5B DISTURBI INTERNALIZZANTI OSSESSIVO tutto ok

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XX. Avrò chiuso la porta? disturbi ossessivi-compulsivi
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) degli adulti è stato, ed in parte è anche oggi, considerato
uno dei disturbi più difficili da trattare e che ha in molti casi gravi conseguenze sulla qualità della
vita dei pazienti a causa della naturale tendenza alla cronicizzazione, per la sofferenza che
implica e per gli ostacoli che pone alla realizzazione esistenziale, negli adulti tanto quanto nei
bambini. Nella classificazione del DSM-IV-T-R è collocato tra i disturbi d’ansia, si caratterizza
però per la presenza di specifici comportamenti e pensieri – le compulsioni e i pensieri ossessivi –
che lo rendono del tutto particolare e ben diverso dai disturbi d’ansia, quali l’agorafobia, la
claustrofobia, il disturbo d’ansia generalizzato e via dicendo. Dal punto di vista della diagnosi
esplicativa poi i meccanismi psicologici che sono alla base del disturbo ossessivo nelle sue diverse
forme sono molto diversi da quelli che sottostanno ad un funzionamento esclusivamente ansioso,
sia in termini della percezione di sé, che per la regolazione e modulazione delle emozioni e del
rapporto tra pensieri ed emozioni, così come molto diverse sono le storie di attaccamento che si
riscontrano nella storia clinica di questi pazienti. Ugualmente molto diversi sono i tipi di interventi
clinici appropriati per questo tipo di problema sia con gli adulti che, a maggior ragione, con i
bambini. Nel più lontano passato i disturbi ossessivi erano ben conosciuti anche se, fin dal
medioevo, era più speso l’esorcista ad occuparsene anziché il medico, perché le sue manifestazioni
erano interpretate e vissute come possessioni demoniache e solo in tempi non troppo lontani sono
state riconosciute come malattie. Anche se le problematiche ossessive sono state identificate nelle
loro forme e manifestazioni già dall’inizio del ‘900 (Janet, 1903),è solo dall’inizio del 1990 è
iniziato lo studio approfondito e sistematico di questo tipo di disturbi nei bambini. I bambini come
gli adulti sono invasi da pensieri ed emozioni che generano loro disagio e sofferenza e le
compulsioni, i rituali, i pensieri ossessivi sono usati per far cessare, almeno temporaneamente,
questa loro sofferenza (vedi box). Se negli adulti spesso le persone avvertono i loro comportamenti
compulsivi e i pensieri ossessivi come ego-distonici, cioè come qualche cosa che non vorrebbero
fare, qualche cosa di sbagliato, che genera loro grande sofferenza, nel caso dei bambini spesso
manca la consapevolezza che il loro comportamento è strano, inusuale o inappropriato e in molti
altri casi i bambini, a differenza degli adulti, non sono in grado di concettualizzare o comunicare
esattamente la natura del loro problema o delle loro preoccupazioni, spesso limitandosi a dire che
devono ripetere certe azioni o certi pensieri finche tutto non è a posto. Il che rende, come vedremo,
un po’ più complicato il lavoro del clinico.
Come nel caso di molti altri disturbi dei bambini, spesso passa molto tempo prima che qualcuno si
renda conto che c’è un problema e che quindi è necessario intervenire (Thomsen, 1995), anche
perché spesso i bambini eseguono i loro rituali in segreto, quanto ai pensieri… quelli sono nella
testa e finché il bambino non si sente in grado di condividerli nessuno ne può avere conoscenza. In
una ricerca relativamente recente il NIHM MECA project (Rapoport, Weissman, Greenwald, et al.
2000) si riporta che solo il 16% dei genitori dei bambini che soffrono di un disturbo ossessivo è
pienamente consapevole dei sintomi del proprio figlio e che ben il 91% delle diagnosi di disturbo
ossessivo è stata fatta esclusivamente sulla base del racconto del bambino. i bambini di solito
vengono vista dagli esperti per altri problemi, ma se il clinico lo chiede raccontano spontaneamente
dei loro problemi ossessivi che dicono per lo più di avere tenuti nascosti (cit.). questo vuol dire da
un lato che i bambini tendono a tenere nascosti i loro sintomi e quindi che rituali, compulsioni e
ossessioni hanno tempo di consolidarsi rendendo la terapia più complessa, dall’altro che facendo
affidamento solo sulle descrizioni dei familiari si tende a sottostimare il problema (ed anche che è
assolutamente necessario condurre un buon colloquio esplorativo con i bambini). Ben l’80% degli
adulti in cura per un disturbo dello spettro ossessivo ha sperimentato la comparsa dei sintomi fin da
bambino (Pauls, Alsobrook, Phil, et al. 1995).
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(inizio box)
Il DSM-IV-T-R definisce così i criteri per la diagnosi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (pp 496497):
A. Ossessioni o compulsioni.
Ossessioni come definite da 1., 2., 3. e 4.:
1. pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del
disturbo, come intrusivi o inappropriati e che causano ansia o disagio marcati
2. i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i
problemi della vita reale
3. la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli
con altri pensieri o azioni
4. la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi sono un prodotto della
propria mente (e non imposti dall’esterno come nell’inserzione del pensiero).
Compulsioni come definite da 1. e 2.:
1. comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es.,
pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in
risposta ad un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente
2. i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio o a prevenire alcuni
eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in
modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente
eccessivi.
B. In qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le
compulsioni sono eccessive o irragionevoli.Nota: Questo non si applica ai bambini.
C. Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo (più di 1 ora al
giorno) o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il
funzionamento lavorativo (o scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali.
D. Se è presente un altro disturbo in Asse I, il contenuto delle ossessioni o delle compulsioni non è
limitato ad esso (per es., preoccupazione per il cibo in presenza di un Disturbo dell’Alimentazione ;
tirarsi i capelli in presenza di Tricotillomania; preoccupazione per il proprio aspetto nel Disturbo da
Dismorfismo Corporeo ; preoccupazione riguardante le sostanze nei Disturbi Correlati a Sostanze ;
preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria; preoccupazione riguardante
desideri o fantasie sessuali in presenza di una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un
Disturbo Depressivo Maggiore).
E. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso,
un farmaco) o di una condizione medica generale.
Specificare se:
Con Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l’episodio attuale, la persona non
riconosce che le ossessioni e compulsioni sono eccessive o irragionevoli.
(fine box)
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Le ossessioni sono la componente prettamente cognitiva del disturbo; possono essere in forma di
pensieri e idee vere e proprie -spesso nella forma di dubbi persistenti e intrusivi che sono vissuti
come inaccettabili, privi di senso o bizzarri e che causano un disagio marcato nel soggetto nella
forma dell’ansia - immagini mentali, più o meno articolate e dettagliate, impulsi. I contenuti mentali
possono essere di qualsiasi tipo, sempre in qualche modo legati all’esperienza del bambino, però ci
sono una serie di temi che ricorrono spesso: aggressione e violenza, responsabilità di avere causato
un danno, paura di essere stati contaminati da qualche cosa di patologico o di sporco, temi legati al
sesso o alle credenze religiose, timore e preoccupazione di avere gravi malattie. Il bambino si sforza
di evitare questi pensieri, ne è infastidito e si sente spesso colpevole perché i pensieri che avverte
spesso, coinvolgono i familiari in modo malevolo o lo spingono a pronunciare “parolacce” che sa di
non dover pronunciare, svariate forme di pensiero magico. Anche se forse è la forma più diffusa, la
paura della contaminazione e delle malattie è anche quella che si accompagna spesso a una minore
gravità della situazione clinica (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005). Tanto più i bambini sono
piccoli, tanto meno definito è il contenuto dei loro pensieri e quando provano a spiegare perché
devono pensare o fare certe cose dicono di non saperlo, di non averne idea (Swedo et al 1989).
Le compulsioni e i ritualisono impulsi a dover mettere in atto dei rituali comportamentali o mentali
al fine di ridurre l’ansia o la probabilità che si verifichi il risultato associato alle ossessioni e sono la
manifestazione evidente della sofferenza che prova il bambino.In alcuni casi c’è una relazione tra i
pensieri ossessivi e i comportamenti che vengono messi in atto (es. lavare le mani per la paura della
contaminazione), altre volte sono invece del tutto privi di senso e ciò che conta è che dopo averle
messe in atto il bambino sente e si sente che va tutto bene. Alcuni esempi di rituali comportamentali
sono il lavarsi ripetutamente per lo più le mani, controllare di avere fatto qualche cosa (messo in
ordine rispettando un ordine specifico e sequenze specifiche di azioni,avere chiuso le serrature, a
volte avere staccato qualcosa dalla presa di corrente e così via), contare numeri in ordine o
specifiche sequenze,toccare oggetti,collezionare cose di un certo tipo, conservare cose, ripetere più
volte una semplice azione di routine. Spesso nei bambini le compulsioni prendono la forma del
bisogno di toccare ripetutamente alcuni oggetti per scongiurare un pericolo, o di allontanarsi da altri
oggetti per evitare un contagio. Queste azioni sono accompagnate da un senso di costrizione e
obbligatorietà, senza che il piccolo sia capace di resistere alla spinta ad agire. Rituali sono presenti
in altre malattie infantili, come nei disturbi dello spettro autistico, ma in questo caso da un lato sono
avvertite come normali e non disturbanti dal bambino, dall’altro non sono legate a specifici pensieri.
