fenomenologia dell`essenza della religione

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GIAN PIETRO CALIARI
FENOMENOLOGIA DELL’ESSENZA
DELLA RELIGIONE;
L’ATTO RELIGIOSO;
E IL PERCHÉ NON UNA NUOVA
RELIGIONE
NELL’ETERNO DELL’UOMO
DI MAX SCHELER.
CITTÀ DEL VATICANO, SETTEMBRE 2012
1 “L’uomo, dunque, o crede in Dio
oppure crede in un idolo. Non c’è terza possibilità”
(Max Scheler)
1. Il volume di Max Scheler, L’Eterno nell’uomo1, pubblicato nel 1921 è composto di cinque
distinti saggi, tutti già pubblicati in precedenza dall’autore fra il 1917 e il 19202. In particolare, la
terza parte del volume – Problemi di Religione (Probleme der Religion) – che costituisce il centro
della principale opera scheleriana, nasce dalla rielaborazione di altri cinque saggi anteriori dello
stesso autore.
Nella versione del 1921, questa terza parte dell’opera si articola, a sua volta, in quattro parti.
La prima analizza il rapporto fra religione e filosofia. La seconda presenta una fenomenologia
dell’essenza della religione, vale a dire le determinazioni fondamentali e gli attributi del Divino. La
terza sviluppa una teoria dell’atto religioso; la quarta, infine, argomenta l’incompatibilità fra l’idea
di un Dio personale e l’attesa di una nuova religione.
Tema centrale dell’Eterno dell’uomo è, infatti, la presentazione e l’argomentazione della
concezione di una filosofia religiosa, all’interno di un sistema speculativo che costituisce la vera
peculiarità di Scheler: l’applicazione del metodo fenomenologico alla realtà spirituale.
La fenomenologia per il nostro autore non è tanto uno delle possibili metodologie filosofiche,
ma piuttosto quell’atteggiamento nuovo di fronte alle cose che restituisce il contatto immediato
(Sachkontakt) e
1
Nelle citazioni di quest’opera ci riferiremo sempre a: SCHELER, M., L’Eterno dell’uomo, Milano, 2009, pp. 1119
(con testo tedesco a fronte).
2
Si tratta dei saggi: Per il rinnovamento religioso (pubblicato nella rivista Hochland nel 1917); Su alcuni recenti
tentativi di una fondazione della regione naturale e Perché non ci sarà nessuna nuova religione, scritti fra il 1918 e il
1920; e Conoscenza naturale di Dio e Attributi dello spirito divino, risalenti al 1920 (Cfr. PREMOLI DE MARCHI, P.,
Introduzione, in: Ibidem, p. 52). 2 “Il fatto” – scrive Scheler – “ che vi entri in gioco tutto l’uomo, con la totalità
concentrata delle sue supreme forze spirituali, [è il fatto] proprio della natura della
filosofia stessa [per cui] è sempre la totalità dell’uomo che fa filosofia”3.
Ai fini di questo saggio, analizzeremo le ultime tre parti del terzo saggio dell’Eterno
nell’uomo (pp. 431 – 877), cercando dove possibile e necessario di ricollegare lo sviluppo della
filosofia religiosa di Scheler con l’impianto generale della sua riflessione filosoficofenomenologica.
Infatti,
“Scheler’s thought emerges as an attempt to counter the formalist tendency to isolate
the content of faith from the method of addressing it. What is unique about Scheler’s
description of transcendence is that enables him to employ phenomenology for the
purpose of preserving a concern for God’s reality. Scheler continues to foster a vision
of the human person’s eternality and kinship with the Divine ”4.
2. Per il nostro autore la filosofia della religione, come fenomenologia dell’essenza della
religione (Wesens-Phänomenologie der Religion),
“ha tre fini: 1. L’ontica essenziale del divino; 2. la teoria delle forme della rivelazione
con cui il divino si manifesta e si mostra all’uomo; 3. la teoria dell’atto religioso,
attraverso il quale l’uomo si prepara a ricevere il contenuto della rivelazione e per
mezzo del quale lo coglie nella fede”5.
Per comprendere correttamente l’approccio scheleriano dell’ontica del Divino è necessario
richiamare tre nozioni: la prima riguarda la visione antropologica, la seconda la dimensione
gnoseologica, e quella valoriale-assiologica.
3
SCHELER, M., L’Essenza della filosofia, Soveria Mannelli (CZ), p. 84.
SCHALOW, F., Religious Transcendence: Scheler’s Forgotten Quest, in: Philosophy and Theology, Marquette
University Journal, 4 (1990), p. 351.
5
SCHELER, M., L’Eterno, o.c., p. 431.
4
3 Come scrisse il nostro autore nel 19286:
“Fin dal primo destarsi della mia coscienza filosofica, domande come: Che è l’uomo? e
Qual è la sua posizione
nell’essere?
mi
hanno
coinvolto
più
intensamente
e ampiamente di qualsiasi altra questione filosofica. […] ho potuto constatare come
in essa venissero a convergere la maggior parte dei problemi filosofici che
avevo trattato”7.
