Il lavoro in crisi

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A
Roberto Cavarra, Piera Rella, Ludovica Rossotti
Francesca Bergamante, Tiziana Canal
Il lavoro in crisi
Trasformazioni del capitalismo
e ruolo dei soggetti
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice


Introduzione
Capitolo I
Il glorioso trentennio del capitalismo e la crisi della
società industriale
.. I prodromi della società postindustriale,  – .. L’araba fenice del capitalismo. Dal coma alla rivitalizzazione
della produzione sociale,  – ... Dal bullone all’attività
cerebrale, ovvero la rivoluzione tecnico–scientifica,  – .. La
ristrutturazione capitalistica nel mondo. Dal postindustriale all’avvento della globalizzazione,  – .. La crisi del
paradigma economicistico e la complessità sociale,  –
.. I soggetti dentro la complessità sociale. Dalla classe
sociale all’identità,  – .. Il ruolo dei mass media,  –
.. Economia informale ed identità,  – .. Le ambiguità
dell’informale,  – .. Il capitalismo non abita più qui?, .

Capitolo II
La grande trasformazione made in Italy
.. La ristrutturazione capitalistica in Italia,  – .. I cambiamenti della struttura produttiva dal  al ,  –
... Il dibattito sullo sviluppo del terziario e della piccola e
media impresa,  – .. Gli investimenti e il ruolo dello Stato,  – .. Le caratteristiche della nuova occupazione,  –
.. L’internazionalizzazione dell’economia italiana. Verso
la globalizzazione, .

Indice


Capitolo III
Un paese di Santi, poeti, navigatori e di. . . ceti e
classi medie
.. Il terziario,  – .. I tre capitalismi,  – .. La
pancia grossa della struttura sociale italiana,  – .. Le
diseguaglianze sociali,  – .. Ceti e classi medie, tra
mercato e politica,  – .. Il passaggio del testimone:
la politica dalla “la barca va” ad un “milione di posti di
lavoro”,  – .. Una società di egoismi? Il buio della
democrazia,  – .. “L’epoca delle passioni tristi”: una
ricerca sul campo, .

Capitolo IV
Alla ricerca del lavoro perduto
.. L’offensiva neoliberista verso il lavoro,  – .. Plasticità o precarietà del lavoro?,  – .. Il contesto internazionale: dalla trappola della precarietà a quella della
disoccupazione,  – .. Le specificità italiane: gli aspetti
legislativi,  – .. Le trasformazioni del mercato del lavoro in Italia,  – .. Dalla precarietà allo scoraggiamento e
alla disoccupazione,  – .. Rischi legati alla vulnerabilità: lavoro sommerso, lavoro sotto inquadrato, lavoro grigio
e lavoro nero,  – .. I reticoli sociali: l’importanza del
capitale sociale, .

Capitolo V
Evidenze e prospettive della qualità del lavoro
.. L’investimento infinito in capitale umano,  – .. Flessibilità sul lavoro, flessibilità nella vita,  – .. Job insecurity e difficoltà economiche, .

Conclusioni

Bibliografia
Introduzione
di R C
Se la lettura e l’identificazione di una società avviene sulla
base dell’evoluzione produttiva o tecnico–scientifica c’è
il rischio di ritenere superato il capitalismo per il rilievo
della creatività e della conoscenza. D’altra parte la complessità come paradigma interpretativo rischia di mettere
in secondo piano le determinanti storiche e sociologiche
dei processi e delle strutture sociali, così come parlare di lavoro creativo è stato un modo per nascondere la precarietà
e la carenza di lavoro.
Mettere al centro dell’attenzione il concetto di capitalismo, anche con tutte le sue varianti, significa rivolgere
l’attenzione agli attori sociali nei loro concreti rapporti
economici, di classe e guardare alle disuguaglianze e alle
opportunità. Né la società post–industriale, né i sistemi
complessi e differenziati hanno eliminato le strutture di
classe, gerarchiche e di potere o la dipendenza economica
e sociale.
Il libro cerca di dimostrare queste affermazioni, a partire da dati statistici e indagini empiriche messe a confronto
con alcune affermazioni teoriche.
Diciamo subito quello che questo libro non è: un saggio
teorico di sociologia. È il tentativo di unificare riflessioni
frutto di diverse ricerche svolte sui ceti sociali e il lavoro
(in termini di qualità, precarietà, o mancanza dello stes

