Fascismo. l`inizio della fine (ultima parte)

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DA FOTOSTORIA ITALIANA ANNI 1921 – 1971
Il grano dell’Emilia non deve finire nelle mani dei tedeschi.
Contadini e compartecipanti!
Voi avete sostenuto e vinto una grande battaglia!
All’appello lanciato dal Comitato di Liberazione Nazionale: “Non un chicco di grano ai
tedeschi” voi avete risposto unanimi impedendo che le macchine entrassero nei vostri cortili e,
dove era necessario, sabotando le trebbiatrici stesse; avete ridato per due mesi la trebbiatura ed in
tale modo avete impedito al nemico di appropiarsi del nostro grano, avete contribuito al suo sfacelo
e, sopratutto avete prestato opera validissima per la liberazione del popolo italiano.
Contadini e compartecipanti!
La lotta vostra e di tutto il popolo italiano continua! La parola d’ordine è ancora la stessa
“Non un chicco di grano ai tedeschi” Se anche un po di grano verrà trebbiato, questo dovrà
essere distribuito alla popolazione in misura superiore a quella assegnata dalle autorità fasciste
ed il rimanente dovrà essere seppellito in luoghi ben sicuri ma non un chicco che parta per
l’ammasso!
Scacciate dalle vostre aie i controlli fascisti e contro i tentativi di requisizione opponetevi
con la forza.
Organizzati nelle vostre squadre d’azione impedite ad ogni costo che i tedeschi si
impossessino del vostro grano.
Contadini!
Difendete il vostro grano! Ammassarlo vuol dire darlo ai tedeschi! Ammassarlo vuol dire
prolungare la guerra!
Operai!
Unitevi ai contadini in squadre per la difesa del raccolto e per la lotta antitedesca!
Morte agli affamatori del popolo italiano. Viva l’insurrezione popolare. Via i tedeschi
dall’Italia. Viva la lotta dei contadini bolognesi.
Il Comitato Provinciale dei contadini e dei braccianti bolognesi.
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Un appello per l’insurrezione della Federazione Comunista di Udine.
Patrioti del Friuli!
La Belva nazista rantola fra le fumanti rovine di quella che era la capitale del Reich.
In Italia i vostri compagni hanno con il loro sangue pagine sublimi di storia. Il mondo
ammirato guarda a voi.
Patrioti della Garibaldi e dell’Osoppo! E’ scoccato l’ultimo minuto.
Picchiate, picchiate forte e subito! Gappisti e Sappisti:
Non state secondi a nessuno. Sterminate fascisti e tedeschi. Essi devono arrendersi o perire.
Compagni di Partito nelle formazioni militari!
Il partito è orgoglioso e fiero di voi e nel nome dei nostri martiri vi chiede di fare tutto il
vostro dovere.
A morte i nazifascisti!
W l’Italia libera, democratica e progressiva!
LAVORATORI, CITTADINI!
Dopo Milano, Genova, Torino e tante altre città anche Venezia è insorta,
Battuto dalle gloriose Armate Sovietiche e Alleate il nemico esala rantolando l’ultimo
respiro.
OPERAI, IMPIEGATI, ARTIGIANI, POPOLO DEL FRIULI!
Udine patriottica e operosa segua l’esempio delle città.
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Questo è il contributo di sangue che i cittadini colligiani hanno dovuto
pagare per le avventure del fascismo.
Militari di Colle val d’Elsa caduti nella guerra d’Africa (Abissinia) 1935/1936
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Venturi Fedro, nato a Civitella di Paganico (GR) 1 dicembre 1913 deceduto per cause di
guerra a Colle val d’Elsa il 17 novembre 1936
Marzi Giuseppe, di Venazio e di Bacci Isola, nato a Monteriggioni (SI) il 2 giugno 1911
soldato in artiglieria, deceduto a Caserta il 5 dicembre 1935 per malattia contratta in guerra.
Militari di Colle di val d’Elsa caduti nella guerra di Spagna 1936/38 in aiuto al generale
Francisco Franco.
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Cappellini Gino nato 12 marzo 1903 deceduto per cause di guerra a Colle val d’Elsa
3 dicembre 1940
Ramazzotti Ferdinando madre Butelli Caterina deceduto nell’Ospedale Militare Spagnolo
in località Siguenza per ferite riportate in combattimento.
Fiorentini Angelo di Giuseppe e Sarri Niccolina nato a Colle di val d’Elsa il 5 giugno 1915
deceduto in ospedale a Pamplona l’8 dicembre 1938 per tifo sepolto Cimitero guerra linea
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Cittadini di Colle val d’Elsa volontari nelle Brigate Internazionali deceduti in aiuto alla
Repubblica Spagnola.
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Franci Leo nato 7 maggio 1905 deceduto nella difesa di Madrid in località Brunete nella
primavera del 1937.
Elenco dei cittadini di Colle di val d’Elsa deceduti nei bombardamenti aerei avvenuti nei
giorni 15 e 16 febbraio 1944
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Aiazzi Vera, abitava in Giuseppe Garibaldi 54.
Assunti Narciso, abitava in via Pieve in Piano 3.
Bartoli Alessandro, abitava in via XX Settembre 22.
Bartoli Virginia, abitava in via Giuseppe Mazzini 47.
Benetti Ilio, abitava in via Giuseppe Garibaldi 108.
Bilenchi Fortunato, abitava in via dei Botroni 29.
Bocci Emma, abitava in via Giuseppe Garibaldi 1.
Bocci Maria, abitava in via Giuseppe Mazzini 13.
Borsari Boreno, abitava in via Pieve in Piano 47.
Borsari Dora, abitava in via Pieve in Piano 47.
Bruni Francesco, abitava al podere i Sodi 8.
Bruni Umberto, abitava al podere i Sodi 9.
Bruni Vittorio, abitava in via del Pozzo Tondo 32
Caciagli Ernesto, abitava in via Cesare Battisti 1.
Campanini Terzilio, abitava in via Giuseppe Mazzini 37.
Cantini Maurizia, abitava in via Stefano Masson 3
Cardinali Antonietta, abitava in via Pieve in Piano 33.
Carli Piero, abitava in via Porta Vecchia 15
Castaldi Emilia, abitava in via San Sebastiano 22
Castellini Castellino, abitava in via San Sebastiano 34.
Cavallini Niccolò, abitava in via Maremmana 2.
Cini Mauro, abitava in via Giuseppe Garibaldi 62.
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Dondoli Gino, abitava in via XX Settembre 22.
Dondoli Velia, abitava in via delle Romite 38.
Ferri Marcella, abitava in via Vittorio Emanuele 16 (ora via G. Mazzini).
Fornai Aldo, abitava in via Cesare Battisti 14.
Fusi Egidio, abitava in via di Salvagna 15.
Galigani Nella, abitava in via Giuseppe Mazzini 46.
Gozzi Lilia, abitava in via Giuseppe Mazzini 46.
Guerranti Bruni Maria, abitava al podere i Sodi.
Livini Umberto, abitava in via Garibaldi 38.
Logi Miranda, abitava in via Stefano Masson 38.
Losi Domenico, abitava in località Scarna 4.
Luschi Olinto, abitava in via Usimbardi 10.
Malandrini Antonio, abitava in via dei Botroni 21.
Malandrini Bruno, abitava in via dei Botroni 21.
Marzini Emilio Eugenio, abitava in via dell’Agio 17.
Mearini Meri, abitava in via Cesare Battisti 1.
Montemaggi Celide, abitava in via della Pieve in Piano 38.
Mugnaini Saro, abitava in via Vittorio Emanuele 16 (ore via G. Mazzini).
Niccoli Maria, abitava in via San Sebastiano 18.
Panci Enzo, abitava in via di Salvagna 5.
Panti Giovanni, abitava in via Giuseppe Garibaldi 85.
Papini Mario, abitava in via Beltramini 30.
Poggi Giulio, abitava in località Collina 3.
Ravaglia Lorenzo Alfonso, abitava in via Pieve in Piano 69.
Rettori Alfio, abitava in Piazza Bartolomeo Scala 12.
Riccucci Corradina, abitava in via dei Fossi 22.
Risi Violante, abitava in via Pieve in Piano 47
Salvini Cesare, i congiunti sono residenti a Poggibonsi.
Sampieri Siria, abitava in via Pieve in Piano 37.
Scardigli Loreno, abitava in via Giuseppe Garibaldi 44.
Scarpellini Ofelia, abitava in Piazza Bartolomeo Scala 12.
Selvaggi Sara, abitava in via Usimbardi 10.
Soldi Mario, abitava in via delle Romite 8.
Tempini Quirino, abitava in località Speratolo 38.
Verdirame Guglielmo, i congiunti sono residenti a Bengasi.
Vermigli Bozzi Livia, abitava in via delle Romite 12.
Verniani Ione, abitava in via della Pieve in Piano.
Volpini Isolina, si ritiene che abbia parenti a Livorno.
Zucchelli Sparta, abitava in via della Pieve in Piano.
Zuccherini Marianna, abitava in via della Pieve in Piano 23.
Cittadini di Colle di val d’Elsa deceduti in bombardamenti aerei in altri Comuni Italiani.
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Bandini Dino bombardamento stazione di Pisa il 31 agosto 1943 (dirigente del P.C.I.
era andato a Pisa per lavoro di partito), abitava in via Roma 56.
Bertini Giuseppe bombardamento di Poggibonsi, abitava in via Beltramini 15.
Bianciardi Guglielmo, abitava a Gracciano 47
Bocci Gino bombardamento di Poggibonsi, abitava in via Pieve in Piano 20.
Farnetani Marino, abitava in via Usimbardi 1.
Giachi Gino bombardamento di Milano, abitava in via Pieve in Piano 59.
Landi Bruno bombardamento di Poggibonsi, abitava in via di Spugna 63.
Mannini Arduino bombardamento di Poggibonsi, abitava in Gozzina 7.
Marzini Galileo, abitava in via dell’Agio 7.
Panichi Emma bombardamento di Milano, abitava in via Pieve in Piano 59.
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Cittadini di Colle di val d’Elsa deceduti a causa di eventi bellici.
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Bartalini Eugenio, per ferite di arma da fuoco, abitava a Quartaia San Donato17
Bartoli Corrado, per ferite di arma da fuoco, abitava a Campiglia Filicaio 81.
Batoni Armando, per ferite da schegge di granata, abitava a Colle fino al 18 marzo 1940
dopo si è trasferito a Volterra.
