Questi poggiavano su un sottopavimento di tegole inclinato verso la sorgente del calore in modo da permettere lo scolo dell’acqua di condensazione e da facilitare il tiraggio e la diffusione del calore verso l’alto. Sopra la scacchiera poggiava uno strato di malta cementizia idraulica, cio‡ il pavimento vero e proprio. Sempre allo scopo di mantenere il calore tra le suspensurae e il pavimento, potevano essere inserite delle lastre metalliche di piombo o di rame. Le intercapedini parietali furono ottenute costruendo la parete “esterna” con speciali mattoni quadrati, forniti, presso i quattro angoli, di distanziatori in forma di protuberanza. Nella prima met‚ del I secolo d.C., furono introdotte le “pareti tubolate”. Le intercapedini parietali erano in comunicazione con i vespai sottostanti i pavimenti, al fine di utilizzare in un unico circuito la medesima aria calda. Gli ipocausti e le concamerazioni particolari erano non di rado realizzati anche al di sotto e attorno alle vasche, per contribuire a mantenere elevata e costante la temperatura dell’acqua in loro contenuta. Rifornimento idrico L’approvvigionamento idrico delle grandi terme imperiali era assicurato dagli acquedotti: Agrippa aveva fatto costruire, per alimentare le sue terme, l’acquedotto dell’acqua vergine (Aqua Virgo). In seguito si provvide di volta in volta con la realizzazioni di apposite derivazioni di acquedotti gi‚ esistenti per servire anche altri usi. In tutti questi casi, l’acqua non arrivava direttamente all’edificio balneare, ma veniva prima raccolta in apposite cisterne, costruite in prossimit‚ o all’interno dello stabilimento. Poi dalle cisterne una complessa rete di tubazioni, di piombo o di terracotta, portava l’acqua nelle vasche per il bagno freddo e nella piscina natatoria, mentre l’acqua, che doveva essere riscaldata, veniva convogliata nel settore dei forni. “La novit‚” Il nome terme ‡ greco, ma la realt‚ che esso rappresenta ‡ specificatamente romana; per la prima volta si associˆ la palestra, dove i corpi acquistano elasticit‚, con i bagni, dove si detergono da ogni sudiciume. Fu questo uno dei piƒ bei regali che il regime imperiale abbia fatto, non solo all’arte, ma alla civilt‚ cui ha dato incremento. Con le terme il regime imperiale pose nella citt‚ di Roma e nei suoi vasti domini l’igiene all’ordine del giorno e alla portata delle masse, anche delle persone piƒ umili: dopo la meridiatio, ogni abitante, indipendentemente dal ceto sociale, si concedeva degli svaghi e dunque si recava nei balnea. I bagni privati Fin dai tempi antichi sembra che per i Romani la cura corporis non fosse un piacere quotidiano, perciˆ parlare di bagno inteso come locale deputato all’igiene personale e ai bisogni corporali ‡ fuori luogo. Per questi ultimi era sufficiente un vaso da notte (lasanum) di terraglia o di argento incastonato di pietre preziose, il massimo dell’ostentazione di lusso, come riferisce Marziale. Il contenuto spesso tranquillamente si versava in strada, senza nemmeno badare a chi finisse addosso. L’igiene personale quotidiana era limitata alle mani, alla bocca e agli occhi, come Ausonio riferisce in un’ode, rivolto allo schiavo: “da rore fontano abluam manus et os et lumina” (concedimi di lavarmi con liquido stillante di sorgente le mani, la bocca e gli occhi) operazione che lo stesso esegue dopo aver indossato le scarpe e il mantello. Ciˆ vuol dire che appena scesi dal letto i Romani erano gi‚ pronti a compiere le funzioni pubbliche. Il resto del corpo veniva lavato una volta ogni nundina, cio‡ ogni nove giorni in occasione del mercato che si teneva a Roma. Queste abluzioni si facevano in casa, talora in apposito locale, spesso buio, chiamato latrina (da lavatrina), che si trovava presso la cucina, per aver modo di portarvi acqua calda o fredda. Seneca appunto, per evidenziare la differenza tra il fasto dell’et‚ imperiale e la semplicit‚ dei costumi dei condottieri romani dell’et‚ repubblicana, narrando della villa rustica di Scipione l’Africano, descrive il bagno come un locale piccolo e buio. Come detergenti si usavano detersivi composti di soda e essenze odorose, mescolate con olio. Il bagno invece, da balneum (balineum) o balne™, preso dal greco balaneion, significˆ subito qualche cosa di piƒ ampio e decoroso della latrina, che passˆ a piƒ umile servigio. I resti di ville romane a Pompei, anteriori all’eruzione del 79 d.C., conservano, quasi tutte, una o piƒ camere da bagno e impianti d’acqua calda, con eleganti rivestimenti in marmo alle pareti e sui pavimenti. — conservata la contiguit‚ alla cucina, molto vantaggiosa per infinite ragioni. Il riscaldamento era ottenuto col focolare della cucina, oppure con speciale forno, per lo piƒ al livello piƒ basso del pavimento (hypocaustum o pr™furnium). I bagni pubblici A partire dal III secolo a.C. per chi non poteva sistemare nella propria casa gli ambienti adatti, sorsero stabilimenti pubblici, assai semplici da principio, con una rigorosa separazione dei sessi; ne avevano la vigilanza gli edili. Vi erano diversi tipi di questi stabilimenti. I bagni privati riservati, quindi non aperti al pubblico, erano case particolari con una o piƒ stanze per il bagno. Erano frequentati da una clientela ristretta e conosciuta che voleva evitare la confusione degli stabilimenti maggiori. Poi c’erano i bagni pubblici eserciti da un privato a scopo di lucro (balnea meritoria) e infine le terme pubbliche (balne™, therm™) costruite da ricchi cittadini e piƒ tardi dagli imperatori come dono alla citt‚. Gestione delle terme Quanto alla loro gestione, essendo impianti pubblici, erano dati in appalto ad un “conduttore” (conductor), che aveva il diritto di esigere dai frequentatori una piccola tassa d’ingresso (balneaticum); infatti Orazio e Marziale parlano entrambi di un “quadrante” (quadrans) ossia una moneta di bronzo del valore piƒ basso. Inoltre i ragazzi erano dispensati dal pagamento. Questa tassa veniva ri- scossa dall’amministratore (balneator) o da uno schiavo di fiducia come il capsarius e l’arcarius, ai quali era affidata la sorveglianza della cassa e di tutto ciˆ che veniva lasciato in deposito. In aggiunta al costo dell’ingresso, venivano pagate altre somme per la custodia dei vestiti, per i massaggi, per i bagni speciali, per gli oli profumati. Apparecchio per riscaldare l ’acqua (calidarium ) Frequenti dovevano essere i casi di ingresso gratuito, sia che fossero occasionali sia che fossero statali, come per le terme di Agrippa: questi nel 33 a.C. era edile e perciˆ aveva l’obbligo di sorvegliare i bagni pubblici, di controllare il riscaldamento, la pulizia e la direzione dell’amministrazione. Volle rendere celebre la sua magistratura con una splendida liberalit‚: assunse per sŠ il pagamento di tutte le entrate, cio‡ garant„, per l’anno della sua edilit‚, la gratuit‚ dei bagni pubblici dell’Urbe. Subito dopo fece costruire delle terme che conservarono il suo nome, nelle quali l’accesso doveva essere gratuito in perpetuo. Fu il principio di una rivoluzione. Il personale Al buon funzionamento degli impianti provvedevano degli specialisti che, quando si occupavano dei forni e degli impianti di riscaldamento, prendevano il nome di fornacari. Essi facevano parte di un numeroso personale che nelle terme era preposto a tutti i servizi. Tra gli “specialisti” di ogni genere si possono ricordare i custodi degli abiti dei clienti (capsarii), i massaggiatori (tractatores), gli addetti alle frizioni e alle unzioni (unctores, unguentarii), i depilatori (alipii), gli allenatori e i maestri di ginnastica (exercitatores) ………… Tintinnabulum, strumento per segnalare l’apertura e la chiusura delle terme Orari Da un verso di Giovenale risulta che le terme erano frequentate dal pubblico a cominciare dall’ora quinta antimeridiana. D’altra parte la Storia Augusta riferisce, nella Vita di Adriano, che prima dell’ora ottava po-tevano bagnarsi nelle terme pubbliche solo i malati, mentre nella Vita di Alessandro Severo si ricorda che nel secolo precedente tale autorizzazione non era concessa prima dell’ora nona. Gli stabilimenti termali venivano aperti nella tarda mattinata, tra l’ottava e la nona ora, a seconda che fosse inverno o estate e cio‡ tra le 12:30 e le 14:30: una campanella (tintinnabulum) dava il segno dell’apertura e della chiusura. I piƒ preferivano le 16:00 come ora migliore per fare il bagno, come afferma Marziale, altri invece, come l’imperatore Adriano, la sera. Le grandi terme imperiali restavano aperte di norma fino al tramonto, ora undecima d’inverno e l’ora dodicesima d’estate, cio‡ fino alle ore 17:00 - 18:00. Poi tutti ritornavano a casa per il pasto principale, compresi quei negozianti o esercenti di osterie che non avevano potuto concedersi la sosta termale. Clientela Le grandi terme erano il maggior centro di vita mondana, dove potevano accedere tutti, uomini e donne , di ogni et‚ e condizione, soprattutto per incontrare amici, per ricevere “clienti”, per svolgervi gran parte delle attivit‚. Col tempo la frequentazione delle terme divenne un’esigenza quotidiana, poichŠ ci si dedicava per lunghe ore non solo alla cura del “corpo”, ma anche a quella dello ”spirito”. Le terme divennero cos„ il luogo preferito dei Romani; infatti, ad eccezione del circo e dell’anfiteatro, non esisteva un altro luogo capace di polarizzare l’interesse di ogni genere di persone, dotate com’erano, oltre che di palestre, anche di portici e di giardini con fontane e ninfei, di spazi attrezzati per giochi e spettacoli, di auditori, di sale d’esposizione, di ambienti di soggiorno e di riposo, di pubbliche letture e di declamazioni poetiche, nonchŠ di “spacci” e rivendite di cibi e bevande. Questo grazie soprattutto agli imperatori, che resero gli stabilimenti riccamente adornati e arredati, aperti gratuitamente alle masse, come vere e proprie “ville del popolo”. Sarebbe perˆ errato pensare che i ceti elevati le snobbassero, dal momento che nelle loro case disponevano di bagni di ogni tipo, nonchŠ di cure fisiche adeguate. Le terme offrivano soprattutto l’occasione per ricercare raccomandazioni e appoggi politici, commentare i fatti del giorno e spettegolare, scommettere alle corse dei carri e ai duelli dei gladiatori, sollecitare il pagamento ad un debitore o addirittura collocare una partita di merce. Di qui il rischio di imbattersi in individui che tramavano intrighi e traffici illeciti come furti, raggiri, ricatti ecc. Comunque costituivano l’unico momento di aggregazione e di contatto diretto dei diversi strati socia Frequentazione delle donne Schemi distributivi delle terme separate per i due sessi. A, uomini; B, donne. A onor del vero bisogna notare che la promiscuit‚ era generalmente ammessa nelle terme delle grandi citt‚, a differenza dei piccoli centri in cui le donne, quando non esisteva una sezione a loro riservata, avevano normalmente un turno di frequenza, distinto da quello degli uomini. Di solito era al mattino, cio‡ prima dell’apertura vera e propria, all’ora sesta, ore 12:00, fino all’ottava, ore 14:00. La separazione dei sessi fu introdotta quando i Cristiani acquisirono tanto potere da imporre questa regola. Col tempo poi, in assenza di proibizioni esplicite e con la progressiva emancipazione femminile, la separazione fin„ con l’andare in disuso, fino a che gli scandali non costrinsero le autorit‚ ad intervenire. Adriano tra il 117 e il 138 emise il decreto, menzionato dalla Storia Augusta, in base al quale separˆ i bagni secondo i sessi: “lavacra pro sexibus separavit”. Ma il provvedimento di Adriano non dovette essere rispettato a lungo, visto che, appena un decennio dopo, Marco Aurelio ne emanˆ un altro uguale e nel 320 la chiesa fin„ col proibire alle donne la frequentazione delle terme. Le donne che non gradivano la promiscuit‚ erano libere di non frequentare le terme e di andare nelle balneae previste per il loro uso esclusivo. Cos„ il bagno delle donne divenne piƒ semplice di quello degli uomini; nella sezione femminile non vi era la palestra, segno che la ginnastica delle donne era molto ridotta. Make up Le donne comunque al mattino, pur prevedendo di recarsi il pomeriggio alle terme, facevano la toeletta. Come lo stesso Ovidio ci racconta, le donne, di tutte le classi sociali, per profumare il corpo e per evitare la rovina e l’invecchiamento della pelle facevano ricorso ad unguenti, pomate ed essenze, che venivano sparse un po’ dappertutto: dalle narici ai capelli, dai piedi alle vesti. Applicatori e bacchette per mescolare, contenitori di profumi e un pettine con il nome della proprietaria: Modestina. Particolare importanza aveva l’acconciatura con le piƒ svariate pettinature: da quelle semplici e sobrie a quelle ricciolute, per non parlare dell’elaboratissima “pettinatura alla Ottavia” cio‡ del cosiddetto ricciolo libero. Per chi avesse invece voluto rivaleggiare con la stessa Venere, esistevano delle vere e proprie tinture fra le quali le predilette erano rosse, nere e bionde. La maggiore cura si riservava al viso. Erano adoperati detergenti (incenso e fave), sbiancanti (cumino e melone selvatico), astringenti (papavero), emollienti (bulbi di narciso),burro per l’acne, placenta di mucca ed escrementi di uccelli per le macchie sul viso. Una volta praticata la pulizia del viso si procedeva al trucco vero e proprio: il fondotinta non mancava mai ed era, il piƒ delle volte, costituito da un velo di cerussa o di biacca mischiate con miele e sostanze grasse (tonalit‚ piƒ chiare e rosee erano ottenute con l’aggiunta di colorante al composto); la polvere di ematite rendeva la pelle splendente, mentre invece quella di antimonio era utilizzata per allungare i sopraccigli e per delineare le ciglia. A questo punto il trucco era quasi al termine: mancava solamente il fard romano costituito da terra rossa, sulino e coloranti, che rendevano rosee le gote. Per dare risalto alle labbra le donne romane avevano a disposizione una intera gamma di colori, ma le preferenze andavano ad un rosso opaco (ottenuto dal cinabrio o dal minio). Per completare l’opera spesso si aggiungeva sul volto un neo che veniva posizionato secondo i significati dei messaggi che si volevano inviare. L’uso di tali sostanze era dannosissimo alla salute in generale e alla pelle in particolare, in quanto bloccavano la traspirazione e attraverso i pori andavano in circolo nel corpo. Gli oggetti per il make up erano tenuti gelosamente sotto chiave in un armadietto che custodiva innanzitutto l’immancabile specchio, con i contenitori per le creme, i profumi, i trucchi, le spatole, le pinzette, i pastelli e i pettini(una sorta di beauty case moderno). Comunque ogni donna, come pure tutti gli uomini, non rinunciava mai ad un trattamento di bellezza, che noi riteniamo dettato dalla moda attuale, gi‚ praticato invece nelle terme romane da un servo addetto esclusivamente a tale servizio: la depilazione. “Arte del bagno” Nacque un’autentica “arte del bagno”, fondata sugli stessi principi dell’odierna idroterapia, e che si traduceva nella brusca alternanza del caldo e del freddo dopo una abbondante sudorazione, per agire beneficamente sul ricambio e sulla circolazione, favorendo la disintossicazione e la riattivazione dell’organismo. Il principio regolatore del bagno era sempre lo stesso, e consisteva nel riscaldare il corpo in modo che i pori fossero aperti e il calore diffuso uniformemente, per poi temperarlo e restringerlo con un bagno freddissimo, al quale poteva seguire un altro bagno caldo, prima di un ultimo massaggio. Per richiamare il calore verso la superficie del corpo, alcuni si limitavano a fare un prolungato esercizio nella palestra, seguito da un primo massaggio e dopo nuotavano nella vasca (piscina natatoria), altri, dopo la ginnastica o dopo il bagno di sole (apricatio), facevano il bagno caldo nel calidarium o il bagno di sudore nella sudatio; poi, dopo una breve sosta nel tepidarium, passavano nel frigidarium, dove si refrigerava l’acqua mediante la neve. Atleta che si deterge con lo strigile L’alternativa poteva essere: tepidarium, calidarium, laconicum, pulizia del corpo e massaggi, nuotata nella piscina del frigidarium. Finito il bagno, si sottoponeva di nuovo il corpo al massaggio con olio e unguenti. Vi erano anche i bagni medicati e profumati. Molto richiesti erano i bagni in acque medicamentose. Esse furono