Introduzione
so) nel corso di molti anni, confrontandole con tematiche
ineludibili come le trasformazioni del capitalismo nel passaggio dalla società industriale a quella post industriale o
globale e il ruolo dei soggetti, che, hanno interessato il
dibattito sociologico negli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Il nodo della questione risiedeva nel fatto che quelle
ricerche sollevavano alcune perplessità, prendendo atto
dell’aumento della complessità e differenziazione dei sistemi sociali. Questi non erano più leggibili dentro il vecchio
paradigma economicistico, e chiamavano in causa altri e
più articolati schemi interpretativi dei comportamenti e
delle azioni sociali. Quello che si delineava però, era una
specie di attore “soft” in grado di poter scegliere questo
o quello, liberamente tra eccessi di possibilità simbolici e
materiali dati, di rendere reversibile le scelte effettuate, e
di possedere identità multiple. Senza interrogarsi sia con
quali risorse e vincoli, sia con quali limiti e possibilità concrete questi attori erano chiamati ad interagire. Perché era
proprio quell’interazione a costruire le loro biografie.
Non che la sociologia italiana, anche in quel periodo,
si fosse dimenticata della struttura socioeconomica, ma
prendeva atto che questa non era più in grado di spiegare
un gran numero di comportamenti soggettivi. In sostanza
il paradigma economicistico, fino agli anni Settanta egemone nelle teorie sociologiche e nella analisi della società
italiana, viene in parte messo in soffitta. In una società sempre più complessa e differenziata, anche i comportamenti
e le azioni non sono più ascrivibili dentro quel vecchio
paradigma. Che la società fosse divenuta più complessa
e differenziata non era in discussione, quel che invece si
rischiava era uno slittamento verso teorie che, come metteva in guardia uno dei maggiori pensatori della sociologia,
Robert Merton, spesso dimenticano di soffermarsi sui con-
Introduzione

testi all’interno dei quali quelle teorie sono maturate. Ciò
non vuole dire che non abbiano un loro fondamento, ma
si rischia di dimenticare, per esempio, ciò che in un convegno su “La società industriale metropolitana e i problemi
dell’area milanese” Rusconi ebbe a dire del concetto di
complessità:
Come si concilia la situazione di complessità con la permanenza di strutture di classe, di gerarchie sociali e di potere,
fondate sui diritti di proprietà e su altre risorse di influenza?
Non spenderò molte parole per ricordare che la società complessa rimane una classista, comunque la si voglia ridefinire
con criteri di collocazione dei gruppi sociali nella produzione
o con criteri che rimandano alla quotidiana impossibilità per
milioni di uomini e di donne di determinare liberamente la
propria esistenza, a causa della loro dipendenza economica e
sociale. (Rusconi )
La sociologia non aveva dimenticato anche in quel periodo fine anni Settanta, Ottanta e Novanta, le disuguaglianze di classe, e che il capitalismo mutava di “pelle” ma
non di “sostanza”. Per quanto ci riguarda non erano in
discussione i limiti delle teorie economicistiche di stampo
marxista, ma lo erano anche i limiti delle teorie individualistiche, di stampo weberiano, che esaltano l’attore sociale
senza prendere in esame le risorse e i vincoli che incontra
nella sua azione.
È in questa prospettiva generale che il libro si colloca.
Emergono in esso due aspetti. Il primo rilegge sinteticamente alcune “piste” del dibattito sociologico italiano
sviluppatosi tra gli anni Ottanta e Novanta, che furono le
basi di alcune ricerche (in parte datate, ma che ben evidenziano come si è andato trasformando lo scenario) svolte
con Paolo Calza Bini e Piera Rella, che riguardarono ca-