La centralità della questione antropologica nel pensiero di Scheler ci è testimoniata anche da
un passo di un’opera precedente del 19158, dove egli afferma la riconduzione di ogni domanda
fondamentale della filosofia all’essere, al posto e alla posizione metafisica dell’uomo nella totalità
dell’essere, del mondo e di Dio9.
La sistematicità del pensiero del filosofo di Monaco di Baviera, infatti, è rappresentata dalla
riflessione sull’uomo, che è una costante dei suoi scritti. Questo va ben oltre la sua personale
convinzione religiosa, adesione di fede e coerenza di vita10.
Il centro unificatore della filosofia scheleriana è, dunque, il problema dell’uomo11.
L’uomo non è colto da Scheler in una concezione naturalistica, come per esempio in
Nietzche, ma nella sua piena dimensione spirituale e personalista. La singolare natura dell’uomo
non risiede nel suo ambito vitale, ma nel suo trascendere il vitale: egli è, in ultima analisi, un essere
che trascende ogni forma di vita12, anche quando – come nell’attività lavorativa e manuale – la sua
vitalità si esprime in un dinamismo biologicamente finalizzato.
L’essere umano è:
“l’intenzione e il gesto della trascendenza stessa, l’essere che prega e cerca Dio. Anzi
l’uomo non prega, egli è preghiera che la vita eleva al di sopra di se stessa; non cerca
6
Periodo nel quale Scheler aveva abbandonato sia il teismo sia la fede cattolica.
SCHELER, M., La posizione dell’uomo nel cosmo, Milano, 2000, p. 73.
8
Periodo della sua seconda conversione al cattolicesimo.
9
Cfr. SCHELER, M., Sull’idea dell’uomo, in: La posizione dell’uomo nel cosmo e altri saggi, Milano, 1970, p. 100.
10
In questo senso, il focus della visione antropologica costituisce il vero tratto di continuità della riflessione scheleriana.
11
HARTMANN, N., Max Scheler, in: Kantstuiden, 33 (1928), p. XV.
12
Cfr. SCHELER, M., Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Torino, 1996, p. 357.
7
4 Dio, egli è quello X vivente che Dio cerca”13.
Da questo discende che
“l’uomo […] si trovi e guardi sempre e fin dal principio a un ambito dell’essere e del
valore radicalmente distinto da tutto il restante mondo dell’esperienza […] e che è
accessibile solo ed esclusivamente mediante l’atto religioso: questa è la prima verità
certa di tutta la fenomenologia della religione. Questo è il principio della originarietà e
inderivabilità dell’esperienza religiosa”14.
Ai fini della conoscibilità dell’ontica del Divino è, in secondo luogo, rilevante la teorizzazione
gnoseologica e valoriale-assiologica di Scheler.
In ogni conoscenza un ruolo prioritario è svolto dall’esperienza. Pur nella diversità delle
forme che la conoscenza può assumere – intellettuale e intuizione affettiva – è sempre da
un’empatia del vissuto che scaturisce il conoscere umano. Non si dà, infatti,
“alcun ambito dell’essere – sia di numeri, stelle, piante, relazioni storiche e cose divine
– la cui indagine non passi attraverso una fase empatica, prima di entrare nella fase
dell’analisi neutrale”15.
L’uomo, tuttavia, non è colto da Scheler come un ens solipsistico. Se il fine dell’uomo è
divenire il correlato centrale di tutte le essenze possibili16, tale fine nel suo divenire – come
Aufschwung, slancio, impulso, salto verso l’alto – così come la ricerca filosofica richiede un
cammino comunitario per contrastare le fasi di regresso nella storia della filosofia e costruire
l’edificio della philosophia perennis. Infatti,
“nell’essenza della religione naturale e della conoscenza di Dio, come dell’adorazione
e venerazione di Dio, è insito il fatto che esse debbano essere di tipo cooperativo e
comunitario”17.
13
Ibidem, p. 110.
IDEM, L’eterno, o.c., p. 449.
15
IDEM, L’essenza della vita, Soveria Mannelli (CZ), 2001, p. 81.
16
Cfr. Ibidem, p. 89.
17
IDEM, L’eterno, o.c., p. 541.
14
5 Per Scheler, l’individualismo religioso è un controsenso, perché contraddice quel nesso
essenziale ed eternamente originario che esiste fra la conoscenza di Dio e la conoscenza comune18.
L’oggetto della conoscenza, in secondo luogo, non è mai qualcosa d’indifferente, o l’oggetto
neutrale caro al positivismo, ma è comprensione di un valore che è sempre comunicato insieme
all’oggetto di esperienza.
Quest’intuizionismo emotivo19, rappresenta il punto d’incontro tra la teoria fenomenologica
della conoscenza e la fondazione rigorosamente scientifica di un’etica filosofica.
Da questo discende per Scheler una concezione fenomenologica dell’ethos, come un insieme
di correlazioni essenziali tra gli atti spirituali della persona e le realtà eterne, oggetto di tali atti, cioè
i valori.