usate largamente, fin da epoca remotissima; i loro poteri curativi furono attribuiti al favore di divinit‚ alle quali si offrivano doni votivi. L’efficacia medica dell’acqua poteva sperimentarsi sia bevendola sia bagnandovisi. La moda dell’acqua si diffuse grazie all’arrivo a Roma di medici greci che ne conoscevano l’impiego serio e razionale, ma il merito di aver elevato il bagno al rango di cura spetta al medico Asclepiade di Prusa in Bitinia, nel I sec. a. C. L’idroterapia assunse una funzione sociale con scopi curativi e igienici, con risultati positivi, quando si seguivano i consigli del medico e dell’igienista, utili per combattere molte malattie e mantenere il corpo armonico. Furono invece rimproverati gli abusi di coloro che prendevano uno dopo l’altro fino a sette, otto bagni, sottoponendosi ai vari passaggi rituali, alle estenuanti sudorazioni e alle brusche immersioni nell’acqua fredda. Questa pratica comportava gravi danni fisici e psichici; infatti erano frequenti le morti improvvise, causate dallo stress cui veniva sottoposto il sistema cardiovascolare. Nonostante gli avvertimenti dei medici, che informavano sui possibili rischi, un celebre detto sentenziava: balnea vina venus corrumpunt corpora nostra sed vitam faciunt (i bagni, il vino, e l’amore ci mandano alla malora ma fanno bella la vita). Ci furono comunque i fanatici dei bagni freddi chiamati psychrolut™: tra questi ricordiamo il filosofo Seneca che con l’avanzare dell’et‚ dovette adattarsi ad usare acqua sempre meno gelida. Mens sana in corpore sano Giovenale nella satira X, 356 afferma: “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”. I Romani cercarono di applicare alla lettera questo precetto, soprattutto lo misero in pratica i frequentatori delle palestre delle terme, in quanto era opinione diffusa che gli esercizi fisici propiziassero i benefici dei bagni. Come noi, anche i nostri antenati nutrivano una vera passione per la palla, di cui conoscevano diverse varianti di gioco. Trigon era una partita in cui tre giocatori, disposti agli angoli di uno spazio triangolare, lanciavano una palla con una mano e con l’altra afferravano quelle scagliate in rapida successione e a sorpresa dai compagni. La pallavolo ‡ rimasta quasi invariata: la mano fungeva da racchetta per ribattere la palla dell’avversario. L’harpastum era il rugby dei cives Romani, che dovevano impossessarsi della palla, riempita di sabbia (harpasta), nella mischia dei giocatori con spinte, corse e finte in mezzo a nuvole di polvere. C’era poi il gioco della palla al balzo e della palla al muro. Talvolta si usava un pallone pieno d’aria (follis) che i giocatori si scambiavano con una certa grazia. Un pallone molto grande, riempito di terra o farina, veniva utilizzato come il punching-ball, per far esercitare coloro che praticavano il pugilato. Frequenti erano i “duelli” combattuti con grandi spade contro… un palo. Si praticava la corsa come pure gli esercizi con i manubri, sport piƒ maschile che femminile, in quanto richiedeva un notevole sforzo fisico; piƒ adatta alle donne era anche la corsa dietro il cerchietto di metallo (trochus), che veniva diretto tramite un bastoncino biforcuto. Ultima ma non in importanza, poichŠ era una pratica anche femminile, la lotta: essa si svolgeva nellepalestre dell’edificio centrale, accanto agli oleoteria e conisteria. Qui gli atleti venivano sottoposti all’unzione della pelle, su cui veniva spalmato il ceroma, un unguento composto di olio e cera, per ammorbidirla, e cosparsi di polvere o sabbia finissima per consentire la presa dell’avversario. Per eliminare l’unto si usavano speciali oggetti metallici, denominati strigili, simili a cucchiai stretti, incavati e curvati, che venivano passati sul corpo per asportare insieme all’unto anche la sabbia. Ma tutti questi esercizi, praticati da un elevato numero di persone, produceva un baccano assordante e insopportabile, al punto che Seneca nell’epistola 56, scritta all’amico Lucilio probabilmente da Baia, localit‚ di villeggiatura molto frequentata dai vip Romani del I sec.d.C., ‡ molto indispettito perchŠ addirittura abita sopra un bagno pubblico. Da questa “postazione privilegiata” il povero Seneca riesce a sentire distintamente tutti i suoni prodotti nel bagno sottostante: dai respiri affannosi di coloro che si esercitano al frastuono dei giocatori di palla, dal rumoroso massaggio eseguito sui pigri all’urlo dei clienti dell’alipilus (depilatore). Eppure proprio Seneca nell’epistola 15 suggeriva quali esercizi praticare per sciogliere le membra: corsa, sollevamento di pesi, salto in alto, salto in lungo Mosaico di Piazza Armerina: gioco della palla Fasi.,,operative Le operazioni da eseguire alle terme per ottimizzare il bagno, secondo il medico Galeno, erano quattro: 1 - Sudorazione intensa, provocata sia dagli esercizi ginnici sia dalla permanenza in locali surriscaldati; 2 - Bagno caldo; 3 - Bagno freddo; 4 - Massaggi con oli e unguenti profumati. In genere ognuno portava l’occorrente da casa, compresi gli schiavi esperti nelle varie operazioni; altrimenti si sarebbe dovuto ricorrere ai servigi del personale delle terme alquanto costosi. Erano necessari degli asciugatoi di lino e di lana (lintea, sabana), la soda (aphonistrum, sapo) usata in luogo del sapone o del bagnoschiuma ancora inesistenti, le ampolle con gli oli e gli unguenti, e lo strigile, l’indispensabile paletta metallica per liberare la pelle dal ceroma e dalla sabbia, usati negli esercizi del corpo a corpo. Soprattutto l’uso dello strigile richiedeva l’aiuto di qualcuno, per cui, in mancanza di servi e di soldi, i bagnanti si frizionavano a vicenda. Molto gradevole era il massaggio conclusivo, praticato da abili massaggiatori ai cui palpeggiamenti si abbandonavano volentieri anche le donne, come ci informa scandalizzato Giovenale nella satira sesta. L’abbigliamento I clienti delle terme all’ingresso si liberavano di quasi tutti gli indumenti, affidandoli in custodia ai capsarii, conservando per gli esercizi ginnici o una tunica corta o una fascia di tessuto annodata ai fianchi (subligaculum) o un perizoma di pelle o di stoffa ruvida. I lottatori si denudavano completamente per essere liberi nei movimenti. Le donne indossavano la fascia subligaris o mammillare, per coprire il seno, e il subligar, uno slip piuttosto scosciato, sia per fare sport che per immergersi in piscina, dove invece gli uomini si bagnavano del tutto nudi. Sopra, ampolla per l ’olio e strigile (ferro per detergere il corpo). A destra, statua di Venere con un bikini dorato Anche per questo motivo Adriano dovette separare i bagni secondo i sessi, dal momento che le donne, pur di non rinunciare al piacere del bagno, preferivano compromettere la propria reputazione. ****** La fortuna delle terme A sinistra, le Terme di Caracalla. A destra,la sala d’attesa principale della Pennsylvania Station, New York Tutte le grandi terme continuarono ad essere utilizzate fin quasi alla fine del mondo antico. L’inizio dell’abbandono si ebbe soltanto nel V sec. quando, nell’anno 537, i Goti di Vitige assediarono Roma e tagliarono gli acquedotti che rifornivano la citt‚. I grandi edifici, non piƒ utilizzati, divennero talvolta cimiteri, ma la riutilizzazione piƒ comune fu quella connessa coi centri di ricovero per i pellegrini, forestieri e ammalati nell’ Alto Medioevo. Gli schemi e le soluzioni tecniche dell’architettura termale erano stati applicati e trasferiti ad altri tipi di edifici. Mentre a partire dal XII sec. ai proprietari dei suoli, su cui si ergevano i ruderi delle terme, viene dato il permesso per recuperare e vendere il materiale edilizio, solo nel XV sec. si cominciano ad apprezzare i ritrovamenti di opere d’arte. Poi, con il Rinascimento, si risveglia l’interesse per gli stessi monumenti e da parte dei piƒ grandi architetti, da Bramante a Raffaello, da Michelangelo a Sangallo, ci sono pervenuti appunti, descrizioni e disegni, planimetrici e prospettici. Naturalmente la suggestione e i modelli delle grandi terme imperiali si diffusero e divennero operanti anche fuori Roma, come testimonia la stazione ferroviaria di New York, la Pennsylvania Station, copia perfetta delle terme di Caracalla. Pianta del complesso delle Terme di Caracalla. Trascrizione integrale del lavoro svolto dal liceo di Formia , reperibile al sito : http://www.liceoformia.it/Sito_Vitruvio/pagine/terme.html Archeologia e Calcolatori 20, 2009, 373-396 Trascritto da : http://digidownload.libero.it/biasol/lombardo.pdf Baia : le terme sommerse a punta dell’Epitaffio . ipotesi di ricostruzione volumetrica e creazione di un modello digitale Introduzione Quando, ventiquattro anni fa, iniziammo il rilievo dei ruderi sommersi presso Punta dell’Epitaffio a Baia elaborammo un disegno in scala 1:250 di quei resti murari nei quali fu possibile riconoscere un complesso ter-male. Un accurato esame delle murature superstiti e di interventi, quali ristrutturazioni, ripavimentazioni e tompagnature, ci permise di rico-struire anche le principali fasi di vita di quegli edifici.In questa sede in-tendiamo andare oltre nell’analisi del primo rilievo per tentare di rico-struire la volumetria delle terme sommerse a Punta dell’Epitaffio, ovvero analizzeremo gli aspetti peculiari di taluni ambienti e, di volta in volta, ne proporremo un’ipotesi di ricostruzione tridimensionale. Ovviamente nes-sun risultato definitivo puˆ scaturire da dati parziali come quelli che e-mergono da un’indagine dei soli resti murari ancora visibili (il rilievo su-bacqueo ‡ stato condotto unicamente sulle strutture che emergevano dal fondo sabbioso preventivamente liberato dal perenne “tappeto” di alghe). Tuttavia sentivamo impellente l’esigenza di non fermarci al solo rilievo; volevamo ridare dignit‚ di monumento a quelli che, da sempre, apparivano come anonimi ammassi di pietre o, dopo la loro pubblicazione, figure geometriche disegnate su un foglio. Abbiamo quindi intrapreso un cammino lunghissimo che ha richiesto l’acquisizione delle tecniche di modellazione tridimensionale e di tutte quelle metodiche, divenute ormai classiche, di texturing e rendering per giungere, infine, alla realizzazione di un modello tridimensionale con resa il piƒ possibile fotorealistica (Borra 2000, 259-272). Partendo da un accurato rilievo manuale delle dimensioni delle murature superstiti e delle rispettive altezze dai piani di calpestio sono stati creati due modelli: il primo mostra la situazione dei resti murari come si presentavano negli anni Ottanta al tempo del rilievo e quindi riproduce, in ambiente subacqueo i “ruderi” del quartiere termale e la strada che lo fiancheggia (Fig. 1).* Desidero ringraziare l’ing. Pompeo Vallario la cui pazienza e competenza sono state per me indispensabili per la creazione delle immagini di questa relazione. Un ringraziamento va anche al dott. Eduardo Scognamiglio con il quale ho condiviso lunghe ore in immersione e lunghissime serate a discutere sui molti misteri ancora insoluti di queste terme sommerse. Sono grato anche all’amico dott. Di Fraia a cui si deve la prima interpretazione di quei resti murari. Per le oggettive difficolt‚ di operare in ambito subacqueo e per l’impossibilit‚ di realizzare scavi sistematici che restituissero gli ambienti nella loro totalit‚, non sono state applicate texture tratte da foto scattate in situ, ma riprese da murature fotografate in ambito aereo, rispettando, ovviamente, il tipo di muratura e/o di rivestimento. Il secondo modello, partendo dalle informazioni del primo, propone una ricostruzione totale degli ambienti, aggiungendo le porzioni mancanti delle pareti e le coperture. In un secondo momento si sono create e aggiunte le decorazioni parietali e pavimentali e pochi, scelti, elementi d’arredo (porte, cancelli, transenne, panche), evitando una sovrabbondanza di elementi, soprattutto decorativi che, pur aumentando l’impatto visivo, avrebbero difettato di veridicit‚. Per quanto riguarda le immagini, ad esclusione della planimetria, si tratta di inediti. Queste immagini sono in realt‚ singoli fotogrammi estrapolati da una serie di animazioni realizzate intorno e all’interno di un modello digitale in 3D del quartiere sommerso di Punta dell’Epitaffio ricostruito, da chi scrive, in scala 1:1.Il lavoro di ricostruzione tridimensionale in digitale degli edifici sommersi nella rada di Baia ‡ stato iniziato, come si ‡ detto, circa venti anni or sono e in questa sede sono presentati, per la prima volta, i risultati di questa ricerca. 2. La pianta Anche ad un osservatore inesperto non sfugge il disegno poco omogeneo degli spazi: ad un nucleo, quello settentrionale (Tav. I, in giallo), con orientamento nord-sud, ben in asse anche con la breve rampa che dalla strada basolata consentiva la discesa alle terme, si affianca un blocco obliquo con orientamento nord-est/sud-ovest (Tav. I, in verde) e tra i due un terzo blocco costituito da due ambienti dalla forma irregolare e da un corridoio il cui pavimento ‡ impostato su muretti paralleli a mo’ di suspensurae (Tav. I, in rosso).Di Fraia ha chiarito i motivi salienti di questa disomogeneit‚ planimetrica (Di Fraia et al. 1985-86, 253-254); qui ci limiteremo a dire che si tratta di due nuclei chiaramente distinti per funzione e cronologia. L’ambulacro, che all’epoca del nostro rilievo ancora conservava in parte il suo tessellato bianco (Di Fraia et al. 1985-86, 227-230, Pagg. 9-10), limita ad ovest tutto il quartiere sommerso e corre parallelo alla strada che, in posizione piƒ elevata, fiancheggia le terme. tav. I – Le terme di Pnta dell’Epitaffio. Fig. 1 – Strada sommersa. I gradini di accesso alle terme, la piccola vasca rettangolare n. 17 e, al centro, il corridoio n. 6. Discesi i due gradini che dalla strada immettono alle terme (Di Fraia et al. 1985-86, 218-250; cfr. anche Lombardo 1993, 57, fig. 1), come doveva presentarsi questo spazio ai frequentatori di III secolo che lo percorrevano da nord verso sud ? Purtroppo il pessimo stato di conservazione di quest’area, invasa da crolli di ogni genere e ricoperta da un compatto strato di pietrisco e di alghe, fornisce scarsissimi elementi documentari. Analizziamo comunque i resti sommersi della parte orientale. Sul lato sinistro, ad angolo con la corte d’ingresso (Tav. I, n. 2), un piccolo vano cie-co (m 1,63š2,10), il cui elevato si conserva per non piƒ di due filari laterizi, potrebbe far pensare ad un bacino di fontana o ad un castellum aquae (Tav. I, n. 17).Subito oltre, verso sud, si riconosce un ambiente rettango-lare interpretato come natatio (Di Fraia et al. 1985-86, 246-248, figg. 18-19; Lombardo 1993, 61, fig. 8). Per accedere a questo vano si realizzˆ il corridoio rialzato su muretti paralleli che si rinviene subito a sud e che corre in direzione ovest-est (Tav. I, in rosso). — probabile che su questo lato (ovest) la natatio fosse priva di aperture cos„ da assicurare ai bagnanti anche una certa privacy rispetto a quanti transitavano nell’adiacente cor-ridoio (n. 6). Quindi in questo primo tratto la parete orientale dell’ambulacro n. 6 presumibilmente doveva apparire lineare e continua, forse movimentata appena da una decorazione di lesene e lastre di marmo (in piƒ punti nelle pareti si sono notati i fori per le grappe metalliche atte a fermare le lastre del rivestimento in marmo). Continuando verso sud, si ‡ in corrispondenza del piccolo vano cieco di forma triangolare e della vasca minore del frigidario (n. 13) ricavata per intero nello spessore del muro; pertanto anche questo tratto difficilmente poteva prevedere delle aperture. Troviamo una seconda apertura solo all’estremit‚ meridionale di questo lungo tratto rettilineo, nel punto in cui si rinviene l’ingresso ingresso (Tav I,sui lati dei due basoli rettangolari; cfr. anche Fig. 1). principale alla parte propriamente termale; qui la parete piegava ad “elle” verso sud-ovest e il corridoio che stiamo seguendo raggiungeva la zona antistante il ninfeo di Claudio. Percorriamo adesso la facciata ovest, ossia il muro che materialmente separava le terme dalla strada. Pinneggiando da nord verso sud, e cio‡ dai gradini della strada soprelevata sino al punto in cui il corridoio svolta a sud-ovest, si resta colpiti dalla maestosit‚ dei crolli e degli smottamenti dei basoli della strada che hanno invaso, scivolando via dalla sede originaria, una parte del corridoio (Fig. 1).Ciˆ nonostante, quando fu eseguito il rilievo della zona ancora si riconoscevano due tratti di cementizio rivestiti di opus reticulatum e latericium: i miseri resti del muro occidentale. Non ‡ difficile immaginare che anche questa parete doveva presentarsi rettilinea e uniforme per tutta la sua lunghezza con un’unica apertura in corri-spondenza dei gradini che davano accesso alle terme. Negli anni Ottanta due brevi ante in laterizio erano ancora in parte visibili ai lati di questo Fig. 2 – Corridoio n. 6. A destra le scale di accesso alle terme; a sinistra il bacino di fontana e la corte scoperta antistante le scale. Ci sembra che nulla ostacoli l’ipotesi che l’ambulacro n. 6 fosse dotato di una copertura, se non il fatto che uno spazio lungo 27 m e largo appena 2 poteva creare qualche problema di luminosit‚ se destinato ad essere coperto. Forse una serie di aperture era sul lato occidentale verso la strada; alcune finestre, poste in posizione elevata, impedivano ai curiosi di sbirciare all’interno e fornivano l’illuminazione di cui c’era bisogno. In realt‚, particolarmente per questo spazio adiacente alle scale, per i problemi di conservazione a cui si accennava in precedenza, la nostra ricostruzione non puˆ che essere parziale: in che modo l’eventuale volta dell’ambulacro si raccordava con l’area della corte (n. 2) ? Questo spazio era a sua volta coperto? Questi e per la verit‚ molti altri interrogativi restano per ora senza risposta (Fig. 2).Per il corridoio n. 6 abbiamo immaginato una copertura con volta a botte e solaio (un esempio di corridoio di servizio coperto con solaio in Broise 1987, 103-107, 111-113). 