Un confronto tra l`ermeneutica diltheyana e il pensiero

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Humanities
Marco Cavallaro
Un confronto tra l'ermeneutica diltheyana
e il pensiero del giovane Heidegger
Essay
ERLEBNIS UND DASEIN
Un confronto fra l'ermeneutica diltheyana
e il pensiero del giovane Heidegger
di Marco Cavallaro
matr. 146183
Laurea Magistrale in
Filosofia e Linguaggi della Modernità
a.a. 2010/2011
Premessa
“Tutto ciò che ho vissuto, detto, scritto –
ciò che amavo – lo immaginavo comunicato.
Senza di questo non avrei potuto viverlo.”
George Bataille, Su Nietzsche
Mettendo al centro delle proprie ricerche un rapporto fra due pensatori si corre sempre il
rischio di adottare una direzione prospettica a favore di una posizione piuttosto che dell'altra, finendo
per corredare le proprie analisi, presuntuosamente oggettive, di giudizi di valore e partigianerie di
sorta. L'accostamento di due filosofie come quelle di Dilthey e Heidegger, maturate peraltro in
contesti e circostanze storiche assai diverse, richiede, perciò, l'esercizio di una particolare attenzione
e cura ermeneutica volta a non connotare le proprie indagini come decisive o ultime. Tanto questa
massima metodologica vale in tale contesto, quanto più è possibile notare come lo svisceramento di
quel rapporto vanta origini lontane nel tempo. È particolarmente significativo, in tal senso, che la
prima testimonianza di un accostamento fra la filosofia diltheyana e i guadagni principali della
fenomenologia ermeneutica di Heidegger ci provengono proprio da un'opera di quest'ultimo. Il
paragrafo 77 di Sein und Zeit rappresenta una specie di testamento filosofico che mette la parola
“fine” al confronto avviato dieci anni prima dall'autore con l'opera di Dilthey. Si parla qui di una
“assimilazione” (Aneignung)1 che, evidentemente, è giunta ad un suo punto d'arrivo. In particolare
Heidegger colloca il suo confronto con Dilthey in relazione alla tematica della storia (Geschichte),
che rappresenta l'apice dell'analisi esistenziale della temporalità (Zeitlichkeit).
Se ci attenessimo ad una lettura superficiale del passo heideggeriano, saremmo
necessariamente condotti alle seguenti conclusioni: 1) gli effetti dello studio dell'opera di Dilthey
coincidono unicamente con l'elaborazione di una corretta esposizione del problema ontologico della
storicità; 2) la via verso un superamento dell'impostazione della fenomenologia husserliana è stata
1 Martin Heidegger, Sein und Zeit (1927), tr. it. di P. Chiodi e F. Volpi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005, p.
467.
1
raggiunta in modo autonomo e indipendente da qualsiasi influsso esterno, compresa la proposta
teorica di Dilthey. Ora, l'obiettivo che questo saggio si propone è precisamente quello di fornire le
basi per una più corretta interpretazione del rapporto Diltehy-Heidegger, che sappia andare al di là
della stessa autointerpretazione di quest'ultimo in merito ai propri sforzi giovanili2.
Nel condurre questa lettura critica nei confronti della posizione assunta da Heidegger nel
paragrafo 77 di Essere e tempo, cercherò di introdurre un nuovo piano d'analisi che non ho trovato
emergere dalla letteratura dedicate all'argomento: si tratta della discussione polemica che il filosofo
di Masskirch intrattiene, sin dai primi corsi friburghesi, nei confronti della fenomenologia
husserliana. Questo indirizzo di ricerca è giustificato, a mio avviso, da almeno due fattori:
innanzitutto sembra che l'interpretazione di Heidegger del contributo diltheyano alla costruzione
delle scienze dello spirito risenta del giudizio negativo fornito da Husserl nel famoso articolo
pubblicato nel 19113; in secondo luogo, la fenomenologia heideggeriana assume un carattere sempre
più esplicitamente ermeneutico proprio grazie ad un confronto con la filsofia dell'esperienza di
Dilthey. Entrambi questi assunti, lungi dall'essere evidenti di per sé, verranno articolati e giustificati
lungo il percorso; essi rappresentano, posti l'uno accanto all'altro, la chiave di lettura che abbiamo
inteso far valere nella nostra disamina del rapporto fra i due pensatori.
