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ANALISI DELLE POLITICHE PUBBLICHE
Contatti docente: [email protected][email protected]
Testo di riferimento: Howlett e Ramesh, Come studiare le politiche pubbliche, 2003, Il Mulino, Bologna
• L'economia del benessere è forse l'approccio più diffuso nello studio
delle politiche pubbliche. Gran parte della ricerca definita in letteratura
come analisi delle politiche è in realtà un'applicazione dell'economia del
benessere.
• Questo approccio si fonda sull'idea che molte decisioni nel campo
sociale dovrebbero essere affidate agli individui attraverso il meccanismo
del mercato.
• Gli economisti del benessere ammettono però che i mercati non sono
sempre in grado di allocare le risorse in maniera efficiente, ossia non
riescono ad aggregare comportamenti in grado di realizzare la massima
utilità individuale in modo da ottimizzare il benessere generale della
società.
• I principi dell’economia del benessere sono stati elaborati per la prima
volta dall'economista inglese Alfred Pigou (1932) che individua esempi
di fallimenti del mercato dovuti al monopolio di alcune industrie e alla
incapacità di consumatori ed investitori di ricevere informazioni
necessarie al processo decisionale, in seguito gli analisti hanno affermato
l'esistenza di molti altri esempi di fallimenti del mercato (Bator 1958)
Economia del benessere
• Principali esempi di fallimento del mercato:
• Monopolio naturale. Si verifica in certi settori industriali in cui sono
necessari investimenti ingenti in rapporto ai ricavi e in cui i rendimenti di
scala sono molto elevati; questa situazione tende a privilegiare
un'azienda sui concorrenti. In settori quali telecomunicazioni, elettricità e
trasporto ferroviario, la prima impresa che riesce a creare le infrastrutture
necessarie, se non sottoposta a regolazione, gode di vantaggi di costo che
rendono difficile la concorrenza di altre aziende. La mancanza di
competitività quindi comporta una perdita del benessere della società.
• Informazione imperfetta. Si riferisce alle condizioni in cui i
consumatori e gli investitori non posseggono adeguate informazioni per
prendere decisioni razionali. Le aziende farmaceutiche, ad esempio, non
sono affatto interessate a rivelare gli effetti collaterali dei propri prodotti,
mentre i consumatori non hanno le conoscenze necessarie per valutare i
prodotti farmaceutici. Ancora una volta le decisioni prese in questo
campo potrebbero non essere utili a tutta la società.
Economia del benessere
• Esternalità. Interessano situazioni in cui i costi di produzione non
gravano interamente sul produttore, ma vengono rovesciati su soggetti
esterni al processo produttivo. L'esempio più citato di esternalità sono i
costi causati dall'inquinamento che le aziende fanno gravare su tutta la
società, aumentando così i loro profitti.
• La tragedia dei beni comuni. Consiste in una situazione di fallimento
del mercato che si verifica con l'utilizzo non regolamentato delle risorse
di proprietà pubblica quali zone di pesca, di pascolo, forestali o
petrolifere. In tali circostanze spesso accade che i singoli utilizzatori,
aumentando lo sfruttamento delle risorse, ne traggano benefici a breve
termine, mentre la collettività risentirà del progressivo esaurimento delle
risorse nel lungo periodo.
• Concorrenza distruttiva. Costituisce un altro esempio discutibile di
fallimento del mercato che, secondo gli studiosi, si verifica quando il
clima di forte concorrenza tra imprese provoca effetti collaterali negativi
sui lavoratori e sulla società. È stato provato che l'eccessiva competitività
può far abbassare i margini di profitto, portare alla riduzione non
necessaria dei salari e al peggioramento delle condizioni di vita e di
lavoro, influendo negativamente sul benessere generale della società.
