23Dispensa

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Modulo 23: Il modello “ad un solo fattore” di Ricardo
23.1. Introduzione
I motivi fondamentali per cui le nazioni stabiliscono tra loro legami commerciali sono
sostanzialmente due, e ognuno di questi può essere inteso anche come una ragione per cui il
commercio internazionale risulta vantaggioso. In primo luogo i paesi commerciano perché
sono diversi gli uni dagli altri. Essi possono trarre vantaggio dalle loro differenze
raggiungendo posizioni in base alle quali ognuno produce ciò che sa produrre relativamente
meglio. In secondo luogo i paesi commerciano per poter realizzare economie di scala nella
produzione. Infatti, se ogni paese produce solo una gamma limitata di beni, può produrre
ognuno di questi in quantità maggiore ed in modo più efficiente di quanto potrebbe fare se
cercasse di produrre tutti i beni desiderati.1 Nonostante nella realtà i flussi del commercio
internazionale traggano origine da entrambi questi motivi, al fine di compiere un primo passo
verso la comprensione delle cause e degli effetti di tale commercio è utile considerare modelli
semplificati, in cui ognuno di questi motivi compare isolatamente. Il concetto base su cui
verrà sviluppata l’analisi proposta in queste pagine è quello di vantaggio comparato.
Nonostante questo si basi su un’idea molto semplice, può apparire ostico se presentato in
modo astratto, il modo migliore per comprenderne il significato è esaminare alcuni esempi e
modelli illustrativi. A tal fine, in questo modulo si proporranno esemplificazioni in cui i
vantaggi comparati risultano esclusivamente da differenze internazionali nella produttività del
lavoro. Come anticipato nel modulo introduttivo, un schema teorico basato su queste
differenze di produttività, fu introdotto per la prima volta da David Ricardo. Per questo
motivo, ci si riferisce a questo modello definendolo modello di Ricardo (alternativamente,
“ricardiano”).
Per introdurre il ruolo dei vantaggi comparati nella determinazione dei flussi del
commercio internazionale inizieremo studiando una economia in cui esiste un solo fattore
della produzione, ovvero il lavoro, ed assumeremo che vengano prodotti solo due beni: olio e
whiskey. La tecnologia impiegata in questa economia può essere descritta in maniera sintetica
attraverso la produttività che il lavoro presenta in ogni settore industriale. A questo proposito,
seguendo i principali approcci e tenendo fede all’originale formulazione del modello,
esprimeremo tale produttività in termini di lavoro impiegato per unità di prodotto, ossia il
numero di ore di lavoro necessarie per produrre un litro di olio e di whiskey. Definiamo già
da ora queste misure con aO e aW, rispettivamente le quantità di lavoro impiegate
Krugman e Obstfeld (1991). A questo proposito si ricordi quanto discusso nelle “Considerazioni conclusive”
del Modulo 15 (pag. 9).
1
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rispettivamente nella produzione di una unità di olio e una di whiskey. 2 L’offerta totale di
lavoro che chiameremo L rappresenterà il complesso delle risorse di cui l’economia dispone.
23.2 La frontiera delle possibilità di produzione
Come amavamo ripetere nelle pagine che aprivano questo corso di economia politica, poiché
ogni economia dispone di una quantità limitata di risorse, sarà limitato anche ciò che è
possibile produrre, trovandosi costantemente di fronte al fatidico trade-off: per produrre una
quantità maggiore di un bene, sarà necessario rinunciare ad una parte della produzione
dell’altro bene. Una situazione di questo genere può essere illustrata graficamente per mezzo
di uno strumento chiamato frontiera delle possibilità di produzione, il quale mostrerà, nel
nostro sistema semplificato, la quantità massima di whiskey che è possibile produrre una volta
che è stato deciso il livello di produzione olio, o viceversa. Dal momento che consideriamo
un’economia in cui è presente il solo fattore lavoro, la frontiera delle possibilità di produzione
è rappresentata da una linea retta (Figura 23.1). Se chiamiamo QO la quantità di olio
complessiva prodotta nell’economia e QW quella di whiskey, avremo che:3

