Origini e fenomenologia dell`esperienza estetica: concetti e metafore

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Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
Origini e fenomenologia dell’esperienza estetica: concetti e metafore per
un naturalismo non riduzionistico.
Luca Mori1
Sommario
§1. Origini dell’esperienza estetica e antropogenesi
§2. La singolare convergenza sulle metafore e il
senso dell’approccio transdisciplinare, a partire dal
caso dei neuroni-specchio
§3. Poesia, gesto motorio e interpretazione
§ 1. Origini dell’esperienza estetica e antropogenesi
Siamo alle prese con una ricerca transdisciplinare sull’origine della mente estetica e del
linguaggio. Ripensare le origini di Homo nel quadro più vasto delle possibilità emergenti in
rerum natura è un passo inevitabile per cercare «una comprensione naturale dell’esperienza
estetica» (Ugo Morelli, Complessità 4).
Ritengo che il discorso sulle origini dell’esperienza estetica sia ipso facto un discorso
sull’antropogenesi e, dal momento il riferimento alla nozione di origine sarà frequente, è il
caso di aprire una parentesi metodologica.
Guardare alle origini è una mossa filosoficamente importante, ma lo si può fare in tanti
modi, diversi nelle premesse e nelle implicazioni.
Nelle pagine iniziali della Politica (I, 2, 1252a24-25), Aristotele scrive: «se si studiassero
le cose svolgersi dall’origine (ex archês), anche qui come altrove se ne avrebbe una
visione quanto mai chiara».
E Nietzsche, in Umano troppo umano, scrive: «Nessuna natura fa salti. Anche quando
sembra che l’uomo continui a svilupparsi fortemente e a saltare da un opposto all’altro:
osservando più esattamente si ritroveranno tuttavia gli addentellati su cui il nuovo edificio si
sviluppa dal vecchio» (Umano troppo umano, II, Il viandante e la sua ombra, 198; trad.
it. S. Giametta, Adelphi, Milano).
Nel guardare alle origini, tuttavia, i filosofi si sono spesso riferiti a mere astrazioni, senza
tener conto della storia e quasi per uscirne: ne costituisce un esempio l’idea di un
1
[Mail: [email protected]] Nelle pagine che seguono, metto in ordine i miei due interventi durante il
Convegno Complessità 4, sul tema Nel segno degli altri. Propriamentealtrui, dedicato a Giorgio Prodi
(Trentino School of Management, Master of Art and Culture Management, 15-16 giugno 2007). Facendo
riferimento agli interventi degli altri relatori presenti, li cito indicando tra parentesi (Complessità 4).
1
Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
“contratto originario” alla base della giustizia politica. È accaduto spesso, insomma, che si
volesse trovare nell’origine un criterio normativo da cui dedurre ciò che sarebbe “secondo
natura”.
Qui intendo mostrare la fecondità di un approccio alternativo. Ripensare le origini di Homo
e della sua mente estetica nel quadro più vasto delle possibilità emergenti in rerum natura
richiede un approccio transdisciplinare che, se riesce ad evitare le derive riduzionistiche, ha
la salutare implicazione di impedire le astrazioni normative e generalizzanti a cui le singole
discipline sono state propense nel corso della loro storia.
Veniamo alle origini dell’esperienza e della mente estetica. Cosa significano queste
espressioni? Segnalano anzitutto che l’aisthesis – la relazione sensoriale circoscritta nel
presente che essa stessa sembra continuamente istituire – diventa esperienza, diventa un
che di “mentalmente” significativo. I “bordi” del presente si sfrangiano, ciò che è di volta
in volta “presentificato” nella stimolazione sensoriale echeggia o rinvia ad altro; l’oggetto
può diventare seméion, segno che rinvia ad altro, simbolo, sostituto, presenza di
un’assenza.
C’è una singolare incertezza a proposito dell’origine della poiesis simbolica artistica, in una
prospettiva paleo-antropologica: di un ciottolo risalente a 400.000 anni fa, in cui
s’intravedono un collo, le braccia e le gambe di una figura umana, non si può dire
s’esso sia stato prodotto da mano d’Homo o dall’azione di agenti naturali.2 Suggerisco che
potrebbero essere vere entrambe le opzioni: una varietà di Homo potrebbe aver enfatizzato
forme appena intraviste in quel ciottolo, e dunque quel seméion sarebbe “emerso” come
riconoscimento di una forma in un’altra forma (un corpo in un ciottolo), da parte di
Homo.
