Glossario di indicatori di EIC - CVM

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Glossario per Indicatori di Educazione Interculturale (ambito storico)
CONCETTO NON ETNOCENTRICO
Nel processo di grande trasformazione della società attuale, la conoscenza “esperta a
scuola va riesaminata alla radice, rileggendola nel suo processo storico di formazione. I saperi
devono essere analizzati nel loro contesto, in relazione alle condizioni che possono spiegarne le
origini e le continuità, insieme alle rotture e alle emergenze così da leggere, nella trama delle
loro matrici,le loro trasformazioni. Il “sapere” per la didattica va rielaborato nei termini di una
ricostruzione che ne metta alla luce contesti- origini- trasformazioni: perché sia “formativo”
occorre che recuperi la sua pregnanza di sapere prodotto socialmente per la soddisfazione dei
bisogni ( saperi-bisogni/sapere-valore) dei singoli come dei problemi e delle attese dello
sviluppo comunitario. Ciò impegna il docente nella revisione dei concetti disciplinari per
comprendere quale sia il contenuto pedagogico dell’insegnamento ovvero quali oggetti culturali
costituiscano la ragione sociale del lavoro dell’insegnante oggi. Urge capire quali significati
esprimono i concetti di popolo, uomo, cultura, stato, sviluppo ecc. sapendo che attraverso
questi saperi disciplinari e curricolari passano le rappresentazione delle identità individuali e
collettive che formano sentimenti, emozioni, modi di sentire e di relazionarsi orientati a
costruire l’ etica del cittadino cosmopolita del III Millennio Occorre rileggere i saperi scolastici
ricostruendo il loro processo socio-genetico e psico-genetico di formazione: Che tipo di sapere
è stato? Quali conoscenze e tecniche ha generato? Secondo quali metodologie si è costituito?
Con quali altri saperi si è associato? Come è cambiato nel tempo? Quali influenze ha esercitato
nella società? Quale ruolo formativo assume rispetto al compito di sviluppo degli alunni?
Questa metacognizione risulta indispensabile per qualificare le effettive competenze
professionali e disciplinari dei docenti di oggi, chiamati a rispondere della padronanza
epistemologica della disciplina, della conoscenza storica della sua evoluzione, della sua
pregnanza interdisciplinare, del suo valore educativo-formativo. Si ragioni, ad esempio, sul
concetto di popolo. Nei manuali di storia e di geografia questo termine è ancora associato alle
categorie di una rigida identità nazionale, in quanto i requisiti di formazione del concetto
prevedono -oltre la componente territoriale- anche l’unità di “sangue, lingua ed altare” in piena
armonia con il paradigma ottocentesco di marca manzoniana. Tuttavia lo studio del processo
storico del concetto di popolo (W. Pohl 2001) attesta che nell’Alto Medioevo un popolo era di
solito un aggregato di gente di origine disparata che non parlava nemmeno la stessa lingua.
Alcuni Franchi parlavano in “lingua romana”, altri in “lingua teodisca” e a definire un popolo
erano delle esperienze condivise quali una guerra vittoriosa al seguito di un capo carismatico o
lo stanziamento in uno stesso territorio. I Franchi si sono costituiti come popolo raccogliendo
sullo stesso territorio soggetti di diverse identità etniche. Queste ultime, tra l’alto, alla luce
degli studi storici risultano essere costruzioni culturali che non vengono date una volta per
tutte, ma che devono essere sempre attualizzate. La ricostruzione del termine permette di
rielaborarne il senso a seconda dei bisogni formativi degli allievi. In una società multietnica
occorre chiedersi quale concetto di popolo risponda meglio alla scelta di formare identità
interrelate. Da ciò consegue che nella professionalità dell’insegnante rientra una riflessione
sulle conoscenze accademiche che vanno non solo sempre aggiornate ed approfondite, ma
anche rielaborate in termini pertinenti alla loro destinazione. Questo nuovo sguardo culturale
richiede investimento nella ricerca scientifica, collegamento tra scuola e ricerca universitaria,
formazione e aggiornamento disciplinare dei docenti in chiave interculturale, riconoscimento
della professionalità competente.
GLOLOCALE /TRANSCALARITA’
La nozione di transcalarità può essere esemplificata dall’utilizzo della “metafora della
rete”che consiste nella considerazione congiunta di scale che sono connesse da nodi di varia
natura, collegati tra loro da articolati sistemi di relazione. Il significato del concetto di
transcalarità si pone davvero in controtendenza rispetto al canone tradizionale
dell’insegnamento secondo il quale la rappresentazione del mondo ha sempre proceduto
gradualmente dal vicino al lontano, dalla storia locale a quella nazionale, per poi passare
successivamente a quella continentale e mondiale nel rispetto, si diceva, della natura e della
crescita cognitiva del fanciullo. Leggere la storia su scala mondiale vuol dire cogliere
contestualmente una pluralità di scale: planetaria, continentale, nazionale, regionale,locale. La
transcalarità suggerisce un’impostazione innovativa della conoscenza e della rappresentazione
spaziale in quanto afferma che oggigiorno la complessità della realtà mondiale è tale da
imporre la considerazione contestuale del vicino e del lontano, affrontando lo studio dei
fenomeni utilizzando trasversalmente la piccola come la grande scala in un intreccio costante
tra glolocale.
