione.
- 88 -
Fig. 19
Risponde?
NO
Respira?
apri le vie aeree
NO
2 insufflazioni
Polso e segni di circolo?
Se assenti
ANALISI
SHOCK INDICATO
SHOCK NON INDICATO
DEFIBRILLA FINO A
3 VOLTE
Polso e segni di circolo?
Se assenti
RCP PER 1 MINUTO
Se indicato
Polso e segni di circolo?
Se assenti
RCP PER 1 MINUTO
Se polso o segni di circolo
ricompaiono
Respira?
NO
È cosciente?
NO
insuffla ogni 5 sec.
mantieni aperte le vie
aeree
Prosegui con l’algoritmo DAE sino a disponibilità di ALS
- 89 -
QUARTO ANELLO : PRECOCE ALS
Come già detto, durante l’analisi del ritmo da parte del DAE,
l’infermiere che non si occupa dell’utilizzo del DAE (leader), si deve
occupare
della
chiamata
all’equipe
di
ALS.
Ogni
struttura
ospedaliera utilizza metodi diverse per avvisare della necessità di
personale avanzato e, inoltre, ogni struttura, contatta professionisti
differenti a seconda delle abitudini della struttura.
Per questo sarebbe utile uniformare in tutte le realtà ospedaliere,
uno stesso metodo per attivare la stessa equipe specializzata.
Ciò potrebbe essere risolto utilizzando un numero predefinito e
facile da ricordare e che sia esclusivo per tutta l’azienda ospedaliera
(allegato 1), che attivi un equipe ALS costituita da un rianimatore e
da un infermiere provenienti da una rianimazione. Si potrebbe
utilizzare una locandina che evidenzi in modo ben chiaro questo
numero.
Alla chiamata di allarme dovrebbe rispondere direttamente l’equipe
ALS. Se questa fosse già impegnata in un’altra emergenza sarebbe
utile delegare equipes alternative in sostituzione della principale di
riferimento.
Attivare questo tipo di soccorso è essenziale poiché la sola
sequenza di RCP è utile ed efficace per ripristinare un ritmo
- 90 -
cardiaco soddisfacente, ma prima di tutto potrebbe non essere
sufficiente a risolvere l’arresto cardiaco e in secondo luogo, anche
se vi è la ripresa di un ritmo spontaneo, si potrebbe rendere
necessario la somministrazione di farmaci per stabilizzare il ritmo
cardiaco,
praticare
manovre
invasive
(quali
intubazione
endotracheale), interpretare l’elettrocardiogramma a 12 derivazioni
e seguire, poi, determinate sequenze per i ritmi che si presentano
(vedi algoritmi Figg. 19-20-21 ).
Questa squadra pluridisciplinare di intervento è a disposizione non
soltanto dei pazienti ricoverati, ma anche per la popolazione che
ogni giorno si trova nelle aree di servizi diagnostici, nelle sale
d’attesa, nei servizi di ristorazione, ecc. (in collaborazione con il
personale del 118).
- 91 -
FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE/TACHICARDICA
VENTRICOLARE SENZA POLSO (FV/TV)
Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto
Valuta gli ABC
Continua la RCP finchè non è posizionato il
defibrillatorea
FV/TV presenti al monitor
Defibrilla fino a 3 volte se richiesto dal
persistere di FV/TV (200 J, da 200 a 300 J,
360J)b
Ritmo dopo i primi 3 shocks?c
FV/TV persistente o
ricorrente
Continua la RCP
Intuba subito
Assicurati un
accesso ev
Adrenalina
1 mg ev in bolode
ripeti ogni 3-5 minuti
Defibrilla 360 J entro
30-60 secondibf
Ripristino della
circolazione
spontanea
Attività elettrica
senza polso
(Vedi)
Asistolia
(Vedi)
Controlla i segni vitali
Sostieni le vie aeree
Assisti la
respirazione
Somministra i farmaci
appropriati per
pressione arteriosa,
frequenza cardiaca e
ritmo
Somministra farmaci
di probabile beneficio
(Classe IIa) in caso
di FV/TV persistente
o ricorrentegb
Defibrilla a 360J da 30 a 60 secondi dopo
ogni dose di farmacobf
La sequenza dovrebbe essere farmaco-shock,
farmaco-shock
Fig. 19
- 92 -
Classe I: Utile ed efficace
Classe
IIa:
Accettabile,
probabilmente
utile
ed
efficace
Classe
IIb:
Accettabile,
possibilmente
utile
ed
efficace
Classe III: Non utile, non
efficace
Sconosciuto
...............................................
......
a) Il pugno precordiale è
un'azione di classe IIb in
caso di arresto di cui si è
testimoni, senza polso e
senza
defibrillatore
immediatamente disponibile.
b) I defibrillatori automatici
esterni a onde bifasiche
scaricano a livelli di energia
inferiori.
In
alcune
circostanze
cliniche,
gli
shock iniziali e ripetuti a
questi livelli inferiori di
energia sono accettabili.
c) Il trattamento dell'arresto
cardiaco ipotermico è diverso
di qui in avanti. Vedi
l'Algoritmo dell'Ipotermia.
d) Il dosaggio raccomandato
di adrenalina è 1 mg ev in
bolo ogni 3-5 minuti. Se
questo approccio fallisce,
possono essere prese in
considerazione le seguenti
posologie classe IIb:
- Intermedio: adrenalina 2-5
mg ev in bolo, ogni 3-5 min
- 93 -
- Crescente: adrenalina 1 mg,
3 mg, 5 mg ev in bolo, a
distanza di 3 minuti.
- Elevato: adrenalina 0,1
mg/kg ev in bolo ogni 3-5 min.
e) Il Bicarbonato di sodio 1
mEq/kg è un farmaco di
classe I se il paziente ha
un'iperpotassiemia
nota
preesistente.
f) Sequenze multiple di
shocks sono accettabili in
questo caso (classe I),
specialmente
quando
la
somministrazione di farmaci
è ritardata.
g) La sequenza dei farmaci è
la seguente:
- Lidocaina 1,1-5 mg/kg ev in
bolo.
Prendi
in
considerazione la possibilità
di ripetere ogni 3-5 minuti
fino ad una dose massima di
3 mg/kg. Una dose singola di
1,5 mg/kg è accettabile
nell'arresto cardiaco.
- Bretilio 5 mg/kg in bolo.
Ripeti dopo 5 minuti a 10
mg/kg.
