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SOCRATE
1) La filosofia di Socrate1 (470-399 a.C.) è, assieme a quella di Platone, una delle grandi alternative alla sofistica, differendo da entrambi per l'originale ridefinizione della verità, non più intesa
come un complesso di conoscenze compiute, raggiungibile o meno a seconda delle prospettive, ovvero come contenuto dogmatico del discorso, ma come suo rigore formale dinamico, caratterizzato dallo smantellamento preliminare dei pregiudizi, ovvero delle convinzioni implicite ed infondate, su una determinata questione, dalla chiarificazione dei suoi termini fondamentali e dallo
svolgimento non contraddittorio delle successive argomentazioni2; il tutto condotto collettivamente, in vista del raggiungimento di posizioni comuni e continuamente rivedibili, e considerato come precondizione necessaria dell'autonomia e della responsabilità nell'azione politica, difficilmente fondabile a partire dalla concezione protagorea dell'utile, ingenuamente sprovvista di indicazioni concrete per la sua determinazione, o dal nichilismo gorgiano che, concentrato sul raggiungimento di un consenso purchessia, era strutturalmente impossibilitato alla posizione di problemi di
contenuto.
2) Socrate identificò dunque il senso della propria esistenza in una ricerca politico-intellettuale
consapevole della propria inesauribilità e dell'inesistenza – o provvisorietà – di ogni conclusione,
dell'impossibilità del raggiungimento di un punto di vista certo e definitivo; ed è a partire da ciò che
va intesa sia la scelta di non scrivere alcunché, attestante il suo concepire la filosofia non contenutisticamente ma come atteggiamento intellettuale, sia l'affermazione secondo cui la sua sapienza
consistesse nella consapevolezza della propria ignoranza ("so di non sapere"), ed il conseguente
disinteresse per gli studi "fisici" di matrice anassagorea sui quali pure si era formato3, appunto fondati sulla pretesa di esprimersi sull'archè conclusivamente. Tutto questo, assieme all'esclusiva attenzione per i problemi inerenti la vita sociale dell'uomo, affrontati in maniera anticonformista e
demistificatrice delle convinzioni tradizionali dimostra la piena appartenenza di Socrate alla cultura sofistica della sua epoca.
3) Dal suo non farsi banditore di verità assolute, tuttavia, non derivò un atteggiamento scettico o
rinunciatario: in guerra ed in pace ebbe sempre posizioni ferme – non a caso Bertrand Russell affermava che la filosofia "dà la possibilità di agire con vigore quando non si è assolutamente certi di
quale sia l'azione giusta"4 –, a loro modo "patriottiche": egli manifestò sempre, cioè, un sincero attaccamento alla propria città, Atene, alle sue istituzioni e, soprattutto, ai suoi concittadini, che tuttavia, si badi, non cercò mai di sollecitare ad una particolare presa di posizione politica, ma "soltanto" "a prendersi cura, prima che delle cose della città, della città stessa"5, e dunque di sé stessi,
in maniera tale da acquisire quell'autoconsapevolezza che sola può determinare effettivamente una
prassi politica "adulta", a cui sarebbe stato d'ostacolo l'inerte abbandono ai propri pregiudizi.
4) Tale messa in discussione delle convinzioni comuni spiega l'ostilità e la condanna a morte del
1
La cui figura, non avendo egli lasciato, intenzionalmente, alcunché di scritto, ricostruiamo a partire dalle testimonianze dei contemporanei: delle quali la più attendibile resta quella "specialistica" di Platone (essendo
ravvisabili, nei suoi dialoghi, ben due "Socrate", corrispondenti, in quelli giovanili, al filosofo nella sua realtà,
e in quelli della maturità al suo "superamento" da parte dell'allievo), laddove quelle di Aristofane e di Senofonte hanno mero valore di testimonianza, intendendolo il primo, aristocratico à la Trasimaco, simbolo di quel
pernicioso "libero pensiero" in cui ravvisava la strutturalmente decadente democrazia sofista ateniese, ed essendo il secondo militare valoroso e discepolo affettuoso ma non mente filosofica.
2
"È nascosto ai molti ch'egli ignorano la essenza delle cose, e nondimeno, come se la conoscessero, non procurano di concordarsi quando incomincian la questione, e, procedendo, pagano la pena, però che non si concordan poi l'un con l'altro né con sé medesimi" (Fedro).
3
E dei quali in ogni caso mantenne la convinzione "deista" secondo cui l'ordine del cosmo fosse il risultato
dell'operato di un'intelligenza divina, che lo avrebbe espressamente finalizzato all'esistenza dell'uomo.
4
Bertrand Russell dice la sua.
