Febbraio 2012 Numero

annuncio pubblicitario
37
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La voce dell’Associazione Amministratori Condominiali Immobiliari - Milano
NN
l’amministratore
INFORMAZIONI PRATICHE PER CONDOMINI E INQUILINI
Spediz. abbonamento postale70% - Milano
I giardini innevati della Cascina Guastalla
ANACI
Anno XXXVII - n. 2 - Febbraio 2012 - 3 Euro
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per informazioni e tutti gli altri dettagli sulle offerte
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Sommario
L’AMMINISTRATORE - ANNO 37°
FONDATO NEL 1975
di novità in novità
l’amministratore
anno xxxvii
n.  - febbraio 
Notiziario mensile Anaci Milano
a diffusione nazionale
Viale Sabotino, 22
20135 Milano
Tel. 02/58.32.21.22
Fax 02/58.32.21.00
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Sito internet:
www.anacimilano.it
DIRETTORE RESPONSABILE
Dario Guazzoni
COMITATO DI REDAZIONE
Eugenio Antonio Correale
Marina Figini
Cristoforo Moretti
PUBBLICITÀ E ABBONAMENTI
Anaci Milano
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STAMPA
Grafiche Casali
20089 Quinto dè Stampi
di Rozzano (Milano)
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AUTORIZZAZIONE
Tribunale di Milano
376 del 22/12/75
Associato all’Unione
Stampa Periodica Italiana
Copyright - Nessuna parte
del contenuto di questa rivista
può essere pubblicata senza
autorizzazione scritta dell’editore
DARIO GUAZZONI
pag.
anaci docet
pag.
il punto sulla riforma del condominio
MARINA FIGINI
il decoro architettonico
GIACOMO ROTA
questioni aperte in tema di videosorveglianza
EUGENIO ANTONIO CORREALE
sentenze
EUGENIO ANTONIO CORREALE
pag.
pag.
pag.
pag.
risparmio energetico e di certificazione energetica,
sintesi delle ultime novità
FAUSTO MOSCATELLI
pag.
la tracciabilità dei pagamenti
RAFFAELE CARATOZZOLO
imprese e condominio, dall’odierna congiuntura
alle evoluzioni probabili
pag.
SAVERIO FOSSATI
pag.
sesto san giovanni:
novità nel riscaldamento
pag.
le  delegazioni anaci in provincia
pag.
il caffè del genoeucc
PINUCCIO DEL MENICO
cedolare secca
ROMANO BIONDA
vademecum operativo per agevolazioni fiscali
RAFFAELE CARATOZZOLO
manovra “salva italia”:
tassa comunale sui rifiuti
e sui servizi comunali indivisibili
pag.
pag.
pag.
FRANCO GUAZZONE
pag.
le tabelle inps
pag.
le nostre tabelle
pag.
l’amministratore
3
editoriale
DI NOVITA’ IN NOVITA’
C
hi, irridendo alla vita di noi amministratori,
la considera piatta; una routine continua,
forse quasi monotona tra assemblee
riunioni di consiglio ed urla ai fornitori perché
scattino quando si rompe una tubazione, si intasa
una fogna o dal tetto piove all’ultimo piano quando
uno straluvio allaga mezza città, si sbaglia di grosso.
La riforma del Condominio in fieri da decenni ci
tiene con il fiato sospeso quasi certi che il peggio è
sempre lì lì dietro la porta.
E sarebbe tanto semplice: una commissione (tanto
nella nostra Patria le commissioni ad ogni livello
si sprecano ed i commissari sono pure retribuiti!!)
fatta da una quindicina di colleghi amministratori
di professione che quotidianamente vivono la vita
del condominio (commissione che si presterebbe
a titolo assolutamente gratuito) ed una bella
saggia costruttiva realistica riforma dell’istituto
condominio sarebbe pronta in men che non si dica.
Ma tanté: nelle aule ovattate di velluti rossi (di
pompeiana memoria) spesso si blatera molto;
ma la realtà quotidiana di chi vive spessissimo è
disattesa.
E nascono gli aborti che poi portano al litigio
(in condominio molto meno di quello che ci si
vorrebbe far credere), alla mancanza di rispetto
all’interno del palazzo.
Ma tantè! Non possiamo dormire.
La neve ci ha dato qualche preoccupazione, è
innegabile.
Ma la città grazie anche ai nostri portieri ed agli
addetti alle pulizie ha reagito bene, ha fatto si che
noi milanesi abbiamo potuto (ed anche in tutta la
nostra regione) stare bene al confronto di quello
che si è verificato in mezza Italia! come i mezzi
di informazione, specie i televisivi ci hanno fatto
vedere.
Ma le novità, pesanti alcune, sono dietro la porta.
La Regione ci obbligherà, a scaglioni entro
l’agosto 2014, alla posa sui termosifoni di valvole
termostatiche e contabilizzatori di calore.
L’argomento è stato trattato (ne diamo breve
cronaca in altra pagina) in un convegno a Sesto
San Giovanni in presenza di forse mille cittadini.
Ed il rappresentante della Regione (tiepido
esecutore e non assessore deliberante) è stato
pesantemente contestato.
Come si può obbligare chi ha seicento euro di
pensione a spenderne altrettanti (e forse più) per
mettere tali aggeggi: il cui risultato, la cui efficacia
è tutta da verificare, e che forse col tempo dovranno
essere sostituiti.
Ed ancora: Telenova sempre con priorità ai
problemi cittadini ci invita ad un dibattito ove due
gentilissimi funzionari dell’AMSA ci informano
che da metà febbraio il servizio raccolta rifiuti
in città cambierà: pur conservando un periodo di
transizione onde consentire di smaltire i vecchi
sacchi ed approvvigionarci dei nuovi.
Ci si prospetta l’invio di comunicati esplicativi che
pubblichiamo in altra pagina della rivista.
Ma non basta!
Dovrebbe essere nuovamente istituita la tassa
passo carrabile in auge sino ad alcuni (forse tanti!)
anni or sono.
Parrebbe che il Comune non abbia più in archivio
le misure dei passi carrabili e quindi chiederà al
cittadino (cioè a noi amministratori) di misurarli.
Per non parlare dell’area C.
Lo smog, nonostante la nevicata, pare non sia
calato.
Le polveri sottili ci intossicano (ma sarà vero?)
ed i nostri operatori che fanno le manutenzioni
all’interno della ben nota area, per entrarvi debbono
pagare.
Con il risultato che anche i costi della manutenzione
aumenteranno ed i cittadini – cioè noi – subiranno
un nuovo (piccolo o grande che sia) salasso.
Mentre le Banche, vergognose! sui conti correnti
del condominio ti gravano di spese (MAV – tenuta
conto – addebito bonifici – imposte ecc. ecc.) con
interessi da vergogna: che forse farebbero meglio
a non specificare.
Questo l’inizio del 2012: ma come dicevano i saggi
basta la salute!
E con ciò concordiamo.
l’amministratore
Dario Guazzoni
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Presidente: Guazzoni Dario
Vice Presidente Vicario: Moritz Carlo
Vice Presidente: Cerrini Carlo
Segretario: Quattrini Gaspari Luciana
Tesoriere: Pasi Paolo
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Vice Presidente:
Claudio Bianchini (MI)
Segretario:
Monica Rusconi (SO)
Tesoriere:
Francesca Salvetti (BS)
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oppure faxar
faxare allo 022 58322100
583221000
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una mail a:
o inviare
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milano@anaaciserviz .it
[email protected]
l’amministratore
Speciale
ANACIDAY
ANACI DOCET
Nel salone convegno del
l’Hotel Marriott affollato da
seicento persone, Giancarlo
Fasan con l’ausilio di Anaci
Lombardia ha dato vita alla
terza edizione di Anaci Day.
Inutile dirlo, successo indiscusso della manifestazione,
alla quale nella mattinata è
intervenuta l’avv. Lucia De
Cesaris Assessore all’urbanistica del Comune di Milano.
Tutti gli argomenti, dal
giuridico al fiscale, alla prospettiva di un buon funzionamento degli ascensori
nella prospettiva del risparmio energetico sono stati
trattati dai relatori, ognuno
esperto nel proprio settore di
competenza.
Nel pomeriggio, in chiusura, l’assegnazione di premi,
rappresentati da targhe, ai
colleghi della Lombardia ed
ai loro fornitori, che vivono
con gli amministratori il problema del pronto intervento
quando nell’immobile vi sia
urgenza.
Una targa è stata assegnata anche a Dario Guazzoni
che da anni dando vita
mensilmente alla rivista
L’AMMINISTRATORE tiene aggiornati i colleghi ed i
lettori sulle novità in materia
di condominio e locazione.
Gianfranco Fasan organizzatore della manifestazione, Agostino Lombardi Presidente Regionale Anaci,
Lucia De Cesaris Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia Privata, Dario Guazzoni Presidente Provinciale Anaci
l’amministratore
7
Speciale
ANACIDAY
IL PUNTO SULLA RIFORMA
DEL CONDOMINIO
Marina Figini
La riforma della normativa contenuta nel codice civile che disciplina l’istituto del “condominio negli
edifici” è attesa, nonché per molti aspetti auspicata, da diversi anni,
anni nei quali numerose, e provenienti da diverse fonti, sono state le
iniziative ed i progetti di una articolata riforma.
Nell’anno da poco terminato vi è
stato un primo e più concreto passo costituito dall’ approvazione da
parte del Senato in data 26 gennaio
2011 della proposta di legge risultante dal testo unificato dei disegni
di legge numeri 71, 355, 399, 1119
e 1283.
Da quella data si attende il pronunciamento dell’altro ramo del
Parlamento ossia della Camera,
avanti la quale è iniziato nel marzo
2011 il relativo procedimento.
La Commissione di Giustizia della
Camera ha tenuto sino ad oggi diverse sedute alle quali hanno partecipato esperti del diritto, docenti universitari, rappresentanti delle
varie associazioni di categorie tra
le quali ANACI: soggetti dai quali
sono pervenuti commenti e proposte di modifiche ed integrazioni.
Nel corso dell’ultima seduta, tenutasi il 12 gennaio 2012, è stata
espressamente auspicata una ripresa dell’impegno della Commissione
nel completamento del ciclo di audizioni e nella ricerca di soluzioni
8
in grado di raccogliere la più ampia condivisione: ciò allo scopo di
procedere in tempi ragionevolmente rapidi, tenuto conto della importanza del tema trattato e dell’impatto della disciplina del condominio
sulla vita quotidiana dei cittadini.
Sulla base di tali impegni, la riunione è stata aggiornata a nuova data.
L’unico documento che, sino ad
oggi, si può dunque ufficialmente considerare quale testo di possibile riforma è quello approvato dal
Senato un anno fa.
Di questo testo verranno qui menzionati e commentati, in modo essenziale e non esaustivo, alcuni dei
punti che risultano maggiormente
innovativi rispetto alla attuale disciplina.
Ribadita l’avvertenza che, come si
è detto, il testo potrà essere assoggettato a modifiche/integrazioni
nel corso dell’esame da parte della
Camera.
In primo luogo si evidenzia che non
vengono interessati dalla Riforma
in esame, e dunque non subiscono
modifiche restando il loro contenuto immutato, i seguenti articoli del
codice civile:
1121 (Innovazioni gravose o voluttuarie)
1123 (Ripartizione delle spese)
1125 (Manutenzione e ricostruzione
l’amministratore
delle scale)
1127 (Costruzione sopra l’ultimo
piano dell’edificio)
1128 (Perimento totale o parziale
dell’edificio), 1132 (Dissenso dei
condomini rispetto alle liti)
1139 (Rinvio alle norme sulla comunione)
ed i seguenti articoli delle disposizioni di attuazione del codice civile:
61 e 62 ( che disciplinano lo scioglimento del condominio) ,
65 ( che disciplina la nomina del
curatore speciale del condominio in
assenza di suo legale rappresentante),
72 ( che specifica a quali norme,
delle disposizioni di attuazione, il
regolamento di condominio non
può derogare.
Ciò premesso, ecco a titolo esemplificativo, come già detto, alcuni
aspetti fondamentali ed innovativi
della Riforma.
INNOVAZIONI (art. 1120 c.c.)
Anche nel testo riformato, così
come in quello previgente, il concetto di “innovazioni” non trova
una propria specifica definizione.
Restano immutate le finalità, ossia il miglioramento o l’uso più comodo o il maggior rendimento delle cose comuni, che le innovazioni
sono destinate a soddisfare.
Speciale
In ogni caso le “innovazioni “ disciplinate dall’art. 1120 in esame
sono fattispecie del tutto diverse
da quelle previste dall’art. 1117 ter
“Modificazioni delle destinazioni
d’uso e sostituzioni delle parti comuni” e da quelle oggetto dell’art.
1122 ter “Impianti non centralizzati
di ricezione radiotelevisiva”, fattispecie basate su presupposti affatto
diversi, e altrettanto diversamente
disciplinati per quanto riguarda le
maggioranze: è infatti prevista l’approvazione assunta con un numero
di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i
due terzi del valore dell’edificio.
Se il concetto di innovazione non è
interessato da novità, nuovi e diversi sono invece i quorum deliberativi
previsti dall’articolo in esame. Ed
infatti, dopo avere fatto genericamente salve le “diverse disposizioni di legge” viene stabilito all’art.
1120, 1° comma che le innovazioni sono deliberate con un numero
di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la
metà del valore dell’edificio (riferimento al novellato art. 1136, 2° e 4°
comma).
Si tratta dunque di un quorum deliberativo inferiore a quello indicato nel vigente testo dell’art. 1120
(maggioranza dei partecipanti al
condominio e due terzi del valore
dell’edificio).
L’art. 1120, 2° comma in esame stabilisce che sono approvate dall’assemblea a maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che
rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio determinate opere
che non vengono definite espressamente “innovazioni” e per le quali
è sufficiente il quorum deliberativo
appena visto, inferiore a quello indicato in via generale nel 1° comma.
Prima di passare all’esame di tali
opere, si evidenzia che l’art. 1120,
2° comma in esame richiama in primo luogo il rispetto, se del caso,
delle disposizioni di cui al secondo,
terzo e quarto comma dell’articolo 1117 ter.
Si tratta delle disposizioni che disciplinano la convocazione dell’assemblea e la redazione della delibera avente ad oggetto le
“Modificazioni d’uso o sostituzioni delle parti comuni”.
L’art. 1120, 2° comma in esame
precisa inoltre che le delibere di cui
qui si tratta devono essere assunte
nel rispetto della normativa di settore.
Le opere che, secondo l’art. 1120,
2° comma in esame, possono essere
approvate a maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che
rappresenta almeno un terzo del valore dell’edificio sono le seguenti:
- le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità
degli edifici e degli impianti.
L’articolo 1122 bis introdotto dalla
riforma in esame, dedicato alla disciplina degli interventi urgenti a
tutela della sicurezza negli edifici,
pone con estrema chiarezza il divieto di realizzare o mantenere sia
nelle parti comuni sia nelle unità
immobiliari di proprietà individuale impianti od opere che non rispettino la normativa sulla sicurezza
degli edifici.
Lo stesso art. 1122 bis precisa quali
sono i doveri dell’amministratore,
tra i quali vi è la convocazione della assemblea perchè assuma gli opportuni provvedimenti; fatto salvo
l’amministratore
ANACIDAY
il ricorso di chiunque vi abbia interesse al Tribunale per i provvedimenti, anche cautelari.
- le opere e gli interventi previsti
per eliminare le barriere architettoniche.
In conseguenza della disciplina introdotta dal nuovo art. 1120, 2°
comma, viene modificata anche
la Legge n. 13 del 9 gennaio 1989
(Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici
privati)
Ed infatti la Riforma stabilisce che
all’articolo 2, comma 1, Legge
13/1989, che indica le maggioranze
necessarie per le deliberazioni condominiali aventi ad oggetto le innovazioni dirette alla eliminazione
delle barriere architettoniche, le parole: «con le maggioranze previste
dall’articolo 1136, secondo e terzo
comma, del codice civile» sono sostituite dalle seguenti: con le maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice
civile.
Restano immutate tutte le altre disposizioni della medesima legge,
così come restano valide in ogni
caso le previsioni del codice in materia di innovazioni vietate.
Si ricorda che i quorum indicati nella Legge 13/89, testo vigente,
sono i seguenti: in prima convocazione la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell’edificio; in seconda convocazione un terzo dei partecipanti al
condominio e almeno un terzo del
valore dell’edificio.
Nulla precisando la riforma al riguardo, è da ritenersi che vada ancora fatto riferimento alla giurisprudenza attuale la quale da tempo
9
Speciale
ha chiarito che la installazione di
ascensore in un edificio che ne è
privo costituisce innovazione compresa tra quelle “dirette ad eliminare le barriere architettoniche”.
Così come pure andrà fatto riferimento alla giurisprudenza attuale, ancora contrastante, sulla applicabilità delle disposizioni di cui
alla legge 13/1989 nel caso in cui
nell’edificio non sia residente un
portatore di handicap.
- le opere e gli interventi previsti
per il contenimento del consumo
energetico degli edifici.
In conseguenza della nuova disciplina introdotta, viene modificata
anche la Legge n. 10 del 9 gennaio
1991 ( Norme per l’attuazione del
Piano energetico nazionale in materia di uso nazionale dell’energia,
di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia).
Ed infatti la Riforma dispone che
all’articolo 26, comma 2, Legge
10/91 le parole: «semplice delle
quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea» sono
sostituite dalle seguenti: «degli intervenuti, con un numero di voti che
rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”.
Avendo la riforma in esame modificato solo i quorum e non il resto della normativa che rimane pertanto immutata, con particolare
riferimento ai presupposti della realizzabilità degli interventi in questione, si precisa che il nuovo testo
dell’art. 26 comma 2°, Legge 10/91
sarà il seguente:
“ Per gli interventi sugli edifici e
sugli impianti volti al contenimento
del consumo energetico ed alla utilizzazione delle fonti di energia di
10
cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione
energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la
maggioranza degli intervenuti, con
un numero di voti che rappresenti
almeno un terzo del valore dell’edificio.” ossia con il criterio della
doppia maggioranza.
La riforma in esame dispone altresì che all’articolo 26, comma 5,
Legge 10/91 le parole: «l’assemblea di condominio decide a maggioranza, in deroga agli articoli
1120 e 1136 del codice civile» sono
sostituite dalle seguenti: «l’assemblea di condominio delibera con le
maggioranze previste dal secondo
comma dell’articolo 1120 del codice civile”.
Il nuovo testo dell’art. 26, comma
5, Legge 10/91 sarà pertanto il seguente:
“5. Per le innovazioni relative
all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del
calore e per il conseguente riparto
ANACIDAY
degli oneri di riscaldamento in base
al consumo effettivamente registrato l’assemblea di condominio delibera con le maggioranze previste
dal secondo comma dell’articolo
1120 del codice civile” (ossia con
la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo
del valore dell’edificio nel rispetto, se del caso, delle disposizioni di
cui al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 1117 ter).
- le opere e gli interventi previsti
per realizzare parcheggi destinati
a servizio delle unità immobiliari
dell’edificio
La norma in esame non precisa a
quali specifiche tipologie di opere
ed interventi si riferisca.
Dalla lettura complessiva della
proposta di legge pare potersi ritenere che: - si deve trattare di parcheggi destinati alle unità immobiliari che compongono l’edificio;
- si devono rispettare se del caso
(ossia se si è in presenza di modificazioni delle destinazioni d’uso e
di sostituzioni di parti comuni) le
L’Hotel Marriott teatro della terza edizione dell’Anaci Day
l’amministratore
Speciale
previsioni dell’art. 1117 ter, 2°, 3°
e 4° comma, norma che in questa
sua parte disciplina l’avviso di convocazione e le caratteristiche della
delibera assembleare avente ad oggetto le modificazioni e sostituzioni
di cui sopra; - dal momento che la
norma in esame fa salvo il “rispetto
della normativa di settore” risulterà applicabile, sussistendone i presupposti, la legge ” TOGNOLI” 24
marzo 1989 n. 122 che all’articolo
9 così dispone:
L’art. 9 comma 1 prevede che i
proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi,
ovvero nei locali a piano terreno,
parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai
Regolamenti edilizi vigenti.
Tali parcheggi possono essere destinati ad uso esclusivo dei residenti
anche in aree pertinenziali esterne.
A norma dell’art. 9 comma 5 i parcheggi realizzati ai sensi della legge
122/1989 art. 9 non possono essere
ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da
vincolo pertinenziale; i relativi atti
di cessione sono nulli.
Per gli edifici in condominio, e nel
caso in cui l’area interessata dalla
costruzione dei parcheggi sia condominiale, l’art. 9 comma 3 prevede i seguenti quorum deliberativi: ai sensi art. 1136, 2° comma c.c.
maggioranza intervenuti all’assemblea che rappresenti almeno la metà
del valore dell’edificio sia in prima
che in seconda convocazione.
Resta fermo quanto disposto dagli
articoli 1120, 2° comma (divieto
delle innovazioni vietate) e 1121,
3° comma (possibilità di partecipazione successiva da parte dei condomini che non hanno aderito).
- l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque
altro genere di flusso informativo,
anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze.
In conseguenza della nuova disciplina introdotta, risulta modificata
anche la Legge n. 66 del 20 marzo 2001 (conversione in legge del
D.L. 23 gennaio n. 5 (Disposizioni
urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali nonché per il risanamento di impianti
radiotelevisivi). La Riforma in esame dispone infatti che nell’art. 2
bis comma 13 (del D.L. 23 gennaio n. 5) le parole: «l’articolo 1136,
terzo comma, dello stesso codice» sono sostituite dalle seguenti:
«l’articolo 1120, secondo comma,
dello stesso codice».
ANACIDAY
contenuta nell’articolo 1117 ter, 1°
comma a norma del quale l’assemblea, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del
valore dell’edificio, può approvare
la sostituzione delle parti comuni,
ovvero la modificazione della loro
destinazione d’uso, se ne è cessata l’utilità ovvero è altrimenti realizzabile l’interesse comune, essendo in ogni caso vietato determinare
danno ai diritti dei singoli condomini in forza dei rispettivi titoli di proprietà.
Si tratta di attribuzione assembleare del tutto nuova, oltre che diversa
dalle fattispecie che configurano innovazioni ai sensi dell’art. 1120 c.c.
La riforma in esame prevede una
specifica attribuzione assembleare,
ulteriore rispetto a quelle elencate
già nell’art. 1135 c.c., costituita dalla possibilità di autorizzare l’amministratore a collaborare a progetti
territoriali promossi dalle istituzioni locali per migliorare la qualità
della vita e la sicurezza della zona
in cui il condominio è ubicato anche mediante la preventiva raccolta
di dati relativi ai bisogni e alle esigenze di lavoro di residenti e abitanti (art. 1135 ultimo comma).
Altra importante attribuzione viene riconosciuta all’assemblea dalla riforma in esame laddove, all’articolo 69 disposizioni di attuazione,
si prevede che l’assemblea possa,
con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo
del valore dell’edificio, deliberare
la revisione o la modifica dei valori
millesimali, anche nell’interesse di
un solo condomino, quando risulta
che i valori stessi sono conseguenza di un errore di calcolo materiale, oppure quando è alterato per più
di un quinto il valore proporzionale
dell’unità immobiliare anche di un
solo condomino a seguito di mutate
condizioni dell’edificio derivate da
sopraelevazione, incremento di superfici, modificazione delle destinazioni d’uso, incremento o diminuzione delle unità immobiliari (art.
69, 2° comma disp.att).
Oltre a tale esplicita ulteriore attribuzione, la riforma in esame attribuisce all’assemblea una importante nuova funzione deliberativa,
Altra competenza specifica viene attribuita all’assemblea in materia di prescrizioni ai condomini.
Ed infatti l’articolo 1122 ter, 2° e 3°
Assemblea: attribuzioni (art.
1135 c.c.)
l’amministratore
11
Speciale
comma prevede che, qualora per la
installazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque
altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo da
parte dei singoli condomini, si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l’interessato ne dà
comunicazione all’amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli
interventi. L’assemblea può prescrivere, con la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio, adeguate
modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o
del decoro architettonico dell’edificio. L’assemblea, con la medesima
maggioranza, può altresì subordinare l’esecuzione alla prestazione,
da parte dell’interessato, di idonea
garanzia per i danni eventuali.
L’assemblea mantiene la propria
competenza a deliberare il regolamento che deve essere approvato con la maggioranza (diversa da
quella attuale) costituita dalla maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio
(art.1138 ).
Ugualmente l’Assemblea mantiene
ai sensi dell’articolo 1129 la propria
competenza a nominare e a revocare in ogni tempo l’Amministratore;
lo stesso articolo 1129 riconosce
peraltro all’assemblea le seguenti ulteriori attribuzioni in materia:
a) può deliberare che l’Amministratore resti in carica per una durata superiore ai 2 anni previsti dalla
riforma (art. 1129); b) può espressamente dispensare l’Amministratore
12
dall’obbligo, introdotto dalla riforma, di agire contro i condomini
morosi entro 4 mesi dal momento
in cui il credito è divenuto esigibile.
L’assemblea resta altresì sempre
competente a deliberare le innovazioni nonchè le opere e gli interventi elencati nell’art. 1220 c.c. con
i diversificati quorum deliberativi
nel medesimo articolo specificato.
Altre norme oggetto della riforma
in esame richiamano la competenza
dell’assemblea a decidere, ad intervenire, ad essere destinataria di comunicazioni e/o richieste.
L’articolo 1122 (Opere su parti di
proprietà o uso individuale) prevede che per le opere su parti di
proprietà o uso individuale il condomino deve dare in ogni caso preventiva notizia all’Amministratore
che ne riferisce all’assemblea.
L’art. 1122 bis (Interventi urgenti
a tutela della sicurezza negli edifici) prevede che l’”Amministratore
convoca senza indugio l’assemblea
per gli opportuni provvedimenti”
qualora risulti la “situazione di pericolo” di cui al 1° comma: ossia
il mancato rispetto della normativa sulla sicurezza degli edifici negli impianti e/o opere esistenti sia
nelle parti comuni sia nelle proprietà individuali.
L’articolo 1129 (Nomina, revoca ed
obblighi dell’amministratore) prevede che l’Amministratore dichiara all’assemblea di avere assolto
agli oneri di cui all’art. 71 disp. att.
c.c. e rende le altre comunicazioni
specificate all’art. 1129, 1° c. medesimo.
L’articolo 69 disp.att.c.c. prevede che quando l’amministratore riceve la notifica della richiesta di
l’amministratore
ANACIDAY
revisione giudiziaria dei millesimi
è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.
La legittimazione passiva del
Condominio in persona dell’Amministratore, per il caso di azione
giudiziaria di revisione o modifica dei valori millesimali instaurata da uno o più condomini, costituisce importante novità della riforma
in esame, novità che, peraltro, segue la posizione della Cassazione
la quale (ordinanza n. 2568 del 2
febbraio 2009) ha ritenuto necessario rimettere alle Sezioni Unite
l’esame della materia al fine di dirimere il contrasto evidenziatosi
in diverse sentenze circa la legittimazione passiva dell’Amministratore in quanto rappresentante del
Condominio piuttosto che quella di
tutti i condomini in quanto proprietari.
ASSEMBLEA:
COSTITUZIONE E VALIDITA’
DELLE DELIBERAZIONI (art.
1136 c.c.)
I quorum costitutivi e deliberativi
disciplinati dall’art. 1136, subiscono notevole cambiamento; ed infatti, secondo la normativa in esame,
i quorum costitutivi e deliberativi
sono i seguenti.