- Solfato di magnesio 1-2 g
ev in caso di torsione di
punta
,
sospetta
ipomagnesemia.
FV
refrattaria.
- Procainamide 30 mg/min
nella FV refrattaria (dose
totale massima 17 mg/kg).
h) Il Bicarbonato di sodio 1
mEq/kg ev viene usato come
segue:
Classe IIa
- 94 -
- Acidosi preesistente che
corrisponda al bicarbonato,
se nota
Sovradosaggio
da
antidepressivi triciclici
- Per alcalinizzare le urine
nel sovradosaggio di farmaci.
Classe IIb
- Nell'arresto protratto, se
intubato
- Al ritorno della circolazione
spontanea
nell'arresto
protratto
Classe III
- Acidosi lattica ipossica
- Acidosi ipercapnica
- 95 -
ATTIVITÀ ELETTRICA SENZA POLSO (PEA)
Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto
ACC
A− B − C
Connessione monitor-defibrillatore
PEA
Controllo vie aeree
Accesso venoso
Adrenalina 1mg ev ogni 2-3 minuti
Atropina 3 mg ev bolo se FC< 60 bpm
Ricerca e correggi cause potenzialmente
reversibili
Fig. 20
- 96 -
ASISTOLIA
Supporto cardiaco vitale avanzato nell’adulto
ACC
A− B − C
Connessione monitor-defibrillatore
ASISTOLIA
Asistolia
Ventricolare
Conferma asistolia
Adrenalina 1 mg ev ogni 2-3 minuti
RCP per 3 minuti
Valuta il ritmo
Atropina 3 mg ev a bolo
monosomministrazione
Controllo vie aeree
Appena possibile Accesso venoso
Ricerca e correggi cause potenzialmente
reversibili
Pacing
Considera termini sforzi
rianimatori
- 97 -
Fig. 21
Presidi e farmaci per un corretto allestimento del carrello
dell’emergenza. Tabella 2
MATERIALI Defibrillatore
Elettrocardiografo (fornito di pasta conduttrice ed
elettrodi)
Aspiratore di mucosità portatile, di buona
potenza (nei casi in cui manchi il vuoto
centralizzato)
Bombola d’ossigeno, fornita di flussimetro e
riduttore (nei casi in cui manchi un impianto
centralizzato)
Tavola rigida per il MCE
Sfigmomanometro o dispositivo automatico per
la determinazione non invasiva della pressione
arteriosa
Fonendoscopio
Cannule oro-faringee di varie misure
Cannula di Safar
Pallone autogonfiabile
Pallone “va-e-vieni”
Tubi di connessione dei palloni alla fonte di
ossigeno
Maschera facciali di varie misure
Raccordi angolari maschera-pallone
Materiale per intubazione tracheale:
- laringoscopio con set completo di lame rette
e curve;
- pinze di Magill (per adulti e pediatrica);
- tubi tracheali di varie misure
- guide da tubi da varie misure
- raccordi angolari e corrugati per tubi
tracheali
Kit da cricotiroidotomia
Sonde da aspirazione tracheale
Sonde naso-gastriche a una e due vie
Cateteri vescicali e durometri
Kit da drenaggio toracico
- 98 -
Siringhe e aghi di varie misure
Agocannule per cannulazione venosa periferica
Cateteri di varie misure per cannulazione venosa
centrale
Lacci emostatici
Cerotti
Lubrificante per tubi e sonde
Guanti sterili, telini e garze sterili, materiale
chirurgico (pinze, aghi, porta-aghi, fili)
Sostanze antisettiche
Soluzioni per infusione endovenosa:
- cristalloidi (soluzione fisiologica, glucosio,
soluzione elettrolitica)
- plasma expanders (emagel, destrano)
Deflussori e prolunghe
Rubinetti a tre vie
Supporti da flebo
FARMACI
Adrenalina
Dopamina
Isoproterenolo
Dobutamina
Calcio cloruro
Atropina
Digitale
Cordarone
Lidocaina
Mexiletina
Nitroprussiato di sodio
Trinitroglicernia
Tiopentone sodico
Propofol
Diazepam
Morfina
- 99 -
Prometazina
Clorfenamina
Succinilcolina
Miorilassante non depolarizzante (a scelta tra i
più diffusi quali pancuronio bromuro, vecuronio
bromuro, atracurium besilato)
Aminofillina
Furosemide
Metilprednisolone
Idrocortisone
Naloxone
Mannitolo
NaHCO3
- 100 -
Protocollo catena della sopravvivenza a 2 operatori
1°infermiere (Leader)
Chiamo e scuoto il paziente: è
cosciente?
2° infermiere (Esecutore)
F
A
S
E
NO
Chiamo il 2° infermiere e chiedo
DAE e carrello dell’emergenza
Posiziono il paziente supino su un
piano rigido e lo scopro
Arrivo con DAE e carrello
dell’emergenza
Iperestendo il capo e rimuovo
eventuali corpi estranei: assicuro
pervietà vie aeree
Preparo cannula di Mayo e
maschera+ambu+reservoir
collegati a fonte d’ossigeno
Manovra del GAS per 10 secondi:
respira?
Preparo DAE accanto al paziente
Valuto il torace del paziente
(eventuale tricotomia e
asciugatura)
Collego elettrodi al DAE
Applico le placche al torace
F
A
S
E
B
+
C
NO
2 insufflazioni
Ricerca del polso carotideo e
presenza eventuali segni di
circolo:
è presente circolo?
NO
Avvio l’analisi del ritmo
Allarme all’equipe ALS e
reperisco accesso venoso (se non
già presente) appena possibile
-
-
Posiziono mascherina per
ventilazioni artificiali
A
scarica consigliata:
eseguo comandi del DAE
(scarica e riavvia analisi)
scarica non consigliata:
avverto il leader e inizio
RCP per 1 minuto
Ricerco punto di repere e pratico
15 massaggi cardiaci esterni
Eseguo 2 insufflazioni e conto i
cicli fino a 4 cicli (circa 1 minuto)
Riavvio analisi del ritmo
PROSEGUI COME DA ALGORITMO DAE FINO ALL’ARRIVO
DELL’ALS
- 101 -
F
A
S
E
D
R
C
P
Protocollo catena della sopravvivenza a 1 operatore
1° infermiere (Leader)
Chiamo e scuoto il paziente:
è cosciente?