Qui possiamo sorvolare sul dibattito relativo a quel ciottolo, e concentrarci sul periodo del
Paleolitico superiore in cui diciamo che emerse Homo sapiens. Più precisamente, a partire
da 30.000 anni fa, e poi nel Maddaleniano a partire da 15.000 anni fa, le attestazioni
della poiesis simbolica artistica si moltiplicano, con una significativa diversificazione di
tecniche (pitture, graffiti, bassorilievi, sculture…).
Cosa accadde? In termini generali, vale la tesi dell’autoelevazione semantica, esposta
classicamente da Gerald Edelman:3 Homo sarebbe il protagonista di una delle autotrascendenze evolutive che hanno contrassegnato l’evoluzione dell’universo. Un’autotrascendenza evolutiva simile a quella per cui dall’organizzazione della materia non vivente
è emersa la materia vivente.
In effetti, l’aver dipinto un’immagine, l’aver intravisto e ricavato da un ciottolo i tratti di un
corpo umano, sono gesti che attestano un’auto-trascendimento evolutivo: lì dev’esserci stato
un animale per il quale qualcosa è diventato seméion, segno per altro, sostituto, rinvio,
presenza di un’assenza. Ma cosa accadde? Se Homo, davanti alla parete di una grotta,
nel silenzio, fosse stato totalmente centrato su se stesso, non avrebbe visto altro che la
parete; invece, ha visto e raffigurato altro.
Un minimo di “posizionalità eccentrica” dev’esserci stato. Introduco di proposito una nozione
cardine dell’antropologia filosofica di Helmuth Plessner (1892-1985),4 in quanto aiuta a
2
Lo fanno notare G. Biondi – O. Rickards, Il codice darwin. Nuove contese sull’evoluzione dell’uomo e
delle scimmie antropomorfe, Codice edizioni, Torino 2005.
3
G. Edelman, Sulla materia della mente, trad. it., Adelphi, Milano 1993, pp. 200 sgg.
4
Per alcune utili informazioni introduttive – anche sui testi tradotti in italiano – si veda il sito della
Helmuth Plessner Gesellschaft: http://www.helmuth-plessner.de/. La rilevanza di Plessner è stata
2
Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
comprendere come l’uomo si relazioni a sé stesso come altro, come “si relazioni tornando
su se stesso” (zurückbezügliches Selbst) diventando un “Sé” (Sich).5
La presence à soi comporta l’essere oltre sé stesso, duplice (un essere doppio e
intermedio, Doppel- und Zwischenwesen), debordante in quanto decentrato, sempre
mancante ed eccedente rispetto alla coincidenza del sé con sé.6
La posizionalità eccentrica potrebbe essere vista come una premessa “trascendentale” (una
condizione “a-priori”) dell’auto-elevazione semantica; oppure, i due processi possono
essere considerati “co-emergenti” ed “auto-intensificanti”.
L’Homo che dipinse ad Altamira o Lascaux, vi traspose immagini vedute altrove: le
immagini diventano sostituti di un’assenza, ma il fatto di dipingerle comporta qualcosa di
più rispetto al ricordarle. Metaforicamente, ci sono un’assenza e un “eccesso di presenza”
di ciò che è assente. Leroi-Gourhan ha scritto che gli utensili “trasudarono” dall’uomo.7 A
proposito dell’arte, già Hegel aveva scritto che «è […] un dirompersi in un’opera di
esistenza esterna e comune (ein Zerfallen in ein Werk von äußerlichem gemeinen
Dasein), nel soggetto che produce l’opera e in quello che la contempla e l’adora».8 Di
una «costrizione all’espressione» (Zwang zum Ausdruck) tratta anche Plessner, come pure
di un «doversi esprimere» (sich-aussprechen-müßen), di un «bisogno d’espressione»
(Ausdrück-bedürfnis), anche nei termini della «rappresentazione mimica» (mimiche
Darstellung).9
Volendo cercare una «comprensione naturale» di tutto ciò, diventano importanti – come
ancora Plessner suggerisce – le «domande sul come» (Wie-Fragen), a scapito delle
«domande sul perché» (Warum-Fragen).
sottolineata in più occasioni da Vittorio Gallese, a partire dalla ricerca sui neuroni-specchio (anche in
Complessità 4). Sulla questione torno nelle pagine seguenti. Sulla posizionalità eccentrica… QUALCUNO
dice bene che in Plessner è quasi una meta-categoria: non nel senso che serva a spiegare tutto, ma
nel senso che indica come dovrebbe essere una spiegazione, ovvero le domande che dovremmo porci.