4. L’ambiente n. 9 L’ambiente misura m 3,28š5,94 e al momento del rilievo mostrava tre ingressi e i resti del pavimento in tessere bianche. Siamo nel cuore del nucleo termale, a ridosso della parte centrale del frigidario e dell’abside settentrionale del calidario n. 10. Un ambiente di dimensioni ridotte, dalla forma rettangolare allungata, nel quale possiamo riconoscere un apodyterium. Un tempo, forse, sulla parete settentrionale (oggi crollata e riversa al suo interno) ci potevano essere nicchie entro le quali i frequentatori depositavano le proprie vesti per poi avviarsi, attraverso l’ingresso posto ad est, nel tepidario n. 11 (Fig. 3). Fig. 3 – Interno dell’ambiente n. 9. Volta coperta a botte con due finestre sui lati brevi. Al centro l’ingresso orientale da cui si accedeva al tepidario.Per la nostra ricostruzione abbiamo immaginato le pareti di questo ambiente lisce e in parte ci siamo rifatti all’apodyterium del settore femminile delle Terme Stabiane a Pompei, che presentava pareti intona-cate di colore rosso e giallo con volta a botte e lunette di colore chiaro (Eschebach 1979). 5. Il tepidario n. 11 Siamo nella zona meglio conservata di queste terme sommerse, tanto che le altezze delle pareti variano da m 0,40 fino a m 1,35. Pinneggiando sul fondo, la lettura della pianta ‡ immediata: un bell’ambiente di forma rettangolare (misura m 5,30š7,33) con numerosi ingressi, due dei quali tompagnati. Il rilievo e lo studio dei livelli hanno chiarito che il piano di calpestio ‡ stato divelto; cos„ gli elementi in cotto visibili, ancora ben an-corati tra loro, sono quel che resta della sottopavimentazione. Due pia-strini laterizi, lungo le pareti orientale e occidentale, testimoniano che un tempo il pavimento doveva essere sorretto da simili elementi. Ai tempi del rilievo si conservava solo un piccolissimo tratto del piano originario, nell’angolo occidentale, nei pressi della soglia di accesso al frigidario; ma i resti di queste lastre di marmo erano talmente esigui che non possono aiutarci in una ricostruzione attendibile. Anche in questo ambiente ab-biamo immaginato delle nicchie per il deposito di effetti personali e qualche panca lungo le pareti. Con buona probabilit‚ il tepidario non prevedeva finestre, ma la luce poteva filtrare da aperture nelle lunette della volta che, nella nostra ricostruzione, ‡ stata ipotizzata essere a botte (Fig. 4). 6. Il calidario n. 10 Le sue possenti pareti, risultato di numerosi rimaneggiamenti, raggiun-gono lo spessore massimo di m 1,65 e l’altezza di m 1,60. Si presenta di forma rettangolare (misura m 8,88š5,86), con due absidi sui lati brevi. Gli ingressi, in numero di tre sui lati lunghi, ne completano la pianta. Il piano di calpestio ‡ completamente scomparso e in buona parte ricoperto di crolli; in taluni punti emerge la sottopavimentazione in bessales: gli unici elementi certi che hanno guidato la nostra ricostruzione. La parete nord ‡ leggermente absidata ed ‡ qui che abbiamo posto il labrum, in questa sorta di schola labri; la parete sud, invece, mostra una nicchia ret-tangolare nella quale facilmente poteva essere collocata una vasca per le abluzioni (alveus). Le pareti, immaginate prive di finestre per ovvi motivi pratici, nella nostra ricostruzione sono state rivestite di marmi policromi con una sobria decorazione di tipo generico. Lungo le pareti, anche in questo caso, ci ‡ sembrato opportuno disporre delle panchine in marmo. La volta ‡ stata immaginata del tipo a crociera (Fig. 5). 7. Il frigidario n. 13 Con i suoi m 17,50š8,50 ‡ l’ambiente piƒ grande di questo quartiere sommerso e ne rappresenta, anche visivamente, il centro. Il rilievo ha evidenziato numerosi rimaneggiamenti, che nel tempo ne hanno mutato notevolmente l’aspetto. Fig. 5 – Interno del calidario. Al centro, l’abside settentrionale che ospita il labrum. A destra l’ingresso al tepidario e sulla parete opposta la porta che immette nell’ambiente di transito n. 8. Si notano, infatti, due ingressi tompagnati nell’area occupata dalla grande vasca, una tompagnatura poi occultata da un muro con an-damento curvilineo e un riempimento assai eterogeneo nella parte mediana di forma quadrata; per motivi di simmetria, certamente anche sul lato meridionale venne aggiunto un elemento murario con andamento curvilineo di cui perˆ non resta alcuna traccia. Il fatto poi che si sono rinvenuti i due ingressi tompagnati nella porzione orientale puˆ significare solo una cosa: nel progetto originario questo spazio non doveva essere una vasca. Pur tuttavia il rilievo ha evidenziato un piano cementizio posto a m -1,75 (la misura va riferita alla strada sommersa assunta come quota zero), mentre la parte centrale del frigidario conserva la ruderatio a m -1,10 ca. e, a marcare verso ovest questo spaziovasca, nel 1984, era ancora possibile seguire la labile traccia di un muretto spesso, come quelli perimetrali, ca. 52 cm (Fig. 6). Una vasca, dunque, dal fondo absidato e delimitata da un muretto, similmente a molti esempi presenti a Ostia, a Villa Adriana e a Roma. Nella nostra ricostruzione, rifacendoci a questi esempi, abbiamo immaginato che l’ingresso alla vasca potesse anche prevedere delle colonne a sostenere una architrave con funzione puramente decorativa (Fig. 7) Fig. 6 – La scheda di immersione n. 24 redatta il 27/8/1984, che mostra la prima fase del rilievo della vasca del frigidario con le annotazioni relative. Si nota bene il muro di delimitazione della grande vasca (cortesia E. Scognamiglio). Purtroppo nulla resta degli antichi pavimenti. La nostra ricostruzione puˆ solo servire da spunto per immaginare la ricchezza di quelli originali. Tuttavia si ‡ cercato di disegnare un pavimento con piccole tarsie poli-crome che rispecchiassero il piƒ fedelmente possibile la forma, le dimen-sioni e la tipologia dei marmi rinvenuti durante la pulizia e il rilievo dell’ambiente. 3 Ad Ostia il frigidario delle Terme del Foro aveva 2 co-lonne all’ingresso (resta solo la traccia delle basi e delle lesene laterali). Due gradini formano la vasca profonda ca. m 1, lungo le pareti si notano ancora due nicchie e sul fondo l’abside con un’apertura nel centro forse una finestra. Anche il frigidario delle Piccole Terme a Villa Adriana ha una forma rettangolare allungata che termina con un’abside finestrata. A Roma il frigidario delle Terme degli Arvali ha una pianta del tutto si-mile al nostro, ma sdoppiata.Identico discorso vale per la decorazione parietale. Un solo elemento ‡ stato rinvenuto in situ e fedelmente ripor-tato nella nostra ricostruzione: si tratta di una spessa lastra di marmo grigio con venature bianche che, nel 1984, anco- ra si conservava nell’angolo occidentale della grande vasca. Per il resto si ‡ scelto di usare crustae marmoree a formare semplici disegni geometrici con specchiature policrome impiegando quegli stessi marmi, i cui frammenti furono rinvenuti sparsi al suolo nella pulizia dell’ambiente. Si tratta soprattutto di porfido rosso, “portasanta”, “serpentino” e rosso antico. In alternanza si ‡ scelto di usare marmo bianco venato e grigio venato, giallo antico e verde antico (un sondaggio eseguito nella vaschetta del frigidario restitu„ numerosi frammenti di questi e altri tipi di marmi). Nella nostra ipotesi di ricostruzione abbiamo immaginato il frigidario cos„ come poteva apparire intorno al III secolo d.C., quando un frequentatore, immerso nella grande vasca absidata, poteva vedere la parte mediana di questo edificio caratterizzata da due setti murari curvilinei che “guidavano” lo sguardo verso la piccola vasca ad ovest, creata nello spessore della parete di fondo. Gli antichi architetti escogitarono, dunque, un espediente prospettico per creare, all’interno di un perimetro convenzionale, un insospettabile “gioco volumetrico” (Fig. 7). Fig. 7 – Frigidario. Dalla grande vasca lo sguardo dei bagnanti era guidato verso la piccola vasca sul lato opposto. Nelle ore centrali della giornata il sole, penetrando dalle finestre del lato breve a sud-ovest, creava suggestivi giochi di luce Sul lato occidentale, opposta alla grande vasca e incassata nello spessore murario, si conservava, al tempo del rilievo, una piccola abside in opera reticolata rivestita di signino; gli scarsi resti di un muretto posto dinnanzi lasciavano intuire che in quel punto, in antico, dovette esserci una seconda vasca. Certamente, a giudicare dai fori presenti nell’opera reticolata, almeno fino ad una certa altezza, l’abside era rivestita di marmi, mentre la parte alta, forse, prevedeva stucchi e pitture policrome. Durante le fasi di pulizia, si rinvenne anche un frammento di intonaco rosso con strisce dorate (Fig. 8). In considerazione dei numerosi rimaneggiamenti e forse anche dei cambiamenti di funzione (cfr. supra), anche in questo caso per il tipo di copertura del frigidario si ‡ preferito proporre la soluzione piƒ semplice: una volta a botte dotata di finestroni sui lati brevi (nella nostra ricostruzione ci siamo limitati alle murature e a poche decorazioni, ma era uso comune dotare le finestre degli ambienti termali di vetri: Seneca, Epistulae morales, 90.25; Broise 1991, 61-78) (Fig. 9). Questa soluzione permette di risolvere senza troppi problemi statici e strutturali il raccordo tra la grande vasca e la parte mediana in corri-spondenza con l’ingresso all’ambiente n. 11. Osservando la pianta, infatti, si nota che in questo punto la larghezza del frigidario subisce un restrin-gimento. Se la parete settentrionale prosegue ben dritta dall’angolo nord-orientale della grande vasca sino all’angolo nord-occidentale oltre l’ingresso del calidario n. 14, la parete meridionale subisce un’interruzione subito ad ovest del muro di accesso alla grande vasca per proseguire poi in modo piƒ arretrato sino all’ingresso a sud della piccola vasca. Questo particolare comporta, inevitabilmente, un restringimento anche della copertura che, nel caso di una volta a botte, ‡ risolvibile con un tramezzo che raccorda, su questo lato, le due diverse ampiezze. 8. Il calidario n. 14 Quest’ambiente rettangolare absidato, rinvenuto a ridosso del frigidario con cui comunica tramite un ingresso sulla parete meridionale, non pre-senta la canonica forma dei calidaria dei bagni pubblici che prevedevano generalmente un aspetto piƒ allungato e un alveus. Anche la sua colloca-zione spaziale ‡ anomala essendo posto a nord del frigidario (generalmente i calidaria erano posizionati a sud-ovest: Vitruvio, De Architectura, 5.10.1); pur tuttavia durante il rilievo eseguito nel 1984 si rinvennero nell’angolo sud alcuni tubuli fittili ancora in situ, disposti verticalmente nella parete. Il piano di calpestio, al contrario, era completamente scom-parso e restava solo una minima traccia della sottopavimentazione lateri-zia. La parte mediana dell’abside era divelta e giaceva sulla ruderatio (un’immersione eseguita nel 2001 ha evidenziato tracce che farebbero pensare ad un ingresso poi tompagnato). La decorazione parietale e pavimentale di quest’ambiente ‡ dunque completamente e definitivamente scomparsa, ma le descrizioni di autori classici ed esempi ancora visibili a Ostia e a Pompei ci danno un’idea e ci hanno guidato nella nostra ricostruzione. Fig. 8 – Parte occidentale del frigidario. Sul fondo, a sinistra, l’ingresso all’ambiente n. 8; al centro la piccola vasca ricavata nello spessore della parete e i due tramezzi con anda-mento curvilineo; in primo piano le colonne che decoravano l’ingresso della grande vasca. Fig. 9 – Le tre fasi del lavoro di ricostruzione. 1: il modello ricavato dal rilievo (in primo piano i resti murari del frigidario); 2: ricostruzione volumetrica del frigidario (in spacca-to); 3: aggiunta delle decorazioni parietali e pavimentali.Inoltre, nelle fasi di pulizia e rilievo si rinvennero sparsi al suolo fram-menti di marmo rosso del Tenaro e “serpentino”; cos„ abbiamo immagi-nato una pavimentazione marmorea che contenesse soprattutto questi tipi di marmi. Per la decorazione parietale ci siamo fatti guidare dalle parole di Seneca (Epistulae, 86: Alexandrina marmora Numidicis crustis distincta sunt) e abbiamo rivestito le pareti con lastre di marmo a formare semplici specchiature con colori alternati giallo e nero. Ci ‡ sembrato opportuno inserire un sedile di marmo lungo le pareti (un bell’esempio ad Ostia, nelle Terme di Buticosus) e, rifacendoci agli insegnamenti di Vitruvio, abbiamo coperto quest’ambiente con una volta a botte rivestita di stucco con le tipiche strigilature che favorivano il deflusso del vapore verso le pareti (una copertura simile a quella delle Terme Stabiane di Pompei). Per quanto riguarda l’illuminazione, la soluzione piƒ adeguata ‡ sembrata una finestra al centro dell’abside. Per gli piƒ adeguata ‡ sem-brata una finestra zenitale al centro dell’abside. Per gli ambienti riscaldati queste aperture risultavano piƒ adatte rispetto a quelle poste a mezza altezza poichŠ favorivano in maniera piƒ efficace la ventilazione e la reg-lazione della temperatura. Oltretutto in tal modo si evitava che i bagnanti avvicinandosi al labrum lo oscurassero con le proprie ombre (Vitruvio, De Architectura, 5.10.5) (Fig. 10). 