Il vissuto, inteso senza nessuna concessione al vitalismo, in nessun caso può mettere in
contatto l’uomo con il fondamento dell’essere se esso è privato della sua natura intenzionale, da
intendersi come una superiore unità vitale. Quest’ultima, infatti, sarebbe una mera rappresentazione
mistica se non fosse ricondotta a un ordre du cœur20 dell’esistenza .
Tale visione fenomenologica, acquisisce una specifica dimensione con il concetto di
Wesensschau, il vedere le essenze che si mostrano negli stati emozionali e che ne rappresentano le
leggi invariabili ovvero le unità di senso.
Nella gerarchia delle modalità di valore - le relazioni a priori materiali della conoscenza
assiologica o dell’intuizione del valore - i valori vitali costituiscono, così
“una modalità assiologica completamente autonoma”21;
e “un’autentica essenzialità”22 della vita.
Il disconoscimento di tale dimensione, per Scheler, ha condotto le dottrine etiche anteriori alla
sua, a ritenere i valori vitali come un amalgama e come l’espressione di un disordine etico, destinati
18
Ibidem, pp. 541-543. Da questo principio ne consegue che la Chiesa universale non è un postulato dogmaticodottrinale, ma un postulato che deriva dalla stessa natura della conoscenza di Dio.
19
Così lo stesso Scheler definiva la propria posizione filosofica: Cfr. IDEM, Il Formalismo, o.c., p. 8.
20
Cfr. Ibidem, pp. 315-316; dove Scheler si richiama direttamente al concetto di ordre du cœur di Pascal.
21
Ibidem, p. 144.
22
Ibidem, p. 145.
6 a viziare in senso eudemonistico o, persino, edonistico, il comportamento morale.
I valori vitali, dunque, sia come valori irrelati (le qualità oscillanti tra il nobile e il volgare),
sia come correlati (quelli riconducibili alla prosperità ed al benessere)23, nonché i diversi modi della
coscienza affettivo-percettiva nella funzione di apprendere tali valori, cioè la sensibilità vitale,
rappresentano correlazioni eidetiche e originarie irriducibili sia alle correlazioni tra la funzione
della percezione affettivo-sensoriale e i corrispondenti valori del piacevole e dello spiacevole, sia a
quelle caratterizzanti i modi della percezione affettiva con cui vengono intenzionati i valori
spirituali e quelli del sacro.
Ciò che è valore assoluto (i valori spirituali e quelli del sacro) è valore per sé e in sé, che
possiede anche l’esistenza. Quest’assioma ontico sintetico per la coscienza religiosa costituisce
“il principio eterno di unione tra religione e morale. Il sacrificio per il sacro, questa è la
morale della religione stessa, ma anche la religione della morale stessa”24.
La ricerca di “un rigoroso fondamento scientifico e positivo all’etica filosofica”25 – uno
studium che Scheler aveva perseguito fin dai tempi della sua laurea con Rudolf Eucken – trova così
la sua soluzione inscindibile nel personalismo scheleriano, anche nella sua dimensione relazionale
della solidarietà interpersonale collettiva, e in una teoria dello spirito che rifiuta sia il
trascendentalismo sia lo psicologismo.
3. L’ontica essenziale del Divino, per Scheler, è la determinazione positiva della superiorità
sopra tutte le cose di un ens a se et per se, una totalità indivisa, colta né per deduzione né per
intuizione, esercitando la funzione primaria di un ente – la persona – di rimandare all’essere
assoluto
23
I valori irrelati sono quelli il cui carattere assiologico è indipendente da altri. I valori correlati sono, invece, quelli
strumentali, da non assimilare però, esclusivamente con i valori dell’utile. I valori correlati sono, infatti, quelli atti per
consentire la realizzazione di quelli irrelati, a prescindere dal fatto se quest’ultimi siano i valori del piacevole, vitali,
spirituali o religiosi. Ogni classe di valori ha i propri valori correlati, cioè i propri valori tecnici, in senso lato, in cui
rientrano anche i valori dell’utile come valori correlati propri dei valori del piacevole; anche i valori simbolici sono
valori correlati, cioè valori che implicano essenzialmente il riferimento a valori irrelati assoluti, come, ad esempio, gli
oggetti sacramentali. Cfr. Ibidem, pp. 139- 140.
24
IDEM, L’eterno, o.c., p. 449.
25
IDEM, Il Formalismo, o.c., p. 1.
7 “che si qualifica come divino e diventa da sé e per sé, traslucido e trasparente […]
stabilendo così una relazione dell’essere e quindi non logica oggettiva […] ma una
relazione simbolica e, caso per caso, intuitiva”26.
L’ens a se per la coscienza religiosa è connesso con la modalità di valore del santo come
“ens perfectissimum perché il suo essere è il più perfetto, come tale summum bonum,
come tale assolutamente santo”27.
Richiamandosi esplicitamente all’insegnamento di Rudolf Otto28, il das Heilige e il der
Heilige, esprimono il carattere Divino di numinosum, che si manifesta nella persona nel senso della
creaturalità – l’impotenza di fronte al tutto – che fa percepire oggettivamente il divino come
mysterium tremendum et fascinosum29.