MULTISETTORIALITA’
La “multisettorialita” indica l’esigenza di uscire da una storia esclusivamente
politicoistituzionale vincolata a personaggi, eroi e modelli di stampo nazionale per promuovere una
storia di tutti, una storia dell’umanità letta nella complessità delle diverse identità. La storia
mondiale è una storia del sociale che metta in luce non solo i grandi avvenimenti ma anche
quelli legati alla vita quotidiana, alla vita del popolo, alla schiavitù di oggi e di ieri, al lavoro,
agli spostamenti degli uomini, ai comportamenti delle famiglie, alle pieghe del mondo “umile”
negato dalla storia tradizionale. La storia “multisettoriale” è una storia di genere, censo, gruppi
sociali, religioni, movimenti, etnie e al tempo stesso è una storia che dilata il campo delle
connessioni disciplinari per agganciare i contenuti di scienze quali l’antropologia, l’economia,
la geografia così da diventare storia ambientale, demografica, sociale, culturale.
VISIONE AL PLURALE
Una visione al pulrale della storia impegna alla lettura di una pluralità di storie di cui
considerare i punti di vista di tutte le categorie sociali, dominanti e subalterne. C’è una storia
delle Crociate di marca Occidentale e c’è un’altra storia delle Crociate viste dagli Arabi (Amin
Maalouf); c’è una storia della conquista dell’America di marca europea e ce ne un’altra vista
dagli indios ( Miguel León-Portilla, Il rovescio della conquista. Testimonianze atzeche, maya e
inca, tr. it., Adelphi, Milano 1974) La storia la plurale aiuta a decentrare il punto di vista, ad
empatizzare con gli altri , a considerare i fatti tragici della storia umana evocando
contemporaneamente le vittime, i criminali ed i testimoni [Hilberg] e ad affermare la pluralità
delle memorie presentando i fatti, le fonti, le loro interpretazioni possibili, di cui si riconosce la
parzialità legata a vincoli di contesto, in relazione alle condizioni che possono spiegarne
l’unilateralità della spiegazione.
MENS CRITICA
L’abito critico sviluppa una storia scolastica utile alla costruzione di un pensiero decentrato,
delocalizzato mirato ad educare alla consapevolezza del metodo della ricerca storica. La mens
critica deve favorire la lettura esperta delle fonti, la distinzione tra le diverse tipologie, la
questione della loro comparazione e selezione, la relatività delle ipotesi esplicative e delle
parziali interpretazioni. Una particolare attenzione dovrà essere focalizzata non solo sui vari
elementi dei manuali scolastici ( foto, immagine, etimologia delle parole, visione sincronica
/diacronica, assenza/presenza, pensiero lineare, approccio causalistico-meccanicistico di
stampo positivista…) ma anche sulle attività didattche distinguendo quelle di tipo assertive,
ripetitive da quelle di tipo costruttivista, euristiche,argomentative, di ricerca, di dibattito e
creative. La mens critica deve anche promuovere la distinzione tra storia e l’uso pubblico della
storia che ne fanno i mass media e deve ricostruire i legami tra presente e passato utlizzando il
nodo cruciale della periodizzazione. La pluralità dei tempi e delle durate nonché delle
continuità e dei mutamenti che caratterizzano i processi di trasformazione della storia mondiale
sono in grado, intrecciandosi tra loro, di far comprendere il livello di umanizzazione di una
organizzazione sociale, economica e politica – sia questa uno spazio nazionale o una tribù o
una società globale – nella sua capacità di saper equilibrare il rapporto tra bisogni e risorse
all’interno degli specifici contesti spaziali e temporali.
SGUARDI INCROCIATI
Incrociare gli sguardi significa mettere a confronto i diversi modo di leggere, interrogare ed
interpretare i fatti storici acquistando la consapevolezza della pluralità dei fattori che spiegano
una realtà storica. Si tratta di approfondire lo sguardo, di potenziare un’attività di ascolto in cui
la diversità delle posizioni non siano esaminate come monadi o elementi giustapposti e/o
contrapposti ma come espressioni di una visione più complessa. In tal modo si apre l’orizzonte
in grado di rendere conto delle ragioni degli uni e degli altri in un dialogo orientato alla
contrattazione dei punti di vista, laddove questo sia possibile, o al superamento di sterili
dicotomie alla ricerca di una più ampia visione della storia.
