Niger. Ténéré: ciò che non esiste

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Testo e foto di Giuseppe Pompili
Un Azalai del Ténéré
"Tuttavia, abbiamo amato il deserto.
All'inizio sembra fatto di nient'altro
che di vuoto e silenzio;
ma solo perché non si dà agli amanti di un giorno. [...]
Il deserto per noi era ciò che nasceva in noi.
Ciò che noi apprendevamo su noi stessi".
Antoine de Saint-Exupéry - Terre des hommes - 1938
Nelle foto dallo spazio, al centro dell’Africa occidentale, spicca un’ampia distesa brillante racchiusa a nord
dalle macchie scure dei monti dell’Hoggar, a est e a
ovest dagli altipiani riarsi dell’Air e del Tibesti e a sud
dal massiccio del Termit. E’ il Ténéré, “ciò che non esi-
ste”, una delle anime di sabbia del Grande Sahara.
Spazi immensi dove inevitabilmente si perde l'orientamento e orizzonti liquidi che si fondono col cielo. 800
kmq di deserto ora piatto, ora pieno di dune inaccessibili per metà dell’anno a causa delle temperature estreme e dei venti impetuosi. Il Ténéré non eguaglia forse
l’Acacus libico per ricchezza cromatica, non possiede
la temibile fama del Taklamakan, il cui nome avverte
minaccioso che chi entra non esce, non ha la sacralità
di Ar-Rub’ al-Khali, il quarto di vuoto che sigilla
l’Arabia o l’inaccessibilità dei deserti di ghiaccio delle
zone artiche, ma per molti è il prototipo del deserto, il
deserto dei deserti.
Arlit, Niger
L’attraversamento del Tassili dell’Hoggar lungo la principale pista transahariana che scende dall’altipiano di
Tamanrasset sino al reg di In Guezzam è una diversione che scorre via veloce senza lasciare tracce nel ricordo, perché è in Niger che siamo diretti, alla falesia del
Kaouar e alle sue oasi. La guida tuareg e i fuoristrada
ci aspettano nella terra di nessuno tra Algeria e Niger,
una decina di chilometri prima della frontiera di
Assamakka. Moussa è un nomade sulla quarantina, alto e grifagno, magrissimo, che sembra andar per deserti guidato unicamente dal suo istinto di uccello migratore. Non lo abbiamo mai visto in volto a causa del
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NIGER
Il gruppo ad Arakao
a prevalente religione musulmana, e il Sud Africa di
pelle nera, legato a ritmi e valenze tribali, come i pastori Peul, che in tempi antichi migrarono dall’Alto Nilo.
Le donne d’Arlit, non più velate e invisibili, ma belle e
altere come modelle, vestono colori sgargianti e sciamano per le strade, nei mercati, tra la gente. Nelle strade polverose dell’Air, accanto ai pozzi di sperduti villaggi e nei cortili d’Iferouane, i bambini ci mostrano orgogliosi i loro giocattoli autocostruiti, tenuti insieme da
tenacia e fil di ferro. Vivono qui, riparati dalle montagne, assediati dal deserto, in villaggi ancora senza elettricità e in apparenza liberi dalla nostra dipendenza
dagli oggetti. Chissà per quanto tempo ancora.