5
Cfr. V. Rasini, Teorie della realtà organica. Helmuth Plessner e Viktor von Weizsäcker, Edizioni Grafiche
Sigem, Modena 2002, p. 105; M. Russo, La provincia dell’uomo. Studio su Helmuth Plessner e sul
problema dell’antropologia filosofica, La Città del Sole, Napoli 2000, p. 368; L. Mori, Spiegare,
comprendere, vedere “con altri occhi”, in A. Borsari – M. Russo, Helmuth Plessner. Corporeità, natura e
storia nell’antropologia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 193-201.
6
A questo proposito e per tutti i riferimenti che seguono, mi riferisco all’eccellente contributo di A.
Borsari, Mimica e antropologia dell’imitazione. Il problema della mimesis nella filosofia di Helmuth Plessner,
in A. Borsari – M. Russo, Helmuth Plessner. Corporeità, natura e storia nell’antropologia filosofica, cit.,
pp. 93-133. Il saggio di Borsari e tutti quelli della sezione II del libro, dedicata a Corporeità, espressione
e mimesis, nonché il contributo di M. Russo («Verkörperung». Considerazioni sul luogo dell’antropologia,
pp. 33-49) contengono un numero di spunti molto maggiore di quelli che accenneremo nelle pagine
seguenti.
7
Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola (1964), trad. it., Einaudi, Torino 1977.
8
§ 556 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, edizione del 1827 e del 1830 (2^ e
3^). Non compare nella prima edizione, di cui: G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio. Heidelberg 1817, trad. it. a cura di A. Tassi, Cappelli, Bologna 1985. Qui, nei §§ 456-464
si parla della religione dell’arte: l’idea è che il soggetto sia attraversato (mediazione come di un filtro)
dall’esprimersi di Dio. C’è l’idea di un travaglio della nascita. La prima edizione dell’Enciclopedia era più
breve: 477 §§ anziché 577.
9
Per tutte queste caratterizzazioni, si veda il citato A. Borsari, Mimica e antropologia dell’imitazione. Il
problema della mimesis nella filosofia di Helmuth Plessner.
3
Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
L’antropogenesi e la ricerca naturale sulle origini della mente estetica ci parlano di un
animale in cui la coincidenza con sé stesso viene meno: qualcosa manca, qualcosa
trabocca, qualcosa sostituisce. Plessner scrive che l’uomo «ha perduto la sicurezza non
fratturata (ungebrochene Sicherheit) della sua animalità». È interessante ricordare che
anche miticamente l’auto-elevazione semantica si accompagna ad una caduta, ad una
frattura dell’unità originaria: basti pensare al mito di Eden oppure a quello di Babele.10
Quello che si profila è dunque, per certi versi, un problema di integrazione.
Per l’Heinrich von Kleist del Teatro delle marionette, «nella misura in cui nel mondo
organico la riflessione (Reflexion) si fa più debole e oscura, la grazia (Grazie) vi
compare sempre più raggiante e imperiosa».11 Il problema dell’integrazione si accompagna a
quello della grazia. Gregory Bateson, richiamandosi ad Aldous Huxley e alla sua idea
secondo cui il problema fondamentale dell’umanità è quello della «ricerca della grazia»,
afferma che l’arte lo affronta giustappunto come il «difficile problema d’integrazione […]
delle diverse parti della mente», con i suoi molteplici livelli, di cui «un estremo è detto
“cosciente” e l’altro “inconscio”».12 Riguardo alla grazia, «Dio somiglia agli animali più che
all’uomo»,13 giacché Dio e gli animali – per l’idea che se ne può avere – sono “centrati
su se stessi”, e non hanno da risolvere un problema d’integrazione analogo a quello di
Homo.
Con l’auto-elevazione semantica, dunque, Homo perde la caratteristica d’essere autocentrato che contraddistingue gli animali: probabilmente, gli animali differiscono tra loro
quanto alla “centratura” della loro “posizione”, ma con Homo si supera una “soglia”, c’è
un salto nel livello di complessità. Il seméion ne è il segno.
§2. La singolare convergenza sulle metafore e il senso dell’approccio transdisciplinare, a
partire dal caso dei neuroni-specchio
La teoria dei neuroni-specchio, nell’esposizione che ne fa Vittorio Gallese (anche in
Complessità 4), permette dei significativi passi avanti nell’orizzonte problematico individuato
da Ugo Morelli, quello della «comprensione naturale dell’esperienza estetica».