Normalmente in presenza di un disturbo autistico non si fa una diagnosi di disturbo ossessivo
compulsivo perché la diagnosi più grave sussume sotto di sé quella meno pesante. Va anche detto
che oggi una parte della ricerca sui disturbi ossessivi nei bambini sta studiando le relazioni tra
queste due patologie osservando interessanti punti di contatto e, a volte, sovrapposizione (vedi
oltre)
Un aspetto importante nella valutazione dei disturbi ossessivi (Catapano, Sperandeo, Perris et al.,
2001) è il grado di insight, vale a dire la consapevolezza che la persona ha dell’incongruità dei
propri sintomi rispetto alla realtà. Un aspetto importante dei sintomi ossessivi è quanto la persona
avverte i propri pensieri e comportamenti come assurdi, eccessivi e privi di senso, pur essendo
incapace di smettere di metterli in atto. Non tutti i pazienti però avvertono in modo uguale la non
ragionevolezza apparente di quello che fanno e tra coloro che sono meno critici verso i propri
pensieri e compulsioni vi sono i casi di più difficile risoluzione (O'Dwyer and Marks, 2000), anche
perché alla base dei sintomi ossessivi vi possono essere situazioni cliniche assai più gravi. I pazienti
con scarso insight sono anche quelli con maggiore frequenza di compulsioni, una maggiore
cronicità della malattia, una familiarità del disturbo, la presenza di significative comorbilità
(Kishore et al. (2004) ) Ricerche simili non sono state condotte con i bambini, anche perché nel loro
caso la mancanza di una chiara consapevolezza dell’irragionevolezza dei propri sintomi è molto
comune. Tuttavia anche nei bambini la presenza di una valutazione critica sui propri sintomi sembra
essere un predittore di buon esito del trattamento, oltre ce indicatore di una minore gravità della
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situazione di partenza. un aspetto interessante è che i familiari dei bambini con maggiore insight
sono quelli che meno si adattano ai sintomi, accettano di sottoporsi ai rituali che il bambino
vorrebbe eseguire o comunque collaborano con il bambino alla loro realizzazione, ad esempio
aiutarlo a “decontaminare” un oggetto contaminato (Storch, Milsom, Merlo, et al., 2008).
Trattamento farmacologico
I farmaci solitamente usati per il trattamento farmacologico del disturbo ossessivo anche in età
pediatrica sono gli inibitori della ricaptazione della serotonina [serotonin reuptake inhibitors,
SRIs](vedi Storch, Merlo, 2006). I farmaci da soli non sono in grado di portare alla piena
risoluzione dei sintomi e soprattutto possono avere importanti effetti collaterali che ne rendono
l’utilizzo con i bambini particolarmente delicato (e.g., Whittington, Kendall, Foggy, et al., 2004;
Goodman, Murphy, Storch, 2007).Tra questi effetti collaterali problemi gastrointestinali, mal di
testa, insonnia (Reinblatt , Riddle,2007) ma anche irritabilità, manifestazioni somatiche di ansia,
irritabilità, aggressività, labilità emotiva, impulsività, ritiro sociale (Goodman, Murphy, Storch,
2007).
Incidenza e prevalenza
Le ricerche epidemiologiche indicano una prevalenza dei disturbi ossessivi negli adulti tra 0.8–2.2%
(Fireman et al., 2001) e tra 1.9–4.0% nei bambini (Douglass et al., 1995;Karno et al., 1988; Zohar,
1999).Un esordio precoce del disturbo ossessivo è associato con lo sviluppo negli anni successivi di
altre problematiche più importanti, ad esempio un disturbo di personalità ossessivo-compulsivo
(Pinto et al., 2006).La situazione si complica ulteriormente se teniamo conto anche dei disturbi
subclinici, vale a dire di quelle forme in sintomi non sono così chiaramente definiti e strutturati da
consentire l’attribuzione della diagnosi oppure pur essendo ben definiti, non danneggiano il
funzionamento globale della persona. In questo caso le percentuali sono molto più alte: 19% tra gli
studenti della scuola superiore (Valleni-Basile et al. 1994). In generale chi soffre di un disturbo
ossessivo presenta sia ossessioni che compulsioni, tuttavia, mentre negli adulti è possibile trovare
anche solo i pensieri ossessivi, nei bambini all’inverso quando si presenta uno solo dei due è più
facile trovare solo comportamenti compulsivi (Geller et al. 1998). In generale comunque anche nei
bambini è presente l’accoppiata pensieri ossessivi e rituali (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005).
È importante ricordare che ci sono momenti e periodi della vita in cui i bambini hanno bisogno di
fare dei piccoli rituali, senza che questo debba far pensare a un disagio. Tra i due e i quattro anni
spesso i bambini fanno le cose in modo ripetitivo, mangiare solo un certo tipo di cibo, fare qualcosa
sempre e solo nello stesso modo, collezionare oggetti dello stesso tipo e via dicendo (Zohar, Felz,
2001), tutte attività legate sia l’esplorazione dell’ambiente, sia al bisogno di rassicurazione e di
controllo su questo ambiente così nuovo.
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo colpisce sostanzialmente in modo uguale maschi e femmine
anche se tra in età evolutiva sono più frequenti i maschi con un problema ossessivo, in una
proporzione di 3:2 (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005). Di solito i sintomi compaiono intorno ai
nove o dieci anni, ma già verso i sei anni alcuni bambini possono presentare dei sintomi. Inoltre,
prima che la sindrome si manifesti in tutta la sua pienezza, condizione tipica dopo un evento
stressante, sono già presenti alcuni elementi del disturbo. Per un bambino un momento difficile può
essere l’inizio della scuola, la separazione dai genitori, una bocciatura e, come per l’adulto, una
malattia, un ricovero, ma anche più semplicemente un trasferimento o un cambiamento
d’abitazione.
Non è chiaro se e quanto i bambini che hanno sofferto di un disturbo ossessivo diventano adulti che
continuano ad avere un disturbo ossessivo: secondo alcuni lavori solo un quarto dei bambini non ha
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più sintomi in età adulta (Thomsen, Mikkelsen, 1993) secondo altri almeno la metà (Stewart et al.
2004; Bloch et al. 2009).
In età evolutiva la data d’inizio è tipicamente fra i 9 e gli 11, anche se il periodo di esordio varia tra
i cinque e i diciotto anni (Beidel, Alfano, 2011, p. 296),i ragazzi tendono a presentare il disturbo più
precocemente delle ragazze e più frequentemente nell’adolescenza (Geller et al 1998), interferendo
così notevolmente nello sviluppo di possibili relazioni sociali e coniugali.
Il disturbo ossessivo compulsivo ha un insorgenza precoce: nel 60/70% dei casi si manifesta prima
dei 25 anni, nel 15% compare in un’età inferiore i 10 anni e nel rimanente 15% dopo i 35 anni
(Rasmusssen & Tsuang, 1984, 1986; Thyer, 1985).
Dunque anche i bambini soffrono di disturbo ossessivo – compulsivo, anche se si tratta di un
terreno meno conosciuto rispetto a quello degli adulti. Si tende infatti a diagnosticarlo in modo
piuttosto tardivo, poiché è raro che i genitori accompagnino i figli dallo psichiatra in presenza di
sintomi ossessivo – compulsivi e il disturbo a volte passa inosservato da parte dei medici generici.
Penn et al. (1997) notarono che la maggioranza degli studi sulla distribuzione per sesso del DOC
nei bambini e negli adolescenti indica una preponderanza di maschi rispetto alle femmine, ma vi
sono alcune ricerche epidemiologiche che indicano parità numerica fra i sessi. Ciò può essere
dovuto alla fatto che negli anni prepuberi vi è un più elevato rapporto maschi/femmine, mentre
l’andamento s’inverte dopo la pubertà.
Comorbilità
Circa il 74% dei bambini presenta insieme al disturbo ossessivo anche uno o altri tipi di disturbi
(Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005), in particolare sono spesso presenti i disturbi d’ansia. più
complessa è la relazione con i disturbi depressivi. La presenza di sintomi depressivi infatti complica
il quadro clinico e aggiunge fattori di rischio, soprattutto sul lungo termine (Storch et al., 2008). I
dati di ricerca relativi alla percentuale di comorbilità delle problematiche depressive sono però
molto variabili, dal 13 al 46% anche in relazione alla metodologia dello studio e le tecniche di
misura (Geller, Biederman, Griffin, & Jones, 1996; Hanna,1995; Valderhaug, Larsson, Gotestam, &
Piacentini,2006)e le ricerche presentano dati a volte tra loro contradditori: una correlazione molto
bassa per alcuni (Riddle, Scahill, et al. 1990), secondo altri molto alta (Valleni-Basile et al. 1994:
Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005 ). Tutti i lavori però concordano sul fatto che la sintomatologia
depressiva aumenta con l’aumentare dell’età, facendo ipotizzare che sintomi e disturbi depressivi
siano una reazione alle problematiche ossessive (Abramowitz, Storch, Keeley, Cordell, 2007; Diniz
et al., 2004). Non è chiaro invece quale sia la ragione ei meccanismi che portano all’inasprirsi dei
sintomi depressivi. Considerato comunque che una comorbilità con un disturbo depressivo riduce la
responsività dei soggetti alla terapia cognitivo-comportamnetale classica (Storch et al., 2008), che è
il trattamento suggerito dalle linee giuida per i disturbi ossessivi (Barrett, Farrell, Pina, Peris,
Piacentini, 2008) diventa vitale capire il processo di evoluzionein senso depressivo per la messa a
punto di migliori strategie di intervento a partire da una migliore valutazione delle caratteristiche di
questo sottogruppo di soggetti, nei quali i livelli più alti di sintomi epressivi sono associati con un
maggior grado di distorsioni cognitive e ridotto insight, minore percezione di controllo su sé e i
propri sintomi e minore livello di autoefficacia (Pris, Bergman, Asarnov, et al. 2010).
È anche possibile riscontrare un disturbo del comportamento dirompente nei bambini con
problematiche ossessive. In alcune ricerche viene rilevata una percentuale del 30% di bambini con
un disturbo ossessivo che hanno anche un concomitante disturbo da deficit d’attenzione e
iperattività (ADHD) e viceversa. Di solito – 82% di casi - l’esordio dell’ADHD, intorno ai quattro
anni, precede la comparsa dei sintomi ossessivi(Geller et al 1998; geller et al. 2002).