Batoni Cesarina, per ferite da schegge di granata, abitava a Colle fino al 18 marzo 1940
dopo si è trasferito a Volterra.
Becchi Erminia, da bombardamento di artiglieria, abitava in via della Ruota. 7
Benini Rino, per ferite da scoppio di mina, abitava in via San Sebastiano 14.
Biagini Emilia, per ferite da schegge di granata, abitava in via Garibaldi 10.
Bianchi Giuseppe, per bombardamento di artiglieria, abitava a Gracciano Agrestino 169.
Bianchi Italia, da bombardamento di artiglieria, abitava in via Garibaldi 54.
Bocci Giulia, per ferite da schegge di granata, abitava in via delle Carbonaie 5.
Bordin Regina, per ferite scoppio di granata, abitava a Campiglia Mugnano 44
Borghini Elide, per schegge di granata, abitava a Gracciano 150
Bruni Giuseppe, da bombardamento di artiglieria, abitava in via di Spugna 95.
Buccianti Ferdinando, per ferite da schegge di granata, abitava a Montecchio di Sotto 18.
Callaioli Clorinda, per bombardamento di artiglieria abitava in via XX Settembre 74.
Cardinali Virginia, per colpo arma da fuoco, abitava a Quartaia Fabbrica 28.
Castaldi Palmira, per bombardamento di artiglieria, abitava in via del Muro Lungo 7.
Chellini Pia, per bombardamento di artiglieria, abitava in via delle Romite 83.
Chellini Teresa, per ferite da schegge di granata, abitava a Gracciano 72.
Dani Giuseppe, per ferita da arma da fuoco, abitava a Coneo Timignano 44.
Dani Quinto, per ferita arma da fuoco, abitava a Coneo Timignano 44
Degli Innocenti Giovanni, per ferita da schegge di granata, abitava a Livorno.
Francioli Corrado, per ferite da schegge di granata, abitava in via Mazzini 37.
Frati Giuseppe, per ferite da schegge di granata, abitava a Paterna 39.
Fusi Teresa, per ferite di arma da fuoco, abitava S. Antonio la Segolina 57.
Giannetti Isola, per bombardamento artiglieria, abitava a Poggibonsi.
Giannini Sestilio, per ferite arma da fuoco, abitava a Gracciano Catarelli 5.
Giomi Dina, per ferite da schegge di granata, abitava a Mensanello Fontediaccia 9.
Gonnelli Francesco, per ferite arma da fuoco, abitava a S. Antonio la Segolina 57.
Gonnelli Gino, per ferite arma da fuoco, abitava a S. Antonio la Segolina 57.
Gonnelli Ilva, per ferite arma da fuoco, abitava a S. Antonio la Segolina 57.
Gonnelli Vasco per ferite di arma da fuoco, abitava a S Antonio la Segolina 57
Lisi Giovanni, per ferita arma da fuoco, abitava a Collalto il Casale 4.
Lombardini Settimo, per scoppio di mina, abitava a I Castellini 35.
Marzini Lionello, per ferita di arma da fuoco, abitava in via del Castello 42.
Meoni Rodolfo, per bombardamento di artiglieria, abitava in via di Spugna 95.
Minelli Brunetta, per bombardamento di artiglieria, abitava a Poggibonsi.
Nencioni Dina, per bombardamento di artiglieria, abitava in via del Muro Lungo 7
Nesti Franco, per ferite da schegge di proiettile, abitava a Gracciano Ponelle 16.
Ninci Libero, per causa non dipendente dal servizio militare, abitava a Lano 17
Parri Emilio, per investimento da autocarro esercito alleato, abitava in via Cesare Battisti 1.
Pini Virgilio, per ferita da schegge di granata, abitava a Le Grazie San Biagio 28.
Poli Romero, per ferite di arma da fuoco, abitava a Castel S. Gimignano Montegabbro 26.
Provvedi Giuseppe, per ferita da scheggia di proiettile, abitava a Gracciano 81
Rossi Ernesta, per bombardamento di artiglieria, abitava in via della Ruota 3.
Rossini Ferdinando, per ferite da schegge di granata, abitava Sub. Spugna Abbadia 17.
Salvatori Alfredo, per ferite da scoppio di proiettile, abitava a Lano le Corti 29.
Salvadori Severino, per cause non dipendente servizio, abitava a Lano le Corti 29.
Salvi Ernesto, per bombardamento di artiglieria, abitava in via della Ruota 3.
Sancasciani Giuseppe, per ferite da schegge di granata, abitava in via dell’Agio 4.
Terenzani Ademo, per ferita di arma da fuoco, abitava a Mensanello podere la Colombaia 2
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Terenzani Giuseppe, per ferita arma da fuoco, abitava a Mensanello podere San Francesco
2.
Vanni Giovanni, per ferite da schegge di mina, abitava a Poggio Quercioni 18.
Vanni Pasquale, per ferite di schegge di mina, abitava a Poggio Quercioni 18.
Vanni Silvano, per ferite da schegge di proiettile, abitava a Montegabbro 27
Viti Giuseppe, per ferite da schegge di granata, abitava a Quartana 16.
Cittadini di Colle di val d’Elsa deceduti sotto il servizio militare
1940/1945
Aiazzi Alfio padre Quintilio madre Boschi Amelia, nato a Colle val d’Elsa il 25 febbraio
1915, caporale del Genio, dichiarato disperso in mare a causa del siluramento della
Motonave
Paganini
da nave inglese a trenta miglia da Durazzo il 28 giugno 1940.
Aiazzi Ezio padre Giuseppe madre Giannelli Emilia, nato a Colle val d’Elsa il 15
maggio1917, soldato nei Bersaglieri, deceduto in combattimento sul Lago Castagnani in
Albania il
23
novembre
1940.
Alberti Aladino padre Arturo madre Bigi Maria, nato a Castiglion del Lago (PG) 8 maggio
1913, Vigile del Fuoco, colpito da proiettile a Genova il 28 aprile 1945.
Andreini Vasco padre Guido madre Franchini Erminia, nato a Colle val d’Elsa il 7 aprile
1920, soldato nel Corpo Autocentro, deceduto in combattimento in Russia (ritirata sul Don)
il 17 gennaio 1943.
Anichini Primo padre Fortunato madre Campani Ersilia, nato a Monteriggioni il 10 agosto
1916, soldato in Artiglieria, deceduto a Cartemicewka Russia in combattimento il 19
dicembre 1942.
Baldi Sabatino padre Alessandro madre Mezzedimi Ersilia, nato a Casole d’Elsa il 5 aprile
1919, soldato in Fanteria, deceduto a Strofika Russia in combattimento il 29 novembre
1940.
Bandini Roberto padre Affortunato Tebaldo madre Cecchi Marianna, nato a Colle val
d’Elsa il
28 gennaio 1917, sottotenente nei Granatieri di Sardegna, dal fronte Greco ha
fatto il
passaggio nei Paracadutisti della Folgore (medaglia d’oro alla memoria),
deceduto in combattimento sul fronte egiziano (El Alamein) il 25 ottobre 1942.
Bartoli Irmo padre Eugenio madre Fanetti Cesira, nato a Colle val d’Elsa il 20 gennaio
1916, caporale in Artiglieria, deceduto a Cartemicewka Russia in combattimento il 19
dicembre
1942.
Breschi Bruno padre Igino madre Bellini Celina. nato a Colle val d’Elsa il 22 novembre
1917, sergente dei Bersaglieri, deceduto a Sidi El Barrani Egitto per ferite riportate il 17
settembre
1940.
Capresi Ettore padre Ugo madre Sartini Assunta, nato a Colle val d’Elsa il 4 gennaio 1914,
soldato
del Genio, deceduto in prigionia Russia il 30 gennaio 1943.
Calvellini Dino padre Giovanni madre Pasquini Zelinda, nato a Monteriggioni il 17 luglio
1916, sottufficiale dell’Aeronautica, deceduto a Gorizia per ferite il 7 aprile 1943.
Casini Attilio, padre Alessandro madre Pineschi Caterina, nato a Casole d’Elsa (SI) il
31,gennaio 1915, soldato, deceduto per tubercolosi polmonare il 4 gennaio 1945 a Colle
val
d’Elsa.
Castaldi Camillo padre Amedeo madre Aldinucci Anna, nato a San Gimignano il 8 luglio
1920, tenente in Fanteria, deceduto a Bologna per ferite riportate in guerra il 22 dicembre
1940.
Cilemmi Noemo padre N.N. madre Cilemmi Edelvina, nato a Monteriggioni il 20 maggio
1923, soldato in Fanteria, deceduto a Zara in combattimento il 12 settembre 1943.
Ciocchi Vasco padre Mariano madre Cantini Elvira, nato a Poggibonsi il 11 marzo 1913,
Carabiniere, deceduto a Colle Val d’Elsa per rastrellamento delle truppe tedesche il 4 luglio
1944.
Cioni Loris padre Bruno madre Covati Ginetta, nato a Colle val d’Elsa il 26 giugno 1922,
elettricista in Marina (sommergibile Velella), disperso in mare il 7 settembre 1943.
Correnti Carmelo padre Vincenzo madre Landozzi Emilia, nato a Reggio Calabria 25
agosto 1920, caporale maggiore di Fanteria, deceduto ad Atene (Grecia) per ferite riportate
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combattimento il 1 gennaio 1943
Corsi Tullio padre Giuseppe madre Gelli Raffaella, nato a Colle val d’Elsa il 19 maggio
1918, soldato nei Granatieri, deceduto in Ospedale da Campo n° 188 a Marsa Matruh
(Egitto) per malattia il 26 ottobre 1942.
Corti Fedro padre Flaminio madre Pineschi Adelfa, nato a Colle val d’Elsa il 26 novembre
1905, soldato nelle C.C.N.N. (camicie nere) M.V.S.N., deceduto in combattimento tra
Getreide e Tscherkowo Russia il 22 dicembre 1942.
Farnetani Bruno padre Costanzo madre Giannettoni Maria Assunta, nato a Colle val d’Elsa
il
24 gennaio 1916, soldato in Artiglieria, dichiarato disperso in mare a causa del
siluramento della Motonave Paganini da nave inglese a trenta miglia da Durazzo il 28
giugno 1940.
Foderi Lido padre Pasquale madre Grassini Amelia, nato a Casole d’Elsa il 26 dicembre
1922, soldato in Artiglieria, deceduto nel Montenero a causa di eventi bellici il 28 agosto
1943, dopo l’8 settembre era passato con i partigiani di Tito.