Economia del benessere
• Altri studiosi hanno cercato di allargarne il concetto aggiungendo
ulteriori tipi oltre a quelli appena descritti. In questo modo pubblica
istruzione, ricerca e sviluppo, arte e cultura, pace e stabilità sociale
vengono citati come casi di attività che generano esternalità positive che
il mercato, nonostante le necessità della società, non fornisce in modo
adeguato; questo dimostrerebbe la situazione di fallimento del mercato.
• Sebbene lo status e le cause esatte dei fallimenti del mercato siano
controversi ed essenzialmente ricavati con un procedimento induttivo, gli
economisti del benessere hanno sviluppato una teoria delle politiche
pubbliche basata su questo concetto.
• Essi sostengono che il governo debba farsi carico di rimediare alle
situazioni di fallimento del mercato perché non è possibile ottenere
risultati ottimali per la società semplicemente attraverso un processo
decisionale individuale in assenza di coordinamento.
• Secondo questo punto di vista gli organi di governo a cui si richiede di
intervenire dovrebbero per prima cosa determinare se il fallimento del
mercato provochi un danno sociale. Solo nel caso in cui il problema
venga rilevato, il governo dovrebbe intervenire per porvi rimedio.
Economia del benessere
• Una volta stabilita la necessità di intervento da parte dello stato, è
necessario trovare il modo più efficiente per intervenire, e questo
modo deve essere improntato alla massimizzazione del rapporto
costi/benefici attraverso l'analisi delle diverse soluzioni possibili.
Come ottenere lo stesso risultato (output) con meno risorse
(input) oppure come ottenere un risultato maggiore a parità di risorse
impiegate.
• I costi e i benefici vengono determinati nel modo seguente:
- enumerazione di tutte le conseguenze negative e positive in termini
economici che possono derivare dalla realizzazione di un'opzione;
- stima delle probabilità con cui possono verificarsi;
- stima dei costi e dei benefici per la collettività;
- calcolo della perdita e del guadagno previsti per ognuna delle
conseguenze possibili (ottenuto moltiplicando i punti 2 e 3);
- sconto dei valori ottenuti all'anno corrente per calcolare il valore
attuale netto (Fischoff 1977).
Economia del benessere
• L'analisi costi/benefici è essenzialmente una tecnica per far sì che il
governo replichi il più precisamente possibile il processo decisionale del
mercato allo scopo di allocare le risorse. È «un tentativo di utilizzare una
tecnica economica al posto della formale contrattazione di mercato o
della fissazione dei prezzi al fine di individuare una politica alternativa
Pareto-ottimale» (Gillroy e Wade 1992)
• Secondo il criterio di ottimalità di Pareto, un’azione dovrebbe essere
intrapresa soltanto nel caso in cui essa offra la possibilità di migliorare la
situazione di almeno una persona senza peggiorare la situazione di
nessun altro.
• Se, per quanto discutibile possa essere il criterio, sia effettivamente
possibile raggiungere l'ottimo paretiano in un mercato perfettamente
concorrenziale, è praticamente impossibile applicare tale idea alla realtà
delle politiche pubbliche, in quanto tutte le azioni di governo
migliorano la condizione di qualcuno a svantaggio di altri.
• Es. La sicurezza sociale per i poveri, finanziata tramite le entrate erariali,
va a svantaggio delle classi più ricche; anche la carcerazione dei
criminali ha lo stesso effetto, in quanto peggiora la loro situazione.
Economia del benessere
• Le difficoltà insite nel principio dell'ottimo paretiano hanno portato alla
sua sostituzione, nelle teorie di economia del benessere contemporanee,
con il criterio cosiddetto di Kaldor, che sostiene la necessità di
scegliere, fra le varie possibilità, quelle politiche che massimizzino i
benefici netti rispetto ai costi.
• Secondo tale criterio, una certa politica può essere scelta anche a
svantaggio di alcuni, purché il guadagno totale sia maggiore della somma
delle perdite. L’opzione che offre il rapporto benefici/costi più alto viene
adottata e realizzata.