Da una parte, così, l’inferenza per analogia
“costituisce il fondamento di una teologia naturale che riferisce a Dio attributi positivi”;
dall’altra, l’essenza del Divino
“al di là delle sue determinazioni essenzialmente formali, deve essere più ricca di quello che
può essere conoscibile […] Dio come ens a se è […] il compendio di tutte le possibili essenze”30.
Così che tutte le categorie del nostro pensiero sono inadeguate a cogliere l’essere e l’essenza
di Dio31.
Quest’ultima posizione del pensiero di Scheler non si risolve, tuttavia, in una concezione
apofatica della filosofia-fenomenologica o in una teologia negativa.
Una volta che l’essere di Dio è, infatti, colto nella sua spiritualità e causalità universali gli
attributi del Divino possono essere identificati in due modi, che possono essere intrapresi
indipendentemente ma
“che in base al principio della relazione essenziale fra il tipo di atto e di oggetto, se
26
IDEM, L’eterno, o.c., p. 441-443.
Ibidem, p. 447.
28
Cfr. OTTO, R., Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano, 1966.
29
Cfr. SCHELER, M., L’eterno, o.c., pp. 451-453.
30
Ibidem, p. 465.
31
Cfr. Ibidem, pp. 447-449.
27
8 sono applicati correttamente, devono portare agli stessi risultati”32.
Il primo metodo si fonda sulla conoscenza della struttura essenziale che è realizzata nel
mondo reale e alla quale sono correlati quegli attributi dello spirito Divino che sono noti a partire
dal rapporto con Dio e con il mondo; il secondo, si fonda sulla struttura essenziale dello spirito
umano – non in senso psicologico ma empirico – attribuendo a Dio per analogiam alla natura di
Dio – in forma assoluta e infinita – l’ordine di fondazione delle classi di atti dello spirito umano33.
Da queste posizioni, Scheler critica quei sistemi metafisici che hanno fondato la conoscibilità
di Dio solo sotto l’aspetto logico e hanno rifiutato di accogliere quell’intuizione che appartiene
essenzialmente al logos di Dio34.
Dio non è solo pensiero creatore ma anche volontà libera e personale. Ne consegue che solo in
questo modo si possono escludere quelle idee che concepiscono il Divino come:
“una volontà necessaria ed eterna […] un derivare necessario del mondo da Dio; un
impulso della volontà assolutamente accidentale […]; un mero motore del mondo […];
un mondo […] meramente temporale […] a partire da un […] Dieu qui se fait”35.
La volontà libera e personale di un Dio creatore, infine, presuppone come nucleo dello spirito
Divino l’amore:
“che manifesta il suo volere nella creazione (e incarnazione) e non si mantenga chiuso
in se stesso[ …] così nell’essere di Dio coincidono atto e oggetto e […] la
determinazione di Dio come summum bonum36”.
Tale volontà, per Scheler, personale e libera come causa divina del mondo, s’esprime
nell’amore come attributo primario dello spirito37. Ciò conduce il nostro autore a confutare e
rifiutare anche la visione panteistica di Plotino, Hegel e Spinoza, che hanno frainteso la connessione
esistenziale fra essere reale e essere voluto, riducendosi a un estremo intellettualismo, che pur
32
Ibidem, p. 551.
Ibidem, pp. 151-155.
34
Ibidem, pp. 555-569. A tale riguardo Scheler si riferisce esplicitamente a Plotino, Spinoza e Hegel.
35
Ibidem, pp. 571.
36
Ibidem, p. 575.
37
Cfr. Ibidem, p. 573-575.
33
9 vedendo la realtà del mondo, riconduce la sua esistenza a un puro spirito intelligente38.
4. Il rifiuto dell’intellettualismo, la necessaria correlazione con la realtà del mondo e quella
fra la persona-uomo e il Divino-Persona – in tutti i suoi attributi ontici – porta Scheler a teorizzare
la centralità dell’atto religioso, perché l’uomo in qualunque fase del suo sviluppo religioso sia,
guarda sempre e fin dal principio a un ambito dell’essere e del valore39.
Nell’atto religioso trovano la loro sintesi l’ambito dell’essere dell’uomo, l’essere di Dio, e la
dimensione etica dell’umanità.
Essere e valore, infatti,
“sono accessibili solo mediante l’atto religioso: questa è la prima verità certa di tutta la
fenomenologia della religione. Questo è il principio della originarietà e inderivabilità
(Ursprünglichkeit und Unableitbarkeit) dell’esperienza religiosa”40.
In questa esperienza l’uomo trova il riempimento della sua dimensione religiosa solo quando
l’oggetto della sua tensione è presente, quando Dio si manifesta. L’idea di Dio, quale persona
infinitamente santa, è data come reale solo nell’incontro personale di fede.
Questo incontro personale e reale necessita un’autorivelazione di Dio all’uomo, per mezzo di
persone sante; ne consegue che l’unico vero fondamento della religione sono la rivelazione e la
fede41.