9. Il cortile (palestra?) n. 7 Posto all’estremo sud del nucleo propriamente termale, questo spazio, delimitato a sud-est e a sud-ovest da esili pareti in laterizio spesse appena cm 25-30, ha subito, molto piƒ dei vani ad esso adiacenti, i danni del tempo. Le pareti piƒ esterne, infatti, si conservano per un’altezza massima di soli cm 8 e sono state quasi del tutto ricoperte, cos„ come il piano di calpestio, da uno strato di fanghiglia e alghe che rese faticosissimi la pulizia e il rilievo. Unico elemento degno d’interesse e utile per la ricostruzione di questo spazio dalla forma quadrangolare irregolare ‡ la presenza, sul lato nord-orientale, di una soglia in marmo bianco, che nel 1984 ancora mo-strava un cardine bronzeo fissato con una colatura di piombo. Due basi rettangolari caratterizzano la parete nordovest che mostra tre ingressi (Fig. 11). Quale dovette essere la funzione di quest’ambiente, verosimilmente scoperto, posto all’estremo meridionale delle terme di Punta dell’Epitaffio ? Forse si tratta di uno spazio-cortile che fungeva da palestra e da raccordo tra quest’area termale e quella posta nelle immediate adiacenze del Ninfeo di Claudio.. Fig. 10 – Calidario. In alto si nota la volta con strigilature. La luce penetra dall’alto da una finestra azimutale. Al centro dell’ambiente si ˆ ipotizzata la presenza di un labrum di marmo e lungo le pareti di una panca in muratura rivestita di marmo. In fondo, a sinistra, l’accesso al frigidario. (Purtroppo non esiste alcuna documentazione fotografica di questo singolare oggetto, poi-chŠ il giorno successivo il suo rinvenimento risultava gi‚ scomparso. C’‡ da considerare che negli anni Ottanta l’area di Punta dell’Epitaffio con i suoi preziosi resti sommersi non era sottoposta a nessuna forma diretta di vincolo o tutela; anzi era frequentata da numero-sissimi subacquei che si dedicavano alla pesca di frutti di mare e alla raccolta indiscrimina-ta dei piƒ svariati tipi di souvenir) 10. Il cortile n. 3 Esaminiamo ora la parte settentrionale di questo quartiere sommerso. .Discese le scale di accesso alle terme, pinneggiando verso nord-est, ci si ritrova in un spazio di vaste proporzioni (m 24,60š7,50) di forma rettangolare. invaso da alcuni crolli e ricoperto da uno spesso tap-peto di matta di posidonia. Il rilievo subacqueo ha restituito il perimetro di uno spazio lineare, quasi elementare, ma nello stesso tempo elegante e raffinato. Solo in parte ‡ possibile seguire il lato settentrionale in caementicium privo di paramento; meglio conservato ‡ il lato lungo ad est fino all’innesto con la parete meridionale. Un sondaggio eseguito nell’angolo nord-est del cortile ha chiarito che solo in un secondo momento si costru„, parallelamente al muro perimetrale, un muretto che addossava le sue testate al rivestimento parietale in marmo della prima fase. Questo spazio tra i due muri, lungo m 24,60 e largo m 1, non presenta tracce di alcun riempimento nŠ indizi che facciano pensare ad un addossamento reso opportuno per problemi statici; anzi il fondo in caementicium appare lisciato. Riteniamo che questo lato del cortile, in una fase collocabile nella prima met‚ del II secolo d.C., vide l’aggiunta di un bacino di fontana, alto forse intorno al metro, rivestito di marmo e rifornito, mediante cascatelle, dall’acqua di una fistula inserita all’interno dello stesso muro perimetrale: un vero e proprio euripo (Fig. 12). Fig. 11 – Cortile-palestra. A destra l’ingresso sud-orientale dove, al mo-mento del rilievo, ancora si conservava un cardine bronzeo. A nord, ben illuminato, uno dei due ingressi al calidario. Al centro l’ambiente n. 8 con (da nord a sud) l’ingresso al frigidario, la porticina dell’ambiente tesselato n. 9 e un secondo ingresso al calidario. La parete di fondo a sud non presenta particolarit‚ se non nel grande spessore che in taluni punti arriva sino a m 1,20m,tale da giustificare l’ipotesi della presenza di nicchie atte, magari, ad ospitare delle statue. Seguendo un gusto che si riscontra in numerose ville impreziosite da de-corazioni egittizzanti, nel nostro caso non ‡ azzardato supporre che, trat-tandosi di Baia, la citt‚ degli eccessi, si pensˆ in grande, inserendo nelle nicchie del muro perimetrale esemplari originali, gi‚ all’epoca antichi e preziosi. Forse in una di queste era collocata quella statua di marmo nero di cui nel 1985 si rinvenne un frammento di gamba recante su due lati simboli di scrittura geroglifica (Di Fraia et al. 1985-86, 221, figg. 2-4; at-tualmente il reperto si trova esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, all’ingresso della Sezione egizia). Noi immaginiamo, sul lato orientale di questo cortile, una serie di nicchie che ospitavano cascatelle d’acqua che si riversavano nel sottostante euripo e,sul lato meridionale, statue di provenienza esotica. Un ele-gante espediente che in un certo senso “sfondava” il monotono an-damento rettilineo dei muri perimetrali e accompagnava lo sguardo dei frequentatori, i quali, entrando in questo cortile, scoprivano gra-dualmente, volgendo lo sguardo sempre piƒ verso destra,il disegno spic-catamente scenografico concepito dagli antichi architetti. Nella parte mediana del cortile, parallelamente all’euripo, dalla piatta distesa sabbiosa che ricopre il battuto cementizio emergono i resti dei fusti di quattro colonne tortili in basalto nero: quelle centrali mostrano le scanalature che si avvolgono in senso speculare (Lombardo 1993, 57, fig. 2), quelle piƒ e-sterne in un secondo momento furono rivestite di intonaco e trasformate in tozzi pilastri. Nell’intercolumnio esterno si rinvennero anche i resti di una transenna di marmo bianco (Di Fraia et al. 1985-86, 224, fig. 5 - altre transenne rinvenute nelle acque di Baia sono in Maniscalco 1997: per la nostra ricostruzione ci siamo ispirati all’esemplare n. 23, 50-52) (Fig. 13). Le colonne e i pilastri erano liberi o sostenevano una copertura? Se consideriamo il contesto, un cortile fiancheggiato da un euripo e vero-similmente decorato da cascatelle d’acqua, ‡ plausibile pensare che questa parte del quartiere era la zona dove si radunavano quanti cercavano un po’ di refrigerio. Pertanto abbiamo ipotizzato che la parte antistante l’accesso al podio fosse coperta da un solaio; si creava in tal modo una piccola passeggiata coperta:l’unico spazio, per quel che sappiamo, utilizzabile per questo scopo all’internodi questo quartiere termale. ƒ11. Il ninfeo emidecagonale triabsidato n. 4 Quattro elementi verticali fronteggiano perfettamente la facciata dell’edificio piƒ scenografico di tutto il quartiere sommerso: il ninfeo emidecagonale triabsidato su podio (Di Fraia et al. 1985-86, 225-227, figg. 6-7; 250-258; Lombardo 1993, 59, fig. 3). La presenza delle transenne poste negli intercolumni laterali fa capire quanto dovesse essere studiato tutto l’insieme del cortile e del ninfeo: i frequentatori erano obbligati, dalla presenza di questi ostacoli sistemati appositamente, a compiere un preciso percorso per raggiungere il ninfeo e solo sostando nello spazio dell’intercolumnio centrale si potevano rendere conto dell’articolata architettura del ninfeo (e della sua copertura).Dall’esterno, infatti, era impossibile sospettare che questo vano prevedesse nicchie disposte addirittura radialmente. Una sorpresa dunque attendeva i visitatori, i quali, discesi in questo cortile dalle canoniche forme rettilinee, inaspettatamente si trovavano “faccia a faccia” con un edificio dalla forma innovativa e ancor piƒ sorprendente perchŠ camuffato da linee esterne di tipo consueto. All’epoca dei nostri rilievi erano ancora ben leg-gibili il podio e le due rampe che ne consentivano l’accesso; nella nicchia meridionale erano perfettamente visibili una fila di tarsie policrome in marmo e i resti di una gettata che aveva ricoperto questo piano. Tuttavia un’immersione esplorativa effettuata nell’anno 2001 ha reso evidente il devastante trascorrere del tempo: non vi ‡ piƒ traccia di tarsie marmoree e tutto il podio appare eroso e mancante del suo piano in vari punti. I dati in nostro possesso non consentono di rispondere ad alcuni interrogativi su cosa conteneva il ninfeo e sulla presenza di vasche e di nicchie sulle pareti da cui sgorgava acqua, convogliata in canalette poste sul pavimento. Negli anni Ottanta il piano di calpestio del ninfeo si presentava abba-stanza ben conservato, ma bisogna considerare che sui resti del podio insistevano crolli, smottamenti e uno strato compatto di pietrame e alghe che, avviluppando tutta la parte settentrionale delle terme, rendeva particolarmente laboriosa la pulizia e il rilievo di quest’area. Nella nostra ricostruzione si ‡ scelto di lasciare vuoto questo enigmatico edificio, dotandolo solo di una decorazione parietale di genere, im-maginata come marmorea sino all’imposta della volta (Fig. 14) Un bell’esempio di euripo con annesso ninfeo si conserva ad Ostia nella Do-mus della Fortuna Annonaria. Nella casa di Loreio Tiburtino a Pompei, intorno ad una vasca lunga e stretta, sono disposte erme dionisiache, una sfinge e statuette varie. La Domus sul Decumano ad Ostia presenta un cortile rettangolare con il lato di fondo occupato interamente da uno stretto bacino di fontana; sul lato opposto vi ‡ un ambiente soprelevato il cui ingresso ‡ marcato da due colonne. Nella Domus della Fortuna Annonaria a Ostia si accede al ninfeo tramite due ingressi posti ai lati di due pi-lastrini. Il ninfeo presenta 4 nicchie alternativamente rettangolari e ab-sidate; su un lato vi ‡ un euripo e sul fondo dell’abside una nicchia .Sulla base di alcuni scatti fotografici eseguiti negli anni Ottanta, ormai unica e preziosa testimonianza dell’esistenza di quell’antico pavimento, si ‡ scelto di ricostruire il piano del podio del ninfeo con piccole tarsie marmoree, replicando dimensioni e applicando delle texture che riproducessero il piƒ fedelmente possibile i marmi che realmente si rinvennero al momento del rilievo subacqueo (Di Fraia et al. 1985-86, 225, figg. 6 e 7; Lombardo 1993, 55, fig. 3). Ovviamente,considerando il numero esiguo di tarsie che all’epoca ancora si trovavano in situ,il disegno originario ‡ destinato a rimanere ignoto; ci limitiamo in questa sede,ed ‡ opportuno ricordarlo, a fornire una semplice ricostruzione ipo-tetica. Identico discorso vale per il tentativo, arduo anch’esso, di ipotizzare il tipo di copertura di questo edificio. ‡ noto che con l’utilizzo del conglomerato cementizio gli antichi architetti riuscirono a svincolarsi dalle forme canoniche fino ad allora adottate e a cimentarsi in ardite sperimentazioni volumetriche e spaziali (per una sintesi Ward Perkins 1989, 59-104) e in tal ambito Baia fu terreno di continue innovazioni (a Baia compare la prima calotta emisferica dal diametro interno di ben 21 m a copertura del c.d. Tempio di Mercurio). Di Fraia a suo tempo ebbe modo di delineare l’ambito culturale” in cui si inserisce l’edificio sommerso di Baia e i suoi aspetti innovativi. Per la copertura del ninfeo, nella nostra ricostruzione ipotetica, ci siamo rifatti a quegli edifici, noti a Roma e a Ostia, che presentano forma poli-gonale e nicchie laterali coperte a botte. Pertanto non sembra inopportu-no, per il ninfeo baiano, una cupola a padiglioni che poteva ergersi dal piano di imposta delle coperture a botte delle nicchie laterali; ma certo nulla vieta di immaginarla simile alla copertura del c.d. Tempio di Venere a Baia o a quella del Canopo di Villa Adriana che mostrano padiglioni nella parte interna e una superficie liscia all’esterno (Fig. 15). 12. Le latrine Osservando la pianta delle terme sommerse a Punta dell’Epitaffio colpisce la forma ad “elle” di un vano posto a ridosso delle absidi settentrionale. Uno dei primi esempi ‡ la Domus Transitoria dove dal vano centrale coperto a cupola si aprivano quattro vani coperti a botte. La Domus Augustana presenta due aule ottagone coperte a padiglio-ne con i lati sfondati da nicchie. Cfr. anche Scurati-Manzoni 1991, 237-238 e 250-252. Tutti esempi con copertura che si imposta su un piano superiore rispetto a quella delle nicchie.e occidentale del ninfeo (Tav. I, l’ambiente tra i nn. 2 e 4). Si tratta di un ambiente dalla forma irregolare con due muretti paralleli che delimitano un corridoio la cui fine si puˆ solo intuire poichŠ in quest’area, piƒ che altrove,l’insabbiamento e l’effetto della risacca hanno completamente sconvolto la situazione origi-naria. Solo la particolare forma di questo vano, che sembra voler celare la sua parte piƒ interna allo sguardo di quanti transitano nella corte antistante le scale di accesso alle terme, ci induce a credere di poter riconoscere in esso le latrine di questo quartiere sommerso, per la cui ri-costruzione ci siamo rifatti a quelle ottimamente conservate a Ostia in prossimit‚ delle Terme del Foro. Tuttavia solo uno scavo sistematico riuscirebbe a chiarire l’esatta forma e, forse, la destinazione originaria dell’ambiente e dell’area limitrofa che in questa relazione presentiamo come una corte scoperta (Fig. 2).Abbiamo immaginato le latrine e il quasi simmetrico ambiente pentagonale n. 5 coperti con solai. Questa soluzione poteva consentire una buona illuminazione all’interno del ninfeo il quale, pur se aperto sul davanti, essendo orientato perfettamente ad est, godeva di un’ottima irradiazione diretta solo nelle prime ore della giornata; nelle ore pomeridiane la luce penetrava esclusivamente dalle finestre delle lunette della volta. Inoltre, una copertura piana avrebbe permesso anche un agevole movimento degli inservienti addetti alla manutenzione e alla regolazione dell’apertura delle finestre sulle volte degli ambienti termali. 13. I percorsi E' ben nota l’attenzione che i Romani prestavano ai flussi di persone per evitare intasamenti e calca nelle terme e nelle cerimonie; per non ritornare sui propri passi, si preferiva predisporre percorsi di tipo circolare che prevedevano partenza e arrivo separati (notissimo ‡ il passo del Satyricon 72, 10 in cui uno schiavo di Trimalcione rimprovera alcuni ospiti che cercano di uscire dalla stessa porta da cui erano entrati). Per quanto riguarda le terme sommerse a Punta dell’Epitaffio, riteniamo che gli antichi frequentatori potevano adottare questo tipo di percorso: discese le scale, coloro che intendevano dirigersi nel quartiere termale percorrevano per intero il corridoio n. 6, transitavano nell’ambiente n. 8 (che a nostro giudizio aveva solo una funzione di raccordo e smistamento: Fig. 11) deponevano gli abiti nell’apoditerio n. 9 (anch’esso conserva due aperture sul lato occidentale) ed entravano nel tepidario n. 11. A questo punto avevano due possibilit‚: per quanti non gradivano il caldo torrido del calidario, l’ingresso nord-occidentale del tepidario li dirottava immediatamente nella zona centrale del frigidario e in questo caso l’ingresso posto nell’angolo sud-occidentale del frigidario riconduceva poi velocemente allo spogliatoio n. 9. Gli altri, decisi a compiere il giro “canonico”, at-traverso la porta sud-occidentale del tepidario n. 11, potevano sostare nel calidario n. 10 e scegliere per l’uscita due possibilit‚: la porta nord-occidentale del calidario immetteva nell’ambiente n. 8 e quindi velocemente nell’apoditerio n. 9 per recuperare i propri effetti personali. Uscendo dalla porta sud-occidentale ci si ritrovava invece nel cortile-palestra n. 7. Tuttavia ‡ bene ricordare che non era vietato seguire percorsi alternativi a seconda dei gusti e delle abitudini personali. 14. Conclusioni Negli ultimi anni si assiste sempre piƒ spesso alla nascita di progetti di studio finalizzati alla realizzazione di prodotti multimediali a carattere scientifico e divulgativo che giustamente prevedono l’intervento di centri di ricerca statali e privati, di spon-sorizzazioni, di sofisticate workstation, di adeguati finanziamenti, di in-terventi di specialisti in molteplici discipline. In questo senso la nostra esperienza, iniziata a Baia ventiquattro anni fa, rappresenta certamente un unicum. Il campo di azione fu (per lo meno nella sua prima fase) un quartiere termale di epoca imperiale sommerso, per effetto del bradisismo flegreo, nelle acque di Baia presso Napoli e le “forze”scese in campo furono quelle di un gruppo di ar-cheologi che autofinanziarono tutte le fasi di questa pluriennale ri-cerca. I risultati di questa onerosa, faticosa, ma esaltante esperienza sono confluiti in una serie di pubblicazioni e hanno consentito la creazione (da parte del Ministero dell’Ambiente con il Ministero dei Beni Culturali e la Regione Campania) del Parco Sommerso di Baia (D.I. 7.08.2002). Inoltre, l’accuratezza di quel lavoro ha consentito oggi, con l’ausilio delle moderne tecnologie informatiche digitali, di poter tentare la ricostruzione volume-trica di queste antiche terme sommerse. Ovviamente, nel presentare queste ricostruzioni, chi scrive non ‡ privo di dubbi (che per ora restano insoluti) ed ‡ consapevole di qualche ine-sattezza dovuta al fatto che il rilievo ‡ stato eseguito unicamente sui resti murari emergenti dalla sabbia senza l’ausilio dello scavo arche-ologico. Riteniamo sia indispensabile avviare un progetto, adeguatamente strutturato, per una conoscenza il piƒ possibile esaustiva dell’immenso patrimonio archeologico sommerso nelle acque di Baia e dei Campi Flegrei e in questo senso la creazione di modelli digitali “multi livello” puˆ essere il mezzo migliore per renderlo di facile accesso a quanti, a vario titolo, ne fossero interessati e per conservare la memoria di preziose testimonianze che ineluttabilmente il passare del tempo tendono a scomparire per sempre. N. Lombardo ABSTRACT Twenty-four years ago in Baia, at the North end of the Bay of Naples, a group of archaeologists began a series of surveys. Their work made it possible to reconstruct the topographic structure of the ancient city and the creation of the “Parco sommerso di Baia”. This article shows, for the first time, the volumetric reconstruction of a thermal bath of the Imperial age. Starting from an accurate survey of surviving walls, two digital models have been created : the first one shows them in an underwater en-vironment, as they were in the 1984; the second model integrates the missing parts of the walls and roofs. In Campi Flegrei and Baia numerous villas, spas and roads are hidden underwater. Discovering and protecting this historical heritage is essential for the planning of research projects including digital multi-level models, in order to make this knowledge accessibile to everyone and to preserve its memory. BIBLIOGRAFIA Borra D. 2000, La modellazione virtuale per l’architettura antica. Un metodo verso l’isomorfismo percettivo, Archeologia e Calcolatori, 11, 259-272. Broise H. 1991, Vitrages et volets des fen‡tres thermales a l’‡poque imp‡riale, in Les thermes romains. Actes de la Table ronde (Rome 1988), Rome 1991, Ecole fran-caise de Rome. Broise H., Scheid J. 1987, Recherches archeologiques la Magliana. Le balneum des Freres Arvales, Rome, Ecole francaise de Rome - Soprintendenza Archeologica di Roma. Di Fraia G. 1993, Baia sommersa. Nuove evidenze topografiche e monumentali, ArcheologiaSubacquea. Studi, ricerche, documenti, 1, 21-48. Di Fraia G., Lombardo N., Scognamiglio E. 1985-86, Contributi alla topografica di Baia sommersa, - Puteoli. Studi di Storia Antica›, 9-10, 211-299. Eschebach H. 1979, Die Stabianer Thermen in Pompeji, Berlin, De Gruyter.Gnoli R. 1988, Marmora Romana, Roma, Edizioni dell’Elefante. Lombardo N. 1993, Le terme di Punta Epitaffio a Baia, Archeologia Subacquea. Studi,ricerche, documenti, 1, 55 ss. Maniscalco F. 1997, Ninfei ed edifici marittimi severiani del Palatium imperiale di Baia,Napoli, Massa.Salsa Prina Ricotti E. 1988, Villa Adriana. Un singolare solaio piano in opus caementicium,Palladio, 1, 1-12. Scognamiglio E. 1993, Il rilievo di Baia sommersa: note tecniche e osservazioni, ArcheologiaSubacquea. 