Fontana Francesco padre Tommaso madre Lipari Antonia, nato a Gibellina (TP) il 19
settembre
1914, soldato in Fanteria, deceduto in Russia P.M. 156 a causa di eventi
bellici il 9
gennaio
1943.
Francini Loris padre Quintilio madre Mearini Demareta, nato a Colle val d’Elsa il 17 aprile
1922, marinaio, deceduto a Livorno per azione aerea nemica il 24 luglio 1943.
Francini Marsilio padre Luigi madre Nesi Giovanna, nato a Colle 18 luglio 1913, sergente
di Fanteria, deceduto in bombardamento aereo prigioniero in Germania il 20 aprile 1945.
Francioli Dante padre Ettore madre Marzi Pierina, nato a Colle val d’Elsa il 21 marzo
1910, soldato in artiglieria, deceduto in prigionia in Germania il 6 aprile 1945.
Frati Gino padre Giuseppe madre Nigi Giuseppa, nato a Colle val d’Elsa il 18 agosto 1910,
soldato in Fanteria, deceduto a Verona Ospedale Militare per malattia il 7 aprile 1945.
Frosali Adriano padre Francesco madre Conforti Maria, nato a Siena il 22 dicembre 1921,
soldato in Artiglieria, deceduto a Bari in Ospedale Militare per malattia il 16 agosto 1943.
Galigani Ido padre Spartaco madre Maestrini Dina, nato a Siena il 27 novembre 1924,
soldato
in Cavalleria, deceduto in Germania prigioniero il 24 febbraio 1944.
Galigani Vasco padre Ugo madre Milanesi Maria, nato a Colle val d’Elsa il 5 giugno 1910,
soldato in Fanteria, deceduto per malattia in prigionia in Germania l’8 ottobre 1944.
Gelli Veraldo padre Vasco madre Cioni Primetta, nato a Colle val d’Elsa il 14 marzo 1921,
soldato in Fanteria, deceduto in Montenegro per malattia il 26 dicembre 1943, dopo l’8
settembre
era passato con i partigiani Iugoslavi.
Giannini Bruno padre Ferdinando madre di Corsoni Cherubina, nato a Colle val d’Elsa il
23
ottobre 1910, soldato in Fanteria, deceduto in Zona Vertelka, nord est di monte Ivanit
Albania in
combattimento il 5 novembre 1940.
Giannini Livio padre Ferdinando madre Targi Isola, nato a Colle val d’Elsa il 1 aprile 1912,
soldato in Fanteria, deceduto a Lucca Ospedale Militare per malattia contratta in guerra il 28
dicembre 1940.
Giomi Vittorio padre Giocondo madre Biondi Luisa, nato a Colle val d’Elsa il 15 gennaio
1915, soldato nel Genio, deceduto in Croazia per malattia contratta in guerra il 26 aprile
1944, dopo l’8 settembre era passato con i partigiani Iugoslavi.
Gistri Elio padre Paolo madre Gori Giulia, nato a Colle val d’Elsa il 20 gennaio 1921,
soldato
in Fanteria, deceduto nel Montenegro in combattimento il 16 maggio 1943.
Giuntini Aurelio padre Giuseppe madre Giannini Elvira, nato a Colle val d’Elsa il 28 aprile
1923, Sotto Capo elettricista in Marina, deceduto sul cacciatorpediniere Saetta in azione di
guerra nel mare di Tunisi il 3 febbraio 1943.
Gozzi Fedro padre Dante madre Maggi Oretta, nato a Piombino il 15 settembre 1919, Sotto
Capo Fuochista sul cacciatorpediniere Aviere, deceduto in combattimento il 17 dicembre
1942.
Lepri Gino Fernando padre Alfonso madre di Pezzini Ada, nato a Colle val d’Elsa il 6
novembre 1898, Seniore della M.V.S.N., deceduto a Monastero in Albania in
combattimento
l’11 marzo 1941.
Manganelli Armando padre Rutilio madre Lazzeri Erminia, nato a Castellina in Chianti il
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aprile 1915, soldato in Fanteria, deceduto a Kalivaci Albania per ferite riportate in
combattimento il 6 dicembre 1940.
Martinucci Idilio padre Angelo madre Pierini Gemma, nato a Colle al d’Elsa il 30 maggio
1920, soldato in Fanteria, deceduto a Kalivaci Albania per ferite riportate in combattimento
il 6 dicembre 1940.
Masi Avito padre Dublino madre Bilenchi Giuseppa, nato a Colle val d’Elsa il 13 agosto
1914, deceduto in Germania nel campo di prigionia per bombardamento aereo il 25 febbraio
1945.
Menichetti Benigno padre Angiolo madre Malagigi Caterina, nato a Firenzuola (FI) il 19
luglio 1918, soldato nei Bersaglieri, deceduto a Passo Alfaia quota 186 Cirenaica in
combattimento il 15 maggio 1941.
Mostardini Ottorino padre Luigi madre Pallini Gesuina nato Colle val d’Elsa il 20 marzo
1909 tenente di complemento nel 259 Fanteria, deceduto nei Balcani per eventi di guerra il
19
febbraio 1943.
Morelli Gino padre Guido madre Lapi Maria, nato a Castellina in Chianti il 28 aprile 1915,
soldato in Fanteria, deceduto sul fronte Russo in combattimento nel gennaio 1943.
Paluffi Alessandro padre Maurizio madre Bartoli Caterina, nato a Colle val d’Elsa il 3
novembre
1916, aviere, deceduto a Ras Hallab tra Bengasi e Tripoli il 15 gennaio 1941.
Paradisi Rodolfo padre Aristotile madre Venturini Teresa, nato a Colle val d’Elsa il 21
dicembre 1915, caporale maggiore di Fanteria, deceduto a Sorrento per ferite riportate il 24
settembre 1943.
Poli Dino padre Giuseppe madre Parri Annunziata, nato a Colle val d’Elsa il 23 ottobre
1911, soldato in Artiglieria, deceduto sul fronte Russo in combattimento il 31 dicembre
1942.
Pomponi Dante padre Luigi madre Quadrani Cherubina, nato a Roma il 2 giugno 1922,
soldato in Fanteria, deceduto sul fronte Russo in combattimento il 20 dicembre 1942.
Provvedi Gaetano padre Raffaello madre di Taviani Marina nata a Colle val d’Elsa il 25
ottobre 1920, soldato in Fanteria, deceduto a Saasburg Lothringen Germania per malattia il
20
aprile 1944.
Reali Gino padre Angiolo madre Livi Ottavia, nato a Castelfiorentino il 1 giugno 1910,
Soldato
in Artiglieria, deceduto in Ospedale da Campo n° 403 a Valona per ferite il 29
marzo 1941.
Renzi Guido padre Giuseppe madre Capannoli Giulia, nato a Colle val d’Elsa il 9 febbraio
1917, soldato in Fanteria, deceduto a Kalivaci Albania per assideramento il 16 dicembre
1940.
Rettori Meris padre Guido madre Rettori Antinesca, nato a Poggibonsi il 25 agosto 1918,
Sottotenente di Fanteria, deceduto a quota 220 sul fiume Don Russia per ferite il 20 agosto
1942.
Romanelli Gaspero padre Cesare madre Mariani Emilia, nato a Pontassieve (FI) il 21
novembre
1905, brigadiere dei Carabinieri, deceduto a Pleylie Passo Jabaka Montenegro
in combattimento
il 5 dicembre 1943.
Rosi Omero padre Angiolo madre Fucecchi Tersa, nato a Colle val d’Elsa il 14 ottobre
1918, sergente elettricista di Marina, deceduto a Bengasi in navigazione da azione aerea
nemica il 22 settembre 1942.
Rossi Gino, padre Oreste madre Leonini Settimia, nato a Monteriggioni (SI) il 3 settembre
1922, soldato in Artiglieria, deceduto nella zona di Secondigliano (NA) per azione aerea,
dato per
disperso il 31 luglio 1946.
Salvi Luigi padre Salvo madre Ammanati Angiola, nato a Colle val d’Elsa il 25 gennaio
1916, soldato nei Bersaglieri, deceduto a Borgo Fellini fronte Greco Albanese per ferite
riportate in
combattimento, il 26 novembre 1940.
Salvi Silo padre Luigi madre Parri Ernesta nato a Colle val d’Elsa il 22 giugno 1921,
caporale
maggiore Bersaglieri, deceduto sul fronte Tunisino in combattimento il 12
maggio 1943.
Sancasciani Moreno padre Pietro madre Marrucci Leontina, nato a Colle val d’Elsa il 16
agosto 1922, soldato in Artiglieria, deceduto sul fronte Russo in combattimento dicembre
1942 o gennaio 1943 è dato come disperso.
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Scalabrini Carduccio padre Alessandro madre Cecchini Ester, nato a Rio Marina (LI) l’8
giugno 1914, sergente cannoniere di Marina, deceduto per azione di guerra il 30 novembre
1942.
Scappini Luigi padre Giovanni madre Zucchelli Andreina, nato a Colle val d’Elsa l’8 marzo
1920, soldato in Fanteria, deceduto in Ospedale Militare a Sassari per malattia il 21
dicembre 1942.
Scardigli Piero padre Virgilio madre Bianchi Maria, nato a Poggibonsi il 24 giugno 1922,
soldato in .........., deceduto a Ozieri (SS) per malattia il 3 settembre 1943.
Spalletti Dino padre Emilio madre Paoletti Giuseppa, nato a San Gimignano il 2 aprile del
1913, soldato in Artiglieria, deceduto nel Montenegro in azione di Guerra il 4 giugno 1944,
dopo l’8 settembre era passato con i partigiani Iugoslavi.
Testi Giuseppe padre Pietro madre Centini Maria, nato a Colle val d’Elsa il 19 giugno
1919, soldato in Fanteria, deceduto a Firenze in Ospedale Militare per malattia il 31 luglio
1942.
Vannetti Ferdinando padre Sabatino madre Calvani Carolina, nato a Colle val d’Elsa il 10
marzo 1917, soldato in Fanteria, deceduto a Torino in Ospedale Militare per malattia il 29
marzo 1941.
Viviani Lucesio padre Dante madre Calattini Annita, nato a Colle val d’Elsa il 29 luglio
1906, sottoufficiale di Marina su l’incrociatore Fiume, deceduto a Capo Matapan (Egeo) il
28 marzo
1941.
Zancato Sebastiano padre Giovanni madre Busana Maria, nato a Fossò Venezia il 20
gennaio
1912, soldato in Autocentro, deceduto sul fronte Russo in combattimento il
19 gennaio 1943.