Lavoro complessivo impiegato per produrre olio sarà:
aO  QO

Lavoro complessivo impiegato per produrre whiskey sarà:
aW  QW
Sappiamo che la frontiera è determinata in base alla quantità (limitata) di risorse di cui
l’economia dispone (in questo caso, ricordiamolo, stiamo ragionando in termini del solo
fattore lavoro, la cui disponibilità complessiva è L), quindi, se ipotizziamo di impiegare tutto
il lavoro presente in economia, i limiti imposti alla produzione saranno descritti dalla
relazione:
aO  QO  aW  QW  L
(23.1)
(ci ricorda qualcosa? Dovrebbe!) Quando la frontiera delle possibilità di produzione è una
linea retta, il costo opportunità dell’olio in termini di whiskey è costante ed è rappresentato
dal numero di litri di whiskey a cui l’economia deve rinunciare per poter produrre un litro in
più di olio. Nel caso considerato, la produzione di un ulteriore litro di olio richiederebbe aO
ore di lavoro, ognuna delle quali può essere impiegata per produrre 1/aW litri di whiskey.
2
Si osservi che definire la produttività in questo modo conduce a risultati perfettamente equivalenti con la
formulazione che abbiamo dato nel Modulo 7 – pag. 4. L’unica differenza è data dal fatto che l’indice a è una
misura inversa, ovvero tanto più è minore tanto più elevata è la produttività del lavoro. Questo si riflette anche
nella formulazione analitica che a noi non interessa sviluppare.
3
Ricordiamo che nel paragrafo precedente abbiamo definito aO e aW le ore di lavoro necessarie per produrre,
rispettivamente, una unità di olio e una unità di whiskey.
3
Dunque, il costo opportunità dell’olio in termini di whiskey, in questo caso può essere
misurato dal rapporto aO/aW. Ricordiamo, avendo già affrontato il medesimo argomento,
seppur da una angolatura differente, che esiste un preciso legame tra il costo opportunità di un
bene rispetto all’altro e l’inclinazione della frontiera.4
Figura 23.1: Frontiera delle possibilità di produzione di olio e whiskey
QW
L/aW
L/aO
QO
È agevole osservare come il costo opportunità è definito dal rapporto tra l’input di lavoro
richiesto per un litro di olio e l’input di lavoro richiesto per un litro di whiskey.
23.3. Prezzi relativi e offerta
La frontiera rappresenta dunque le infinite combinazioni di olio e whiskey che possono essere
prodotte “sotto il vincolo” di una disponibilità complessiva di risorsa-lavoro pari a L. Tuttavia,
come abbiamo visto già in molti altri casi, quale di queste combinazioni alla fine sarà prodotta
dipende dai segnali inviati dal mercato attraverso i prezzi. Nel caso specifico, quello a cui
siamo interessati è il prezzo relativo dei beni prodotti nell’economia. In un contesto di perfetta
concorrenza, l’offerta è determinata dal tentativo degli individui di massimizzare i propri
profitti. Nel nostro modello semplificato, dato che il lavoro è il solo fattore della produzione,
l’offerta di olio e whiskey sarà condizionata da quanto input di lavoro è impiegato nell’uno e
nell’altro settore, in altri termini dagli spostamenti del lavoro da un settore all’altro. Questi
movimenti, come noto, sono veicolati verso il settore che paga salari più elevati. Siano
dunque pO e pW, rispettivamente i prezzi di olio e whiskey. Poiché occorrono aO ore per
produrre un litro di olio e poiché il sole fattore presente è il lavoro, avremo:
In effetti, anche se stiamo parlando di variabili “economicamente” diverse, dal punto di vista analitico il
discorso è esattamente analogo a quanto detto per il prezzo relativo e la pendenza della retta di bilancio. Cfr.
Modulo 5 – pag. 3.
4
4

Salario (orario) nel settore dell’olio:
pO
aO

Salario (orario) nel settore del whiskey:
pW
aW
In base a queste formulazioni è facile osservare che il salario pagato nel settore in cui si
produce olio è maggiore di quello pagato nel settore del whiskey se risulterà essere:5
pO aO

pW aW
(23.2)
All’opposto, il salario pagato nel settore del whiskey sarà maggiore se risulta essere:
pO aO