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I cataloghi regionari della citt‚ di Roma enumerano 856 “balnea” (1).E, stando a quanto afferma Plinio il Giovane2, erano numerosi anche nelle piccole citt‚ di provincia. Le prime terme di cui abbiamo notizia si trovavano nelle citt‚ della Campania. A Capua esistevano bagni pubblici gi‚ dalla fine del III secolo a.C.3, a Teano, all’epoca dei Gracchi, esistevano bagni per uomini e donne, e anche le Terme Stabiane e quelle del foro di Pompei risalgono all’epoca repubblicana4. Le terme piƒ grandiose e piƒ imponenti sono perˆ quelle d’et‚ imperiale. “La tecnologia del riscaldamento, della ventilazione e della climatizzazione, nonchŠ dell’approvvigionamento e dello smaltimento delle acque, nelle grandi terme d’epoca imperiale, raggiunge un cos„ alto livello che possiamo solo ammirarle”, scrive Erika Brœdner5 nel suo libro “Le terme romane e le antiche consuetudini balneari”. Figura 2 – Pompei – Terme Stabbiane – Palestra In questi grandi bagni, oltre all’immensa quantit‚ di acqua, si consumava anche un’enorme quantit‚ di legna: bisognava riscaldare non solo l’acqua delle piscine e delle vasche, ma anche le ampie sale. Per limitare i consumi di combustibile c’era un solo mezzo: sfruttare al massimo possibile gli apporti solari. A questo proposito Vitruvio dice (6): “In primo luogo si deve scegliere un luogo che sia il piƒ caldo possibile, cio‡ non rivolto verso il settentrione e l’aquilone. Specialmente poi i calidari e i tepidari ricevano luce dall’occidente invernale, se perˆ la natura del luogo lo impedir‚, per lo meno dal mezzogiorno, in quanto il tempo di lavarsi ‡ stato stabilito soprattutto dal mezzogiorno alla sera”.Le terme dovevano quindi sorgere in luoghi soleggiati ed essere orientate verso sud o sudovest (occidente invernale). A Roma, per dare spazio e luce questi immensi edifici, le ampie aree, che garantivano queste condizioni, dovevano essere ricavate dal tessuto urbanistico, spesso con la demolizione di interi quartieri. Figura 3 – Terme di Caracalla Figura 4 – Terme di Diocleziano L’orientamento verso sud o sudovest era consigliato in particolare per i bagni caldi (calidari) e tiepidi (tepidari) e solo in situazioni urbanistiche sfavorevoli, potevano anche avere un orientamento diverso. Nelle terme orientate verso sudovest, le aule erano gi‚ riscaldate dal sole, quando la gente cominciava ad arrivare, perchŠ i bagni si frequentavano principalmente da mezzogiorno in poi. Il consiglio di Vitruvio concorda con quelli che egli d‚ in riguardo alle abitazioni private. Cos„ come nelle abitazioni, anche nelle terme gli ambienti piƒ caldi devono essere esposti verso sudest. Quest’orientamento lo hanno quasi tutte le grandi terme di Roma. Davanti ai calidari di queste terme sono inoltre disposti degli ampi spazi liberi, giardini e campi sportivi, che impediscono l’ostruzione della radiazione solare da parte di altri edifici. Figura 5 - Terme di Traiano Le grandi terme, costruite in laterizio, i cui resti possiamo ancora oggi ammirare a Roma e in altre citt‚, sono state costruite relativamente tardi, solo a partire dal II secolo d.C., da quando cio‡ si era creata un’importante e vasta industria laterizia. Ai tempi di Vitruvio si costruiva principalmente ancora con pietra naturale e con mattoni di terra cruda asciugati all’aria. L’immensa produzione di laterizio cotto deve aver richiesto il consumo di enormi quantit‚ di legna. Solo l’utilizzo del laterizio cotto permetteva la costruzione di grandi edifici voltati quali erano le terme d’epoca imperiale. Con questo materiale si costruiva una muratura solida e resistente, il cosiddetto opus caementitium. Questo comportava due paramenti esterni costruiti in laterizio riempiti con una specie di calcestruzzo. Man mano che la muratura cresceva, si utilizzavano calcestruzzi sempre piƒ leggeri allo scopo di ridurre il peso dei muri, i quali possedevano anche eccellenti caratteristiche termiche; accumulavano il calore prodotto all’interno e lo conservavano per tempi prolungati. Le terme d’epoca imperiale potevano essere anche dotate di grandi finestre vetrate che permettevano al sole di penetrare negli ambienti. Secondo la testimonianza di Seneca, queste vetrate furono introdotte nella costruzione delle terme gi‚ all’epoca sua, ovvero nella met‚ del I secolo d.C.7. Sono anche da menzionare le marcate strombature dei muri in corrispondenza delle finestre che facevano penetrare all’interno piƒ luce e quindi anche piƒ calore. Per stabilire in quale misura le regole riportate da Vitruvio siano state rispettate, abbiamo esaminato, per tre diverse regioni climatiche, l'orientamento di alcune terme romane e l'esposizione del loro calidarium. Di Roma conosciamo le planimetrie di tre grandi terme: le Terme di Diocleziano (iniziate nel 298 d.C. da Massimiano e ultimate nel 305-306), le Terme di Traiano e quelle di Caracalla (iniziate nel 206 d.C. da Septimio Severo e ultimate da Caracalla nel 216). In tutti e tre i casi l'asse centrale del complesso ‡ orientata secondo le regole vitruviane in direzione NE-SO e il calidarium si trova esposto verso SO. Anche a Pompei il calidarium delle Terme del Foro e delle Terme centrali sono orientate verso SO. Nelle terme di Tito, di Nerone e in quelle di Costantino l'asse centrale ‡ orientata in direzione N-S e il calidarium si trova sul lato Sud. Salvo alcune eccezioni, la regola vitruviana ‡ stata applicata anche in Nordafrica: Un orientamento NE-SO dell'asse centrale e l'esposizione del calidarium verso SO lo incontriamo a Timgad (Grandi Terme a Sud), a Dougga (Terme centrali) e a Djemila (Grandi Terme)- Le Terme di Antonino a Cartagine sono invece orientate in asse NOSE e il calidarium si trova sul lato NO (forse per poter orientare il frigidarium e la palestra verso il mare)- Un orientamento N-S dell'asse centrale e l'esposizione del calidarium verso S lo troviamo invece nelle Grandi Terme a Nord di Timgad e nelle Grandi Terme di Leptis Magna. A Nord delle Alpi le terme piƒ grandi e piƒ conosciute sono quelle di Treveri: le Terme di S. Barbara (costruite verso la met‚ del II sec. d.C.) e quelle imperiali (costruite alla fine del III sec. d. C.). L'asse centrale delle Terme di S. Barbara ‡ orientata in direzione N-S e il calidarium si trova sul lato Sud del complesso. L'asse centrale delle Terme imperiali ‡ invece orientata in direzione Est-Ovest e il calidarium ‡ esposto verso Est. Questo orientamento viene spiegato con motivi urbanistici: le Terme segnano dignitosamente la fine della via centrale (decumanus maximus) della citt‚ che si estende lungo un'asse Ovest-Est. Si puˆ quindi affermare che le regole bioclimatiche di Vitruvio sono state rispettate dagli architetti romani nella maggior parte dei casi. Questo fatto non sorprende piƒ di tanto perchŠ si trattava anche di una misura di risparmio energetico e quindi rivestiva una notevole importanza. Il sistema di riscaldamento Il sistema di riscaldamento delle grandi terme dimostra uno stato tecnologico particolarmente elevato. Le sale con i bagni caldi erano riscaldate da un sistema detto ad hypocaustum o hypokausis. Il nome greco del sistema, che troviamo a partire dal I secolo a.C. in tutto il mondo ellenistico, significa “riscaldamento da sotto”. Con questo sistema si riscaldavano il pavimento, le pareti e, naturalmente, l’acqua. Figura 6 - Pavimento riscaldato da sotto La combustione di legna e di carbone avveniva nel praefurnium, una camera di combustione accessibile dall'esterno dell'edificio. I fumi e l’aria calda passavano sotto il pavimento rialzato, asportati da canne fumarie (tuboli) inserite nella muratura delle pareti, e uscivano poi sopra il tetto. I “tubuli” potevano essere disposti anche in serie in modo da formare un sistema di riscaldamento a parete. Il funzionamento del sistema, che richiede un tiraggio lento e continuo, dipende dalla formazione e dal dimensionamento delle singole parti, dalla qualit‚ del materiale combustibile e dalla quantit‚ d'aria con la quale viene alimentato il fuoco. Il fattore piƒ importante ‡ che i canali nei quali passano i fumi abbiano una leggera inclinazione verso la camera di combustione. La regolazione del sistema di riscaldamento e di ventilazione avveniva non solo dal praefurnium, ma in massima parte dal tetto. Figura 7 – Heerlen (Paesi Bassi) - Le terme romane - I piastrini che reggevano il pavimento rialzato La costruzione dell’ipocausto si svolgeva nel seguente modo: dapprima si costruiva un pavimento in lastre di terracotta leggermente inclinato verso in praefurnium; su di esso venivano eretti dei pilastrini in mattoni (suspensurae) sui quali venivano posate delle lastre in laterizio. Sul tutto si stendeva poi un massetto di cemento e su questo il pavimento. La muratura si eseguiva con una malta d'argilla mischiata con peli per garantire l'elasticit‚ della costruzione che doveva subire grandi differenze di temperatura. Vicino al praefurnium, si trovava la grande caldaia di bronzo o di rame chiamata testudo (forse in riferimento alla sua forma, molto simile ad una testuggine) in cui veniva prodotta l'acqua calda. Vitruvio8 descrive un sistema costituito da tre recipienti, uno per l'acqua calda, uno per l'acqua tiepida e uno per quella fredda. I tre elementi erano collegati in serie affinchŠ la quantit‚ d’acqua calda uscita fosse sostituita con acqua tiepida e quella tiepida con acqua fredda. Questo sistema di riscaldamento aveva un rendimento straordinario, spesso superiore al 90 per cento, cio‡ maggiore di quello di molti impianti dei nostri giorni- Tramite esperimenti fatti con impianti ricostruiti si ‡ potuto dimostrare che, nel caso di temperature al praefurnium di 400-600•C, la temperatura dei fumi al fumaiolo era scesa a soli 40•C (9.) Per meglio sfruttare il calore prodotto nell’impianto di riscaldamento, i bagni caldi per le donne e quelli per gli uomini furono concentrati nella medesima zona e allineati in modo tale che l’aria calda passasse dritta sotto il pavimento di ambedue le strutture. Da Vitruvio leggiamo al riguardo10: “E inoltre si deve fare attenzione che i calidari per le donne e per gli uomini siano attigui e collocati nelle medesime zone. PoichŠ in tal modo si otterr‚ che nelle caldaie anche il calorifero sotterraneo sia comune all’uno e all’altro degli ambienti”. L'invenzione di questo sistema di riscaldamento ‡ generalmente attribuita a Caio Sergio Orata (circa 80 a.C.), un commerciante della Campania che costruiva bagni ad ipocausto nelle grandi ville e impiegava le balneae pensilis nei suoi allevamenti di pesci e di ostriche. Gli studi archeologici piƒ recenti hanno perˆ potuto dimostrare che il sistema di riscaldamento a pavimento era conosciuto gi‚ da prima (Olympia11, Gortys12, Megara Hyblea13). 1 Castagnoli, F.: Topografia e urbanistica di Roma antica, Bologna 1969, p. 97 -----2 Plinio, epist. 17, 26 ------ 3 Beloch: Campanien, 2- Ed., S. 302 ---------- 4 LehmannHartleben in: RE Bd. IIIA, S. 2066-67 ------5 Brœdner, E.: op.cit., p- 94 --------6 Vitruvio, de arch. V, X, 1------7 Brœdner, E.: op. cit., p. 137------8 Vitruvio. de arch. V, X, 159 -------Brœdner, E.: op. cit., p. 15610 Vitruvio, de arch. V, X, 1 ---11 Mallwitz A., Olympia und seine Bauten, Mžnchen 197212 Ginouv‡s R., L'etablissement thermal de Gortys d'Arcadie, Paris 195913 Vallet, Villard et Auberson: ExperiŠnces coloniales en Occident et urbanisme grec: Le fouilles de Megara Hyblea; in: Annales de l’Ecole franŸaise 25, 4, (1970), p. 1102-1113 (avec plans) Tabella 1 – Orientamento delle terme in alcune citt‚ romane Bibliografia • AA. VV. : Les thermes romains, C.E.F.R. (Cahiers dell’Ecole FranŸaise di Roma) n.142. • BR¡DNER, E. 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Le terme romane trassero la loro origine dalla fusione del ginnasio greco con il bagno a vapore egizio.L'Egitto in effetti, gi€ dai tempi di Tolomeo, raggiunse il livello di conoscenze tecniche necessario per realizzare tali opere, come dimostrano dei reperti archeologici nel delta del Nilo formati da due locali circolari, chiaro precedente del laconium romano. Gi€ 200 anni prima che l'imperatore Agrippa creasse le prime terme nel 25 a.C., il bagni (balneum) erano molto frequentati dai romani; ma fu dopo Agrippa che gli imperatori romani fecero a gara per superare i loro predecessori con Terme sempre più grandiose: in particolare Nerone nel 65 d.C. , Tito nell'81 d.C. , Domiziano nel 95 d.C., Commodo nel 185 d.C., Caracalla nel 217 d.C., Diocleziano nel 302 d.C. e Costantino nel 315 d.C.. Per assicurare la loro popolarit€, le tariffe di ingresso alle terme venivano tenute molto basse, se non gratuite. Terme sorsero ovunque nell'impero, dalle sabbie del deserto alle Alpi; alcune Terme erano tanto grandi da poter contenere 6000 persone. I rituali potevano variare da provincia a provincia a secondo dei costumi locali, tuttavia il concetto generale era il medesimo: si trattava di un centro ricreativo polifunzionale. La maggior parte delle terme includeva centri sportivi, piscine, parchi, librerie, piccoli teatri per ascoltare poesia e musica e una grande sala per le feste, una citt€ nella citt€. Si trovavano anche ristoranti e locande per dormire o … passare alcune ore in "piacevole" compagnia. Ogni centro termale offriva attrazioni specifiche: un paesaggio particolare, una magnifica libreria, un centro sportivo di alto livello, anche se l'attrazione principale rimanevano sempre i bagni. Durante l'ultimo periodo cristiano dell'impero fu proibito recarsi alle terme la domenica o nelle feste, mentre prima raramente venivano chiuse. Talvolta uomini e donne prendevano i bagni insieme, ma tale usanza variava da periodo a periodo e da zona a zona: a Pompei ad esempio uomini e donne prendevano i bagni separatamente. Un pomeriggio alle terme I cittadini romani terminavano il lavoro nelle prime ore del pomeriggio e si recavano alle terme, che aprivano a mezzogiorno, prima del pasto principale.