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Altri disturbi spesso associati sono il disturbo da tic e la Sindrome di Tourette. Solitamente quando
le tematiche ossessive sono relative alla paura di contaminazione o alla tendenza a raccogliere e
conservare tutto è meno probabile che vi sia un disturbo da tic associato, mentre è più facile nei
bambini aggressivi o con ossessioni più legate a tematiche sessuali, religiose o legate alla simmetria
(Masi, Millepiedi, Mucci, 2005). Un altro comportamento ripetitivo , la tricotillomania, è stato
osservato nei bambini con un funzionamento ossessivo.
Aspetti biologici
Varie ricerche hanno riscontrato una marcata familiarità per i disturbi ossessivi, un quarto dei
bambini con un disturbo ossessivo hanno almeno uno dei genitori che soffre in forma clinica dello
stesso problema (Swedo, Rapoport, Leonard, et al. 1989; Thomsen,1995) prevalentemente il padre
(Lenane, Swedo, Leonard, et. al. 1990).
Le problematiche ossessive di un bambino hanno poi degli effetti sull’intero sistema familiare,
fratelli compresi, che hanno un più alto livello di ansia e depressione rispetto agli altri bambini,
anche perché spesso sono direttamente coinvolti nei rituali del fratellino malato,rassicurandolo
quando va in crisi sui suoi dubbi e pensieri ossessivi o aiutandolo nei rituali e nelle strategie di
evitamento delle situazioni temute(Barrett, Rasmussen, Healy, 2001):la terapia oltre ad aiutare i
nostri piccoli pazienti, migliorano anche la qualità di vita di chi gli sta intorno.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ricerche che utilizzano le tecniche di neuroimaging per
vedere se e quali possono essere le anomalie di funzionamento dei soggetti ossessivi. Ovviamente la
maggior parte dei lavori sono condotti con soggetti adulti,ma ci sono alcuni dati anche
relativamente ai bambini che hanno individuato alcune anormalità nei gangli della base, nella
corteccia e nelle vie di connessione (Rosenberg, McMillan, Moore, 2001). Unaspetto interessante
delle ricerche di Rosemberg è il confronto fatto tra interventi farmacologici e interventi
psicoterapeutici: a parità di esito positivo i primi portavano a modificazioni (una diminuita attività
glutamatergica nel nucleo caudato legata all’utilizzo degli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina) mentre i secondi non davano alcuna modificazione a livello cerebrale. Con la tecnica
della risonanza magnetica funzionale è stato possibile osservare che nei bambini con problematiche
ossessive vedere immagini collegate alle loro ossessioni e compulsioni non solo generava uno stato
soggettivo di sofferenza, ma anche una riduzione di attività nell’insula e nella via corticostriatale
talamica. Alterazioni nelle stesse aree si osservano anche negli adulti ma la direzione del
cambiamento è opposta
Neuroimaging studies have identified distinct neural correlates of obsessive-compulsive disorder
(OCD) symptom dimensions in adult subjects and may be related to functional abnormalities in
different cortico-striatal-thalamic neural systems underlying cognition and affective processing.
Similar symptom dimensions are apparent in childhood and adolescence, but their functional neural
correlates remain to be elucidated.
Pediatric subjects with OCD (n = 18) and matched controls (n = 18), ages 10 to 17 years, were
recruited for two functional magnetic resonance imaging experiments. They were scanned while
viewing alternating blocks of symptom provocation (contamination-related or symmetry-related)
and neutral pictures and imagining scenarios related to the content of each picture type.
The subjects with OCD demonstrated reduced activity in the right insula, putamen, thalamus,
dorsolateral prefrontal cortex, and left orbitofrontal cortex (contamination experiment) and in the
right thalamus and right insula (symmetry experiment). Higher scores on OCD symptom-related
measures (contamination and total severity) were significantly predictive of reduced neural activity
in the right dorsolateral prefrontal cortex during the contamination experiment.
Our findings indicate reduced activity in neural regions underlying emotional processing, cognitive
processing, and motor performance in pediatric subjects with OCD compared with the controls.
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These between-group differences are present during both contamination and symmetry provocation
experiments and during symptom provocation as well as viewing neutral pictures. The direction of
activity is in contrast to adult findings in the insula and in components of cortico-striatal thalamic
neural systems. Our findings suggest developmental effects on neural systems underlying symptom
dimensions in pediatric OCD.
(Gilbert et al. 2009).
Altre ricerche, sia sugli adulti che sui bambini, hanno per oggetto gli aspetti neuroendocrini
correlati alla presenza di un disturbo ossessivo, ad esempio sul livello di cortisolo nel sangue
(Gustafsson, Gustafsson, Ivarsson, Nelson, 2008) che negli ossessivi è molto più alto soprattutto di
mattina. Il cortisolo è l’ormone che segnala uno stato di stress dell’organismo (vedi anche cap. xx).
anche se non è affatto chiaro se le differenze sul piano endocrino sono la causa o il risultato della
malattia
Assessment
La più conosciuta scala per la valutazione dei disturbi ossessivi è la Children’s Yale-Brown
Obsessive-Compulsive Scale (CY-BOCS, Scahill, Riddle, McSwiggin-Hardin et al. 1997) è
un’intervista che viene fatta dal clinico per valutare un’ampia gamma di comportamenti e pensieri
ossessivi e il grado in cui ossessioni e compulsioni pervadono e interferiscono con la vita del
bambino. La scala varia tra 0 e 40, un punteggio di 20 è la soglia per la diagnosi clinica, 10 quella
per le forme subcliniche.
Per la liberatoria di uso e vedere se ne esiste già una traduzione italiana contattare
[email protected]
Del dipartimento di psichiatria del college of medicine dell’università della florida
Altre due scale sono di uso comune
Una versione breve di soli 11 item della Leyton Obsessional Inventory-Child Version (Berg,
Rapoport, Flament, 1986) sviluppata nel 2002 (Bamber, Tamplin, Park, Kyte, Goodyer, 2002).
La Child Obsessive Compulsive Impact Scale-Revised (COIS-R, Piacentini, Peris, Bergman,
Chang, Jaffer, 2007) che valuta il grado di compromissione di diverse aree di vita ed è nella doppia
versione per il bambino e per i suoi genitori.
Una panoramica ampia degli strumenti di valutazione per i disturbi ossessivi è nel volume Il
disturbo ossessivo compulsivo e il suo spettro, a cura di E. Smeraldi, 2003, Masson, Milano
Cause
La spiegazione del perché un bambino sviluppi sintomi ossessivi è strettamente legata al modello
teorico di riferimento. In una visione cognitivo-comportamentale classica le spiegazioni mescolano
i modelli comportamentali di acquisizione delle paure attraverso il concetto di rinforzi positivi e
negativi che coinvolgono i rituali comportamentali che come abbiamo visto fanno parte dello
sviluppo normale di un bambino, con i meccanismi del modelling familiare visto che anche i
genitori hanno spesso dei comportamenti ossessivi, con la costruzione di specifici schemi
disfunzionali di pensiero che determinano poi il comportamento. Nell’approccio cognitivista
classico le ossessioni rappresentano l’estremo di un continuum che è dato dai pensieri che
continuamente ci germogliano in testa, a volte non intenzionalmente formulati, ma in modo del tutto
casuale (Salkovskis, Harrison, 1984). I contenuti dei pensieri ossessivi non sono poi differenti dalle
preoccupazioni che normalmente affliggono le persone nelle loro vite quotidiane: chiedersi se si è
chiusa la porta prima di allontanarsi da casa non è patologico è una sana precauzione contro i ladri e
controllare di aver chiuso il gas o di non aver lasciato una pentola sul fuoco acceso è una sana
preoccupazione per evitare disastri. Ciò che differenzia le ossessioni è invece la frequenza,
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l’invasività dei pensieri e soprattutto il carattere catastrofico di quanto viene immaginato: la
lampada dimenticata accesa prima di uscire non si limita a restare accesa e, al più, far aumentare il
consumo di corrente, ma sicuramente darà luogo ad un cortocircuito, che farà scoccare una scintilla,
che sicuramente cadrà – con un improbabile salto – incendiandolo sullo scontrino probabilmente
caduto dalla tasca la sera prima e rimasto a terra accanto a comodino, che certamente prenderà
fuoco, che si propagherà alla coperta del letto, e poi alla stanza, uccidendo i due micetti rimasti lì a
dormire, e da lì a tutta la casa innescando un incendio in cui il caseggiato intero verrà distrutto
provocando una devastazione. Tutto questo per colpa di chi ha dimenticato accesa la lampada…il
nucleo quindi del problema è il pensiero disfunzionale della colpa per irresponsabilità e quindi
dell’elevato senso di responsabilità personale (Salkovski, Forrester, 2002) per cui la persona pensa
(a) di avere il potere di causare o prevenire eventi negativi soggettivamente molto importanti e (b)
che è assolutamente vitale riuscire a impedire il verificarsi degli eventi negativi che (c) hanno
conseguenze assolutamente deleterie nella realtà. Il timore di colpa per irresponsabilità è dunque il
cuore del problema (Mancini, Capo, Episcopo, 2007, pp. 170-176). Un aspetto caratteristico del
modo di pensare del soggetto ossessivo è quello che viene definito fusione pensiero-azione
(thought-action fusion TAF): se penso di farti del male è come se davvero ti avessi fatto fisicamente
del male, e quindi sono colpevole in modo uguale in entrambi i casi (Rachman, 1993). Il timore
della colpa porta all’esasperazione dell’atteggiamento di controllo prudenziale delle situazioni di
sicurezza e pericolo che genera la vasta gamma dei comportamenti di controllo e dei pensieri di
analisi di tutte le ipotesi e evenienze possibili, con meccanismi di pensiero che danno credito alle
ipotesi più improbabili o inverosimili, all’intolleranza per l’incertezza e l’ipersensibilità ai segnali
che potrebbero indicare che qualche cosa non va (cit. pp. 177-179). I pazienti ossessivi
“…sentendosi cronicamente in colpa trattano il fatto di sentirsi in colpa come un’informazione per
inferire che si verificherà l’evento temuto e che questo sarà gravissimo” (cit, p. 181). Il lavoro
clinico si muove attorno al processo di decostruzione dettagliata di tutti gli schemi cognitivi che si
attivano nel corso dell’esperienza, per far emergere la loro incongruità, attraverso anche il
confronto tra vantaggi e svantaggi delle diverse possibili scelte di azione, per ridimensionare il
senso di colpa, il senso di responsabilità e la paura del disprezzo altrui nel caso di un fallimento.