Occorre ad ogni modo procedere con ordine. Prima di affrontare il tema specifico di questo
saggio è necessario, infatti, mostrare quali siano stati i più importanti guadagni teoretici raggiunti dal
pensiero di Dilthey. Risulterebbe del tutto impossibile registrare l'influsso di quella filosofia nel
Denkweg heideggeriano senza essere giunti primariamente ad un parziale chiarimento delle questioni
e delle prospettive che animano dall'interno la filosofia diltheyana.
§1
Critica della metafisica e ricerca del fondamento
Nella Vorrede a quella che doveva costituire l'opera principale della propria ricerca,
l'Einleitung in die Geisteswissenschaften del 1883, Dilthey sostiene la necessità di portare a
compimento il processo di emancipazione delle scienze cominciato alla fine del Medioevo. Ma se le
scienze naturali si sono liberate, nel corso della loro evoluzione storica, dei ceppi metafisici che li
impedivano di sviluppare un'autonoma interpretazione del mondo fisico, lo stesso non è avvenuto per
le scienze spirituali. Fino all'Ottocento inoltrato esse, infatti, non sono riuscite a svincolarsi del tutto
da certi presupposti metafisici relativi all'essenza della storia e alla giustificazione del sapere storico.
Allo stesso tempo, proprio tra coloro che si sono resi conto dell'impossibilità di fare affidamento ad
una fondazione metafisica di tipo tradizionale, è nata l'esigenza di riportare lo studio della realtà
umana all'interno dell'alveo delle Naturwissenschaften4. La situazione attuale, quella della seconda
metà del XIX secolo, vede dunque prospettarsi un nuovo tentativo di fondare la conoscenza dello
“spirito” a partire da un modello di sapere esterno e indipendente da esso.
2 Sulle autobiografie heideggeriane che costellano la seconda fase del suo pensiero, è utile tenere presente il giudizio
critico di van Buren, per cui “Heidegger looked back on his early Freiburg and Marburg courses as imperfect
anticipations of the way, which purportedly first showed itself in SZ and then in his later writings. Despite the
intelligibility of many of his criticisms, there are just as many that seem very unconvincing, and his overall
downplaying and even dismissal of his youthful thought are puzzling” (in John van Buren, The Young Heidegger:
Rumor of the Hidden King, Indiana University Press, Bloomington, 1944, p. 6).
3 Edmund Husserl, Die Philosophie als strenge Wissenschaft (1911), tr. it. di C. Sinigaglia, La filosofia come scienza
rigorosa, Laterza, Roma-Bari, 1994.
4 Come è noto Dilthey tiene qui presente i tentativi compiuti in tale direzione dal positivismo di Auguste Comte e
dall'empirismo di John Stuart Mill.
2
I principali obiettivi polemici individuati da Dilthey sono rappresentati dalle teorie
provenienti da tre ambiti conoscitivi principali: la filosofia della storia, la sociologia e la metafisica.
Tutte queste prospettive di analisi del dato empirico hanno avuto il torto di tentare una spiegazione
della dimensione storica a partire da ipotesi generali e astratte che impedirebbero di cogliere il
“segreto del mondo che, espresso positivamente, è l'individualità, indivisibile, indissolubile” 5. Da ciò
emerge l'intenzione diltheyana di opporsi tanto all'empirismo nella sua deriva intellettualistica,
quanto alla speculazione metafisica di stampo tradizionale. Entrambi, infatti, sacrificherebbero, nella
loro ricostruzione strumentale del reale, il particolare a favore dell'universale. Nel secondo libro del
primo volume dell'Einleitung viene ripreso il tema schleiermacheriano del Wissenwollen per
caratterizzare l'operazione intellettuale attraverso cui il singolo verrebbe a perdere quel suo tratto
distintivo, ovvero la contingenza, a favore della sua determinazione come “esemplare” di un modello
universale ed eterno6. Il sistema metafisico cui Dilthey (indubbiamente seguendo le impronte del
proprio maestro spirituale Schleiermacher) si riferisce implicitamente è quello elaborato dalla
filosofia hegeliana che, mediante l'identificazione di pensiero ed essere, aveva di fatto compiuto una
riduzione del reale contingente alle categorie eterne della logica7.