Per Scheler,
“the religious act intends God as really and transcendently existing. Now, since the
religious act is an irreducible reality and since this act depends on a really existing
transcendent terminus, God must exist. Scheler does not argue that man's religious
aspirations must be fulfilled by a religious reality. What he says is that the reality of the
38
Cfr. Ibidem, p. 577.
Cfr. Ibidem, p. 459.
40
Ibidem.
41
Cfr. VANNI ROVIGHI, S., Filosofia e religione nel pensiero di M. Scheler, Rivista di filosofia neoscolastica, 27
(1936), pp. 16 e 669.
39
10 aspirations themselves requires a transcendent reality. Not to accept the reality of the
terminus is to declare the aspirations themselves illusionary and, ultimately, to lapse
back into some reductionist interpretation of the religious experience”42.
L’atto religioso trova, infatti, la sua caratteristica essenziale nel riferimento a Dio e il suo
presupposto necessario nell’idea di Dio43.
L’atto religioso, assume così, da un lato, il carattere d’immanente, perché appartiene alla
costituzione della coscienza umana; dall’altro tuttavia, non è assimilabile a un mero desiderio, a una
vacua necessità o a un anelito personalistico, perché gli atti religiosi non sono eventi psichici che si
formano e si dissolvono, ma sono – al contrario – intenzionalmente diretti a un regno essenziale del
tutto differente da quello empirico o ideale44.
L’oggetto dell’atto religioso non è l’immanente ma il trascendente; non è il mondo
contingente ma il Divino; non è un idolo ma un Dio-Persona45. Da quest’esperienza e vissuto, trova
possibilità di dimostrazione l’esistenza di Dio:
“Solo chi ha trovato Dio può sentire la necessità di dimostrarne l’esistenza […] Nella
teologia naturale il mostrare deve precedere il comprovare […] L’essenza e l’esistenza
di Dio permettono il mostrare e il comprovare”46.
La realtà di un’essenza si fonda solo e sempre su di una esperienza contingente, su un vissuto
reale. Quindi non è possibile un processo di deduzione sia riguardo a una realtà in generale, sia in
rapporto a uno sfera o regione essenziale dell’essere, senza che a una di queste sfere corrisponda
una certa quale realtà.
Ciò che è possibile dedurre è solo la realtà di un oggetto particolare, ma a condizione di
partire da un dato reale vissuto e di rimanere all’interno della sfera cui esso appartiene. Ciò suppone
che sia già dato l'essere in questione nonché le leggi logiche formali generali e le leggi materiali più
42
DUPRE, L., The Moral Argument, the Religious Experience, and the Basic Meaning of the Ontological Argument, in:
Idealistic Studies, 3 (1973), p. 270.
43
Cfr. SHELER, M., L’eterno, o.c., p. 619-623.
44
Cfr. Ibidem, pp. 623-627.
45
Cfr. Ibidem, pp. 631-641.
46
Ibidem, pp. 652-653.
11 particolari riguardanti le correlazioni essenziali vigenti nella specifica sfera di detto essere.
Questo non è il caso dell’essenza del Divino, che è originaria rispetto a tutte le altre e quindi
in nessun modo la si può dedurre o costruire, partendo da forme ontologiche o assiologiche che già
non la contengano.
Ne consegue che la filosofia per principio può solo studiare la natura di tale essenza,
originariamente presente ad ogni uomo, nonché il modo proprio di comunicarsi in una realtà che le
corrisponde. Il Divino è, così, indeducibile.
Scrive Scheler:
“Quando per esempio in Descartes non si parte da particolari atti religiosi, né si
mostrano i loro tratti essenziali, ma si fa derivare la fiducia di trovare la verità
attraverso la ragione […] e nello stesso tempo si costruisce la verità religiosa
originaria su questi stessi atti della ragione che operano nelle scienze del finito. Questo
è il noto errore di Descartes e di molti ontologisti”47.
L’essenza del Divino, inoltre, è quella di una persona infinitamente santa. Diversamente dei
soggetti reali di essenze finite, il Divino-Persona esclude che la sua eventuale realtà possa essere
conosciuta con il procedimento spontaneo di una persona o ragione finita e implica che può
comunicarsi solo attraverso un’auto-rivelazione.
Scheler intende l’auto-rivelazione come la modalità attraverso la quale Dio stesso prende
l’iniziativa, e non ancora la rivelazione che Dio fa di se stesso, che presuppone necessariamente la
prima e costituisce la forma suprema di rivelazione.
L’atto religioso – oltre la dimensione antropologia e gnoseologica – riveste anche un carattere
valoriale-assiologico.
Ogni atto religioso rappresenta perciò
“l’atto della conoscenza dei valori morali e ogni conoscenza morale […]
necessariamente determina non l’esistenza, ma la qualità dell’atto della volontà, ne
47
Ibidem, p. 653.
12 deriva che ogni determinata concreta incarnazione di questo bene supremo è posto
anche un modello morale concreto altissimo del volere, che precede e determina tutto
ciò che è regola morale”48.
Ciò vale sia per l’atto religioso individuale come per quello sociale e collettivo del culto
pubblico e della liturgia.
