troiane - Emilia Romagna Teatro

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 TROIANE
di Euripide
traduzione Caterina Barone
regia Marco Bernardi
con Patrizia Milani, Carlo Simoni, Sara Bertelà, Corrado d’Elia
scene Gisbert Jaekel
costumi Roberto Banci
luci Lorenzo Carlucci
suono Franco Maurina
Teatro Stabile di Bolzano
Teatro Storchi, Modena:
dal 13 al 15 dicembre 2012, ore 21.00
16 dicembre 2012, ore 15.30
Teatro della Regina, Cattolica:
17 gennaio 2013, ore 21.00
A quasi vent’anni di distanza dall’allestimento di Medea, Marco Bernardi torna a
confrontarsi con una tragedia classica: ancora una volta si confronta Euripide, ancora
una volta si confronta con l’universo femminile in primo piano come cartina tornasole
dei conflitti della nostra società; ancora una volta il dramma dello straniero, del
“barbaro” o del diverso, simbolo dell’emarginazione e della brutale sottomissione dei
più deboli.
Macerie fumanti, cadaveri sanguinanti, pianti e grida di dolore: Troia in fiamme come
emblema della caduta di un regno, come luogo archetipico della distruzione e del
saccheggio. A partire dal materiale mitico della tradizione arcaica, la drammaturgia di
Euripide presenta al pubblico lo spettacolo dei crimini di guerra e la deriva di una
popolazione devastata.
Rappresentata nel 415 a.c. all’indomani dell’efferato massacro della città di Milo da
parte di Atene, Troiane porta in scena la guerra vista con l’occhio degli sconfitti. Con
un rivoluzionario cambio di prospettiva, l’ateniese Euripide comincia la tragedia là
dove l’epos di Omero finisce: Troia è già caduta e della città non rimane che un rogo
immenso. I troiani giacciono morti dopo l’immane carneficina. Attraverso una
complessa costruzione di genere, il destino dei vinti si articola in una sfilata di figure
femminili che rappresentano altrettanti ruoli e altrettante esperienze travolte dalla
Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Stabile Pubblico Regionale, Sede Legale: Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15, 41124 Modena. Sede Organizzativa: Via Ganaceto, 129 ‐ 41121, Modena Centralino: Tel. 059 2136011, Biglietteria:. 059 2136021, e‐mail: [email protected] C.F. e P.IVA 01989060361 spirale della violenza. Ecuba, Andromaca, Cassandra: una regina privata del trono,
una vedova cui viene ucciso l’unico figlio, una figlia ritenuta da tutti una povera pazza.
Su tutte incombe il trauma della perdita e dello sradicamento: la partenza verso un
altrove che significa schiavitù e miseria.
Nella condizione di una totale impotenza restano solo il lamento, le grida di dolore, le
imprecazioni rancorose, i paradossi di una ragione allucinata, l’urgenza emotiva di
dirsi e di raccontare un’ultima volta la propria storia e il proprio diverso passato.
Nessun tribunale di guerra potrà riparare la catastrofe e l’umiliazione di queste donne.
Nessuna possibilità di denunciare colpe e responsabilità. La guerra è stata voluta dagli
dei, ribadisce Elena protetta dalla sua inossidabile bellezza. Nelle fiamme del rogo
finale, costruzioni teologiche e mediazioni politiche crollano insieme alle case e agli
edifici della città.
La tragedia di Euripide urla una denuncia radicale della guerra che si fa dramma
universale in cui si rispecchiano i conflitti di ogni epoca.
Euripide nostro contemporaneo?
Euripide ha scritto “Troiane” nel 415 a.C. lasciandoci una prova di grande forza
innovativa sia per quanto riguarda i contenuti che la struttura drammaturgica di
questa tragedia, non a caso tra le più rappresentate nel mondo in tutte le epoche. Si
tratta del primo testo pacifista della civiltà occidentale, della prima radicale denuncia
della totale insensatezza della guerra, di tutte le guerre. Già questo è sufficiente per
caratterizzare “Troiane” in una dimensione storica e politica significativa, ma c’è di
più: il punto di vista sulla sconfitta di Troia, sul conseguente massacro militare e sulla
deportazione delle donne superstiti, non è quello dei vincitori, i Greci (ai quali
apparteneva Euripide), ma quello degli sconfitti, i Troiani. O meglio le Troiane e
questo è l’altro aspetto rivoluzionario della tragedia: in scena ci sono quasi
esclusivamente donne, Ecuba (Patrizia Milani), Cassandra (Gaia Insenga), Andromaca
(Sara Bertelà), Elena (Valentina Bardi), il Coro (Valentina Morini e Karoline
Comarella). Sono loro a farci vivere il dramma delle prigioniere in attesa di conoscere
il proprio destino di profughe, sono loro che hanno perso mariti, padri, figli e che ci
fanno capire fino in fondo l’orrore e la stupidità della guerra.
Un altro argomento molto interessante è il continuo interrogarsi sul tema del divino
che i personaggi fanno, in particolare la deposta regina Ecuba, lungo tutta la tragedia.
Anzi, gli dei, Poseidone, dio del mare (Carlo Simoni) e Athena, dea della guerra
(Valentina Capone), sono in scena all’inizio e alla fine dello spettacolo, ineffabili e
capricciosi, inquieti e vendicativi.
Anche dal punto di vista formale “Troiane” è un capolavoro innovativo e sperimentale.