Prima convocazione
Quorum costitutivo L’assemblea in
prima convocazione è regolarmente costituita con l’intervento di tanti
condomini che rappresentino i due
terzi del valore dell’intero edificio
e la maggioranza dei partecipanti
al condominio ( l’attuale art. 1136,
1° comma richiede per le “teste” i
due terzi dei partecipanti al condominio).
Speciale
Quorum deliberativo Sono valide le
deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio
(il quorum deliberativo rimane invariato rispetto all’attuale art. 1136, 2°
comma).
Seconda convocazione
Quorum costitutivo
Non è richiesto
Quorum deliberativo L’assemblea
in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello
della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima. La
deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore
dell’edificio (l’attuale art. 1136 prevede il terzo dei partecipanti, ferma
restando ala maggioranza degli intervenuti).
Vi sono poi le maggioranze specifiche richieste in ogni caso, sia che si
tratti di prima che di seconda convocazione.
E così per - la nomina e la revoca
dell’amministratore, - le liti attive e
passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, - le innovazioni previste dal primo comma
dell’articolo 1120 (ossia quelle dirette al miglioramento o all’uso più
comodo o al maggior rendimento delle cose comuni), - le innovazioni che hanno per oggetto la ricostruzione dell’edificio o interventi
straordinari di notevole valore, è richiesta la approvazione con la maggioranza degli intervenuti e almeno
la metà del valore dell’edificio.
Le deliberazioni aventi ad oggetto - la sostituzione delle parti comuni ovvero la modificazione della
loro destinazione d’uso (art. 1117ter) e quelle aventi ad oggetto - gli
impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva che rendano
necessarie modificazioni delle parti comuni (art. 1122 ter, 2° comma)
devono essere approvate dall’assemblea con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli
intervenuti ed almeno i due terzi del
valore dell’edificio.
Sono valide se approvate dall’assemblea a maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che
rappresenti almeno un terzo del
valore dell’edificio nel rispetto, se
del caso, delle disposizioni di cui
al secondo, terzo e quarto comma
dell’articolo 1117 ter, le deliberazioni che, nel rispetto della normativa vigente, hanno ad oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a
migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del
consumo energetico degli edifici e
per realizzare parcheggi destinati
a servizio delle unità immobiliari o
dell’edificio;
3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque
altro genere di flusso informativo,
anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze.
Analogamente a quanto già attualmente previsto nel codice l’art.
1136, 6° comma in esame stabilisce
che l’assemblea non può deliberare
l’amministratore
ANACIDAY
se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati.
L’espressione “aventi diritto” sostituisce quella (attuale) “i condomini”; ed infatti, non solo i condomini
(intendendosi per tali i partecipanti al condominio ossia i proprietari
delle unità immobiliari che costituiscono il condominio) hanno diritto di partecipare all’assemblea e di
esprimere il loro voto.
L’art. 1136, 7° comma in esame
precisa altresì che delle riunioni
dell’assemblea si redige processo
verbale da trascrivere nel registro
tenuto dall’Amministratore.
Il contenuto della disposizione è
identico a quello già contenuto nel
codice. Va però integrato tenendo
conto delle nuove disposizioni introdotte dalla riforma all’art. 1130
c.c. (attribuzioni dell’amministratore).
ASSEMBLEA:
IMPUGNAZIONE DELLE
DELIBERAZIONI (art. 1137
c.c.)
La prima novità introdotta dalla
norma in esame è costituita dalla
precisazione che non solo il condomino “dissenziente” è legittimato
ad impugnare la delibera assembleare (l’attuale art. 1137 menziona infatti solo il “dissenziente”) ma anche il condomino assente e, ciò che
più conta, il condomino astenuto.
L’equiparazione della posizione
dell’astenuto a quella del dissenziente e dell’assente è stata, del resto, sostenuta dalla più recente giurisprudenza della cassazione.
La seconda novità è costituita dalla indicazione data dalla norma in
13
ANACIDAY
Speciale
esame sulla tipologia processuale
dell’atto con il quale si possono impugnare le delibere.
L’art. 1137 precisa infatti che l’atto
con il quale si propone l’azione di
annullamento è un “atto di citazione” mentre l’attuale art. 1137 menziona il “ricorso” alla autorità giudiziaria.
Fino ad ora l’orientamento giurisprudenziale in materia si poteva riassumere in questo senso: solo alle
azioni di annullamento si considerava applicabile l’art. 1137 (ossia il
“ricorso” mentre per quelle di nullità si poteva usare sia il ricorso sia
la citazione).
Sono però recentemente intervenute le Sezioni Unite della Cassazione
le quali, con sentenza 14 aprile 2011 n. 8941, hanno statuito
che l’art. 1137 c.c. non disciplina
la forma delle impugnazioni delle delibere condominiali che vanno pertanto proposte con citazione,
in applicazione della regola di cui
all’art. 163 c.p.c.
Del resto con la medesima sentenza
le SS.UU. hanno precisato che una
domanda di annullamento proposta
con ricorso depositato, e non anche
notificato, nei trenta giorni stabiliti dall’art. 1137 è da ritenersi valida perchè l’adozione della forma
del ricorso non esclude l’idoneità al
raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale che
sorge con il deposito in cancelleria.
D’ora in poi, al contrario, specificando la riforma in esame che si
deve adire l’Autorità Giudiziaria
con atto di citazione, non si dovrà
più utilizzare la forma del “ricorso”
ma solo quella della “citazione”.
Quanto al termine temporale per la
proposizione della impugnazione
la norma in esame specifica che si
14
tratta di trenta giorni e di termine
perentorio, che dunque non può essere abbreviato o prorogato, nemmeno sull’accordo delle parti.
Resta fermo il principio per cui
la delibera è eseguibile da parte
dell’Amministratore fino a quando il Giudice non ne ordina la sospensione.
L’art. 1137 in esame conferma infatti che l’azione di annullamento
non sospende l’esecuzione della
deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
Viene altresì precisato che l’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa
di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione.
Milano - Duomo, l’interno
l’amministratore
Speciale
Da ultimo, si ricorda che la materia della impugnazione delle delibere assembleari sarà soggetta alla
obbligatorietà della mediazione finalizzata alla conciliazione di cui
al D.Lgs 4/3/2010 n. 28 se verrà
confermata la applicabilità della
normativa medesima alle controversie condominiali a partire dal
marzo 2012.
RISCOSSIONE DEI
CONTRIBUTI (art. 63 disp.
att. c.c., 1° comma)
Il 1° comma dell’articolo in esame
ribadisce in primo luogo la possibilità dell’Amministratore di ottenere dalla Autorità Giudiziaria
competente (Giudice di Pace, se il
credito ha valore non superiore a
5.000,00 euro, oppure Tribunale)
un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nonostante opposizione.
In secondo luogo la norma in esame precisa espressamente, ed ex
novo, che l’Amministratore può
chiedere l’emissione del citato decreto senza bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea: circostanza questa che, del resto, era già
stata confermata dalla giurisprudenza.
Le disposizioni appena viste vanno
coordinate con quelle di cui all’art.
1130 n. 3 a norma del quale l’Amministratore “deve” riscuotere i
contributi, e con quella contenuta all’art. 1129, 9° comma ai sensi
del quale, salvo espressa dispensa
da parte dell’assemblea, l’Amministratore “è tenuto” ad agire, anche ai sensi dell’art. 63 disp. att. 1°
comma, per la riscossione forzosa
delle somme dovute dagli obbligati entro 4 mesi dal momento in cui
il credito è divenuto esigibile.
Se non agisce tale termine l’Amministratore risponde dei danni a
lui imputabili per il ritardo.
Deve dunque concludersi che:
- è posto in capo all’Amministratore l’obbligo di agire nei confronti dei soggetti morosi, entro il termine di 4 mesi dal momento in cui
il credito diventa esigibile: ossia
dalle singole date in cui sono scaduti i termini di pagamento delle
rate risultanti dai riparti approvati
dall’assemblea;
- l’Amministratore non ha bisogno
della autorizzazione assembleare
per agire giudizialmente, mentre
ha bisogno della espressa dispensa da parte dell’assemblea in ogni
caso in cui si ritenesse opportuno e conveniente agli interessi del
Condominio rinviare l’azione giudiziaria ad un momento successivo al suindicato termine di 4 mesi.
Essendo la norma inderogabile,
dunque non essendo possibile la
sua modifica, nel senso di creare
una dispensa generale oppure prevedere criteri di valutazione e tempi di intervento diversi da quelli
indicati dalla legge, neppure con
la unanimità dei consensi di tutti
i partecipanti al condominio, sarà
onere dell’Amministratore, ogni
qualvolta lo riterrà opportuno, richiedere all’assemblea espressa
“dispensa” con riferimento al singolo specifico caso di morosità;
- l’azione giudiziaria che l’Amministratore può intraprendere può
essere di qualsiasi genere, quindi
anche una azione civile ordinaria,
oltre allo speciale procedimento di
ingiunzione (indicato nell’art. 63,
l’amministratore
ANACIDAY
disp. att. in esame) che, come già
detto, garantisce tempi decisamente più brevi nonchè l’ottenimento
di un titolo che si può immediatamente eseguire;
- modalità e tempi della riscossione di cui sopra non si riferiscono
solo ai contributi dovuti dai condomini in base agli stati di riparto
approvati dall’assemblea ma anche alle sanzioni irrogate a norma
dell’articolo 70;
- i soggetti contro i quali l’Amministratore può/deve agire sono “gli
obbligati” ossia tutti coloro che,
pur non essendo condomini ossia
partecipanti al condominio quali proprietari di unità immobiliari, sono comunque tenuti a rispondere direttamente nei confronti
del Condominio (es. usufruttuari e
conduttori, in solido con i proprietari, art. 67 disp. att.).
IL SUBENTRO NEI DIRITTI
DEL CONDOMINO (art. 63, 4°
e 5° comma disp. att. c.c.)
L’art. 63, 2° comma testo vigente stabilisce che chi subentra nei
diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al
pagamento dei contributi relativi
all’anno in corso e a quello precedente.
La giurisprudenza ha precisato che
deve intendersi anno di esercizio e
non anno solare.
Ugualmente la giurisprudenza è
intervenuta con varie pronunzie
in merito ai criteri di imputazione
delle diverse spese condominiali in capo ai soggetti che si succedono nella intestazione del diritto,
fornendo diversi orientamenti.
15
Speciale
Il 4° comma del testo riformato
mantiene immutata la disposizione
per la quale “chi subentra nei diritti di un condomino” ossia qualsiasi soggetto che, per qualsiasi titolo (atto tra vivi a titolo gratuito
od oneroso, atto mortis causa) subentra nella titolarietà dei diritti del condomino suo dante causa, “è obbligato solidalmente con
questo” con conseguente possibilità del Condominio di rivolgersi
indifferentemente sia al precedente condomino sia al condomino attuale, “al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a
quello precedente” intendendosi,
in mancanza di nuove precisazioni al riguardo, che si tratta dell’anno di esercizio condominiale e non
dell’anno solare.
Il 5° comma aggiunge una ulteriore ipotesi di responsabilità, prevedendo che chi cede diritti su unità
immobiliari, resta obbligato solidalmente con il suo cessionario/
avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’Amministratore copia
autentica del titolo che determina
il trasferimento del diritto.
Sembra dunque trattarsi di una responsabilità solidale tra il precedente condomino e quello attuale,
che va ad aggiungersi a quella prevista nel precedente 4° comma.
La lettura delle disposizioni in
esame fa infatti ritenere che il cedente/dante causa resta obbligato
in solido non solo per i contributi
maturati sino alla data del subentro/cessione/trasferimento, ma addirittura anche per quei contributi
successivi maturati fino al momento in cui viene trasmessa all’Amministratore copia autentica del
16
titolo che determina il trasferimento del diritto.
Nulla disponendo la normativa in
esame, è da ritenersi valido anche
in questo caso il principio della
“ambulatorietà passiva” , per cui il
cedente potrà rivalersi sul cessionario in caso di pagamento di somme a quest’ultimo spettanti.
Si ricorda a tale proposito, che
l’art. 1130 n. 6, secondo la proposta di legge in esame, prevede che
l’Amministratore deve:
“curare la tenuta del registro di
anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali
e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale
e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare nonchè ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza.
Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’Amministratore in forma scritta entro sessanta
giorni. L’Amministratore, in caso
di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta
del registro di anagrafe. Decorsi
trenta giorni, in caso di omessa
o incompleta risposta, l’Amministratore acquisisce le informazioni
necessarie, addebitandone il costo
ai responsabili.
Considerata la sussistenza della responsabilità solidale di cui al
5° comma in esame, sarà interesse
del condomino “uscente” comunicare tempestivamente all’Amministratore l’avvenuto trasferimento della proprietà.
l’amministratore
ANACIDAY
USUFRUTTUARI E
CONDUTTORI (art. 67, 6° e 7°
comma disp.att. c.c.)
A norma dell’art. 67, 3° e 4° comma, testo vigente, l’usufruttuario
esercita il diritto di voto negli affari
che attengono alla ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni;
spetta invece al proprietario il diritto di voto nelle delibere che riguardano innovazioni, ricostruzioni od
opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell’edificio.
L’istituto dell’usufrutto è regolato
nel codice civile agli articoli da 981
a 1020.
L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, traendone ogni utilità, con l’obbligo però di rispettarne
la destinazione economica.
La ripartizione del carico delle spese tra nudo proprietario ed usufruttuario è disciplinata dagli articoli
1004 e 1005 codice civile.
Contrariamente a quanto previsto
per i comproprietari, la giurisprudenza ha precisato che non esiste
solidarietà tra nudo proprietario ed
usufruttuario nei confronti del condominio (Cass. 28 agosto 2008 n.
21744).
La riforma contiene novità rilevante prevista per gli usufruttuari e, in
loro vece ove sussistono, i conduttori: la norma in esame prevede
che, salvo patto contrario, essi esercitano il diritto di voto nelle deliberazioni che attengono all’ordinaria amministrazione e al godimento
delle cose e dei servizi comuni.
E, ciò che più importa, la norma in
esame stabilisce che essi sono direttamente obbligati a concorrere
nelle relative spese in solido con i
proprietari.
Speciale
Nelle altre deliberazioni, il diritto
di voto spetta ai proprietari, salvi
i casi in cui l’usufruttuario intenda
avvalersi del diritto di cui all’articolo 1006 del codice (diritto di far
eseguire le riparazioni poste a carico del proprietario che si rifiuta
di eseguire o ne ritarda l’esecuzione, con diritto di rimborso alla fine
dell’usufrutto senza interesse) ovvero si tratti di lavori od opere ai
sensi degli articoli 985 e 986 del
codice (miglioramenti e addizioni,
per i quali l’usufruttuario ha diritto
a indennità).
In tutti questi casi l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia all’usufruttuario sia al nudo
proprietario.
Mentre l’ambito dell’esercizio del
diritto di voto da parte degli usufruttuari resta immutato rispetto al
codice attuale, la riforma in esame
aggiunge quali aventi diritto al medesimo voto i “conduttori” ove sussistano.
Non si trova più nella norma in esame la precisazione, già contenuta nel codice, che il proprietario ha
diritto di voto nelle delibere che riguardano innovazioni, ricostruzioni
o manutenzione straordinaria.
Del resto, avendo con chiarezza
precisato che gli usufruttuari ed i
conduttori hanno diritto di voto in
materia di ordinaria amministrazione e di godimento delle cose e dei
servizi comuni, e ferma restando
l’applicazione degli articoli 1004 e
1005 codice civile (nonchè dell’art.
ANACIDAY
1006 espressamente richiamato
dalla norma in esame) l’ambito di
competenza degli usufruttuari può
considerarsi sufficientemente individuato.
Per quanto riguarda i conduttori,
l’ambito di loro competenza è chiaramente espresso nella norma in
esame, che va coordinata con l’art.
10 Legge 392/1978 che stabilisce
a favore del conduttore il diritto di
voto in luogo del proprietario nelle delibere relative alle spese e alle
modalità di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento dell’aria.
Il conduttore ha poi anche il diritto
di intervenire, senza diritto di voto,
sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni.
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l’amministratore
17
Speciale
ANACIDAY
IL DECORO ARCHITETTONICO
Giacomo Rota
1. Introduzione e riferimenti normativi
Nella disciplina del codice civile sul condominio negli edifici vi è una “clausola generale”, in tema di
innovazioni vietate (art. 1120, comma 2, cod. civ.), in forza della quale sono illecite quelle trasformazioni
o addizioni di natura edilizia che, sebbene “dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior
rendimento delle cose comuni”, siano tuttavia suscettibili di alterare “il decoro architettonico” del
fabbricato.
L’art. 1120 del codice civile prende in considerazione l’aspetto del decoro architettonico come una
caratteristica essenziale dell’edificio condominiale, tanto da porlo allo stesso livello della sicurezza e
della stabilità dell’edificio stesso nel vietare le innovazioni che possono alterarlo.
Il legislatore, però, non precisa la nozione di decoro architettonico dell’edificio, limitandosi ad invocare
tale generale parametro di natura estetica come limite invalicabile alle opere eseguibili dai condomini
sui beni comuni.
Si pone quindi, in talune situazioni, una sorta di conflitto tra estetica del fabbricato e facoltà, pur
attribuita ai condomini dall’art. 1120 cod. civ., di innovare gli impianti e i servizi comuni, in modo
che gli stessi possano corrispondere all’attuale stato della tecnica e quindi rimanere “al passo” con lo
sviluppo culturale e scientifico del tempo.
L’articolo 1120 cod. civ. contempla un “valore” estetico che l’interpretazione teorica e pratica ha
sempre ricondotto nell’ambito del singolo edificio, isolatamente considerato, rientrante nel patrimonio
esclusivo dei proprietari delle unità immobiliari ricomprese in quell’edificio.
Tale disposizione esplicita un limite che trova, in realtà, applicazione ben oltre il tema delle innovazioni
in senso stretto. Non si dubita, infatti, che anche l’art. 1122 cod. civ., laddove vieta le opere sull’unità
immobiliare in proprietà esclusiva “che rechino danno alle parti comuni dell’edificio”, richiami
implicitamente il limite generale del decoro architettonico, quale valore intangibile proprio dell’intero
fabbricato.
Si ritiene, infatti, che il concetto di danno cui fa riferimento l’art. 1122 cod. civ. comprende anche il
danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa
comune, “anche se di ordine edonistico od estetico”.1
È pacifico che anche il mero uso del bene comune, comprendente ai sensi dell’art. 1102 cod. civ.
l’eventuale apporto di talune “modificazioni necessarie”, incontra il limite costituito dal decoro
architettonico. La prescrizione espressa, contenuta nell’art. 1102, che non deve essere alterata “la
destinazione” della cosa comune, dovrebbe infatti senz’altro implicare anche l’intangibilità dell’estetica
dell’edificio, come qualità peculiare che costituisce la risultante della conformazione di taluni beni
condominiali.
Il decoro architettonico è, quindi, deducibile dal sistema dei rapporti condominiali come limite operante
non solo per le deliberazioni assembleari volte ad introdurre innovazioni nei beni comuni ma anche per
le opere compiute dai singoli nelle porzioni in proprietà esclusiva e per il godimento particolare della
stessa cosa comune.
In altri casi il legislatore non ha richiamato specificamente i limiti stabiliti dall’art. 1120 cod. civ. e,
tuttavia, essi possono ritenersi senz’altro applicabili in sede di interpretazione sistematica a conferma,
quindi, del ruolo fondamentale che assume la clausola generale di intangibilità del decoro architettonico
nella disciplina della proprietà degli edifici in situazione di condominio, anche a fronte di trasformazioni
edilizie sollecitate da evidenti ragioni sociali.
Il legislatore, inoltre, pur non fornendo alcuna specificazione della nozione dell’estetica del fabbricato,
rimette però al regolamento di condominio la previsione di “norme per la tutela del decoro dell’edificio”
1 Cass. 27 aprile 1989 n. 1947 (in Arch. loc. cond., 1989, 463 e Giust. Civ., 1989, I, 2631, con nota di M. DE TILLA, Le
questioni (e gli equivoci) in tema di decoro ed aspetto architettonico dell’edificio condominiale con particolare riferimento
alla veranda costruita sulla terrazza comune.
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(art. 1138, comma 1, cod. civ.).
Prescrizioni a tutela dell’estetica del fabbricato possono infatti essere previste nei regolamenti c.d.
contrattuali in quanto manifestazioni dell’autonomia negoziale e come tali approvati con il consenso
unanime dei partecipanti, in sede assembleare o, più frequentemente, al momento dell’acquisto di
ciascuna unità immobiliare mediante l’esplicito richiamo alla disciplina predisposta dall’originario
proprietario dell’intero edificio.2
L’ultimo comma dell’art. 1138 cod. civ. contempla l’art. 1120 – e, quindi, anche il divieto, ivi stabilito,
di alterazione del decoro architettonico – tra le disposizioni che non possono essere derogate dal
regolamento di condominio.
La giurisprudenza consolidata della Suprema Corte di Cassazione argomenta, in particolare, dalla
formulazione in senso assoluto di tale intangibilità (“le norme del regolamento…in nessun caso possono
derogare alle disposizioni degli artt…”) per affermare che anche il regolamento c.d. contrattuale non
può modificare le disposizioni fondamentali richiamate dall’ultimo comma dell’art. 1138.
Un limite estetico peculiare è, infine, imposto dall’art. 1127 cod. civ. per le elevazioni di “nuovi piani o
nuove fabbriche” sulla copertura dell’edificio: i condomini possono, infatti, opporsi alla sopraelevazione
“se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio”.
Si tratta di un’altra “clausola generale”, che la giurisprudenza si è ingegnata a differenziare da quella
del decoro architettonico, così delineando per le sopraelevazioni un parametro estetico specifico rispetto
alla disciplina delle innovazioni (v. infra punto 3).
2. Definizione del decoro architettonico
Pur non essendo espressamente citato nell’art. 1117 cod. civ., il decoro architettonico è sicuramente uno
di quei beni comuni che interessa maggiormente il condominio, in quanto il suo difficile inquadramento
teorico rende problematica anche la riconoscibilità di una sua lesione e/o la legittimità di una modifica.
In assenza di una specificazione normativa, la definizione della clausola generale del decoro
architettonico, quale valore conformativo della proprietà degli edifici in situazione di condominio, si è
da tempo consolidata nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
Rimane ancora inalterata la direttiva nomofilattica secondo cui “il decoro architettonico di un edificio,
che in misura più o meno rilevante ed ampia sussiste per tutti gli edifici, e anche per quelli di carattere
popolare, risulta dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le
note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio stesso nel suo insieme, dal punto di
vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e dal punto di vista architettonico una
certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile. Esso è opera particolare di colui che ha
costruito l’edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta ultimata la costruzione costituisce
un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che concorre a determinare il valore sia
delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni”.3
Il decoro architettonico, quindi, non costituisce una qualità eventuale bensì un valore connaturale
all’esistenza stessa di un edificio come tale. Non si tratta di un valore assoluto, ma deve essere misurato
in relazione alle caratteristiche specifiche del singolo fabbricato, il quale possiede una propria ed unica
dignità estetica.
Ne consegue che il decoro architettonico è un bene non cedibile, non perché è un bene immateriale,
quanto perché intimamente unito alla struttura del fabbricato.
Si è poi, in particolare, argomentato che il termine decoro, “pur consistendo necessariamente in una
qualità positiva, è riscontrabile sia in un edificio privo di particolari pregi artistici (in tale ipotesi il
decoro è sinonimo di dignità, qualità non incompatibile, così come in una persona, con la modestia) che,
a maggior ragione, in un edificio ricco di siffatti pregi”. 4
Nel condominio il decoro architettonico costituisce poi una qualità coessenziale al contesto edilizio in
cui ciascuna unità immobiliare si inserisce.
2 In tali casi la giurisprudenza costante sottolinea anzi che la tutela del decoro architettonico può essere più intensa ed
incidere più severamente sui diritti dei singoli partecipanti.
3 Cass. 13 luglio 1965 n. 1472.
4 Cfr. la motivazione di Cass. 28 novembre 1987 n. 8861.
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La Suprema Corte di Cassazione5 ha difatti identificato l’alterazione del decoro architettonico non in tutte
le opere che producono un mutamento delle originarie linee architettoniche dell’edificio, ma in quelle che si
riflettono negativamente sul suo aspetto armonico.
Questo rilievo vale, tuttavia, per la sola esistenza del decoro: muta, infatti, da un edificio all’altro la rilevanza
che assume tale valore nell’assetto dei beni comuni a seconda del pregio estetico di ciascuno stabile; così come
l’intensità del valore architettonico varia in relazione dell’originalità delle soluzioni costruttive adottate, della
tipologia edilizia, dell’epoca storica cui risale la costruzione e, di conseguenza, più o meno incisiva è la tutela
della dignità architettonica a fronte delle iniziative manipolative dei singoli condomini o dell’assemblea.
Nel ricostruire il decoro proprio di ciascun edificio occorre pertanto individuare “le linee” dell’aspetto
esteriore ed i “motivi architettonici ed ornamentali” che si ripetono come “note uniformi dominanti” e che,
quindi, contrassegnano la “fisionomia, unitaria ed armonica” dell’intero fabbricato.
A tale fisionomia inerisce sempre una certa “dignità” estetica, che muta solo per grado o intensità. È necessario,
quindi, guardare il contesto unitario in cui sono comprese le singole porzioni immobiliari al fine di trovare le
caratteristiche di uniformità e di armonia dei prospetti dell’edificio.
La giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che ciascun prospetto del fabbricato, in ragione delle sue caratteristiche
di visibilità, può essere oggetto di autonoma considerazione, e che un’alterazione del decoro architettonico
può derivare anche da una modificazione interessante, in via immediata, solo “singoli elementi o singoli
punti del fabbricato”, ma suscettibile, tuttavia, di riflettersi negativamente sull’insieme dell’aspetto esteriore
dell’edificio.6
2.1. Il decoro architettonico come bene economico
La fisionomia architettonica di ciascun edificio una volta realizzata diviene parte integrante del fabbricato,
come qualità propria di esso: come tale, quindi, contribuisce a determinare il valore economico di tutte le unità
immobiliari comprese nell’edificio e dei beni in situazione di condominio.7
Il decoro architettonico rappresenta quindi un valore immateriale ma patrimonialmente rilevante, riguardante
unitariamente l’intero fabbricato in sé considerato, a prescindere dal contesto urbano ed ambientale in cui è
inserito.
L’art. 1120 cod. civ. invero tutela il diritto dei condomini a non vedere turbato lo stile o le linee architettoniche
o il decoro dell’edificio condominiale in cui è posta la rispettiva proprietà, e non l’interesse pubblico di
carattere urbanistico a vedere conservato il decoro degli edifici di una determinata zona.8
Col tempo nella giurisprudenza il risvolto strettamente “patrimoniale” del decoro architettonico ha assunto una
sua propria autonomia rispetto al suo referente estetico.
Il divieto sancito dall’art. 1120, comma 2, cod. civ., infatti, “non significa che qualsiasi opera la quale implichi
una modificazione del primitivo aspetto esteriore dello stabile debba considerarsi vietata a priori ed in senso
assoluto”, dovendosi piuttosto contemperare il criterio estetico con quello utilitario.9
L’estetica del fabbricato è un bene in senso giuridico, termine, quest’ultimo, che identifica qualsiasi entità
materiale o immateriale giuridicamente rilevante e giuridicamente tutelata.
In detta accezione, l’estetica del fabbricato è un bene che appartiene (è di proprietà) di tutti i condomini, un
bene suscettibile di valutazione economica, come ha avuto modo di affermare la Suprema Corte di Cassazione
con decisione n. 6640 del 31 luglio 1987, ivi precisando che l’aspetto esteriore dell’edificio concorre a
determinare il valore sia della proprietà individuale sia il valore della quota di proprietà collettiva.