Partigiani di Colle di val d’Elsa deceduti negli anni 1943/1945
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Busini Enzo padre Gino madre Tinagli Vittoria, nato a Colle val d’Elsa l’11 gennaio 1922,
Partigiano, deceduto in combattimenti contro i fascisti repubblichini a Casa Giubbileo in
Montemaggio il 28 marzo 1944.
Ciuffi Virgilio padre Guido madre Marchi Arduina, noto a Colle val d’Elsa il 13 gennaio
1925, Partigiano, fucilato dai fascisti repubblichini alla Porcareccia in Montemaggio il 28
marzo 1944.
Del Secco Gracco padre Luigi madre Taddei Sira Caterina, nato a Colle val d’Elsa il 6
settembre
1908, Partigiano, medico della Brigata “Spartaco Lavagnini” mentre
trasportava alcuni giovani sul Poggio del Comune fu colpito a morte da una pattuglia tedesca
che li sorprese e cadde il 17 giugno 1944.
Livini Livio padre Pietro madre Giannettoni Assunta Maria, nato a Colle val d’Elsa il 26
febbraio 1920, Partigiano, fucilato dai fascisti repubblichini alla Porcareccia in
Montemaggio il 28 marzo 1944.
Rodosevic Rodoscia, cittadino Iugoslavo, militante nelle formazioni partigiane Italiane, è
stato fucilato dai tedeschi a Ulignano di Volterra il 28 giugno 1944.
Rettori Guido, e stato fucilato dai tedeschi a Ulignano di Volterra il 28 giugno 1944.
Vannetti Luigi padre Alfredo madre Toti Fannì, nato a Colle val d’Elsa il 21 luglio 1924,
Partigiano, fucilato dai fascisti repubblichini alla Porcareccia in Montemaggio il 28 marzo
1944.
Volpini Onelio padre Giovanni e madre ignota nato a Casole d’Elsa il 27 dicembre 1923,
Partigiano, fucilato dai fascisti repubblichini alla Porcareccia in Montemaggio il 28 marzo
1944.
Salvi Nello, faceva parte dei G.A.P. (Gruppi di Azione Patriottica) a Milano, il 20 aprile del
1944 fu prelevato dalla sua casa dai fascisti e ucciso.
Volontari di Colle val d’Elsa deceduti nella guerra di Liberazione
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Bernardi Piero padre Angiolino madre Bardi Caterina, nato a Castelnuovo val di Cecina il
marzo 1925, Volontario come soldato in Fanteria, deceduto a Villa Zacchia Ravenna in
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combattimento il 22 marzo 1945.
Scarlini Giuseppe padre Armando madre Politi Margherita, nato a Colle di val d’Elsa il 15
agosto 1927, volontario come soldato di Fanteria, deceduto sul fronte Ravennate per ferite
riportate da bomba di mortaio il 1 febbraio 1945.
Vannini Luigi padre Ramiro madre Muzzi Ottavia, nato a Colle val d’Elsa il 2 aprile 1926,
volontario come soldato di Fanteria, deceduto a Cadevigo (PD) per ferite riportate il 24
maggio 1945.
Ci sono dei casi di cittadini Colligiani che si erano trasferiti in altri comuni e poi sono
ritornati come sfollati. Altri casi di cittadini che sono andati sfollati fuori del Comune, (in
Comuni limitrofi) e ci sono morti per cause belliche, altri che sono stati identificati come
abitazione via Vittorio Emanuele, ed altri come l’attuale via G. Mazzini. (M.P.)
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CORRIERE DEL MATTINO
QUOTIDIANO DELL’ITALIA CENTRALE
Giovedì 3 maggio 1945
Anno II n.. 104
LA GUERRA – IN ITALIA – E’ FINITA
Un messaggio di Bonomi
Al Maresciallo Alexander
Roma, 2 Il Presidente del Consiglio On. Ivanoe Bonomi ha inviato questa sera al
maresciallo Alexander il seguente messaggio:
<< Questa è ora di letizia per tutto il popolo italiano. L’Italia fino all’Isonzo è ormai
libera dal suo secolare nemico, calato dalle Alpi per il tradimento dei suoi oppressori.
Di la dall’Isonzo altri italiani attendono ansiosi la stessa liberazione. Così l’Italia
reintegrata nella sua libertà e nella sua indipendenza, potrà riprendere la sua missione nel
mondo che è missione di civiltà, di fraternità di pace giusta e durevole.
<< A Voi e alle vostre truppe va il saluto e il ringraziamento del popolo italiano.
L’Italia è fiera di avere combattuto accanto alle Nazioni Unite con i suoi fanti, con i suoi
marinai, con i suoi aviatori, con i suoi patrioti insorti nel nome della libertà e della
democrazia. La guerra a cui noi siamo stati associati in venti mesi di lotta, è stata dura e
aspra, ma il successo, che corona oggi un così lungo combattimento, fa battere i nostri cuori di
letizia e rinsalda i vincoli che ci stringono ai nostri compagni d’arme e di vittoria>>
BERLINO E’ CADUTA
Mosca, 2 notte. Il maresciallo Stalin ha annunziato in un ordine del giorno che Berlino è
caduta oggi alle ore 15.
RESA INCONDIZIONATA DELLE FORZE TEDESCHE
Il Quartier Generale Alleato in Italia ha comunicato in data di ieri 2 maggio:
Le forze nemiche di terra, di mare e dell’aria al comando del col. Generale Heinrich von
Vietinghoff, comandante in capo delle forze tedesche del sud-ovest e del gruppo di armate, si sono
arrese incondizionatamente al Maresciallo Sir Harold Alexander, Comandante supremo alleato nel
teatro di operazioni del Mediterraneo.
La resa è stata firmata nel pomeriggio di domenica 29 aprile, al Q.G. delle Forze alleate a
Caseria, da due plenipotenziari tedeschi e dal ten. Gen. W.D. Morgan, capo di Stato Maggiore del
Q.G. alleato. Uno dei rappresentanti tedeschi ha firmato il documento per conto del generale von
Vietinghoff e l’altro per conto dell’Obergruppenfuehrer Karl Polff, comandante supremo delle
<<SS>> e della polizia, e plenipotenziario generale tedesco della Wehrmacht in Italia.
Dopo la firma del documento i due plenipotenziari tedeschi hanno fatto ritorno, per via
segreta, al Q.G. di von Vietinghoff, nelle alte Alpi, per prendere i provvedimenti relativi alla resa
delle forze di terra, di mare e dell’aria tedesche e fasciste.
LE OSTILITA’ CESSATE ALLE DODICI DI IERI
Il territorio sottoposto al comando delle forze armate del sud-ovest di von Vietnghoff
comprende tutta l’Italia settentrionale fino all’Isonzo, le provincie austriache del Tirolo e
Salisburgo, nonché parte della Corinzia e della Stiria. Si ritiene che le forze nemiche arresesi agli
Alleati, fra truppe di combattimento e scaglioni delle retrovie, ammontino a quasi un milione di
uomini. Esse comprendono i resti di ventidue divisioni tedesche e di sei divisioni fasciste.
Il documento di resa costituito dai seguenti cinque comma:
1°) resa incondizionata su ordine del Comandante in capo delle forze del sud-ovest, di tutte
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le forze di terra, di mare e dell’aria, sotto il suo comando o controllo, al Comandante supremo
alleato del teatro di operazioni del Mediterraneo;
2°) cessazione, a decorrere dalle ore 12,00 (ora del meridiano di Greenwich) del 2 maggio
1945, di tutte le ostilità in terra, nel mare e nell’aria da parte delle forze nemiche;
3°) immediato arresto dei movimenti e disarmo delle forze nemiche di terra, di mare e
dell’aria;
4°) impegno da parte del comandante in capo tedesco del sud-ovest di attenersi a tutti gli
ordini ulteriori diramati dal Comandante supremo alleato nel teatro del Mediterraneo;
5°) in caso di atti di disobbedienza agli ordini, o di mancanza di esecuzione degli ordini
stessi, si procederà in conformità alle leggi e alle consuetudini di guerra.
Il documento, al quale sono allegate tre appendici con i particolari relativi alla resa, delle
forze di terra, di mare e dell’aria, è stato redatto in inglese e in tedesco e il testo inglese viene
considerato l’autentico.
La decisione del Comandante supremo alleato del Mediterraneo sarà irrevocabile, riguardo a
qualsiasi dubbio che dovesse sorgere sul significato o l’interpretazione delle clausole di resa. La
firma ha avuto luogo nell’ufficio del generale Morgan alla presenza di ufficiali britannici, americani
e sovietici.
L’ORDINE DEL GIORNO DI ALEXANDER
Il maresciallo Alexander ha diramato subito dopo il seguente ordine del giorno speciale:
<< Uomini delle forze terrestri, navali ed aeree alleate nel settore del mediterraneo, dopo
quasi due anni di duri e continui combattimenti, iniziati nel settembre del 1943, siete oggi i vincitori
della campagna in Italia. Avete conseguito una vittoria che ha portato alla rotta completa e assoluta
delle forze armate tedesche nel territorio, liberando l’Italia dall’ultimo aggressore nazista. Voi avete
liberato una nazione di più di 40 milioni di abitanti. I resti di quello che fu un orgoglioso esercito,
quasi un milione di uomini, con i loro armamenti, equipaggiamenti e accessori, vi hanno consegnato
le armi.
<< Potete essere giustamente orgogliosi di questa grande e vittoriosa campagna, che resterà
nella storia come una delle più grandi e delle più vittoriose combattute.
<< Nessun elogio e troppo alto per voi, marinai, soldati, aviatori ed operai delle forze unite
in Italia, e per il vostro grande trionfo. La mia gratitudine e la mia ammirazione sono senza limiti, e
trovano il loro riscontro solo nell’orgoglio che sento di essere il vostro comandante in capo>>.
==============================
Ecco cosa pensa la nipote del duce, settant’anni dopo lo storico evento
“MA L’ITALIA E’ CAMBIATA”
L’analisi di Alessandra Mussolini
Siena – La marcia su Roma, come tutti i grandi avvenimenti, suscita emozioni. Sicuramente
contrastanti. Per qualcuno potranno essere di nostalgia, per qualcun altro di rabbia. Altri ancora
guardano semplicemente con interesse storico a quell’evento che cambiò così radicalmente la storia
d’Italia con la volontà di capirne il più possibile i risvolti. Ma certo pochi saranno emotivamente
coinvolti quanto Alessandra Mussolini, 29 anni, nipote in linea diretta del duce, oggi deputata del
MSI. le abbiamo chiesto che cosa prova.