Il cuore dei problemi ossessivi negli adulti sembrano esservi sei aspetti chiave: la sovrastima della
propria responsabilità nel prevenire danni, la sovrastima cognitiva della probabilità di causare un
danno e la sovrastima del danno possibile, credenze sul costo personale legato al verificarsi
dell’evento avversivo, fusione tra pensiero e azione, dubbio sulle proprie azioni e la necessità di
ripetere le proprie azioni, sensazione di impossibilità nel controllare i pensieri che si affollano nella
mente e che ha per conseguenza l’esasperazione del tentativo di controllarli.
La domanda che è inevitabile porsi è se anche nei bambini questi quattro aspetti sono così presenti
e costituiscono il nucleo e la radice del disagio.In effeti nel caso dei bambini il senso di
responsabilità personale, pur essendo presente, non sembra essere così centrale come nel caso degli
adulti (Barrett, Healy, 2003)e i fattori cognitivi sembrano essere più un epifenomeno del disturbo
che non la sua causa.
È per questo che, dal nostro punto di vista, è necessario assumere una prospettiva un po’ più
complessa che tenga conto anche di altre dimensioni quali il processo di costruzione dell’identità
personale, del senso di sé, della dinamica tra esperienza immediata, sensoriale ed emotiva, e la sua
rielaborazione cognitiva, del modo in cui viene organizzata e regolata l’esperienza emotiva
all’interno delle relazioni significative.
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Si aggiunga a questo che da un punto di vista tecnico con i bambini, tanto più sono piccoli,
l’intervento sui pensieri e il lavoro sugli aspetti cognitivi è solo una parte di un percorso molto più
articolato e centrato appunto sugli aspetti emotivi e sulla relazione con il terapeuta.
Come appaiono i bambini
Molto spesso i bambini con problematiche ossessive hanno poche relazioni con i coetanei a causa
della loro limitata spontaneità, dell’impaccio interpersonale, e difficoltà, ad esempio nel gioco di
gruppo, a controllare le situazioni come desidererebbero: i compagni sono spesso imprevedibili,
perciò questi bambini tendono a entrare più facilmente in relazione con gli adulti, con i quali si
sentono più rassicurati, sfoggiando talvolta la loro “maturità” e le loro competenze cognitive.
Se questi bambini praticano uno sport, sarà più facilmente uno sport di tipo individuale, in cui le
regole non dipendono dalla squadra e dalla qualità delle relazioni, ma sono “assolute” e
maneggiabili individualmente e cognitivamente.
Molti
bambini
durante
l’infanzia
occupano
gran
parte
del
loro
tempo
in
giochi
rituali
e
superstiziosi,
come
non
pestare
le
righe
mentre
si
cammina,
contare
le
macchine
di
un
certo
colore,
toccare
una
porta
ogni
tre
lungo
il
percorso.
Questi,
però.
Sono
giochi
piuttosto
che
compulsioni,
e
possono
essere
arrestati
senza
ansia.
Anche
in
età
prescolare,
la
“manie”
che
il
bambino
piccolo
esplicita,
come
il
bisogno
di
rivedere
sempre
la
stessa
videocassetta
o
farsi
raccontare
la
stessa
fiaba
sono
semplici
e
rassicuranti
ritualità.
I
bambini
e
gli
adolescenti
con
Doc
di
norma
non
rendono
partecipi
i
familiari
dei
loro
sintomi
fino
a
quando
il
disagio
è
al
di
fuori
della
loro
capacità
di
gestione.
Di
solito
sono
imbarazzati
e
tentano
di
nascondere
le
compulsioni,
e
comunque
quando
genitori
e
insegnanti
iniziano
a
notarle,
vengono
classificate
come
comportamenti
“strani”.
Sfortunatamente,
questi
comportamenti
sono
spesso
attribuiti
alle
normali
abitudini
dell’infanzia
e
dell’adolescenza,
ma
se
si
indagasse
più
a
fondo,
molti
di
essi
verrebbero
considerati
dei
sintomi
precisi
e
generatori
di
ansia
per
il
bambino,
che
sta
silenziosamente
implorando
aiuto.
Per
questo
motivo
è
importante
che
si
conoscano
i
sintomi
e
i
particolari
comportamenti
che
un
bambino
mette
in
atto
quando
ha
o
sta
sviluppando
un
Doc,
così
da
poter
mettere
in
atto
un
aiuto
tempestivo
e
concreto,
prima
che
questi
peggiorino
e
il
bambino
ne
venga
assorbito
in
misura
maggiore.
Fra i bambini i sintomi più comuni riguardano il timore dello sporco, dei germi, preoccupazioni in
merito ad un evento terribile, lavaggi, pulizia delle mani, ripetizioni e controlli. Vi è inoltre una
limitata serie di prove che sembra indurre a pensare che i primogeniti o i figli unici tendano a
presentare con maggior probabilità il disturbo ossessivo compulsivo, poiché la posizione occupata
dal primogenito all’interno della famiglia può aumentare il suo senso di responsabilità.
Attaccamento e Disregolazione emotiva
Le ricerche sull’attaccamento nei disturbi ossessivi non sono molte e non sono semplici, ma quelle
svolte hanno messo in evidenza la presenza di un attaccamento insicuro (Myhr, Sokman, Pinard,
2003) e la presenza sia pattern d’attaccamento ansioso-ambivalente (C) che ansioso-evitante (A)
(Alcee, 2006; Doron Moulding, Kyrioset al. 2009). Nel confronto tra lo stile di attaccamento in
soggetti depressi e soggetti ossessivi si è anche notato che i pazienti depressi ricordavano le loro
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madri come molto meno accudenti rispetto al ricordo che delle loro madri avevano i soggetti
ossessivi, dato questo sui depressi perfettamente in linea con la letteratura. L’aspetto interessante è
che i soggetti ossessivi non le ricordavano meno accudenti rispetto al ricordo dei soggetti normali
(Myhr, Sokman, Pinard, 2003).
Nelle diadi caratterizzate da un pattern d’attaccamento evitante le madre tendono ad avere una
mimica rigida, povera, nell’interazione con il figlio e tendono a mantenere il piccolo a distanza,
svalutando i suoi bisogni di vicinanza e di conforto. La madre nella diade con attaccamento
ambivalente (C) è, invece, imprevedibile e ipercontrollante oppure intrusiva e contraddittoria nel
rispondere alle richieste di vicinanza e di aiuto espresse dal figlio. Spesso ha comportamenti
ambivalenti nei confronti del bambino e si dedica a lui senza partecipare emotivamente alle sue
cure. Il bambino avverte, nello stesso momento, sensazioni di agio e di disagio perché il
comportamento di cura non è accompagnato da una naturale componente affettiva, anzi spesso vi è
un irrigidirsi del genitore proprio nell’atto di accudire il figlio. Il bambino da un lato si sente
amabile e degno d’attenzione, dall’altro non amabile o non meritevole di considerazione e di aiuto.
Questo crea un senso di sé dicotomico (Io buono/Io cattivo), difficile da risolvere e da ricomporre.
Le famiglie dei bambini ossessivi hanno caratteristiche specifiche che rendono difficile la
comunicazione affettiva:
- i genitori sono poco attivi a livello motorio, ma iperattivi nella comunicazione verbale;
- limitano le espressioni emotive di piacere loro e dei figli, e bloccano quelle legate all’aggressività;
- non parlano di sessualità, anzi spesso tendono a negarla;
- hanno pochi amici, e le loro relazioni sono formali e fredde;
- sono molto attenti al rispetto delle regole, insegnano ai figli il dovere, il sacrificio, la fermezza.
Particolare peso, nelle dinamiche familiari, ha la figura paterna che, connotata spesso da tratti rigidi
e autoritari, desidera un figlio competente e perfetto e sa dare affetto solo in cambio di performance
positive che soddisfino adeguatamente le proprie aspettative. Rivolge solitamente al figlio richieste
di prestazioni estranee al rapporto personale e affettivo tra loro, ma che sono legate a situazioni
esterne e riguardano l’esecuzione di compiti impegnativi e spesso non adeguati all’età o alle
capacità del bambino.
Tutta la famiglia è in genere molto esigente e critica nei confronti del figlio, ma è uno dei due
genitori, solitamente, che tende a esercitare un ipercontrollo privo di affetto nella vita sociale,
scolastica e affettiva del bambino. A ciò si aggiunge il fatto che i fallimenti del figlio sono
sottolineati come un tradimento personale. Tipica nel bambino ossessivo è, allora, la ricerca di
perfezione, con un’attenzione eccessiva ai dettagli, al procedere analitico, a volte a scapito di una
visione globale dell’insieme, con la paura dell’errore considerato come un danno irreparabile.
Il bambino con futuro Disturbo Ossessivo-Compulsivo si trova in grande difficoltà nel tentativo di
misurare la propria amabilità, perché i genitori gli offrono rimandi positivi legati unicamente alle
sue prestazioni e non al suo comportamento interpersonale e al suo modo di stare con gli altri. Ciò
porta il piccolo a scegliere la via della perfezione assoluta e dell’«essere bravo per essere amato».