Agadés e le ultime Azalai del Ténéré
tagoulmust, il velo di stoffa che avvolge il capo dei tuareg lasciando scoperti solo gli occhi, che non si è mai
tolto in nostra presenza. Il suo contegno silenzioso e distaccato rivela una parsimonia nell’uso delle parole che
è già una scelta di vita, ma quando parla del Termit, la
sua lontana dimora, allora una luce si accende nel nero dei suoi occhi. Grande è il contrasto con i due giovani autisti, più inclini al sorriso e apparentemente meno imbarazzati a scoprirsi davanti a noi, come ad insabbiarsi, del resto. Moussa ci ha guidato ad Arlit attraverso un deserto piatto e privo di riferimenti, imboccando poi la comoda strada asfaltata che porta ad
Agadés. La transahariana si allunga da Tamanrasset un
anno dopo l’altro, come un serpente che muta pelle con
le stagioni, e il suo avanzare è fatto d’asfalto e di Tir
sempre più numerosi. Ma il Tassili costituisce ancora
un’efficace barriera e già in Niger osserviamo una radicale differenza di costumi rispetto alla vicina
Tamanrasset. Il Ténéré è diventato nel tempo anche la linea di demarcazione tra le popolazioni
di pelle bianca nel Nord Africa,
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Agadés è una città carovaniera e di mercato e, seppur
decaduta e modernizzata, conserva ancora l’impronta
di capitale del sultanato tuareg dei Kel Air ricordandoci che oggi non tutto il Sahara è asfalto e omologazione. In Agadés i mastri orafi tramandano le tradizioni
d’appartenenza tribale forgiando i classici gioielli a
croce, dalle forme più svariate, che tutto hanno tranne
che un simbolismo cristiano. Agadés è, soprattutto, il
punto di riferimento per quanti si apprestano ad attraversare il deserto. Lo è tanto per noi, alla ricerca dell’emozione di una traversata che, pur col supporto dei
fuoristrada, ha ancora il sapore dell'avventura, quanto
per chi ancora continua caparbiamente ad attraversare il Ténéré a dorso di cammello, per mestiere e antichissima consuetudine, conducendo grandi carovane
di dromedari pezzati capaci di sopportare un carico
che può raggiungere il quintale. Sono le ultime carovane del sale, chiamate in Mali “Azalai” e in Niger
“Tarlamt”, in grado di percorrere sino a 40 km al giorno. In poche settimane coprono la distanza tra le oasi
del Kaouar e Agadés, con una lunga e faticosa marcia
che inizia all'alba e termina ben oltre il tramonto.
Nessuna sosta, tranne quella per le cinque preghiere
giornaliere. Un mese duro ed estenuante, trascorso cavalcando i dromedari e riposando accovacciati in equilibrio sulle cavalcature per recuperare le forze.
Un'avventura al limi-
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te della resistenza umana che presuppone grande familiarità con il severo ambiente del deserto unita a notevole resistenza fisica. Il Madugu è il capo carovana. In
prima fila, lo sguardo fisso in avanti a scrutare l'invisibile pista. Il commercio triangolare dei prodotti agricoli dell’Air in cambio di datteri e sale, sopravvive verso
oriente, in direzione del Ténéré, sostenuto dagli infaticabili Kel Ouei, una tribù di tuareg dell’Air da sempre
dedita agli scambi in partecipazione con i Kel Gress, allevatori originari del sud, proprietari degli animali. Gli
Azalai, parola tamascek che vuol dire separazione,
compaiono nel deserto come fantasmi dal passato e
sembrano dirigersi verso il nulla, scomparendo tra i cordoni di basse dune parallele che si susseguono come
onde confondendosi in lontananza nella foschia dell'harmattan. Ci hanno regalato la nostalgia d’un incontro irripetibile tra epoche lontane e inconciliabili.
Proseguendo oltre l’oasi di Fachi con le sue saline, motivi di sicurezza ci hanno indotto a non imboccare la pista che da Bilma porta a Djado e poi a Djanet, ma di ripiegare a nord in direzione della falesia d’Achegour e
dell’Adrar Madet. Scelta felice, perché la parte orientale dell’Air cela la Riserva Naturale Nazionale dell’Air e
del Ténéré, nota anche come Santuario degli Addax,
uno degli angoli più affascinanti del deserto. Qui l'erosione, dovuta dagli sbalzi termici e dal tempo, ha modellato le estese rocce affioranti dal mare di sabbia formando sagome bizzarre, giganteschi archi naturali,
picchi, guglie e torrioni che affiorano tra le dune dorate, nell'erg infinito. Tetri adrar rocciosi si alzano dai reg
piatti di sabbia e ciottoli. Il basalto nero dell'Air si frantuma in creste seghettate e pinnacoli, guglie e organi di
pietra che delimitano pianure desolate dove è sufficiente chiudere gli occhi per immaginare, confuso al brusio
del vento, l’eco della corsa dei mastodonti delle ere passate. I siti d’arte rupestre danno solo un'idea di come il
clima fosse diverso e di come fosse più vivibile l'intera
area oggi occupata dal deserto del Ténéré. Reperti
d’ossa di dinosauro, vissuti milioni d’anni fa in delta di
fiumi oggi fossili, sono visibili nelle località di Gadufaua
e Ingal. Le dune rosa e quelle dorate si contendono
Arakao, una formazione
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NIGER
Forme di sale a Fachi
semicircolare di colline rocciose invasa dalle sabbie la
cui forma ricorda le chele di un granchio. Le sabbie colorate di Arakao fanno da preludio alle barcane alte
come colline di Temet, dune di 300 metri, le più grandi
del Sahara. Per arrivarci abbiamo attraversato le
Montagne Blu, rupi di marmo traslucido e levigato che
emergono dalle sabbie come ossa d’animali morti, solcati da venature d’azzurro che paiono riflettere i cieli di
turchese.