Onorevole Mussolini, sono passati 70 anni dalla marcia su Roma. Come vive questa
ricorrenza?
“Come la può vivere una persona come me, non solo di parte, ma addirittura di famiglia. Mi ha
commosso la grande manifestazione che il nostro partito ha tenuto a Roma nei giorni scorsi, ho
visto quanto entusiasmo e quanto amore suscita in migliaia di persone ancora oggi il ricordo di mio
nonno Benito”.
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Quale grado di affinità e differenza c’è fra i fascisti di ieri e i missini di oggi?
“E’ diverso indubbiamente. Una riedizione del fascismo nei termini storici è oggi improponibile.
Oggi prima di tutto non c’è un uomo come poteva essere mio nonno. Ma oggi non c’è una
situazione analoga. L’Italia è molto cambiata, nel bene e nel male, ci sono altri problemi, altre
esigenze. Il Paese si è indubbiamente evoluto, ma ha fatto anche dei passi all’indietro. Dopo tanti
anni, però, c’è una maggiore volontà di capire. Noto in particolare che c’è una maggiore obbiettività
nei confronti della figura storica di mio nonno. Per tanti anni questa era stata distorta da una cultura
troppo di parte. Molti giovani oggi si riaccostano al fascismo, e vedono in mio nonno, se non altro,
una persona che ha veramente amato l’Italia in modo onesto e sincero”.
Torniamo a parlare della marcia su Roma. Quale idea si è fatta di quell’evento?
“Non fu certo una iniziativa improvvisata. La marcia era stata accuratamente organizzata, ma
sopratutto era maturo il clima politico, c’erano tutti i presupposti perché avesse successo. Al
Governo del Paese c’erano uomini deboli che con la loro azione non erano capaci di arginare il
comunismo, ecco che gli anticomunisti videro nel fascismo il movimento adatto. Vorrei sottolineare
che il consenso al fascismo era diffuso in tutte le classi, anche in quelle popolari”.
Lei vuol dire che la classe politica uscita dalla guerra mondiale era in qualche modo
delegittimata agli occhi del Paese?
“Esattamente. Lo era in tutti i sensi, perfino sotto l’aspetto estetico, mi si passi l’espressione. Voglio
dire che figure come il re, ed altre che gli stavano attorno, uomini piccoli, deboli, non potevano
neanche come immagine dare un senso di sicurezza al paese. Soprattutto se venivano messe al
confronto con un uomo come mio nonno, che teneva atteggiamenti virili ma istintivi. Questo è un
dato importante. Mussolini non si imponeva una maschera, era il suo modo di essere che lo portava
ad un comportamento risoluto, era così anche a 14 anni, lo si vede chiaramente nelle fotografie che
sono arrivate a noi, e tale era rimasto. Egli era anche uno statista capace di pensare in grande, e di
dare prestigio all’Italia, in politica estera, oltre che ordine all’interno”.
Lei ha parlato di un’Italia profondamente cambiata. Ma vede anche qualche tratto in comune
fra la situazione politica di 70 anni fa, e quella di oggi, oppure no?
“Soprattutto vedo una differenza fondamentale, e cioè che il potere della classe politica oggi è
cresciuto. Il sistema dei partiti aveva raggiunto un potere molto alto, finche ora è finalmente entrato
nel caos, perché è stato scoperto il suo punto debole, la disonestà, e la malafede”.
E allora? Quale è la sua ricetta politica?
“Non vorrei usare il termine trasparenza, perché è fin troppo abusato. Comunque certamente
bisogna andare verso un concetto diverso della politica. Bisogna eliminare la debolezza sostanziale
di questo sistema, debolezza che deriva dal fatto che nel sistema ci sono troppi uomini corrotti”.
Senta, lei è arrivata da poco ad avere un ruolo nel panorama politico italiano, ma ha già avuto
modo di entrare in polemica con diversi protagonisti. Per esempio con il leader della Lega
Umberto Bossi....
“Bossi fa gli interessi solo di una certa categoria: E poi la separazione dell’Italia non la condivido,
sotto nessun punto di vista”.
Cosa pensa del presidente Scalfaro?
“E’ un uomo troppo di parte, per i miei gusti”.
Cosa pensa del segretario Socialista Bettino Craxi?
“Preferisco non dirlo”.
Il nome di Mussolini, basta la parola, è indiscutibilmente legato alle polemiche spesso accesissime.
Ma la nipote Alessandra sembra oggi avviata sulla strada di una certa diplomazia.
L’intervista è stata fatta per la Gazzetta di Siena del 23 ottobre 1992 da Marco Falorni.
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Dagli anni del consenso alla decadenza.
Il regime perse l’appoggio degli intellettuali.
SIENA – Il movimento fascista, nei primi anni, aveva contorni ancora indefiniti e comunque anche
densi di rinnovamento, tanto che ebbe il consenso di numerosissimi intellettuali. Anche a Siena,
l’Università fu un centro fondamentale per lo sviluppo del movimento fascista. Poi, consolidatosi, il
regime si assoggetterà a numerosi compromessi con le maggiori istituzioni sociali, ma anche si
sclerotizzerà in gerarchie e sterili parate militari e ginnastiche, che gradatamente faranno perdere al
regime il consenso della classe intellettuale. Un duro colpo al consenso venne dall’alleanza con la
Germania, considerata un nemico storico nella mentalità popolare, e dalle leggi antisemitiche,
veramente poco sentite dagli italiani. Si può dunque affermare che il consenso al fascismo era
sicuramente in fase calante gia prima della guerra. L’entrata dell’Italia in guerra, all’inizio suscitò
entusiasmi, ma con i lutti e le sconfitte arrivarono anche la disillusione e il dissenso. Un capitolo del
tutto autonomo è quello del fascismo repubblicano, che ebbe connotati sui generis, in parte diversi
da quelli del regime “maturo”.
Questo articolo si trova nella Gazzetta di Siena del 23 ottobre 1992 a pagina VIII, sotto
l’intervista ad Alessandra Mussolini.
Sempre Marco Falorni sulla Gazzetta del 23 ottobre a pagina 1 scrive:
Sono passati settanta anni dall’evento che divise e cambiò radicalmente l’Italia.
QUANDO I SENESI MARCIARONO
UN MOMENTO DI ALTA DRAMMATICITA’
SIENA – Sono passati settant’anni dalla marcia si Roma, settant’anni dall’evento che portò il
fascismo al potere.
Era la premessa di un periodo travagliato, magari oscuro, comunque denso di storia.
Nessuno intento celebrativo, da parte nostra. Solo l’intenzione di ricordare di fare storia, ricostruire
i fatti, riflettere.
La storia è maestra di vita sempre, nel bene e nel male, e da ogni avvenimento c’è qualcosa
da imparare. In particolare se un avvenimento è grande, importante. E’ la marcia su Roma è stato
indubbiamente un avvenimento di portata storica, comunque lo si voglia giudicare. Si può dire
magari che l’evento è stato negativo, lo si può giudicare in mille modi diversi, ma no si può negarne
l’importanza. Altrimenti dovremmo affermare che personaggi come Hitler o come Stalin non sono
stati importanti nella storia della Germania o della Russia, solo perché ai loro nomi e legato il
ricordo di milioni di morti. Senza contare quanto i giudizi storici possono cambiare da un’epoca
all’altra. Basta pensare ad un Cristoforo Colombo ora considerato grande eroe ora considerato
schiavista e avido aguzzino. E si potrebbe con Giuseppe Garibaldi e con tanti altri personaggi.
Ma il compito dello storico a nostro avviso non è di giudicare – con gli occhi di oggi e alla luce
degli avvenimenti successivi e attuali – se un certo evento accaduto nel passato sia stato buono o
cattivo.
Compito dello storico è quello di fare luce, di ricostruire: sia i fatti che il “clima” che ha
generato un certo evento. Cercare dunque di capire il perché, e solo dopo, con molta prudenza,
cercare di trarre qualche lezione per l’avvenire. E’ in questa logica che abbiamo ragionato a suo
tempo quando, in collaborazione con il gruppo di ricerche storiche dell’Asmos, abbiamo realizzato
otto inserti sulla storia del comunismo senese, una iniziativa che battezzammo “Dalla Falce alla
Quercia”. Si può anche non condividere, scrivemmo allora, ma per giudicare bisogna conoscere.
Altrimenti non si da un giudizio, ma si esprime un pregiudizio. Potremmo ripetere la stessa cosa
adesso.
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In questa sede non ci prefiggiamo il compito di fare una storia del fascismo senese, perché
anche una breve sintesi richiederebbe quasi altrettanto spazio che quella del comunismo. Vogliamo
semplicemente dare qualche flash di quello che è stato il contributo senese alla marcia su Roma, in
quei giorni di fine ottobre 1922. E fu un contributo notevole. Certi senesi potranno esserne
orgogliosi, altri potranno invece ripudiare i loro antenati. Ma i fatti restano, sono le interpretazioni
che cambiano. Una cosa ci sentiamo di dirla: un conto è dare un giudizio su l’intero ventennio
fascista, con la terribile appendice della guerra, un altro conto è valutare lo stato d’animo che
permeava almeno molti dei marcianti su Roma. Certo quasi nessuno poteva avere un’idea di che
cosa si sarebbe realizzato, di quale tipo di regime si sarebbe concretizzato. Definire tutti
indistintamente dei reazionari – nel senso negativo che questo termine ha assunto in certa
storiografia – ci sembra semplicistico. Per molti il fascismo voleva essere davvero una rivoluzione.
Lo fu soltanto a metà, per poi perdere progressivamente anche la carica di rinnovamento iniziale. Il
fascismo perse la strada, la tendenzialità repubblicana, l’anticlericalismo, e trovò invece per strada –
cose sgradite alla gran parte degli italiani – l’alleanza con la Germania e le leggi antisemite, oltre a
una fossilizzazione su gerarchie e parate che negli ultimi anni, soprattutto nel periodo dello
“stracismo” aveva scocciato gli intellettuali più sensibili. Poi venne la guerra e cambiò tutto, ma già
prima il consenso al fascismo – che era stato notevole, come insegna e documenta Renzo De Felice
– era in fase calante.