Introduzione
tegorie di soggetti che mettevano alla prova, più o meno
indirettamente quel dibattito. Il secondo aspetto attiene
invece al riscontro di come nell’ultimo periodo si assiste
ad una sempre più insistente riflessione sulle conseguenze
della globalizzazione sugli individui.
La saldatura di questi due aspetti si può rintracciare nel
fatto che le ricerche condotte ruotavano intorno a due assi
portanti: da un lato la trasformazione dei sistemi sociali e il
suo impatto sui soggetti e dall’altro la virata degli interessi
sociologici negli ultimi anni sulla condizione lavorativa
dei soggetti dentro la globalizzazione. Il tentativo che si
fa in questo libro è di andare dal generale al particolare:
comprendere le trasformazioni del capitalismo degli ultimi  anni, le specificità italiane della trasformazione da
società industriale a quella postindustriale in un ambito
sempre più globale, i cambiamenti della struttura di ceto e
di classe, i problemi di un mercato del lavoro in cui cresce
precarietà e disoccupazione e in cui peggiora la qualità del
lavoro.
In particolare, il primo capitolo si apre sull’analisi della
capacità del capitalismo di risorgere dalla crisi che l’aveva
colpito verso la fine degli anni Settanta. La grande trasformazione dalla società fordista a quella informazionale
con l’avvento della globalizzazione, è stata supportata dalla
rivoluzione tecnico–scientifica che ha permesso il superamento della società fordista. Questo mutamento di fondo
apre alle trasformazioni dei sistemi sociali alla loro complessificazione e differenziazione. È qui che si situa il dibattito sull’azione e l’identità, concetto che tende a sostituire
il tradizionale concetto di classe. A questa esplosione di
identità ha contribuito non poco, la rivoluzione culturale
del  e poi il femminismo, oltre all’economia informale
e all’irrompere delle comunicazioni di massa con il loro
Introduzione

corredo pubblicitario e conseguentemente consumistico.
Queste identità, sembrano alludere a soggetti che mettono
in atto comportamenti che incrinano schemi convenzionali. In questo quadro si colloca una ricerca che ha riguardato
il problema della diversità (Cavarra ). In concreto si
è analizzato come l’economia informale non era solo il
terreno dove finivano soggetti emarginati dal mercato del
lavoro, ma anche soggettività in grado di esprimere diversità culturali niente affatto deboli. Insomma l’informale
racchiudeva in sé intenzionalità soggettive che sceglievano
quel terreno per esprimere le loro differenze identitarie. In
altri termini l’economia informale era un crogiuolo dove
convivevano creatività e sfruttamento. Proprio quest’ultimo aspetto rimetteva al centro le discriminazioni di classe
anche nelle società differenziate e complesse.
Nel secondo capitolo l’attenzione è rivolta alle trasformazioni di fondo che hanno interessato la struttura socioeconomica italiana. Emblema del passaggio al post fordismo e alla società post industriale sono le piccole e medie
imprese industriali e terziarie e il cosiddetto capitalismo
immateriale, due aspetti del capitalismo italiano, che diventano protagonisti indiscussi degli anni Ottanta e Novanta
del dibattito scientifico ed anche in quello politico. Questa
prorompente entrata in scena della piccola e media impresa non si registra in tutto il territorio nazionale, ma si
concentra in gran parte nel Centro Nordest che diviene
un territorio a trazione economica e politica nazionale.
Nel terzo capitolo si approfondisce l’analisi delle piccole
e medie imprese e del capitalismo immateriale guardando
alle peculiarità del terziario e alla composizione e ampia
presenza di classi e ceti medi. L’enfasi è sui soggetti, in
particolare sui cosiddetti “ceti emergenti”, espressione con
cui si suole identificare coloro che svolgono un lavoro

Introduzione
creativo, auto–realizzante ricercando una individualizzazione del lavoro. Sono soggetti che in qualche modo sono
riconducibili a quelle identità che rompono gli schemi di
riferimento tradizionali, di cui si è detto nel primo capitolo, che tendono a manifestare un cambiamento culturale
quasi antropologico che investe non solo l’economia, ma
la politica. Se questi soggetti si collocano sui pioli medio
alti della scala sociale, nei gradini più in basso troviamo
un pullulare di soggetti precari, malpagati e con scarse
prospettive di salire la scala sociale.
Il terzo capitolo si chiude con una analisi sul campo
(Cavarra, Rella, Rossotti , ) sul declino dei ceti medi a Roma. La pubblicistica attuale pone l’accento su come
le famiglie di ceto medio siano in situazione di vulnerabilità. Da una ricerca che indaga la relazione tra giovani
e legalità, presso studenti romani dell’ultimo anno delle
scuole superiori, sono stati estratti ed elaborati i risultati
delle domande attinenti la condizione socio economica
delle famiglie. Pur essendo per lo più di ceto medio, tali
famiglie appaiono spesso in difficoltà economica e alcune,
con scarse risorse, rischiano di slittare inesorabilmente
verso l’impoverimento e l’emarginazione.
Il quarto capitolo è incentrato sul lavoro e le sue trasformazioni di lungo periodo, soprattutto sul lavoro che
manca, che produce disoccupazione e scoraggiamento, ed
è effetto e causa di disuguaglianze sociali crescenti. Il senso
di incertezza prodotto dal lavoro precario è ovviamente
aumentato dentro la più grave crisi del capitalismo globalizzato. Questa deriva mondiale si rivela radicata e persistente
anche in Italia e sta facendo pagare prezzi sociali altissimi
in particolare ai giovani, che peraltro si trovavano in difficoltà nel trovare lavoro anche  anni prima della crisi del
.
Introduzione