Inoltre, impara cosa non deve fare per non essere allontanato e diventare sgradevole ai suoi genitori,
ma non cosa essi in effetti desiderano da lui come persona.
Le occasioni che usualmente fanno insorgere i primi sintomi sono quelle in cui il bambino non è in
gradi di controllare la situazione come vorrebbe. Molto spesso entrano in gioco emozioni forti
legate all’area della sessualità e del piacere, o dell’aggressività, ambiti di esperienza poco
controllabili, che sollecitano stati interni poco conosciuti e articolati e percepiti come una minaccia
alle relazioni con le figure di riferimento. Questi nuovi sentimenti, così scarsamente governabili, ma
così reali, provocano uno slittamento minaccioso nell’assetto dicotomico del Sé, dall’Io buono
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verso l’Io cattivo: il bambino deve fare i conti con pensieri, desideri e disposizioni all’azione non
adeguatamente riconosciuti, che vengono pertanto trasformati e percepiti come immagini intrusive
ed egodistoniche.
Il bambino cerca di allontanare da sé le immagini e i pensieri intrusivi: ma più tenta di scacciarli,
più si ripresentano massicciamente alla coscienza. Inoltre, più è piccolo, più fatica a distinguere tra
pensiero e azione: per il bambino ossessivo, il pensare una cosa equivale ad averla fatta, e ciò rende
ancor più ansiogeno e affannoso il suo bisogno di controllare i suoi pensieri allontanando il più
possibile da sé quelli cattivi. Pensare a un’azione “cattiva” equivale ad avere la responsabilità di
averla commessa.
I sintomi emergono come un modo per tenere sotto controllo l’emergere di emozioni intense e
avvertite come destabilizzanti e sbagliate
Il bambino pensa di poter essere amato solo se è bravo, non disturba e si comporta bene: l’amore
degli altri viene a essere condizionato dal suo comportamento. Contemporaneamente, il genitore
diviene sempre più esigente nelle richieste di prestazioni al figlio, cosicché non è tenuto a dargli
amore. «Stai facendo solo il tuo dovere, come tutti noi, del resto!» Il piccolo può manifestare
un’elevata ansia espressa e una mobilitazione motoria sul piano sintomatico. In questa relazione di
attaccamento-accudimento, al bambino non è permesso di provare emozioni e di soffermarsi a
capire cosa sente. Percepisce una sola certezza: più si è bravi, più si è amati. Questa convinzione,
unita a quella del non fare del male agli altri, diventa la linea guida del comportamento del bambino
ossessivo. Il bambino cerca, quindi, di capire quali possano essere, tra i suoi atteggiamenti, quelli
atti a suscitare interesse e disponibilità nelle figure per lui significative. Questo compito non è
facile.
Manifestazioni e sintomi a casa e a scuola
I casi di Disturbo Ossessivo – Compulsivo senza ansia sono molto rari: spesso i bambini che
soffrono di questo disturbo hanno un elevato stato d’ansia che si manifesta in ogni situazione che
devono affrontare, da quelle più piacevoli come partecipare ad una festa di compleanno, a quelle
meno piacevoli ad esempio una visita medica. È spesso presente una componente depressiva
secondaria, poiché la loro vita è appesantita dalle preoccupazioni e dai sentimenti di impotenza
connessi ai sintomi ossessivi: tutto diviene difficile, molto tempo e molte energie sono impiegati per
prevenire i pericoli attesi e per rispettare i rituali, e poco ne resta da investire sulle normali attività
infantili, per giocare e divertirsi. Le relazioni sociali tendono a diminuire perché difficili da
controllare e questo porta il bambino a chiudersi sempre più in sé stesso.
Secondo quanto riportato da Berg et al. (1989), dopo due anni, circa i due terzi dei bambini
diagnosticati come ossessivi non presentavano più il disturbo, senza che fosse stato attuato nessun
trattamento. Negli adulti invece il decorso della malattia sarebbe tendenzialmente cronico
intercalato a periodi di remissione incompleta, oppure assumerebbe un andamento intermittente.
L’assessment
con
i
genitori
I
primi
colloqui
di
assessment
hanno
lo
scopo
non
solo
di
accogliere
il
bambino,
ma
anche
di
ottenere
dai
genitori
una
descrizione
sufficientemente
chiara
dei
comportamenti
del
figlio,
della
loro
frequenza,
dei
pensieri,
delle
immagini
e
delle
paure
che
li
mantengono
attivi.
È
necessario
ricostruire
attentamente
la
storia
della
famiglia
e
l’itinerario
di
sviluppo
del
piccolo
paziente,
la
storia
del
sintomo
e
le
dinamiche
dello
scompenso
clinico,
analizzando
a
fronte
di
quali
eventi
critici
si
sono
manifestati
i
primi
segni
di
disagio.
Con
i
genitori
sarà,
inoltre,
opportuno
condurre
una
dettagliata
analisi
funzionale
del
sintomo,
indagando
quali
sono
state
e
quali
sono
ora
le
situazioni
che
portano
più
spesso
a
innescare
i
rituali
nel
figlio.
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Occorre
anche
verificare
fino
a
che
punto
i
genitori
sono
consapevoli
del
pensiero
magico
che
sottostà
al
comportamento
compulsivo
del
bambino,
se
lui
lo
ha
comunicato
apertamente,
o
se
essi
lo
hanno
intuito
o
colto
indirettamente,
e
in
che
modo
sono
stati
in
grado
di
condividerlo.
Trattamento
L’intervento cognitivo-comportamentale con gli adulti che soffrono di un disturbo ossessivo si basa
principalmente sulla comprensione e l’intervento a livello sintomatologico. I pazienti devono
imparare a indebolire i pensieri disfunzionali e i pattern comportamentali disadattivi che fanno parte
della loro esperienza. La spiegazione dell’origine dei sintomi e del senso degli interventi proposti al
fine della cura è un passaggio fondamentale dell’intervento, basato sul dialogo socratico e la
discussione tra terapeuta e paziente che ha lo scopo di aiutare il paziente a identificare e correggere
le credenze errate che sono alla base delle paure ossessive, dell’evitamento e dei comportamenti di
sicurezza.
L’esposizione e la prevenzione della risposta sono gli aspetti centrali del programma di trattamento
sul piano comportamentale. L’esposizione consiste nel consentire al paziente di confrontarsi in
maniera graduale con le situazioni e i pensieri che evocano la paura ossessiva. Essa è spesso
associata all’immaginazione volontaria di quelle che saranno le conseguenze temute
dell’esposizione stessa. Ad esempio, un soggetto che teme di poter essere contaminato o di
ammalarsi toccando i contenitori dell’immondizia potrebbe allenarsi toccando tali contenitori e
immaginare di avere contratto una malattia “da germi”. Questa procedura richiede che il paziente
rimanga esposto fino a che l’angoscia associata alla situazione non decresce spontaneamente. Egli
non deve fare alcun tentativo di ridurre l’ansia fuggendo dalla situazione o mettendo in atto i rituali
compulsivi. La prevenzione della risposta consiste nell’astenersi da qualsiasi comportamento
(rituali mentali e comportamentali, evitamento e strategie di neutralizzazione) che serva a ridurre
l’ansia ossessiva o a terminare l’esposizione. Nell’esempio sopra riportato sarebbe astenersi da ogni
rituale di pulizia. L’esposizione e la prevenzione della risposta hanno l’obiettivo di mostrare alla
persona che le paure ossessive sono irrazionali e che i rituali non hanno alcun legame con gli eventi
negativi, che non si verificano anche se il rituale non è stato eseguito.
Ovviamente, il contesto terapeutico con i bambini è diverso rispetto a quello con gli adulti: il
terapeuta dovrà assumere un atteggiamento particolare, usare tecniche diverse, strumenti diversi per
entrare in relazione con il bambino.
Spesso
uno
dei
genitori
può
avere
egli
stesso
un’organizzazione
di
tipo
ossessivo
o
comunque
un
livello
d’ansia
elevato
che
si
manifesta
con
ostilità,
ipercriticismo
e
giudizi
verso
il
terapeuta
durante
i
primi
incontri.
Questi
genitori
chiedono
spesso
garanzie
rispetto
alla
riuscita
della
terapia,
desiderano
conoscere
nei
dettagli
le
credenziali
del
terapeuta,
se
ha
già
curato
con
successo
altri
bambini
come
il
loro
e
in
quanto
tempo,
se
sono
arrivati
nel
posto
giusto
e
se
si
possono
fidare.
Il
terapeuta
dovrà
fare
attenzione
a
non
rispondere
alle
provocazioni
o
alle
sfide
dei
genitori,
puntando
invece
a
sollecitare
la
loro
collaborazione:
questo
segna
già
l’inizio
della
terapia.
È
importante
avere
la
collaborazione
dei
genitori
e,
se
necessario,
anche
degli
insegnanti,
perché
le
relazioni
interpersonali
del
bambino
a
casa
o
a
scuola
possono
amplificare
o
meno
i
sintomi.
L’analisi
cognitivo‐comportamentale
del
Disturbo
Ossessivo‐Compulsivo
deve
indagare
con
il
bambino
e
con
i
genitori
alcuni
punti:
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a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
la
frequenza
e
la
durata
dei
comportamenti
ossessivo‐compulsivi;
la
valutazione
dell’ansia
e
della
relazione
con
il
disturbo;
le
circostanze
e
le
situazioni
in
cui
i
disturbi
si
manifestano;
il
ruolo
assunto
dall’ambiente
circostante
nell’aumentare
o
diminuire
i
sintomi;
le
verbalizzazioni
interne
prima,
durante
e
dopo
il
rituale
ossessivo;
eventuali
stati
di
depressione
o
altri
disturbi
associati;
la
motivazione
del
bambino
e
della
sua
famiglia
verso
la
terapia.