• Si intuisce da subito la difficoltà nell'applicazione pratica di questa
teoria, infatti non solo benefici e costi non si possono quantificare
economicamente in maniera agevole e prevedibile (Zenckhauser 1975):
es. impossibile calcolare con precisione il costo dei programmi di
previdenza sociale in termini di pace sociale e tolleranza che tali
programmi riescono a diffondere
• Inoltre, benefici e costi sono destinati ad essere distribuiti in maniera
spesso iniqua.
Economia del benessere
•
Anche lo stato, nelle sue politiche di intervento, è suscettibile di errori (fallimenti
dello stato) e non sempre è capace di limitare le distorsioni e le insufficienze del
mercato (Le Grand e Robinson 1993), sia per incapacità sia per “connivenza” in caso
ad esempio di conflitti di interesse. Di solito abbiamo tre esempi:
1)
Distorsione organizzativa. L'agenzia governativa incaricata di produrre un
particolare bene o servizio sostituisce l'obiettivo pubblico con altri suoi obiettivi
«privati» o «organizzativi». La critica si può estendere alla massimizzazione del
budget, del potere o di qualsiasi altra cosa che l'organizzazione consideri come un
valore. In tali circostanze, l'azione di governo tesa a rimediare il fallimento del
mercato in realtà ne aumenterebbe l'inefficienza.
2)
Aumento dei costi. A causa della separazione tra introiti fiscali e spesa pubblica
l'aumento dei costi viene citato come un altro esempio di fallimento dello stato. Il
governo riceve gli introiti provenienti dalle tasse da fonti generali ma stanzia fondi
in base a preventivi di costo specifici. Senza un sistema che permetta di abbinare i
costi alle entrate, i governi spesso non riescono a controllare le spese, come è stato
osservato;
3)
Esternalità derivate. Si è detto che le azioni di governo hanno un forte impatto
sulla società e sull'economia, in virtù del quale esse hanno l'effetto di escludere beni
e servizi vitali prodotti dal mercato o di influire negativamente sul livello generale
del benessere della società (Wolf 1979)
Economia del benessere
• Dunque lo stato non dovrebbe solo esaminare con attenzione i
fallimenti del mercato, ma anche valutare con la stessa attenzione la
propria capacità di rimediarvi prima di effettuare qualsiasi tentativo.
• Di fronte a critiche prolungate molti economisti del benessere hanno
ipotizzato una rielaborazione concettuale della nozione originale di
fallimento del mercato. A questo scopo è stata sviluppata una
tipologia di beni e servizi per riuscire a determinare l'eventuale
ruolo dei governi e dei mercati nella loro erogazione.
• Secondo questa tipologia tutti i beni e i servizi della società possono
essere divisi in quattro tipi in base ai criteri di escludibilità [se sia
possibile o conveniente escludere dal consumo altri individui] e
rivalità [se la contemporanea fruizione da parte di altri consumatori
diminuisca i benefici per il singolo fruitore].
Economia del benessere
RIVALITA’
Alta
ESCLUDIBILITA’
Bassa
Alta
Bassa
Bene privato
Toll good
Bene collettivo
Bene pubblico
• Dunque secondo questo punto di vista, i beni privati puri costituiscono
la gran parte di beni e servizi prodotti nella società. Tali beni o servizi,
come ad esempio i prodotti alimentari, vestiti o un taglio di capelli, sono
escludibili e rivali.
•
N.B. Un bene è escludibile al consumo se è possibile impedirne il consumo
qualora lo si voglia fare (un gelato è un bene escludibile: il venditore può
sempre decidere di non vendere un gelato a qualcuno. Una sirena di allarme
anti incendio non è escludibile nel senso che una volta installata tutti
possono usufruirne).