NO
Allarme all’equipe ALS e porto il DAE al letto del
paziente
Posiziono il paziente supino su un piano rigido e lo
scopro
Accendo il DAE e lo pongo vicino al paziente
Iperestendo il capo e rimuovo eventuali corpi
estranei: assicuro pervietà vie aeree
Manovra del GAS per 10 secondi:
respira?
NO
Applico cannula di Mayo, prendo
maschera+ambu+resorvoir e pratico 2 insufflazioni
di emergenza
Ricerca del polso carotideo e presenza eventuali
segni di circolo:
è presente circolo?
NO
Valuto il torace del paziente (eventuale tricotomia e
asciugatura)
Collego elettrodi al DAE
Applico le placche al torace
Avvio l’analisi del ritmo
- scarica consigliata: eseguo comandi del
DAE (scarica e riavvia analisi) e si continua
secondo algoritmo DAE
- scarica non consigliata: inizio RCP per 1
minuto contando i cicli
F
A
S
E
A
F
A
S
E
B
+
C
F
A
S
E
D
Posiziono mascherina per ventilazioni
artificiali
Eseguo 2 insufflazioni
Ricerco punto di repere e pratico 15 massaggi
cardiaci esterni
Rapporto ventilazioni/compressioni 15:2
Per 4 cicli continui (1 minuto circa)
Riavvio analisi del ritmo
PROSEGUI COME DA ALGORITMO DAE FINO
ALL’ARRIVO DELL’ALS
- 102 -
R
C
P
Capitolo 6
LA
COLLABORAZIONE
CON
IL
PERSONALE
PER
LA
RIANIMAZIONE AVANZATA (ALS)
I protocolli di alcuni reparti prevedono che l’infermiere di reparto
assista del personale di soccorso di livello superiore nel prestare
interventi di rianimazione avanzata (Advanced Life Support, ALS).
Le manovre più consuete nell’assistenza a questi operatori sono:
• L’assistenza durante l’intubazione endotracheale
• L’applicazione
degli
elettrodi
per
l’elettrocardiografia/defibrillazione
• L’assistenza nella terapia endovenosa
L’ASSISTENZA DURANTE L’INTUBAZIONE ENDOTRACHEALE
Tra le più importanti procedure di assistenza ai pazienti figurano il
ripristino e il mantenimento della pervietà delle vie respiratorie e la
prevenzione dell’aspirazione di materiali estranei. Nell’assistenza di
questo tipo, lo strumento migliore è rappresentato dal tubo
endotracheale (seguito dal Combitube ® e dalla maschera laringea).
Il motivo di ciò è che il tubo endotracheale è inserito direttamente
nella trachea, garantendo un passaggio sicuro per l’aria, per
l’ossigeno e per i farmaci che possono così essere immessi nei
- 103 -
polmoni. Inoltre, i tubi per adulti sono dotati di un manicotto
gonfiabile che espandendosi “sigilla” la trachea e impedisce
l’eventuale aspirazione di materiale gastrico nei polmoni. Nel
neonato e nel bambino piccolo è la stessa trachea che, essendo più
stretta, garantisce la chiusura attorno al tubo.
I pazienti che hanno bisogno dell’intubazione endotracheale sono, in
genere, quelli che presentano arresto cardiaco o respiratorio; le
vittime di traumi le quali necessitano il controllo delle vie aeree e
della somministrazione di ossigeno (circostanza rara nei reparti di
degenza) e, infine, i pazienti con insufficienza o difficoltà respiratorie
conseguenti a overdose di stupefacenti o farmaci,a edema
polmonare, all’asma, all’asfissia o a reazioni anafilattiche.
La preparazione del paziente per l’intubazione
Prima che il medico inserisca il tubo endotracheale, vi potrebbe
essere chiesto di iperossigenare il paziente. Potrete farlo facilmente
mediante un pallone di Ambu (un’erogazione ogni 2 secondi). Quindi
l’operatore principale sistemerà la testa del paziente in modo da
allineare la bocca, la faringe e la trachea. Il tubo endotracheale
verrà inserito, attraverso la bocca, dopo la rimozione della cannula
orale. Talvolta l’inserimento avviene per via nasale. Il tubo verrà
fatto passare nella faringe e nella laringe, fino a quando non
- 104 -
oltrepassi le corde vocali e giunga nella trachea. Per effettuare la
procedura è di necessario l’uso di un laringoscopio, utilizzato anche
per spostare la lingua e altri elementi ostruenti che si trovano sul
tragitto del tubo.
Allo scopo di manovrare correttamente il tubo dopo che esso ha
oltrepassato le corde vocali, è necessario che l’operatore le possa
visualizzare. Potrebbe venirvi chiesto di esercitare una delicata
pressione sulla cartilagine cricoidea per permettergli di vedere tali
strutture. Voi premete allora il pollice e l’indice contro entrambi i lati
della gola, all’altezza della parte media della gola, sopra la
cartilagine cricoidea, la cartilagine a forma di anello che si trova
appena sotto alla cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d’Adamo).
La procedura è nota come pressione sulla cartilagine cricoidea o
manovra di Sellick (Fig. 22-23-24)
Fig. 22
- 105 -
Fig.23
Fig. 24
Una volta che il tubo sia stato posizionato correttamente, il
manicotto viene gonfiato con una siringa da 10 cc. Tenendo il tubo,
l’operatore
principale
ne
verifica
il
corretto
posizionamento
utilizzando il laringoscopio; quindi, con uno stetoscopio, ausculta il
torace da entrambe i lati sia la zona dell’epigastrio
(l’area della
parte superiore dell’addome che si trova immediatamente al di sotto
dell’apofisi xifoidea). Se il tubo è stato posizionato correttamente, si
potrà udire il rumore caratteristico dell’aria che penetra nei polmoni,
ma non si udirà nessun rumore in sede epigastrica il quale, se fosse
presente, indicherebbe l’ingresso di aria nello stomaco piuttosto che
nei polmoni. La posizione del tubo, se errata, deve essere
immediatamente corretta estraendolo, riossigenando il paziente e
ripetendo il tentativo di intubazione.
- 106 -
Il tubo posizionato correttamente viene fissato con del cerotto. Tutta
la procedura, a partire dall’ultima respirazione artificiale, fino alla
registrazione successiva all’inserimento del tubo dovrebbe essere
eseguita in meno di 30 secondi.