Anche con i bambini come per gli adulti è importante ripercorrere la storia dei sintomi per vedere se
il piccolo sa attribuire un inizio alla sua sofferenza e quantificarla. È importante anche sapere come
si sente a casa, a scuola, al parco e anche in studio durante la terapia e capire se è motivato a
collaborare con il terapeuta per uscire dallo stato di malessere in cui si trova.
Il bambino deve essere coinvolto dal terapeuta, tenendo conto dell’età, in modo attivo e
consapevole. I più piccoli saranno accompagnati prevalentemente attraverso il gioco ad affrontare le
situazioni di disagio che innescano i comportamenti ossessivi, sperimentando sia la difficoltà di
sentire nuove emozioni, sia la frustrazione di non essere riusciti a farlo, sia la soddisfazione di
essere vicini a una risoluzione. Il terapeuta deve sostenere il bambino attraverso le varie fasi del
percorso terapeutico assumendo di volta in volta il ruolo di compagno di giochi, di confidente, di
educatore, ma sempre di colui che è pronto ad accogliere. È importante che sia chiaro a entrambi
l’obiettivo della terapia, mentre le modalità con le quali raggiungerlo saranno decise tenendo conto
dei particolari momenti incontrati lungo il percorso e delle predisposizioni e/o desideri di ogni
bambino.
Se inizialmente è il terapeuta che potrà dà voce alle emozioni profonde del bambino, quelle che lui
non osa ancora esprimere ma ci comunica attraverso i sintomi, successivamente sarà il bambino
stesso che tenterà di esprimerle all’interno del setting. All’inizio del percorso terapeutico, sarà
importante evidenziare i principali schemi cognitivi implicati nella genesi del disturbo e valutare le
varie connessioni che esistono tra essi.. Però, non sempre i bambini riescono da soli a comprendere
gli schemi disfunzionali che guidano il loro comportamento e le loro emozioni; è compito, quindi,
del terapeuta aiutarli a prendere consapevolezza di ciò che sta succedendo, mettendo in discussione
le loro convinzioni.
Gestione del sintomo
Le tecniche terapeutiche dovrebbero focalizzarsi su tre piani distinti, agendo sulla componente
emozionale del disturbo, aiutando il bambino a gestire i livelli d’ansia connessi al sintomo; sulla
componente comportamentale, sostenendolo nel dilazionare o rinunciare a svolgere i suoi rituali,
cioè bloccando l’emissione della risposta; sulla componente ideativa, identificando e lavorando
sulle idee ossessive e le immagini intrusive. Le tecniche di esposizione (desensibilizzazione
sistematica, esposizione graduata, flooding, saturazione) mirano alla riduzione (estinzione o
assuefazione) dall’ansia associata a stimoli esterni o interni elicitanti i comportamenti ossessivi,
esponendo il bambino allo stimolo ansiogeno (in vivo o nell’immaginazione).
Desensibilizzazione sistematica
Nella desensibilizzazione sistematica la presentazione degli stimoli ansiogeni è effettuata in modo
graduale (costruendo insieme al bambino una gerarchia delle situazioni che gli provocano disagio) e
utilizzando il rilassamento muscolare progressivo per contrastare l’ansia. Le situazioni vengono
riconosciute prima immaginativamente, poi in vivo, in stato di rilassamento, puntando all’inibizione
dell’ansia attraverso la distensione muscolare. Talvolta, l’ascolto della musica o di una bella fiaba
può facilitare nel bambino l’induzione del rilassamento; il terapeuta dovrà comunque adoperarsi
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ogni volta per individuare la risposta antagonista all’ansia che è più efficace per quel particolare
bambino in quella particolare situazione.
Esposizione graduata
L’esposizione graduata segue la falsariga della desensibilizzazione sistematica, con presentazione
delle situazioni ansiogene in vivo o nell’immaginazione, senza tuttavia che ciò sia accompagnato
dal rilassamento muscolare e, in genere, presentando più velocemente gli stimoli disturbanti. Questa
tecnica è particolarmente adeguata nelle ossessioni con temi di contaminazione, ma può essere
applicata anche a quelle relative al timore di recare danno alle persone.
Prevenzione e dilazione della risposta
La tecnica di prevenzione della risposta (spesso associata alle procedure di esposizione) consiste
nell’impedire al bambino l’emissione del comportamento ripetitivo, mentre gradualmente si accosta
agli stimoli ansiogeni. È particolarmente efficace nei bambini, che si lasciano facilmente
coinvolgere dal terapeuta attraverso situazioni curiose o fantastiche, evitando di mettere in atto i
rituali di controllo. Questa tecnica, inoltre, permette al terapeuta di valutare in studio ciò che accade
quando il bambino viene confrontato con la situazione ansiogena, quali strategie di evitamento
tende a mettere in atto o quali cerimoniali usa per affrontarla. Fornendo indicazioni sugli schemi
emotivi o cognitivi del bambino, permette al terapeuta di rassicurarlo e, nel contempo, proporsi
come modello positivo.
Se all’inizio non è possibile utilizzare procedure di esposizione e di prevenzione della risposta,
perché l’ansia che il bambino deve sostenere è troppo elevata, può essere utile la dilazione della
risposta, che consiste nel prolungare il tempo tra l’esposizione allo stimolo ansiogeno e l’emissione
della risposta. La procedura comincia con un periodo preciso di dilazione che viene via via
prolungato tenendo conto delle caratteristiche del bambino e dei suoi tempi: è possibile cominciare
con una manciata di secondi, per poi proseguire con il tempo di una canzoncina e infine per un’ora.
Arresto del pensiero e analisi dei pensieri intrusivi
Nei bambini la tecnica di arresto del pensiero, consiste nell’interrompere il flusso dei pensieri
ossessivi con uno stimolo incondizionato, ad esempio un rumore forte, un aumento o una
diminuzione di luminosità, preceduto dalla parola “stop”, può essere vissuta come particolarmente
intrusiva e talora punitiva. È più adatta ai bambini piccoli, che rapidamente associano la parola
“stop” allo stimolo incondizionato e interrompono l’idea ossessiva; comunque, va sempre utilizzata
in forma giocosa e inserita in un contesto relazionale caldo e supportante. Con i bambini più grandi
risulta più opportuno ed efficace lavorare da subito sull’analisi dei pensieri intrusivi, allo scopo di
aiutarli a ridimensionare l’ansia e la preoccupazione che possono trasformarsi in realtà causando
tragedie familiari, e di attenuare il senso di colpa, la vergogna o la paura connessi al fatto stesso di
averli pensati. Non è raro che dopo poche sedute il bambino dichiari già di sentirsi meglio per il
fatto stesso di riuscire ad attribuire alle sue percezioni lo status, appunto, di pensieri, dopo aver
giocato con esse insieme al terapeuta e condiviso con lui l’idea che molti dei pensieri e delle
immagini che ha sono legati a emozioni che ogni bambino possiede e che “scivolano via” non
appena eviterà di trattenerli rimuginando e non si impaurirà per averle pensate. Il terapeuta, in altri
termini, aiuta il suo piccolo paziente a orientarsi verso un Sé buono.
Un altro utile strumento, mutuabile dal repertorio cognitivo-comportamentale e ben adattabile al
lavoro con i bambini, è all’assegnazione di “compiti a casa”, condividendo con loro indicazioni
comportamentali precise e invitandoli a eseguire nel corso della settimana, sia a casa che a scuola.
Queste indicazioni sono importanti per la generalizzazione delle acquisizioni e per ottenere una
buona frequenza di ripetizioni dell’esposizione. Questi tentativi, anche in caso di fallimento (che
per altro è sempre utile mettere in conto insieme al bambino), verranno accolti dal terapeuta con
benevolenza e senza giudizi, e costituiranno anzi l’occasione per discuter insieme delle difficoltà
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incontrate, dei pensieri e delle immagini che si sono attivati e delle emozioni provate. Vanno, cioè,
intesi e concettualizzati anche al bambino come forma di esplorazione, di migliore conoscenza e di
“studio” congiunto dei suoi comportamenti disturbanti.
Ristrutturazione cognitiva
La modificazione degli schemi cognitivi del bambino è un intervento di grande rilievo perché offre
al piccolo paziente una modalità nuova di interpretare il mondo e le relazioni che vive in esso.
La messa in discussione delle idee e delle credenze disfunzionali del bambino avverrà soprattutto
dal punto di vista della dimensione procedurale ed emotiva, piuttosto che dal punto di vista
semantico; passerà cioè attraverso il disegno , il gioco, la drammatizzazione, ambiti in cui il
bambino sperimenterà, nella relazione con il terapeuta, che non esiste un modo giusto o sbagliato di
fare le cose, ma tanti modi, tante possibilità, magari anche divertenti, imprevedibili e stimolanti.
Accettazione delle proprie emozioni
Lungo tutto il processo terapeutico, è importante che il terapeuta aiuti il bambino a riconoscere le
proprie emozioni e a viverle senza timore. Il bambino con organizzazione del Sé di tipo difeso avrà
appreso entro i propri legami d’attaccamento che l’elaborazione affettivo-motoria degli eventi e
comunque l’attivazione emotiva tendono a minacciare lo stato di relazione; il setting terapeutico
dovrà allora rappresentare un’instancabile “palestra” emozionale, entro cui imparare che è possibile
provare piacere nel fare le cose, sperimentare nuove modalità di affrontare gli avvenimenti grandi e
piccoli della vita.