La ricerca sulle origini della mente e dell’esperienza estetica è decisiva, ammesso che non
la si riconduca a domande come: “che cos’è l’arte?”, oppure “quali sono le funzioni
dell’arte?”. I rischi dell’essenzialismo e del funzionalismo sono stati evidenziati durante
Complessità 4 rispettivamente da Vittorio Gallese e da Telmo Pievani.
Ugo Morelli (Complessità 4) ha trattato di una «tensione verso ciò che non esiste», di
una «impossibilità di sospendere la ricerca del significato».
Di una impossibilità di non-esprimersi aveva trattato, come si è visto, Helmuth Plessner.
Si è fatto inoltre riferimento al trasudare dei sostituti, al tracimare e traboccare di segni e
simboli, al dirompere della mente estetica in opere esterne “di esistenza comune”. In
10
A questo proposito, mi permetto di rinviare a L. Mori, Auto-elevazione semantica e conflitto, in
Polemos (www.polemos.it), sezione Papers (aprile 2006).
11
H. von Kleist, Über das Marionettentheater, in Id., Sämtliche Werke, Hanser, München 1961, vol. 2,
pp. 338-345; trad. it. di L. Traverso, Il teatro delle marionette, Il Melangolo, Genova 1979, pp. 21-22.
12
G. Bateson, Stile, grazia e informazione nell’arte primitiva (1967), in Id., Verso un’ecologia della
mente (1972), trad. it., Adelphi, Milano 1976, 199312, pp. 160-188.
13
Ivi, p. 161.
4
Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
Plessner abbiamo trovato la possibilità di interpretare queste metafore riconducendole ad una
specie-specifica «posizionalità eccentrica», che ha a che fare con l’auto-elevazione
semantica di cui tratta Gerald Edelman e con le auto-trascendenze evolutive studiate
nell’orizzonte epistemologico della complessità (Plessner elabora la sua concezione
dell’uomo nel contesto di una teoria sui gradi dell’organico).
Ma di che cosa propriamente stiamo parlando, e in che senso tutto ciò attiene alla ricerca
di una «comprensione naturale dell’esperienza estetica»?
La ricerca sui neuroni-specchio ci dà un’indicazione decisiva per affrontare questa domanda
nel quadro di un naturalismo non riduzionistico, coerente con le premesse e le implicazioni
dell’orientamento epistemologico della complessità.
A questo proposito, inizio col segnalare una singolare convergenza. Nel trattare di
comprensione ed empatia, Helmuth Plessner e neuroscienziati come Vittorio Gallese
convergono sulla metafora della risonanza: di «aree di risonanza» (Resonanzflächen)
nell’uomo aveva trattato esplicitamente Plessner; e Gallese (Complessità 4) ha dichiarato
che nel gruppo degli scopritori dei neuroni-specchio, qualcuno ebbe l’idea di parlarne in
termini di “risonanza”.
Il punto è questo: neuroscienziati come Vittorio Gallese ci danno degli elementi per
elaborare la metafora della “risonanza”, trattandone in termini di “simulazione incarnata” o
di “reazioni somato-topicamente organizzate della corteccia cerebrale”.14
Non si deve pensare che questo “attraversamento” della metafora comporti la sua
rimozione o il suo superamento; anzi, la metafora ne esce vitalizzata. Non c’è un
superamento tout-court del livello metaforico, della metaforicità della metafora, ma una
significativa espansione della nostra possibilità di attraversarlo.
Ciò è provato dal fatto che Plessner non viene “ridotto” alla prospettiva dello scienziato,
ma gli dà piuttosto ulteriori elementi, che possono ispirare successive generalizzazioni
oppure orientare le strategie euristiche.
In questa discussione, è interessante considerare le continuità e le differenze con il
problema sollevato negli anni Venti del XX secolo da Jan Mukařovský, a proposito del
«processo motorio in poesia».15
Mukařovský si riferisce ad una conferenza tenuta dall’abate Henri Bremond a Parigi,
nell’ottobre 1925, sulla poesia pura (H. Bremond, La poésie pure, Paris 1926). Ne
evidenzia alcune implicazioni per il significato della comprensione del testo poetico: «Per
sentire l’azione della poesia non è necessario prendere conoscenza di un testo poetico per
intero, anche quando sia breve […]. La bellezza del verso non dipende da ciò che segue
[…]. Per la comprensione di un testo poetico non è neanche sempre necessario coglierne
14
Alcuni riferimenti: D. Freedberg – V. Gallese, Motion, emotion and empathy in esthetic experience, in
Trends in Cognitive Sciences, vol. 11, n. 5, 2007, pp. 197-203; V. Gallese, Embodied simulation: From
neurons to phenomenal experience, in Phenomenology and the Cognitive Sciences, Sprinter 2005, pp.