N.B. Un bene è rivale al consumo se l’uso da parte di un individuo ne limita
(impedisce) la possibilità di godimento da parte di un altro (es un gelato o lo
mangia Tizio o lo mangia Caio. Un parco pubblico può essere
contemporaneamente attraversato da più soggetti, la luce del sole può essere
presa contemporaneamente da tutti)
Economia del benessere
RIVALITA’
Alta
ESCLUDIBILITA’
Bassa
Alta
Bassa
Bene privato
Toll good
Bene collettivo
Bene pubblico
• All'altro estremo stanno i beni pubblici puri, come l'illuminazione
delle strade, la difesa, televisione, sanità, non parcellizzabili e
utilizzabili senza diminuire la somma del bene disponibile.
N.B. Assenza di rivalità nel consumo - il consumo di un bene pubblico
da parte di un individuo non implica l'impossibilità per un altro
individuo di consumarlo, allo stesso tempo (musica, o pittura)
N.B. Non escludibilità nel consumo. Una volta che il bene pubblico è
prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione ai soggetti che
non hanno pagato per averlo (si pensi ad esempio all'illuminazione
stradale).
Economia del benessere
RIVALITA’
Alta
ESCLUDIBILITA’
Bassa
Alta
Bassa
Bene privato
Toll good
Bene collettivo
Bene pubblico
• Tra i due ci sono i toll goods e i beni collettivi.
• I primi comprendono beni semipubblici come ponti o autostrade, il
cui consumo è non rivale, ma per l'uso dei quali è possibile richiedere
un pedaggio.
• I beni collettivi, come ad esempio i pesci del mare, sono invece beni
il cui uso diretto non può essere oggetto di tributo per i singoli
individui, ma che presentano la caratteristica della rivalità.
Economia del benessere
• Secondo i principi dell'economia del benessere, il governo non
dovrebbe intervenire in transazioni e attività relative a beni e servizi
privati, limitandosi a rafforzare i diritti di proprietà e a prevenire
comportamenti criminosi, come i furti, che minacciano questo tipo di
transazioni.
• I beni pubblici invece dovrebbero essere erogati dallo stato perché il
mercato non può fornire beni e servizi per i quali non si richieda un
pagamento o che non generano profitti.
Economia del benessere
• I governi non dovrebbero inoltre permettere che i toll goods vengano
considerati alla stregua di beni pubblici: per essi deve quindi essere
richiesto un tributo.
• Secondo questo punto di vista, il costo della costruzione e
manutenzione di strade e ponti non dovrebbe essere a carico di tutti i
contribuenti per poi essere offerto gratuitamente soltanto a coloro che
ne fanno uso, che si sentirebbero così autorizzati a ritenerli beni
pubblici: piuttosto, coloro che utilizzano le strutture devono
sostenerne il costo.
• Nel caso dei beni collettivi, il governo dovrebbe regolamentarne la
proprietà, tramite la concessione di licenze per prevenire
l'esaurimento di tali risorse. Es. La vendita di quote per la pesca in
asta pubblica, con cui si concede il «diritto» a pescare una certa
quantità di pesce, costituisce un esempio spesso citato di questo
principio.
Economia del benessere
• Pluralismo/USA – Corporativismo/Europa
• La teoria del pluralismo è stata elaborata da Bentley (1908) ed è tutt'oggi la
tendenza dominante in America (Truman 1964, Dahl 1961, Polsby 1963).
• La teoria si basa sul primato di alcuni gruppi di interesse nei processi politici.
Alla base c'è il concetto secondo il quale «la stessa società non è altro che il
complesso dei gruppi che la compongono».
• Perché esistono i gruppi?
I diversi interessi presenti nella società trovano la loro concreta manifestazione in
gruppi diversi, composti da individui che condividono gli stessi interessi.
• Truman ha poi modificato l'idea di corrispondenza biunivoca fra interessi e
gruppi, sostenendo che esistono due tipi di interesse: latente e manifesto che
sfociano nella creazione di due tipi di gruppo, potenziale ed organizzato. Per
Truman, gli interessi latenti che vanno emergendo creano le condizioni per la
formazione di gruppi potenziali, che porteranno alla nascita di gruppi organizzati.