L’atto religioso, infine, è essenzialmente necessario per l’anima spirituale della persona. Non
ci si può, dunque, chiedere se possa o non possa essere realizzato da un uomo, ma solo se egli riesca
ad esprimersi adeguatamente nell’atto religioso stesso.
“L’uomo ha necessariamente un oggetto di fede e ogni uomo compie l’atto di fede”.
Dopo aver preso le distanze da chi riduce l’atto religioso alla mera espressione di un evento
psichico (Simmel) e da chi lo riconduce a una forma derivata dalla razionalità umana (Descartes e
gli ontologisti), Scheler critica il Mammonismo della cultura capitalista, che si caratterizza per il suo
agnosticismo.
“Il cosiddetto agnosticismo religioso, che non è un fatto psicologico, ma un
autoinganno […] di chi presume di non credere […] L’agnostico de facto non è uno che
non ha fede, ma è uno che crede al nulla: è metafisicamente un nichilista”49.
La critica scheleriana nei confronti della società borghese e capitalista è complessiva, perché
il suo nichilismo ha portato al declino del mondo, negando il primato dell’amore. Per contrastare
tale declino è necessario l’avverarsi di una redenzione come esigenza metafisica50.
Un tema quest’ultimo, che Scheler svilupperà ulteriormente nel quarto e nel quinto saggio del
volume L’Eterno dell’uomo51.
5. Nell’ultima sezione della terza parte della sua opera, l’autore affronta il tema
dell’incompatibilità tra l’idea di un Dio personale e l’attesa di una nuova religione.
48
Ibidem, pp. 661-662.
Ibidem, p. 673.
50
Cfr. Ibidem, pp. 599-619.
51
Cfr. Ibidem, pp. 879-1081.
49
13 Anche in quest’ultima sezione ritorna dominante la visione antropologica e l’idea di persona,
gnoseologica e valoriale-assiologica che caratterizza la filosofia-fenomenologica di Scheler.
In questa triplice prospettiva, il nostro autore sviluppa, tre specifici temi: la proposta di una
nuova via che parte dalla religione naturale; la nuova fondazione della religione, della teologia e
della metafisica; e l’incompatibilità tra l’idea di un Dio personale e l’attesa di una nuova religione.
Per i limiti espositivi di questa esercitazione, ci limiteremo a sintetizzare quest’ultima
tematica scheleriana, anche in considerazione del fatto ch’essa è determinante all’obiettivo
principale di questa sezione, vale a dire negare ogni realistica possibilità all’avvento di una nuova
religione.
A questo scopo risulta essenziale l’ulteriore sistematizzazione del concetto del DivinoPersona che Scheler ulteriormente elabora – in rapporto a ciò che abbiamo già presentato –
analizzando il rapporto fra l’idea di Dio e sua rivelazione.
Nel personalismo del nostro autore, una persona può essere conosciuta come tale solo se
spontaneamente si manifesta, si lascia capire. Di fronte al silenzio di una persona, non abbiamo
alcuna possibilità di conoscenza.
Solo lo spontaneo manifestarsi e rivelarsi di una persona ci permette di conoscerla e capirla.
La caratteristica essenziale del Divino-Persona è quella di summum bonum, essere amore e
l’essere bontà totale e universale. Come persona infinita, perfettissima e onnipotente, Dio potrebbe
non manifestarsi e rivelarsi all’uomo. Come persona, il Divino è, tuttavia, infinitamente amante,
poiché sommo amore, dunque egli non può che manifestarsi e rivelarsi.
Un Divino che si nascondesse non sarebbe più Dio, ma, un terribile fantasma, e, come realtà,
un controsenso impossibile.
Scrive Scheler,
“Soltanto perché l’amore, come supremo valore come supremo valore di un atto,
appartiene di necessità essenziale all’idea di Dio tanto quanto la personalità; anzi,
perché l’amore è ciò che in tutti gli spiriti possibili fonda il volere e il conoscere. In Dio
14 […] nello stesso tempo la creazione e la saggezza, l’idea di un Dio che nasconde se
stesso e tace […] ci si svela per quello che è: l’idea di uno spettro terribile che non può
avere l’esistenza, poiché ciò che è contradditorio non può esistere”52.
All’amore di questa Persona assoluta e sovrana è, inoltre, proprio il manifestare e rivelare la
propria realtà in modo spontaneo; sarebbe, infatti, in contrasto con la sua natura un manifestarsi e
rivelarsi solo come un’obbligatoria risposta a un impulso conoscitivo o amore autonomo dell’uomo.
È, dunque,
“insito nell’essenza di un Dio personale il fatto che la conoscenza della sua esistenza
possa essere possibile soltanto in virtù di quest’atto fondamentale di apertura, del
lasciarsi inondare e illuminare dalla totalità del senso del mondo che ha Dio come suo
centro e giunge ad essere conosciuto da noi attraverso il suo amore universale per ciò
che è divino e santo”53.
L’amore spontaneo è, così, superiore in valore all’amore di semplice risposta.