23-48; G. Rizzolatti – L. Fogassi – V. Gallese, Neurophysiological mechanisms underlying the
understanding and imitation of action, in Nature Reviews | Neuroscienze, vol. 2, sept. 2001, pp. 661670.
15
Jan Mukařovský, Il processo motorio in poesia, trad. it. in Aesthetica pre-print, 15, marzo 1987.
Nell’Introduzione di P. Montani (pp. 5-22) si argomenta la datazione del saggio tra il 1926 e il 1928.
J. Mukařovský (1891-1975) fu esponente di spicco del Circolo linguistico di Praga, membro fin dal
costituirsi del Circolo nel 1926 (dunque nell’anno in cui fu pubblicata la conferenza di Bremond a cui si
fa riferimento in questo saggio).
5
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il senso […]. Non sappiamo quale sia il senso di certi canti di Shakespeare e tuttavia la
loro bellezza rimane» (p.28). A volte, anzi, la poesia «ama la carenza di senso» (p.
28).
Decisiva, assieme al gesto semantico del poeta, è la musicalità che accompagna il gesto
motorio, la dimensione percettiva, sonora, ritmico, fonico-melodica.
Citando Bremond, «la musicalità resta pur sempre solo un mezzo con cui il poeta ci
comunica la sua “esperienza poetica” (expérience poétique)» (p. 30); e ancora: «Noi ci
abbandoniamo a queste fugaci vibrazioni […] non per provare il piacere che danno, ma
per ricevere il fluido misterioso che ci trasmettono: semplici conduttori (simples conducteurs
– termine elettrotecnico, annota J. M.) più o meno preziosi o sonori o, piuttosto,
conduttori che devono la loro stessa sonorità e il loro effimero splendore alla corrente che
li attraversa» (p. 30). Citando Bremond, Mukařovský annota il riferimento ai conduttori,
rilevandone il carattere metaforico e l’implicito rinvio ad un passaggio “fisico” di vibrazioni.
Questo diventa però il punto cruciale per comprendere come possa accadere l’incantesimo
(incantation) della poesia: «è come un contagio, una radiazione (contagion, ou
rayonnement), con cui accogliamo in primo luogo dal poeta non le idee e i sentimenti,
ma l’intero stato d’animo che lo ha reso poeta» (p. 30).
Cos’è dunque, si chiede Mukařovský, questa «corrente che usa per conduttori contenuto e
forme?». Bremond gli riconosce una qualche réalité, ma facendone qualcosa di «ineffabile
e inafferrabile» finisce per ridurla a un quid metafisico. Il che – osserva Mukařovský – non
può essere, poiché quella “trasmissione di vibrazioni” non è «inaccessibile alla percezione
dei sensi» (p. 31): ma «Bremond … non si accorge della possibilità di un’ulteriore analisi
scientifica del concetto di “corrente”, sebbene non lo neghi del tutto» (p. 31).
Ecco di cosa discutiamo quando trattiamo le implicazioni delle ricerche sui neuroni-specchio
per una «comprensione naturale dell’esperienza estetica»: siamo alle prese con un’«ulteriore
analisi scientifica» della metafora della “risonanza”. E di altre metafore, come vedremo in
seguito.
Il saggio di Mukařovský è dedicato precisamente a questo problema, e vuole evitare
«un’interpretazione di tipo metafisico che identifica nella sostanza l’arte e lo stato mistico»
(p. 31). Non è difficile riconoscere che la teoria dei neuroni-specchio può chiarire cos’era
in gioco nel confronto serrato di Mukařovský con Groos e altri, quando si trattava di
“partecipazione somatica” o di “imitazione interna” (la innere Nachahmung di Karl Groos).