Pluralismo
•
-
Caratteristiche:
Numero elevato di gruppi e formazione libera
sovrapposizione delle appartenenze
non sono rappresentativi di un interesse esclusivo. Es . Un individuo può
appartenere a diversi gruppi (associazione dei consumatori e medici)
• La sovrapposizione è considerata uno dei punti chiave nel meccanismo di
conciliazione dei conflitti e nella promozione della cooperazione fra i
gruppi.
• Inoltre, lo stesso interesse può essere rappresentato da più di un gruppo.
Ad esempio, i problemi ambientali sono condivisi da tanti gruppi in tutti
i paesi industrializzati.
• Nella prospettiva pluralista la politica è il processo di conciliazione di
diversi interessi in contrasto fra loro.
• Le politiche pubbliche sono quindi il risultato della rivalità e della
collaborazione tra gruppi che cercano di operare in favore
dell'interesse collettivo dei propri membri
Pluralismo
• Tutti i gruppi non hanno la stessa influenza o uguali possibilità di
accedere al governo.
• Criteri di differenziazione dei gruppi:
- le risorse finanziarie o organizzative (personale a disposizione,
legittimazione, fedeltà dei membri o unità interna)
- l'accesso al governo (Lindblom 1968; Lowi 1969; McConnel 1960)
• Come però ha osservato McLennan (1989) «è impossibile leggere i
contributi standard senza giungere alla conclusione che le risorse,
l'informazione e i mezzi della comunicazione politica sono ampiamente
disponibili per tutti i cittadini, che i gruppi formano una serie di centri
di potere equivalenti all'interno della società e che tutte le voci legittime
potranno essere, e saranno, udite».
• Come tali, le teorie pluraliste possono essere in un certo senso
giustamente criticate per non aver indagato a sufficienza come la
capacità di differenziazione dei gruppi influisca sul processo di decisione
delle politiche.
Pluralismo
• Problema principale: nell'applicazione del pluralismo nell'analisi delle
politiche pubbliche è la mancanza di chiarezza sul ruolo del governo
nella definizione delle politiche.
1) Inizialmente il governo era visto come una sorta di cinghia di
trasmissione:
a) I gruppi di interesse presentavano delle richieste
b) Il governo raccoglieva le richieste & realizzava le richieste.
• Il governo non rappresenta tanto un'entità ben precisa quanto un luogo
fisico, un'«arena» in cui i gruppi rivali si incontrano e negoziano.
2) In una seconda fase – visto che nella realtà il ruolo del governo era
diverso - il governo diventa «giudice» o «arbitro».
a) Lo stato rimane un luogo in cui gruppi in contrasto si incontrano per
risolvere i loro conflitti,
b) Il governo è considerato una specie di funzionario neutrale che
stabilisce le regole del conflitto fra i gruppi e assicura il controllo da
possibili violazioni.
Pluralismo
• Per Latham (1952):
«Gli organi legislativi sono arbitri nella lotta fra i gruppi, ratificano le
vittorie della coalizione vincente e registrano i termini della resa, i
compromessi e le conquiste sotto forma di leggi. Ogni legge tende a
rappresentare un compromesso perché lo stesso processo di
composizione dei conflitti di un gruppo di interesse è un processo di
deliberazione e consenso. Il voto degli organi legislativi su qualunque
argomento rappresenta la composizione di una forza, ad esempio il
bilanciamento del potere tra i gruppi in lotta nel momento del voto. Quello
che può chiamarsi public policy è al momento una situazione di equilibrio
raggiunta dai gruppi in lotta in un determinato periodo e rappresenta una
bilancia che le fazioni o i gruppi contendenti cercano di riportare a tutti i
costi dalla propria parte»
Critica I: visione semplicistica perché esclude elementi fondamentali come
gli interessi e le ambizioni di chi amministra e controlla la cosa pubblica.