Il nostro legislatore ha appunto ritenuto di dover vietare tutte quelle innovazioni che si sarebbero risolte in un
sensibile deprezzamento del valore del fabbricato e delle singole unità di proprietà esclusiva componenti il
5 Cass. 19 giugno 2009 n. 14455: “Ai fini della tutela prevista dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto
di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre poi che il fabbricato, il cui decoro architettonico
sia stato alterato dall’innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed
evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e
significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità”.
6 Cass. 29 luglio 1995 n. 838, nonché Cass. 3 settembre 1998 n. 8731.
7 Cass. 1472/65, Cass. 31 luglio 1987 n. 6640, in Arch. loc. cond., 1987, 641.
8 Cass. 25 gennaio 1999 n. 668
9 Cass. 26 luglio 1962 n. 2134.
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fabbricato stesso.
Della rilevanza economica e giuridica si è occupata la Suprema Corte di Cassazione,10 affermando il principio
secondo il quale il decoro architettonico degli edifici è tutelato dalla legge in considerazione della diminuzione
di valore che può subire l’edificio.
La medesima Corte precisa ulteriormente che devesi ritenere lecito il mutamento estetico che non cagioni un
pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un’utilità la quale compensi
l’alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità.11 Occorre, in altre parole, verificare se
una lieve alterazione del decoro architettonico sia compensata da un aumento di valore dell’intero edificio
determinato proprio dalla nuova opera.12
L’alterazione dell’estetica e dell’architettura di un edificio, laddove comporti una non insignificante perdita
di valore dell’edificio stesso, è perseguibile dai condomini sia che attenga a opere eseguite su parti comuni,
quanto nell’ipotesi riguardi lavori eseguiti su parti di proprietà esclusiva. Rileva, in ogni caso, anche l’aumento
di valore che lo stabile consegue a motivo dell’esecuzione di dette opere, posto che se a una perdita di valore
per danno estetico corrisponde un aumento di valore superiore alla perdita in virtù dell’impianto, servizio o
innovazione realizzata, l’equo contemperamento degli interessi conduce a una dichiarazione di legittimità
dell’intervento stesso.
L’aumento di valore correlato all’intervento innovativo, in ogni caso, non deve essere valutato con riferimento
alla singola unità abitativa bensì al fabbricato nel suo complesso, non potendosi giustificare lesioni del decoro
architettonico dell’intero stabile a fronte di un aumento di valore della singola proprietà immobiliare privata
che, ad esempio, si è dotata di impianti prima inesistenti.
Il profilo “patrimoniale” viene, quindi, espressamente considerato un connotato essenziale ed ulteriore rispetto
a quello strettamente “estetico” ai fini dell’integrazione della nozione di decoro architettonico. Tuttavia, tale
orientamento della Corte di Cassazione viene temperato dalla precisazione che nell’ipotesi di mutamento
estetico obiettivamente rilevante deve ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, con
conseguente esonero del giudice del merito dall’obbligo di un’espressa ed analitica motivazione su entrambi
i profili.13
Si giunge anche a configurare un danno economico presunto in ogni caso in cui la modifica non sia del tutto
trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, escludendosi la necessità di una espressa motivazione
sui riflessi economici “tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha
anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile” (Cass. 6 ottobre 1997 n. 9717).
Secondo quest’ultimo arresto, quindi, il risvolto patrimoniale rimane di regola assorbito in quello strettamente
estetico, salvo la prova, a carico dell’autore della modificazione, che sia stata apportata una utilità compensativa
della ferita inferta all’originaria fisionomia del fabbricato.
In dottrina si è sostenuto, in difformità dai richiamati orientamenti della Suprema Corte, che “il criterio estetico
non può essere identificato e confuso con quello utilitario, nel senso che, se non si riduce in un pregiudizio
economicamente valutabile, non dovrebbe essere decisivo”: tale tesi però sarebbe “troppo materialista” in
10 Cass 28 novembre 1987 n. 4474, secondo cui deve ritenersi “lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio
economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un’utilità la quale compensi l’alterazione architettonica
che non sia di grave e appariscente entità”.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione 27 ottobre 2003 n. 16098 viene successivamente a statuire che la lesione
del decoro architettonico può concretizzarsi non solo in una modifica sostanziale o rilevante delle linee o delle strutture
fondamentali dell’edificio, bensì anche in una modifica di singole parti o elementi dell’edificio stesso i quali siano dotati di
sostanziale autonomia.
Infine si veda Cass. 30 agosto 2004 n. 17398 che ha espresso l’ulteriore principio secondo il quale, anche in un fabbricato
caratterizzato da una linea armonica estremamente semplice, una volta accertata una modifica di natura estetica la quale
incida in modo sensibile su detta linea, in ipotesi detta modifica non abbia valenza ripristinatoria o migliorativa dell’originaria
fisionomia dovrà ritenersi l’intervento che ha provocato la modifica illegittimo, essendo al riguardo del tutto ininfluente
l’accertamento del risultato estetico della modifica, che dovrà quindi essere dichiarata non consentita anche se possa a taluno
apparire gradevole.
11 Cass. 15 maggio 1987 n. 4474, in Arch. loc. cond., 1987, 478.
12 Cass. 13 luglio 1965 n. 1472.
13 Cass. 4 aprile 1981 n. 1918; Cass. 15 aprile 2002 n. 5417; Cass. n. 12343/2003.
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quanto il decoro di un palazzo signorile dovrebbe essere salvaguardato come valore in sé e non per fini
speculativi.14
Per G. BRANCA occorre contemperare i due criteri, per cui “se l’innovazione, poco dispendiosa, accresce
grandemente l’utilità dell’edificio senza alterarne troppo crudamente il decoro architettonico, la maggioranza
può disporla: il pregiudizio estetico è scarso, il vantaggio è grande, dunque la collettività non ne soffre”.15
L’autore condivide l’indirizzo interpretativo alla stregua del quale la nuova opera può essere vietata solo se
turba l’unità di stile e di linea in maniera apprezzabile, traducendosi anche in un deprezzamento dell’edificio:
indirizzo che viene spiegato come reazione all’estrema rigidità del previgente art. 8 R.D.L. del 1934, che
vietava addirittura l’alterazione dell’“aspetto architettonico” e, quindi, secondo la lettera, qualsiasi mutamento
dell’originario assetto.
2.2. Ricostruzione dell’istituto del decoro architettonico
Le richiamate oscillazioni nelle pronunce della Suprema Corte e nella stessa dottrina, relativamente al rapporto
tra il connotato “patrimoniale” (o “utilitaristico”) e quello propriamente “estetico” della fisionomia esteriore di
un edificio, riflettono, a ben vedere, una non univoca ricezione della nozione stessa di decoro architettonico.
La dignità estetica del fabbricato consiste in una qualità, in un valore essenzialmente immateriale, benché
suscettibile di essere stimato senz’altro in termini patrimoniali.
Non esiste un vero danno “estetico” che non sia anche un pregiudizio patrimoniale, mentre la mancanza di un
impatto architettonico esclude automaticamente un deprezzamento economico dell’intero edificio.
Da tale nozione di decoro architettonico trae indubbio giovamento l’accertamento in sede giudiziale
dell’eventuale illecita alterazione in quanto, non solo non è più necessaria una distinta motivazione in ordine a
ciascuno dei due profili, estetico e patrimoniale, ma la verifica dell’uno può trovare sicuro indice dal riscontro
dell’altro.
Altro elemento di rilievo è il decorso del tempo, suscettibile di incrementare il valore architettonico
dell’edificio, dotando talvolta di pregio estetico costruzioni che pur erano apparse del tutto ordinarie agli
osservatori contemporanei.
Per contro, l’evolversi degli standard abitativi però rende tollerabile che gli edifici preesistenti si adeguino
all’evoluzione delle esigenze abitative anche a costo di subire talune modificazioni nell’originario assetto
del fabbricato: il diffondersi degli impianti tecnologici, destinati a rendere più sicura, confortevole e agiata
l’abitazione, implica infatti condizionamenti sempre più invadenti nella progettazione dei nuovi edifici ed
incide notevolmente anche sull’adeguamento di quelli preesistenti.
Oltretutto si pone la questione, ai fini della eventuale lesione del decoro architettonico, del rilievo dei precedenti
interventi edilizi che abbiano già fortemente influito sull’originario stato complessivo dell’immobile, nonché
il dubbio se possano venire in rilievo anche altri fattori, quali lo stato complessivo del fabbricato od il suo
eventuale apprezzamento/deprezzamento economico a seguito della realizzazione degli interventi oggetto di
volta in volta di censura.
A questo proposito, ad una giurisprudenza non isolata e più restrittiva16 se ne contrappone una più recente17 che
ha ripercorso l’intera materia e che ha sostenuto tra l’altro:
1) che il decoro architettonico, inteso quale estetica data dall’insieme delle linee e delle
strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio imprimendo allo stesso una
sua armoniosa fisionomia, va valutato, ai sensi dell’art. 1120, secondo coma, c.c., con riferimento
al fabbricato condominiale nella sua totalità (potendo comunque anche interessare singoli punti del
fabbricato purché l’immutazione di essi sia suscettibile di riflettersi sull’intero stabile) e non rispetto
14 A. VISCO, Le Case in condominio, trattato teorico-pratico, 1976, 279.
15 BRANCA (in Commentario Scialoja-Branca, Comunione-Condominio negli edifici, 1982, pag. 432).
16 Cass. 19 giugno 2009 n. 14455 secondo la quale “Ai fini della tutela prevista dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. in
materia di divieto di innovazione sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro
architettonico sia stato alterato dall’innovazione abbia un particolare pregio artistico né rileva che tale decoro sia stato già
gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in
modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria
specifica identità”.
17 Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286.
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all’impatto con l’ambiente circostante;
2) che l’alterazione del decoro deve essere apprezzabile, trattandosi di trovare una situazione di
equilibrio tra gli interessi contrapposti della comunità dei condomini e del singolo condomino che ha
agito nella sua proprietà esclusiva;
3) che l’apprezzabilità dell’alterazione del decoro architettonico deve tradursi in un pregiudizio
economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle singole porzioni in
esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al
momento in cui l’innovazione viene posta in essere;
4) che la mancanza di pregio dello stabile interessato dalle innovazioni non esclude di per sé che
possa sussistere un’alterazione apprezzabile del decoro architettonico.
Tale ultimo arresto giurisprudenziale, a conferma della prevalenza di una concezione “dinamica” del decoro
architettonico, cerca di contemperare gli opposti interessi della collettività condominiale da una parte e
del singolo condomino che ha realizzato l’intervento edilizio sulle parti comuni dall’altra, e attribuisce
rilevanza, al fine del giudizio di eventuale lesione del decoro architettonico, non solo all’attuale stato in cui
si trova la parte comune a seguito dell’eventuale stratificarsi nel tempo dei vari interventi edilizi che l’hanno
via via interessata, dovendosi dare rilievo unicamente allo stato estetico del fabbricato al momento in cui
l’innovazione viene posta in essere, ma anche all’eventuale pregiudizio economico scaturente dall’intervento
edilizio di volta in volta oggetto di censura ed al conseguente deprezzamento sia dell’intero fabbricato che
delle singole porzioni in esso comprese.
2.3. Interesse tutelato
Nell’analisi della disciplina delle innovazioni c.d. vietate (art. 1120, comma 2, cod. civ.) il limite inerente al
decoro architettonico è stato contrapposto a quello costituito dal diritto di uso del singolo condomino, in quanto
il primo attiene alla tutela della collettività condominiale mentre l’altro all’interesse del singolo partecipante.
In realtà la disciplina sulle innovazioni vietate ha una ratio uniforme, quella cioè di tutelare le singole unità
immobiliari: la distinzione sarebbe solo in ciò, che nell’alterazione del decoro architettonico il pregiudizio
riguarda tutte le porzioni immobiliari mentre la lesione del diritto di uso coinvolge solo talune di esse.
A sostegno di questa teoria c.d. atomistica si argomenta che, se fosse implicato un interesse collettivo,
ascrivibile alla compagine condominiale, sarebbe stato consentito all’assemblea di valutare la rispondenza
dell’innovazione al presunto interesse del gruppo, mentre lo scopo dell’art. 1120, comma 2, sembra essere, al
contrario, proprio quello di inibire ad una qualsiasi maggioranza di approvare determinate innovazioni.
I limiti alle innovazioni fissati dall’art. 1120 cod. civ. sono, poi, suscettibili di essere superati con il consenso di
tutti i partecipanti al condominio, nell’esplicazione della rispettiva autonomia negoziale, sempreché non siano
infrante norme di ordine pubblico (come sono, pacificamente, quelle inerenti alla stabilità ed alla sicurezza
dell’edificio).
Anche il regolamento contrattuale incontra, comunque, il limite invalicabile costituito dal divieto di alterare il
decoro architettonico, in virtù del combinato disposto degli artt. 1138, comma 4, e 1120, comma 2, cod. civ..18
L’assemblea quindi non può autorizzare un’opera lesiva del decoro architettonico dell’edificio né può a ciò
abilitarla il regolamento condominiale, attesa l’inderogabilità prevista dall’art. 1138, ultimo comma, cod. civ.
in relazione all’art. 1120 cod. civ..19
L’autorizzazione assembleare, laddove prevista, può quindi atteggiarsi come condizione bensì “necessaria” per
le iniziative modificatrici della facies dell’edificio ma non “sufficiente” ad escludere la successiva verifica,
in sede giurisdizionale, della compatibilità dell’opera in contestazione con il valore inderogabile del decoro
architettonico, così come eventualmente precisato ed integrato nella disciplina del regolamento di condominio.
In particolare, in dottrina, G. BRANCA riconosce che i condomini “unanimemente e caso per caso, possano
disporre innovazioni da cui sia alterato il decoro architettonico” così rinunciando “di volta in volta ai propri
diritti”.20
18 Cass. 26 maggio 1990 n. 4905.
19 Cass. 15 gennaio 1986 n. 175, in Riv. giur. edil., 1986, I, 324 e Arch. loc. cond., 1986, 256.
20 Commentario SCIALOJA-BRANCA, Comunione-Condominio negli edifici, 1982, pag. 438; in senso conforme F. GIRINO,
Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, VIII, 2, Il Condominio negli edifici, 1982, 374; Salis, Trattato di dir. civ. it.
diretto da Vassalli, V, 3, Il Condominio negli edifici, 1959, 141.
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Si ammette inoltre in giurisprudenza che un regolamento negoziale possa derogare e, in ogni caso, integrare
la disciplina legale sulle innovazioni, fornendo specifici parametri per la individuazione del decoro estetico
da salvaguardare.21
Per quanto concerne, tuttavia, la effettiva disponibilità del decoro estetico, può osservarsi che laddove l’edificio
presenti peculiare valore storico-artistico deve configurarsi una limitazione di ordine pubblico all’alterazione
della fisionomia estetica, in ragione dell’interferenza di profili di interesse generale, riconosciuti al livello
costituzionale come meritevoli di tutela da parte dell’intera “Repubblica” (art. 9, comma 2, Cost.).22
Sotto il profilo civilistico, quindi, non solo una deliberazione dell’assemblea ma anche una unanime e formale
manifestazione di volontà di tutti i partecipanti al condominio, volta ad apportare modifiche all’assetto
esteriore di un edificio vincolato senza il rispetto delle imposte procedure di abilitazione (D.Lgs. 29 ottobre
1999 n. 490, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), sarebbe
inficiata da nullità per illiceità dell’oggetto (art. 1418, comma 2, 1346 cod. civ.).
3. L’aspetto architettonico
21 Cass. 28 novembre 1987 n. 8861. La giurisprudenza si è, in effetti, orientata nel senso che le innovazioni vietate possano
essere approvate con il consenso unanime dei partecipanti al condominio, sia pure manifestato, a pena di nullità, in forma
scritta (Cass. 8 giugno 1966 n. 1507; Cass. 7 novembre 1978 n. 5086; Cass. 4 luglio 1981 n. 4364).
Si ammette, inoltre, la autonoma e persistente legittimazione ad agire di ciascun condomino, a tutela del decoro architettonico
dell’edificio, nonostante l’inerzia e persino contro la volontà espressa dagli organi del condominio (Cass. 10 dicembre 1979
n. 6397).
22 L’articolo 117 Cost. precisa inoltre che la tutela in senso proprio dei beni culturali è rimessa alla legislazione esclusiva
dello Stato, mentre la valorizzazione rientra nella potestà legislativa concorrente.
Milano durante l’ultima nevicata
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Una “clausola generale” analoga a quella prevista dall’art. 1120 cod. civ. è formulata in tema di sopraelevazioni
e si pone quale limite peculiare, quindi, rispetto a quello generale esplicitato in tema di innovazioni.
L’art. 1127 cod. civ., infatti, dopo aver previsto il diritto del proprietario esclusivo dell’ultimo piano o del
lastrico solare a “elevare nuovi piani o nuove fabbriche” (comma 1), stabilisce che gli altri condomini possono,
tuttavia, “opporsi alla sopraelevazione se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio” (comma 3).
In quest’ultimo caso, a differenza della tutela di cui all’articolo 1120 del codice civile che è disposta in favore
dei condomini dissenzienti a fronte di eventuale ipotetico esercizio arbitrario da parte della maggioranza,
l’articolo 1127 del codice civile tutela tutti i condomini nella loro totalità di fronte all’esercizio di un potere
insindacabile da parte del proprietario dell’ultimo piano.
Si tratta, tuttavia, di un valore immateriale che presenta taluni connotati del tutto assimilabili a quelli del
decoro architettonico: è una qualità di ogni pur modesto edificio, risultante dalla considerazione dell’intera
struttura in tutte le sue articolazioni ed incidente, altresì, sulla valutazione economica delle unità immobiliari
che vi sono comprese
La giurisprudenza più risalente23 non coglieva, invero, una sostanziale diversità tra i due concetti di decoro ed
aspetto architettonico, utilizzandoli quasi come una endiadi.
In un secondo momento la Cassazione24 si è ingegnata a valorizzare la diversità delle espressioni utilizzate,
rispettivamente, dagli artt. 1120 cod. civ. e 1127 cod. civ.
Si è così affermato che l’“aspetto”, nel senso di facies o caratteristica principale con la quale una cosa appare
a chi la osservi, “va inteso, se qualificato dall’aggettivo “architettonico”, come caratteristica insita nello
stile architettonico adottato” e che “l’adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della
parte preesistente dell’edificio, comporta normalmente un mutamento dell’aspetto architettonico complessivo
percepibile da qualsiasi osservatore”.
Da tale nozione viene distinta quella di “decoro architettonico”, da intendersi “come qualità positiva
dell’edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie”.
La diversa ricostruzione del limite di natura estetica viene, in particolare, giustificata con l’esigenza di
fronteggiare diversi tipi di modificazioni edilizie.
Essendo la sopraelevazione un’aggiunta quantitativa in senso verticale, l’accento viene posto sulla
conservazione dello stile complessivo dell’edificio.
Differentemente, l’innovazione è una trasformazione o addizione che può investire qualsiasi porzione,
anche di modesta consistenza, dell’edificio ed è suscettibile di incidere non tanto sullo stile quanto su altre
caratteristiche – come la simmetria o la proporzione tra le varie parti – integranti la fisionomia estetica dello
stabile.
Il concetto di “decoro” sembra, quindi, profilarsi come più ampio ed articolato, rispetto a quello di “aspetto”,
in considerazione della maggiore varietà di collocazione e consistenza che può assumere l’innovazione
rispetto alla sopraelevazione, con conseguente necessità di tener conto – per la prima ma non per la seconda
– anche delle caratteristiche secondarie dell’edificio.25
La dottrina ha sottolineato la maggiore rigidità del parametro costituito dall’“aspetto architettonico” rispetto
a quello previsto dall’art. 1120 cod. civ.: mentre, infatti, attraverso le innovazioni “il gruppo dei condomini
può anche mutare l’architettura purché ne sostituisca una altrettanto decorosa”, nella sopraelevazione “il
condomino, non potendo intervenire sull’intero fabbricato, non può mutare lo stile, costruendo per es. un piano
in gotico su un edificio di stile classico o neoclassico”.26
Più recentemente è stato, tuttavia, escluso che tra lesione del decoro architettonico ai sensi dell’art. 1120
cod. civ. e lesione dell’aspetto architettonico ai sensi dell’art. 1127 cod. civ. sussista una radicale diversità
ontologica.27
Ai fini della violazione del limite estetico alla sopraelevazione non sarebbe, poi, sufficiente la mera
compromissione della linea stilistica, in quanto dovrebbe essere accertato se ne sia derivata anche una concreta
23 Cass. 3 gennaio 1966 n. 9.
24 Cass. 28 novembre 1987 n. 8861.
25 La medesima distinzione concettuale è stata successivamente ripresa da Cass. 27 aprile 1989 n. 1947.
26 Cfr. G. BRANCA, op. cit., 520.
27 Cass. 19 ottobre 1998 n. 10334.
l’amministratore
25
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diminuzione del valore economico dell’edificio.28
In ordine all’aspetto architettonico, inoltre, può infine essere formulata la stessa ipotesi ricostruttiva avanzata
riguardo al decoro architettonico, quanto al nesso inscindibile che lega la componente estetica a quella
economica.
4. una fattispecie concretamente decisa in sede giudiziari:
Per esemplificare le rationes decidendi che possono essere considerate laddove si decida dei valori e degli
interessi in discorso, si propone la motivazione tratta da recente sentenza del Tribunale di Milano:
Esclusa l’operatività dell’art. 1120 c.c. per costituire i lavori posti in essere dalla xxxxxxxxxxxxx. un legittimo
uso della cosa comune, occorre a questo punto vedere se tali lavori abbiano o meno leso il decoro architettonico
dell’edificio condominiale di yyyyyyyyyyyyyyyyyy
Se si passa al merito delle conclusioni cui è giunto il c.t.u. circa la mancata lesione del decoro architettonico
da parte della convenuta yyyyyyyyyyyy nell’espletamento dei lavori sopra indicati, due sono le questioni
sostanzialmente da risolvere: la prima riguarda la nozione di decoro architettonico ed i parametri alla cui stregua
individuarne la avvenuta lesione a seguito degli interventi effettuati di volta in volta dai singoli condomini
sulle parti comuni dell’edificio condominiale, mentre la seconda attiene alla apparente contraddittorietà della
consulenza d’ufficio che ha concluso per il mancato accertamento delle doglianze prospettate da parte attrice
– nel senso della esclusione della lesione del decoro architettonico dello stabile di Via Della yyyyyyyyyyy
pur a seguito della conclusione dei lavori sopra indicati – salvo avere accertato la presenza di vari interventi
manutentivi sullo stabile di Via Della yyyyyyyyyyy succedutisi nel tempo che, a detta dello stesso c.t.u.,
avrebbero “concorso in tempi diversi e con modalità diverse, alla lesione del decoro architettonico” (vedi la
pagina 21 dell’elaborato peritale).
Con riguardo alla prima delle due questioni sopra riportate occorre capire se, ai fini della eventuale lesione del
decoro architettonico, possano venire in rilievo o meno precedenti interventi edilizi che abbiano già fortemente
influito sull’originario stato complessivo dell’immobile e/o se possano venire il rilievo anche altri fattori, quali
lo stato complessivo del fabbricato od il suo eventuale apprezzamento/deprezzamento economico a seguito
della realizzazione degli interventi oggetto di volta in volta di censura.
Alla giurisprudenza più restrittiva invocata da parte attrice (si veda la sentenza n. 14455 del 19 giugno del
2009 secondo la quale “Ai fini della tutela prevista dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di
divieto di innovazione sulle parti comuni del’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro
architettonico sia stato alterato dall’innovazione abbia un particolare pregio artistico né rileva che tale decoro
sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente
che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che
conferiscono al fabbricato una propria specifica identità” se ne contrappone una più recente menzionata dalla
difesa di parte convenuta (si veda la sentenza n. 1286 del 25 gennaio del 2010) che ha ripercorso l’intera
materia e che ha sostenuto tra l’altro:
1) che il decoro architettonico, inteso quale estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali
che costituiscono la nota dominante dell’edificio imprimendo allo stesso una sua armoniosa fisionomia,
va valutato, ai sensi dell’art. 1120, secondo coma, c.c., con riferimento al fabbricato condominiale nella
sua totalità (potendo comunque anche interessare singoli punti del fabbricato purché l’immutazione di
essi sia suscettibile di riflettersi sull’intero stabile) e non rispetto all’impatto con l’ambiente circostante;
2) che l’alterazione del decoro deve essere apprezzabile, trattandosi di trovare una situazione di equilibrio
tra gli interessi contrapposti della comunità dei condomini e del singolo condomino che ha agito nella
sua proprietà esclusiva;
3) che l’apprezzabilità dell’alterazione del decoro architettonico deve tradursi in un pregiudizio economico
che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese,
per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui
l’innovazione viene posta in essere;
4) che la mancanza di pregio dello stabile interessato dalle innovazioni non esclude di per sé che possa
sussistere un’alterazione apprezzabile del decoro architettonico.
Questo Giudice ritiene di aderire a tale ultimo arresto giurisprudenziale che cerca di contemperare gli opposti
interessi della collettività condominiale da una parte e del singolo condomino che ha realizzato l’intervento
28 Cass. n. 4804/78 cit..
26
l’amministratore
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edilizio sulle parti comuni dall’altra, e che attribuisce rilevanza, al fine del giudizio di eventuale lesione del
decoro architettonico, non solo all’attuale stato in cui si trova la parte comune a seguito dell’eventuale stratificarsi
nel tempo dei vari interventi edilizi che l’hanno via via interessata, dovendosi dare rilievo unicamente allo
stato estetico del fabbricato al momento in cui l’innovazione viene posta in essere, ma anche all’eventuale
pregiudizio economico scaturente dall’intervento edilizio di volta in volta oggetto di censura ed al conseguente
deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese.
Se si applicano i predetti principi al caso in esame, occorre sottolineare come la c.t.u. espletata in corso di causa,
dopo avere analiticamente descritto i lavori realizzati dalla convenuta yyyyyyyyyyyyyy. ed avere del pari dato
conto dei vari interventi stratificatisi nel tempo che hanno interessato in generale l’edificio del Condominio
attore (si vedano le pagine da 14 a 20 dell’elaborato peritale), ha concluso che, tenuto conto dell’attuale stato
delle facciate condominiali lato Via della yyyyyyyyyy ed in assenza di alcun pregiudizio di ordine economico
sia dell’intero fabbricato che delle singole porzioni in esso comprese, le opere realizzate dalla convenuta
yyyyyyyyyy., pur avendo comportato il disallineamento del filo inferiore delle finestre/vetrine che si affacciano
sulle due Vie Della yyyyyyyyyyyyyy e la sopravvenuta alterazione del ritmo delle linee, non hanno determinato
un’alterazione apprezzabile del complessivo decoro architettonico dello stabile condominale in esame.
Le conclusioni di cui sopra cui è pervenuto il c.t.u. chiariscono la seconda delle due questioni in precedenza
menzionate relativa alla apparente contraddittorietà della consulenza d’ufficio tra la parte motiva e conclusioni
definitive cui la medesima consulenza è giunta: la contraddittorietà si palesa soltanto apparente atteso che il
consulente del Giudice, dopo avere chiarito che le facciate del Condominio attore sono state interessate nel
tempo da svariati interventi edilizi posti in essere dai condomini che non hanno tenuto conto dell’assetto e dello
stile originario delle predette facciate e che sono stati realizzati in maniera non coerente e del tutto autonoma
l’uno dall’altro, ha concluso, sia pure come si è detto in presenza di un disallineamento del filo inferiore delle
finestre/vetrine che si affacciano sulle due Vie Della yyyyyyyyyyy, per la mancanza di un’apprezzabile lesione
del decoro architettonico dello stabile in esame quale conseguenza della realizzazione dei lavori da parte delle
società convenute.