La respirazione artificiale del paziente intubato
Se vi verrà richiesto di ventilare un paziente intubato, dovrete
ricordare che qualsiasi movimento, benché minimo, può comportare
lo
spostamento
della
cannula
endotracheale.
Osservare
la
graduazione sul lato della stessa. Nel soggetto adulto medio di
sesso maschile, per esempio, il segno di 22 centimetri deve trovarsi
in corrispondenza delle arcate dentarie, quando la cannula è
posizionata correttamente. Se la cannula si sposta, dovete riferirlo
immediatamente al responsabile dell’intubazione.
Ponete particolare attenzione a non interferire con il posizionamento
del tubo endotracheale. Se questo viene erroneamente spinta verso
l’interno, molto probabilmente si immetterà nel bronco principale
destro, privando il polmone sinistro dell’afflusso di ossigeno. Se,
invece, viene erroneamente spinta verso l’esterno, potrà scivolare
nell’esofago e inviare l’aria o l’ossigeno allo stomaco anziché ai
polmoni, con conseguente deficit di ossigenazione del sangue del
paziente. Si tratta di una complicanza letale se non viene identificata.
- 107 -
Mantenete il tubo fermo appoggiato con due dita di una mano.
Utilizzate l’altra mano per manovrare il pallone di Ambu. Il paziente
sottoposto a intubazione endotracheale offre minore resistenza alle
ventilazioni: per questo non sono necessarie entrambe le mani per
comprimere il pallone. Se state ventilando un paziente che respira,
dovete effettuare le erogazioni il più possibile in sincronia con gli
sforzi respiratori del paziente, in modo che questi possa inspirare il
maggiore volume di aria possibile. È anche possibile aiutare il
paziente ad aumentare la frequenza respiratoria, se necessario,
fornendo respirazioni aggiuntive interposte a quelle del soggetto. Vi
sono alcuni elementi di prudenza da ricordare:
• Prestate molta attenzione a come si presenta la respirazione.
Riferite qualsiasi mutamento della resistenza. L’aumento della
resistenza durante le ventilazioni con il pallone di Ambu è uno
dei primi segni di aria attraverso una lacerazione polmonare,
con riempimento nello spazio pleurico. Un mutamento della
resistenza può anche essere indicativo del tubo scivolato
nell’esofago.
• Durante ogni tentativo di defibrillazione togliete il pallone dal
tubo. Se non lo fate, il peso di questo dispositivo potrebbe
alterare il posizionamento del tubo stesso.
- 108 -
• Rilevate qualsiasi mutamento dello stato mentale del paziente.
Un paziente il cui il grado di vigilanza migliori potrebbe dover
essere immobilizzato per evitare l’estrazione del tubo. Inoltre,
viene generalmente utilizzata una cannula orofaringea per
impedire al paziente di mordere il tubo endotracheale. La
ricomparsa del riflesso faringeo, mentre il paziente riacquista
conoscenza,
potrebbe
rendere
necessario
estrarre
parzialmente la cannula orofaringea.
Infine, nel corso di un arresto cardiaco, in assenza di un accesso
venoso attraverso il quale effettuare la somministrazione di farmaci,
vi potrebbe essere chiesto di sospendere la ventilazione e di togliere
il pallone di Ambu. L’operatore responsabile (medico o infermiere)
potrà immettere una soluzione, per esempio di adrenalina, nel tubo
endotracheale. Per far aumentare la velocità di passaggio nel
sangue attraverso l’apparato respiratorio, l’operatore vi potrà quindi
chiedere di iperventilare il paziente per alcuni minuti.
- 109 -
APPLICAZIONE
DEGLI
ELETTRODI
PER
ELETROCARDIOGRAMMA (ECG)/DEFIBRILLAZIONE
L’interpretazione dell’ECG, normalmente, non compete all’infermiere,
ma al medico presente. Tuttavia, allo scopo di risparmiare tempo,
potrebbe esservi richiesto di assistere l’operatore che effettua
l’esame. Dovete verificare l’attrezzatura. Dovete sapere come
accendere il monitor, come registrare una striscia, come cambiare la
batteria, come cambiare il rotolo di carta. Vi potrà essere chiesto di
applicare gli elettrodi al torace del paziente. Sono queste le cose
che più spesso è necessario fare mentre l’operatore principale è
impegnato con il paziente.
- 110 -
Capitolo 7
ORGANIZZAZIONE DELLE RISORSE PER UNA PRECOCE
ATTIVAZIONE DELLA CATENA DELLA SOPRAVIVVENZA
Come avevo già descritto precedentemente nel capitolo sui dati
statistici, le maggiori variabili che concorrono nella buona riuscita di
una rianimazione cardiopolmonare, possono essere suddivise in
due grandi categorie:
1. variabili relative al paziente
2. variabili esterne
I fattori che derivano dal paziente in se stesso, in questo frangente
possono essere trascurate. Questo non perché importanti, ma per la
ragione che molte di queste non possono essere corrette (come ad
es. il sesso e l’età), come lo possono essere invece le variabili
esterne (tempi, materiali, formazione, ecc.).
Unendo insieme le diverse variabili, si può agire su di esse in questo
modo:
• disponibilità di materiali : DAE e presidi, questi ultimi intesi
come carrello dell’emergenza fornito di tutto il necessario
• formazione del personale: corsi di BLSD e relativo retraining
• istituzione di un’equipe ALS a disposizione esclusiva per
emergenze in ambiente ospedaliero
- 111 -
• individuazione delle aeree raggiungibili dal team ALS in
qualche minuto
• installazione di punti strategici per la diffusione dei DAE (se
non fosse possibile averne uno per ogni reparto)
• ististuzione di un’equipe ALS e sua attivazione uniformemente
accettata
• predisporre una raccolta dati (tipo Utstein Style) per la
valutazione dei risultati
I MATERIALI
Per garantire lo svolgimento corretto di tutti gli anelli della
sopravvivenza,
è
necessario
che
gli
operatori
abbiano
a
disposizione tutto l’occorrente indispensabile a una situazione
d’emergenza come l’arresto cardiaco.
Il primo dispositivo essenziale di cui ho parlato fino ad ora è il
defibrillatore. Questo strumento deve essere scelto in base alle leggi
vigenti, di cui ho già parlato, che indicano l’utilizzo da parte di
personale sanitario non medico, solo di defibrillatori semiautomatici
esterni; inoltre deve essere scelto anche in base alle esigenze di
ogni unità operativa; un esempio particolare è quello della
cardiologia che oltre a dover praticare delle defibrillazione, può
- 112 -
presentarsi anche l’esigenza di una cardioversione elettrica che può
essere praticata solo con defibrillatore convenzionale (quindi in
questo caso un defibrillatore di tipo manuale-semiautomatico nello
stesso apparecchio).