Critica II: esclude la possibilità concreta di legami forti tra stato e alcuni
gruppi di interesse
Pluralismo
• Critica III: non reale l’idea che l’esecutivo risponda solo ai gruppi di
pressione (presuppone un'unità di intenti e di azione da parte del
governo) (es. Lobby laubia: loggia/portico)
• La verità è che «la politica dei burocrati» è un fenomeno invasivo
il cui impatto sulle politiche pubbliche è critico (Allison e Halperin
1972)
• I diversi uffici hanno interessi diversi, forniscono interpretazioni
contrastanti dello stesso problema e la soluzione scelta per risolverlo
influenza le politiche adottate e il modo di realizzarle (polemiche:
federica guidi, e dirigenti Ue)
Pluralismo
• Il neopluralismo si sviluppa come risposta all’incapacità di risolvere
queste problematiche.
Cosa cambia?
1) l’idea generica di uguaglianza tra i gruppi: maggiore potere di
alcuni gruppi rispetto ad altri.
(resta identica l’idea del «confronto tra i gruppi»)
Per Charles Lindblom (1977) il gruppo che rappresenta gli interessi
degli uomini d'affari è più potente di altri, per almeno due motivi.
Neopluralismo
• Il primo:
- visto che nelle società capitaliste, i governi hanno bisogno di della
crescita economica
- Obiettivo: assicurarsi le entrate da destinare ai programmi e alla propria
rielezione.
- Atteggiamento: i governi devono mantenere la fiducia nel clima
economico, prestando quindi particolare attenzione alle richieste della
comunità degli affari.
• Il secondo
- Vista la divisione nelle società capitaliste tra settore pubblico (controllato
dallo stato) e settore privato (dominato dagli imprenditori)
- Obiettivo: mantenere particolare attenzione sugli aspetti sociali ed
economici (es. occupazione) che dipendono molto dal settore privato
- Atteggiamento: i governi hanno una maggiore attenzione verso questi
gruppi con maggiori investimenti nel settore privato. .
Neopluralismo
• Mentre nel Pluralismo la superiorità di alcuni gruppi collegata
soprattutto a risorse finanziarie/organizzative & accesso al governo
• Per Lindblom la forza dei gruppi d'affari risiede nella natura del
capitalismo e della democrazia stessa.
1) Gli imprenditori non hanno alcun bisogno di esercitare pressioni sul
governo per realizzare i propri interessi.
2) Il governo stesso, sulla base degli imperativi del capitalismo, cerca
di non danneggiare con le proprie azioni gli interessi dei gruppi
d'affari.
Neopluralismo
• Problema I: eccessiva attenzione al ruolo dei gruppi di interesse:
trascurano gli altri fattori che intervengono nel processo di politiche
pubbliche.
• Problema II: la teoria bypassa il ruolo dello stato e del sistema
internazionale nella formazione e nella realizzazione delle politiche
pubbliche.
Neopluralismo
1) Lo stato stesso può avere interessi e obiettivi che influiscono sulle
politiche pubbliche
2) I rapporti di interdipendenza economica fra gli stati sottopongono
le politiche pubbliche a pressioni di natura internazionale, (es.
gruppi di pressione esterni)
Ad esempio, le politiche industriali e commerciali dei paesi
industrializzati sono collegate alle pressioni dell’economia
internazionale
3) Il ruolo dell'ideologia: trascurato
Ad esempio, la tradizione liberale tipica dei paesi anglosassoni (Canada,
Stati Uniti, Australia, ecc.) ha avuto un impatto sugli interventi
economici.
Neopluralismo
• C’è «vita» fuori gli Stati Uniti?
Il problema è nella differenza delle istituzioni e dei processi politici.
Ad esempio, le istituzioni parlamentari britanniche in Australia, Canada o nel Regno
Unito non sono così accessibili ai gruppi di potere così come lo è il Congresso negli
Stati Uniti.
•
-
In molti paesi:
Non esistono i gruppi così come vengono definiti nel pensiero pluralista.