In definitiva, nonostante il fatto che la c.t.u. espletata in corso di causa si sia inutilmente soffermata sulla
prolissa descrizione della reiterata attività conciliativa posta in essere dal perito del Giudice, nonostante il
fatto che manchi un verbale delle operazioni peritali, e nonostante infine la apparente contraddittorietà tra
quanto dichiarato dal perito a pagina 21 dell’elaborato peritale (“Tutti, dunque, compreso il Condominio, hanno
concorso in tempi diversi e con modalità diverse, alla lesione del decoro architettonico”) e quanto asserito
a pagina 20 (“Alla luce di tutto quanto sopradescritto e nella visione d’insieme dell’intero stabile, si ritiene
che i lavori svolti da yyyyyyyyyyy. non abbiano alterato o pregiudicato il decoro architettonico dell’edificio
condominiale, tenuto conto della situazione sopradescritta dell’intero complesso”), questo Giudice ritiene
che da un lato la predetta c.t.u. non possa essere ritenuta nulla stante la mancata prova ad opera della difesa di
parte attrice della lesione concreta del principio del contraddittorio e del principio di difesa costituzionalmente
garantiti derivante dalla complessiva condotta serbata dal consulente del Giudice nell’espletamento del suo
incarico, e dall’altra che pur avendo le opere realizzate dalla convenuta s.p.a. Borbonese interessato in maniera
rilevante entrambe le facciate comuni del Condominio attore e determinato un sostanziale disallineamento del
filo inferiore delle finestre/vetrine prospicienti le due Vie Della yyyyyyyy, il complessivo intervento oggetto di
causa non abbia leso il decoro architettonico nel significato più recentemente enucleato dalla Suprema Corte,
circostanza quest’ultima che conduce l’interprete a disattendere le domande azionate dal Condominio di Via
della yyyyyyy in Milano odierno attore.
Infine non va sottaciuto il fatto che la parte odierna attrice ha, unicamente con la comparsa conclusionale,
evidenziato a sostegno della tesi della illegittimità delle opere poste in essere dalle società convenute la
contrarietà delle predette opere al disposto dell’art. 5, lettere m) e p), del regolamento di condominio nella
parte in cui quest’ultimo ha vietato sia la modifica dei serramenti delle finestre contro il parere dell’assemblea
del condominio ed in assenza di uniformità di consistenza ed estetica, sia la realizzazione di qualunque opera
esterna che comunque modifichi l’architettura e l’estetica del fabbricato (per reperire il regolamento si veda
il doc. n. 8 del fascicolo di parte attrice): tale doglianza non può essere presa in considerazione da parte del
Giudice in quanto tardivamente sollevata dalla difesa di parte attrice con le memorie difensive di cui all’art.
190 del codice di rito civile.
Il mancato accoglimento della domanda di accertamento della illegittimità delle opere intraprese dalle società
convenute e di riduzione in pristino stato preclude il vaglio della domanda risarcitoria azionata da parte attrice.
l’amministratore
27
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5. considerazioni conclusive:
Il decoro architettonico è una qualità che attiene al modo di essere dell’intero edificio, unitariamente
considerato, ma che al contempo si traduce in termini patrimoniali nella sfera esclusiva di ciascun partecipante,
in quanto contribuisce alla formazione del valore commerciale delle singole porzioni immobiliari.
Tale qualità è di per sé un valore essenzialmente immateriale, che non si identifica con la conformazione
materiale di talune parti o di tutto l’edificio ma ne è piuttosto la risultante sotto il profilo estetico: perciò vi
può essere una modificazione edilizia che, tuttavia, in ragione del ridotto impatto visivo, non incide sul decoro
architettonico dell’intero stabile.
La natura necessariamente condominiale del decoro architettonico (sempreché, ovviamente, sussista una
situazione di condominio) giustifica l’inclusione della relativa disciplina nel contenuto tipico del regolamento
di condominio ai sensi dell’art. 1138, comma 1, cod. civ..
Ove manchi o sia incompleta tale regolamentazione, residua ex lege la clausola generale che impone comunque
il rispetto del decoro architettonico dell’edificio a fronte sia di innovazioni deliberate dall’assemblea sulle
parti comuni (art. 1120 cod. civ.) sia di uso individuale dei beni comuni (art. 1102 cod. civ.) sia di opere sulla
porzione in proprietà solitaria (art. 1122 cod. civ.).
Rispetto alle sopraelevazioni la clausola generale ex lege impone l’osservanza di una modalità del decoro
architettonico, qual è secondo la giurisprudenza l’aspetto architettonico (art. 1127 cod. civ.).
Il pregio estetico dell’edificio contribuisce al valore di ciascuna proprietà solitaria; ad un tempo costituisce,
tuttavia, un limite conformativo del contenuto del diritto di proprietà di ciascun condomino, riducendone ab
origine il potere di godimento per quanto concerne sia le cose comuni che quelle in titolarità esclusiva. Si tratta
di un limite che caratterizza in via generale il modo di essere del diritto di proprietà su porzioni immobiliari
ricomprese nel medesimo edificio.
In conclusione, da quanto esposto, emerge che il decoro architettonico è, quindi, suscettibile di accrescersi
oppure di affievolirsi nel tempo e si configura, comunque, come valore elastico caratterizzato da un ampio
margine di oscillazione, condizionato com’è da mutevoli variabili come quelle del costume sociale, della
distribuzione del reddito, dell’evoluzione tecnologica e dell’arte.
Università degli studi - Milano
28
l’amministratore
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QUESTIONI APERTE IN TEMA
DI VIDEOSORVEGLIANZA
Eugenio Antonio Correale
Il Dottor Fulvio Baldi, Magistrato del
Massimario della Suprema Corte di
Cassazione, ha saputo fornire ad un
tempo la sintetica indicazione di un
netto e comprensibile giuridico e l’esempio dell’inconsueta capacità divulgativa che traspare dalle seguenti righe:
“Puntare una telecamera sul cortile
condominiale non integra gli estremi del reato di cui all’art. 615-bis c.p.
Le parti comuni di un edificio (nella
specie: androne condominiale), su cui
sia stata diretta una telecamera privata da parte di un condomino, non costituiscono luogo riservato equiparabile al domicilio, sicchè chi abbia installato detta telecamera non risponde di interferenze illecite sulla vita privata anche se abbia agito per sorvegliare ingiustificatamente altri condomini. Ha seguito questo ragionamento la S.C., annullando la sentenza di
merito che aveva condannato un condomino il quale aveva collegato alla
propria televisione una telecamera diretta sul cortile e sull’androne del palazzo, entrambi parti comuni dell’edificio, allo scopo di verificare il passaggio di una donna e dei suoi familiari.
In ciò la sentenza, alla cui lettura si
rinvia, ha cominciato a fare sostanziale applicazione della pronuncia delle
Sezioni Unite (Cass. Pen., Sez. Unite,
28 marzo 2006, n. 26795, (dep. 28 luglio 2006) in C.E.D. Cass., n. 234270),
secondo la quale le riprese video di
comportamenti “non comunicativi”
non possono essere eseguite all’interno del “domicilio”, in quanto lesive dell’art. 14 Cost., sicchè ne è vietata l’acquisizione e l’utilizzazione in
quanto prova illecita. La presente decisione conferisce, pertanto, in negativo un senso concreto al concetto di domicilio ove riferito alle parti comuni
di un edificio condominiale, così finendo per dare un’interpretazione restrittiva dell’elemento oggettivo dell’ille-
cito di cui all’art. 615-bis, c.p.”
Le espressioni usate non sono mai forzate o meramente suggestive ed offrono chiari e precisi parametri, utili per
l’interprete.
Sempre dalla cultura dei nostri giudici, ma questa volta utilizzando una
sentenza e non un commento, possiamo trarre ulteriore viatico per talune
considerazioni in tema di videosorveglianza.
Con la sentenza del 29 novembre 2011
la seconda sezione del Tribunale penale di Bari ha affrontato il tema della
legittimità delle videoriprese effettuate non in luogo pubblico e comunque
diverso dall’altrui domicilio.
Il Tribunale aveva pressante ragione
per esaminare il problema, dovendo
stabilire se a talune videoriprese, offerte come materiale probatorio, dovesse applicarsi analogicamente la disciplina restrittiva delle intercettazioni.
La soluzione negativa ha preso le mosse ponendo in evidenza che nel caso di
specie le riprese non risultavano “relative ad atti comunicativi, per tali intendendosi quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero con la
parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a
manifestarlo”.
Il giudice ha proseguito rilevando che
le riprese, non riguardando comportamenti comunicativi, non costituivano
forma di captazione di messaggi tra
presenti ed erano state eseguite in uno
spazio:
-condominiale;
-tuttavia destinato in via esclusiva, al
posteggio dell’autovettura di proprietà della parte civile.
Quindi, è stata offerta la seguente
scansione di considerazioni:
1. con sentenza n. 5591 del 2006 la
Cassazione ha chiarito che il concetto di domicilio, ai fini che in-
l’amministratore
teressano, non può essere esteso
fino a farlo coincidere con qualunque ambiente che tenda a garantire, anche senza alcuna condizione
di stabilità, intimità e riservatezza;
2. che il Giudice di Legittimità ha
insegnato che il concetto di stabilità costituisce l’elemento sul quale fondare il giudizio sulla natura di luogo di privata dimora degli spazi sui quali vengano effettuate attività di videoregistrazione.
3. che in consonanza con le osservazioni che precedono sono state ritenute probatoriamente utilizzabili “le videoregistrazioni effettuate dalla persona offesa di reiterati
atti vandalici e di danneggiamento ai danni della porta del proprio
appartamento, della porta dell’attiguo garage e della cassetta postale antistante l’ingresso dell’appartamento, dal momento che l’area interessata dalle videoregistrazioni, operate con telecamera sita
all’interno dell’appartamento, ricade nella fruizione di un numero indifferenziato di persone e non
attiene alla sfera di privata dimora di un singolo soggetto” (Cass.
Pen. n. 5591/07).
4. che in ossequio al detto tale principio dovesse escludersi che nel
processo in disamina vi fosse stata utilizzazione impropria delle
video registrazioni effettuate dalla
parte lesa in ambito condominiale.
Si vedrà che le considerazioni che precedono risultano pienamente in linea
con pronunce del Giudice di Legittimità e anche con sentenze di merito, in
particolare con antica sentenza del Tribunale di Milano.
Si vedrà che chi scrive condivide de
plano quell’orientamento e quindi
guarda con qualche sospetto al diverso indirizzo che sembra affiorare da ultimo.
29
Speciale
I nuovi orientamenti che sono già stati evocati esigono forte impegno interpretativo e non possono certo essere
trascurati.
Tuttavia, esaminandoli in profondità non si può evitare di sottolineare
un elemento fortemente caratterizzante tutti quanti i provvedimenti che di
recente hanno statuito l’illegittimità
dell’installazione delle video camere
in ambito condominiale, poiché sempre il giudice ha affermato il proprio
convincimento movendo dalla rappresentazione di un vuoto normativo.
Talvolta si pone riferimento alle indicazioni del garante della privacy, altre
volte si è andati più in profondità tenendo conto del dato normativo e della mancanza di apposita disciplina, dedicata al condominio.
È opinione di chi scrive che la mancanza di regole non possa mai sfociare
nella proibizione di un comportamento che, appunto perché non espressamente vietato, non dovrebbe mai qualificarsi come illegittimo.
L’analisi che segue potrà meglio confortare la premessa già posta in rilievo.
L’ASSERITA INVALIDITÀ
DELLE DELIBERE
ASSEMBLEARI CHE DECIDANO
LA VIDEOSORVEGLIANZA E
L’INSTALLAZIONE A CURA DEL
SINGOLO CONDOMINO
L’esigenza di difendersi dai furti, la
necessità di vigilare per reprimere
eventuali vandali e, in genere, l’opportunità di controllare e verificare le
nostre abitazioni e quanto le circonda
rendono sempre più frequente l’adozione di sistemi di videosorveglianza.
Il più delle volte si tratta di piccoli impianti, collocati da singoli condomini
davanti al proprio ingresso.
Altre volte si tratta di impianti ben più
complessi, adottati sopratutto nei supercondominii.
Oramai tutti sanno di poter essere videosorvegliati nei supermercati o
quando si cammina nei pressi delle
banche o in qualunque strada.
Ci si richiama al decalogo che il Garante della Privacy ha dettato a suo
tempo ed ha poi aggiornato: una serie
di regole alquanto agili ed ispirate ad
evidente buon senso.
Sull’onda del “decalogo” e di alcune
risalenti sentenze, delle quali sarà dato
conto in apposito paragrafo, il sentire
30
comune reputa che l’assemblea possa
disporre in materia.
Da qualche tempo il panorama giudiziario è però mutato e si sono succeduti provvedimenti che hanno escluso la possibilità di intervento dell’assemblea.
Si ricordano:
1. l’ordinanza del 3 febbraio 2009,
del Tribunale di Nola: “Se non
sia strettamente necessaria per
ragioni di protezione della sicurezza del condominio, risulta illegittima l’installazione di telecamere che filmino e registrino zone
comuni del condominio da parte
del singolo condomino”
2. l’ordinanza del 14 dicembre
2010, del Tribunale di Salerno (Dottor Scarpa): “Esula dalle attribuzioni dell’assemblea dei
condomini, coinvolgendo il trattamento di dati personali dei quali la stessa assemblea non può ritenersi “soggetto titolare del trattamento” ed essendo volta a scopi estranei alle esigenze condominiali, l’installazione di un impianto di videosorveglianza degli spazi comuni dell’edificio, benché decisa per tutelare la sicurezza delle persone e delle cose dei condomini (è stata così sospesa ex art.
1137, 2° comma, c.c., l’esecutività della delibera condominiale
con la quale era stata approvata
a maggioranza l’installazione di
un impianto di videosorveglianza del piazzale comune antistante
il fabbricato ed agli androni delle scale)”;
3. l’ordinanza del 14 dicembre
2010, del Tribunale di Napoli: In
tema di condominio degli edifici,
la delibera, presa a maggioranza, con cui si approva l’installazione di un impianto di videosorveglianza relativo al piazzale antistante al fabbricato e agli androni
delle scale, per garantire la sicurezza e la serenità dei partecipanti, è rivolta a perseguire finalità
estranee alla conservazione e gestione delle cose comuni, e, quindi,
non è riconducibile alle attribuzioni dell’assemblea, non essendo peraltro quest’ultima il titolare
del trattamento dei dati personali,
ex art. 28 D.Lgs. n. 196/2003, cui
spetti il potere di decidere le finalità e le modalità del trattamento
l’amministratore
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connesso all’installazione di tale
impianto:
4. l’ordinanza del 16 giugno 2011,
del Tribunale di Varese (Dottor
Buffone): “È illegittima l’installazione di un impianto di videosorveglianza per riprendere aree
condominiali comuni, eseguita
da un singolo condomino, anche
laddove tale installazione sia stata decisa per tutelare la sicurezza personale, messa in pericolo in
seguito ad alcuni episodi di furti
e di effrazioni. Conseguentemente,
deve essere ordinata in via d’urgenza la demolizione dell’impianto, la cui esistenza mina di per sé
stessa la vita di relazione dei vicini. Infatti, nel silenzio della Legge,
il condomino non ha alcun potere di installare, per sua sola decisione, delle telecamere in ambito
condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini.
Neppure il condominio ha la potestà di farlo, salvo che la decisione sia stata presa dall’unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti.”
Il giudice ha così argomentato:
1. le video riprese ledono il tessuto connettivo dell’art. 14 Cost. se
non rette da una espressa previsione normativa di copertura;
2. la giurisprudenza sulla tutela penale del domicilio, riguarda l’art.
14 Cost., ed è cosa diversa dalla tutela costituzionale del diritto alla riservatezza , che riguarda
l’art. 2 Cost. (per tale ragione, non
potrebbero essere richiamati gli
insegnamenti dei giudici penali);
3. nel settore delle riprese condominiali manca una norma ad hoc che
offra copertura legale alla videosorveglianza privata.
Per vero, nel nostro ordinamento sono
stati affermati principii incompatibili
con le precedenti prospettazioni, poiché non dovrebbe esservi interstizio
impervio per le capacità di auto integrazione dell’ordinamento.
Inoltre, l’analisi del Garante appare
davvero debole: non mancano affatto le norme che stabiliscono chi debba
votare in assemblea a seconda dei casi.
Infine, non appare adeguatamente con-
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siderato che chi non abbia diritto di
voto ha comunque possibilità di tutelare la propria posizione in altra sede,
diversa dall’assemblea.
Quanto è stato osservato in premessa, in ordine alla corretta classificazione delle riprese e della loro capacità di
captare o meno manifestazioni di volontà appare non di poco conto e, forse, dovrebbe essere meglio coordinato
con le disamine de quibus.
La motivazione offerta dal Giudice
del Tribunale di Varese è stata analizzata da Alberto Celeste, che ha formulato condivisibili rilievi critici (Immobili & Diritto 1 marzo 2011, N. 3)
che ha messo a fuoco anche le incertezze provocate dal Garante, “complice colpevole” di incongruenze interpretative poiché i dati personali trattati nell’ambito dell’amministrazione
del condominio “sono, nel loro complesso, interamente e reciprocamente
riferibili a (tutti) i condomini, i quali rivestono la qualifica di “co-interessati” e non certo di “con-titolari” Titolare del trattamento è l’amministratore “per cui verrebbe a cadere il presupposto del ragionamento dell’ordinanza in commento, secondo la quale l’assemblea non potrebbe deliberare, in ordine all’approvazione sull’installazione di un impianto di videosorveglianza, in quanto il titolare del trattamento è il singolo condomino”.
L’assemblea ha anche l’attribuzione
di conservare “l’integrità lato sensu
della collettività condominiale, e non
solo dei beni materiali comuni”, posto
che l’art. 1120 c. c. considera il valore della sicurezza, che deve estendersi anche alle aggressioni che provengano da terzi e non può essere limitato
alle aggressioni provocate da intemperie, alluvioni, incendi, ecc..
Il Celeste non condivide quindi “l’affermazione del Tribunale, ad avviso
del quale non rientra nelle attribuzioni dell’assemblea quella di soddisfare
«l’esigenza diretta a preservare la sicurezza di persone (a fronte di aggressioni, scippi, rapine ecc.)» e conclude
osservando
-che l’installazione di videocamere
sui luoghi comuni sia appannaggio
dell’assemblea;
-che la stessa possa essere deliberata, “trattandosi di impianto prima
non esistente - peraltro di una certa rilevanza, non tanto sotto il profilo della consistenza materiale quan-
to piuttosto dell’importanza giuridica
- con le maggioranze qualificate di cui
all’art. 1136, comma 5 cod. civ. (ossia, i due terzi del valore dell’edificio),
costituendo un’innovazione ai sensi
dell’art. 1120, comma 1 cod. civ.”
Quanto rileva il Celeste può addirittura essere rafforzato, poiché per un piccolo condominio un banale impianto
di videosorveglianza costa ormai somme davvero esigue e potrebbe tranquillamente rientrare tra i rimedi o integrativi dell’esistente servizio di custodia.
Quanto all’importanza giuridica, vi è
da dire che l’impianto ricondotto entro i limiti settati dei provvedimenti
del garante dovrebbe soddisfare le esigenze di tutela della privacy.
Meno corrosivo appare il commento
di Ettore Ditta (Il Consulente Immobiliare, 2011) che ha sintetizzato esemplarmente l’iter logico che caratterizza l’ordinanza.
Nel suo commento le lodi sono limitate alla storica e neppure vera circostanza di una sorta di primogenitura.
Ecco i passi che più interessano:
“In definitiva, secondo la ricostruzione
del Tribunale l’installazione dell’impianto di videosorveglianza non costituisce di per sé un’attività finalizzata
a servire i beni in comunione; e non
rileva l’innegabile maggior sicurezza
che ne deriva allo stabile nel suo complesso, nel momento in cui la deliberazione coinvolge il trattamento di dati
personali di cui l’assembla stessa non
è titolare, e che è diretta a uno scopo estraneo alle esigenze condominiali, che di per sé non rientra nei poteri
dell’assemblea.
La decisione del Tribunale di Salerno,
ovviamente pur con tutti i limiti tipici di un provvedimento giudiziario di
merito e con gli stretti riferimenti al
caso specifico, ha comunque il pregio di avere deciso la fattispecie concreta partendo dai principi generali e
cercando di inquadrare correttamente il caso in una situazione legislativa
che è tutt’altro che chiara e pacifica
(come dimostra proprio la segnalazione del Garante al Governo e al Parlamento richiamata nell’ordinanza stessa) e nella quale i dubbi che si addensano su questa materia sono - almeno al momento - decisamente superiori alle certezze che si possono ragionevolmente avere”.
Ditta indica quindi piuttosto l’emer-
l’amministratore
ANACIDAY
gere di perplessità che l’adesione al
provvedimento commentato.
Allo stesso risultato si perviene richiamando la sentenza del Tribunale di
Milano del 1992, che dichiarava illecite soltanto le telecamere concretamente invasive della sfera privata del
vicino, mentre considerava legittimi i
sistemi che si limitino a vigilare l’ingresso di che ne ha deciso l’installazione.
Questa,infatti, è la massima pubblicata nelle riviste:
“È da ritenersi lecita l’installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell’area antistante la porta d’ingresso alla singola unità immobiliare;
mentre non è ammissibile l’installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi
ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò
comporta una possibile lesione e compressione dell’altrui diritto alla riservatezza. Trib. Milano, 6 aprile 1992”
Non risulta il generale ed assoluto divieto che il Tribunale sembra avere
considerato.
I PRECEDENTI
PROVVEDIMENTI CHE
AVEVANO STATUITO LA
LEGITTIMITÀ DELLA
VIDEOSORVEGLIANZA E
I PROVVEDIMENTI DEL
GARANTE DELLA PRIVACY
Si riprendono le osservazioni fornite dall’avvocatessa Laura Marchetti, esperta di Anaci Brescia, che consentono di evitare rielaborazioni superflue.
Nel contesto del 1942, le disposizioni
sul condominio degli edifici non potevano contemplare la videosorveglianza, per la quale difetta quindi specifica disciplina.
In tal ordine d’idee, si riconosce nella sentenza preordinatrice e ormai datata emessa dal Tribunale di Milano
6/4/1992 Sez VIII, la legittimità e valenza dell’iniziativa del singolo condomino di installare sistemi di videosorveglianza nel pianerottolo comune,
purché diretta alla sola osservazione
del portone d’ingresso ed all’area antistante la porta d’ingresso della singola
unità immobiliare.
Così prosegue l’Avv. Marchetti:
Tale sentenza deve essere coordinata
31
ANACIDAY
Speciale
con le nuove emergenze collegate alla
normativa sulla privacy ed alle sentenze rese anche dalla Corte di Cassazione penale, ma si può rilevare come i
suoi principii ispiratori sono stati recentemente riaffermati dal Tribunale
di Nola (Ordinanza 3/2/2009, sopra citata).
Anche sotto il vigore del nuovo codice della privacy e dell’art. 615 bis del
codice penale la corte di Cassazione
ha escluso che l’adozione di sistemi
di videosorveglianza comporti lesione
di diritti indisponibili o configuri reato
ed ha così statuito:
“La ripresa delle aree comuni condominiali non può ritenersi in alcun modo
indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini ai sensi dell’art.
615-bis c.p., giacché l’indiscriminata
esposizione alla vista altrui di un’area
che costituisce pertinenza domiciliare
che non è deputata a manifestazioni di
vita privata esclusiva è incompatibile
con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell’area siano
state in concreto, inopinatamente, realizzate e perciò riprese. Cass. pen., Sez.
V, 21/10/2008, n. 44156”
Ci si può soffermare sulla valenza, anche interpretativa, delle indicazioni del Garante della Privacy, appuntate nel “Provvedimento generale Videosorveglianza”, di liceità, necessità
(intesa nell’accezione di esclusione di
ogni uso superfluo e volto in ogni caso
ad evitare eccessi e ridondanze), proporzionalità (ovvero volta ad evitare la
rilevazione di dati in aree o attività che
non sono soggette a concreti pericoli,
o per le quali non ricorre effettiva esigenza di deterrenza), finalità.
La Corte Costituzionale con sentenza
18 maggio 2008 n. 149 ha ritenuto che
non sussista lesione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui l’azione
pur svolgendosi in luoghi di privata dimora può essere liberamente osservata dagli estranei (esempio lapalissiano
chi si affaccia sul balcone osservando
la pubblica via). L’adozione della videosorveglianza lambisce comunque
il campo minato dei diritti alla riservatezza ed all’immagine, ma per evitare
indebite invasioni può servire da guida
una sentenza della Corte di cassazione,
che si è occupata del caso dell’installazione di una finta telecamera, reputata illegittima poiché idonea a disturba-
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re la tranquillità delle persone.
Così recita la massima tratta da quella pronuncia:
“In tema di interferenze illecite nella
vita privata (art. 615 bis c.p.), mentre deve escludersi la sussistenza di
un diritto di documentazione dei fatti
di vita privata altrui derivabile dalla
possibilità di esercitare un diritto civilistico di veduta, non può escludersi l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato qualora l’installazione di strumenti di ripresa visiva (nella specie, una telecamera), sia stata
finalizzata essenzialmente alla documentazione di movimenti di persone
nella pubblica via, con minima e, sostanzialmente, involontaria estensione
a luoghi di privata dimora affacciantisi sulla medesima via. Cass. pen., Sez.
V, 23/01/2001, n. 8573”
È quindi chiaro che laddove si rinvenga in concreto un pregiudizio per i diritti alla riservatezza ed all’immagine
oppure addirittura la lesione dei valori tutelati dal codice penale e dalle norme di ordine pubblico, la videosorveglianza incide negativamente su diritti
esclusivi dei singoli e l’approvazione
della sua istituzione in ambito condo-
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miniale sarebbe ineluttabilmente soggetta alla regola dell’indispensabilità
del consenso unanime.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
La mancanza di specifica disciplina della videosorveglianza in ambito
condominiale non dovrebbe scoraggiare gli interpreti, adusi a ben maggiori lacune normative.
Possono essere utilizzate:
- la disciplina sulle attribuzioni dell’assemblea e dell’amministratore;
- i numerosi interventi del Garante, che
ne ha disciplinato modalità, ambito e
legittimi limiti della videosorveglianza.
Il Garante ha invocato l’intervento legislativo ma non ha mancato di redigere il decalogo della videosorveglianza
e non ha mai proclamato che l’adozione di tali impianti in ambito condominiale sia illecita.
La specifica disciplina è senz’altro auspicabile, ma appare eccessivo ritenere che sino a quando non intervenga
il legislatore nei condominii la videosorveglianza debba considerarsi sempre illecita.
Ovviamente, il condominio ed il singolo condomino non possono debordare dalle indicazioni del provvedimento del Garante (G.U. n. 99 del 29
aprile 2010), avente ad oggetto tutti i
sistemi integrati di videosorveglianza
sia nei luoghi pubblici che nei luoghi
privati e che impongono:
- cartelli che segnalino la presenza di
telecamere collegate con le sale operative delle forze di polizia;
- conservazione per tempo limitato (24
ore) delle immagini registrate;
-obbligo di sottoporre preventivamente al Garante, prima della attivazione, i
sistemi che comportino rischi per i diritti e le libertà fondamentali delle persone (telecamere “intelligenti”);
- adozione di adeguate misure di protezione delle immagini, onde evitare accessi indebiti.