La provincia di Siena fu assolutamente tipica per rappresentare l’universo fascista. Il fascismo fece
presa in città e nei paesi più grandi, mentre nelle campagne furono fascisti soprattutto gli agrari e la
classe proprietaria, e più ancora i fattori. Un fascismo molto agrario e aristocratico, quello senese,
ma nel quale non mancarono anche diversi intellettuali di spicco del cosiddetto “fascismo di
sinistra”, quelli della fronda, uomini scomodi per tutto il ventennio. Erano quelli che volevano la
“seconda ondata”, che doveva colpire i “padroni” quelli che volevano “marciare e non marcire”.
Erano i vari Mino Maccari, Romano Bilenchi, Angiolo Bencini, Nazzareno Mezzetti, ed altri.
Il “Selvaggio” Maccari dopo aver combattuto e scontato l’emarginazione finì all’ultimo momento
ad appoggiare i partigiani. Anche Bilenchi diventò di sinistra durante la guerra civile. Angiolo
Bencini invece partito volontario per l’Albania, morì al fronte. Nazzareno Mezzetti, volontario in
Russia a 61 anni, fu fra i tanti dispersi nelle steppe. Mezzetti era anche un sindacalista di spicco, era
stato capo dei sindacati bancari a livello nazionale, ed era stato membro del gran consiglio.
Anche il “fascismo di sinistra” senese, dunque, era certamente molto rappresentato alla marcia su
Roma.
Un’altra cosa è lecito affermare, e cioè che – indipendentemente dagli intenti personali dei
marcianti, fossero essi anche reazionari viscerali in senso stretto – partecipare alla marcia su Roma
non fu poi una passeggiata.
A parte gli episodi cruenti che si verificarono qua e là – ma che non riguardarono i senesi –
resta il fatto che al momento di partire nessuno poteva essere certo, ne di arrivare, ne del modo
come sarebbe arrivato.
E’ verissimo che si contava su una reazione morbida della monarchia, e la previsione fu
azzeccata. Ma è anche vero che sarebbe bastato u gesto del re a provocare un bagno di sangue e a
far fallire la marcia, e lo stesso fascismo. Dunque chi in quei giorni “si mise a disposizione”, se non
altro, si prese dei rischi, oltre che per la propria incolumità, relativi alla posizione sociale che
avrebbe rivestito dopo la marcia.
Quella volta la rota della storia girò in senso favorevole al fascismo, e i marcianti videro premiato il
loro gesto.
Poi andarono al potere, e ne fecero di belle, di brutte di cotte e di crude, come altri regimi del resto.
Sempre in prima pagina c’é un articolo di Duccio Balestracci che dice:
Come vive il ricordo storico della marcia un intellettuale di sinistra.
Capire, ma non dimenticare.
SIENA – Ci sono avvenimenti, nella storia, che dopo decenni di distanza sembrano lontani anni
luce. Chi sente “coeva” la doppia vittoria italiana ai campionati del mondo di calcio del 1932 e del
1938?
Eppure una persona che fosse nata in quelli anni non sarebbe ancora nemmeno anziana. O
chi si sentirebbe coetaneo del Manifesto del Futurismo? Eppure la nazionale che schierava in porta
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il mitico Combi, o Marinetti sono fatti e persone di un’epoca un pò posteriore rispetto alla presa di
Antiochia da parte dei Crociati nel 1908, se non ci sbagliamo.
E invece, per opposto, ci sono avvenimenti che non smettano di esserci coetanei, anche se
sono passati cinquanta, o sessanta anni. O settanta, quanti appunto ci separano dalla famigerata
marcia su Roma di quell’infausto ottobre 1922.
Sarà che chi ha fatto a lungo militanza politica in formazioni della sinistra (che fossero
quelle extra parlamentari o quelle storiche) i conti con il fascismo non a mai smesso di farli.
Certo, non è mai mancato – soprattutto in altre stagioni – un vero e proprio tormentone sul
fascismo, sul ricorrente e sempre possibile pericolo di vederli rialzare la testa. Ma riconoscere
l’aspetto quasi ritualizzato dell’antifascismo non toglie nulla alla problematicità dell’approccio con
esso. Un approccio fatto in parti eguali di distacco scientifico, e al contrario, di emotività.
Si può guardando la Marcia su Roma come in vecchi spezzoni di film, assumere
esclusivamente l’aspetto distaccato della storia? Guardando a quegli avvenimenti – è chiaro – è
capire che ci interessa prima di tutto: perché ci si arrivò chi furono i protagonisti; di quali protezioni
e complicità si giovarono....
E allora sarà con grande pacatezza che ricostruiremo la crisi di identità politica di un’Italia
che dalla guerra aveva sperato molto e si era trovata a ricavare ben di meno; che ripercorreremo i
fremiti di una classe operaia inquieta e incattivita di fronte alla protervia e alla miopia dei “padroni
del vapore” che rievocheranno le paure di un’Italietta perennemente paralizzata dalla possibilità di
vedere i soviet istituiti sul territorio della penisola.
Sarà con distacco e lucidità che si esamineranno, alla luce della storia, le responsabilità di
una classe delegittimata, le ignavie di una casa regnante – che dopo la sua prima stagione
vernacolare con Vittorio Emanuele II e la sua fase più ferocemente reazionaria con Umberto I,
mostrava ora con Vittorio Emanuele III la sua faccia più desolante incapace di fare i conti con la
storia (e pensare che c’è anche qualcuno che pensa di far ritornare in Italia questa gente), - gli
avventurismi di una classe operaia e dei partiti e dei sindacati che su di essa avevano maggiore
presa.
Potremo, da storici, capire il senso di paura dei conservatori, il vero senso di “liberazione” di
chi, con il fascismo, credette restaurati l’ordine e la legge; di chi, non potendone più di politici
incapaci e corrotti, trovò che la soluzione autoritaria era la più auspicabile.
Magari, pensando, come no?, che fosse una fase transitoria e che tutto si sarebbe risolto per
il meglio una volta aggiustate le cose; un pò come fa – emblematicamente – con il nazismo
l’aristocratico giovane protagonista del film “L’amico ritrovato”, quando sostiene che la patria di
Goethe, di Fichte e di Immanuel Kant non avrebbe mai potuto accettare come definitiva la
soluzione proposta da un movimento politico così rozzo.
Tutto questo possiamo e dobbiamo fare quando ci avviciniamo da storici a questo
avvenimento.
Ma il nostro approccio di storici non finisce qui, che ben misero sarebbe.
Perché a questo approccio ne segue subito un altro che è dello storico che fa il suo mestiere di
intellettuale, cioè di elaboratore di una riflessione che possa servire alla società riflettere a sua volta.
E allora lo storico continua a guardare con serenità al fatto, ma riflette con partecipazione ed
emotività alle conseguenze di esso. E le conseguenze tutti le conoscono.
E la partecipazione diventa preoccupazione e vera angoscia di fronte a fatti dei nostri giorni che
sembrano ripetere i fatti di ieri: di fronte non tanto ai delinquenti dai capi pelati che assaltano in
Germania gli immigrati quanto, piuttosto, di fronte alla compiaciuta complicità dei ben pensanti
tedeschi che plaudono a quelle imprese; di fronte ad un movimento neofascista che, in Italia, non ha
mai rinnegato le sue matrici e la sua ideologia e che oggi – nell’epoca dei trasformismi imperanti –
si ammanta del perbenismo del suo segretario Fini – certo; un volto da brava persona, decente,
rassicurante – salvo poi sfilare a braccio teso e al grido di “Duce! Duce!” in poco meno di centomila
a Roma.
Di fronte a tutta una serie di insospettabili babbei della sinistra che si affrettano a distribuire
patenti di democrazia ai fascisti attuali e che si affollano a cercare con essi il dialogo nelle feste di
quel partito. No, la marcia su Roma non è lontana: è nostra coetanea perché coevi ci sono gli orrori
che da essa si generarono e il pericolo che nel nome di essa ancora rischiamo di correre. C’è un
imperativo categorico che ci deve accompagnare sempre nel nostro cammino di uomini liberi:
cercare di capire tutto, ma non dimenticare mai nulla.
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Il fascista, Muzzi Faro (detto Tacchimini), di Colle di val d’Elsa, dopo il passaggio del fronte e a
cose già calmate, fa domanda di iscrizione al P. C .I.. Mi risulta che abbia militato nelle file del
P.C.I. solamente per un brevissimo periodo (pochi mesi), dopo per il suo comportamento fu
espulso. Il suo nome lo ritroviamo nella lettera firmata da fascisti di Colle e Casole d’Elsa per la
ricorrenza del Natale di Roma, durante la ricorrenza del Decennale della Resistenza. (M.P.)
Sono in possesso della lettera fotocopiata, che qui trascrivo; questo documento si trova pure nella
raccolta di documenti presso la sede dei D. S. di Colle. L’originale come quelle di altre lettere da
lui scritte non so se si trovano presso l’ASMOS, oppure in mano di qualche persona. (M.P.)
Alla sezione del Partito Comunista Italiano
Colle di val d’Elsa
E per conoscenza: a tutte le Cellule
C I T T A’
Mi sia consentito di esporre sia pure brevemente, ma succintamente quanto appresso:
Chi vi parla è un appartenete all’ex partito fascista, classe 1913 proveniente dalle
organizzazioni giovanili e quindi ammesso nelle file del partito il 1935 con la IX° leva fascista.
Giovane, come tutti i giovani, senza una matura esperienza della vita, attraverso una propaganda
fatta di strombazzamenti, cortei, adunate, fazzoletti sgargianti e divise, maturò sempre più nel mio
cervello (incapace allora di riflettere) e intravedere nei capi e nei dirigenti, una massa di
profittatori, di arricchiti e di comuni delinquenti l’idea e la convinzione.
Infatti mentirei sapendo di mentire, che non appena si delineo all’orizzonte l’espansione
coloniale mi arruolai ( pur sapendo di arrecare in modo eccessivo dispiacere a mio padre) quale
volontario per la campagna d’Africa, sicuro di apportare il mio modesto contributo all’interesse
della mia Patria che ho sempre amato ed amo.
Al mio ritorno in Patria divenni più facinoroso, e ambivo a mettermi in mostra, specie verso
li squadristi e marcianti su Roma, che pensarono bene di restare ai loro posti (in quanto la campagna
d’Africa avrebbe certo presentato difficoltà un po’ più dure e incerte della marcia su Roma) e la
loro pelle valeva più di un Impero.
