Dalla lessicologia alla lessicografia

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Linguistica generale, 2e Giovanni Gobber, Moreno Morani Copyright © 2014 –McGraw‐Hill Education (Italy) Risposte alle domande del Capitolo 5 5.1. Di che cosa si occupa la lessicologia? Come si distingue dalla lessicografia? La lessicologia è un ambito delle scienze linguistiche nel quale si collocano sia le ricerche sul lessico e sulla sua organizzazione (prospettiva sincronica) sia le indagini sulla sua ristrutturazione in prospettiva diacronica. Alla lessicografia è affidato il compito di elaborare le tecniche per la raccolta, l’organizzazione e la descrizione del patrimonio lessicale di una lingua. Per mezzo di queste tecniche si redigono dizionari di vario tipo. La lessicografia non si limita peraltro ad elaborare tecniche per redigere dizionari di vario tipo, ma si pone anche il compito di “spiegare”, cioè dare un fondamento scientifico alle metodologie di analisi impiegate.. 5.2. Esiste la sinonimia completa? Si trova assai raramente, soprattutto nei linguaggi specialistici, là dove si incontrino più termini per un medesimo denotato (procuratore e pubblico ministero). Nelle lingue, tendenzialmente, la sinonimia si configura come una somiglianza parziale, cioè limitata a parte del potenziale semantico di due o più lessemi. Per esempio, valuta, moneta e divisa condividono gran parte del senso “mezzo di pagamento garantito da uno Stato e riferito a una data unità di misura e valore”. La sinonimia è limitata anche dall’ambito d’uso e dal registro della conversazione. Vediamo alcuni esempi: mal di capo e mal di testa sono sinonimi, ma la prima espressione non è in uso nell’italiano settentrionale, che preferisce la seconda; nel linguaggio giornalistico, giudice è spesso usato come sinonimo di pubblico ministero e sostituto procuratore (cfr. i giudici di “Mani Pulite”, che svolgevano le funzioni di p.m.): tale equivalenza non si riscontra nel linguaggio giuridico. L’uso comune adotta volentieri le forme abbreviate dei tecnicismi, rese note dal linguaggio giornalistico: p.es. gip (giudice delle indagini preliminari), p.m. (sopra citato), anche nella forma piemme; vi sono poi le srl, le spa ecc. Non di rado, il parlante non esperto conosce la sigla, ma non la dizione per esteso: pmi vale piccola e media impresa, ma le due formulazioni non sono a sempre sinonime, perché una è più diffusa dell’altra! La sinonimia non è stabilita da un sistema linguistico, che impone ai parlanti relazioni prestabilite fra i propri elementi; piuttosto, essa è frutto della consapevolezza (competenza) linguistica dei parlanti. Per questo, si è parlato, in generale, di limitazioni dovute all’ambito d’uso. 5.3. Perché è improprio considerare due lessemi sinonimi fra loro? Perché la sinonimia non riguarda tutto il potenziale semantico dei lessemi, bensì concerne loro specifiche valenze (usi, sensi). Per esempio, divisa è sinonimo di valuta, ma solo per un senso e non per altri: la divisa degli alpini non è la moneta o la valuta degli alpini! 5.4. Qual è il rapporto fra un iperonimo e i suoi iponimi? Quando due lessemi sono co‐iponimi fra loro? Va anzitutto precisato che tali rapporti non riguardano lessemi, ma sensi manifestati da lessemi (detto in altre parole: non concerne tutto il potenziale semantico dei lessemi, bensì momenti, valenze di tale potenziale semantico). Un iperonimo è un elemento generico, comune ai suoi iponimi, che di esso costituiscono un’istanza specifica. Per esempio, se ci limitiamo alla Repubblica Italiana, parlamentare si può considerare l’iperonimo (il generico) di deputato e di senatore. Come non si dà un carattere generico senza gli specifici, così non si dà iperonimo senza iponimi. Altri esempi: siamese è iponimo in rapporto a gatto, ortaggio è iperonimo di pomodoro, crostata è iponimo di torta; salume è iperonimo di salame, salsiccia, mortadella, prosciutto (cfr. Dizionario Sabatini‐Coletti). Co‐iponimi sono gli elementi che hanno un iperonimo in comune: deputato e senatore sono co‐