• Un tipico ciclo iniziava con ginnastica in palestra, o attivit€ sportiva in un campo esterno, dove di svolgevano giochi anche utilizzando piccole palle in cuoio, o gare di lotta. • Successivamente ci si recava ai bagni attraverso tre stanze, partendo da quella con l'acqua pi‡ tiepida fino a quella con l'acqua pi‡ calda. • Si entrava nel tepidarium, la stanza pi‡ grande e lussuosa delle terme: qui si rimaneva un'ora e ci si ungeva con oli. • Poi si andava nel calidarium. Si trattava di stanze pi‡ piccole, generalmente costruite sui lati della salada bagno principale. • Infine ci si recava nel laconicum , la stanza finale pi‡ calda, riscaldata con aria secca ad altissima temperatura. • Dopo la pulizia del corpo e i massaggi, si faceva una nuotata nella piscina del frigidarium. Successivamente, ristorati e profumati, ci si recava nella altre aree delle terme dove si poteva leggere o partecipare ad altre attivit€ o assistere ad attrazioni. Le strutture Grandi acquedotti, di cui restano notevoli rovine in tutto il mondo romano, alimentavano le terme. Il calore erauniformemente distribuito attraverso muri cavi e pavimenti sovrapposti a vespaio, in cui circolava aria calda. L'abbandono In tarda epoca cristiana, forse per l'eccessivo costo di manutenzione, forse per i mutati costumi che tendevano a non accentrare nelle terme gran parte della vita sociale, le terme vennero via via abbandonate. La distruzione degli acquedotti da parte dei barbari ne interruppe poi definitivamente l'uso. A Dictionary of Greek and Roman Antiquities (1890) William Smith, LLD, William Wayte, G. E. Marindin, Ed. Roman Baths. http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:1999.04.0063:entry=balneae-cn Se preferisci puoi consultare la traduzione automatica ed ovviamente approssimativa The words balneae, balineae, balneum, balineum, thermae, are all commonly translated by our general term bath or baths; but in the writings of the earlier and better authors they are used with discrimination. Balneum or balineum,which is derived from the Greek βαλανεῖον (Varr. L. L. 9.68), signifies, in its primary sense, a bath or bathing-vessel, such as most persons of any consequence amongst the Romans possessed in their own houses (Cic. Att. 2.3), and hence the chamber which contained the bath (Cic. Fam. 14.2. 0), which is also the proper translation of the word balnearium. The diminutivebalneolum is adopted by Seneca (Ep. 86.3) to designate the bath-room of Scipio, in the villa at Liternum, and is expressly used to characterise the modesty of republican manners as compared with the luxury of his own times. But when the baths of private individuals became more sumptuous, and comprised many rooms, instead of the one small chamber described by Seneca, the plural balnea or balinea was adopted, which still, in correct language, had reference only to the baths of private persons. Thus Cicero terms the baths at the villa of his brother Quintus (ad Q. Frat. 3.1.1) balnearia.Balneae and balineae, which according to Varro (L. L. 8.25, 9.41; Charisius, 1.12) have no singular number,1 were the public baths. Thus Cicero (pro Cael.25, 62) speaks of balneas Senias, balneas publicas, and in vestibulo balnearum(ib. 26), and Aulus Gellius (3.1, 10.3) of balneas Sitias. But this accuracy of diction is neglected by many of the subsequent writers, and even in the time of the republic balneum? was used for a public bath (C. I. L. 1263); but particularly by the poets, amongst whom balnea is not uncommonly used in the plural number to signify the public baths, since the word balneae could not be introduced in an hexameter verse. Pliny also, in the same sentence, makes use of the neuter plural balnea for a public, and of balneum for a private bath.(Ep. 2.17.26.) Thermae (θέρμαι, hot springs) meant properly warm springs, or baths of warm water; but came to be applied to those magnificent edifices which grew up under the empire, in place of the simple balneae of the republic, and which comprised within their range of buildings all the appurtenances belonging to the Greek gymnasia, as well as a regular establishment appropriated for bathing. (Juv. Sat. 7.233.) Writers, however, use these terms without distinction. Thus the baths erected by Claudius Etruscus, the freedman of the Emperor Claudius, are styled by Statius (Stat. Silv. 1.5, 13)balnea, and by Martial (6.42) Etrusci thermulae. The Romans, in the earlier periods of their history, used the bath but seldom, and only for health and cleanliness, not as a luxury. Thus we learn from Seneca (Ep. 86.12) that the ancient Romans washed their legs and arms daily, and bathed their whole body once a week. (Cf. Cat. ap. Non. 108, s. v. Ephippium;Colum. R. R. 1.6.20.) The room set apart for this purpose was called lavatrinaor latrina, and was placed near the kitchen, so that warm water might be easily procured. (Varr. L. L. 5.118; 9.68.) It is not recorded at what precise period the use of the warm bath was first introduced amongst the Romans; but we learn from Seneca (l.c.) that Scipio had a warm bath in his villa at Liternum; which, however, was of the simplest kind, consisting of a single chamber, just sufficient for the necessary purposes, and without any pretensions to luxury. It was “small [1.270] and dark,” he says ( ‚ 3), “after the manner of the ancients.” Seneca also describes the public baths of former times as obscura et gregali tectorio inducta; and while their arrangements were of the simplest kind, aediles of noble birth did not disdain to look after them personally ( ‚ 9). These were baths of warm water; but the practice of heating an apartment with warm air by a hollow underneath the floor, so as to produce a hot-air bath, is stated by Valerius Maximus (9.1.1) and by Pliny (Plin. Nat. 9.168) to have been invented by Sergius Orata, who lived in the age of L. Crassus, the orator, before the Marsic war. The expression used by Valerius Maximus is balnea pensilia, and by Pliny balineas pensiles, which is differently explained by different commentators; but a glance at the plan, inserted on p. 278, will be sufficient in order to comprehend the manner in which the flooring of the chambers was suspended over the hollow cells of the hypocaust, called by Vitruvius suspensura caldariorum(5.11), so as to leave no doubt as to the precise meaning of the invention, which is more fully exemplified in the following passage of Ausonius (Mosell. 337):-- “Quid (memorem) quae sulfurea substructa crepidine fumant Balnea, ferventi cum Mulciber haustus operto Volvit anhelatas tectoria per cava flammas, Inclusum glomerans aestu exspirante vaporem?” In the time of Cicero, though young people used in summer to bathe in the Tiber (Cael. 15, 36), yet the use of baths, both public and private, of warm water and hot air, had become general (ad Q. Frat. 3.1); and we learn from one of his orations that there were already baths (balneas Senias) at Rome which were open to the public upon payment of a small sum (pro Cael. 25, 61). Besides public baths, others were built by private speculators, who either worked them themselves or leased them out. Sometimes even the state leased out the public baths under certain conditions (e. g. see the Lex Metalli Vipascensis in Eph. Epigr. iii. p. 166, which makes stipulations with theconductor balinei touching certain people to be admitted free, hours of opening and shutting, height of water, &c.). The lessee or worker of a bath (balneator) appears to have stood very low in social estimation (Juv. 7.4; Dig. 3, 2, 4, 2). Examples of private baths in Cicero's time are the balneae Pallacinae (Rosc. Am. 7, 18), and the balneae Seniae already mentioned. Martial in his time says (ii 14, 11): “Nec Fortunati spernit nec balnea Fausti Nec Grylli tenebras Aeoliumque Lupi.” “The Baths of Daphne,” owned by Phoebus (Schol. on Juv. 7.233), is a name like “The Aeolium” of Lupus. Jordan has collected a vast number of the names of the baths from the Regionarii, and they appear to be nearly all called after the possessor, though we find one of Mercurius and one of Diana (Forma UrbisRomae, p. 43). There were baths, of course, in the country, and they professed to be quite up to city style: e. g. an inscription has “In praediis Aureliae Faustinianae balineus. Lavatur more urbico, et omnis humanitas praestatur” (Marini, Atti de' Fratelli Arvali, p. 532, where a similar profession of abalneator is to be found, “omnia commoda praestantur” ). A signboard, in Orelli 4326, of the Thermae of M. Crassus, offers salt and fresh water baths. These baths, which were worked by private individuals, appear to have been called balnea meritoria (Plin. Ep. 2.17, 26), and money was often invested in them (Dig. 7,4, 12). Agrippa added 170 baths to those which existed already in Rome. In the time of Constantine there were no less than 856 (Jordan, l.c.) in the city; and the Regionarii actually reckon 952 (Becker-Gƒll, Gallus, 3.140). In the earlier ages of Roman history a much greater delicacy was observed with respect to bathing, even amongst the men, than was usual among the Greeks; for, according to Valerius Maximus (2.1.7), it was deemed indecent for a father to bathe in company with his own son after he had attained the age of puberty, or a son-in-law with his father-in-law. (Comp. Cic. de Off. 1.3. 5, ‚ 129; de Orat. 2.55, 224; Plut. Cat. maj. 20.) But virtue passed away as wealth increased; and when the thermae came into use, not only did the men bathe together in numbers, but even men and women stripped and bathed promiscuously in the same bath. It is true, however, that the public establishments generally contained separate baths for both sexes adjoining each other (Vitr. 5.10; Varr. L. L. 9.68), as will be seen to have been the case at the baths of Pompeii. Aulus Gellius (10.3) relates a story of a consul's wife who took a whim to bathe at Teanum (Teano), a small provincial town of Campania, in the men's baths (balneis virilibus); probably, because in a small town, the female department, like that at Pompeii, was more confined and less convenient than that assigned to the men; and an order was consequently given to the Quaestor, M. Marius, to turn the men out. In the Lex Metalli Vipascensis the women have the use of the bath from daybreak till the seventh hour; the men from the eighth hour till the second hour of the night. If at Rome there were separate establishments for the women, men at any rate appear to have been able to get into them, and they were a possible place for assignations ( “celent furtivos balnea tuta viros,” Ov. Ars Am. 3.639);--a passage which further shows that there were small private chambers with baths in them, such as we find in the Stabian baths at Pompeii (marked e in Overbeck's plan, Fig. 123, p. 193; cf. p. 206). But whether the men and women were allowed to use each other's chambers indiscriminately, or some of the public establishments had only one common set of baths for both, the custom prevailed under the empire of men and women bathing indiscriminately together. (Plin. Nat. 33.153.) This custom was forbidden by Hadrian (Spart.Hadr. 100.18), and by M. Aurelius Antoninus (Capitolin. Anton. 100.23); and Alexander Severus prohibited any baths, common to both sexes (balneamixta), from being opened in Rome (Lamprid. Alex. Sev. 100.24). Although the practice was not adopted by women of respectability ( “Signum est adulterae lavari cum viris,” Quint. Inst. 5.9.14), yet this legislation was not permanently effective, and even the censures of the Fathers of the Christian Church and the canons of Councils did not avail to [1.271] suppress it. (Clem. Alex. Paed. 3.5, p. 272; Cypr. de Virg. Habitu, p. 179; Const. Apost. 1.6 and 9; Council of Laodicea (A.D. 320), Can. 30, renewed by Council of Constantinople (A.D. 692), ap. Mansi.) Justinian (Cod. 5.15, 11.2) recognises it as a ground of divorce, si forte uxor ita luxuriosa est, ut commune lavacrum cum viris libidinis causa habere audcat. When the public baths (balneae) were first instituted, they were only for the lower orders, who alone bathed in public; the people of wealth, as well as those who formed the equestrian and senatorian orders, used private baths in their own houses. But as early even as the time of Julius Caesar we find no less a personage than the mother of Augustus making use of the public establishments (Suet. Aug. 94); and in process of time even the emperors themselves bathed in public with the meanest of the people. (Spart. Hadr.100.17.) The baths were opened at sunrise, and closed at sunset (Lampr. Alex. Sev.24). The many lamps found in the baths at Pompeii were used for lighting the rooms and the dark passages, according to Nissen, Pomp. Stud. 135, and do not necessarily imply night-bathing. But, in the time of Alexander Severus, it would appear that the baths were kept open after nightfall. (Lampr. Alex. Sev.l.c.) The allusion in Juvenal (balnea nocte subit, Sat. 6.419) probably refers to private baths. The price of a bath (balneaticum) was a quadrans, the smallest piece of coined money, from the age of Cicero downwards (Cic. pro Cael. 26, 62; Hor. Sat.1.3, 137; Juv. Sat. 6.447), which was paid to the keeper of the bath (balneator); and hence it is termed by Cicero, in the oration just cited, quadrantariapermutatio, and by Seneca (Ep. 86.9) res quadrantaria. Children below a certain age were admitted free. (Juv. Sat. 2.152.) The passage of Juvenal (6.447), which has been quoted to show that women paid no fee, should be taken to imply that they paid a higher price than men. So by the Lex Metalli Vipascensis, which has been already referred to, the men pay half an as, the women an as. (Cf. D. C. 49.43.) Faustus Sulla gave the people the use of the baths and oil on the day of his father's funeral (D. C. 37.51), and Augustus on his return from Germany gave them baths and barbers for a day (ib. 54.25). Agrippa opened the baths gratuitously to both men and women for a year (ib. 49.43), and afterwards gave the people histhermae ὥστε προῖκα αὐτοὺς λοῦσθαι (ib. 54.29). Such munificence was repeated by emperors and also by private individuals (Dig. 32, 35, 3; Henzen, 3325, 3326, 6962). Strangers, also, and foreigners were admitted to some of the baths, if not to all, without payment, as we learn from an inscription found at Rome, and quoted by Pitiscus (Lex Antiq.): L. OCTAVIO. L. F. CAM. RUFO. TRIB. MIL ........ QUI LAVATIONEM GRATUITAM MUNICIPIBUS INCOLIS HOSPITIBUS ET ADVENTORIBUS. Compare the inscription at Naples (C. I. L. 5.376). We also find free bathing given to an individual and his family as a reward of merit: thus a soldier gets that privilege at Nemausus (Orelli, 3579). The baths were closed when any serious public misfortune happened, just as we should close our theatres (Fabr. Descr. Urb. Rom., 100.18); and Suetonius says that the Emperor Caligula made it a capital offence to indulge in the luxury of bathing upon any religious holiday (ib.). They were originally placed under the superintendence of the aediles, whose business it was to keep them in repair, and to see that they were kept clean and of a proper temperature (ib.; Sen. Ep. 86). In the provinces the same duty seems to have devolved upon the quaestor, as may be inferred from the passage already quoted from Aulus Gellius (10.3). The time usually assigned by the Romans for taking the bath was the eighth hour, or shortly afterwards. (Mart. 10.48, 11.52.) Before that time none but invalids were allowed to bathe in public. (Lamprid. Alex. Sev. 24.) Vitruvius reckons the hours best adapted for bathing to be from mid-day until about sunset (5.10). Spurinna took his bath at the ninth hour in summer, and at the eighth in winter (Plin. Ep. 3.1, 8); and Martial speaks of taking a bath, when business had been pressing, at the tenth hour, and even later (3.36 10.70). When the water was ready, and the baths prepared, notice was given by the sound of a bell-aes thermarum. (Mart. 14.163.) One of these bells, with the inscription FIRMI BALNEATORIS, was found in the Thermae Diocletianae, in the year 1548, and came into the possession of the learned Fulvius Ursinus. (Append. ad Ciaccon. de Triclin.) A sun-dial was found in the new baths at Pompeii, and Lucian (Hipp. 8) places in the baths a sun-dial and a water-clock with apparently some method of striking the hours attached. Whilst the bath was used for health merely or cleanliness, a single one was considered sufficient at a time, and that only when requisite. But the luxuries of the empire knew no such bounds, and the daily bath was sometimes repeated as many as seven and eight times in succession--the number which the Emperor Commodus indulged himself with. (Lamprid. Comm. 11.) Gordian bathed four or five times a day in summer, and twice in winter; the Emperor Gallienus six or seven times in summer, and twice or thrice in winter. (Capitolin. Gord. 6; Trebell. Poll. Gall. 100.17.) Commodus also took his meals in the bath (Lamprid. l.c.); a custom which was not confined to a dissolute emperor alone. (Cf. Mart. 12.19.) It was the usual and constant habit of the Romans to take the bath after exercise, and previously to their principal meal (cena); but the debauchees of the empire bathed after eating as well as before, in order to promote digestion, and so to acquire a new appetite for fresh delicacies. Nero is related to have indulged in this practice. (Suet. Nero 27; comp. Juv. Sat. 1.142.) This practice of carrying off the effects of gluttony by artificial means of inducing perspiration, which had taken the place of the hard labour and exercise of sterner times, was severely condemned, and sometimes proved fatal. (Columella, i. praef. ‚ 15; Juv. 1.143; Pers. 3.93; Sen. Ep. 15, 3; 86, 10; and especially Plin. Nat. 14.139, and 29.26, where he mentions as one, [1.272] of the causes of the ruined morals of the nation, balineae ardentes quibus persuasere in corporibus cibos coqui.) Here at the outset a word must be said on the notorious illustration of a Roman bath given below. It is said to have been found in and to represent the Thermae of Titus at Rome. Long ago, however, Canina suspected its authenticity. He could not, he said, find it in the baths, nor was there any trustworthy evidence of its having been discovered previously; and further its exceedingly close following of Vitruvius made it look very like anillustration of that author. The fact is that the picture was drawn by Giovanni Antonio Rusconi, an architect, in 1553, to serve as a plan to help the description of Roman baths as given by Johannes Antonius Siccus Cremensis, De balneis compendium ex Hippocrate et Galeno. In the preface to this treatise the picture is merely called a “figura antiqui balinei.” J. Rhodius in his edition of Scribonius Largus (1655) says (p. 103), “balnearum formam Ioannis Antonii Sicci Cremensis diligentia vulgatam inspicere iuvabit,” It first appears as claiming to be a picture of the Baths of Titus in a work called Raccolta di statue antiche e moderne data in luce da de Rossi illustrata di P. A. Maffei (1704), who was an officer of the Papal guard and quite different from F. S. Maffei the scholar. From this work it got into Montfaucon, Ant. expl. 3.2, pl. 122, and hence unfortunately obtained general acceptance. Its unauthenticity is now accepted by nearly all scholars, by Marquardt, Saglio, Overbeck, Gƒll, Guhl and Koner, &c. For a full account of the history of this drawing, the reader is referred to Marquardt, Privatleben der Rƒmer, pp. 270-1, from whom its history as given above is taken. The picture indicates in its way the chief rooms of a Roman bath. There was the elaeothesium, where the oil was kept, and where the bathers were frequently anointed. Next the frigidarium or cold room, which generally had a cold bath in it, and which frequently served as an undressing room (apodyterium), though large establishments had a separate apartment for undressing in. Beside the frigidarium was the warm room (tepidarium), which led into the hot room (concamerata sudatio, though generally calledcaldarium), or sweating room, heated both by the hypocaust below and by an oven called, according to the picture,laconicum, which could be closed or opened by a brass cover called clipeus. Also, over the hypocaust, in another room appears in the picture the hot bath; and in a third Roman Baths. (No- room three coppers (ahena) for cold, tepid, and warm water. The errors of this illustraminally from the tion will appear quite plain after we have described in detail the various rooms of the Thermae of Titus, baths according to the actual remains of such buildings. but a modern representation of Roman The Romans did not content themselves with a single bath of hot or cold water; but they baths.) went through a course of baths in succession, in which the agency of air as well as water was applied. It is difficult to ascertain the precise order in which the course was usually taken, if indeed there was any general practice beyond the whim of the individual. Under medical treatment, the succession would, of course, be regulated by the nature of the disease for which a cure was sought, and would vary also according to the different practice of different physicians. It is certain, however, that it was a general practice to close the pores, and brace the body after the excessive perspiration of the vapour bath, either by anointing or by pouring cold water over the head, or by plunging at once into the piscina, or into a river. (Auson. Mosell. 341.) Musa, the physician of Augustus, is said to have introduced this practice (Plin. Nat. 25.77; cf. Hor. Ep. 1.15, 4), which became quite the fashion, in consequence of the benefit which the emperor derived from it, though Dio Cass. (53.30) accuses Musa of having artfully caused the death of Marcellus by an improper application of the same treatment. In other cases it was considered conducive to health to pour warm water over the head before the vapour bath, and cold water immediately after it; and at other times, warm, tepid, and cold water baths were taken in succession. The two physicians Galen and Celsus differ in some respects as to the order in which the baths should be taken; the former recommending [1.273] first the hot air of the laconicum (ἀέρι θερμῷ), next the bath of warm water (ὕδωρθερμόν), afterwards the cold, and finally to be well rubbed (Galen, de Methodo Medendi, 10.10, pp. 708, 709, ed. K„hn); whilst the latter recommends his patients first to sweat for a short time in the tepid chamber (tepidarium), without undressing; then to proceed into the thermal chamber (calidarium), and after having gone through a regular course of perspiration there, not to descend into the warm bath (solium), but to pour a quantity of warm water over the head, then tepid, and finally cold; afterwards to be scraped with the strigil (perfricari), and finally rubbed dry and anointed. (Cels. de Med. 1.4.) Such, in all probability, was the usual habit of the Romans when the bath was resorted to as a daily source of pleasure, and not for any particular medical treatment; the more so, as it resembles in many respects the system of bathing still in practice amongst the Orientals, who, as Sir W. Gell remarks, “succeeded by conquest to the luxuries of the enervated Greeks and Romans.” (Gell's Pompeii, vol. i. p. 86, ed. 1832.) Having thus detailed from classical authorities the general habits of the Romans in connexion with their system of bathing, it now remains to examine and explain the internal arrangements of the structures which contained their baths; which will serve as a practical commentary upon all that has been said. Indeed there are more ample and better materials for acquiring a thorough insight into Roman manners in this one particular, than for any other of the usages connected with their domestic habits. The principal ancient authorities are Vitruvius (5.10), Lucian (Ἱππίας ἢ βαλανεῖον, a detailed description of a set of baths erected by an architect named Hippias), Pliny the Younger, in the two letters describing his villas (2.17, 5.6), Statius (Balneum Etrusci, Silv. 1.5), Martial Plan of the Roman Baths at Badenweiler. Plan of the Roman Baths at Badenweiler. EXPLANATION. a. Forecourt, atrium. b. Central hall, vestibulum. c. Undressing-room, apodyterium. d. Anointing-room, unctorium. e. Stokehole, praefurnium. f. Cold bath, frigidarium. g. Douche baths. h. Warm bath, tepidarium. i. Private baths, solia. k. Passages for communication. l. Hot baths, caldaria. m. Hot-air bath, laconicum. n. Reservoirs for cold and perhaps warm ablution. o. Coal or wood store-rooms. p. Closets? q. Attendants' rooms. r. Underground exit drains. s. Leaden exit pipe. t. Exit pipe. u. Altar of Diana abnoba. (6.42, and other epigrams), Seneca (Epist. 51, 56, 86), and Sidonius Apollinaris (Epist. 2.2). But it would be almost hopeless to attempt to arrange the information obtained from these writers, were it not for the help afforded us by the extensive ruins of ancient baths,--such as the Thermae of Titus, Caracalla, and Diocletian; the Thermae of Pompeii excavated in 1854-8, and numerous public and private baths throughout the whole extent of the Roman empire, the most important of which are referred to in the list of authorities at the end of this article; but above all the public baths (balneae) of Pompeii, which were excavated in 1824-5. Before elucidating the Roman system of bathing by means of a detailed description of these baths, we give ground-plans of baths attached to private houses, and first of the baths of “the house of Livia” on the Palatine, which exhibits great simplicity when compared with private baths at Pompeii, which must have been built before A.D. 79. They consist of two rooms about 16 ft. square, one of which contains a stove. The cut given above is a ground-plan of the Roman baths at Badenweiler; and though less elaborate than the baths attached to some Pompeian private houses, it is interesting from its compactness and the arrangement of the women's and men's baths. A full account of them is given by Dr. Heinrich Leibnitz, Die rƒmischen B…der bei Badenweiler, Leipzig, 1860. The balneae adjoining the Forum at Pompeii, generally called the old baths, were found to be a complete set, constructed in all their important parts upon [1.274] rules very similar to those laid down by Vitruvius, and in such good preservation that many of the chambers were complete, even to the ceilings. The woodcut below represents the ground-plan of these baths, which are nearly surrounded on three sides by houses and shops, thus forming what the Romans termed aninsula. Bath in house of Livia. (From Darem- The whole building, which comprises a double set of baths, has six different entrances from the street, one of which, A, gives admission to the smaller set only, which are supberg and Saglio.) posed to have been appropriated to the women, and five others to the male department; of which two, B and C, communicate directly with the furnaces, and the other three, D, E, F, with the bathing apartments, of which F, the nearest to the forum, was the principal one; the other two, D and E, being on different sides of the building, served for the convenience of those who lived on the north and east sides of the city. To have a variety of entrances (ἐξόδοις πολλαῖς τεθυρωμένον) is one of the qualities enumerated by Lucian as necessary to a well-constructed set of baths (Hippias, 8). Passing through the principal entrance, F, which is removed from the street by a narrow footway surrounding the insula (the outer kerb of which is marked upon the plan by the thin line drawn round it), and after descending three steps, the bather finds upon his left hand a small chamber (1), which contained a convenience (latrina), and proceeds into a covered portico (2), which ran round three sides of an open court--atrium (3), which was 68 feet long and 53 feet broad; and these together formed the vestibule of the baths--vestibulumbalnearum (Cic. pro Cael. 26), in which the servants belonging to the establishment, as well as the attendants of the bathers, waited. There are seats for their accommodation placed underneath the portico (a, a). This atrium was the exercise ground for the young men, or perhaps served as a promenade for visitors to the baths. It answers exactly to the first compartment described by Lucian (l.c. 5). Within this court the keeper of the baths (balneator), who exacted the quadrans paid by each visitor, was also stationed; Plan of the Old and the box for holding the money was found in it. The room (4), which runs back from the portico, might have been appropriated to him; but most probably it was Baths at Pompeii. an oecus or exedra, for the convenience of the better classes whilst awaiting the return of their acquaintances from the interior, in which case it will correspond with the chambers mentioned by Lucian (l.c. 5), adjoining to the servants' waiting-place (ἐν ἀριστερᾷ δὲ τῶν ἐςτρυφὴν παρεσκευασμένων οἰκημάτων). In this court likewise, as being the most public place, advertisements for the theatre, or other announcements of general interest, were posted up, one of which, announcing a gladiatorial show, still remains. At the two sides of the entrance to it were stone seats (scholae). (5) Is the corridor which conducts from the entrance E, into the same vestibule. (6) A small cell of similar use to the corresponding one in the opposite corridor (1). (7) A passage of communication which leads into the chamber (8), the apodyterium (spoliarium, perhaps in this sense Isidor. Gloss.p. 488), a room for undressing; and which is also accessible from the street by the door D, through the corridor (9), in which a small niche is observable, which probably served for the station of another balneator, who collected the money from those entering from the north street. In this room, which was 38 feet long and 22 feet broad, all the visitors must [1.275] have met before entering into the interior of the baths; and its locality, as well as other characteristic features in its fittings up, leave no room to doubt that it served as an undressing room. It does not appear that any general rule of construction was followed by the architects of antiquity, with regard to the locality and temperature best adapted for an apodyterium. The word is not mentioned by Vitruvius, nor expressly by Lucian; but he says enough for us to infer that it belonged to the frigidarium in the baths of Hippias (l.c. p. 71): “After quitting the last apartment there are a sufficient number of chambers for the bathers to undress, in the centre of which is an oecus containing three baths of cold water.” Pliny the Younger says that the apodyterium at one of his own villas adjoined the frigidarium (Ep. 5.6.25); but it is plain from a passage already quoted, that the apodyterium was a warm apartment in the baths belonging to the villa of Cicero's brother, Quintus (assa in alterum apodyteriiangulum promovi), to which temperature Celsus also assigns it. In the thermae at Rome the hot and cold departments had probably each a separateapodyterium attached to it; or if not, the ground-plan was so arranged that one apodyterium would be contiguous to and serve for both, or either; but where space and means were circumscribed, as in the little city of Pompeii, it is more reasonable to conclude that the frigidarium served as an apodyteriumfor those who confined themselves to cold bathing, and the tepidarium for those who commenced their ablutions in the warm apartments. The bathers were expected to take off their garments in the apodyterium, it not being permitted to enter into the interior unless naked (Cic. pro Cael. 26, 62). They were then delivered to a class of slaves, called capsarii (from capsa, the small case in which children carried their books to school), whose duty it was to take charge of them, and to whom the room (11) may have been assigned. These men were notorious for dishonesty, and leagued with all the thieves of the city, so that they connived at the robberies they were placed there to prevent. Hence the expression of Catullus--O furum optume balneariorum!