Dove, invece, esistono, sono in numero nettamente inferiore rispetto agli USA.
Poca stabilità dei gruppi all’interno del sistema e scarsa formalizzazione.
• Per Schmitter (1977):
- il pluralismo è una delle molte forme di sviluppo dei sistemi di gruppi nei vari
paesi.
- Al di fuori degli Stati Uniti, per contesto politico e culturale e variabile socioeconomiche è più probabile trovare organizzazioni di tipo corporativista piuttosto
che pluralista.
Pluralismo
• Il corporativismo nasce da un’esigenza: proteggere i ceti intermedi,
composti dalle associazioni autonome che si situavano fra lo stato e la
famiglia (von Gierke 1958; Malloy 1993; Schmitter 1982; von Beyme
1983):
- le corporazioni (di arte e mestieri), gilde
- Forme di associazioni mercantili, religiose e clericali.
Obiettivo delle corporazioni: difendere il monopolio di esercizio del proprio
mestiere e di chi lo praticava (anche se non iscritto).
• I ceti intermedi hanno una vita propria oltre quella degli individui che li
costituiscono (parte dell’ordine biologico e naturale della società)
• Al contrario del pluralismo, per Schmitter il corporativismo è:
- un sistema di intermediazione di interessi
- dove le unità costituenti si organizzano in categorie singole, obbligatorie,
non competitive e gerarchicamente ordinate
- riconosciute o autorizzate (se non create) dallo stato
- con monopolio di rappresentanza deliberativa all’interno delle rispettive
categorie
Corporativismo
• Dunque, gruppi formati liberamente da volontari
• Non in contrasto fra loro come nel pluralismo
• Non sono autonomi perché devono essere riconosciuti dallo stato
• Il corporativismo tiene in considerazione due elementi tralasciati dal
pluralismo:
- il ruolo dello stato
- l’istituzionalizzazione dei rapporti fra lo stato e i gruppi
Corporativismo
• Per la teoria corporativista le politiche pubbliche sono definite dall’interazione
tra lo stato e i gruppi di interesse o gruppi che lo stato riconosce.
• L’interazione è istituzionalizzata all’interno dello stato e da esso mediata.
Ad esempio, le politiche pubbliche per salvare un'industria in crisi vengono attuate
in forma di contrattazione tra lo stato, le associazioni industriali interessate e i
sindacati su come meglio razionalizzare l'industria e renderla competitiva (es. fiat,
alitalia)
L’esempio mostra quali sono i soggetti coinvolti in questo tipo di politiche a
carattere assistenziale:
- le associazioni imprenditoriali in generale (i cui membri sono chiamati a pagare
tasse più alte)
- i gruppi che si occupano di assistenza sociale
- i sindacati
• Le contrattazioni (e il risultato) dipendono da:
- caratteristiche organizzative dei gruppi
- vicinanza allo stato
Corporativismo
• Anche se accostato alla dimensione europea presenta alcune
problematiche:
• I:
- categoria «descrittiva» di un tipo particolare di accordo politico fra
stato e società (esempio Svezia, Austria)
- non spiega come agiscono i governi,
- non spiega il comportamento di paesi non corporativisti: cosa
succede nelle politiche pubbliche di Australia, Canada o Stati Uniti?
Per la teoria l’assenza di collaborazione istituzionale fra lo stato e i
gruppi conduce spesso a politiche frammentarie e incoerenti (Panitch
1979)
Corporativismo
• II:
- difficoltà a comprendere il processo di policy anche nei paesi
cosiddetti corporativisti
Perché alcune politiche vengono adottate o realizzate in un determinato
modo?
I rapporti che legano il governo e certi gruppi sono uno dei tanti fattori
che concorrono a formare le politiche, ma non il solo.
• III:
- non chiarezza sull’unità di analisi: il gruppo di interesse.
In alcuni casi, i gruppi vengono definiti in termini di etnia, lingua o
religione, mentre in altri casi vengono definiti in base alle loro attività
economiche.