Il quinto capitolo si sofferma sull’analisi di alcuni elementi specifici utili ad una lettura della qualità del lavoro
in tempo di crisi. Abbiamo già sottolineato come uno dei
fili conduttori di questo libro è la condizione lavorativa dei
soggetti dentro la globalizzazione parlando del declino dei
ceti medi. Questo declino anche quantitativo fa da pendant
a uno qualitativo che emerge da diverse analisi e indagini,
tra cui quella dell’ISFOL sulla qualità del lavoro, che consentono di osservare, da una parte la cattiva allocazione
del capitale umano in Italia (non solo fra le eccellenze),
dall’altra la sedimentazione di relazioni controverse tra
vita lavorativa e vita privata, nonché gli effetti in termini di
insicurezza sia lavorativa, sia economica.
Il libro si conclude con una riflessione che cerca di contrapporre possibili vie di uscita alla diagnosi dei guasti
prodotti dal neoliberismo: rimanere a contemplare i mirabolanti effetti del libero mercato, che loda il perseguimento di interessi privati, la complessità e differenziazione
che produce, non ci ha fatto accorgere che si stava consumando la separazione tra cultura e politica da un lato
ed economia dall’altro, in cui le prime non orientano ed
organizzano più la seconda. L’effetto di questo capovolgimento è come una valanga che ci è piombata addosso:
essa sta sotto gli occhi di tutti e sulla pelle di molti. Se ne
può uscire solo con cambiamenti radicali che riconoscano
anzitutto gli errori fatti, ma non sarà facile né immediato.
Capitolo I
Il glorioso trentennio del capitalismo
e la crisi della società industriale
di R C
.. I prodromi della società postindustriale
Alla fine della seconda guerra mondiale, preso atto della
crisi del ’, il proposito era di conciliare: Stato, mercato
ed istituzioni democratiche, con l’intento di assicurare e
distribuire il benessere economico e permettere la partecipazione democratica dei cittadini. Nell’Europa occidentale,
lo Stato doveva anche farsi carico, agendo liberamente accanto ai meccanismi di mercato, della ricerca della piena
occupazione. In sostanza, «lo Stato diveniva un campo di
forza che assorbiva al proprio interno i rapporti di classe, e
le istituzioni della classe operaia, come i sindacati e i partiti
politici della sinistra, godevano di un’effettiva influenza
nei suoi apparati» (Harvey , p. ).
L’intervento attivo dello Stato nella politica industriale, soprattutto attraverso la creazione di vari sistemi di
welfare, dalla sanità all’istruzione, dall’assicurazione infortunistica alle pensioni, influì non poco nel definire i
livelli reddituali, le garanzie occupazionali, le prospettive
di carriera e nel migliorare i consumi e le condizioni di
vita di consistenti fasce sociali. Questa organizzazione


Il lavoro in crisi
economica–politica permise l’espansione dei ceti medi
che ridefinirono profondamente la stratificazione sociale
nelle società a capitalismo avanzato. Man mano che lo
Stato estendeva la sua presenza diretta nel settore economico e soprattutto sociale, la vita delle persone dipendeva sempre meno dal mercato e sempre più dai meccanismi redistributivi dello Stato. Non solo indirettamente,
usufruendo dei servizi che lo stato forniva (comprese
le tariffe energetiche), ma anche direttamente come dipendenti pubblici. In sostanza si viene a configurare una
società che con la commistione tra Stato, mercato ed
istituzioni democratiche, regolava, teneva e sorvegliava
le logiche “perverse” del mercato.
Oggi la situazione è a dir poco cambiata. Ma come
è stato possibile scardinare questa impalcatura producendo un vero e proprio sconquasso economico, politico e
culturale? Per individuare gli aspetti più rilevanti che hanno prodotto l’insorgere di questa situazione, vorremmo
richiamare alcune tendenze di fondo, rifiutando una visione deterministica della tecnologia nel plasmare la società.
Come giustamente fa rilevare Castells la società adopera
il progresso tecnico scientifico ma non è da questo modellata, tuttavia, è indubbio che l’innovazione tecnologica
condensa il livello a cui è giunta una società (Castells ).
D’altra parte, come suggerisce Marx, una società non
si pone mai dei problemi se non ha già al suo interno gli
elementi per risolverli (Marx ).
In questo quadro, appare alquanto difficile sottrarsi
all’idea che l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sia stata stimolata, se
pure in maniera non strettamente collegata e deterministica, dalla grave crisi di accumulazione che investì il
sistema capitalistico negli anni Settanta. L’evoluzione
. Il trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale

tecnologica fu infatti una risposta in grado di ripristinare
sia l’egemonia di un élite economica dominante in crisi di
legittimazione, erosa dalle lotte operaie e giovanili, sia le
condizioni di una nuova accumulazione capitalistica . In
sostanza nei momenti difficili, il capitalismo sembra tirare
fuori il coniglio dal cilindro!
Limitandoci agli elementi essenziali che hanno concorso a destabilizzare il modello economico–sociale dei
paesi capitalistici avanzati, che hanno permesso per un
trentennio tassi di sviluppo elevati, un benessere generalizzato ed una stabilità politica, mai raggiunti in precedenza, va ricordato come già alla fine degli anni Sessanta
lo Stato sociale, erroneamente definito keynesiano , mostrava rilevanti crepe. Alla base di questa crisi vi è un
aspetto positivo e due negativi: quello positivo è il rilevante sforzo per sostenere l’industrializzazione, in tali
anni si assiste infatti ad un ampliamento generalizzato
della presenza dello Stato nell’economia, emblematicamente rappresentato dalla realizzazione della nazionalizzazione dell’energia elettrica e da un rafforzamento ed
espansione dell’industria pubblica in settori produttivi
di base fondamentaliper lo sviluppo economico italiano,
quali la siderurgia, la chimica, le materie energetiche.
Mentre i due aspetti negativi sono uno di ordine micro e
. Si veda in proposito Harvey  e , Castells , Arrighi .
. Keynes in realtà non aveva mai pensato ad un intervento dello
Stato come duraturo nel tempo e soprattutto la spesa pubblica come
volano per accrescere il consenso politico e sostenere lo sviluppo economico capitalistico. Nella sua impalcatura teorica l’intervento dello Stato
era concepito più come aspetto congiunturale, in grado di favorire la
fuoriuscita dell’economia da una situazione di depressione come quella
verificatesi nel’. Insomma la visione keynesiana non considerava lo Stato come cardine strutturale economico–sociale del capitalismo, ma come
semplice strumento di intervento in fase depressive del ciclo economico.

Il lavoro in crisi
l’altro di ordine macro (Regini ). Il primo, riguarda
l’aumento del reddito, che avviene prevalentemente per
via politica, ma che sconta, in particolare in Italia e nel
settore industriale privato, un lungo periodo (dal  al
), di bassi salari e di profitti crescenti.
Il secondo fenomeno che contribuì alla crisi dello Stato sociale fu la spesa sociale che divenne fuori controllo.
Semplificando e senza volere ripercorrere la storia delle trasformazioni economiche politiche e sociali dell’Italia post
bellica, è interessante qui richiamare due aspetti di fondo
che danno conto, in parte di questi due fenomeni che hanno
concorso alla crisi dello stato sociale italiano e all’accumulazione capitalistica. Per quanto riguarda il primo fenomeno,
gli aumenti retributivi. Alla fine degli anni Sessanta si aprì,
dopo un lungo periodo di letargo, una conflittualità operaia
la cui posta in gioco riguardava sia gli aumenti salariali sia le
condizioni e quindi l’organizzazione del lavoro in fabbrica
e sia un riconoscimento politico e sociale. Alla base di tale
conflittualità vi sono due aspetti fondamentali: la riorganizzazione del lavoro nella grande impresa manifatturiera e i bassi
salari. Negli anni Sessanta, data la crescente concorrenza internazionale, si assiste nella grande impresa manifatturiera
all’introduzione, in sintonia con quanto già avvenuto in altri
paesi, della organizzazione del lavoro fordista, che con la
sua produzione di serie rappresentava il presupposto per
fondare la società consumistica di massa. Questa nuova organizzazione che richiedeva una forza lavoro con scarse, se
non nulle, capacità professionali, si fondava su una divisione
del lavoro tanto rigida quanto alienante, e permetteva uno
sventagliamento delle qualifiche che ampliava di molto la
discrezionalità della dirigenza nella collocazione degli operai
. In realtà negli USA il fordismo attecchisce molto prima.
. Il trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale

nella gerarchia organizzativa. A questa nuova organizzazione del lavoro si legavano retribuzioni salariali di gran lunga
inferiori rispetto alla produttività del lavoro. D’altra parte,
la spesa sociale per malattie, infortuni, disoccupazione,
vecchiaia, istruzione, serve a legittimare le democrazie
capitalistiche e a riprodurre ed accrescere il consenso politico (cfr. Habermas , Offe ). In tal modo la vita di
una moltitudine di persone viene sottratta alle dinamiche
del mercato per essere dipendente dalle scelte politiche.
In Italia si assiste, anche se in modo meno marcato che
in altri paesi, ad un rafforzamento delle politiche sociali
che comportavano un aumento di dipendenti pubblici anche oltre le necessità reali, per così dire “tecniche”(Paci
). Ma l’Italia presenta una specificità rispetto agli altri
paesi: la presenza in Italia del più forte Partito Comunista occidentale. I partiti di governo, dinnanzi al rischio
di un rafforzamento del PCI, pensarono bene non solo
di adoperare la pubblica amministrazione, come camera di compensazione della disoccupazione, in particolare
meridionale, gonfiandola oltre le sue esigenze, ma incentivarono e protessero politicamente l’affermarsi di un ceto
medio costituito di gruppi e di corporazioni, premiandoli
con politiche che ne accrebbero la loro capacità reddituale.
In sostanza viene attuata una politica clientelare, che fonda
la forza elettorale dei partiti di governo, stabilendo un baluardo ad un’eventuale avanzata comunista. Si tornerà più
avanti nello specifico su questo ed altri aspetti della situazione italiana, qui basta sottolineare come la realtà italiana
alla fine degli anni Sessanta sia differenziata ed esprima
molteplici bisogni e interessi diversificati .
. La società italiana alla fine del “miracolo economico è molto più
complessa di quanto potesse apparire ad un’analisi superficiale. Al di là della

Il lavoro in crisi
Del resto queste tendenze di differenziazione, mano a
mano che le società industriali avanzate occidentali si sviluppano, accomunano vari Paesi dando vita ad interessi organizzati che si strutturano nel tessuto sociale divenendo
sempre più articolati e pressanti nel richiedere al sistema
politico una maggiore estensione dei propri benefici. Dal
momento che, il sistema politico basava il suo consenso
proprio sulle politiche di spesa pubblica, diventava difficile,
per quest’ultimo, ridurla soprattutto nel momento in cui
la situazione dei conti pubblici era in difficoltà. In sostanza
si veniva a profilare la “crisi fiscale dello stato” (O’Connor
). Le entrate non erano sufficienti a coprire le spese e
nello stesso tempo le spese attuate dal sistema politico non
facevano altro che alimentare l’inflazione.
I bassi salari e le condizioni di lavoro nelle grandi fabbriche innescarono, come si è detto, una conflittualità operaia che rivendicava aumenti salariali e diverse condizioni
di lavoro. Dinnanzi alle richieste di aumenti retributivi, che
interessarono anche altre categorie di lavoratori, la borghesia
industriale e commerciale pensò bene di scaricare l’aumento
dei costi sui prezzi alimentando l’inflazione.
Ad aggravare ulteriormente la situazione economica
contribuì non poco l’aumento del costo delle materie prime ed in particolare del petrolio. Nel  i paesi arabi,
produttori di petrolio, decisero di aumentarne il prezzo,
perdurante storica “questione meridionale”, tra stato e grande industria si
situava e persisteva una non trascurabile presenza di piccola e media impresa industriale, agricola, terziaria e di lavoratori autonomi, non presenti
in nessun altro paese industrializzato. Come vedremo in seguito, questa
tradizionale presenza di ceti medi, con il tempo ed in situazioni diverse
avrebbe svolto un ruolo non indifferente nella ridefinizione dell’articolazione dello sviluppo economico italiano, nella ristrutturazione sociale, nella
rappresentanza degli interessi e nei rapporti con la politica.
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