iponimi, in quanto ricadono sotto l’iperonimo parlamentare. Altri esempi: soriano e siamese sono co‐iponimi, in forza dell’iperonimo gatto; conifera è l’iperonimo comune ad abete, cedro, larice, pino, che sono tra loro co‐iponimi. 5.5. Che cos’è un dizionario onomasiologico? Come si distingue da un dizionario semasiologico? È chiamato “onomasiologico” un dizionario che parte da un senso e si dirige al lemma o ai lemmi che lo esprimono (si va “dalla funzione alle forme”), mentre si dice “semasiologico” un dizionario che procede da un lemma e giunge al senso o ai sensi che il lemma esprime (si va “dalla forma alle funzioni”). Di solito, i dizionari onomasiologici sono specifici, cioè sono ristretti a un campo di analisi. Un esempio può essere costituito dai dizionari per immagini, che propongono una nomenclatura divisa per ambiti e loro ulteriori settori. Un’organizzazione in parte simile hanno i dizionari metodici, che raggruppano il lessico in famiglie di vocaboli omogenei per l’area semantica; di solito, il lemma è rappresentato da un iperonimo (p.es. rosa) che riconduce sotto di sé una serie di iponimi (p.es. canina, gallica, tea). In prospettiva onomasiologica operano pure i dizionari dei sinonimi, che sono opere di vario tipo: in alcuni si indicano parole che condividono un senso (p.es. ubriacone e beone); in altri, si considerano le differenze di senso di parole affini semanticamente (p.es. fiume, torrente, ruscello, rio, roggia, valle). Il contraltare è costituito dai dizionari degli antonimi, o contrari (p.es. prodigo e avaro). Non di rado, i due procedimenti sono amalgamati in un’opera, chiamata “dizionario dei sinonimi e dei contrari”. 5.6. Come appare la struttura fondamentale di una voce del dizionario? Eseguire opportune verifiche, considerando un vocabolo e confrontandone il trattamento in diversi dizionari dell’uso. Se consideriamo un dizionario monolingue dell’uso, come, per esempio, il Sabatini‐Coletti, individuiamo quattro componenti: l’entrata, l’informazione grammaticale, l’informazione semantica e le informazioni complementari. Prendiamo, per esempio, la voce pasqualina: pasqualina [pa‐squa‐lì‐na] s.f. Torta fatta per la ricorrenza pasquale; in partic., torta tipica della cucina ligure, a base di pasta sfoglia, ricotta, spinaci o bietole o carciofi, uova sode Anche in funzione di agg.: torta p. ETIM deriv. di pasquale con f. di ‐ino a. 1892 (Fonte: Il Sabatini‐Coletti, Dizionario della Lingua Italiana versione CD‐ROM, Rizzoli Larousse, Milano 2005) L’entrata è: pasqualina [pa‐squa‐lì‐na] L’informazione grammaticale si colloca nella prima riga ed è individuata grazie al colore (tendente al rosso) dei caratteri tipografici: s.f. L’informazione semantica offre una definizione del senso di pasqualina. Si impiega dapprima una definizione “aristotelica” (Torta fatta per la ricorrenza pasquale), seguita dalla citazione dell’esempio tipico (in partic., torta tipica…). Segue un’ulteriore elemento dell’informazione grammaticale, che riguarda un uso particolare, corredato di un esempio illustrativo (Anche in funzione di agg.: torta p.). Infine, si trovano le informazioni complementari, riguardanti l’etimologia. 5.7. Quali sono i tipi principali di definizione? Verificare l’uso delle definizioni nei dizionari dell’uso. Le definizioni precisano ciascuna un senso di una voce. Esse si articolano in un definiendum (la voce portata a lemma) e in un definiens, che ha il compito di rendere esplicito il senso, distinguendolo da eventuali altri. Vi sono diversi tipi di definizione, a seconda del diverso tipo di organizzazione del definiens: a. la definizione classica è articolata in due momenti: il genus proximum e la differentia specifica. Il primo è rappresentato da un iperonimo, il secondo si manifesta in uno o più termini specifici, che caratterizzano il definiendum rispetto ad altri elementi che ricadono sotto lo stesso genus. Per esempio, torta può essere definito nel modo seguente: «dolce lievitato e cotto al forno in stampi perlopiù rotondi, preparato con farina, zucchero, uova e burro, farcito e guarnito in vario modo» (Sabatini‐Coletti). Dolce costituisce il genus proximum, il resto del definiens si può far rientrare nella differentia specifica. b. Un altro tipo di definizione si basa sulla sinonimia: nel definiens compare uno o più lessemi portatori di un senso condiviso dal definiendum. Per esempio, se cadere, «detto di cose», è definito come «precipitare, crollare». Un procedimento caratteristico nella prassi lessicografica d’epoca moderna è l’uso di un “trifoglio” di sinonimi. Il verbo crollarsi, voce dell’uso letterario, è definita come «scuotersi, agitarsi, dimenarsi» (Sabatini‐Coletti). c. Un terzo tipo si caratterizza per il ricorso agli antonimi: tale criterio si incontra soprattutto nella definizione di verbi che denotano un cambiamento di stato. Per esempio, uccidere vale «privare della vita una persona o un animale». 
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