- rispetto del codice della Privacy nel
trattamento e nella brevissima conservazione dei dati e anche nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione;
- rispetto dei principii di proporzionalità, pertinenza; di non eccedenza; di liceità, necessità (esclusione di ogni uso
superfluo).
L’interprete ed il giudice ben possono
coordinare la disciplina del condominio e quella della privacy, senza che la
mancanza di espressa regolamentazione renda illegittima l’attività che non
è neppure oggetto di esplicito divieto.
Del resto, i principii normativi rilevanti hanno già formato oggetto delle seguenti pronunce:
1.Il diritto alla riservatezza non gode
di una tutela illimitata ma va posto a confronto con i limiti derivanti dalla necessità di soddisfacimento di altri diritti di rango costituzionale, quali il diritto all’incolumità personale di cui all’art. 2
Cost., quello all’inviolabilità del
domicilio di cui all’art. 14 Cost.,
il riconoscimento della libertà di
iniziativa economica di cui all’art.
41 Cost. e la garanzia alla proprietà privata di cui all’art. 42 Cost.
(per ciò l’installazione di una telecamera espressamente destinata ad esigenze di sicurezza di uno
studio professionale, esistente in
un condominio particolarmente
esposto in ragione della sua ubicazione dove risultano essersi verificati furti e tentativi di rapine, può
ritenersi legittima, costituendo un
mezzo idoneo che non travalica i
limiti della proporzionalità rispetto agli interessi da tutelare). (App.
Roma Sez. I, 12/02/2007)
2. non è configurabile il reato di cui
all’art. 615-bis c.p. (interferenze
illecite nella vita privata) nell’installazione, all’interno dei locali
di proprietà esclusiva di un condomino, di telecamere atte ad inquadrare le aree condominiali antistanti l’ingresso ai suddetti locali,
onde accertare l’identità degli autori di ripetuti episodi di danneggiamento ed imbrattamento verificatisi in danno del medesimo condomino, essendo le aree anzidette destinate all’utilizzo, senza carattere di stabilità, da parte di un
numero indifferenziato di persone
(Cass. pen. Sez. II, 10/11/2006, n.
5591);
3. viola gli artt. 114 e 171 D.Lgs. 30
giugno 2003 n. 196 il datore di lavoro, che abbia installato in un
negozio impianto di videosorveglianza che consenta il controllo
a distanza dell’attività dei dipendenti presso i locali dove si svolge attività lavorativa, senza che il
personale sia avvisato della sua
ANACIDAY
messa in funzione, né del fatto
che esso avrebbe potuto controllare anche l’attività dei lavoratori. Cass. pen. Sez. III, 24/09/2009,
n. 40200.
Non si nega l’estrema delicatezza
dell’adozione e della gestione degli
impianti di videosorveglianza, ma la
necessaria cautela ed il rispetto delle
regole esistenti non possono trasformarsi in radicale divieto.
Occorre dare spazio e riconoscimento adeguato ai valori della sicurezza e
della possibile tutela a fronte di ladri o
di vandali.
Il diritto di accedere alla propria abitazione accompagnandosi con chi si
vuole deve essere coordinato con il
diritto di difendersi dalle aggressioni, o meglio di allontanare da sé simili eventualità.
In tale ordine le idee, diventa agevole osservare che l’ordinanza del Tribunale di Varese, criticata avendo riguardo al generale assetto della materia, esige ben diversa valutazione laddove si consideri la fattispecie concreta e la condotta del convenuto, che non
ha risposto all’interpello e non ha fornito valide giustificazioni.
Avendo richiamato le osservazioni di
Celeste e di Ditta, si possono evitare
ulteriori commenti e ci si può soffermare sulle seguenti considerazioni:
1. la materia della videosorveglianza, comunque delicata ed impervia, esige massima cautela da parte degli amministratore e dei condomini;
2. occorre rispettare in misura maniacale i limiti dettati dal Garante,
poiché tali limiti sono posti a tutela di valori di straordinaria importanza per il nostro ordinamento;
3. occorre prestare attenzione ad
eventuali opposizioni da parte di
singoli condomini, poiché i provvedimenti che sono stati sopra riferiti e criticati dimostrano comunque una particolare (e perfettamente comprensibile e condivisibile) sensibilità dei giudici per
i valori della riservatezza e della
privacy);
4. come troppo frequentemente accade, non si può sperare nell’intervento legislativo senza aggiungere che lo stesso deve essere anche
chiaro ed efficiente.
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Sentenze
La presente rubrica è a cura dell’avv. Eugenio Antonio Correale e si compone di due parti
per ogni sentenza: l’estratto ed un breve commento dello stesso avv. Correale
1192
Appalto. Garanzia per gravi difetti costruttivi. Carenza di isolamento acustico.
Merita accoglimento l’azione proposta ai sensi dell’art. 1669 c.c., nei confronti dell’appaltatore,
al fine di veder accertata la responsabilità di quest’ultimo in relazione ai problemi acustici
ascrivibili alla mancata o carente insonorizzazione del fabbricato. Secondo il consolidato
orientamento della S.C., le disposizioni di cui all’art. 1669 c.c., finalizzate a garantire sia
la stabilità sia l’abitabilità dell’immobile, non attengono solo ai vizi inerenti le componenti
strutturali dell’immobili e determinanti pericolo di rovina, ma anche quelli che, incidendo
gravemente ed in modo permanente sulla fruibilità abitativa del bene, lo renderebbero inidoneo
ad assolvere la funzione cui è destinato, ove non eliminati. (Tribunale di Trieste, sentenza 12
dicembre 2011)
La pronuncia è estremamente interessante, poiché applica alla materia dell’isolamento acustico
le responsabilità che già erano state riconosciute per altro genere di immissioni o di mancate
coibentazioni. Si ricorderà che sin dal 1998 ( sentenza Cass. civ., Sez. II, 25/03/1998, n. 3146)
la giurisprudenza aveva riconosciuto che tra le caratteristiche imprescindibili delle costruzioni
vi deve essere la coibentazione termica. Con la sentenza citata, la Corte di Cassazione ha
espressamente definito la mancata coibentazione come grave difetto tutelabile dalla garanzia di
cui all’art. 1669 c.c. ed ha statuito che di essa risponde il venditore di unità immobiliari che ne
curi direttamente la costruzione, ancorchè i lavori siano appaltati ad un terzo. A conforto della
decisione, il giudice ha ritenuto che si tratta di difetti dai quali deriva una ridotta utilizzazione di
esse ed ha sostenuto che indipendentemente dal titolo di contratto intercorso con gli acquirenti
sussista responsabilità extracontrattuale e che l’amministratore del condominio sia legittimato ad
agire “perché tale azione configura un atto conservativo e perciò rientra nei suoi poteri - se tali
difetti sono riscontrati sulle parti comuni”. Da quel tempo sono sopraggiunte normative anche in
tema di rumore e la sentenza in commento aiuta considerare che la tutela possa essere invocata
anche per le immissioni sonore.
1193
Condominio. Obbligazioni parziarie. Esecuzione forzata a carico del condomino. Efficacia della
sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore.
Secondo la sentenza delle sezioni unite n. 9148/2008, deve considerarsi definitivamente acquisito
che il titolo esecutivo giudiziale intervenuto nei confronti dell’ente di gestione condominiale
in persona dell’amministratore pro tempore può essere validamente azionato nei confronti del
singolo condomino quale obbligato solidale. Inoltre, esclusa la natura solidale dell’obbligazione
che grava sui condomini uti singuli, deve ritenersi che la responsabilità del condomino sia solo
parziale in proporzione alla sua quota, anche nei rapporti esterni. (Cassazione civile, Sezione
terza, n.1289 /2012, sentenza 14.12.2011-12.1.2012)
In altri ambienti il presente commento sarebbe definito come “informazione di servizio”,
volta a mantenere la promessa di dare conto delle decisioni della Corte Suprema sull’ancora
dolente questione della natura, solidale o parziaria, delle obbligazioni condominiali. Proprio
l’amministratore
35
Sentenze
a tal fine si propone anche massima ben più incisiva di quelle proposta in epigrafe: “Non è
ravvisabile alcuna responsabilità solidale tra il condominio ed il condomino, su cui grava una
responsabilità solo parziale in relazione alla sua quota, anche nei rapporti esterni”. Ben si vede
che nell’occasione si registra sostanziale conferma dell’impostazione dettata dalle Sezioni Unite
della Corte Suprema nel 2008. I più avvertiti e i più esagitati cultori della querelle potranno
diluire la portata del nuovo arresto facendo presente che si tratta di sentenza che proviene da
sezione diversa da quella che si occupa di condominio, ma dovranno incassare la pronta replica
di chi rileva che la terza sezione si occupa delle procedure di esecuzione forzata e quindi ha
voce per parlare e per intervenire a pieno titolo. Il fatto è che si attendono eventi più epocali,
annunciati ma evidentemente non fulminei. Nell’attesa, si rileva che la sentenza in commento
riafferma altro insegnamento ben più costante delle tesi sulla solidarietà. Infatti, è ribadito
che la sentenza pronunciata nei confronti del condominio, rappresentato dall’amministratore
costituisce titolo valido per promuovere l’esecuzione forzata anche nei confronti dei singoli,
benché non fossero nominativamente indicati del giudizio di cognizione. Giova rilevare che
l’impostazione che sorregge la pronuncia in disamina è decisamente affidabile e radicata da
molti decenni. “la sentenza emessa nei confronti dell’amministratore ha efficacia diretta verso il
condomino, anche quando questo abbia espresso volontà contraria a resistere al giudizio e quando
anche l’amministratore non abbia dato comunicazione alla assemblea di eventuali disposizioni
avendo l’obbligo di tali comunicazioni un valore puramente interno: salve in entrambi i casi le
conseguenze nei rapporti interni fra condominio e amministratore, come la revoca del mandato e
la responsabilità per i danni” (Cassazione, 5 aprile 1982, N° 2091; Cassazione 23 maggio 1981,
N° 2403; Cassazione 14 marzo 1977, N° 1025, Cassazione 22 febbraio 1971 N° 460).
1194.
Condominio. Sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore.
Esecuzione forzata a carico del condomino. Obbligo di preventiva notifica del titolo esecutivo anche
nei confronti del singolo esecutato.
In tema di esecuzione forzata del provvedimento giudiziario pronunciato nei confronti del
condominio in persona dell’amministratore pro tempore, è ben vero che il titolo esecutivo
ottenuto contro il condominio può essere fatto valere in executivis contro il singolo condomino
quale preteso obbligato in solido, ma il precetto, intimato a tal fine allo stesso condomino, non
può prescindere dalla notificazione, preventiva o contestuale, del decreto ingiuntivo emesso nei
confronti dell’ente di gestione, ancorché detta ingiunzione fosse risultata del tipo ex art, 654,
2° comma, cod. proc. civ. (Cassazione civile, Sezione terza, n.1289 /2012, sentenza 14.12.201130.1.2012)
Per quanto viene qui richiamato, la pronuncia comporta superamento di più antiche concezioni
e comporterà ulteriori preoccupazioni per chi debba recuperare un credito nei confronti del
condominio. Superando pronunce molto risalenti la Corte ha statuito che chi intende agire nei
confronti del singolo condomino deve notificare non soltanto opportuno atto di precetto ma
anche (preventivamente o contestualmente) il titolo esecutivo. La sentenza ha rilevato che anche
laddove il provvedimento che si pone a carico della nuova procedura esecutiva sia già stato
notificato al condominio si impone nuova notificazione diretta al singolo condomino qualora
si intenda agire contro soggetto, non indicato nell’ingiunzione, per la pretesa sua qualità di
36
l’amministratore
Sentenze
obbligato solidale. La pronuncia convince molto, anche in relazione al chiaro disposto dell’art.
479 del codice di procura civile, ove si impone che l’esecuzione forzata sia sempre preceduta
dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto, a garanzia dell’esecutato. Cautela
legittima, quindi, anche se alquanto onerosa per il creditore che deve anticipare tutti i costi e che
deve fare i conti con i costi crescenti di ogni attività che comunque si debba richiedere alla nostra
burocrazia.
1195.
Condominio. Servizi comuni. Sostituzione di un servizio comune. Soppressione di un servizio
comune.
E’ compito dell’assemblea condominiale disciplinare beni e/o servizi comuni, al fine della migliore
e più razionale utilizzazione degli stessi. Ne consegue che l’assemblea, con deliberazione a
maggioranza, ha il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche
se esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale, purché rimanga nei limiti della
disciplina delle modalità di svolgimento e, dunque, non incida sui diritti dei singoli condomini.
(Cassazione civile sezione seconda sentenza 11 gennaio 2012, n. 144
La pronuncia esige alcuni chiarimenti, poiché chi esamina la lunga motivazione scopre che
la delibera era stata impugnata da un condomino che in assemblea aveva votato a favore. La
resipiscenza, che comunque crea imbarazzo per il giudicante, ha evidentemente consentito di
distinguere tra delibere nulle e delibere annullabili e di affermare che l’assemblea con deliberazione
a maggioranza ha il potere di modificare sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche
laddove esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale se rimane nei limiti della
disciplina delle modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti dei singoli condomini
(Cass. n. 6915/07). L’interesse della decisione, peraltro, deve essere ricercato nell’affermazione
di principii che da tempo non venivano ricordati. La Corte ha avuto occasione di prendere in
considerazione quanto era stato deciso in fattispecie analoga (modifica del servizio di autoclave
con relativa nuova ubicazione ed estinzione della connessa servitù attiva condominiale per
mancanza di utilità) ed ha rilevato che le attribuzioni dell’assemblea di condominio riguardano
l’intera gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che avviene in modo dinamico e
che non potrebbe essere soddisfatta dal modello della autonomia negoziale, in quanto la volontà
contraria di un solo partecipante sarebbe sufficiente ad impedire ogni decisione. Nel consueto
contrasto fra egoismi ed esigenze della convivenza, un evidente punto a favore di queste ultime.
1196.
Condominio. Assemblea. Delibere nulle. Transazione con le quali si dispone di diritti reali.
In tema di condominio la transazione per effetto della quale il condominio rinuncia a servitù
o acconsente alla modifica delle stesse richiede il consenso unanime dei condomini e non può
essere approvata a maggioranza dall’assemblea. Cassazione civile sezione seconda sentenza del
30 novembre 2011, n. 25608
Molti anni fa i condomini di un edificio della nostra Brianza avevano fatto causa ad altro
proprietario, chiedendo che fosse condannato ad eliminare alcune opere che violavano le
clausole del regolamento. Il condominio ha vinto la causa, ma poi l’assemblea ha autorizzato
una transazione che comportava rinuncia a chiedere l’abbattimento. La delibera, approvata a
maggioranza, è stata dichiarata nulla in due gradi di giudizio. Avanti alla Corte di Cassazione
l’amministratore
37
Sentenze
impugnata la decisione è stata fulminea e scolpita dalla più succinta delle motivazioni: “il
condominio ricorrente, infatti, trascura di considerare che la delibera in questione non aveva
ad oggetto una semplice transazione, ma una transazione per effetto della quale il condominio
rinunciava a servitù reciproche o acconsentiva alla modifica delle stesse, il che richiedeva il
consenso unanime dei condomini”. Trova conferma il principio che vuole che la verità non abbia
bisogno di molte parole per farsi strada.
1197.
Condominio. Amministratore. Emolumento.
La retribuzione dell’amministratore di condominio, determinata ai sensi dell’art. 1135, n. 1,
c.c., deve intendersi riferita, in mancanza di diversa previsione, al complesso dello svolgimento
dei suoi compiti, tra i quali sono compresi quelli attinenti ai lavori di manutenzione, sia pure
“straordinaria”, compiuti sulle parti comuni dell’edificio. (Cassazione civile, sezione seconda
sentenza 25 novembre 2011, n. 24978)
Accade che tesi che pure presentano margini di accoglibilità siano prospettate nel contesto meno
favorevole al loro accoglimento. Nel caso di specie l’amministratore che era stato convenuto in
giudizio per “ammanco di cassa” aveva chiesto che fosse riconosciuto il suo diritto a percepire
uno specifico compenso, relativo ai lavori di adeguamento dell’impianto elettrico condominiale,
eseguiti nel periodo in cui egli era amministratore. Non era certo quella l’occasione più favorevole
per un revirement della giurisprudenza. Infatti, la Corte d’appello ha nuovamente affermato che
la retribuzione dell’amministratore di condominio, determinata ai sensi dell’art. 1135 c.c., n.
1, deve intendersi riferita, in mancanza di diversa previsione, al complesso dello svolgimento
dei suoi compiti, tra i quali sono compresi quelli attinenti ai lavori di manutenzione, sia pure
“straordinaria”, compiuti sulle parti comuni dell’edificio (cfr., per tutte, Cass. 28 aprile 2010 n.
10204).
1198.
Condominio. Sopraelevazione. Indennità di sopralzo.
L’indennità di sopraelevazione, contemplata dall’art. 1127, comma quarto, c.c. ha natura
personale e non anche reale per cui è dovuta esclusivamente dal proprietario dell’ultimo piano
dell’edificio che esegue la sopraelevazione, mentre non si trasmette ai successivi acquirenti della
nuova opera. (Tribunale di Trento, sentenza 16 novembre 2011)
Il principio può considerarsi pacifico. Già nel 1968 il Tribunale di Napoli ha affermato che
l’indennità di sopraelevazione è oggetto di un rapporto obbligatorio di natura personale, e
non si configura come obbligazione propter rem, quindi non si trasmette dal lato passivo al
successivo proprietario del piano sopraelevato. ( Tribunale di Napoli, sentenza 18 ottobre 1968).
Si tratta quindi di un “debito” che insorge a crico del proprietario dell’ultimo piano di un edificio
condominiale, non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per
la trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie
indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato. Fondamento dell’istituto è l’aumento
proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all’incremento della
porzione di proprietà esclusiva.
38
l’amministratore
Speciale
ANACIDAY
RISPARMIO ENERGETICO E DI
CERTIFICAZIONE ENERGETICA,
SINTESI DELLE ULTIME NOVITÀ
Fausto Moscatelli
Con Deliberazione della Giunta della Regione Lombardia 30.11.2011 n. IX\2601 sono state introdotte
le “Disposizioni per l’esercizio, il controllo, la manutenzione e l’ispezione degli impianti termici nel
territorio regionale”.
A livello europeo la normativa di riferimento per
l’efficienza energetica in edilizia è rappresentata
dalla direttiva 2002\91\CE del dicembre 2002. Il
19.5.2010 il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva europea 2010\31\UE sulla prestazione energetica in edilizia.
La direttiva è stata recepita a livello nazionale con
il D.Lgs n. 192\2005, in vigore dall’8.10.2005, che
disciplina anche gli accertamenti, le ispezioni, le
manutenzioni e l’esercizio degli impianti di climatizzazione.
Secondo l’art. 17 del D.Lgs n. 192\2005 (Clausola
di cedevolezza) “le norme del presente decreto e
dei decreti ministeriali applicativi nelle materie di
legislazione concorrente si applicano per le regioni
e province autonome che non abbiano ancora provveduto al recepimento della direttiva 2002/91/CE
fino alla data di entrata in vigore della normativa
di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma”1 . Anche il D.P.R. 02-04-2009, n. 59
(Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma
1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto
2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva
2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia) fa
salva la potestà normativa regionale.2
La Regione ha pertanto disponibilità della materia e
con DGR 30.11.2011 n. IX\2601 ha esercitato il suo
potere normativo.
Le novità salienti:
articolo 8 - targa dell’impianto o bollino blu
Viene introdotta questa specie di targa per gli im-
pianti, come quella prevista per le autovetture.
Il manutentore, a partire dal 1° gennaio 2012, dovrà
dotare di questa targa gli impianti sui quali interviene.
La targa è identificativa dell’impianto.
articolo 10.2 - termoregolazione e contabilizzazione
Vengono specificati i tempi di intervento per dotare tutti gli impianti di contabilizzazione del calore e
termoregolazione.
Per CONTABILIZZAZIONE di calore si intende la
determinazione dei consumi individuali di energia
termica utile dei singoli utenti basata sull’utilizzo di
contatori di calore, ripartitori o altri dispositivi conformi alla normativa di riferimento.
1. caldaie di potenza superiore a 350 kW installate prima del 1/8/1997 data entro cui
adottare la contabilizzazione: 1/8/2012
2. caldaie di potenza superiore a 116,4 kW
installate prima del 1/8/1998 data entro cui
adottare la contabilizzazione: 1/8/2013
3. restanti impianti - data entro cui adottare
la contabilizzazione: 1/8/2014
Il responsabile dell’impianto soggetto all’obbligo di
installazione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione deve assicurare il rispetto della scadenza che lo riguarda e assicurare che il sistema sia
operativo entro il 15 ottobre successivo alla propria
scadenza.
Anche gli impianti collegati alla rete di teleriscaldamento sono soggetti alle medesime scadenze temporali in base alla vetustà dello scambiatore installato.
La DGR 30.11.2011 n. IX\2601 sottolinea che in
caso l’impianto sia provvisto di unità di contabilizzazione e di termoregolazione della temperatura
l’amministratore
39
Speciale
ambiente in tutte le unità (gestibile su almeno due livelli di temperatura nelle 24 ore), non saranno più in
vigore i limiti temporali di accensione degli impianti
(ovvero le canoniche 14 ore al giorno).
L’impianto centralizzato potrà funzionare per le 24
ore intere, con le singole unità immobiliari che dovranno “prelevare” il calore al massimo per 14 ore
ciascuna.
Viene specificato che “per la corretta suddivisione
delle spese inerenti alla climatizzazione invernale e
all’uso di acqua calda sanitaria, se prodotta in modo
centralizzato, l’importo complessivo deve essere
suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per
la manutenzione dell’impianto, secondo percentuali
concordate. La quota da suddividere in base ai millesimi di proprietà non potrà superare comunque il
limite massimo del 50%. E’ fatta salva la possibilità,
per le prime due stagioni termiche successive all’installazione dei suddetti sistemi, che la suddivisione
possa avvenire ancora in base solo ai millesimi di
proprietà.”
articolo 19 - amministratore di condominio
obblighi
Si tratta di una disposizione fitta di adempimenti,
tutti tesi alla comunicazione di dati. Il mittente delle
comunicazioni è l’amministratore, il destinatario è
l’ente locale di competenza.
Fra le prescrizioni v’è quella di comunicare la nomina ad amministratore e l’eventuale revoca, nonche’ le
modificazioni di titolarità e consistenza dell’impianto. L’amministratore deve comunicare anche il nome
del terzo responsabile, nonché vigilare sul rispetto dei tempi di accensione del riscaldamento e sulle
temperature erogate rispetto a quelle previste dalla
normativa di settore, sul divieto di riscaldamento
di cantine e box, sulla installazione e manutenzione
dei sistemi di contabilizzazione e termoregolazione.
L’invio delle informazione deve avvenire col modo
cartaceo e telematico secondo modalità formalizzate.
La norma sintetizza gli obblighi dell’amministratore quale responsabile dell’impianto, con una tecnica
precettiva a cui ormai il legislatore ci ha abituato, ma
che va considerata non condivisbile poiché contra-
40
ANACIDAY
stante con la prima regola della buona normazione,
ovvero quella della semplicità, chiarezza ma anche
della concisione.
Il testo della DGR in parola è oggettivamente difficile, ma la critica non attiene al solo compendio normativo regionale, giacché di medesima colpa sono
affetti tutti i più recenti interventi normativi in materia condominiale.
La complessità normativa dei singoli testi di legge
e l’interferenzialità fra i medesimi è un problema
percepibile già a livello sociale, ma anche trattato
ormai in ambito scientifico da parte delle istituzioni
nazionali e comunitarie. Il che non meraviglia giacché la comunicazione delle istituzioni col cittadino è
intuitivamente di importanza centrale.
Nemmeno possiamo dire che il problema non sia stato trattato, anzi fra gli esperti ha trovato ampio plauso la iniziativa della Regione Toscana che con Legge regionale TOSCANA 22-10-2008, n. 55 (Disposizioni in materia di qualità della normazione).
Il testo più rilevante in materia è però la circolare n.
1\1.1.26\10888\9.92 della Presidenza del Consiglio
dei Ministri (Guida alla redazione dei testi normativi), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 101 del
3\5\2011.
Detta circolare è didattica e circostanziata sulle modalità di redazione dei testi legislativi e si dilunga
per ben ottanta pagine, affrontando ogni aspetto del
legiferare.
Chi quotidianamente si occupi dell’applicazione delle leggi e della consulenza a chi le voglia rispettare,
sempre dovrà considerare con rispetto la funzione legislativa e rettamente adoperarsi per l’affermazione
del diritto. Tuttavia è pure doveroso invocare la lucida e consapevole attenzione del legislatore sulla ricaduta sul corpo sociale della normazione, tanto per
intelleggibilità quanto effetti collaterali, quanto per
capacità di cogliere i reali bisogni collettivi (non può
dimenticarsi che è la legge che spesse volte forma le
coscienze più che viceversa).
Si approfitta di questa sede per approfondire minimamente il discorso cennato, riportando due pagine
della Circolare Ministeriale suddetta, che colgono
veramente il punto.
l’amministratore
Speciale
l’amministratore
ANACIDAY
41
Speciale
42
l’amministratore
ANACIDAY
Speciale
Detto questo, occorre purtuttavia confrontarsi con le
46 pagine della DGR 30\11\2011.
Dal profilo strettamente giuridico si affacciano alcuni problemi non ignoti agli esperti di settore, che già
prima della normativa in questione si erano affrontati
e che ora si ripropongono con maggiore urgenza.
Un primo problema interpretativo attiene alla valenza
precettiva dell’art. 10.2 laddove impone una ripartizione delle spese per riscaldamento in parte per consumi e in parte per millesimi, purchè questa ultima
parte non superi la soglia del 50% della intera spesa.
La collocazione del divieto di oltrepassare il 50% nella normativa regionale comporta certamente qualche
problema applicativo, giacché non si potrà dimenticare che le Regioni non possono promulgare leggi che
incidano sui rapporti fra privati, come ben specificato
da Corte Cost. 14-11-2008 (08-10-2008), n. 369 per
la quale nelle materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, la regolamentazione
statale, in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera
l) Cost., pone un limite diretto a evitare che la norma
regionale incida su un principio di ordinamento civile. La Corte ha altresì precisato che l’esigenza di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che, nell’ambito dell’ordinamento civile, disciplinano i rapporti giuridici fra
privati deve ritenersi una esplicazione del principio
costituzionale di eguaglianza (da ultimo sentenze n.
189, n. 95 e n. 24 del 2007).
Se tale effetti non possono avere le leggi regionali, a
fortiori le deliberazioni della giunta regionale.
Per la verità non è nuova la prescrizione di ripartire le
spese di riscaldamento tenendo contemporaneamente
conto dei consumi e dei millesimi, ovvero ripartendo
per millesimi una quota fissa della spesa di riscaldamento. Di ciò tratta norma UNI CTI 10200.
La UNI 10200 ripartisce il costo totale fra:
• quota consumo - corrispettivo del calore consumato per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria
• quota potenza - quota di spesa dovuta per potenza termica impegnata, ovvero la quota parte della somma di tutti gli oneri sostenuti per rendere
disponibile il servizio, indipendentemente dai
consumi (compresi gli oneri per la lettura e la
ripartizione).
ANACIDAY
La quota di potenza, nell’appendice C della UNI
10200, comprende:
- tutta la componente gestionale (costo del servizio di
lettura e ripartizione)
- parte dell’energia dispersa dalle tubazioni (almeno
dalla centrale termica alla derivazione alle singole
utenze)
- corrispettivo del rendimento di caldaia medio stagionale (energia dispersa dalla caldaia)
- corrispettivo dell’errore di valutazione dei singoli
ripartitori
- eventuali perdite d’acqua dell’impianto
- eventuali perdite di combustibile
In sostanza è la “descrizione” di quanto si eseguiva in
precedenza stimando fra il 20 e il 40% la porzione a
millesimi. Ovviamente al numero si può arrivare solo
con un’analisi energetica corretta.