Di seguito, evidenzio alcuni passaggi emblematici di autori citati da Mukařovský, o le sue
considerazioni sugli autori che prende in esame:
Jousse, Etudes de
«Sarebbe un errore supporre che i nostri stati affettivi o
psychologie linguistique. rappresentativi siano in sé e per sé inerti e che sia necessario
Le style oral rytmique
aggiungervi qualcosa perché diventino motori (moteurs). In altre
et mnémotechnique chez parole non esistono nella coscienza degli stati di semplice
constatazione; questi ultimi sono accompagnati da movimenti,
les Verbo-moteurs
gesti, e quindi da tendenze; non è necessario aggiungere nulla
a uno stato di coscienza perché diventi attivo; al contrario,
quando il movimento non accompagna in modo immediato
un’affezione o una rappresentazione ciò accade perché noi ne
ostacoliamo il prodursi, lo inibiamo»
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Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
Citazione di Nuel
riportata da Jousse
«Le rappresentazioni visive sono tutte motorie»
Janet, La tension
«Non potremo comprendere i pensieri elementari nella loro
relazione con gli oggetti, se non ci renderemo conto del fatto
che queste nozioni sono sorte da determinate attività […]. La
coscienza sarà un giorno compresa come una reazione
dell’intero organismo a percezioni determinate dalla sua propria
attività […]. L’attività e la tendenza all’attività sono contenute
in tutte le nozioni e la psicologia deve cominciare con un
esame di queste tendenze, considerandole non come l’effetto,
ma come il punto di partenza di tutte le idee e di tutte le
nozioni»
psychologique et ses
oscillations (Dumas,
Traité de psychologie I,
p. 920)
Mukařovský, p. 34
«Se pensiamo che accanto a personalità di filosofi e psicologi
della statura di Bergson, Janet, Paulhan, potremmo menzionare
anche tutti coloro che, come ha fatto in particolare Ribot,
Nota: trae da Bergson hanno fondato l’intera psicologia della percezione sulla tendenza
la metafora del
motoria […] non agiremo sventatamente se porremo alla base
“congelamento” di uno della nostra analisi la tesi secondo cui la sostanza di tutti i
slancio (movimento
fenomeni psichici è dinamica, motoria. Così, non incontreremo
interno) in un’opera
più ostacoli nell’individuare l’essenza propria della poesia in un
poetica esterna,
«movimento unidirezionale interno», «che si congela» (nel
percepibile ai sensi, che senso di Bergson) nell’opera poetica esterna e quindi si fa
induce di nuovo nella
percepibile ai sensi, e viene di nuovo indotto nella mente del
mente del lettore quel
lettore mediante tutte le componenti dell’opera stessa».
movimento interno
Mukařovský, p. 35:
spunti e riserve sulla
concezione di Karl
Groos (Der ästhetsche
Genuss, Berlin 1902)
Nota: Groos non si
accontenta di dare un
significato metaforico al
nesso “esperienza
estetica” – “imitazione
interna”
«Ci riferiamo in particolare a Karl Groos, cui si deve la nota
formula della “innere Nachahmung”. Groos ritiene il processo
motorio un importante (sebbene non l’unico) elemento dell’arte,
e giunge ad affermare: “Suppongo che o specifico talento
artistico implichi una forte disposizione motoria, e che con
questa anche quello venga meno”. Per Groos, tuttavia, tale
processo motorio è una semplice “imitazione interna” della
realtà esterna, imitazione passiva e senza alcuno statuto
autonomo: “Se do all’esperienza estetica quella definizione [cioè
“imitazione interna”], non voglio usarla soltanto con un
significato metaforico, ma presumo che in un’esperienza piena il
processo motorio agisca imitativamente” (Groos, p. 193). Non
c’è da stupirsi che Groos, così persuaso del carattere imitativo
del processo motorio nell’arte, abbia poi avvicinato l’arte al
gioco […]».
E qui Mukařovský precisa il punto di vista che intende
sostenere: «Il processo motorio nell’arte, invece, è guidato da
una propria legge; non è una serie sconnessa, ma una
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Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
corrente unificata. Un’altra differenza fondamentale tra Groos e
noi, è che Groos ritiene il processo motorio una “partecipazione
somatica”, mentre noi lo consideriamo come un processo
essenzialmente interno, sebbene si manifesti anche con
movimenti esterni».
Mukařovský, pp. 3536:
a proposito di Sievers,
conterraneo di Groos
«A quali conseguenze possano portare le concezioni di Groos,
ce lo mostra (indipendentemente da lui) il suo conterraneo
Sievers, quando deduce il carattere peculiare del processo
motorio di diversi poeti non da un’analisi complessiva delle loro
opere, ma dai movimenti corporei determinati (per es., il
movimento di una mano) evocati nel corso della ricezione
dell’opera poetica, e giudica questi movimenti come gli
equivalenti del processo motorio del poeta. Egli elimina così
completamente il carattere sottile e impalpabile del processo
motorio interno, mutandolo tutto in un grossolano meccanismo
esterno. Allo stesso modo, interpretando il processo motorio
nell’arte come un’imitazione passiva della realtà esterna, Groos
ha tralasciato del tutto il lato attivo che si manifesta in maniera
evidente nella creazione artistica, e in misura notevole anche
nella fruizione estetica; mettendo poi l’accento soltanto
sull’elemento corporeo dei processi motori, egli ha finito col
materializzare l’arte».