5
Cambiano-Mori, Le Stelle di Talete.
a cura del prof. Vinicio D’Intino – per contatti [email protected]
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filosofo da parte del recentemente restaurato regime democratico, convinto che il tramonto della
potenza ateniese seguito alla disfatta nella guerra del Peloponneso con Sparta fosse stato dovuto a
quello degli antichi valori "alla cui crisi aveva contribuito la critica razionalistica e cosmopolitica"6 tanto sofistica che socratica, ed urtato dai vecchi legami del filosofo con esponenti dell'aristocrazia come Alcibiade, che, accusato a suo avviso ingiustamente, non aveva esitato a passare dalla
parte di Sparta, e Callicle o Crizia, che avevano contribuito all'instaurazione del "regime oligarchico e filospartano dei Trenta Tiranni"7 (col quale, peraltro, Socrate pure era entrato in contrasto, cfr.
avanti), nonché dalla sua convinzione "antidemocratica" – o, per meglio dire, propugnatrice di una
"democrazia responsabile" – secondo cui il potere avrebbe dovuto essere esercitato soltanto dalle
persone competenti, che metteva in discussione "il diritto di accedere alle cariche pubbliche per
sorteggio o per elezione popolare"8.
5) In questo senso, allora, l'accusa di irreligiosità che gli fu mossa – e, a maggior ragione, quella
di "corrompere i giovani" – aveva un significato eminentemente politico: va infatti ricordato che la
religione più sentita dai greci era il culto degli antenati, da celebrarsi, inverificabilmente, nella privatissima dimensione della propria famiglia, e che l'ossequio alle divinità tradizionali9 ed il connesso culto pubblico facevano tutt'uno con il rispetto nei confronti delle istituzioni cittadine, nel che
Socrate non era mai stato manchevole; e troppo poco era, tutto sommato, per tacciarlo di empietà,
l'occasionale riferimento al "demone" (personificazione della voce della coscienza) che lo ispirava
nell'astenersi da determinate azioni.
6) Comunque sia, l'autonomia intellettuale, intesa come atteggiamento teso a riflettere mettendo
continuamente in discussione le proprie convinzioni, costituisce il punto di vista comune che potrebbe mettere d'accordo quelli soggettivi, l'interesse al raggiungimento del quale differenzia nettamente Socrate dai sofisti – per i quali, in fondo, il sapere, l'interrogarsi, costituiva semplicemente un
semplice mezzo per raggiungere accordi provvisori o confutare fraudolentemente i propri avversari.
Ora, però, il possesso di tale facoltà non costituisce un dono di natura, ma è piuttosto il frutto di un
lungo e faticoso processo di educazione ed auto-educazione; ed è proprio questo che rende il dialogo l'ambiente ideale della ricerca filosofica di Socrate, che ha sempre, come scopo iniziale, il tentativo di rendere gli interlocutori consapevoli della propria ignoranza (nel senso in cui, come abbiamo
visto, egli lo era della propria), cioè dell'inconsistenza di quelli che si dimostrano semplici pregiudizi, in modo tale da consentirgli sul serio di "conoscere sé stessi".
7) È questo il fine della cosiddetta "ironia" (dissimulazione) di Socrate, consistente nella sua iniziale ed apparente accettazione delle tesi dell'interlocutore, in merito alle quali viene successivamente interrogato mediante l'invito alla definizione10 ("che cos'è?") dell'argomento in questione (ad
esempio la santità, o il coraggio, o la giustizia), cioè a passare da esemplificazioni particolari alla
sua caratterizzazione generale11. La difficoltà che questo procedimento desta in chi non è abituato a
riflettere che superficialmente sulle proprie convinzioni è accentuata da una serie di interrogativi
che lo spingono a rendersi conto della loro fondamentale contraddittorietà; sempre in modo, però,
che a questo egli giunga da solo, in quanto il fine di Socrate è, come abbiamo detto, appunto l'educazione alla riflessione autonoma – ed in questo senso egli si definisce cultore della "maieutica",
cioè dell'arte di far "partorire" le menti, che trovano da/"in" sé stesse la definizione più appropriata
6
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, Il testo filosofico.
Abbagnano-Fornero, Itinerari di filosofia.
8
Ivi. Una critica che "per gli aristocratici suonava come una conferma del proprio diritto a esercitare il potere nella città, come suo tradizionale ceto di esperti del governo" (Vegetti, Quindici lezioni su Platone).
9
A proposito delle quali pure affermava "quando mi si contano sugl'Iddii di codeste novelle, io a stento le
mando giù" (Eutifrone).
10
L'attenzione alla quale è un'altra differenza fondamentale dai sofisti che, non credendo nella possibilità di
un discorso rigoroso, ma solo persuasivo, e curandosi soltanto di finalità particolari e non di teorizzazioni generali, non erano interessati a definire preliminarmente un problema e a dedurne logicamente le conseguenze.