La via del benessere non si percorre incrementando il controllo emotivo, ma concedendo a se stessi
la possibilità di esperire emozioni sempre più ampie, accettando di riconoscere, differenziare,
esprimere sensazioni di piacere ma anche sentimenti d’aggressività, di tristezza o di dolore che
bisogna imparare a non negare, a conoscere, affrontare e gestire. Il bambino con organizzazione e
stile interpersonale coercitivi, potrà sperimentare un sentimento di accadimento legato a una
naturale componente affettiva, non ambivalente né distonica. Il terapeuta sarà quindi pronto a dare
al piccolo risposte affettive benevole sia nei momenti di tranquillità sia in quelli di difficoltà; lo
accompagnerà ad affrontare l’ansia del dubbio come momento di crescita positiva e come premessa
di una scelta sempre più consapevole.
Gli interventi in età evolutiva si concludono quando il bambino è sufficientemente in grado di
riprendere il suo itinerario di sviluppo, trovare il suo posto e il suo ruolo in famiglia, non come
supplente di uno dei due genitori, ma con il loro sostegno, senza rigidità o pressioni. L’equilibrio di
una famiglia è un’alchimia: quando uno dei suoi membri evolve, l’equilibrio può alterarsi. Per il
terapeuta, vedere che la famiglia cambia e si adatta al proprio figlio, dopo un processo terapeutico,
significa sapere che il lavoro svolto con il bambino resterà fecondo
Cosa può fare l’insegnante
Va premesso che, solitamente, quando si trova nell’ambiente scolastico il bambino tende a mettere
meno in atto i rituali e le compulsioni e anche i pensieri ossessivi spesso sono meno pervasivi e
presenti, perché è lì ambiente familiare che più spesso stimola l’attivazione di questi
comportamenti. Detto questo, si possono avere comunque anche a scuola rituali o avere rituali che
coinvolgono la scuola e le attività che vi si svolgono. Per l’insegnante è molto più facile vedere i
sintomi secondari: la tristezza, l’ansia, la preoccupazione che invade il bambino e non lo lascia mai.
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Il bambino ossessivo è quello che entra in classe e prima di iniziare la lezione deve sistemare il
banco in un certo modo, deve controllare bene dove ha messo la cartella, che stia in una certa
posizione, dispone con cura libri e quaderni, mette l’astuccio in una sola posizione. Spesso tutte
queste procedure richiedono tempo e possono fare un poco perdere la pazienza, ma l’insegnante
deve saper attendere.
Se il bambino non può interrompere le ossessioni, l’insegnante deve avere la pazienza di lasciar
finire il rituale, ma se capisce di poter avere spazio all’interno del rituale deve essere lei a
tranquillizzare il bambino, anziché il rituale.
A scuola i bambini molto precisi che si perdono sul dettaglio, cercano la parola giusta, sia
pronunciata che a orale che scritta.
Sono bambini che vanno in ansia nel momento in cui non hanno la situazione sotto controllo e non
tollerano i cambiamenti, anche solo di banco, che non amano gli imprevisti e che si relazionano
solo all’interno di performance prestazionali. Sono perciò molto attenti al voto e se non vanno più
che bene a scuola, come può succedere ai cambi di ordine di scuola, diventano molto ansiosi.
Sempre insoddisfatti di quello che fanno, perché potrebbero fare sempre meglio.
L’insegnante può aiutare gli alunni cercando di creare in classe un clima sereno e non competitivo,
se necessario deve evitare di dare i voti, ma solo dei commenti discorsivi al lavoro degli alunni.
E’ importante invogliare la cooperazione e il lavoro di gruppo in classe rendendo meno strutturata
la settimana e inserendo dei momenti di creatività.
L’insegnante valorizzerà il bambino non tanto per quello che fa, ma per quello che è, sottolineando
in modo positivo tutte le volte che in classe esprimerà un pensiero cooperativo e le sue emozioni
Naturalmente se il bambino è seguito da un terapeuta è necessario un contatto continuativo tra
scuola e professionista nel rispetto dei ruoli.
Il ruolo dell’educatore
Quando si ha a che fare con un bambino che soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo è molto
importante integrare il lavoro che svolge il terapeuta al lavoro di un educatore che affianchi il
bambino nel suo percorso scolastico e di vita. È quindi necessario e significativo svolgere una
didattica individualizzata, che tenga conto delle potenzialità del bambino o dell’adolescente.
Innanzitutto è essenziale instaurare un rapporto con il bambino che ci troviamo di fronte:
l’educatore deve formulare risposte tecniche sempre più adeguate ai bisogni specifici del bambino,
accettandolo per quello che è, con i suoi pregi e difetti, e cercando al tempo stesso di eliminare le
barriere culturali e sociali che costituiscono la causa principale delle situazioni di emarginazione e
di svantaggio.
Contribuire a migliorare la qualità della vita significa quindi aiutare a uscire dallo stato di passività
e di dipendenza e ciò che richiede in primo luogo una rottura e una svolta nel modo di percepire il
disturbo e di convivere con esso.
Il vero dramma delle persone in difficoltà è quello che si consuma nel silenzio della cosiddetta
dimensione del privato: le esperienze che si riallacciano principalmente al sé corporeo, alle
gratificazioni affettive e sessuali, ai rapporti amicali, al gioco, al divertimento, alla realizzazione
personale sono proprio quelle che vengono maggiormente a mancare.
Alcune ricerche compiute nella scuola hanno dimostrato che i bambini “normali” non amano
frequentare nel tempo libero i compagni che soffrono di qualche problema o disturbo né escono
volentieri con loro per giocare, andare al cinema o svolgere insieme altre attività ricreative. La
comunicazione, gli scambi sociali, la partecipazione è limitata alle ore di permanenza scolastica; poi
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al bambino rimane solo, nella migliore delle ipotesi, la compagnia dei familiari e dei parenti, che
però da soli non possono rispondere alle sue reali necessità.
La società dunque continua ad emarginare i soggetti più deboli esercitando di fatto influenze
ambigue e contraddittorie. Venendo a mancare la possibilità di una vera integrazione sociale il
bambino in difficoltà è riconsegnato alla sua famiglia, ai suoi problemi, alla sua solitudine.
È quindi molto importante che gli interventi educativi e terapeutici vengano messi in atto, concepiti
e progettati a livello multidisciplinare da una equipe di specialisti fortemente motivati alla
cooperazione e capaci di svolgere un lavoro di gruppo sufficientemente integrato.
J. McGee, che si era occupato per molti anni di bambini affetti da gravi forme di autismo e/o di
ritardo mentale, si richiama esplicitamente agli studi di Bruno Bettelheim, a quelli di Rogers sulla
comunicazione empatica e a quelli di R. Carkhuff sul counseling e sulle tecniche di aiuto. L’assunto
di base del gruppo che si richiama ai principi del gentle teaching è che tutti gli individui hanno
bisogno di calore e di affetto e che tale bisogno risponde positivamente ad una valorizzazione
incondizionata.
Lo scopo primario di ogni educatore diventa allora quello di creare un “bonding”, (ossia un legame,
attaccamento) cioè un tipo di rapporto per alcuni aspetti simile a quello che si sviluppa tra il
bambino e la madre. Ciò si rende necessario in virtù dell’enorme bisogno di accettazione che la
maggior parte delle persone svantaggiate dimostra di avere unitamente alla incapacità di stabilire un
valido legame affettivo che, o non è mai esistito, o è stato precocemente danneggiato per motivi di
carattere sociale o psicologico.
L’errore e l’insuccesso sono ad ogni passo inevitabilmente presenti e, se ben utilizzati, assumono un
ruolo decisivo nel processo di apprendimento stesso. Ma il fallimento e l’insuccesso, o più
semplicemente l’idea che esso possa realizzarsi, per un soggetto ad autostima debole può costituire,
e di fatto costituisce, un trauma gravissimo. Ed è per questo che nella scuola a volte si innescano
delle dinamiche fortemente ansiogene che concorrono ad aggravare situazioni familiari a rischio o a
trasformare il gruppo classe in un luogo di disadattamento affettivo e sociale.
Compito fondamentale di un educatore o insegnante specializzato diventa allora quello di creare un
setting di apprendimento in cui la scelta e l’utilizzazione delle strategie didattiche più idonee al
raggiungimento dei vari obiettivi pedagogici avvenga sempre nell’ambito di una relazione di aiuto e
di incoraggiamento. A tal fine si richiedono tre tipi essenziali di competenze:
•
Capacità di ascolto attivo
•
Capacità di comprensione delle dinamiche di gruppo
•
Capacità di introspezione e di auto trasformazione, cioè apertura e disponibilità a mettere in
discussione se stessi.
La capacità di ascolto attivo è veramente prioritaria perché offre la possibilità di osservare in modo
approfondito e non episodico e costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo e quindi
rappresenta di per sé un valido agente terapeutico. Ma perché l’ascolto sia veramente attivo e non
una forma di ipocrisia che provoca imbarazzo, frustrazione o rabbia in chi sta parlando deve
configurarsi come realmente empatico. Soltanto l’empatia conferisce un valore terapeutico alla
comunicazione e permette di comprendere l’altro e non solo di osservarlo o di ascoltarlo. L’empatia
ci consente di condividere le emozioni e i pensieri di un’altra persona senza per questo violare i
confini tra il sé e l’altro; consente di entrare realmente in sintonia con l’altro e di comunicare in
modo genuino e libero da schemi precostituiti.
Così diventa possibile la decifrazione di comportamenti anche apparentemente assurdi e interagire
con risposte non stereotipate ma mirate a soddisfare i bisogni specifici di un particolare soggetto.
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Un ambiente educativo che sia capace di agire in questo senso, da un lato integra e sostiene la
fragile struttura del Sé della persona in difficoltà e dall’altro crea un clima di fiducia.
14.1 ATTIVITA’ DA PROPORRE AI BAMBINI DOC
•
Il GIOCO: il gioco dei bambini è molto più che un semplice divertimento ed è fondamentale
per il loro benessere quanto lo sono il cibo e il sonno. Il gioco rappresenta la tecnica, lo strumento
del progresso e dunque la strada obbligata verso l'evoluzione.