pW aW
(23.3)
Abbiamo appena visto che aO/aW è una misura che esprime il costo opportunità. Per
riassumere potremmo dunque dire che: l’economia si specializza nella produzione di olio se il
suo prezzo relativo risulta essere maggiore del costo opportunità, mentre si specializza nella
produzione di whiskey se il prezzo relativo del dell’olio è minore del suo costo opportunità.
Nel caso di uguaglianza, è facile intuire come il paese sarà indifferente alla specializzazione e
produrrà entrambi i beni.
Notiamo ora che se le economie non fossero aperte agli scambi internazionali, il nostro
paese dovrebbe necessariamente produrre entrambi i beni. Ma poiché sappiamo che essa
produrrà entrambi i beni solo se il prezzo relativo dell’olio è pari al suo costo opportunità e
che tale costo opportunità è dato dal rapporto fra gli input di lavoro necessari per produrre una
ulteriore unità di olio e di whiskey, potremo allora riassumere l’analisi svolta fin qui con una
semplice teoria del “valore-lavoro”: in assenza di commercio internazionale, i prezzi relativi
dei beni eguagliano il rapporto fra le quantità di lavoro necessarie a produrli.
23.4. Il commercio internazionale nel modello a un solo fattore
La struttura del commercio fra due paesi, quando ognuno di essi utilizza un solo fattore
produttivo, non presenta particolari complessità. Tuttavia le implicazioni di questa analisi
possono essere sorprendenti e, come approfondiremo nel modulo successivo, spesso appaiono,
a chi non ha mai ragionato sul commercio internazionale, in contrasto con il senso comune.
5
Si osservi la sostanziale equivalenza con l’espressione derivata nella formula (20.2), Modulo 20 – pag. 5.
5
Proprio per questo motivo, anche il semplicissimo modello ricardiano può rivelarsi
illuminante sui problemi del commercio mondiale come, per esempio, il dibattito diffuso su
cosa debba intendersi per “equa concorrenza internazionale” o per “equo scambio”. Prima di
affrontare questo tipo di argomenti, è però opportuno formulare in modo rigoroso il nostro
modello. Supponiamo che la struttura estremamente semplificata che abbiamo descritto in
precedenza caratterizzi il sistema economico di due paesi, l’Italia e gli Stati Uniti.
Riprendendo i ragionamenti fatti, possiamo ipotizzare che l’economia italiana sia più
produttiva di quella statunitense nel produrre olio e meno nel produrre whiskey, o viceversa.
Indicando con il “cappello” ( ˆ ) le variabili relative agli Stati Uniti, possiamo dunque
assumere che:
aO aˆO