STORIOGRAFIA DEGLI INTRECCI
La storia in chiave interculturale dubita del “mito dell’ autoctonia” o della “razza pura” in
quanto ritiene che le storie si intrecciano, si meticciato e si creolizzano. Questo sguardo invita
a superare il taglio sostanzialmente nazionale o eurocentrico della storia che esclude la
formazione di una coscienza mondiale. La tradizionale “storia per popoli”rafforza una struttura
gerarchica che non favorisce la relazione tra culture e soggetti di diversi spazi in quanto la
logica etnocentrica - seguendo un’ottica autoreferenziale - mette in gioco, solo alcuni popoli
rispetto ad altri che non assurgono alla dignità della citazione storica. La World history
s’interessa alle storie di tutta l’umanità ed incrocia le storie degli altri colla propria storia in una
visione olistica, globale e planetaria nella piena consapevolezza che l’interdipendenza e l’
interconnessione rappresentano fili conduttori della storia dell’unica specie umana.
QUESTIONI SOCIALMENTE VIVE
Le questioni socialmente vive sono quelle legate sia all’attualità sia alla memoria che risultano
comunque scottanti perché generano orientamenti opposti e controversie interpretative anche
tra gli stessi ricercatori come, per esempio il tema della Grande Guerra o della Schoab o della
stessa colonizzazione. I dibattiti su questi temi sono spesso inquinati da rivalità istituzionali e
dai rapporti di potere tipici del mondo della ricerca storica e dei suoi usi pubblici. La necessità
di affrontare questi temi deriva dal pericolo del mancato riconoscimento della controversia e
da conseguente introduzione nei manuali destinati agli studenti di questi argomenti come puri
fatti di cui non si problematizza la lettura in linea con una tendenza scolastica tesa a
presentarli come risultati e dati ben saldi. Così si escludono la riflessione e il dibattito sulle
modalità e sul funzionamento delle organizzazioni sociali e non si colgono i processi di
formazione in grado di cogliere la rete delle complesse relazioni, di cui è intessuta la storia
dell’umanità. All’interno delle questioni socialmente vive va annoverata una storia “calda” che
recupera il legame tra passato e presente e vede nella memoria un patrimonio a cui attingere
le possibili risposte ai numerosi interrogativi di oggi. Le interrogazione fondamentali della
storia che sono
a monte di ogni narrazione riguardano i temi sempre “vivi” di
vita/morte;amico/nemico,incluso/escluso; uomo/donna; dominanti/subalterni. Ogni narrazione
storica può essere utili per ritrovare i presenti del passato e per ricucire i fili che legano la
memoria al presente. Lo studio di queste problematiche socialmente vive non ha senso e non è
utile se non nel contesto di una storia problematizzata, che rinnovi ed espliciti le sue domande
sulle società del passato vicine e lontane, tutte interconnese nei rapporti di scambio, di
conflitto, di acculturazione…
PERIODIZZARE
L’istanza di cogliere le connessioni tra le “storie plurali” dello scenario mondiale si collega
inevitabilmente con gli aspetti essenziali della periodizzazione e delle diverse temporalità che
superano la tradizionale visione cronologico lineare per tener conto di altri indicatori quali il
periodo, la durata, i mutamenti, le permanenze, il ciclo, la congiuntura, le accelerazioni, la
successione e la contemporaneità da collegare agli spazi delle diverse scale. Le
rappresentazioni crono - spaziali rendono conto delle compresenze e legano il passato al
presente tramite una fitta rete di nodi in cui le società mostrano il proprio statuto di
sopravvivenza ed il proprio diritto ad affrontare il problema di coabitare nel pianeta terra con
diverse altre modalità di organizzazione sociale. Questa visione d’insieme consente di rivedere
criticamente la concezione positivista che delinea lo sviluppo dell’umanità come un processo
lineare necessariamente migliorativo secondo il cliché che affida alla scienza la risoluzione di
tutti i problemi e conferisce al mondo occidentale, tecnologicamente avanzato, un primato e
una superiorità che colloca nel silenzio o ai margini della storia tutti coloro che
sono in
ritardo rispetto a questo modello. L’uso di scale temporali e spaziali diverse consente di
confrontare società e fatti di grande ampiezza temporale e spaziale legittimando storie di aree
geografiche mondiali escluse o ghettizzate dall’etnocentrismo.