Ciò che è libero e spontaneo in Dio è il suo stesso amore universale. Una volta presupposto
tale amore, non si può concepire la creazione come un libero atto di scelta, ma solo come un atto
necessario. Egualmente vale per la rivelazione. Dato l’amore universale di Dio, al volere divino non
è permesso scegliere se rivelarsi o no, ma solo come e che cosa rivelare.
Dal punto di vista gnoseologico, poi, è impossibile una dimostrazione metafisica
dell’esistenza di Dio come Persona, a partire della realtà esistente della creazione; il mondo dei suoi
valori è, infatti, conoscibile nell’essenza e non nell’esistenza. Della realtà esistente, al contrario, è
possibile solo una conoscenza induttiva e, dunque, ipotetica.
“I criteri per la verità e ogni altro valore conoscitivo della religione possono essere trovati
[…] solo dalla sua stessa essenza, non possono essere tratti da alcuna sfera extra-religiosa”54.
Così l’errore della religione naturale consiste proprio nel fatto che questa ritiene d’inferire nel
52
Ibidem, p. 829.
Ibidem, pp. 829-831.
54
Ibidem, p. 727.
53
15 quid che già possiede da una fonte di conoscenza del tutto differente, giungendo così a conclusioni
all’interno del mondo dell’intuizione religiosa, snaturando il contenuto dei fatti pre-religiosi55.
Dall’idea di un Dio-Persona e della possibilità gnoseologica della sua essenza come Ens a se
et per se, Scheler deriva, infine, anche la dimensione valoriale-assiologica.
La spontanea libertà dell’amore di Dio non è una necessità metafisica o geometrica, ma una
necessità morale che è insita nella comprensione stessa dei valori, che non sopprime, però, la libertà
della persona, anche se la volontà non ha la facoltà di scegliere liberamente fra i valori che ha
presenti e quello dell’amore che è il nucleo fondamentale della persona morale.
Il Dio-Persona è sommamente libero ed è Lui a disvelarci il mondo dei valori, condizionando
la struttura della scala dei valori che noi effettivamente viviamo, preferendo e subordinando un
valore all’altro.
La comprensione fenomenologica della necessaria rivelazione di Dio è, così per Scheler, il
tentativo di cogliere il mondo dei valori come si presentano nel summum bonum et universalis amor
Dei, da cui possiamo cogliere il conseguente volere.
L’idea di un essere e valore infinito implica che l’essenza non può essere conosciuta per
mezzo di realtà finite.
Pur rifiutando la critica kantiana del principio di causa Scheler aderisce alla critica più
generale che Kant fa della prova cosmologica e della prova teologica, estendendola a tutte le altre
prove dell’esistenza di Dio che partano da realtà finite.
Critica, dunque, sia la prova ex contingentia rerum sia la prova ex motu, e la logica stessa del
postulato kantiano dell’esistenza di Dio.
La posizione di Kant consisteva nell’evidenziare che queste prove non sono valide, se non
sono sostenute dalla prova ontologica. Esse, infatti, potrebbero giungere solo a determinare
l’esistenza di una realtà più grande del punto di osservazione iniziale – una sorta di demiurgo o di
causa finita del mondo - ma mai potrebbero portare alla conoscenza di un essere e valore infinito.
55
Cfr. Ibidem, pp. 681-693.
16 La critica scheleriana si estende, conseguentemente, alla logica insita nel postulato kantiano
dell’esistenza di Dio. Tale logica, per Scheler da un lato, si basa su un falso volontarismo sul
presupposto che virtù e felicità siano congiunte solo fattualmente. L’argomentazione non
porterebbe a determinare l’esistenza di un ordinatore morale del mondo, che ordina il rapporto fra
virtù e felicità. Non dimostrerebbe, poi, il suo Ens a se come Persona, Santità, e Amore totale.
Tali prove, d’altro canto, non possono portare alla conoscenza di un creatore del mondo. Per
Scheler l’idea di creazione, implica l’attribuzione al Dio-Persona di una libera volontà personale.
Alla prova teoretico-assiologica, che fonda il rapporto fra il mondo dei valori e l’umana
aspirazione ad essi, e a quella morale o ex conscientia”; la riflessione scheleriana oppone il
timoroso rispetto (Ehrfurcht), che l’uomo sperimenta davanti al mistero delle cose e rivela come
l’uomo si sente di fronte ad un mondo di valori, che supera la sua capacità di comprensione56.
L’uomo prova, inoltre, una costante non soddisfazione – non riempimento - per i beni e i
valori finiti, che motiva il suo anelito al summum bonum.
Il timoroso rispetto potrebbe, in verità, essere causato anche dalla misteriosa presenza di un
demone o da un nuovo mondo impersonale di valori. La ricerca infinita dei valori potrebbe a sua
volta placarsi definitivamente nella rassegnazione di fronte alla propria finitezza57.
Una volta, tuttavia, che giungiamo alla realtà personale di Dio, il mondo dei valori può essere
colto come corrispondente all’atto personale di Dio e , dunque agostinianamente, la nostra tensione
ai valori trova solo in Dio il suo appagamento.