aW aˆW
(23.4)
aO aW

aˆO aˆW
(23.5)
O, in maniera equivalente:
In altri termini, assumiamo che il rapporto tra le quantità di lavoro richieste nella produzione
di olio e whiskey sia minore in Italia che negli Stati Uniti. Per essere più sintetici e più
tecnici: la produttività in Italia è maggiore nel settore dell’olio. Dunque, in virtù
dell’assunzione (23.4) o (23.5), diremo che l’Italia ha una vantaggio comparato nella
produzione di olio.
Su di un punto occorre immediatamente soffermare l’attenzione. La definizione di
vantaggio comparato coinvolge le quantità di lavoro impiegate in tutte e quattro le produzioni
(olio e whiskey in Italia e Stati Uniti), non in due soltanto. Infatti si potrebbe pensare che per
stabilire chi produrrà olio sia sufficiente confrontare le unità di lavoro aO e âO necessarie per
produrre una unità di questo bene in ciascun paese, concludendo che in questo settore il
lavoro italiano è più efficiente del lavoro statunitense se risulta: aO  aˆO . Ma questa è la
situazione in cui si dice che l’Italia ha un vantaggio assoluto nella produzione di olio e, come
sarà chiaro tra breve, non è possibile determinare la struttura degli scambi commerciali tra
due paesi sulla base del solo vantaggio assoluto. La confusione tra vantaggio assoluto e
vantaggio comparato è la principale fonte di errore nelle discussioni sul commercio
internazionale. Data la forza lavoro disponibile nei due paesi e gli input di lavoro necessari, è
possibile disegnare le due rispettive frontiere delle possibilità produttive. (Figura 23.2).
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Figura 23.2: Frontiera delle possibilità di produzione di olio e whiskey
Italia
Stati Uniti
QW
QˆW
Lˆ/aˆW
B
L/aW
A
L/aO
QO
Lˆ/aˆO
QˆO
Alla luce delle assunzioni fatte sulla produttività nei due paesi, le rette avranno ovviamente
una inclinazione differente. In particolare, dato che collochiamo l’olio in ascissa e il whiskey
in ordinata, la frontiera italiana sarà più schiacciata di quella statunitense.
Ragioniamo ora sui prezzi. Abbiamo detto che in assenza di commercio internazionale, i
prezzi relativi dei due beni sarebbero determinati, in ciascun paese, dal rapporto tra gli input
di lavoro. Dunque i prezzi dell’olio sarebbero aO / aW e aˆO / aˆW rispettivamente in Italia e
negli Stati Uniti. Tuttavia quando consideriamo l’ipotesi che i due paesi aprano agli scambi
tra di loro, i prezzi relativi dei beni non dipenderanno più, solamente, da fattori interni bensì
anche da fattori “internazionali”. Infatti, aprendo allo scambio possiamo immaginare di
costruire un “mercato internazionale” in cui, appunto, la formazione dei prezzi non sarà più
solamente definita da fattori “nazionali”. Se il prezzo relativo dell’olio è più alto negli Stati
Uniti piuttosto che in Italia, sarà conveniente inviare olio dall’Italia agli Stati Uniti, viceversa
il whiskey seguirà il percorso inverso. Possiamo immaginare che questo processo continuerà
finché l’Italia esporterà nel Stati Uniti abbastanza olio e gli Stati Uniti in Italia abbastanza
whiskey da eguagliare, in corrispondenza di un certo livello, i prezzi relativi dei due beni in
entrambi i paesi.
Il problema a questo punto è vedere in che modo si formano i prezzi relativi a livello
internazionali, in altri termini fare delle ipotesi su quale possa essere questo ”certo livello”
che abbiamo detto. Senza necessità di dare ulteriori spiegazioni, ma affidandoci ad una
intuizione di non ardua comprensione, (dati gli strumenti analitici di cui ormai disponiamo) si
noti che l’apertura al commercio internazionale normalmente porta a fissare il prezzo di un
bene rispetto al prezzo dell’altro bene (ad esempio olio rispetto a whiskey) in una posizione
compresa tra i prezzi interni precedenti all’apertura del commercio tra i due paesi. L’effetto
di questa convergenza è che ogni paese si specializzerà nella produzione del bene che richiede,
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in quel paese, la minore quantità relativa di lavoro per unità prodotta. In Italia, il prezzo
relativo dell’olio aumenterà rispetto al livello precedente al commercio internazionale e ciò
porterà il nostro paese a specializzarsi nella produzione di olio, collocandosi, con riferimento
alla Figura 23.2/sinistra, nel punto A. Analogo fenomeno accade negli Stati Uniti, in cui al
contrario la riduzione del prezzo relativo dell’olio spingerà il paese a specializzarsi nella
produzione di whiskey, scegliendo la soluzione B (Figura 23.2/destra).
23.5. I vantaggi del commercio internazionale
Abbiamo appena visto che i paesi in cui le produttività relative del lavoro sono diverse da un
settore all’altro si specializzano nella produzione di beni diversi. Ora mostreremo come
entrambi i paesi otterranno vantaggi dal commercio internazionale proprio in ragione di
questa specializzazione. È possibile dimostrare l’esistenza di questi vantaggi reciproci
seguendo due approcci0 diversi, che presenteremo di seguito. Il primo modo attraverso cui
mostrare che specializzazione e commercio internazionale sono vantaggiosi consiste nel
rappresentare il commercio internazionale come un metodo indiretto di produzione. L’Italia
potrebbe produrre whiskey per conto proprio ma il fatto di commerciare con gli Stati Uniti,
consente di “produrre whiskey” producendo prima olio e successivamente scambiandolo con
whiskey. Questo “metodo di produzione indiretta” risulta più efficiente della produzione
diretta. Sappiamo infatti che l’Italia ha due modi alternativi per impiegare un’ora nel processo
produttivo: produrre 1/aO litri di olio oppure 1/aW di whiskey. L’olio può essere scambiato
con gli Stati Uniti ricevendo per ogni litro, una quantità d’olio data dal valore del prezzo
relativo pO/pW. Quindi, attraverso lo scambio, un’ora di lavoro procurerà all’Italia una quantità
di whiskey pari a:
1 pO
1


aO pW aW
(23.6)
La (23.6) mostra appunto come l’Italia riceve da un’ora di lavoro, tramite il commercio
internazionale, più whiskey di quanto ne otterrebbe se lo producesse per conto proprio.
Sappiamo che, perché vi sia equilibrio internazionale, se entrambi i paesi sono specializzati,
deve essere pO/pW > aO/aW. È dunque dimostrato che l’Italia può “produrre” whiskey in
maniera più efficiente utilizzando il commercio internazionale come una tecnica di
produzione indiretta. Analogamente gli Stati Uniti possono “produrre” olio in maniera più
efficiente producendo whiskey e scambiandolo con olio.
Un altro modo per spiegare come entrambi i paesi beneficino dal commercio
internazionale consiste nel verificare come questi scambi modificano le possibilità di
consumo di ogni paese. In assenza di commercio, le possibilità di consumo coincidono con le
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possibilità di produzione. Considerando l’apertura agli scambi, ogni economia si trova a poter
consumare più combinazioni dei due beni diverse da quelle che produce.
Figura 23.3: Possibilità di produzione e di consumo
Italia
Stati Uniti
QW
QˆW
Lˆ/aˆW
B
L/aW
A
L/aO
QO
Lˆ/aˆO
QˆO
La rappresentazione grafica fornita in Figura 23.3, mostra come in entrambi i paesi il
commercio internazionale allarga il ventaglio di scelte che si presentano ai consumatori,
quindi, in definitiva, migliora il livello di soddisfazione che essi possono raggiungere (retta
tratteggiata – verde).
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