Inoltre sarebbero utili nelle aree non intensive, raggiungibili
dall’equipe con tempi un po’ più lunghi, defibrillatori con possibilità di
monitoraggio e di pacing esterno, di acquisizione della traccia
elettrocardiografica a 12 derivazioni e di trasmissione a distanza.
Qualsiasi tipo di defibrillatore si intenda utilizzare, deve però
contenere una memory card su cui venga registrata qualsiasi
manovra durante l’intervento e in alcuni modelli anche le voci degli
operatori. Attraverso un software apposito in grado di analizzare i
dati registrati, si scarica periodicamente questa scheda permettendo
una “visione” successiva degli interventi effettuati.
Un altro presidio essenziale per la buona riuscita della catena della
sopravvivenza è il carrello dell’emergenza.
Questo carrello deve essere fornito dei materiali e dei farmaci
necessari in ogni possibile situazione di emergenza, secondo una
ben precisa check-list da seguire, che ho già indicato in precedenza
(v Tabella 2).
- 113 -
Ogni reparto deve essere dotato del carrello dell’emergenza, fornito
di tutti i materiali indicati nella lista e se non utilizzato,
periodicamente controllato (materiale presente, scadenze presidi e
farmaci, buon funzionamento degli strumenti come il laringoscopio
con le relative lampadine delle lame, ecc.). Ogni unità operativa
dovrebbe delegare una persona addetta specificatamente a questo
lavoro di rifornimento e controllo.
Il carrello deve essere posto in luogo facilmente raggiungibile da tutti
e il suo passaggio non deve essere ostacolato da altri oggetti, quali
armadi, sedie o tavoli.
Sarebbe utile anche “protocollare” i diversi cassetti del carrello:
intendo dire indicare attraverso un etichetta ben chiara e
comprensibile tutto ciò che è contenuto in quel determinato cassetto
o ripiano, in modo che anche personale esterno al reparto come
l’equipe ALS possa raggiungere con facilità e senza perdita di
tempo i diversi materiali e farmaci necessari.
FORMAZIONE DEL PERSONALE
Già nel 1992 l’ European Resuscitation Council (ERC) ha emanato
queste linee guida:
- 114 -
“……Gli ospedali europei dovrebbero prevedere programmi di
addestramento di tutti medici nella RCP avanzata”
“……Gli ospedali europei dovrebbero prevedere programmi di
formazione che garantiscano che tutto il personale coinvolto
direttamente nell’assistenza ai pazienti sia obbligatoriamente
addestrato ed esercitato nelle esecuzione della RCP”
Ad oggi sappiamo che ben poche realtà hanno messo in atto queste
linee guida.
I corsi di BLSD sono necessari a tutto il personale sanitario non
medico affinché, attraverso la certificazione di esecutore BLSD,
possa utilizzare il defibrillatore semiautomatico esterno.
Il corso, della durata di 8 ore, si pone l’obiettivo di formare il discente
sia nella rianimazione cardiopolmonare a 2 soccorritori, sia nella
defibrillazione precoce utilizzando i defibrillatori semiautomatici.
La prima metà del corso riguarda le procedure di BLS a 2
soccorritori.
In essa si descrive il danno anossico cerebrale, i segni di attacco
cardiaco, le finalità del BLSD, i segni di ostruzione delle vie aeree e
le procedure da attuare in caso di arresto cardiocircolatorio.
La parte pratica è strutturata a stazioni di lavoro nelle quali i discenti
si esercitano ripetutamente nelle manovre rianimatorie con pallone
- 115 -
autoespansibile ed effettuando le compressioni toraciche esterne
secondo quanto previsto dai protocolli descritti.
Nella seconda metà del corso si svolgerà la parte relativa alla
defibrillazione precoce, nella quale si descrivono i principi elettrici
che regolano l’uso della corrente elettrica a scopi terapeutici,
l’epidemiologia della morte cardiaca improvvisa, l’importanza della
tempestività dell’intervento con il defibrillatore, le procedure da
seguire per essere efficaci e sicuri.
Anche in questo caso vengono utilizzate le stazioni di lavoro per
esercitarsi ripetutamente nelle manovre descritte.
Alla fine delle esercitazioni pratiche si effettueranno le valutazioni
certificative, sia teoriche che pratiche.
Qualora il candidato superi la valutazione prevista, viene rilasciata la
certificazione dell’Italian Resuscitation Council.
Ogni singola Azienda oltre alla formazione di tutto il personale
infermieristico, deve occuparsi del lavoro di retraining continuo negli
anni (1 ogni anno), che preveda alla fine la sola prova pratica, in
modo da mantenere nel tempo conoscenze, capacità, protocolli
acquisite.
Vorrei segnalare un progetto portato a termine dal gruppo A.C.R.O.
(Arresto Cardio-Respiratorio Ospedaliero) dell’Azienda Sanitaria di
- 116 -
Firenze. Questo gruppo ha richiamato la mia attenzione perché non
ha istituito semplicemente un programma di trattamento dell’arresto
cardiaco già in corso, ma per una sua prevenzione; più esattamente
per una prevenzione dell’arresto cardiaco da asistolia o attività
elettrica senza polso (PEA), ritmi, come abbiamo visto, non
defibrillabili.
Nella pratica è stato istituito uno score per la valutazione del livello
di gravità in pazienti ricoverati in degenza ordinaria: è stato proposto
il controllo periodico di alcuni parametri per rilevarne precocemente
le variazioni che possono precedere l’insorgenza di asistolia o PEA .
I pazienti dei reparti di degenza ordinaria sono valutati dal personale
all’ingresso e periodicamente, ricevendo un punteggio che utilizza il
MEWS (Modified Early Warning Score) che valuta i seguenti
parametri: temperatura corporea; pressione arteriosa sistolica;
frequenza cardiaca; frequenza respiratoria; valutazione neurologica
semplice e Glasgow Scale; diuresi. Un punteggio elevato o un suo
incremento attiva il sistema di emergenza.