Da questo, Scheler conclude che
“nessuna delle cosiddette prove della realtà di Dio, e neppure nessun cosiddetto
postulato razionale, può portare ad affermare la realtà di Dio se già surrettiziamente
non si presuppone una auto-rivelazione di Dio, in cui egli, corrispondentemente alla
sua essenza di persona, non si dia a conoscere o si presenti liberamente e
56
57
Cfr. Ibidem, pp. 693-701.
Cfr. IDEM, Schriften aus dem Nachlass, Berna, 1957, vol. I, pp. 195-196.
17 spontaneamente”58.
Il concetto di rivelazione naturale presente in L’eterno nell’uomo è un concetto nuovo e
diverso da quello criticato da Scheler e che sarà una costante della polemica scheleriana. In questo
passo, il nostro autore, assume una posizione critica circa la possibilità per l’uomo di giungere
autonomamente e razionalmente dal mondo a Dio.
Il mondo - con tutte le sue essenze, valori, e realtà – può essere colto come rivelazione
naturale di Dio, suo campo di espressione, solo se si presuppone la conoscenza della realtà di Dio
come persona creatrice59.
Emerge, così, il concetto di rivelazione naturale quale vera manifestazione di Dio all’uomo,
la cui iniziativa è sempre di Dio, che l’uomo può accogliere nel suo atteggiamento di
considerazione e correlazione al mondo in senso religioso.
Definita tale concezione personale, gnoseologica e valoriale-assiologica della conoscenza di
Dio e del suo rapporto con l’uomo, come della fenomenologia religiosa, Scheler nega la possibilità
di chi anela a una nuova religione.
Quelli che si richiamano a quest’attesa – gli homines rerum novarum – come gli eretici
cadono, innanzitutto, in
“un errore di ragione riguardo all’essenza della religione in generale e sul contenuto
dell’idea di Dio stesso […] essi ritengono che Dio sia impersonale. […] l’homo rerum
novarum ha la sua importantissima ragion d’essere in tutti i campi della realizzazione
umana dei valori. Soltanto in quello della religione è un fenomeno essenzialmente
assurdo. Perché qui il tornare indietro è la forma essenziale del rinnovamento religioso
stesso”60.
In questo tornare indietro consiste ogni ulteriore conoscenza della verità religiosa non solo
dell’individuo ma anche dell’ambiente storico-sociale, che fonda un relazione ontologica con il
58
Ibidem, p. 199.
Ibidem, p. 198.
60
IDEM, L’eterno, o.c., p. 835.
59
18 Salvatore; e avvia una sequela che opera una conformazione di sé come processo di trasformazione
della vita spirituale61.
Di questa tensione spirituale, la catena degli homines religiosi testimonia una santità che
deriva dal Santo Primigenio. Essi sono l’anima viva di ogni storia significativa di una religione e di
una Chiesa62.
In secondo luogo, il dogma del progresso inarrestabile dell’umanità e la conseguente attesa di
una nuova religione, ha condotto la filosofia positivistica a una serie di concezioni errate.
Negando la peculiarità della conoscenza specificatamente religiosa dell’uomo, si dovrebbe
conseguentemente negare anche tutto il mondo delle categorie religiose. I positivisti trascurano, poi,
il fatto che il trascendente precede ogni formazione delle sue idee.
Cadono, infine, nel falso principio secondo il quale la visione del mondo si svilupperebbe
dall’acquisizione di singole impressioni e dall’altro falso principio che nel darsi dell’ente si avrebbe
un’aggiunta antropopatica, di ciò che eccede gli elementi sensibili63.
Per Scheler – a differenza di Comte, Hegel, Hartmann e dei loro tentativi di elaborare dogmi
religiosi e istituzioni religiose - il vero progresso e il compito dell’umanità presente e futura e
quello di conservare, attraverso gli sforzi di unificazione delle Chiese, connettendole le une alle
altre, la Verità Primigenia64.
In questo consiste, per il nostro autore, l’afferrarsi goethiano al vero antico di una verità da
tempo trovata.
Costitutiva di quest’esigenza umana, personale e collettiva di giungere al Vero Assoluto, a
Dio, c’è la costituzionale tendenza metafisica dell’uomo.
L’apertura della persona all’Assoluto, non è mero effetto storico contingente, è un tratto
essenziale della natura umana. Una tendenza che non trova appagamento nella metafisica, vale a dire da una 61
Cfr. Ibidem, p. 841.
Cfr. Ibidem, p. 841-842.
63
Cfr. Ibidem, p. 865-867.
64
Cfr. Ibidem, p. 876.
62
19 conoscenza dell’essere e del bene reale assoluto che nasce dall’uomo. La metafisica è relativa, perché riguarda alcuni campi particolari dell’essere, come ‘anima e la natura. I suoi risultati sono però solo ipotetici e probabili, avendo il suo grado di certezza dalle premesse più deboli, quelle scientifiche65. L’unica via per giungere a Dio è quella della religione. Dalla e nella fede è dato il Dio Vero conosciuto tramite la rivelazione. 65
Cfr. FERRETTI, G., , Filosofia della religione, in: Vita e Pensiero, (2) 1972, p. 58.
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