La storia è raccontata per episodi (quello di Cassandra, di Andromaca, di Elena) che
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del registro stilistico, quasi tre spettacoli diversi all’interno di uno stesso spettacolo. Al
contrario il personaggio di Ecuba, presente in scena dall’inizio alla fine, rappresenta
l’unità della tragedia, il “basso continuo” che accompagna i vari episodi, legando le
diverse prospettive dei personaggi ad un destino umano comune a tutte le donne dei
popoli sconfitti. Ci sono solo due uomini, Taltibio (Corrado d’Elia) e Menelao (Riccardo
Zini): non fanno una gran bella figura, tra crudeltà inutile, fragilità di fronte a Eros e
Afrodite, superficialità di analisi antropologica e sociale.
Tutto questo fa di “Troiane” una tragedia densa di materiali tematici e formali molto
interessanti, con continui colpi di scena che mutano la prospettiva dei fatti, tanto da
farne un testo molto amato dai registi contemporanei per la ricchezza di stimoli, per la
capacità di farsi capire con straordinaria efficacia nonostante i suoi 2.427 anni, tanto
da sembrarci “moderno”, come spesso succede con il teatro di Euripide.
***
Il problema della messa in scena della tragedia greca è un problema di
reinterpretazione di un modello di teatro che non c’è più. Euripide, autore e regista,
lavorava secondo un canone teatrale codificato in modo molto preciso ma
radicalmente diverso dal nostro. Il Teatro di Dioniso ad Atene, dove le tragedie
venivano rappresentate, era un teatro/stadio con circa 15.000 posti a sedere, con
distanze enormi tra scena e pubblico. Gli spettacoli venivano rappresentati in pieno
giorno, senza effetti di luce, ed erano scritti in versi, per un’esecuzione
prevalentemente cantata, come all’opera. Gli attori/cantanti erano maschi, (si pensi
che effetto “straniante”doveva essere per una storia tutta femminile come quella delle
“Troiane”), con maschere che tipicizzavano i personaggi: 12 attori/cantanti/danzatori
per il coro e tre solisti per tutti gli altri. Nel caso di “Troiane” un solista interpretava
Ecuba e gli altri due, alternandosi, interpretavano gli altri 7 personaggi. Tutto questo
condizionava fortemente la progettazione, la scrittura e la messa in scena dei testi che
sono infatti figli di questo canone teatrale preciso e rigido, del tutto particolare.
Il teatro di prosa di oggi è profondamente diverso: spazi più piccoli e chiusi, luce
artificiale, recitazione e non canto, disabitudine alle maschere, impostazione recitativa
più realistica. Per mettere in scena Euripide oggi, bisogna quindi prima di tutto tenere
conto delle enormi differenze dei due linguaggi teatrali e riprogettare
conseguentemente la scrittura scenica di questi testi. Bisogna in qualche modo
inventare un nuovo mondo teatrale in cui riposizionare le storie narrate, tradurre non
solo il testo dal verso in greco antico alla prosa dell’italiano contemporaneo, ma anche
tutte le altre strutture drammaturgiche da quella tipologia di teatro alla nostra.
Quando ho messo in scena “Medea”, per esempio, il sipario si apriva su un cantiere di
scavi dove una giovane archeologa lavorava alla ripulitura di alcuni oggetti appena
rinvenuti, poi in una pausa del lavoro leggeva “Medea” di Euripide immaginando i
personaggi, come facciamo tutti noi quando leggiamo, e quindi evocando la storia. Da
lì si sviluppava tutta la tragedia, dall’immaginazione di una giovane lettrice di oggi.
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concreto in cui si svolgeva la tragedia, senza l’imbarazzo del “finto antico” ma
permettendomi di rispettare fedelmente lo spirito del testo.
Con “Troiane”, assieme a Gisbert Jaekel (scene), Roberto Banci (costumi), Franco
Maurina (suoni e immagini) e Lorenzo Carlucci (luci), stiamo lavorando su tre piani
narrativi diversi, tre dimensioni teatrali. Un primo livello storicizzato e metafisico,
quello degli dei, quasi un tuffo indietro nel tempo fino al 415 a.C. come in una
citazione iconografica della scultura greca del tempo che avvia e conclude lo
spettacolo. Poi il plot, la storia raccontata da Euripide in tempo reale delle donne
prigioniere in attesa della loro deportazione, che è invece messa in scena con
realismo, in una dimensione temporale che allude alla modernità senza stravolgere il
testo. Infine una spezzatura del flusso narrativo causata da alcuni interventi in videoproiezione che provocano la brusca irruzione nella storia reale che si svolge lì davanti
a noi, e di conseguenza nella mente dello spettatore, di immagini di cronaca
contemporanea, come se le news della CNN o di AL JAZEERA si sovrapponessero per
qualche istante a quanto accade alle donne della “nostra” Troia.
Questi tre diversi livelli narrativi dello spettacolo fecondano la ricchezza dei registri
stilistici concepiti da Euripide in modo molto efficace, emozionandoci attraverso il
collegamento continuo tra passato e presente, in una prospettiva di circolarità della
Storia che, purtroppo, sembra incombere sugli esseri umani come un destino
ineluttabile e tremendo. Suscitando in noi, smarriti spettatori contemporanei, quei
sentimenti di “paura e pietà” ai quali si riferiva Aristotele nella sua “Poetica” a
proposito del senso del tragico.
Marco Bernardi
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