Il paese della luce
Al ritorno a casa, nell’abbraccio di un anonimo inverno padano, resta prepotente la nostalgia dei preparativi nell’aria gelida, delle aurore quando i fuochi sono
spenti e il sole diviene color albicocca, del tempo immutabile, del fruscio del vento sulla sabbia e dei silenzi. Chi cade vittima di questo vasto paese di luce è destinato a ritornare, a qualunque costo, perché la sua
maggiore seduzione si esercita attraverso le nostre più
personali e intime aspettative, a loro volta proiezione
dei miraggi che sono dentro di noi. Il deserto non fa
che riflettere i nostri sogni: se stiamo cercando
l’Assoluto quella sarà l’immagine
Il minareto di Agadés
che darà di sé, perché, essendo niente, può essere tutto quello che desideriamo che sia e, come uno specchio, non fa che riflettere l’anima di chi lo ama. Se la
vita, sotto il velo diafano della prevedibilità e della sicurezza, è solo caos e illusione, allora il deserto, assenza e vuoto per definizione, appare come l’unico
bene veramente durevole perché non esiste, essendo
di tutti e di nessuno. E ciascuno di noi ha interpretato
il Ténéré, “ciò che non esiste”, secondo le proprie inclinazioni, trovando quello che vi cercava, come una
pagina bianca che non aspettava altro che d’esser riempita. Come Camus, lo riconosciamo innanzitutto
per quello che è, “una terra di bellezza, inutile e insostituibile” il cui richiamo, per la gente di città, è la realizzazione di una momentanea fuga dagli alveari
umani, dai miasmi di una complessità urbana che se
da un lato offre benessere e sicurezza in cambio sottrae, giorno dopo giorno, la vita. Questi luoghi che
per molti sono il niente, hanno il pregio di riuscire a
colmare, almeno per un po', quel vuoto e quella insofferenza che spesso ci prendono per restituirci, attraverso la solitudine, una parte della nostra libertà.
Camion al completo
Bibliografia
1. Pietro Laureano – Sahara giardino sconosciuto –
Collana I luoghi della civiltà. Giunti Editore, Firenze.
1a Edizione 1993, pagg. 290, lire 35.000.
2. Pietro Laureano – Sahara – Oasi e Deserto – Saggi
Giunti. Giunti Editore, Firenze. 1a Edizione 2001,
pagg. 216, euro 14,46.
3. Massimo Baistrocchi – Antiche civiltà del Sahara –
Collana storia e documenti n°66. Mursia Editore,
Milano. 1a Edizione 1986, pagg. 320, lire 30.000.
4. Cino Boccazzi – Sahara – Vento, sabbia, solitudine
– Tascabili Neri Pozza pagg. 96. 1a Edizione Neri
Pozza Tascabili settembre 2002, euro 7,00.
5. Alain Laurent – Desiderio di deserto – Feltrinelli
Traveller 2001 Milano. pag.128 , euro 9,30.
6. Vanni Beltrami, Harry Proto – Tuareg e altre genti del
deserto – Collana Percorsi e Culture Polaris Editore
Firenze 1a Edizione 2001, pagg. 257 euro 26,86.
7. Umberto Sansoni – Le più antiche pitture del
Sahara. I Tassili, l’arte delle teste rotonde – Jaca
Book, Milano 1994. pagg. 180, lire 30.000.
Alba sull’Adrar Chiret
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