Disponiamo dunque di molti termini-metafora: risonanza, eccedenza, tracimazione,
“dirompere” (Zerfallen), “coazione all’espressione”, “congelamento e induzione di
movimento interno”, “imitazione interna”, “partecipazione somatica”.
Gli studi di Vittorio Gallese sui neuroni-specchio permettono di attraversare con una visione
perspicua il vasto scenario delle metafore riconducibili all’idea di risonanza: suggerisco che,
sempre in ricerca di una «comprensione naturale dell’esperienza estetica», dovremmo
chiederci se e come potremmo attraversare, in modo analogo, i territori delle altre metafore
che abbiamo introdotto a proposito di Homo, come quella del “tracimare o traboccare” e
le altre citate poco sopra.
Come ha evidenziato Ugo Morelli (Complessità 4), quando trattiamo di esperienza estetica
e di metafore relative all’antropogenesi, abbiamo comunque a che fare con un «oggetto
non saturabile»: studi come quelli sui neuroni-specchio arricchiscono la nostra conoscenza
delle condizioni necessarie all’esperienza estetica, ma non esauriscono quella delle
condizioni sufficienti.
È chiaro tuttavia che avanziamo nella direzione di una «comprensione naturale
dell’esperienza estetica», quando rileggiamo in chiave di neuroni-specchio antichi dibattiti
sull’“imitazione interna”, sul “processo motorio”, sulla “partecipazione somatica”, sul
“contagio” o sull’“irradiazione” di vibrazioni a partire da qualcosa di “sensorialmente
percepibile”.
8
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§ 3. Poesia, gesto motorio e interpretazione.
È significativo che il termine poesia rimandi al poiein, alla póiesis, ovvero al fare.
“Costruire navi”, “fare calzari”, “edificare templi”: in tutti questi casi i Greci ricorrevano al
verbo poiein. Poietés è il compositore; poietés nomon, in Platone, è il legislatore.
In poesia si sono originariamente espressi la religione, il mito e la storia; la magia e il
diritto, la cosmogonia e la filosofia: cosicché Esiodo poté scrivere in poesia una teogonia e
un trattato di agricoltura che è, al tempo stesso, un’opera di morale.16
Ancor prima di essere scritta, la poesia è gesto e cornice di gesti. È un gesto coesivo,
su più livelli: nel tentativo di «restaurare la trama del mondo» (Zanzotto, Complessità 4);
nello scaricare una tensione nell’«agito artistico» (Carla Weber, Complessità 4);
nell’articolare una memoria sociale, e così via.
Evitando di interrogarci sulle funzioni della poesia – i limiti della domanda ci
precluderebbero la possibilità di comprendere – troviamo anzitutto nel mito alcune indicazioni
per riflettere sulla tensione e sul gesto motorio che si accompagnano alla poesia, già alla
poesia orale, le cui vicende non sono meno significative di quelle della poesia scritta.
Consideriamo il caso di Orfeo:17 inventore dell’alfabeto e dei metri poetici, accompagna gli
Argonauti e, con la sua musica, dà il ritmo ai rematori; con la sua musica, inoltre, può
calmare le belve, e persino le pietre e gli alberi lo seguono incantati. Qui è miticamente
espressa la capacità della poesia di suscitare gesti e reazioni motorie “consonanti”,
attraverso la comunicazione del ritmo, ovvero, per così dire, attraverso effetti di risonanza.
Di questo è capace in modo esemplare Orfeo, che con la musica riesce anche a liberare
dall’Ade l’amata Euridice, finendo tuttavia col perderla, nell’impazienza di vederla.
In una versione del mito, Orfeo è figlio di Calliope, la musa a cui Esiodo si rivolge
attribuendole una singolare capacità d’incanto e di placare grandi contese (Teogonia, 80103). La poesia distoglie da lutti e dolori e, come in Omero (Odissea, I, 337) incanta
e placa. Alle «soavi parole» di Venere farà appello ancora Lucrezio, chiedendole di placare
Marte (De rerum natura, I, 38-40):
Hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto
circumfusa super, suavis ex ore loquellas
funde petens placidam Romanis, incluta, pacem.
Quando egli, o divina, riposa sul tuo corpo santo,
riversandoti su di lui effondi dalle labbra soavi parole
e chiedi, o gloriosa, una placida pace per i Romani.
(trad. it. L. Canali, Rizzoli, Milano 19964)
Dovremmo indagare la relazione tra l’incanto poetico, il gesto coesivo e capace di placare,
e l’immaginazione come «tensione verso ciò che non esiste» (Ugo Morelli, Complessità
4).