Dai dati ottenuti dall’A.C.R.O. durante il periodo di prova di questo
progetto si può dire che: la rilevazione è facilmente eseguibile, non
necessita di attrezzature sofisticate o costose, richiede tempo
limitato e non incide sui carichi di lavoro del personale di reparto;
- 117 -
oltretutto dei pazienti degenti solo i 2/3 avevano raggiunto punteggio
molto basso (0 e 1) e circa l’85% aveva punteggio inferiore a 3;
pertanto solo il 15% dei pazienti (punteggio ≥ 3) richiede un
monitoraggio più attento ed è su questi pazienti che occorre
concentrare l’attenzione incrementando la frequenza dei controlli per
prevenire l’insorgenza di ACC per asistolia o PEA.
Anche in questo caso quindi la
maggiore variabile di questo
progetto era la formazione e il lavoro degli infermieri a garantire
l’attuazione di questa prevenzione.
- 118 -
INDIVIDUAZIONE
DELLE
AREE
MENO
RAGGIUNGIBILI
DELL’EQUIPE ALS E DISPOSIZIONE DI PUNTI STRATEGICI
PER IL POSIZIONAMENTO DEI DAE
L’azienda ospedaliera di Parma è strutturata in padiglioni. L’equipe
ALS essendo in sede presso un servizio di rianimazione e non
potendo essere presente in tutti i padiglioni dell’azienda è
necessario identificare quelli più lontani quali possono essere il
padiglione Cattani, il padiglione Barbieri e la 1^ Clinica medica.
Anche i servizi ambulatoriali, i viali dell’ospedale, la cucina, le aree
universitarie, gli uffici, la mensa sono zone più difficilmente
raggiungibili.
Per i reparti appartenenti ai padiglioni Cattani, Barbieri e 1^Clinica
medica sarebbe utile, come ho già indicato prima, la presenza di
defibrillatore
manuale-semiautomatico
con
possibilità
di
monitoraggio, ECG 12 derivazione e trasmissione del tracciato.
Per le altre zone non appartenenti a reparti di cura come i viali
dell’ospedale, sarebbe utile il posizionamento di una sorta di
cassetta di sicurezza facilmente apribile, come quella degli estintori,
posta all’ingresso della struttura più vicina e contenente un
- 119 -
defibrillatore semiautomatico e una almeno una poket mask, il
minimo per effettuare una sequenza di BLSD. Anche nel servizio
mensa, nella cucina, negli uffici, nelle aree universitarie sarebbe
consigliato l’utilizzo di questa soluzione. Naturalmente saranno
necessari dei segnali per individuare questi punti DAE .
Nelle aree ambulatoriali, che possono essere raggiunte entro
qualche minuto dall’equipe ALS sarebbe consigliato un defibrillatore
semiautomatico, come in tutti i reparti non intensivi quali le aree
chirurgiche, internistiche e di endoscopia.
Nelle aree di degenza è importante valutare l’area di copertura del
defibrillatore soprattutto in senso temporale, cioè quanto tempo
occorre per il suo collegamento ad un qualunque paziente dell’area
servita.
- 120 -
ATTIVAZIONE DELL’ALS
L’equipe ALS è costituita da un medico rianimatore più un infermiere
della stessa unità operativa, che sono addestrati alla rianimazione
cardiopolmonare avanzata. Per i medici del TEAM deve essere
intrapresa una formazione omogenea di approccio all’A.C.C. con
partecipazione ai corsi B.L.S.-D. e A.L.S. I Medici saranno tenuti ad
effettuare audit clinici periodici sui casi trattati. Gli Infermieri
dovranno partecipare ai corsi B.L.S.-D. ed, almeno in qualità di
auditors, ai corsi A.L.S.
Il TEAM sarà attivato dall’Infermiere di Reparto o del Servizio che
accerta il sospetto A.C.C. Lo stesso Infermiere
inoltre avvisa il
Medico di Guardia del Reparto. Nell’attesa dell’arrivo del TEAM
verranno messe in atto tutte le manovre previste dal B.L.S.-D. a cui
dovranno essere formati gli operatori ospedalieri.
Il TEAM sarà attivabile tramite cicalino con numero unico affidato di
volta in volta al Medico del TEAM, oppure tramite chiamata con
interfono (ove tecnicamente realizzabile). Questo numero, di cui ho
già parlato in precedenza, deve essere facilmente ricordabile e
sarebbe utile facilitare la memoria utilizzando una locandina che
- 121 -
indichi chiaramente il numero da digitare e in che casi (vedi allegato
2), posti o vicino al telefono o sul carrello dell’emergenza o sul DAE.
In questo modo si può pianificare un sistema di allertamento unico,
pratico e veloce in modo da perdere il minor tempo possibile.
Il TEAM dovrà accorrere sul luogo della chiamata munito di
Defibrillatore manuale-semiautomatico portatile.
Il Medico del TEAM dovrà essere in grado di eseguire sul luogo le
prime manovre di rianimazione avanzata grazie alla attrezzatura e ai
farmaci presenti sul carrello di emergenza del Reparto e al
Defibrillatore-Pacing che ha portato; egli dovrà inoltre sovrintendere
all’eventuale trasferimento del paziente presso un’area intensiva.
La turnistica dei Medici attivabili per l’E. I. dovrà essere
integrata/sovrapposta a quella per la guardia divisionale e dovrà
tenere conto delle realtà di ogni ospedale (organizzazione delle
guardie, distanze tra i reparti e le aree intensive dell’Ospedale (P.S.,
UTIC, Rianimazione). In ogni Ospedale devono essere individuati un
Responsabile Medico ed un Responsabile Infermieristico della E. I.
che stileranno mensilmente la turistica dei TEAM.
- 122 -
RACCOLTA DATI
Per un’analisi dettagliata dell’attività di defibrillazione precoce, è
necessario
garantire
una
raccolta
dati
secondo
uno
stile
universalmente accettato e che quindi sia uniforme per tutti.
Il modello “Utstein Style” è il miglior metodo di raccolta dati per la
verifica della catena della sopravvivenza all’interno dell’ospedale, in
quanto copre tutte le fasi della risposta dalle variabili del paziente,
all’evento e alla prognosi (v. allegato 3).
Utilizzare questo metodo di raccolta dati serve per uniformare anche
i criteri di raccolta dati presenti già in alcune Aziende in modo da
ottenere le stesse informazioni, più facilmente assimilabili a
percentuali finali sulla valutazione delle prestazioni.