Per i bambini molto piccoli il gioco è soprattutto esercizio di esplorazione della realtà, dunque
lavoro essenzialmente pratico, senza significati più complessi.
Una delle funzioni più significative del gioco è quella di aiutare il bambino ad affrontare le
emozioni della vita : amore, odio, aggressività, ansia. Il gioco gli consente di dominare la realtà,
invece che esserne dominato.
Alcune tecniche di gioco sono particolarmente in grado di allontanare da sé la paura più grande dei
bambini: quella cioè di essere abbandonati: il gioco del cucù svolge questa funzione: consente
infatti al bambino di rivivere in un contesto sicuro la situazione di scomparsa/ricomparsa delle
persone e di esercitare sulla propria ansia quel controllo che non gli è invece consentito nelle
situazioni reali, ad esempio quando i genitori escono per andare a lavorare o lo mettono a letto la
sera.
Un'altra tecnica di gioco consiste nel lanciare lontano i giocattoli e poi andarli a riprendere o farseli
riportare da altri: in questo modo il bambino si allena a tenere a bada l'ansia che prova quando vede
le persone care allontanarsi.
Il gioco immaginativo e le svariate situazioni in cui 'si fa finta che...' aiutano invece lo sviluppo
intellettivo : quando ad esempio un bambino finge di essere qualcun altro, egli, attraverso il gioco,
riesce meglio a comprendere i diversi modi in cui le persone si comportano quando sono insieme,
impara ad identificarsi con alcune figure del mondo degli adulti: attraverso questi giochi il bambino
diviene maggiormente padrone di sé, migliora il suo livello di intelligenza ed anche l'equilibrio
psicologico e neuro-muscolare.
Per un sano sviluppo del bambino sarebbe invece necessario fare in modo che lo spazio ed il tempo
del gioco non vengano meno, spazi e tempi in cui il bambino abbia la possibilità di esprimersi a
livello corporeo, dove possa anche manipolare, distruggere, ricostruire, amare, odiare, imparando
così a padroneggiare le proprie forze, per poterle poi applicare ai compiti della realtà.
•
Il DISEGNO: Soprattutto in età pre - linguistica il disegno è uno strumento espressivo molto
utilizzato dal bambino. Molte tecniche di valutazione clinica infantile sono basate sull’analisi del
disegno, considerato specchio di dinamiche emozionali e del progressivo sviluppo cognitivo.
Infatti l’abilità grafica evolve non solo in corrispondenza dell’aumento dell’età anagrafica, ma
anche rispetto ai progressi nelle abilità mentali. Paragonando diversi disegni, prodotti in età
differenti dallo stesso bambino è infatti possibile apprezzare concretamente il progresso
nell’acquisizione di abilità cognitive e rappresentative.
Naturalmente il felice sviluppo del grafismo infantile è strettamente dipendente dalla capacità di
controllo della motricità della mano, dallo sviluppo della vista e dalla coordinazione occhio-mano.
Sembra inoltre che anche il livello di sviluppo del linguaggio influisca in un certo modo sulla
produzione grafica, nel senso che difficilmente il bambino disegna spontaneamente oggetti che non
è in grado di denominare. Ecco perchè il disegno rifletterebbe aspetti del livello di conoscenza del
mondo circostante da parte dell’infante. Man mano cioè che il bambino prende coscienza della
realtà è naturale per lui rappresentarla nel disegno: quando ad esempio viene compreso che nella
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pancia della propria madre c’è un fratellino è frequente che egli lo rappresenti nel disegno, come se
la pancia fosse trasparente e si potesse scorgere il bambino al suo interno.
Alcuni disturbi ad esordio precoce possono essere evidenziati dall’analisi del disegno: tra essi per
fare qualche esempio il ritardo mentale, le psicosi, sintomi ossessivi, la presenza di un disturbo da
stress post-traumatico. Ma dall’analisi attenta di un disegno si può anche evincere la presenza di un
disagio emotivo, che non viene altrimenti verbalizzato o comunicato.
La valutazione della produzione grafica del bambino rispetto alla sua età e alle sue potenzialità di
sviluppo può dunque essere un elemento utile per la prevenzione e per l’individuazione del disagio
infantile.
Naturalmente l’attendibilità di questa valutazione può essere garantita esclusivamente
dall’esperienza di un professionista competente in materia
•
La MUSICA: Il pianto del bambino, i suoi primi vocalizzi, il suo riconoscere le voci più
familiari, quelle che sentiva dalla pancia della mamma, oppure il battito cardiaco della mamma:
tutto questo fa capire che ogni essere umano ha un senso innato del ritmo ed una propria musicalità.
Secondo un’indagine commissionata da Disney Interactive sul rapporto tra la musica ed il processo
formativo dei bambini, è risultato che la musica è indispensabile per lo sviluppo della fantasia e
della creatività dei bambini ed, essendo un linguaggio universale, pare rappresenti uno strumento
insostituibile per sviluppare nei più piccoli l’apertura nei confronti di una società sempre più
multirazziale.
Dovremmo quindi imparare ad avvicinare i nostri figli all’ascolto delle sette note già dai primi mesi
di vita grazie a filastrocche, ninne nanne o canzoncine.
Ogni futura mamma parla al suo bambino mentre è ancora nella pancia, raccontando cosa succede,
cantandogli delle canzoni ed ogni mamma ha istintivamente un “linguaggio personale” con il
proprio piccolo; ogni momento dell’infanzia ha i suoi mezzi per ascoltare e produrre musica, ma
spesso non ci facciamo caso o peggio tendiamo a reprimere le attività esplorative svolte con
cucchiai, pentole e forchette.
Non valorizziamo abbastanza gli aspetti sonori dei paesaggi che ci circondano, cantiamo sempre
meno ninne nanne, raccontiamo poche fiabe perché le offriamo confezionate e pronte per l’uso in
cd, anche senza la nostra azione diretta.
Oltre alla ninna nanna, anche l’ascolto di buona musica ha effetti positivi nella formazione e nella
crescita dei bambini.
•
La PSICOMOTRICITA’: La psicomotricità è una disciplina che prende in considerazione
l’uomo nella sua globalità; il suo obiettivo principale è quello di permettere l’integrazione armonica
degli aspetti motori, funzionali, affettivi, relazionali e cognitivi.
Il corpo, il movimento e l’azione sono gli elementi fondamentali per apprendere e operare sulla
realtà.
Nata all’interno dell’ambito medico (neuropsichiatrico) ed in particolare nell’ambito sociosanitario
per dare una risposta a tutti quegli interrogativi e a quelle problematiche che la medicina non
riusciva a spiegare in termini medici in quanto non necessariamente aventi un’origine organica, la
psicomotricità affida un ruolo preminente al corpo considerato in relazione costante e significativa
con l’ambiente. In particolare valorizza il corpo in movimento, il corpo con le sue specifiche
modalità di espressione: il suo linguaggio. Attraverso esso, il suo agire e il suo relazionarsi,
l’individuo esprime la propria identità, i suoi bisogni e le sue difficoltà.
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Il corpo in psicomotricità è inteso come soggetto di azione e di relazione con il mondo, per questo è
importante favorire la sua espressione canalizzando in modo consapevole e mirato le risorse e gli
stimoli spontanei dell’individuo nel corso del suo sviluppo evolutivo.
Lo sviluppo del bambino, soprattutto fino agli anni della scolarizzazione primaria, è unitario, nel
senso che vi è una stretta relazione fra la sua motricità e la sua intelligenza, fra azione e pensiero. E’
con il corpo e le sue realizzazioni motorie che il bambino struttura il suo Io e acquisisce la sua
autonomia. Ed è sempre attraverso il corpo che il bambino esprime i suoi desideri e i suoi bisogni.
La stretta relazione fra corpo e mente, valida soprattutto nel bambino, ma non solo, chiarisce come
sia proprio attraverso l’agire corporeo, con tutte le sue modalità espressive e comunicative non
verbali, che i soggetti pensano, imparano, creano e si relazionano.
La sua applicazione in ambito terapeutico può avvenire a livello individuale o di gruppo.
L’intervento può essere specifico in situazioni di patologie conclamate oppure in casi di disturbo o
disagio quali vengono di seguito evidenziati. La presa in carico psicomotoria mira a mobilizzare
ogni possibile risorsa della persona e del suo contesto al fine di intervenire sul sintomo a partire
dalle complicazioni che inevitabilmente accompagnano il disagio o il deficit nel rapporto con
l’individuo, gli oggetti e gli altri. Accanto al problema organico, infatti, andiamo a chiarire e
specificare i disturbi psicomotori che si possono accompagnare e che, come si è detto, si esprimono
attraverso il canale privilegiato del corpo.
L’altro ambito di applicazione della psicomotricità è quello preventivo-educativo che si realizza
soprattutto in gruppo. In questo caso l’obiettivo è quello di prevenire o di evidenziare eventuali
problematiche latenti o a rischio e di favorire, attraverso il lavoro nel gruppo, lo sviluppo del
bambino nella sua totalità e interdipendenza fra agire, pensare, comunicare, sentire, percepire.
L’intervento psicomotorio, a qualunque livello appartenga, va dunque interpretato secondo il
parametro della qualità, del benessere, del miglioramento conseguito globalmente dall’individuo,
dove il movimento agevola anche la comunicazione e la relazione con l’ambiente che lo circonda.
In conclusione, il ruolo dell’educatore è molto importante con bambini che soffrono di questo tipo
di disturbi, perché in questo modo l’educatore affianca quotidianamente il lavoro che svolge il
terapeuta per una/due volte alla settimana e insieme al bambino si possono rafforzare i traguardi
raggiunti durante la terapia. Oltre a questo, l’educatore è un importante supporto emotivo per il
bambino e per la sua famiglia che in questo modo non si ritrova più sola a sostenere e affrontare un
percorso così complicato e in salita.
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