E’ intuitiva la ragione per la quale la DGR 2601\2011
impone di non superare il 50% , nella scelta della parte
di spesa da ripartire per millesimi. Il legislatore vuole
abbandonare l’attribuzione della spesa con criteri predeterminati e senza attinenza al consumo effettivo a
favore di criteri premianti della continenza. Il fine del
risparmio energetico si raggiunge con lo strumento della misurazione del consumo individuale e l’attribuzione a ciascuno di una spesa direttamente proporzionale
al consumo effettivo della sua unità abitativa. Pertanto
più diretto è il rapporto fra consumo e compartecipazione alla spesa e più incentivato è il singolo a ridurre la richiesta di calore nel suo appartamento. Se tutti
chiederanno meno calore [seppure] spinti da propria
convenienza personale, è evidente che anche collettivamente si spenderà e consumerà meno.
In tale ottica è sgradita una ripartizione della spesa per
millesimi, giacchè sganciata da virtuose condotte tese
al minimo uso del riscaldamento. Così la ripartizione
per millesimi viene relegare alla quota di spesa dovuta
per potenza termica impegnata, ovvero la quota parte
della somma di tutti gli oneri sostenuti per rendere disponibile il servizio, indipendentemente dai consumi.
Tuttavia la DGR 2601\2011 come del resto la norma
UNI CTI 10200 non è vincolante nell’identificare la
soglia del 50% come insuperabile, provenendo da
fonte non abilitata a normare la suddivisione delle
spese condominiali o peggio a imporre soglie e divieti
invalicabili.
l’amministratore
43
Speciale
E’ unanime il coro degli interpreti nel dire che tanto la
DGR come la UNI CTI 10200 danno indicazioni autorevoli, pur nella unanime convinzione che non può
trattarsi di norme precettive o vincolanti. Esse possono
però configurare criteri di riferimento in una materia
che consente all’assemblea di agganciare le sue decisioni discrezionali a parametri oggettivizzabili.
E’ antico l’orientamento giurisprudenziale che individua nell’art. 1123, II comma, CC la norma d’elezione
per la ripartizione delle spese di riscaldamento.
Cass. civ., sez. II, 04-08-1978, n. 3839 - Pres.
NOVELLI T - Rel. VALENTE A - P.M.
GRIMALDI F (CONF) - RONCAGLIA c.
SARAULLO
Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici
- Contributi e spese condominiali - Spese di gestione
(ripartizione) - Riscaldamento - Determinazione - Criteri - Raggiungimento in uno degli appartamenti di
temperatura inferiore a quella degli altri - Irrilevanza
- Criteri di ripartizione della spesa - Persistenza.
In tema di ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio, la quantità dell’uso che un singolo appartamento può fare del
servizio stesso, a norma dell’art. 1123, secondo comma, Cod. civ., va calcolata, ai fini della determinazione della spesa, in rapporto alla capacità potenziale di
assorbimento, e cioè in forza del fabbisogno obiettivo
dell’appartamento stesso, secondo uno dei tanti criteri
possibili (numero dei radiatori o delle
bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura degli ambienti, contatore, ecc) con
la conseguenza che procedutosi a tale determinazione
del fabbisogno, non può apportarsi alcuna diminuzione
alla correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella specie: temperatura degli appartamenti dell’ultimo piano del fabbricato inferiore a quella
degli altri che determinano quel fabbisogno o che lo
aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura.
Ciò posto, è evidente l’urgenza con cui si pone l’interrogativo sul criterio più oggettivo per liquidare la
quantità dell’uso, ovvero per orientare la discrezionalità dell’assemblea condominiale nella scelta di un
criterio di ripartizione della spesa. In passato si erano
usati indicatori più semplicistici (cubatura dei locali ri-
44
ANACIDAY
scaldati, superficie radiante etc.). In questa ottica può
trovare accoglienza non ostile il suggerimento del comitato tecnico (CTI UNI) o della norma regionale.
E’ invece ormai risolto il problema del conflitto tra i regolamenti contrattuali e l’art. 26, V comma, L. 10\1991
ovvero la ripartizione della spesa di riscaldamento a
consumo. Quand’anche il regolamento contrattuale imponga una ripartizione tabellata, prevarrà la legge o la
facoltà che essa concede di ripartire la spesa in ragione
del consumo?3. La valenza
pubblicistica della norma di legge suddetta, porta inevitabilmente la prevalenza di questa sugli atti privati.
L’interprete dovrà prepararsi anche ad affrontare le
proteste dei condòmini e dei Condomìni per gli spegnimenti nelle singole unità abitative. E difatti l’installazione dei contabilizzatori e quindi la scelta di pervenire
ad una corsa alla riduzione delle spese e dei consumi,
fomenta le estreme conseguenze. Chi abbia l’appartamento vuoto o sfitto, cederà alla tentazione di chiudere
le valvole e quindi il riscaldamento, con disperazione
dei confinanti, raffreddati dal gelido vicino (cd. furto
di calore).
Mentre esiste un limite superiore, non altrettanto per
quello inferiore. Non si può oltrepassare una certa
temperatura interna, ma nessuno vieta di chiudere il
riscaldamento e quindi le termovalvole. Il raffreddamento dell’unità immobiliare ovviamente pregiudica i
contigui, che dovranno riscaldare di più casa propria
per compensare l’importazione di freddo che deriva dal
raggelamento del confinante. Di qui l’esigenza di imporre ai condomini di mantenere sempre una temperatura minima, senza mai scendere al di sotto.
L’assemblea condominiale non ha il potere di imporre
tale vincolo, che può validamente sussistere solo ove
pattiziamente recepito.
Né può dirsi che chi “chiude” il suo impianto danneggi
il condominio, perché invece danneggia solo i vicini,
che spenderanno di più per riscaldarsi.
Non rimane quindi che far accettare a tutti la regola del mantenimento di una temperatura minima
negli appartamenti, con lo schema della clausola contrattuale (in attesa di interventi legislativi).
1 D.Lgs. 19-08-2005, n. 192, Art. 17. - Clausola di cedevolezza
1. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma,
della Costituzione, e fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16,
l’amministratore
ANACIDAY
Speciale
comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, per le norme affe-
fino alla data di entrata in vigore dei predetti provvedimenti
renti a materie di competenza esclusiva delle regioni e province
regionali.
autonome, le norme del presente decreto e dei decreti ministeriali
2. (…)
applicativi nelle materie di legislazione concorrente si applicano per
3. Si riporta uno stralcio duna ordinanza del Giudice Grazia Fe-
le regioni e province autonome che non abbiano ancora provveduto
dele del Tribunale di Milano, sezione distaccata di Legnano, la
al recepimento della direttiva 2002/91/CE fino alla data di entrata
quale con ordinanza del 30\1\2009 nella causa n. 171318\08
in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione
(inedita), ha ritenuto che:
e provincia autonoma. Nel dettare la normativa di attuazione le
regioni e le province autonome sono tenute al rispetto dei vincoli
“la fondatezza della impugnazione va esclusa almeno ad un som-
derivanti dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali
mario esame sulla scorta del chiaro disposto dell’art. 26 co. 5 l. n.
desumibili dal presente decreto e dalla stessa direttiva 2002/91/CE.
10\1991, poi confluito nel DPR n. 380\2001, che prevede che: “Per
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella
l’adozione di sistemi di ……. contabilizzazione del calore e per il
Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’
conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al con-
fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
sumo effettivamente registrato, l’assemblea di condominio decide
a maggioranza, in deroga agli artt. 1120 e1136 del codice civile”.
2 Art. 6. - Funzioni delle regioni e delle province autonome
Ritenuto quindi che debba considerarsi sufficiente la deliberazione a
1. Ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo, fermo restan-
maggioranza, poiché la citata norma, per evidenti connotazioni pub-
do quanto disposto dal comma 3, le disposizioni del presente
blicistiche che la caratterizzano, essendo volta a perseguire l’obietti-
decreto si applicano per le regioni e province autonome che
vo del contenimento energetico, va intesa come norma imperativa
non abbiano ancora provveduto ad adottare propri provvedi-
di legge, comunque sovraordinata ai regolamenti condominiali,
menti in applicazione della direttiva 2002/91/CE e comunque
sia pure contrattuali”
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l’amministratore
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Speciale
ANACIDAY
LA TRACCIABILITA’ DEI PAGAMENTI
Raffaele Caratozzolo
(LIMITAZIONE alla CIRCOLAZIONE del DENARO CONTANTE)
Come è ormai noto a tutti, dal 6 Dicembre 2011,
la libera circolazione di denaro contante e relativi
pagamenti è limitata ad € 1.000,00. Ciò significa che
per importi pari o superiori al nuovo limite, occorre
utilizzare mezzi tracciabili. La norma fa riferimento a
quella originaria (D.Lgs. 231/2007) che parla di divieto
di circolazione per importi “pari o superiori” a….., ciò
sta a significare che già il limite minimo (pari) di €
1000 rientra nell’ obbligo della tracciabilità.
Non è la prima volta che si interviene su tale
problematica; ricordiamo che questo è il sesto
intervento in materia:
- Fino al 29 Aprile 2008 = limite € 12.500,00
- Dal 30 Aprile 2008 al 24 Giugno 2008 = €
5.000,00
- Dal 25 Giugno 2008 al 30 maggio 2010 =
limite € 12.500,00
- Dal 31 Maggio 2010 al 12 Agosto 2011 =
limite € 5.000,oo
- Dal 13 Agosto 2010 al 5 Dicembre 2011 =
limite € 2.500,00
- Dal 6 Dicembre 2011 = limite € 1.000,00
Esaminando più dettagliatamente la norma, l’ art. 12
co 3 del D.L. 201/2011 limita l’ uso del contante e dei
titoli al portatore”, quindi, non è il solo denaro contante
ad essere interessato, ma anche i libretti e i depositi
bancari o postali, gli assegni (bancari/circolari) e
vaglia bancari o postali, se “al portatore”.
Una particolare attenzione è da porsi alle operazioni
c.d. “frazionate” non dipendenti da un accordo
contrattuale, le quali, ritenute artificiosamente
“spezzettate”, entrano nella limitazione dei 1000 euro
anche se, singolarmente, di importo inferiore.
Un esempio può chiarire meglio il concetto :
Un soggetto, obbligato a versare una somma di € 3000
a saldo di un debito, decide di versare detta somma
in 5 quote da € 600 ciascuna, ritenendo di poter
pagare in contante ogni quota in quanto inferiore al
limite di € 1000. Detto frazionamento di somma è
ritenuto irrilevante in quanto l’ importo complessivo
viene ritenuto comunque riferito ad € 1000, e ogni
versamento “frazionato”, anche se di importo
inferiore, dovrà essere effettuato comunque con mezzi
46
tracciabili. Viceversa i pagamenti “frazionati” ritenuti
leciti e quindi anche per importi inferiori al limite
potranno essere effettuati se il “frazionamento” deriva
da un accordo precontrattuale (le parti avevano già
stipulato un accordo che prevedeva tali pagamenti in
tempi diversi e per importi inferiori al limite).
Si ricorda che per pagamenti non si intende solo il
classico saldo di una fattura, ma viene ritenuto tale
qualsiasi trasferimento a terzi di denaro contante o
titoli al portatore.
Altro esempio per spiegare meglio: Se io verso una
somma, pari o superiore ad € 1000 nel mio c/c, questa
operazione non è ritenuta un pagamento, bensì un
versamento nel proprio conto; se, viceversa, effettuo
un versamento, attraverso bonifico, in un conto
corrente di altri soggetti, questa operazione è ritenuta
un pagamento e quindi soggetta al rispetto del limite
sulla libera circolazione del denaro contante.
In conseguenza dell’entrata in vigore della norma
che stiamo esaminando, tutti i titoli al portatore
(generalmente depositi in libretti bancari o postali)
di importo pari o superiore ad € 1000, esistenti alla
data di entrata in vigore della norma stessa, dovranno
essere o estinti o riportati ad una soglia inferiore al
limite previsto dei 1000 euro.
La tempistica per effettuare tali operazioni , fissata
precedentemente al 31/12/2011, è stata spostata al
31/3/2012.
Quale scelta potrà essere fatta dal detentore di tali
depositi? O riduce l’ importo del deposito alla soglia
inferiore al minimo, prelevando la differenza, o
estingue l’intero deposito. Fatto ciò il detentore delle
somme, che potrebbero essere anche a titolo di caparra
da contratti di locazione, potrà versare la somma
contante nel proprio c/c, aprire un ulteriore c/c, aprire
un altro deposito bancario o postale però “nominativo”.
Ovviamente non potevano mancare le sanzioni in caso
di non ottemperanza alle nuove disposizioni, e più
precisamente:
- Per tutti i trasferimenti di denaro di importo
superiore al limite consentito, per la mancata
indicazione della clausola “non trasferibile”
e del nome del “beneficiario” negli assegni
l’amministratore
Speciale
bancari/circolari o postali, la sanzione va
dall’1% al 40% dell’ importo dell’ operazione
con un minimo di € 3000. Il minimo dell’ 1%
è elevato al 3% in caso di importo superiore
ad € 50.000.
- Per i libretti bancari o postali al portatore di
importi superiori al limite, la sanzione va dal
20% al 40% del saldo. In caso di importo
superiore ad € 50.000, la percentuale diventa
dal 30% al 60% (con la maggiorazione quindi
del 50% rispetto alla precedente).
- Per mancata estinzione o riduzione dell’
importo dei depositi al portatore entro il 31
marzo 2012, è applicabile la sanzione dal 10%
al 20% del saldo (con la maggiorazione del
50% in caso di importi superiori a € 50.000).
In caso di saldi inferiori a € 3000, la sanzione
è pari allo stesso saldo.
Un allarme ingiustificato è dato dalla supposta
impossibilità di prelevare o versare somme nel proprio
conto corrente di ammontare pari o superiore al limite
dei 1000 euro.
E’ stato confermato che detti prelievi o versamenti
sono liberi e senza determinare, in modo automatico,
ANACIDAY
una violazione in materia. Ogni Istituto di credito o
postale dovrà valutare, unitamente ad altri elementi,
la ricorrenza dei presupposti per ritenere “sospetta”
quell’ operazione, in quanto, il più delle volte, la stessa
nulla ha di veramente “sospetto”. Si pensi a versamenti
da parte di un Amministratore di condominio nei
conti correnti dei vari complessi gestiti, e relativi
alla riscossione delle rate condominiali effettuati
direttamente nel proprio ufficio.
Prelevamenti frequenti dal proprio conto corrente e
anche per importi superiori ad € 15.000 possono indurre
a ritenere le stesse “sospette”, mentre prelevamenti di
somme, magari sempre uguali, mensilmente, rientrano
nella vita quotidiana di ogni cittadino.
Altra prescrizione: le Pubbliche Amministrazioni non
potranno più pagare stipendi o altre somme di importo
superiore ad € 1000 (nella bozza era previsto € 500)
se non con accreditamento in c/c bancari o postali o
con altri strumenti elettronici scelti dal beneficiario.
In generale anche i pensionati dovranno dotarsi di un
c/c. A tal proposito i conti correnti aperti da soggetti
titolari di pensioni minimi o sociali, saranno oggetto
di particolari convenzioni al fine di azzerare i costi di
mantenimento del rapporto stesso.
l’amministratore
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Speciale
ANACIDAY
IMPRESE E CONDOMINIO,
DALL’ODIERNA CONGIUNTURA
ALLE EVOLUZIONI PROBABILI
Saverio Fossati
I rapporti tra imprese e condominio sono sempre caratterizzati da pericolose vischiosità, dovute alla caratteristica fondamentale del condominio: non si tratta di
una società di capitali dove l’amministratore delegato
ha pieni poteri di organizzazione e amministrazione
ma di un istituto fondamentalmente democratico dove
ognuno ha il diritto di modificare il corso delle decisioni dell’amministratore (condominiale) proponendole in assemblee periodiche e spesso assai frequenti.
La scarsa autonomia dell’amministratore, che sovente
incontra la surrettizia adesione del professionista a una
situazione in cui anche le sue responsabilità vengono
fortemente limitate, lascia però spazio all’intervento
di condomini spesso poco esperti e, a volte, semplicemente desiderosi di procurare lavoro a un’impresa con
la quale hanno un rapporto di fiducia o amicizia, a prescindere da effettive capacità che difficilmente sono in
grado di valutare.
Per questo la riflessione andrebbe condotta, anzitutto, su questo piano: come convincere i partecipanti al
condominio che prima di agire, magari ingenuamente,
nell’interesse dell’impresa, occorrerebbe munirsi degli
indispensabili strumenti di valutazione che solo pochi
non professionisti possiedono? L’amministratore dovrebbe anzitutto invertire il suo atteggiamento, spesso
determinato dal fastidio per un’espressa sfiducia nei
suoi confronti o in quelli dell’impresa da lui individuata, aiutando i condomini a capire meglio cosa vanno
discutendo e proponendo. La trasparenza, in un regime
iperdemocratico come quello del condominio, è condizione necessaria per convincere i condomini della
bontà della propria azione. Non lasciare che siano i
condomini a decidere senza il dovuto aiuto, a costo di
suscitare sospetti di parzialità, dovrebbe essere preciso
dovere deontologico del professionista.
Fatta questa premessa, è giusto richiamare in breve i legami formali tra impresa e condominio che, a
48
prescindere dal contratto di appalto o fornitura, negli
ultimi anni si sono accumulate sulle spalle dell’amministratore, prime tra tutte l’obbligo di effettuare la
ritenuta d’acconto sui compensi e le responsabilità in
merito alla sicurezza sul lavoro in quanto committente.
La sentenza sulla parziarietà dei debiti condominiali
(Cassazione, sezioni unite 8 aprile 2008, n. 9148) ha
poi ulteriormente complicato i rapporti tra l’amministratore e l’impresa, perché il rapporto di fiducia si incrina quando il professionista è costretto a comunicare
che le insolvenze dei condomini si riverberano necessariamente sui creditori
Sotto il primo profilo, non resta che registrare che l’obbligo avrebbe dovuto servire a far emergere il “nero”
delle imprese che lavorano con i condominii ma come
di consueto gli efetti sono stati inutili in alcune zone
d’Italia, dove tutto è continuato come prima, e superflui laddove la pratica delle fatture regolari era già seguita.
Sotto il secondo profilo, va sposata la prudenza che
uno studioso come Silvio Rezzonico ha usato nell’affrontare il problema, affermando che nel condominio,
inteso come luogo di lavoro, la titolarità degli obblighi
di sicurezza, di cui al Dlgs 81/08, dipende dalla qualificabilità o meno del condominio come datore di lavoro.
Sul condominio infatti gravano gli obblighi previsti,
a carico del datore di lavoro, solo nei confronti dei
propri lavoratori subordinati. In caso di affidamento
dei lavori ad una impresa appaltatrice o a lavoratori
autonomi, è prevista la cooperazione e il coordinamento in merito alla predisposizione delle misure di
prevenzione dei rischi sul lavoro, incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, mediante l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei
rischi da interferenza (Duvri), da allegare al contratto
l’amministratore
Speciale
di appalto o d’opera. Sul condominio datore di lavoro
incombe infatti l’obbligo, sancito dall’articolo 26 del
richiamato decreto, di informazione reciproca, al fine
di eliminare i rischi dovuti alle interferenze con i lavori
delle imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera. E,
tuttavia, ai sensi del comma terzo dello stesso articolo
26, le disposizioni riguardanti la redazione del Duvri
non si applicano ai rischi specifici, propri dell’attività
delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Alla stregua di quanto sopra, riteniamo che
sul condominio - datore di lavoro e committente dei
lavori - incombesse l’obbligo di nominare il coordinatore della sicurezza. In ogni caso, le sanzioni pecuniarie e le responsabilità conseguenti alla violazione
degli obblighi di cui al Dlgs 81/08 gravano sul condominio e non sull’amministratore, che è solo il legale
rappresentante del condominio. Per quanto riguarda
l’infrazione relativa al dipendente sprovvisto di casco
e di protezione su una scala mobile, riteniamo che la
responsabilità debba addebitarsi all’appaltatore, posto
che l’infrazione sembra da ricollegare, con prevedibile
nesso di casualità, alle situazioni di pericolo derivanti
dall’attività propria dell’impresa.
Sotto il terzo profilo, va fatta una riflessione pratica:
se che il contratto annuale con l’amministratore è stato
stipulato in nome e per conto del condominio ed è stato
fatto proprio o ratificato dall’assemblea, l’impresa creditrice può agire nei confronti dei proprietari in base
alla sentenza del 2008. Va però ricordato che se è da ritenere che il condominio continua a essere debitore nei
confronti di una impresa pur avendo liquidità in cassa
l’amministratore deve provvedere al saldo di quanto
dovuto, anche in presenza di morosità.
In ogni caso, questa sentenza ha subito parecchi attacchi giurisprudenziali, che fanno presagire una marcia indietro. L’ultimo dei quali è stato mosso con la
sentenza 21907/2011 della Cassazione (presidente
Triola), che ha scelto però un’altra strada: partendo
dal caso concreto, quello di una comunione ereditaria
(quindi solo indirettamente legato al condominio), si è
spinta a un’interpretazione più ampia del concetto di
solidarietà passiva, arrivando a non ritenere «persuasiva la tesi che la solidarietà passiva, a parte le ipotesi
speciali espressamente volute dal legislatore, dipenda
dalla (e si leghi indissolubilmente alla) indivisibilità
della prestazione e sia preordinata a proteggere, in fase
ANACIDAY
esecutiva, soltanto l’unità della prestazione indivisibile». La seconda sezione richiama quindi le ragioni
storiche della solidarietà passiva, introdotta «in conseguenza della commercializzazione delle obbligazioni
civili al fine di rafforzare, nella fase di attuazione del
rapporto obbligatorio, tanto le probabilità per il creditore di vedere soddisfatto il suo interesse creditorio al
bene oggetto della prestazione quanto la “comunione
di interessi” dalla quale, nella realtà della vita, “più
debitori... obbligati per un solo debito... sono legati
intimamente” (Relazione al codice civile, n. 597)».
Quindi, conclude il collegio, dato che «il fondamento
della solidarietà passiva non risiede nell’esigenza di
tutelare l’adempimento unitario di una obbligazione
avente per oggetto una cosa o un fatto non suscettibile
di divisione, bensì in quella di rafforzare le probabilità
per il creditore di conseguire la prestazione, sia questa
divisibile o indivisibile, è da escludere che l’indivisibilità della prestazione costituisca un necessario predicato dell’idem debitum».
Il deposito di questa sentenza, che pur surrettiziamente
è di fatto in contrasto con la 9148/2008, può quindi
rappresentare il mattone principale di un ritorno delle
Sezioni unite sulla questione, in modo da temperare gli
effetti della pronuncia del 2008 e rendere finalmente
più semplici i rapporti con l’impresa.
l’amministratore
La chiesa di San Cristoforo - Milano
49
Varie ed eventuali
SESTO SAN GIOVANNI: NOVITA’
NEL RISCALDAMENTO
In un teatro, il Manzoni di Sesto
San Giovanni, affollato in platea
ed in galleria all’inverosimile,
più di ottocento persone, senz’altro i colleghi Nino Berti, Alberto
Bonisolo, Giorgio Buonavitacola, Federico Cini, Guido Giuliani, Giuseppe Pisano, Stefano
Romanini, Alessandro Zaghini,
Virgilio Zanardi, Bruno Zoccoli
hanno organizzato l’interessante
convegno sulle nuove normative
della Regione Lombardia in materia di riscaldamento (valvole e
ripartitori).
Dopo un intervento interessante
del rappresentante della A2a, che
si è intrattenuto sul teleriscaldamento, l’intervento del rappresentante tecnico della Regione
Lombardia è stato pesantemente
contestato dalla cittadinanza sestese, in quanto la nuova normativa porterà ad ogni condomino,
a seconda del numero dei termosifoni, spese non indifferenti.
E ciò in un momento in cui in
molti condominii vi sono difficoltà nell’incasso delle quote
condominiali.
Il termotecnico Simone Prosperi
ha intrattenuto la platea e la galleria sulle particolarità tecniche
di valvole e ripartitori.
L’avv. Marina Figini del Centro
Studi Condominiali di Milano
ha illustrato dal punto di vista
giuridico l’obbligatorietà della
normativa.
Alla fine, dibattito acceso che
il collega Berti moderatore del
convegno ha faticato a dirigere .
All’inizio Dario Guazzoni nella
sua qualità di presidente provinciale e Pietro Membri nella sua
qualità di presidente nazionale
avevano introdotto il convegno
soffermandosi sull’istituto giuridico condominio che rappresenta l’ottanta per cento della proprietà immobiliare italiana e che
il Parlamento sta per modificare
pesantemente in alcuni punti della vigente normativa giuridica.
SITO ANACI
MILANO
Ricordiamo ai
colleghi ed ai lettori
de L’Amministratore
che sul sito ufficiale
di Anaci Milano,
è pubblicato ogni
numero della rivista.
www.
anacimilano.it
La platea del teatro Manzoni gremita
50
l’amministratore
Gianfranco Corazza
Claudio Vai
Maurizio Vanzini
Guido Faini
Giorgio Buonavitacola
Leonardo Caruso
Vitantonio Palmisano
Paolo Frisenna
Gianfranco Calvio
LA CARTINA DELLE 9 DELEGAZIONI ANACI IN PROVINCIA DI MILANO
Varie ed eventuali
Le 9 delegazioni
dell’Anaci in provincia
Questa rubrica è dedicata a ciò che succede in provincia
di Milano. Tutti i responsabili di zona dell’Associazione
relazionano sulla situazione in modo tale da tenere aggiornati
gli associati sulle novità delle varie aree territoriali.
Un servizio che Anaci crede possa essere utile per tutti i lettori
per far loro capire quali siano le realtà che ci circondano.
CINISELLO BALSAMO – Leonardo Caruso – Via Vittoria, 7 – Tel./Fax 02/66014056
Per rimare sempre aggiornati su tutto
quello che accade a Cinisello Balsamo
sarà sufficiente iscriversi alla Newsletter del Comune. Si tratta di uno dei
principali strumenti di comunicazione
offerti dal Comune. Ha cadenza settimanale e comprende tutte le notizie
che riguardano la vita della città: eventi, incontri, progetti e iniziative del
Comune e delle diverse associazioni
che operano sul territorio e che hanno
ottenuto il patrocinio del Comune.
Abbonarsi alla Newsletter rappresenta
il modo più semplice ed efficace per
restare sempre aggiornati in tutti gli
ambiti, dalla politica alla cultura, dallo
sport al volontariato e molto altro ancora. Inoltre, già a partire dallo scorso
marzo, è attiva una nuova newsletter,
denominata “News Giovani”, con cadenza quindicinale, dedicata principalmente agli under 30 e legata al
sito “Pagine Giovani” del Comune. La
news raccoglie notizie sugli eventi promossi da e per i giovani, sulle iniziative
del Comune e delle Associazioni locali.
Sarà inoltre possibile reperire informazioni su bandi, concorsi, opportunità
di lavoro e di formazione. La newsletter è gratuita e l’iscrizione semplicissima: basta inserire il proprio indirizzo
e-mail nell’apposito spazio che si trova
nell’home page del sito istituzionale.