Questo modello deve essere anche affiancato a una valutazione
sulla tempistica: è necessario valutare se con questo progetto vi è
una riduzione sui tempi d’intervento.
Accumulando tutti questi dati poi, si può verificare se il sistema
adottato per la defibrillazione precoce migliora la situazione oppure
no, valutando qual è la variabile ancora carente e adottare le
contromisure necessarie per renderla poi accettabile.
- 123 -
CONCLUSIONI
L’emergenza intraospedaliera deve essere concepita come una
catena di procedure e atti da affrontare non in modo caotico, ma con
protocolli ben definiti e condivisi da tutto il personale.
Spesso, durante un emergenza, non vi è un buon controllo
dell’emotività da parte del personale sanitario, decidendo al
momento, senza nessuna obiettività e metodica. Tutto ciò può
essere dovuto (in gran parte) alla mancanza di protocolli, alla
sporadicità dell’evento, alle conoscenze dei singoli operatori o al
tentativo di demandare all’equipe ALS decisioni e interventi.
Al contrario, l’applicazione di protocolli specifici consenta la
riduzione dell’emotività, la condivisione e la standardizzazione
(orizzontale e verticale) delle procedure e il raggiungimento di
risultati ottimali, che in questo ambito significano maggiori
probabilità di sopravvivenza per la persona oggetto delle cure.
La formazione specialistica deve essere in grado di stimolare
l’integrazione e la interdipendenza tra i diversi professionisti
dell’Unità Operativa, visto che nessuno, da solo, è in grado di
produrre risultati eccellenti nell’assistenza in fase di emergenza. Lo
- 124 -
dimostrano gli studi e le ricerche praticate in questi ambito che
dimostrano ancora la bassa percentuale di sopravvivenza per morte
cardiaca improvvisa in ospedale.
Per favorire il miglioramento di questi spiacevoli dati sarebbe utile
creare
un
piano
di
gestione
delle
emergenze
all’interno
dell’ospedale:
• La divulgazione all’interno dell’ospedale della defibrillazione,
sia tramite l’aumento della disponibilità ai defibrillatori, sia
autorizzando maggiormente il personale infermieristico al loro
utilizzo
• Da ciò deriva anche la necessità di pianificare la formazione di
base ad un preciso programma di aggiornamento a scadenze
predeterminate; i corsi devono fornire gli strumenti teorici e
pratici relativi alle tecniche assistenziali e agli aspetti gestionali
ed organizzativi dell’emergenza, nonché alle responsabilità dei
singoli professionisti
• La disposizione strategica dei dispositivi DAE e del carrello
dell’emergenza in modo da ridurre la tempistica al minor
tempo possibile
• L’utilizzo di un modello di raccolta dati universale (Utstein
Style) in modo da poter ottenere studi e ricerche successive,
- 125 -
allo scopo di apportare le necessarie modifiche al progetto per
ottenere un miglioramento continuo dei risultati in termini di
sopravvivenza
L’ottica attraverso cui è possibile leggere lo svolgersi di un evento
d’emergenza è duplice: da un lato, esso può costituire un momento
di forte stress per tutta l’equipe; dall’altro, offre sicuramente un
banco di prova per le abilità e le conoscenze acquisite dai singoli
professionisti.
L’infermiere deve scegliere il ruolo del protagonista, per le proprie
competenze, e promotore di esperienze positive e gratificanti e di
raccogliere le sfide per essere espressione di una alta qualità
professionale.
- 126 -
ALLEGATI
ALLEGATO 1: QUESTIONARIO
INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ ORGANIZZAZIONE DELLE EMERGENZE
INTRAOSPEDALIERE
Salve a tutti sono una studentessa del 3^anno del corso universitario di scienze infermieristiche,
prossima alla laurea.
Questo questionario che vi propongo, riguardante la formazione del personale sanitario nella
rianimazione cardiopolmonare e nella sua pratica clinica ( nello specifico corsi di BLS-BLSD e
per chi li avesse frequentati anche corsi avanzati di rianimazione cardiopolmonare quali ACLS,
AMLS, etc.), mi sarà utile da completamento alla mia tesi di laurea, che vertirà per l’ appunto sull’
argomento appena descritto.
Per questo motivo vi chiedo gentilmente di leggerlo attentamente e rispondere con sincerità alle
poche domande qui sotto esposte, assicurandovi che vi ruberà solo qualche minuto. Il questionario
sarà anonimo, ma vi richiederò qualche dato personale.
Grazie mille per la vostra collaborazione e il vostro, per me prezioso, aiuto.
Una futura collega.
SESSO : M
F
ETA’
ANNI DI SERVIZIO
UNITA’ OPERATIVA
QUESTIONARIO
1) Quale tra questi corsi di formazione base di primo soccorso ha frequentato?
□ BLS
□ BLSD
□ PBLS
□ Corso emergenza-urgenza
□ Altro
□ Nessuno
2) Se li ha frequentati per quali è certificato?
□ BLS
□ BLSD
□ PBLS
□ Corso emergenza-urgenza
□ Altro
□ Nessuno
3) Quanto tempo fa li ha frequentati?
□ < 1 anno fa
□ > 1 anno fa
□ 1 anno fa
□ 2 anni fa
□ 3 anni fa
127
4) I corsi di formazione sono stati seguiti per ( è possibile barrarne più di una ) :
□ formazione obbligatoria
□ interesse personale
□ attività extra-lavorativa
□ accreditamento ECM
5) Di che presidi di emergenza è dotata la vostra unità operativa?
□ Borsa dell’ emergenza (farmaci, devices per la gestione delle vie aeree, ecc)
□ Carrello dell’ emergenza
□ Altro
□ Nulla, vengono utilizzati farmaci e presidi in dotazione al reparto in quel momento
6) È presente un defibrillatore nella vostra unità operativa?
□ SI
□ NO
7) Se si di che tipo?
□ DAE (defibrillatore semi – automatico esterno)
□ Manuale
8) Ha mai eseguito una sequenza di rianimazione cardio-polmonare?
□ SI
□ NO
9) Se no si sentirebbe pronto ad eseguirla?
□ SI
□ NO
10) Ha mai utilizzato un defibrillatore?
□ SI
□ NO
□ L’ho visto usare
10) I corsi di formazione che ha seguito ( se ne ha seguiti ) le sono serviti per apportare
delle modifiche nella gestione dei presidi e dell’ emergenza in se stessa?