Il corporativismo invece si concentra piuttosto arbitrariamente sui
gruppi impegnati nel processo di produzione (es. associazioni industriali
e sindacati).
Corporativismo
•
-
IV:
la teoria non da risposte sul ruolo dei gruppi in politica.
Tutti i gruppi godano della stessa influenza?
Da che cosa viene determinata la loro influenza?
• V:
- manca una concezione chiara della natura dello stato e degli interessi
- perché lo stato riconosce solo certi gruppi come rappresentanti degli
interessi rilevanti?
Corporativismo
• Alcuni provano ad elaborare risposte (contrastanti) sull’esistenza del
corporativismo:
- Il corporativismo è la manifestazione di uno stato autonomo che
desidera gestire il cambiamento della società o assicurare stabilità
sociale (Cawson 1986).
- È un sistema voluto dagli stessi gruppi di interesse più importanti e
semplicemente realizzato dallo stato ai loro ordini (Schmitter).
• Pro del corporativismo:
- nell'analisi delle politiche pubbliche ha messo in evidenza
l'autonomia dello stato in politica
- ha aperto la discussione a interpretazioni più sofisticate di public
policy rispetto alle altre teorie di analisi dei gruppi
- nuove e più esaurienti interpretazioni delle politiche pubbliche per
quanto riguarda il rapporto istituzionale tra stato e gruppi
Corporativismo
• Statalismo: partendo dagli sviluppi del pluralismo e del
corporativismo, ha focalizzato l’attenzione sulle strutture sociali
organizzate o sulle istituzioni politiche.
• Una prima prospettiva vede lo stato come fattore chiave nel processo
politico
• Una seconda prospettiva, attribuisce significato esplicativo anche ad
altre forme sociali quali l'imprenditoria o il mondo del lavoro.
• Entrambe le interpretazioni provengono dai lavori dei sociologi della
storia e di studiosi di diritto tedeschi della fine del XIX secolo
Statalismo
• Max Weber (1922) o Otto Hintze (1975): il monopolio dell'uso della
forza da parte dello stato permette di riordinare e strutturare le
relazioni sociali e le istituzioni.
• Theda Skocpol (1985): interpretazione
«statocentrica» piuttosto che «sociocentrica».
della
vita
politica
• Przeworski (1990):
- gli stati creano, organizzano e regolano le società.
- gli stati dominano le altre organizzazioni entro un particolare
territorio, modellano la cultura e danno forma all'economia.
- Inutilità del concetto di autonomia: si verifica solo dove lo stato trae
la sua efficacia dalla proprietà privata, dai valori sociali o da altre
fonti esterne ad esso.
Statalismo
• Lo stato, dunque, è un attore realmente autonomo:
- Capace di definire e realizzare i propri obiettivi
- Decade in parte l’idea di pressione da parte di gruppi e classi
dominanti
- Dotato di funzionari esperti e specializzati
- Dotato di risorse finanziarie, personali e coercitive
Statalismo
• Critiche:
- non tiene conto dell'indipendenza e della libertà sociale
- non spiega perché gli stati non riescano sempre a far valere la propria
volontà (es. periodi di ribellione, rivoluzione o disobbedienza civile).
- anche il governo più autocratico compie sempre uno sforzo per
avvicinarsi alle preferenze del popolo.
- impossibile che uno stato democratico sia completamente autonomo
rispetto ad una società che gode del diritto di voto.
- Impossibile non interagire con il mercato.
- Dunque tutti gli stati «forti» reagirebbero allo stesso problema nello
stesso modo per la somiglianza delle loro strutture organizzative?
Non è vero, poiché diversi stati (sia «forti» che «deboli») elaborano
politiche diverse per affrontare lo stesso problema. Per spiegare la
differenza, dobbiamo considerare quindi fattori diversi dalla struttura
dello stato (Przeworski 1990)
Statalismo
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