ABBIATEGRASSO - Claudio Vai - Ozzero Cascina Sega, 3 - Tel. 347/8889531 - Fax 02/90834421
E’ stata costituita ufficialmente il 23
gennaio a Calvignasco l’Azienda Speciale Consortile, dopo anni di lavoro e
confronto tra i Comuni del territorio
per rispondere alle problematiche sociali
acuite ultimamente dalla crisi. I 15 Comuni: Abbiategrasso, Albairate, Besate,
Bubbiano, Calvignasco, Cassinetta di
Lugagnano, Cisliano, Gaggiano, Gudo
Visconti, Morimondo, Motta Visconti,
Ozzero, Rosate, Vermezzo, Zelo Surri-
52
gone con una popolazione complessiva
di ca. 79.000 abitanti hanno portato a
termine un lavoro condiviso per gestire
il Piano di Zona socio-sanitario e, più in
generale, la gestione dei servizi alla persona a prevalente carattere sociale. “Data
la rivoluzione nei finanziamenti, tolti dal
governo - ha detto l’assessore Garzetti cerchiamo di mantenere i servizi. Questa
Azienda gestirà tutti i servizi alla persona,
si occuperà prevalentemente delle fasce
l’amministratore
deboli della cittadinanza: minori, disabili,
anziani, adulti in difficoltà. E’ importante
soprattutto per i Comuni più piccoli
condividere le esigenze per dare risposte
che da soli stenterebbero ad affrontare.
L’Azienda Speciale consortile si è scelto di
costituirla a Calvignasco, il Comune più
piccolo, perché si è superato ogni particolarismo comunale e per sottolineare che
l’Azienda rappresenta tutta la comunità
dell’abbiatense, senza distinzioni”.
Varie ed eventuali
SESTO SAN GIOVANNI - Giorgio Buonavitacola - Via Dante, 105 - Tel. 02/2440343 - 02/2423604 - Fax 02/24235787
All’inizio del 2012 la città di Sesto
San Giovanni deve far fronte a un’escalation di atti vandalici che hanno
preso di mira i giochi e le attrezzature
dei parchi pubblici. Spesso sono vere e
proprie bande di giovinastri annoiati
che danno corso alle loro bravate per
riempire serate altrimenti vuote di
contenuti. Già nello scorso dicembre
l’argomento è arrivato sul tavolo del
Consiglio Comunale e si evidenziava
lo stato di degrado dei giochi per i
bambini presenti nei giardini di Carlo
Marx, della Villa Zorn - in pieno centro - ed al parco Comi. L’Amministrazione si è presa a carico la segnalazione
precisando tuttavia che non è possibile
effettuare le riparazioni in quanto verrebbe meno la ‘certificazione’ delle
attrezzature danneggiate, né acquistarne subito di nuove, visti i prezzi delle
stesse. Risultato: rimozione dei giochi
danneggiati. Vengono a mancare in
special modo quelli dedicati ai bambini
in fascia di età 0/3 anni. Si auspica
che con il fondo di integrazione di €
800.000 che il Comune riceverà dalla
Regione come premio per la virtuosità
dei propri bilanci si proceda all’acquisto dei giochi rimossi ed a studiare la
futura stipulazione di una polizza assicurativa specifica per gli atti vandalici
che purtroppo accadono.
MELZO - Guido Faini - Via Verdi, 1 - Tel. 02/95738228 - Fax 02/95711686
Il Sistema Bibliotecario Milano Est (SIME) è giunto su Facebook! Con questa
novità da oggi è possibile condividere le
recensione dei libri, parlare degli eventi
organizzati dalle singole biblioteche o
direttamente dal SBME e pubblicarne le
foto. Il SIME fornisce servizi per le biblioteche dei 30 Comuni associati, tutti geograficamente situati nell’area sud-est della
Provincia di Milano, servendo un bacino
d’utenza di circa 362.413 abitanti. Tale
dimensione permette notevoli economie
di scala ed elevati standard qualitativi di
servizio. Fondato nel 1979 da pochi comuni il SIME ora conta 39 biblioteche. Il
SIME ha per scopo promuovere, sostenere e rendere operativi i servizi di informazione e lettura delle biblioteche associate,
valorizzare e diffondere il loro patrimonio
librario e documentario, rendere possibile
l’accesso alle risorse informative remote, promuovere attività culturali legate
alla diffusione della lettura, del libro e
dell’informazione. Il suo funzionamento
è regolato da una convenzione approvata
da tutti i comuni associati. Con questa
esperienza di collaborazione sovraterritoriale si è realizzata una piena integrazione
delle risorse delle biblioteche che renda
possibile a tutti i cittadini l’accesso a tutti
i servizi disponibili, indipendentemente
dalla sede che desiderano utilizzare o del
comune in cui risiedono.
MELEGNANO - Vitantonio Palmisano - Via Nino Bixio, 7 - Tel. 02/9834157 - Fax 02/9832196
E’ di questo mese la notizia che la
Polizia Forestale di Lodi ha verificato
l’impianto di depurazione delle acque gestito dalla società Sal (Società
Acque Lodigiano) e ne ha disposto il
sequestro giudiziario del sito ubicato
al Costino. La denuncia è stata promossa da Legambiente Lombardia, la
quale ha indicato anche i depuratori
“di agglomerato” di San Giuliano Ovest e San Giuliano Est con Mediglia,
Melegnano con Vizzolo Predabissi, San
Colombano al Lambro insieme a Borghetto Lodigiano e Graffignana come
strutture in procinto di essere multate
dalla Commissione europea a norma
di controlli avviati fra 2007 e 2008.
L’associazione ambientalista ha anche
fornito le motivazioni dello scostamento dai parametri legali: a San Giuliano/
Mediglia l’allacciamento è incompleto,
come del resto a Melegnano/Vizzolo
Predabissi; a San Colombano e comuni
limitrofi ad essere incompleta è la rete
di depurazione. Nella sola Lombardia
ci sarebbero 491 comuni allacciati a
linee di depurazione ritenute inadeguate, parziali, e deficitarie in vari modi
rispetto a quello che è il parametro
guida di oggi ovvero la procedura 2034
del 2009. Dire 491 in lista nera è quasi
un comune su due; il che dà l’idea
dell’estremo tecnicismo della materia.
TREZZANO SUL NAVIGLIO - Gianfranco Corazza - Via Manzoni, 20 - Tel. 02/48401064 - Fax 0248461231
Trezzano sul Naviglio dichiara guerra al
traffico divenuto ormai insopportabile.
La previsione di un nuovo reticolo viabilistico sarà uno dei punti qualificanti
dell’agenda relativa al futuro urbanistico
della città. Il sindaco di Trezzano Giorgio
Tomasino considera di prioritaria importanza affrontare il tema, rimandato da
tanti anni, sul traffico di attraversamento. D’altra parte Trezzano ha le caratteristiche di molte cittadine della periferia
milanese, con la particolarità che oltre ad
essere attraversato dalla tangenziale ovest,
subisce gli effetti negativi del traffico che
transita lungo le due Vigevanesi, la vecchia e la nuova, dei mezzi che da Cusago
vanno verso Gaggiano e Zibido e viceversa. Inoltre, il tessuto industriale e produttivo è inserito nel contesto urbanizzato,
determinando problemi viabilistici anche per il traffico pesante. Nel frattempo, torna d’attualità l’ordinanza emessa
l’amministratore
nel maggio 2011 del limite dei trenta
all’ora nei tratti urbani di Trezzano, non
ancora revocata. Il provvedimento veniva
istituito, temporaneamente e per motivi
di sicurezza, per far fronte alle numerose
voragini presenti nelle vie di Trezzano
che, complici le piogge, il passaggio di
mezzi pesanti e una manutenzione stradale non sempre puntuale, costringono
gli automobilisti a pericolosi slalom per
non rischiare di rovinare la propria auto.
53
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56
l’amministratore
Varie ed eventuali
IL CAFFE’ DEL GENOEUCC
Pinuccio Del Menico
E’ giunta per Milano l’ora di riprendersi un primato. Basta con
l’apologia di “na tazzulella ‘e
caffè”. Riprendiamoci la nostra
chicchera, la tazzina con il manico, che prese nome dal termine
spagnolo “jicara” che a sua volta
deriva dalla parola atzeca che indicava il guscio di un frutto tropicale usato come ciotola.
A confermacelo non una leggenda, ma la storia. Quella iniziata
nel 1570, quando il medico e
botanico veneziano Prospero Alpino cominciò a prescrivere l’infuso come medicina per le sue
qualità “ stimolanti e digestive”.
Peccato che soli trentanni dopo
Papa Clemente VIII condannò il
suo uso considerandolo una eresia. Per fortuna lo assaggiò e si
ricredette velocemente.
Nel 1670 aprì il primo bar a Berlino. Cinquantanni dopo il Florian
a Venezia. Bisognerà attendere
oltre due secoli però per vedere
la prima macchina del caffè. La
inventò il torinese Angelo Moriondo che la brevettò il 16 maggio 1884 sotto la voce: “Nuovi
apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantaneo
del caffè in bevanda”. Ma ancora
si trattava in un infuso, nulla a
che vedere con il cremoso corroborante dei nostri giorni.
La svolta avvenne 17 anni dopo,
e qui si ritorna nella nostra Milano, grazie all’ intuizione di
Luigi Bezzecchi che brevettò il
5 giugno 1902 le “Innovazioni
negli apparecchi per preparare e
servire istantaneamente il caffè
in bevanda”. Un curioso bidoncino verticale di lucidissimo ottone con caldaia scaldata da un
fornello che permetterà di servire di volta in volta la bevanda
l’amministratore
ai clienti senza attingere, come
nella precedente versione della
macchina, ad un serbatoio pieno
di caffè già preparato. Insomma
aroma fresco ad ogni tirata di
manetta.
57
Varie ed eventuali
Tre anni dopo il brevetto venne
acquistato da Desiderio Pavoni che nella sua piccola officina
di via Parini cominciò la produzione di una macchina al giorno
dando il via ad un successo che
si concretizzò l’ anno successivo
nella prima Fiera Internazionale
di Milano.
In breve tutti i bar ne ebbero una.
Ma a casa? Trionfava ancora la
vecchia cuccuma, magari alimentata dall’olandese che altro
non era se non cicoria tostata e
così chiamato perché la coltivazione della pianta erbacea era
sviluppata soprattutto nel nord
Europa, quando Alfonso Bialetti,
nel 1933, nella sua fabbrichetta
di Crusinallo, vicino Verbania,
inventò la Moka, quella dei Caroselli con l’omino coi baffi creato dalla matita di Paul Campani.
Ma come deve essere preparato
un caffè al bar per essere perfetto? Innanzi tutto non è detto che
una buona miscela dia un buon
caffè. Il primo e fondamentale
requisito è che i chicchi di caffè, magari provenienti da una
confezione appena aperta, siano
macinati al momento. Il dosato-
re deve rilasciarne nel filtro sette
grammi. Con meno risulterebbe
annacquato. Poi va pressato con
una forza pari a venti chilogrammi, badando bene che sia disposto
nel filtro perfettamente orizzontale affinché l’ acqua, che funge
da solvente, passi uniformemente. Infine il tempo occorrente per
farlo scendere nella chicchera
che deve essere tra i venti e i
trenta secondi. E quindi via con
la fantasia ed il gusto personale.
Caffè ristretti o lunghi, macchiati
o corretti, marocchini e bicerin
con l’opzione del decaffeinato.
Discorso a parte per i cappuccino
dove la mano del barista si sente
anche nella preparazione del latte. In una tazza da 20 centilitri
andranno un espresso, latte e aria.
Questi ultimi due ingredienti
perfettamente amalgamati tra di
loro, in modo che la schiuma non
presenti tracce di bollicine che
devono essere invisibili. Fondamentale la temperatura che deve
essere tra i 55 e i 60 gradi. A casa,
invece non rimane che ripescare
la vecchia moka. Una sola atmosfera di pressione contro le 9 della macchina al bar, ma un aroma
prezioso se si ha la cura di macinare i chicchi a momento, magari
dopo avere ripescato il macinino
della nonna. Chissà magari proprio quello che serviva a preparare una specialità che più milanese
di così non si può: il caffè del genoeucc. In realtà di gastronomico
c’è molto poco e bisogna ritornare ai tempi pre movida, quando il
lavoro era tanto e la sera si andava a casa presto. Milano diventava così una città deserta,i bar e le
osterie chiuse, pochi tiratardi in
giro che finivano inevitabilmente sotto i portici meridionali di
piazza Duomo. Unica bevanda a
disposizione era proprio il caffè
distribuito da un carrettino sopra
il quale stava una piccola caldaia con il rubinetto. Un carrettino
talmente basso che il venditore,
per riempire la chicchera, doveva abbassarsi fino ad appoggiare un ginocchio a terra. Poi lo si
beveva chiacchierando seduti su
di un gradino o una panchina e
nelle pause tra un sorso e l’altro
la tazzina veniva appoggiata sul
ginocchio. Due le versioni. A voi
la scelta sul come è nato il “caffè
del genoeucc”.
Importante novità sui
CORSI DI FORMAZIONE PER DIPENDENTI DI CONDOMINIO
sulla sicurezza nel lavoro (d.lgs. 81/2008)
Per le ultime novità legislative, i dipendenti di condominio che hanno già frequentato il corso
di formazione dovranno essere aggiornati quinquennalmente tramite nuovo corso di 6 ore.
I dipendenti che hanno frequentato il corso prima del 2008 dovranno frequentare, entro
gennaio 2013, un corso di aggiornamento di 6 ore.
Informazioni e prenotazioni presso la sede Anaci di Milano
e-mail: [email protected]
tel. 0258322122
58
l’amministratore
Tasse e guai
Cedolare secca
Romano Bionda
Rammentando che, con il decreto legislativo
n. 23 del 14 marzo 2011, il legislatore delegato ha introdotto nel nostro ordinamento tributario la cosiddetta “cedolare secca” sui canoni di
locazione ad uso abitativo percepiti da persone
fisiche (vedi: Luigi Donzelli, Cedolare secca, in
“L’Amministratore” n. 4/2011 pag. 59), si ritiene utile ritornare in argomento al solo scopo
di illustrare gli aspetti sanzionatori innovati dal
ricordato decreto legislativo, anche alla luce dei
chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate
con la Circolare n. 26/E, emanata dalla Direzione
Centrale Normativa.
imposta dovuta, nel caso di indicazione nella
dichiarazione dei redditi di un canone inferiore all’effettivo (infedele dichiarazione).
Nell’ipotesi in cui l’accertamento dell’ufficio,
relativamente ai canoni di locazione ad uso abitativo, sia accettato dal contribuente oppure questi pervenga, con l’ufficio, ad un accertamento
con adesione, le sanzioni previste per il caso di
omessa dichiarazione o di infedele dichiarazione si applicano nella misura già prevista (quindi: non raddoppiata) ma senza la riduzione ad
un quarto del minimo, in deroga al terzo comma
dell’art. 3 del D.Lgs. 218/1997.
Sanzioni in tema di imposizione diretta.
Atteso che la normativa sulla “cedolare secca”
è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico al dichiarato scopo di contrastare l’evasione fiscale, nei casi di omessa dichiarazione o di
infedele dichiarazione (cioè se nella dichiarazione dei redditi delle persone fisiche il canone di
locazione degli immobili ad uso abitativo non è
dichiarato oppure è dichiarato in misura inferiore
a quella effettiva) le sanzioni previste dall’art. 1,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 dicembre
1997 n. 471, sono raddoppiate e precisamente:
Analogamente, anche la sanzione del 30%,
prevista per il caso di omesso o tardivo versamento delle imposte afferenti i redditi di locazione di immobili ad uso abitativo, viene applicata
in misura piena anche nelle ipotesi di rinuncia al
ricorso o di accertamento con adesione.
Si segnala poi, ai fini dell’accertamento, che
l’art. 41 ter del D.P.R. n. 600 del 29 settembre
1973 (introdotto dal comma 342 dell’art. 1 della legge n. 311/2004) prevede che, in caso di
omessa registrazione del contratto di locazione,
si presuma l’esistenza del rapporto di locazione
anche per i quattro periodi d’imposta antecedenti
a quello nel corso del quale è stato accertato il
rapporto. In tal caso, ai fini della determinazione del reddito imponibile, si assume un canone
annuo pari al 10% del valore catastale dell’immobile (pari a cento volte la rendita catastale rivalutata del 5%).
• la sanzione amministrativa già prevista
nella misura dal 120 al 240 per cento dell’imposta dovuta, con un minimo di 258 euro, si
applica nella misura dal 240 al 480 per cento
dell’imposta dovuta, con un minimo di 516
euro, nel caso di omessa indicazione del canone nella dichiarazione dei redditi;
• la sanzione amministrativa già prevista
nella misura dal 100 al 200 per cento della
Per completezza, si rammenta che, in materia
maggiore imposta dovuta, si applica nella mi- di imposte sui redditi, l’attività di accertamento
sura dal 200 al 400 per cento della maggiore degli Uffici finanziari è preclusa nel caso in cui il
l’amministratore
59
Tasse e guai
proprietario, nella propria dichiarazione dei redditi, indichi l’ammontare più elevato tra:
• il canone di locazione risultante dal contratto, ridotto del 15%;
• il 10% del valore catastale dell’immobile.
Sanzioni in tema di imposizione indiretta e
conseguenze sul piano civilistico.
rendita catastale (se tale importo è inferiore
al canone pattuito tra le parti) che verrebbe
adeguato, dal secondo anno, in base al 75%
dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al
consumo per le famiglie degli impiegati ed
operai (resterebbe invece fermo il canone pattuito tra le parti qualora fosse inferiore alla
predetta misura).
Di particolare rilievo sono le conseguenze che
si possono verificare nell’ipotesi di contratti di
locazione ad uso abitativo non registrati o registrati per un importo inferiore all’effettivo oppure sotto forma di comodato fittizio.
Inoltre, nell’ipotesi di un contratto di locazione non registrato, oppure registrato tardivamente, risulta sempre dovuta l’imposta di registro,
maggiorata delle relative sanzioni (dovute solidalmente dai soggetti obbligati a chiedere la registrazione del contratto di locazione).
In primo luogo si ricorda che, a norma dell’art.
1 - comma 346 - della Legge 30 dicembre 2004
n. 311, “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento,
di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i
presupposti, non sono registrati”.
In particolare, l’omessa registrazione del contratto comporta, oltre all’obbligo di versare l’imposta di registro evasa (2% del canone annuo di
locazione) l’applicazione di una sanzione amministrativa il cui importo varia dal 120% al 240%
dell’imposta dovuta (art. 69 del D.P.R. 26 aprile
1986 n. 131).
In secondo luogo, l’art. 3 del ricordato decreto
legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 – con i commi 8 e 9 – introduce una specifica disciplina per i
contratti di locazione ad uso abitativo che, ricorrendone i presupposti di legge, non sono registrati entro i termini previsti: 30 giorni dalla data di
stipulazione del contratto o della sua esecuzione.
Analogamente, il parziale occultamento del
corrispettivo pattuito determina, oltre all’accertamento dell’imposta evasa (2% del maggiore
canone annuo accertato) l’irrogazione di una
sanzione amministrativa il cui ammontare varia
dal 200% al 400% della maggiore imposta dovuta (art. 72 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131).
In tale ipotesi si produrrebbero le seguenti
Si precisa, ad ogni buon fine, che l’attività
conseguenze, sul piano civilistico:
di accertamento è preclusa agli Uffici finanziari
quando il contratto registrato indica un canone
• dalla data della registrazione del contrat- annuo almeno pari al 10% del valore catastale
to, sia essa “volontaria” (su richiesta dell’in- dell’unità immobiliare, ottenuto moltiplicando
quilino) ovvero sia “d’ufficio”, si stabilirebbe per 120 il valore della rendita catastale rivalutata
in quattro anni la durata della locazione, rin- del 5% (art. 52, commi 4 e 5 del D.P.R. 26 aprile
novabile per altri quattro anni, salvo eccezio- 1986 n. 131, come modificato dall’art. 1-bis co.
ni, ai sensi dell’art. 2 comma 1 della legge n. 7 del D.L. 12/07/2004 n. 168 conv. nella Legge
431 del 1998;
30/07/2004 n. 191).
• si fisserebbe, a decorrere dalla data della registrazione del contratto, un canone anAnche all’imposta di registro è stata estesa
nuo di locazione in misura pari al triplo della l’operatività del ravvedimento operoso, che con-
60
l’amministratore
Tasse e guai
siste nell’effettuare spontaneamente gli adem- pendenti alla data del 1° gennaio 2011.
pimenti omessi o irregolarmente eseguiti, entro
determinate scadenze, fruendo in tal modo di una
Tuttavia, per la tardiva registrazione del conriduzione delle sanzioni (art. 13 D.Lgs. 18 no- tratto di locazione restano sempre e comunque
vembre 1997 n. 472).
dovute, dalle parti contraenti, le sanzioni commisurate all’imposta di registro calcolata sul corriIn proposito, si ritiene opportuno richiamare i spettivo pattuito per l’intera durata del contratto.
chiarimenti forniti dalla Circolare n. 26/E dell’A- Naturalmente, qualora i soggetti obbligati alla
genzia delle Entrate per il caso in cui il locatore, registrazione del contratto si avvalgano dell’istiin sede di registrazione tardiva del contratto di tuto del ravvedimento operoso, le sanzioni dovulocazione, eserciti l’opzione per il regime della te in solido dalle parti contraenti sono ridotte ad
cedolare secca.
un ottavo del minimo (nuova misura della riduzione introdotta, a partire dal 1° febbraio 2011,
Atteso che la cedolare secca sostituisce l’im- dall’art. 1- comma 20 - della legge 13 dicembre
posta di registro dovuta sul canone di locazione, 2010 n. 220).
per il periodo di durata dell’opzione per la cedolare secca il locatore non è tenuto al versamento
Un caso pratico
dell’imposta di registro, neppure nel caso di registrazione tardiva del contratto, qualora i termini
Ipotizziamo che il proprietario abbia concesdi registrazione del contratto siano stati ancora so in locazione un proprio appartamento (la cui
Febbraio 2012 - Milano nella morsa del gelo!
61
l’amministratore
61
Tasse e guai
rendita catastale è pari ad Euro 292,83) ad un canone mensile di Euro 450,00, con un contratto
non registrato.
Qualora l’inquilino provveda autonomamente, pur in assenza di un contratto scritto, alla registrazione del contratto di locazione presentando all’Ufficio una “apposita denuncia in doppio
originale, unitamente al modello 69 debitamente
compilato”, si renderebbe applicabile l’art. 3 –
commi 8 e 9 - del D.Lgs. 14/03/2011 n. 23; di
conseguenza:
• la durata del contratto sarebbe stabilita in quattro anni a decorrere dal momento della registrazione, rinnovabile per altri
quattro anni ai sensi dell’art. 2 della legge n.
431/1998;
• il canone annuo sarebbe fissato nella misura di Euro 922,41 (pari a tre volte la rendita catastale di Euro 292,83 rivalutata del 5%)
a cui corrisponderebbe un canone mensile di
Euro 76,87 – di gran lunga inferiore a quello
già pattuito tra le parti, di Euro 450,00.
Il proprietario, pur ricevendo un canone mensile di soli Euro 76,87 (drasticamente ridotto
rispetto a quello inizialmente pattuito di Euro
450,00) non dovrebbe poter chiedere lo sfratto
dell’inquilino per morosità perché i contratti non
registrati sono considerati nulli, ai sensi dell’art.
1, comma 346, della legge n. 311 del 30/12/2004.
Non si può concludere, d’altro canto, senza
evidenziare le perplessità che emergono dalla
lettura della norma sopra citata, la quale appare
in aperto contrasto con l’art. 10, comma 3 (ultima parte) della Legge n. 212/2000 (Statuto dei
diritti del contribuente) secondo cui “Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente
tributario non possono essere causa di nullità
del contratto”.
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62
l’amministratore
Tasse e guai
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Si ricorda, preliminarmente, che mentre la
detrazione d’ imposta per opere dirette al risparmio energetico (55%) può riguardare sia
immobili adibiti ad abitazione, che immobili
adibiti ad uso diverso, quella relativa alle manutenzioni ordinarie/straordinarie e ristrutturazione dirette all’ agevolazione del 36%, riguarda esclusivamente immobili adibiti ad
abitazioni e loro pertinenze.
Un’altra avvertenza da tenere presente è data
dal tipo di intervento relativo alla proprietà
dell’ immobile sul quale si attuano alcune spese;
Relativo all’agevolazione del 36%:
- Se l’immobile oggetto delle opere finalizzate all’ agevolazione è PRIVATO,
sono detraibili solo le manutenzioni
STRAORDINARIE e per un massimo di
€ 48.000,00
- Se le opere finalizzate all’agevolazione
hanno per oggetto le parti comuni di un
Condominio, sono agevolabili sia quelle per manutenzioni ORDINARIE che
STRAORDINARIE, e per un massimo
di € 48.000,00 per il numero di unità di
cui è composto il condominio stesso (10
unità = limite di spesa € 480.000,00).
Relativo all’agevolazione del 55%:
- Il problema non si pone in quanto non
è l’immobile il riferimento principale,
bensì l’ opera tra quelle tassativamente previste e che devono avere la
certificazione del Tecnico abilitato.
Limitiamo il vademecum alle opere di
manutenzioni ordinarie o straordinarie in
CONDOMINIO
Non è raro, anzi è frequente, che in Condominio vi sia la necessità di procedere a manutenzioni sia ordinarie che straordinarie, così come
è più raro, o meglio meno frequente, che si
debba procedere ad opere finalizzate al risparmio energetico.
Generalmente è lo stesso Amministratore che
pone il problema, ma è normale anche che siano gli stessi condomini a chiedere gli interventi ritenuti necessari.
Se l’opera non riveste carattere di urgenza e l’iniziativa viene dall’ Amministratore, questi la
inserirà nell’Ordine del Giorno della prima Assemblea utile (generalmente quella ordinaria
annuale); ma è anche possibile che, sempre su
iniziativa dell’ Amministratore, venga indetta
una Assemblea Straordinaria. L’inserimento
può essere suggerito dagli stessi condomini o
dai vari Consiglieri, se esistenti, così come può
essere richiesta formalmente da almeno 2 condomini che rappresentino almeno 1/6 dei millesimi di proprietà (art. 66 delle disp. Att. Del
codice civile).
In ogni caso, e da qualsiasi parte o modo in cui
viene richiesta la discussione, è bene, e necessario/opportuno in caso di cifre rilevanti, che
ogni delibera venga presa in piena coscienza in
seno ad una regolare assemblea dei condomini, convocata secondo le norme ad essa applicabile e con i quorum di legge a secondo del
caso specifico.
Fatta la doverosa premessa, si passa quindi in seno all’Assemblea ad analizzare la
l’amministratore
63
Tasse e guai
problematica in atto e le possibili soluzioni.
Difficilmente l’ Assemblea, alla prima riunione, delibera l’ opera e stanzia i fondi relativi;
si dovrà, eventualmente decidere il prosieguo
dell’ attività di redazione di un capitolato di
appalto da parte di un tecnico. In quella riunione preliminare, quindi, si affiderà l’incarico
ad un tecnico del settore, stabilendo anche un
preventivo di spesa.
Ovviamente ci stiamo riferendo al lavori di una
certa importanza e non certo per il cambio di
lampadine o di aggiustamento di un tombino o
di un pluviale; in tale contesto si dovrà verificare la possibilità che quel determinato lavoro
rientri o meno nelle opere per le quali è prevista l’ agevolazione del 36% o 55% (vedi Guide
Operative dell’ Agenzia delle Entrate Novembre e Dicembre 2011).
Una volta fatto il capitolato di appalto, che già
prevede dei prezzi di mercato in base ai prezziari in vigore, si procederà alla richiesta di
preventivi alle varie ditte conosciute sia dall’
Amministratore che da parte dei condomini, allegando il capitolato, senza, ovviamente
i prezzi.