Quanto sarebbe stato provvidenziale, specie in quell’epoca se avessi avuto al mio fianco,
anziché degli scalmanati, dei faziosi, e dei criminali, i miei cugini, i quali più volte mi fecero capire
che la vita che perseguivamo, era una vita che doveva, o prima, o poi portarci nel baratro, nella
rovina, nel disonore. Essi però erano lontani, di pretta marca antifascista e la mia mente inculcata
come era allora, lasciava intravedere in essi, come in tutti gli antifascisti degli esseri bruti e
malvagi.
Personalmente ho potuto constatare che gli essere bruti e malvagi eravamo proprio noi,
perché un vostro compagno al quale in un epoca del fascismo, ebbi in un momento di esaltazione a
procurargli delle noie, mi ha ricevuto cordialmente, serenamente a viso aperto, educatamente,
senza rancore, poiché ha riconosciuto che il mio gesto inconsulto era derivato dalla non cattiveria
del mio animo, ma bensì dall’essere traviato e sconvolto. Ed eccomi alla mia conclusione, alla realtà
dei fatti:
Dopo il baratro in cui tutta la Nazione è precipitata per colpa di questo infausto regime, più
di ogni altro compresi quanta parte di responsabilità abbiano avuto i fascisti, specie coloro i quali si
sono resi responsabili di collaborazionismo con il tedesco invasore, contribuendo in modo assoluto
a tutti questi lutti e rovine, onde migliaia e migliaia di onesti e bravi cittadini hanno pagato con la
vita i loro sacrifici per liberare la Patria dalla belva nazi-fascista.
Ed io sinceramente posso dire, senza tema di smentita alla luce del giorno, che odio più di
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ogni altro questa accozzaglia di gente che mi ha messo in una condizione di inferiorità e di
avvilimento di fronte a tutti voi che avete clandestinamente e apertamente poi, sofferto, lottato per
oltre 25 anni per abbattere questi criminali e delinquenti che avevano in mano le redini della
Nazione. La mia domanda di iscrizione al vostro partito, dopo attente e meditate riflessioni di uomo
di ormai 32 anni che ragiona con la testa sulle spalle, che sente il peso della propria famiglia, che
attraverso fondati ragionamenti di persone sane e scevre di ogni opportunismo, hanno da tempo
illuminato la mia mente senza tacere la continua lettura che assorbe tutte le mie ore libere dal
lavoro, e che è stata sempre la mia passione – hanno formato in me la netta e precisa convinzione di
seguire finalmente una via retta e giusta—la via dell’onore—che porterà immancabilmente
l’operaio, l’intellettuale, il professionista e l’impiegato alle loro giuste aspirazioni e ai loro
sacrosanti diritti, darà certo motivo di sorpresa e discussione, cose queste che ritengo fondate e
giuste. Non saranno pochi i quali diranno che io compio questo gesto, per opportunismo od altro,
ma posso garantire che si sbagliano e di grosso, poiché il sottoscritto non ha da salvaguardare un
capitale, ne tanto meno il misero posto che occupo, ormai la mia linea di condotta è questa, il mio
pensiero è questo, e cecché avvenga nei miei riguardi nessuno potrà mai impedirmi, sia pure al di
fuori delle file del partito, di seguirne con simpatia il suo corso ed il suo immancabile sviluppo nel
corso della storia.
Del resto io non sono stato ne un volgare delinquente, ne tanto meno un profittatore che
abbia tratto benefici dal defunto partito, sono stato ovvero un facinoroso e un chiacchierone, un
traviato ed un esaltato, un ragazzo insomma irriflessivo, cose queste che possono certo essere
perdonate ad un ragazzo giovane, nato in quell’atmosfera ed in quel clima fatto di menzogne e di
inganni; e allora arrivando alla conclusione, o si da a questi la possibilità di riabilitarsi e restituirli al
consorzio umano degni cittadini e capi di famiglia, o altrimenti se sussistono fondati motivi, si
estraniano addirittura dalla società, come esseri spregevoli e abominevoli, in quanto un uomo che
ha un cervello per ragionare, una mente per riflettere, non può certo in un momento come questo
restare estraneo al corso degli eventi, come un parassita qualunque, senza che egli dia il proprio
braccio, la propria mente, ed il suo intelletto, onde concorrere alla rinascita del nostro Paese.
Muzzi Faro
Altra lettera del Muzzi Faro.
DALLA MENZOGNA ALLA REALTA’
Un simpatizzante racconta:
Non occorre certo un acume eccessivo di intelligenza per chiarire o dimostrare, attraverso
fatti reali e concreti, i principi sani, leali e sinceri che si riscontrano nel Partito Comunista,
composto dalla parte sana del popolo lavoratore e cosciente, ed onesto in ogni suo principio.
Ciò che io mi accingo succintamente a dimostrare, non è frutto della mia fantasia, ne tanto
meno lo studio di attente e meditate riflessioni di opportunismo, bensì il risultato di fatti e cose di
cui ho potuto rendermi personalmente conto ed hanno contribuito vieppiù ad aprirmi il cervello ed a
convincermi in modo assoluto, che la sporca propaganda fascista era qualche cosa di diabolico, che
avvelenava e intossicava lentamente l’anima a chi disgraziatamente incappava nelle sue maglie –
senza speranza di salvezza—se a questi non gli si fosse presentata alcuna possibilità di imbattere in
una persona di buon senso, di mente sana, che con la propria forza lo avesse tratto da quel baratro di
vergogne, di miserie, di bassezza e di menzogne.
Quell’uomo si chiamava allora antifascista.
Chi non è in malafede deve credere fermamente, alle mie parole sincere, se pur pronunziate dalla
bocca di un ex fascista, che stoltamente ed ingenuamente ha creduto. Se la mente non mi tradisce
credo che sia la quinta volta almeno che partecipo alle riunioni di cellula, ove mercé il benestare di
codesta Sezione, che ancora una volta sento il dovere di ringraziare, ho potuto accedervi. In verità
alla prima riunione mi sono trovato veramente a disagio, sentendomi sotto lo sguardo dei compagni
che biasimando certo il mio passato nel defunto regime avranno intraveduto con la mia presenza un
intruso, ed io me sono accorto e me ne sono perfettamente reso conto; passato però il primo
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stordimento che precede sempre in simili contingenti si è iniziata la discussione dei problemi posti
all’ordine del giorno, ed allora la mia attenzione si è concentrata con il massimo sforzo affinché
ogni parola, ogni discussione rimanesse impressa nella mia mente. E’ evidente che il mio pensiero
non poteva fare a meno di tornare alle famigerate adunanze fasciste ove il semplice gregario
partecipava solo quando vi era bisogno di empire il teatro o la piazza, tutte le altre volte solo i
gerarchi (più grandi o meno) prendeva parte alla discussione in seno al famoso direttorio; e mentre
in queste simpaticissime riunioni ove ognuno esterna la propria volontà chiedendo la parola che è
sempre promotrice di opere buone, per migliorare questa o quella situazione, per venire incontro ad
un compagno bisognoso ecc, ecc,; la invece si pronunziavano sentenze a carico di tizio o caio, a
secondo il rapporto di questo e quel gerarca. Una sera è stata promossa una specie di colletta per la
famiglia di un compagno bisognoso, e alloro io ho potuto constatare con i miei occhi, con quale e
quanta spontaneità ogni compagno a risposto a tale umana iniziativa, in brevissimo tempo il tavolo
si è riempito di danaro e io fermamente credo che a qualcuno di quegli umili braccianti avrà anche
la modesta cifra che generosamente a elargito, inciso sul magro bilancio famigliare; ma tuttociò non
ha importanza, si trattava di soccorrere un compagno. Tuttociò mi ha davvero commosso e ancora
una volta ho provato fremito di sdegno e di odio per quegli esseri abominevoli e spregevoli che
sotto la shaariana e la camicia nera nascondevano un cuore di tigre. Mi sono perfettamente reso
conto, che data la sincerità, la spontaneità e al tempo stesso la dignità con cui ogni singolo affare
posto all’ordine del giorno, viene trattato, che tali riunioni potrebbero certo essere tenute nella
pubblica piazza, La invece no, vi erano troppe cose che anche il semplice gregario non poteva
essere tenuto al corrente, si teneva al corrente anche troppo quando si trattava di pagar le quote, la
tessera, e la imposizione che non ammetteva repliche di farsi la divisa, poiché chi non sentiva il
bisogno di farsi la shaariana non era un uomo di fede, e allora si videro davvero gli uomini di
incrollabile fede sotto le sgargianti divise sormontate dai berretti con l’aquila imperiale. Il partito lo
esigeva, ma nessuno di quei signori capitalisti ed egoisti offrì mai il pagamento di una camicia nera
a qualche disgraziato.
Non parliamo poi se un semplice gregario doveva per qualche eccezionale contingenza conferire
con il federale; ricordo che una volta furono lette apposite circolari, ove si fornivano istruzioni circa
il modo di comportarsi in simili occasioni. A tale proposito citerò un fatto capitatomi a me, alla
federazione Senese nel 1938.
Trovandomi occasionalmente a Siena fui pregato da un mio carissimo amico, continuamente
perseguitato in ogni stabilimento che esso si presentava senza saper chi ringraziare, --perché dipinto
come pericoloso antifascista--, se mi fosse stato possibile chiedere al federale la ragione di questo
ingiusto e inumano provvedimento, trattandosi invece di elemento degno di rispetto e
considerazione. Uno sparuto sbarbatello in camicia nera che poi seppi trattarsi di un semplice
piantone mi affrontò con energiche e risolute parole, poiché non avevo salutato come il regolamento
prescriveva (facendomi all’uopo
osservare i cartelli ivi affissi) e perché non avevo chiesto lo
scopo del mio abboccamento; mi venne prima di tutto chiesto se ero in regola con il tesseramento
dell’anno in corso, dopodiché essendo le mie carte in regola potei accedere al piano superiore ove
mi venne fatto scrivere il mio nome e cognome su un pezzo di carta specificando in modo chiaro il
motivo della visita. Nell’attesa che si protrasse per circa un’ora e mezza fu un continuo di
andirivieni di pezzi grossi in divisa e senza, di signore eleganti ecc, ecc. dopodiché mi si disse di
tornare l’indomani poiché il gerarcone ora occupatissimo per affari della massima importanza e non
poteva quindi ricevermi; questa la mia prima ed ultima visita, e perché ero fascista e reduce
d’Africa, altrimenti chissà come sarebbe andata….