16
Cfr. Christopher Caudwell, Illusione e realtà (1937), trad. it., Einaudi, Torino 1950.
Mi riferisco e rinvio a G. Guidorizzi – M. Melotti (a cura di), Orfeo e le sue metamorfosi. Mito,
arte, poesia, Carocci, Roma 2005; le distinzioni a cui faccio riferimento derivano da J. B. Friedman,
Orpheus in the Middle Ages, Cambridge U. P., Cambridge (MA) 1970, e sono riprese in J. Hillman, Il
complesso di Orfeo: presenza (e assenza) di Orfeo nel mondo contemporaneo, nel citato GuidorizziMelotti (2005: 15-27).
17
9
Luca Mori (Propriamentealtrui, convegno Complessità 4, Trentino School of Management, 15-16/6/2007)
A proposito dell’immaginazione, è il caso di citare due brani di Giacomo Leopardi: «Il
poeta non imita la natura: ben è vero che la natura parla dentro di lui e per la sua
bocca […] il poeta non è imitatore se non di se stesso» (Zibaldone, 4373);
«Facilissima idea considerare e definir la poesia per arte imitativa, metterla colla pittura,
ecc. Il poeta immagina: l’immaginazione vede il mondo come non è, si fabbrica un mondo
che non è, finge, inventa, non imita, non imita (dico) di proposito suo: creatore,
inventore, non imitatore; ecco il carattere essenziale del poeta» (Zibaldone, 4358).18
A proposito del nesso tra parola poetica e vita, Hugo von Hofmannsthal osservava che
«non esiste una strada diretta che dalla poesia conduce nella vita, nessuna dalla vita nella
poesia. La parola come portatrice di un contenuto di vita e la sognante parola sorella che
può stare in una poesia si respingono reciprocamente e oscillano passandosi accanto
estranee come i due secchi di un pozzo».19
Ma «qual è l’esperienza che il poeta è così impaziente di comunicare?», si chiede Eliot.
E continua: «Ora che questa abbia preso forma di poesia può essere diventata così
diversa dall’esperienza originaria da essere quasi irriconoscibile. L’“esperienza” in questione
può essere il risultato di una fusione di sentimenti così numerosi e alla fine così oscuri
nelle loro origini che anche se c’è comunicazione di questi il poeta non sa quello che sta
comunicando; e quello che viene lì comunicato non esisteva prima che la poesia fosse
finita. La “comunicazione” non serve a spiegare la poesia» (T. S. Eliot, The Modern
Mind, in The Use of Poetry and the Use of Criticism, 1933, Faber and Faber, London
1987, p. 138, trad. it. in N. Gardini, Breve storia della poesia occidentale, Paravia Bruno
Mondadori, Milano 2002). E Montale sosteneva che «un poeta comprensibile ha scarse
probabilità di sopravvivenza» (E. Montale, Variazioni, 1970).
Senza indulgere a riduzionismi, per una «comprensione naturale dell’esperienza estetica» e
più in generale del “mentale” in Homo, è risultato decisivo incalzare il senso della poiesis
artistica intesa come risonanza sensoriale-cognitiva-emotiva e come gesto coesivo.
L’ambiguità dell’umano si manifesta nel fatto che la poiesis artistica sembra placare e
sciogliere i conflitti come per incanto, e che tuttavia si presta alla ricorrente estetizzazione
della forza e della violenza, di Marte oltre che di Venere.
Per la comprensione dell’inquientante ambiguità di Homo, si dovranno studiare le
implicazioni etiche e politiche del discorso sulle origini della mente e dell’esperienza
estetica: il che può andare di pari passo con la ricerca sulle implicazioni etiche e politiche
di un’antropologia filosofica come quella di Helmuth Plessner, nell’aspirazione ad una
visione naturale e non riduzionistica dei modi d’essere emergenti in Homo.
Luca Mori, 15-19 giugno 2007
[email protected]
18
Si tenga presente la tesi di Aristotele nella Poetica: «Due sembrano essere, in generale, le cause che
hanno dato origine alla poesia; e tutte e due sono proprie della natura umana». Il riferimento è
all’imitare, come propensione particolarmente presente nell’uomo, e l’imitare con il linguaggio e in versi
(cfr. Aristotele, Poetica, 4, 1448b sgg.; trad. it. M. Valgimigli, in Opere, X, Retorica, Poetica, Laterza,
Roma-Bari 1988).
19
H. von Hoffmansthal, Narrazioni e poesie, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996.
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