E’ buona norma riunire i preventivi e aprirli
alla presenza di alcuni rappresentanti del condomino (es. i consiglieri) per verificarne l’ integrità delle buste e la veridicità del contenuto. Gli stessi preventivi saranno consegnati al
tecnico che ha elaborato il capitolato di appalto per le opportune valutazioni. Nel frattempo
si convocherà una assemblea straordinaria con
la previsione dell’ analisi dei preventivi, la delibera dei lavori e lo stanziamento dei fondi con
le modalità di versamento (anche per avanzamento lavori) e si procederà all’ affidamento
dei lavori deliberati con tutte le previsioni di
tempi, modi di realizzazione, importi da pagare alle relative scadenze, non dimenticando di
far deliberare la possibilità di aprire o un c/c
dedicato all’ operazione o un libretto nominativo per il deposito delle somme relative all’ intervento.
Un Amministratore accorto pretenderà la nomina anche di un Direttore Lavori e di un Responsabile della Sicurezza o, se il caso, di un
64
Coordinatore per la Sicurezza. Queste figure
di professionisti sollevano l’ Amministratore
da responsabilità specifica e per compiti per i
quali, quasi sempre, lo stesso non è qualificato o competente.
E’ buona norma, soprattutto se in seno alla riunione ci sono state molte opposizioni o “minacce” di impugnazione delle delibere, dare
esecutività alla delibera stessa solo dopo la scadenza dei termini previsti per l’ impugnazione
( 30gg dall’ assemblea per i presenti e 30gg dal
ricevimento del verbale per gli assenti).
Un altro suggerimento operativo: spedire la
copia del verbale assemblea il più presto possibile, ricordando che più si aspetta a spedire le
copie, più si “allunga” il termine dei 30gg per
gli assenti alla riunione, che hanno intenzione
di presentare l’ impugnazione.
Si procederà quindi alla stipula del contratto
di appalto (o d’opera a cui è sempre meglio applicare specificatamente le clausole dell’ appalto). Si ricorda che prima dell’ inizio dei lavori
la ditta appaltatrice dovrà consegnare il DURC
(documento attestante la regolarità contributiva della ditta stessa nei confronti dei dipendenti).
Attenzione: la mancata acquisizione del DURC,
mette a rischio il Condominio, che potrebbe
essere chiamato a rispondere di debiti contributivi non versati dalla ditta appaltatrice relativa ai dipendenti impiegati nell’ opera.
Si firma, quindi, il contratto di appalto, stabilendo soprattutto gli importi a stati di avanzamento.
Si firma anche il mandato professionali a tutti quei tecnici nominati dall’ Assemblea (Direttore lavori, Responsabile o Coordinatore per la
Sicurezza)
Attenzione anche alla redazione, se dovuta o
richiesta, del DVR o del DUVRI, in presenza di
più ditte per rischi da interferenza.
Già prima di iniziare l’ opera si comincerà a riscuotere le somme in base alla tempistica stabilita, versando le stesse o nel c/c dedicato o
nel libretto nominativo. Si ricorda, a proposito, che non esiste un obbligo ad aprire ulteriori
c/c o libretti nominativi, e di depositare il tutto
l’amministratore
Tasse e guai
nello stesso c/c esistente a nome del Condominio; tale accorgimento si mette in atto per evitare che somme destinate ad uno specifico lavoro vengano utilizzati per spese condominiali
che rivestono carattere di gestione ordinaria.
Se il lavoro impone comunicazione ai vari Enti,
sarà il Direttore Lavori a procedere alla redazione delle eventuali domande o denunce, fermo restando che la firma è messa dall’ Amministratore, quale rappresentante del Condominio
da lui gestito.
Quando il Direttore Lavori ha controllato lo
stato di avanzamento lavori, in base ai controlli effettuati in loco e alla verifica della corrispondenza con quanto contenuto nel contratto
di appalto, invia all’ Amministratore l’ importo da versare. L’Amministratore, prelevando la
somma o dal c/c normale o da quello dedicato o dal libretto nominativo aperto allo scopo,
effettuerà un bonifico da ristrutturazione alla
ditta appaltatrice, senza effettuare alcuna ritenuta di acconto.
Si ricorda che fino a Luglio del 2010 era l’ Amministratore ad effettuare una ritenuta di acconto sulla fattura dell’ appaltatore e pari al
4%. Nel 2011, il 4% era passato al 10% ma addossando l’ onere del prelievo all’ Istituto Bancario o Postale che riceveva il versamento. A
fine 2011 la percentuale è ritornata al 4% fermo restando l’ Ente preposto alla trattenuta.
E così fino alla fine dei lavori e saldo di quanto dovuto.
Con la fine dell’ anno (entro i mese di Febbraio
dell’ anno successivo) l’ Amministratore dovrà
redigere un prospetto di riparto ai condomini
(vedi allegato) , specificando l’ importo versato dal Condominio (totale dei bonifici effettuati) e attribuendo ad ogni condomino la quota
a suo carico. In corrispondenza di tali importi,
sarà specificato che tale somma il condomino
l’ ha regolarmente versata o meno. Si ricorda,
pertanto, che l’ agevolazione spetta per versamenti effettivamente effettuati dal condomino,
fermo restando il fatto che l’ Amministratore
l’ abbia regolarmente versata alla ditta appaltatrice entro l’ anno di competenza. Si ricorda
anche che, il condomino che non ha effettuato
il versamento della sua quota entro l’ anno, e
che in base a tale evento non potrebbe detrarre l’ importo nella sua dichiarazione dei redditi, può comunque usufruire della detrazione
se quel versamento lo effettua entro il termine
di presentazione della dichiarazione riferita al
periodo di competenza.
Nel caso in cui i lavori condominiali si sono
protratti oltre l’ anno, l’ Amministratore dovrà procedere a due piani di riparti; uno per le
somme versate nell’ anno e un altro per quelle
versate nel periodo successivo e entro il quale
si sono ultimati i lavori e versamenti.
Pro memoria
Tutte le spese relative alle prestazioni tecniche richieste per l’ intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria sono detraibili agli
effetti dell’ agevolazione, ad eccezione delle
competenze dell’ Amministratore per la maggiorazione a lui spettante e deliberata dall’ Assemblea in relazione alla pratica del 36 o 55%.
Tale eccezione era stata già oggetto di una risposta ad interpello alla Agenzia delle Entrate
da parte di un associato ANACI e ribadita anche negli ultimi provvedimenti del 2011 a livello normativo.
ULTIMO ATTO
E’ opportuno che l’Amministratore presenti il Bilancio consuntivo anche per dette opere
straordinarie con le relative ripartizioni, al fine
di ottenere l’ approvazione da parte dell’ Assemblea e poter procedere ad eventuali azioni
di recupero coattivo per somme non riscosse.
Si ricorda, infine, che le fatture sulle quali è
stata effettuata una ritenuta di acconto confluiranno nel solo modello 770 e non anche nel
quadro AC dell’ Amministratore. Quelle fatture, oggetto di manutenzione ordinaria o straordinarie per le quali è stato effettuato un
versamento attraverso “bonifico da ristrutturazione”, viceversa, vanno elencate nel solo
quadro AC dell’ Amministratore in quanto ad
effettuare la ritenuta di acconto non è stato il
Condominio, bensì l’ Istituto di credito o postale, e spetterà quindi solo ad essi procedere alla redazione e presentazione del modello
770.
l’amministratore
65
Tasse e guai
Manovra “Salva Italia”:
Tassa comunale sui rifiuti e
sui servizi comunali indivisibili
Franco Guazzone
L’ultimo tributo istituito con la
manovra “salva Italia”, a norma dell’art. 14 del Dl 201/2011,
convertito dalla Legge 214/2011,
è quello relativo alle spese di
gestione dei rifiuti urbani e suoi
assimilati, in sostituzione della Tarsu e della TIA, ma anche
a copertura dei costi relativi ai
servizi indivisibili, che i comuni forniscono ai residenti, quali
la manutenzione e l’illuminazione delle strade, i servizi di sicurezza e controllo del territorio,
nonché i costi dei servizi amministrativi.
I soggetti passivi
Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree
scoperte a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani, con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo
familiare o tra coloro che utilizzano in comune i locali o le
aree stesse (inquilini, comodatari, usuari), con esclusione delle aree scoperte pertinenziali o
accessorie a civili abitazioni e
le aree comuni condominiali
di cui all’art. 1117 del C.c., che
non siano detenute o occupate
in via esclusiva.
Nel caso di utilizzi temporanei,
di durata non superiore a sei
66
mesi, nel corso dello stesso anno,
il tributo è dovuto dal possessore dei locali e delle aree a titolo
di proprietà, usufrutto, uso, abitazione o superficie.
Per le multiproprietà e i centri
commerciali integrati, il soggetto che gestisce i servizi comuni
è responsabile del versamento.
La tariffa del tributo
Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote del tributo, entro
la data fissata dallo Stato per il
deposito del bilancio preventivo.
Il tributo deve essere corrisposto sulla base di una tariffa rapportata ad anno solare, in base
ad un’autonoma obbligazione
tributaria, commisurata alla qualità e quantità medie ordinarie di
rifiuti urbani, prodotti per unità di superficie, in relazione agli
usi e tipologie di attività svolte.
Per le unità di tipo ordinario
(Gruppi catastali A, B e C),
iscritte o iscrivibili al Catasto
urbano, la superficie assoggettabile al tributo, è pari all’80%
di quella determinata ai sensi
dell’art. 3, comma 3, allegato C
del Dpr 138/98, con cui si calcola la superficie catastale.
In sostanza, poiché la superficie catastale è comprensiva delle murature interne ed esterne,
riducendola del 20%, si ottiene
l’amministratore
la superficie calpestabile.
Per gli immobili già denunciati,
qualora la superficie risultasse
inferiore a quella catastale, sarà
rettificata dai Comuni, dandone
comunicazione ai contribuenti.
Nel caso in cui negli atti catastali,
manchino gli elementi per determinare la superficie, i Comuni
inviteranno i contribuenti a presentare all’Agenzia provinciale
del Territorio competente, una
planimetria dell’immobile, con
le procedure previste dall’art.1
del Dm 19 aprile 1994, mediante il programma Docfa, previo
incarico ad in tecnico iscritto
all’Albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi,
periti edili o agrari e agrotecnici.
Nel caso di unità di tipo speciale,
iscrivibili nel Gruppo catastale
D, la superficie assoggettabile
al tributo è quella calpestabile.
La tariffa è composta da una
quota calcolata in base al costo
dei servizi di rimozione e smaltimento dei rifiuti, e una quota rapportata ai costi di gestione del servizio, con le modalità
previste da un Regolamento da
emanarsi entro il 31 ottobre
2012, ai sensi dall’art. 17, comma 1 della legge 400/88, su proposta del Ministero delle Finanze e dell’Ambiente.
Alla tariffa come sopra
Tasse e guai
determinata, si applica una
maggiorazione del 30% , a
copertura dei costi indivisibili dei Comuni, che possono elevarla fino al 40% in rapporto
alla tipologia dell’immobile e
della zona in cui è ubicato.
In particolare, sono esclusi dal
tributo le istituzioni scolastiche,
di cui all’art. 33-bis della legge
31/2008.
abitazioni ed aree scoperte, adibiti ad uso stagionale non continuativo, ma
ricorrente;
• abitazioni occupate da
soggetti che risiedano o
abbiano la dimora, per più
di sei mesi all’anno, all’estero;
• fabbricati rurali ad uso
abitativo.
Riduzioni tariffarie
Col regolamento approvato dal
Comune, possono essere previste riduzioni tariffarie, nella
misura massima del 30%, in
caso di:
• abitazione con unico occupante;
• abitazione tenuta a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e/o
discontinuo;
• locali
diversi
dalle
Nelle zone in cui non è svolto il
servizio di raccolta, il tributo è
dovuto in misura non superioreal 40%, in maniera graduale,
in relazione alla distanza dal più
vicino punto di raccolta, rientrante nella zona perimetrata o di
fatto servita.
Nella tariffa, è assicurato un
coefficiente riduttivo : a) per la
raccolta differenziata, riferibile
alle utenze domestiche; b) proporzionale ai rifiuti assimilati
l’amministratore
che il produttore dimostri di aver
avviato al recupero.
E’ facoltà del Comune di concedere ulteriori riduzioni o esenzioni, qualora la relativa copertura sia assicurata da altre risorse.
Il tributo è dovuto nella misura
massima del 20% della tariffa,
nel caso di mancato svolgimento del servizio di gestione rifiuti, ovvero di effettuazione dello
stesso con grave ritardo.
Con regolamento adottato ai sensi dell’art. 52 del Dlgs 446/97, il
Comune determina la disciplina
del tributo riguardante tra l’altro:
a) la classificazione delle
categorie di attività con
omogenea potenzialità
produttiva di rifiuti;
b) la disciplina delle riduzioni tariffarie,
c) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni;
67
Tasse e guai
d) l’individuazione di categorie di attività produttive
di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva
difficoltà di delimitare le
superfici dove tali rifiuti
si formano, percentuali di
riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta;
e) i termini di presentazione delle dichiarazioni e di
versamento del tributo.
Nel caso di occupazione temporanea di locali o aree pubbliche
o di uso pubblico, i Comuni stabiliscono le modalità di applicazione del tributo, in base alla
tariffa giornaliera.
Si ha occupazione temporanea,
quando il periodo di occupazione di protrae per meno di 183
giorni nell’anno.
L’obbligo di presentazione della dichiarazione, è assolto con
pagamento del tributo, con le
modalità e termini previsti per la
tassa di occupazione temporanea
68
di spazi ed aree pubbliche, ovvero col pagamento dell’imposta
municipale secondaria (art. 11
Dlgs 23/2011).
Il tributo provinciale per la tutela, protezione ed igiene dell’ambiente, è applicato nella misura
percentuale deliberata dalla provincia, sull’importo del tributo.
I Comuni che hanno realizzato
sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, possono
prevedere l’applicazione di una
tariffa, avente natura corrispettiva, in luogo del tributo.
I soggetti passivi del tributo presentano la dichiarazione entro
i termini stabiliti dal Comune,
dalla data di inizio del possesso, dell’occupazione o detenzione e, nel caso di occupazione in
comune con altri, la dichiarazione può essere presentata da
uno solo degli obbligati.
La denuncia, redatta su modello
messo a disposizione del Comune, ha effetto anche per gli anni
successivi, sempreché non si
l’amministratore
verifichino modificazioni.
Il tributo comunale sui rifiuti e
sui servizi, è versato esclusivamente al Comune, in quattro rate
trimestrali, scadenti nei mesi di
gennaio, aprile, luglio e ottobre,
mediante bollettino di cc postale, ma è consentito il pagamento
in unica soluzione entro il mese
di giugno.
Il Comune designa il funzionario responsabile, a cui sono
attribuiti tutti i poteri per l’esercizio delle attività organizzative e gestionali, compresa la
sottoscrizione dei provvedimenti afferenti a tale attività, compresa la rappresentanza in giudizio, per le controversie relative
al tributo medesimo.
In tale ambito, detto funzionario può richiedere ai contribuenti, la compilazione di questionari richiedenti informazioni e
notizie, o disporre l’accesso ai
locali ed aree soggette al tributo,
di personale debitamente autorizzato, con preavviso di almeno
sette giorni.
Tasse e guai
Sanzioni
In caso di omesso o insufficiente versamento del tributo,
si applicano le sanzioni di cui
all’art. 13 del Dlgs 471/97.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione dal 100 al 200
per cento del tributo non versato, con un minimo di 50 Euro.
In caso di infedele dichiarazione, si applica la sanzione dal
50 al 100 per cento del tributo
non versato, con un minimo di
50 Euro.
In caso di mancata, incompleta
o infedele risposta al questionario, entro 60 giorni dal ricevimento, si applica la sanzione da
Euro 100 a 500.
Le sanzioni di cui sopra,
potranno essere ridotte ad
un terzo, qualora entro il termine per la proposizione del
ricorso,intervenisse l’acquiescenza del contribuente, col
pagamento del tributo, sanzioni ed interessi di mora.
Per tutto quanto non previsto
dalle disposizioni istitutive del
nuovo tributo, si applicano le
disposizioni di cui all’art. 1,
commi dal 161 al 170, della
legge 296/2006 (Finanziaria per
il 2007) che prevedono quanto segue.
di accertamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello in cui sono stati o avrebbero dovuto essere presentate le
denuncie.
Nello stesso termine dovranno
essere irrogate le sanzioni, ai
sensi degli art. 16 e 17 del Dlgs
472/97.
Motivazione degli avvisi di
accertamento
Gli avvisi di accertamento in
rettifica e d’ufficio, devono
Termini di decadenza per la essere motivati in relazione ai
rettifica delle dichiarazioni o presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno deterdei versamenti
I comuni possono rettificare minati e qualora facessero rifele dichiarazioni e i versamen- rimento ad altro atto, questo
ti insufficienti e accertare quel- dovrà essere allegato o ampiali omessi, notificando gli avvisi mente riassunto nei contenuti.
Il palazzo della Regione Lombardia
l’amministratore
69
Tasse e guai
Riscossione coattiva
Nel caso di riscossione coattiva del tributo, il titolo esecutivo deve essere notificato,a pena
di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a
quello in cui l’accertamento è
divenuto definitivo.
Rimborsi
Il rimborso delle somme versate
e non dovute, deve essere richiesto entro il quinto anno dalla
data del versamento, ovvero da
quello in cui è stato riconosciuto
il diritto al rimborso.
La misura annua degli interessi, è determinata da ciascun ente
impositore, nei limiti di tre punti
di differenza rispetto al tasso di
interesse legale.
Soppressioni
A decorrere dal 1°gennaio 2013,
sono soppressi tutti i prelievi
relativi alla gestione dei rifiuti
urbani, sia di natura patrimoniale, sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti
comunali di assistenza.
Commento
Il nuovo tributo in esame, è composto da una quota prevalente,
che và a sostituire quella precedente relativa alla Tarsu e alla
TIA, commisurata alla superficie degli immobili o delle aree
possedute dai soggetti passivi,
mentre la quota residua, calcolata nella misura ordinaria del
30% di quella sui rifiuti, estensibile con delibera comunale
al 40%, in ragione della tipologia dell’immobile e della zona,
andrà a coprire le spese indivisibili che i comuni sostengono per
la manutenzione ed illuminazione delle strade, la sorveglianza
del territorio e le spese amministrative.
Questa seconda parte del tributo, è una componente di nuova
concezione, destinata a compensare gli enti locali, della
quota del 50% netto dell’IMU,
da conferire allo Stato, al quale
invece nulla era dovuto per l’ICI.
Di fatto pertanto, dal 1° gennaio 2013, la pressione fiscale sugli immobili è destinata ad
incrementarsi di questa componente, che va ad aggiungersi all’IMU propria, all’IMU
secondaria e alla tassa di scopo,
nel caso di suo utilizzo, facendo acquisire al nostro sfortunato
paese, il record percentuale delle imposte (45,7%) sul reddito
complessivo percepito.
La causa principale di tale
aggravio, deve ricercarsi nell’anomala entità di evasione fiscale, presente anche nel settore
immobiliare, per locazioni non
dichiarate, specie nel campo
turistico stagionale o studentesco che, con l’entrata in vigore
dell’IMU, ha visto l’abrogazione di tutte le agevolazioni in
merito ai contratti concordati,
di cui alla legge 431/98.
Ci auguriamo che, superato il
momento di crisi economica, il
legislatore ripensi a questo particolare e delicato settore, reintroducendo per talune categorie
di locatari deboli, le agevolazioni preesistenti, bilanciando così
quelle notevoli, introdotte per i
locatori, con la cedolare secca
sugli affitti.
Il grande polo universitario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca
70
l’amministratore
Le tabelle INPS
A.
Lavoratori dipendenti
FORME
ASSICURATIVE
Operai
Impiegati
Portieri
Pulitori
Totale
Dip.
Totale
Dip.
Totale
Dip.
Totale
Dip.
33,00
9,19
33,00
9,19
32,30
8,84
33,00
9,19
DS
1,61
-
1,61
-
1,61
-
1,61
-
CUAF
0,68
-
0,68
-
0,68
-
0,68
-
TFR
0,20
-
0,20
-
0,20
-
0,20
-
MALATTIA
2,44
-
-
-
-
-
2,44
-
MATERNITÀ
0,24
-
0,24
-
0,24
-
0,24
-
38,17
9,19
35,73
9,19
35,03
8,84
38,17
9,19
FPLD
TOTALE
B.
Lavoratori parasubordinati (lavoratori a progetto - collaboratori coordinati e continuativi)
Campo di
applicazione
Massimale
contributivo
IVS
Maternità,
ANF,
Malattia
Totale
Contributo
collaboratore
Contributo
committente
Non iscritti ad
altra forma di
previdenza
obbligatoria
93.437,00
(*)
27,00
0,72
27,72
9,24
18,48
Titolari di
pensione diretta
93.437,00
(*)
18,00
-
18,00
6,00
12,00
Iscritti ad altra
forma
di previdenza
obbligatoria o
titolari
di pensione di
reversibilità
93.437,00
(*)
18,00
-
18,00
6,00
12,00
$WXWW
RJJLO
,136QRQKDFRPXQLFDWRO
LPSRUWRGHOQXRYRPDVVLPDOHSHULO
C.
Associati in partecipazione - Non iscritti ad altre gestioni e non pensionati
C1.
Retribuzione
annua
IVS
Maternità,
ANF,
malattia
Totale
contributi
Contributo
associante
Contributo
associato
0 - 93.437,00 (*)
27,00
0,72
27,72
15,25
12,47
Associati in partecipazione - Iscritti ad altre gestioni o pensionati
Retribuzione
annua
IVS
Totale
contributi
Contributo
associante
Contributo
associato
0 - 93.437,00 (*)
18,00
18,00
9,99
8,01
(*) A tutt'oggi l'INPS non ha comunicato l'importo del nuovo massimale per il 2012
CONTRIBUTI COLF-BADANTI: AGGIORNAMENTO 2011
Da gennaio a dicembre 2011
CONTRIBUTI
LAVORATORI
DOMESTICI
Importo Contributivo Orario
Retribuzione Effettiva
Oraria
Con quota assegni familiari
Totale
contributo
orario
Di cui a carico del
lavoratore
l’amministratore
Senza quota assegni familiari
Totale
contributo
orario
Di cui a carico del
lavoratore
71
Le tabelle INPS
Rapporto di lavoro di durata fino alle 24 ore settimanali (*)
Retribuzione oraria
effettiva da
€ 0 a € 7,34
Euro 1,36
Euro 0,33
Euro 1,37
Euro 0,33
Retribuzione oraria
effettiva oltre
€ 7,34 fino a € 8,95
Euro 1,54
Euro 0,37
Euro 1,55
Euro 0,37
Retribuzione oraria
effettiva oltre € 8,95
Euro 1,88
Euro 0,45
Euro 1,89
Euro 0,45
Rapporto di lavoro di durata non inferiore alle 24 ore settimanali (*)
Euro 0,99
Euro 0,24
TABELLA CALCOLI COSTO DEL LAVORO
RETRIBUZIONE LORDA (1)
RATEO 13° (2)
Totale
Euro 1,00
Euro 0,
Contributi INPS
A) per i portieri (x 26,19%)
A1) addetti alle pulizie (“X” x 28,98%)
€
A
€
B
________
_
__
€
X
Premio INAIL
Per i portieri ed addetti alle pulizie
(“X” x 21,21°°/°°)
ASSENTEISMO (assenze varie quali Malattie, Infortuni,
Permessi non retribuiti, ecc.
ipotizzando una media annua di 6 giorni)
(A x 1,67%) da inserire tra (“1” e “2”)
T.F.R.: (“X” ovvero (1+2) / 13,5)
c
c1
c2
___
_______
__
€
Y
€
Z
TABELLE DEI MINIMI RETRIBUTIVI 01/01/2012
(Art. 36 del CCNL 24/01/2012)
TABELLA - A) - Lavoratori conviventi
LIVELLI
VALORI
INDENNITA
MENSILI
A
AS
B
BS
C
CS
D
DS
595,36
703,61
757,73
811,85
865,99
920,11
1.082,48
1.136,60
TABELLA - D) - Assistenza notturna
(valori mensili)
AUTOSUFF. NON AUTOSUFF.
BS
933,63
CS
1.058,12
DS
1.307,10
160,07
160,07
TABELLA - C) - Lavoratori non conviventi
(valori orari)
A
4,33
AS
5,10
B
5,42
BS
5,74
C
6,06
CS
6,37
D
7,36
DS
7,68
72
TABELLA - B) - lavoratori di cui art. 15 2 comma (valori mensili)
B
541,24
BS
568,30
C
627,83
TABELLA - E) - Presenza notturna
(valori mensili)
LIVELLO UNICO
625,14
TABELLA - F) - Indennità
(valori giornalieri)
Pranzo e/o colazione
Cena
Alloggio
Totale
l’amministratore
1,81
1,81
1,57
5,19
Le nostre tabelle
INDICI NAZIONALI DEI PREZZI AL CONSUMO PER LE FAMIGLIE DI OPERAI E IMPIEGATI
INDICE GENERALE
VARIAZIONI PERCENTUALI DEL MESE INDICATO RISPETTO ALLO STESSO MESE DELL’ANNO PRECEDENTE
ANNO GEN
FEB
MAR APR
MAG GIU
LUG
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
2002
+ 2,3
+ 2,3
+ 2,4
+ 2,4
+ 2,3
+ 2,3
+ 2,3
+ 2,5
+ 2,6
+ 2,6
+ 2,7
+ 2,7
2003
+ 2,7
+ 2,5
+ 2,6
+ 2,5
+ 2,4
+ 2,3
+ 2,5
+ 2,5
+ 2,5
+ 2,4
+ 2,4
+ 2,3
2004
+ 2,0
+ 2,2
+ 1,9
+ 2,0
+ 2,1
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 1,8
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,7
2005
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,6
+ 1,8
+ 1,8
+ 1,9
+ 2,0
+ 1,8
+ 1,9
2006
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,0
+ 2,2
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,1
+ 2,0
+ 1,7
+ 1,7
+ 1,7
2007
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,4
+ 1,4
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 1,6
+ 2,0
+ 2,3
+ 2,6
2008
+ 2,9
+ 2,9
+ 3,3
+ 3,3
+ 3,5
+ 3,8
+ 4,0
+ 3,9
+ 3,7
+ 3,4
+ 2,6
+ 2,0
2009
+ 1,5
+ 1,5
+ 1,0
+ 1,0
+ 0,7
+ 0,4
- 0,1
+ 0,2
+ 0,1
+ 0,2
+ 0,7
+ 1,0
2010
+ 1,3
+ 1,3
+ 1,5
+ 1,6
+ 1,5
+ 1,3
+ 1,7
+ 1,5
+1,6
+1,7
+1,7
+1,9
2011
+ 2,2
+ 2,3
+ 2,5
+ 2,6
+ 2,6
+ 2,7
+ 2,7
+ 2,8
+3,0
+3,2
+3,2
+3,2
2012
TABELLA DEL TASSO DEGLI INTERESSI LEGALI
ANNO
TASSO
Dal 19/04/1942 al 15/12/1990
5%
Dal 16/12/1990 al 31/12/1996
10%
Dal 01/01/1997 al 31/12/1998
5%
Dal 01/01/1999 al 31/12/2000
2,50%
Dal 01/01/2001 al 31/12/2001
3,50%
Dal 01/01/2002 al 31/12/2003
3%
Dal 01/01/2004 al 31/12/2007
2,50%
Dal 01/01/2008 al 31/12/2009
3%
Dal 01/01/2010 al 31/12/2010
1%
Dal 01/01/2011 al 31/12/2011
1,50%
Dal 01/01/2012
2,50%
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