Però se a Siena come in tutti i capoluoghi di Provincia esisteva un federale, a Colle avevamo un
secondo ben pasciuto federale, ricco papavero, magnate dell’industria e commercio, seduttore di
minorenni, affamatore e dissanguatore dell’onesto operaio colligiano – primo cittadino del paese –
membro del direttorio, ideatore di famosi giardinetti e vasche, dei basamenti in cemento a forma di
fascio littorio che adornarono e vilipesero la nostra bella Piazza Arnolfo di Cambio.
Parlo del Podestà Cav. Nello Susini, troppo ben noto alla parte sana del popolo colligiano,
attualmente residente in quella nota città che si chiama Siena, divenuto il rifugio dei banditi fascisti.
Citerò alcuni esempi degni di rilievo che se anche noti alla maggior parte del popolo colligiano,
devono e debbono servire a rinfrancare la memoria nei riguardi di coloro, che pur circolando
liberamente per le nostre vie cittadine, ne furono i suoi più degni collaboratori.
Esiste nell’archivio comunale una delle tante deliberazioni in data 15/06/39, n. 55 approvata dalla
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superiore Prefettura in data 7 luglio corrente mese (1939) avente per oggetto: “Indennità per
missioni compiute per conto del Comune” per u totale di £. 737,30. Il rimborso di tale spesa fu
dovuto al viaggio compiuto dal sig. Susini (assieme alla propria moglie e figlia) a Roma e a Napoli
nei giorni 26 e 27 maggio, onde ricevere il 97° Btg. M.V.S.N. di ritorno dall’Africa. Io mi domando
e lascio a tutti voi la risposta perché il Comune abbia dovuto finanziare tale spesa. Potrei continuare
ancora a citare fatti ed esempi per dimostrare come questi rettili velenosi tutelavano l’interessi del
popolo lavoratore.
Una sola volta questo lurido insetto ha creduto di tutelare l’interesse dell’Amministrazione e vi
spiegherò in quale modo e quale forma.
Si trattava di sistemare quella bestia immonda che corrisponde al nome di Orienti, da parte di alcuni
organi superiori fascisti i quali ne avrebbero preposta la emigrazione da Colle, onde sistemarlo
definitamene se ben ricordo verso Pomarance. Posso sinceramente dichiarare e senza tema di
smentita che la sparizione di questo losco individuo, oltre a costituire un sollievo per la parte sana
del paese, avrebbe in certo qual modo costituito senso di sollievo anche da parte di quei fascisti ai
quali era rimasta un po’ di dignità personale. Il Comune in una parola avrebbe dovuto in parte
contribuire con una spesa annua di poche centinaia di lire, che sebbene tale spesa avesse inciso in
certo qual modo sul dissestato bilancio finanziario, già aggravato da ipotetiche e insulse spese,
avrebbe non solo servito a liberare il paese da questo comune delinquente, ma bensì avrebbe
risparmiato grandi lutti a diverse famiglie Colligiane. Ed io ho ancora dinanzi ai miei occhi le
grandi adunate, alle quali abbiamo incosciamente partecipato, ma a tutti questi raduni non eravamo
soltanto noi giovani stupidelli e inesperti, non vi erano soltanto i lavoratori obbligati a sfilare come
tante pecore, vi era una massa di uomini delle cosiddette classi dirigenti, intellettuali, industriali,
grassi borghesi, burocrati, speculatori di tutti i momenti, che più di tutti si davano da fare, che più di
tutti acclamavano l’uomo mandato da Dio, che per la guerra d’Africa da loro invocata, hanno
delirato, e che all’inizio di ogni guerra che rappresenta una più forte spinta verso l’abisso della
nostra povera Italia mostravano la loro incontenibile gioia. Mentre ora ci si avvia verso le elezioni
amministrative, la rinascita democratica degli organi amministrativi si presenta con una vivissima
esigenza delle masse. Difatti preme ai Comuni e alle popolazioni formarsi dei dirigenti capaci in
materia amministrativa, avviare i migliori figli del popolo ad una conoscenza pratica degli affari
Comunali.
Ed un giorno non lontano quando tutta l’Italia sarà risanata da questa piaga, in cui vent’anni
di malgoverno fascista l’avevano gettata, quando autentici ed onesti figli del popolo avranno in
mano le sorti del Paese, io che ho una figlia di circa tre anni che non appena sarà in grado di
apprendere le prime
nozioni elementari che non saranno mai più in base di divise, moschetti e pugnali, ma bensì di
apprendere cose sane e concrete atte a illuminare e sviluppare la mente, quando essa sarà in grado di
apprendere come una cricca di comuni malfattori, affamatori del popolo italiano ridussero la nostra
amata Patria sono certo di non subire l’affronto più terribile che un uomo il quale possiede un po’ di
dignità possa subire perché suo padre non solo non è stato responsabile di quella tragedia ,a che
seppe viceversa ritrovare a tempo la strada del decoro e dell’onore, onde contribuire in modo fattivo
alla rinascita del nostro Paese.
Il simpatizzante
Muzzi Faro
L’Orienti era davvero un delinquente solamente a vederlo faceva paura, i suoi due figli
parteciparono all’eccidio di Montemaggio. Prima del passaggio del fronte l’Orienti e suo nipote
furono accusati dell’impiccagione del Mori Ottavio, padre di Ada moglie di Mino Paradisi (il
maestro). Il motivo dell’impiccagione sarebbe stato perché dal Mori volevano una testimonianza
che sua moglie lo avrebbe tradito, ma il Mori, non fece questa testimonianza, non sapeva nulla
(così mi ha riferito Ada sua figlia). Tutto fu abbuiato dal regime, perché se lo avessero incriminato
forse qualche gerarca non avrebbe fatto sogni tranquilli.
Confermo di quanto scritto
Mino Paradisi
Le lettere si trovano presso la raccolta storica dell’Unione Comunale dei D. S. di Colle.
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Lettera di fascisti repubblichini per il Natale di Roma (21 aprile)
Originale è da Enzo Cosi
La Democrazia è stata incerta per qualche anno se celebrare o no il Natale di Roma dato che quella
ricorrenza puzzava lontano un miglio di deprecata tirannide. Ma di mano in mano il 21 Aprile è
tornato di moda, ed oggi è considerato come una festa normalmente accettata; ci hanno messo un pò
di tempo, ma alla fine anche i Democratici si sono accorti che Roma nacque un pò prima del 1922 e
che in fondo, la Repubblica e l’Impero furono momenti storici rispettabili malgrado avessero rubato
a Mussolini, con tanti secoli di anticipo, l’uso del fascio littorio. Fate passare altra acqua sotto i
ponti e vedrete che anche quel vilipeso simbolo figurerà nelle apoteosi del Sindaco Rebecchini. Il
21 Aprile non è soltanto una data leggendaria o commemorativa: è il giorno invece che ricorda ai
nuovi padroni e ai nuovi ricchi la gloria di Roma che è autorizzata ai diseredati un legittimo atto di
superbia.
Purtroppo anche per quest’anno…… l’Urbe è stata inquadrata nel ciclo celebrativo del
Decennale partigiano che abbiamo dovuto così digerire una nuova orgia di odio lacrimoso
attraverso il quale sono state implicitamente esaltate le gesta nazionali di Dongo, di Porzius e di
Schio. Non solo rifiutiamo questa lugubre apologia di stage del sangue fraterno, ma vogliamo dire
alto e forte che l’artificiosa sopravvivenza di una falsificazione storica che offende il popolo italiano
nella sua tradizione e nella sua dignità è nefando espediente di un gruppo di interessati, in oltraggio
al sentimento dell’intera Nazione che vorrebbe per sempre fossero cancellati i postumi atroci della
guerra civile. Guerra civile due volte mostruosa: perché incitata, finanziata e organizzata dallo
straniero e perché fonte di servaggio, di rinuncia e di decadimento morale.
E continua la pioggia delle ricompense, delle pensioni e delle prebende a vantaggio di chi si
accodò alle carrette anglo-americane: in queste ore si ricompone l’onorata società che ebbe come
carnefici i bolscevichi e come tirapiedi i Democristiani e si cerca ancora far rivivere l’atmosfera
delle giornate radiose, quando tra un processo sommario e una scarica di mitra, furono rovesciati i
termini del dovere e dell’onore. Il cieco Bosani andò al supplizio e Moranino fu elevato ai fastigi
del trionfo.
Come si può festeggiare, commemorare questa maledetta data ricordando con entusiasmo
coloro che fecero strage di uomini e di donne, di prigionieri e di inermi: che trucidarono feriti
giacenti negli Ospedali e che negarono perfino ai nostri eroi Caduti la sepoltura che l’Italia ufficiale
ha accordato ai marocchini d’Esperia…..
A certe vergogne, a certi insulti, noi intendiamo recisamente opporre le testimonianze
autentiche del sacrificio consapevole sorto da una battaglia senza speranze che un pugno di Italiani
volle combattere sino all’estremo per l’orgoglio di tenere fede all’idea e di cadere attorno all’ultima
Bandiera. E’ storia purissima questa, che non si insegna nelle scuole e che si deforma invece senza
ritegno o pudore, ma che comincia ad imporsi oltre la diffamazione e la menzogna.
E’ il nostro Decennale. Esso non viene salutato da clangore di trombe o di salve di
artiglieria: ma trova la sua drammatica convalida in una crisi insanabile che una Democrazia invano
cerca affrontare e superare in ogni parte del mondo.
Europa unita, difesa contro il comunismo, giustizia sociale, diritti dei popoli contro ogni
monopolio e ogni oppressione, sono verità che oggi riaffiorano spesso sulle labbra degne e indegne.
Ma noi queste stesse verità le recammo in un’aspra e sanguinosa fatica sulla punta delle baionette e
nell’anelito di una estinguibile passione. E di esse furono confessori e vindici i Morti insepolti,
dimenticati e oltraggiati.
Basta quindi con il Decennale della Resistenza, cessi alfine questa gazzarra e questa
vergogna, o saremo costretti, nostro malgrado, a far di nuovo udire la nostra voce non agitando i
fantasmi del passato, ma bensì quelli del presente e dell’avvenire.
WW L’ITALIA, WW IL 21 APRILE
Firme:
Battistini prof. Danilo ,Perko Valentino, Muzzi Faro, Gennai Danilo, Gennai Graziano, Taveri
Giuseppe, Caicasa? Pierino (cognome illeggibile), Correnti Vincenzo, Capocasa Irno, Busini Mario,
Tacchimini (Muzzi Faro già firmato), Casati Enrico di Casole,, Floridi Galeazzo di Casole
Ho ricopiato integralmente come scritto, compreso la punteggiatura e le lettere maiuscole. (M.P.)
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