Contro l'appiattimento del reale alle costruzioni sistemiche empiristiche o metafisiche,
indipendentemente dal valore conoscitivo che ad esse si voglia attribuire, Dilthey propone una
considerazione del fatto della vita (Lebenstatsache) a partire dal suo interno. Si può dire che la
prospettiva filosofica messa in campo dal pensatore tedesco rappresenti un tentativo di giungere fino
in fondo all'applicazione del metodo ermeneutico nel campo della teoria della conoscenza. A
differenza dell'impostazione critica di stampo kantiano, Dilthey infatti non va tanto alla ricerca di un
terreno solido su cui innestare le condizioni di possibilità del conoscere empirico; ma accanto alla
preoccupazione fondazionale è pur sempre presente il tentativo di portare la ragione umana ad una
Selbstbessinung che la ponga di fronte alle sue limitazioni di carattere storico-fattuale. Di qui la
necessità di considerare la celebre espressione di “Kritik der historischen Bewusstsein”, che doveva
costituire il titolo dell'opera principale di Dilthey purtroppo mai portata a termine, nella sua duplice
accezione di “critica della ragione” in senso kantiano, ovvero studio delle condizioni di possibilità
della conoscenza scientifica, e di “critica storica della ragione”, implicando con ciò una
“concretizzazione che riempie di contenuti storici le strutture formali della ragione intesa in senso
kantiano”8.
Cogliere la vita stessa dall'interno, ovvero attuare nei confronti del fenomeno vitale un
processo di comprensione (Verstehung) non deriva affatto dalla necessità di applicare un determinato
metodo in riferimento all'ambito oggettuale dello “spirito”9. L'intento di Dilthey è di più vasta
portata. Nella misura in cui, infatti, “il pensiero è qualcosa che fa la sua comparsa nel processo vitale
[…], per fondare quello sarà necessario ricondurlo a quest'ultimo”10. La proposta teorica qui avanzata
consiste, dunque, nel ricondurre il processo di fondazione della conoscenza al suo terreno originario
che precede qualunque tipo di astrazione e costruzione teoretica. Dal momento che la dimensione
5 Wilhelm Dilthey, Erkenntnistheoretische Fragmente (1874-79), tr. it. di A. Marini, Frammenti di teoria della
conoscenza, in Wilhelm Dilthey, Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, a cura
di Alfredo Marini, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 64.
6 Scrive, infatti, Dilthey: “Sie [die Wissenschaft] bildet einen vernünftigen Zusammenhang, der über das Individuum
hinausreicht” (GS I, pp. 126-127).
7 Inoltre Dilthey non poteva non avere presente il vaglio critico della concezione hegeliana messo in atto proprio da
Schleiermacher nella sua “Dialektik” del 1822. Questi proponeva di superare il logicismo di Hegel attraverso la
nozione di Gefühl, che rende possibile l'unità di reale e ideale nell'autocoscienza immediata, al di fuori di qualsiasi
mediazione dialettica annullante la dimensione della singolarità.
8 Massimo Mezzanzanica, Psicologia e logica nella fondazione diltheyana delle scienze dello spirito, in «Magazzino di
filosofia», n. 8 (2002), p. 32.
9 Cfr. infra, § 2.2 per un approfondimento di questa tematica qui solamente accennata.
10 Wilhelm Dilthey, Leben und Erkennen. Ein Entwurf zur erkenntnistheoretischen Logik und Kategorienlehre (ca.
1892-93), tr. it. di A. Marini, Vivere e conoscere. Progetto di logica gnoseologica e di dottrina delle categorie, in
Wilhelm Dilthey, Per la fondazione delle scienze dello spirito, cit., p. 304.
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