STEREOTIPI COLTI
L’uso pubblico e formativo della storia pone il problema del rapporto tra produzione scientifica
e conoscenza diffusa. Molti sono gli esempi che dimostrano come i fatti storici presenti nei
nostri manuali scolastici siano tuttora declinati secondo i dettami di una ricerca ottonovecentesca legata ad una “vulgata” che non riesce a dare conto della ricchezza e della
varietà dei problemi e delle narrazioni che la storiografia mondiale mette oggi in campo. Un
esempio in tal senso è costituito dalla “vulgata” sulle Crociate. Le Crociate che noi conosciamo
sono quelle consegnate
alle scuole con l’immagine del cavaliere bianco, con lo scudo
attraversato dalla croce rossa, che combatte contro il musulmano armato di scimitarra . In
realtà i Crociati non avevano tale simbolo come mostrano icone del tempo ma questa
immagine è perfettamente in sintonia con l’ideologia della civilizzazione dell’ 800 coloniale. Un
caso simile riguarda lo stereotipo del “Medioevo rozzo” o del “Barbari latinizzati” . Tale
questione rappresenta un processo noto agli storici come “invenzione della tradizione” e il fatto
che sia iniziato “ab antiquo” - ovvero ancor prima dell’800 - non toglie nulla al problema
storico di sapere che cosa allora è veramente avvenuto fra XI e XIII secolo. La riflessione si
amplia e al docente di storia si pone il problema di quale storia insegnare: se quella della “la
ricostruzione tradizionale” oppure quella della “la versione storiograficamente accreditata”. Nel
caso particolare delle crociate, poi, si deve osservare che la filologia storico didattica
interferisce in profondità con la stessa questione interculturale. Un conto, infatti, è insegnare
che le crociate furono una serie di spedizioni progettate e dirette alla liberazione del Santo
Sepolcro (nozione tradizionale), un conto è raccontare che, nella sequenza infinita e spesso
informe dei pellegrinaggi armati medievali vennero “selezionati storiograficamente” alcuni
episodi, che col tempo portarono alla costituzione dell’idea stessa di crociata (versione
storiografica attuale). Ed ecco dove la difficoltà didattica diventa problema irto di ostacoli di
varia natura: insegnare il mito e poi decostruirlo? O insegnare come, secondo la storia scienza sempre perfettibile – sono avvenuti i fatti, e spiegare, magari come si è costruito nel
tempo il mito? Ci scontriamo, ora, non con strutture mentali e difficoltà cognitive, ma con
fermissime convinzioni, per ragioni diverse condivise dal mondo cristiano/occidentale e da
quello musulmano/sudorientale. Claude Nicolet, grande studioso del mondo classico, ma anche
dei problemi della cittadinanza, ci ricorda che “L’obiettivo fondamentale della storia, non
dovrebbe essere tanto quello di trasmettere una memoria comune alle nuove generazioni,
quanto piuttosto quello di aiutare gli individui a liberarsi del peso nefasto che le false
conclusioni storiche fanno pesare sulla società”. L’intercultura è l’ultima frontiera della
didattica, la più difficile, e l’esempio che ho proposto forse ci avvisa che non si tratta di un
terreno irenico, di buoni sentimenti, ma aspro, di conflitti sociali e di problemi storiografici.
PROBLEMATIZZAZIONE (messa in discussione del “dato” storico; attivare interpretazione ed
immaginazione…)
La storia non è più solo una narrazione unilineare dei fatti, ma è anche “storia-problema”. All’
apprendimento mnemonico di questo o quell’avvenimento scandito dalla lezione tradizionale si
sostituisce il metodo “dell’inchiesta” , “del detective”, “del problem-soving” che coinvolge
l’allievo spinto ad interrogarsi su questioni inerenti all’attualità o su conoscenze significative
che intrecciano il passato al presente. Per far questo
si utilizzano strumenti didattici
diversificati : non solo il manuale, ma anche altri testi e strumenti multimediali, l’ambiente, il
museo, il territorio, il laboratorio, il patrimonio storico-artistico. Importante è attivare una
didattica attiva, investigativa che dia all’allievo la sensazione di “ vestire l’abito dello storico”sia pure in un setting già predisposto – per provare le emozioni di chi analizza una fonte, la
selezione, la interroga, la interpreta e la documenta. Diventato protagonista del processo di
apprendimento, l’allievo attiva una più consapevole gestione della pluralità delle fonti, assume
con sguardo critico il “dato storico” e non identifica la verità né con esso né con l’immagine che
lo rappresenta, ma prende le distanze dal pluralismo conflittuale delle ipotesi interpretative e
avvia la mente verso la “cultura fondata sul valore del rispetto del pluralismo e della laicità”. In
una più corretta formazione della coscienza storica l’allievo, tuttavia, non scivola verso un
vuoto formalismo relativista, ma assume
la pluralità come approfondimento e visone
problematica della rappresentazione del mondo e della storia a cui occorre dare delle risposte
rigorosamente argomentate e situate. In questa prospettiva la storia diviene materia viva, con
cui confrontarsi e con cui negoziare comportamenti e stili di vita anche in funzione di una
progettualità che impegni l’allievo ad immaginare il futuro partendo dall’analisi del passato e
del presente.
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