Attualità - Parrocchia di San Matteo della Decima

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[Da «il Timone», n. 69, gennaio 2008]
Il Sessantotto italiano
di Guido Vinelli
Cenni utili per capire dove e come nasce la rivoluzione
culturale che cambiò una generazione.
L’incubazione del virus
Verso la fine degli anni Sessanta circolava in Occidente un clima di ottimismo. Il progresso
culturale, economico e scientifico sembrava preparare un’era di pace, sicurezza, ricchezza e
comodità; il Cristianesimo stesso, con l’appena concluso Concilio Vaticano II, sembrava avviato
verso l’unione dei cristiani delle varie confessioni religiose e la riconciliazione con la
"modernità". Le tre figure simboliche di Kennedy, Krusciov e Giovanni XXIII avevano incarnato
queste speranze tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure, come ammoniva san Paolo, quando
tutti annunciano "pace e sicurezza", proprio allora bisogna temere l’arrivo di una sciagura: o
un colpo di mano diabolico che si approfitta della ingenuità umana, o un castigo divino che
risveglia alla dura realtà, o entrambe le cose. Molti segni evidenti smentivano questo facile
ottimismo. Il rilassamento dei costumi aveva favorito il sonno delle coscienze e aveva
provocato una grave fragilità sociale. La "cultura della rivolta" circolava liberamente nelle
scuole, nella letteratura, nel giornalismo, negli spettacoli, soprattutto nella musica giovanile.
La propaganda sinistrorsa esaltava idee, personaggi e comportamenti "trasgressivi" e incitava
a nuove forme di "lotta di classe": quelle tra vecchi e giovani, tra insegnanti e scolari, tra
genitori e figli, tra marito e moglie, tra uomo e donna, tra clero e laici. La ribellione giovanile,
la contestazione scolastica, la rivolta sindacale, la dissidenza ecclesiale, la rivoluzione sessuale
cominciavano già a manifestarsi in forme marginali e pittoresche, che venivano guardate con
simpatia o antipatia, ma non venivano comprese né combattute nella loro gravità.
Questa propaganda dell’assoluta libertà di pensiero e di parola pretendeva ormai di realizzarsi
in un’assoluta libertà di azione. Il tranquillo conformismo degli anni Sessanta stava per essere
rovesciato dalla "rivolta globale", favorita non da un clima di moralistica repressione, come
immaginavano gli psicoanalisti, bensì da un clima di rilassatezza e permissivismo (la "dolce
vita") che rifiutava non solo l’autorità, il lavoro e il sacrificio, ma anche l’ordine, la società, la
civiltà.
L’esplosione del virus
Tanto per smentire il luogo comune, secondo cui gl’Italiani importerebbero le rivoluzioni e le
ammorbidirebbero per neutralizzarle, quella sessantottina scoppiò proprio in Italia, durando più
a lungo e avendo un carattere più violento che altrove. Inoltre scoppiò in anticipo, il 16
novembre 1967, sei mesi prima d’iniziare ufficialmente nel famoso "maggio parigino".
Paradossalmente, poi, scoppiò in ambiente cattolico: fu infatti nell’apparentemente tranquilla
Università del Sacro Cuore a Milano che il Movimento Studentesco di Mario Capanna suscitò le
prime manifestazioni, marce, occupazioni e devastazioni. Poco dopo, a partire dal 15 gennaio
1968, come eseguendo un piano preordinato scattato a un segno dato, le Università statali di
tutte le città principali insorsero contemporaneamente. Nel 1970 nacquero il Movimento per la
Liberazione della Donna, quello per la liberazione omosessuale e quello nudista; il 6 dicembre
1975 si tenne a Roma la grande manifestazione femminista che auspicava la distruzione della
famiglia. L’impunita contestazione si trasformò ben presto in guerriglia urbana. II 1 marzo
1968 avvenne a Roma la "battaglia di Valle Giulia" e il 21 marzo ebbe luogo a Milano la
"battaglia di largo Gemelli", scatenate da studenti universitari; nel settembre 1969 iniziarono i
violenti "autunni caldi" operai promossi dalla Triplice sindacale. La polizia dovette soccombere
alle violenze per obbedire all’ordine di non reprimerle; i colpevoli arrestati vennero tutti
rilasciati o amnistiati. Le poche autorità che osarono opporsi alla guerriglia vennero diffamate
dalla stampa, delegittimate dai politici, abbandonate dai superiori, talvolta uccise, come nel
caso del commissario Calabresi. L’impunita guerriglia urbana generò poi il terrorismo; non
pochi protagonisti della contestazione studentesca diventarono promotori del terrore rosso, a
partire da Renato Curcio, che si era "allenato" all’Università di Trento; nel 1971, in parte dal
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"braccio armato" clandestino del PCI nacquero le Brigate Rosse, che colpirono personalità
avverse alla comunistizzazione della società.
Come si vede, quella del Sessantotto fu una rivoluzione facile, perché ebbe pochi oppositori e
molti complici palesi od occulti: politici, giornalisti, intellettuali, teologi, docenti, rettori e
cappellani universitari, perfino alcuni Ministri del Governo, tutti favorirono o almeno tollerarono
le violenze e i soprusi.