11
Questo procedimento intellettuale spiega l'attribuzione a Socrate, da parte aristotelica, della scoperta del
concetto e dell'induzione.
7
a cura del prof. Vinicio D’Intino – per contatti [email protected]
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di un determinato concetto. Definizione che, tuttavia, non ha mai la pretesa di essere definitiva e
non più rivedibile.
VIRTÙ = POLITICITÀ = FILOSOFIA
↓
DEMOCRAZIA RESPONSABILE
8) Come abbiamo detto, accantonata la ricerca naturalistica, l'ambito privilegiato di questo procedimento intellettuale è il discorso etico-politico e, perciò, il suo senso fondamentale sta nella ricerca del bene comune: di conseguenza, poiché è in ciò che consiste l'autentica vita virtuosa, è possibile altresì affermare che quest'ultima faccia tutt'uno con la pratica filosofica, consistente nel non
accontentarsi di alcuna conoscenza irriflessa e nel rispetto delle precondizioni del processo di ricerca che ne deriva12: essa, infatti, non avviene nel vuoto, ma è condotta da uomini e tra gli uomini,
in un confronto reciproco che s'inquadra in quella "dialettica sociale" che la vita della polis, di cui
Socrate è stato un esponente esemplare, ha portato alla massima esaltazione; da ciò l'importanza da
lui sempre attribuita, come molti sofisti, al rispetto delle leggi, necessario presupposto della convivenza umana, che lo portò prima ad opporsi (invano) alla condanna sommaria che si voleva infliggere ai "generali vincitori della battaglia navale delle Arginuse13, accusati di non avere cercato
di salvare i soldati rimasti in mare"14, poi all'esecuzione dell'arresto del democratico Leonte, arbitrariamente ordinatogli dal capo dei Trenta tiranni, il suo vecchio amico Crizia, e infine a non reagire alla propria condanna a morte con la fuga, da lui considerata, in quanto violazione del giudizio
legalmente espresso dagli ateniesi, come una rottura dell'essenziale rapporto di cittadinanza; atteggiamenti che si pongono come decisa alternativa alla riduzione sofistica della politica ad "insensato" rapporto di forza.
9) Da tutto questo deriva che, come la reale autonomia intellettuale consiste non nell'abbandono
ai propri pregiudizi ma nel loro sradicamento e nella vigilanza nei confronti del proprio pensiero,
così l'autentica libertà sta non nell'abbandono ai propri istinti, ma nell'autodominio che consente
di decidere il comportamento più conforme al proprio essere15 e, perciò, di raggiungere effettivamente la felicità; ed è anche per questo che Socrate (il cui inverso è evidentemente il Callicle platonico) afferma che è preferibile subire l'ingiustizia che commetterla, appunto perché quest'ultimo
comportamento allontana l'uomo da sé stesso – ed il sé dell'uomo è, in questo senso, la sua anima,
cioè la sua coscienza e il suo sapere, molto più che il suo corpo, che di quella è – e dovrebbe essere
– soltanto strumento.
10) Fra autonomia intellettuale e libertà morale il legame è d'altronde profondissimo, e genera il cosiddetto "paradosso socratico", consistente nella persuasione ("intellettualismo etico") che la consapevolezza di tutto questo comporta automaticamente una vita virtuosa: e in effetti la conoscenza
del bene, in senso socratico, proprio perché non coincidente con il possesso di una serie di verità ma
con la pratica intellettuale della ricerca dialogica, funzionale al perseguimento politico del bene comune, è per definizione un agire virtuoso; laddove la "cattiveria" starebbe nell'ignoranza, ovvero nel
rifiuto del suddetto atteggiamento.
12
È importante notare che, in ambedue le accezioni la virtù è insegnabile: da ciò l'essenziale funzione pedagogica e politica (in senso ampio) del discorso socratico che, vista alla luce delle sue affermazioni sulla divinità – uno sviluppo creativo ed "illuministico" del pensiero del suo maestro Anassagora, in base al quale essa
viene concepita come il fondamento dell'ordine razionale del mondo, da onorarsi razionalmente agendo – acquisirebbe un senso "religioso" (di apertura al sacro, all'intangibile, alla precondizione dell'umano).
13
Uno degli episodi della guerra del Peloponneso, che aveva visto la feroce contrapposizione tra Sparta ed
Atene.
14
Cioffi-Luppi-Vigorelli-Zanette, op. cit.
15
"Socrate contrapponeva i valori riconosciuti e condivisi dalla tradizione della città – ricchezza, fama, potere – a una nuova polarità, che veniva ora distaccandosi da quei valori: l'interiorità dell'anima, il 'vero io' che
non coincideva più con il soggetto 'esterno', socialmente riconoscibile" (Vegetti, op. cit.).
a cura del prof. Vinicio D’Intino – per contatti [email protected]
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