□ SI
□ NO
11) Se si in che cosa è migliorato? (è possibile barrarne più di una)
□ utilizzo dei presidi
□ disposizione fisica dei presidi
□ disponibilità di ulteriori presidi
128
□ utilizzo delle procedure
□ istituzione di protocolli interni
□ tutte
12) È presente un protocollo interno di attivazione precoce di personale ACLS
(supporto cardiaco avanzato o di almeno un rianimatore)?
□ SI
□ NO
13) E’ presente nel vostro reparto uno strumento di raccolta dati (es.una scheda da
compilare dopo l’evento) relativa agli interventi d’emergenza effettuati?Se si
specificare di che tipo.
□ SI
□ NO
129
EQUIPE ALS
130
EMERGENZA INTRAOSPEDALIERA
RAPPORTO DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE
5. INTERVENTO
1. DATA EVENTO
____\____\_______
ALS
NOME______________
COGN ______________
2. LUOGO
o
o
o
o
o
o
o
MED URG
PS
UTC-CARD
DCG
MED
RAD
AMBULATORI
o DOT
o GIN
o PED
o SALA OP
o LUOGHI PASSAG
o _________________
o NESSUNO
o FARMACI E.V.
o ACCESSO ARTERIOSO
o INTUBAZIONE
o VENT. MECCANICA
o MONITOR ECG.
o PM TRANSTORACICO
ETA’ ______________
SESSO M
RICOV.DA. ___\___\____
4.MONITORATO?
3. TESTIMONI?
COD. REGIONALE
____________________
o SI
o NO
o SI
o NO
F
INFORMAZIONI SULL’EVENTO
6. CAUSA IMMEDIATA
8. CONDIZIONE INIZIALE 10. RITMO INIZIALE
…
FV
COSCIENTE?
O SI O NO
† ARITMIA
…
TV
RESPIRO SPONTANEO ? O SI O NO
…
PEA
† IPOTENSIONE
POLSO PRESENTE?
O SI O NO
…
BRADICARDIA
† DEPRESSIONE RESPIRATORIA
…
ASISTOLE
…
RITMO SINUSALE
9. TEMPI EVENTO
† METABOLICA
SEGNARE GLI ORARI DEGLI EVENTI E I RELATIVI
† ISCHEMIA MIOCARDICA
MINUTI DI INTERVALLO TRA UN INTERVENTO E
CPR INTERROTTA ORA ____:_____
L’ALTRO
† NON SO
MOTIVO
† ALTRO__________________
SINCOPE/ESORDIO
___:___
…
ROSC
7. TENTATIVO DI RCP?
SI(SEGN.TUTTO)
o COMP.TOR
o DEFIBRILL.
o VIE AEREE
NO (UNA RISPO)
o CONST.DEC.
o CONSID.
INUT
o DNAR
INIZIO BLS
min_____
___:___ =
1° DC SHOCK
min_____
___:___ =
INTUBAZIONE
min_____
___:___ =
…
…
…
DECESSO
CONSIDERATO INUTILE
DNAR
RIPRISTINO DI CIRCOLO
…
SI ORE ____:______
…
NO MAI
…
ROSC NON SOSTENUTO
… 20’
… >20’ < 24 ORE
… < 24 ORE
1° DOSE ADRENALINA___:___ = min_____
INFORMAZIONI SULL’ESITO
10. TEMPO DI RISVEGLIO
12. SE NO, CAUSA DECESSO
… CARDIACA
… NEOPLASIA
… TRAUMA
… ALTRO
ORA ____:____ DATA____\____\_____
11. ESITO DELL’EVENTO
… DIMISSIONE DALL’OSPEDALE
13. CODICE ICD
DATA _____\_____\_______
LUOGO DIMISSIONE
… DOMICILIO_____________________
… ALTRO OSP._____________________
… ALTRO _________________________
CPC (ALLA DIMISSIONE)
Glasgow Coma Score ____________
CPC (cerebral performance category) 1=buona 2=moderata 3=grave
4=comatoso 5=morte cerebrale
131
16. FONTE DATI
… CARTELLA CLINICA
… CERTIFICATO MORTE
… MEDICO CURANTE
… AUTOPSIA
… ALTRO______________________
ALTRE INFORMAZIONI
17. SOCCORRITORI
1° I.P.
.
NOME
2° I.P.
RICOV.DA
____\____\_____
Team ALS
MEDICO
I.P.
18. TEMPO DI INTUBAZIONE
___:___
Giorno mese
anno
CODICE REGIONALE
19. ALTRE TERAPIE DURANTE L’EVENTO
(VEDI SOTTO)
ORA
COMMENTI
PARAMETRI
RITMO
DEF (J)
FARMACI
CONTROLLARE CHE LE INFORMAZIONI SIANO ACCURATE E COMPLETE
Allegato 3 : Modello “Utstein Style” intraospedaliero
132
DOSE
BIBLIOGRAFIA
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Edizione 2002
• H.D. Grant, Pronto Soccorso e interventi d’emergenza
Edizione 2002
• J.E. Tintinalli, Medicina d’emrgenza
Edizioni 1997
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Defibrillation 3a Edizone Marzo 2003, Manuale per operatori sanitari
• American Heart Association, Manuale ACLS Trattamento avanzato
dell’emergenza cardioresipratoria
Edizione 1997
• Atti del XVIII Congresso Nazionale ANIARTI, Accreditamento e
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Bologna 10-11-12 Novembre 1999
• Tunstall-Pedoe H., Bailey L., Chamberlain D.A., Marsden A.K.,
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program at one year.
Rev Port Cardiol. 2001 Oct;20(10):943-56. English, Portuguese.
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133
• Dott.ssa Anna Maria Ferrari, Atti Convegno provinciale,
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• Convegno dei Medici dell’emergenza Territoriale Cesena, La
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for Reviewing, Reporting, and Conducting Research on In-Hospital
Resuscitation: The In-Hospital 'Utstein Style'
• A.Gentili, M. Nastasi, L.A. Rigon, C. Silvestri, P. Tanganelli, Il
paziente critico clinica e assistenza infermieristica in anestesia e
rianimazione, Edizione 1993
• Gruppo A.C.R.O. – Azienda Sanitaria di Firenze, Prevenzione
dell’arresto cardiaco intraospedaliero: uno score per la valutazione del
livello di gravità in pazienti ricoverati in degenza ordinaria, 2002
134
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