Impossibile qui ripercorrere le fasi del sessantottismo. Possiamo solo dire che non è mai finito,
perché una regìa occulta suscita periodicamente rivolte neo-sessantottine, usandole come
eccitanti per scuotere la società, spingendola ad accettare una nuova fase rivoluzionaria. Dopo
la crisi del periodo del "riflusso", ci furono vari tentativi di riprendere la lotta. Tra il 1977 e il
1979, ci provò il movimento dei punk e degli "indiani metropolitani"; tra il 1985 e il 1987, ci
provò il "movimento dell’Ottantacinque"; infine, a partire dal 1999 (manifestazioni di Seattle),
una nuova fase di contestazione internazionale venne avviata dal movimento no global. In
Italia questo movimento viene guidato dai "centri sociali autogestiti", che da una parte
ottengono appoggi dalle autorità politiche della sinistra e dall’altra affiancano le nuove forme di
guerriglia e terrorismo (anarchico o ecologista o islamista).
Molti fra i protagonisti del Sessantotto hanno poi fatto carriera nella società e nelle istituzioni.
Basti ricordare politici come Capanna, Boato, Manconi, Menapace, Cacciari, Vattimo, Turco,
Treu, Langer; intellettuali o giornalisti come Sofri, Viale, Piperno, Franceschini, Casalini, Negri,
Salvati, Tronti, Manghi, Rusconi, Lerner, Santoro, Mentana, Sposini, Freccero. Insomma, i
contestatori e sovversivi di ieri sono diventati oggi uomini di governo, esponenti dei "poteri
forti", manipolatori della opinione pubblica. L’eresia e la sovversione di ieri sono diventate
l’ortodossia e l’istituzione di oggi; quello che ieri era vietato (divorzio, aborto, droga,
omosessualità) oggi viene promosso e tutelato dalle leggi. C’è quindi da temere che la
sovversione di oggi possa diventare l’istituzione di domani. Viene quindi smentito un altro
luogo comune: non è affatto vero che in Italia "tutto finge di cambiare per restare lo stesso";
anzi, qui "tutto finge di restare lo stesso per cambiare", e in profondità!
Una diagnosi della malattia
Fra coloro che diagnosticarono e combatterono il sessantottismo alla luce della teologia della
storia, segnaliamo due lungimiranti intellettuali cattolici: Augusto Del Noce in Europa e Plinio
Correa de Oliveira nelle Americhe.
Del Noce ammonì che il ‘68 mirava a distruggere le ultime istituzioni (scuola, famiglia e
Chiesa) capaci di istruire, educare e santificare le generazioni. A tal scopo, esso preparava
l’avvento di una nuova forma di totalitarismo, quello del desiderio e dell’arbitrio, e una nuova
forma di persecuzione religiosa, quella che costringe il popolo a "liberarsi" dalle tradizioni
cristiane. Difatti, oggi Parlamenti e Tribunali internazionali cercano d’imporre una rivoluzione
familiare e sessuale vietando ogni "discriminazione" e promuovendo i "diritti umani
riproduttivi". De Oliveira denunciò il ‘68 come l’estremo tentativo di realizzare l’anarchia
mediante una nuova fase rivoluzionaria che mira a distruggere l’uomo nelle sue radici (sociali,
psicologiche e perfino biologiche) per renderlo schiavo di sé e ribelle a Dio. L’anima umana
viene sottomessa alle pretese di una sensibilità morbosa, ribelle e anarchica, estinguendo la
luce della verità, la voce della coscienza e il richiamo della fede. Manipolando tendenze,
abitudini e pratiche di massa, l’uomo d’oggi viene immerso fin da ragazzo in ambienti
rivoluzionari (come la discoteca) che lo corrompono fin dalla giovinezza. La soluzione decisiva
verrà quindi da una restaurazione delle tendenze e degli ambienti sani e formativi.
II ‘68 ebbe successo non tanto nel campo politico quanto in quello culturale e sociale. La
rivoluzione nei costumi, negli ambienti, nella mentalità, nella vita quotidiana ha diffuso nelle
masse il relativismo e la rivoluzione sessuale, rendendo impossibile la contemplazione sociale
della verità e la pratica sociale delle virtù (specie della temperanza). La sovversione morale ha
generato una "questione antropologica" che mette in forse la sopravvivenza dell’uomo come
creatura, ossia come immagine di Dio Creatore, e ancor più come cristiano, ossia come
somiglianza di Dio Redentore. Si vuole insomma imporre un modello di vita tribale, reso
possibile da un supporto tecnologico che dispenserà l’uomo dallo studiare, lavorare e procreare
per abbandonarsi al gioco, alla lussuria e alla violenza. In un suo romanzo intitolato L’isola,
Aldous Huxley raffigurò nel 1962 questa "utopia positiva", che egli propose come sola
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alternativa possibile all’utopia negativa" prima denunciata nel suo celebre Il mondo nuovo. Ma
siamo dunque davvero a questo bivio: o rassegnarci alla grigia prigione della società borghese,
o distruggerla scatenando l’anarchia tribale, o almeno evadere temporaneamente dalla prima
per stordirci nella seconda? Questa falsa alternativa esclude irrazionalmente l’unica vera
soluzione possibile: la restaurazione di una società cristiana. Se i propagandisti no global
proclamano che "un altro mondo è possibile", rispondiamo che certamente lo è, ma non sarà
l’utopia anarchica, bensì la futura civiltà cristiana: quella profetizzata dalla Madonna a Fatima.
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