(Carm. 33.1); and Trachilo in the Rudens of Plautus (2.33, 51) complains bitterly of their roguery, which, in the capital, was carried to such an excess that very severe laws were enacted against them, as we find in a special title of the Digest (47, 17), De Furibus Balneariis. To return into the chamber itself--it is vaulted and spacious, with stone seats along two sides of the wall (b, b), and a step for the feet below, slightly raised from the floor (pulvinus et gradus, Vitr. 5.10). Holes can still be seen in the walls, which might have served for pegs on which the garments were hung when taken off. It was lighted by a window closed with glass, and ornamented with stucco mouldings and painted yellow. A sectional drawing of this interior is given in Sir W. Gell's Pompeii. There are no less than six doors to this chamber: one led to the entrance E, another to the entrance D, a third to the small room (11), a fourth to the furnaces, a fifth to the tepid apartment, and the sixth opened upon the frigidarium, the room which had the cold bath (10), named indifferently by the ancient authors, natatio, natatorium, piscina,2baptisterium, puteus, λουτρόν. The bath, which is coated with white marble, is 13 feet 8 inches in diameter, and about 3 feet 9 inches deep, and has two marble steps to facilitate the descent into it, and a seat surrounding it at the depth of 10 inches from the bottom. It is probable that many persons contented themselves with the cold bath only, instead of going through the severe course of perspiration in the warm apartments; and it is said that at one period cold baths were in such request that scarcely any others were used. (Gell's Pompeii, l.c.) There is a platform or ambulatory (schola, Vitr. 5.10) round the bath, also of marble, and four niches of the same material disposed at regular intervals round the walls, with seats. The ceiling is vaulted, and the chamber lighted by an opening towards the south-west. A drawing of this room is given on p. 279. The annexed woodcut represents a frigidarium with its cold bath (puteus, Plin. Ep. 5.6.25) Frigidarium of Formian villa. a at one extremity, supposed to have formed.a part of the Formian villa of Cicero, to whose age the style of construction, and the use of the simple Doric order, undoubtedly belong. The bath itself, into which the water still continues to flow from a neighbouring spring, is placed under the alcove, and the two doors on each side opened into small chambers, which probably served as apodyteria. It is still to be seen in the gardens of the Villa Caposeli, at Mola di Gaeta, the site of the ancient Formiae. In the cold bath of Pompeii the water ran into the basin through a spout of bronze, and was carried off again through a conduit on the opposite side. It was also furnished with a waste-pipe under the margin to prevent it from running over. No. 11 is a small chamber on the opposite side of the frigidarium, which might have served for keeping unguents or strigiles, or for the capsarius; and from the side of the [1.276] frigidarium, the bather, who intended to go through the process of warm bathing and sudation, entered into (12) thetepidarium. This tepidarium, 33 feet long by 18 feet broad, did not contain water either at Pompeii or at the baths of Hippias, but was merely heated with warm air of an agreeable temperature in order to prepare the body for the great heat of the vapour and warm baths, and, upon returning, to obviate the danger of a too sudden transition to the open air. In the baths at Pompeii this chamber served likewise as an apodyterium for those who took the warm bath; for which purpose the fittings up are evidently adapted, the walls being divided into a number of separate compartments or recesses for receiving the garments when taken off, by a series of figures of the kind called Atlantes or Telamones,which project from the walls, and support a rich cornice above them. One of these divisions, with the Telamosnes, is represented in the article ATLANTESThree bronze benches were also found in the room, which was heated as well by its contiguity to the hypocausts of the adjoining chamber, as by a brazier of bronze (foculus), in which the charcoal ashes were still remaining when the excavation was made. Sitting and perspiring beside such a brazier was called ad flammam sudare (Suet. Aug. 82). A representation of it is given in the above woodcut. Its whole length was 7 Brazier of the Old feet, and Baths at Pompeii. its breadth 2 feet 6 inches. The benches contained the inscription M. NIGIDIVS VACCVLA P.S. (pecunia sua). No doubt, from the representation of the cow on the brazier, this latter was also a gift of the same man. The tepidarium is generally the most highly ornamented room in baths. It was merely a room to sit in and be anointed in. The water-bath which appears in the Stabian baths at Pompeii is quite an exception (see Becker-Gƒll, Gallus, 3.132-4). In the old baths at Pompeii the floor is mosaic, the arched ceiling adorned with stucco and painting on a coloured ground, the walls red. The light is from a window at the south side, below which is a niche for a lamp. An illustration of the room taken from Gell, plate 29, is given above. Tepidarium of Old Baths of Pompeii. (From Gell.) In addition to this service there can be little doubt that this apartment was used as a depository for unguents and a room for anointing (ἀλειπτήριον,unctorium, elaeothesium), the proper place for which is represented by Lucian (l.c.) as adjoining to the tepidarium, and by Pliny (Plin. Ep. 2.17.11) as adjoining to the hypocaust; and for which purpose some of the niches between the Telamones seem to be peculiarly adapted. In the larger establishments a separate chamber was allotted to these purposes; but as there is no other spot within the circuit of the Pompeian baths which could be applied in the same manner, we may safely conclude that the inhabitants of this city were anointed in the tepidarium (cf. Celsus, 1.4); which service was performed by slaves called unctores and aliptae. [ALIPTAE] Anointing sometimes took place before going into the hot bath (Celsus, l.c.), sometimes after the cold bath, just before putting on the clothes, in order to stop perspiration (Galen, 10.479). In some baths we find a special room, the destrictarium or unctorium, [1.277] used for anointing (Plin. Ep. 2.17.11). For this purpose the common people used oil, sometimes scented; but the more wealthy classes indulged in the greatest extravagance with regard to their perfumes and unguents. These they either procured from the elaeothesium of the baths, or brought with them in small glass bottles (ampullae oleariae), hundreds of which have been discovered in different excavations made in various parts of Italy. [AMPULLA] The fifteenth book of Athenaeus contains an ample treatise upon the numerous kinds of ointments used by the Romans; which subject is also fully treated by Pliny (H. N. xiii.). Caligula is mentioned by Suetonius (Suet. Cal. 37) as having invented a new luxury in the use of the bath, by perfuming the water, whether hot or cold, by an infusion of precious odours, or, as Pliny states (H. N. 13.22), by anointing the walls with valuable unguents; a practice, he adds, which was adopted by one of the slaves of Nero, that the luxury might not be confined to royalty (neprincipale videatur hoc bonum). From this apartment, a door which closed by its own weight, to prevent the admission of cooler air, opened into No. 13, the caldarium, 53 feet long, 17 1/2 feet broad. Its mosaic floor was suspended over the hypocaust. The wall was not lined with flues, but was hollow, forming as it were one large flue for the heated air. This was effected by a lining of bricks with projections (tegulaemammatae) of about four inches, strongly connected with the outer wall by cramps of iron. The room has at its south side the quadrangular alveus. (Auct.ad Her. 4.10; Cic. Cael. 28, 67) or solium (Lucr. 6.800 ; Cat. Agr. 10, 4; Cels. 1.3 and 4; Liv. 44.6; Suet. Aug. 82) or calida piscina (Plin. Ep. 2.17.11; Suet. Nero 27); and at the north side, which ended in a dome-roofed semicircle, a round labrum (Cic. Fam. 14.2. 0; Vitr. 5.10, 4), like the Greek basin figured on p. 267. Into the alveus, called in Greek πύελος orθερμὴ δεξαμενή (Galen, 10.473, 536), or κολυμβήθρα θερμοῦ ὕδατος (D. C. 55.7), the bather descended from the platform (schola; cf. Petron. 92) by a step to which ascent was made from the floor of the caldarium by two steps. The alveus was 16 1/2 feet long, 5 1/4 broad, and 2 deep. Ten people could be in it together. Sometimes the alveus was sunk below the level of the room, sometimes raised above it. Both occur in the baths at Badenweiler. The labrumat the other end is a circular tub made of marble, 7 1/2 feet in diameter, 8 inches deep, raised 3 1/4 feet from the ground on a solid support of lava. It has an inscription round it (Orelli, 3277), which declares that it cost HS. 5250. It was used for holding cold water, for pouring over the head before the bather quitted the hot room. In the splendid baths of Etruscus there was a constant stream of water from silver pipes into a silver labrum, whence the water, in wonder at its beauty, says the poet (Stat. Silv. 1.5, 48), was loth to depart. Elsewhere we hear of baths having silver alvei or solia (Plin. H. N. xxxiii, ‚ 152). Owing to the great heat of the caldarium, there was not much ornamentation in this room at Pompeii, and no painting. Any ornamentation there was, was in the dome over the labrum. There are four windows, arranged with no regard to symmetry. Below the opening in the dome is a hollow for the lamp. The woodcut taken from Gell (plate 31) represents the end of the room which contained the labrum. Strictly speaking, there was no laconicum (assa, Cic. Q. Fr.3.1, 2; sudatorium, Senec. Ep. 51.6 ξηρὸν βαλανεῖον, Galen, 6.228) in the old baths at Pompeii. When a laconicum did occur, it was quite separate from the caldarium, and raised to a higher temperature. It was merely a sweating-room, and had no bath. It was a circular apartment with a dome-shaped ceiling; ξηρὸς θόλος it is called by Alexander of Aphrodisias. The diameter of such a room, Vitruvius says (5.10), should be equal to the height as far as the beginning of the dome; and in the middle of the dome there should Caldarium of Old be an opening which could be closed or opened partially or entirely by a brass cover or Baths at Pompeii. shield (clipeus), worked by chains from below (cf. Timarchus, ap. Athen. p. 501 f, who (From Gell.) calls the cover ὀμφαλός). The termlaconicum appears to have arisen in Italy; for the Greeks, as we saw, called such a sweating bath Ἑλληνικὴ πυρίη (Hdt. 4.75). According to Dio Cassius (53.27), “Agrippa first introduced the Laconian sweating-bath; for the gymnasium is a Laconian institution, and the Spartans seemed especially in former times to have stripped and anointed themselves with oil” (cf. Thuc. 1.6). The first statement cannot be accurate, as we hear of a laconicum as early as 70 B.C. in an inscription from the Stabian baths at Pompeii (C. I. L.1.1251), and at Cicero's villa at Puteoli in 55 B.C. (Cic. Att. 4.1. 0). But it is quite possible that the hot room got the name of laconicum from the notoriety of the Laconian practice of anointing, which would of course be most conveniently done in a room [1.278] of fairly high temperature. When the name originated, the highest temperature used was nothing very considerable; but as the use of baths increased, the heat of the hottest rooms increased also (cf. Senec. Ep. 86, 10), and the name laconicum appears to have continued to be applied to the hottest rooms, though the anointing was no longer performed there, but in the milder temperature of the tepidarium. There is no laconicumproper, as has been said, in the old baths at Pompeii; but as the hottest room is the caldarium, we may if we like, with Nissen (op. cit. 156), apply that term to this latter apartment, but we must apply it to the whole room, and not merely to the niche for the labrum. The view that the laconicum was a little arched oven in the caldarium which was in direct communication with the hypocaust, and which had an aperture with a moveable covering (clipeus), through which the heat of the caldarium could be regulated--this view, which is derived from the supposed plan of the Baths of Titus, vanishes by the proved unauthenticity of that illustration.Here a word must be said on the suspensurae, or hanging floors above thehypocaustun. (Vitr. 5.10; Plin. Ep. 2.17.23; Stat. Silv. 1.5, 59; Dig. 17, 1,16.) On this subject we cannot do better than quote the words of Mr. Middleton (Ancient Rome, p. 334), who thus explains the system of heating used in the Thermae of Caracalla at Rome: “Vitruvius's description of the hypocausts or hollow floors used for heating the hot rooms (calidaria) agrees closely with many existing examples. The lower floor was to be laid with 2 feet tiles (tegulae bipedales) over a bed of concrete: on this, all over the area of the room, rows of short pillars (pilae) were built to Method of heating the Baths in the Thermae of Caracalla. (From Middleton.) AA. Concrete wall faced with brick.B. Lower part of wall with no brick facing.CC . Suspensura, or upper floor of hypocaust, supported by pillars.DD. Another floor, with support only at the edges.EE. Marble flooring.FF. Marble plinth and wall lining. GG. Under-floor of hypocaust, paved with large tiles. HH. Horizontal and vertical sections of the fine tiles, which line the walls of the Caldarium. aa. Iron holdfasts. JJ. Socket-jointed flue-pipe of Tepidarium. K. Rain-water pipe. LL. Vaults of crypt, made of pumice-stone concrete. support the upper or ‘hanging floor’ (suspensura). These pilae were to be 2 feet high [in the baths of Caracalla they are from 2 1/2 to 2 3/4 feet high, p. 367], made of tegulae bessales, or tiles 8 inches square, set, not in mortar, but with clay in the joints: in existing examples these clay joints have been baked into brick by the action of the fire” (rather “hot air,” for there was not a fire in the hypocaustum, but in the hypocausis). The passages from the furnace to the hypocaust and the flues in the walls appear to have been called cuniculi ( “per quos vapor trahitur in balneariis,” Dig. 43, 21, 3, 6; “fornacis cuniculus,”Plin. Nat. 9.134). After having gone through the regular course of perspiration, the Romans made use of instruments called strigiles (or strigles, Juv. Sat. 3.263), to scrape off the perspiration, much in the same way as we are accustomed to scrape the sweat off a horse with a piece of iron hoop, after he has run a heat, or comes in from violent exercise. The strigil was also used by the Greeks, who called itstlengis (στλεγγίς, Plat. Hipp, Min. 368 C) or xystra (Luc. Lexiph. 5); and the Greek instrumentis represented in the annexed cut. These instruments, some specimens of which are also represented in the cut on p. 279, and many of which have been discovered amongst the ruins of the various baths of antiquity, were made of bone, bronze, iron, and silver; all corresponding in form with the epithet of Martial, “curvo distringere ferro” (Epig. xiv. 51). The poorer classes were obliged to scrape themselves, but the more wealthy took their slaves to the baths for the purpose; a fact which is elucidated by a curious story related by Spartianus (Hadrian. 100.17). [1.279] The strigil was by no means a blunt instrument, consequently its edge was softened by the application of oil, which was dropped upon it from a small vessel called guttus,3 which had a Strigil. (From a Sta- narrow neck, so as to discharge its contents drop by drop, from whence the name is taktue in the Vatican.) en. A representation of a guttusis given in the preceding woodcut; a strigil and guttus together are represented below, and also in the figure on p. 117. Augustus is related to have suffered from an over-violent use of the strigil. (Suet. Aug. 80.) Invalids and persons of a delicate habit made use of sponges, which Pliny says answered for towels as well as strigils. They were finally dried with towels (lintea), and anointed. (Juv. Sat. 3.262; Apuleius, Met. 1.23; Plin. Nat. 31.125 if.) Strigils. (Found in The common people were supplied with these necessaries in the baths,-Roman baths.) omniacommoda praestantur, as we saw above; but the more wealthy carried their own with them (Pers. Sat. 5.126). After the operation of scraping and rubbing dry, they retired into, or remained in, the tepidarium until they thought it prudent to encounter the open air. But it does not appear to have been customary to bathe in the water, when there was any, either of the tepidarium or frigidarium; the temperature only of the atmosphere in these two chambers being of consequence to break the sudden change from the extreme of heat to cold. Strign and Guttus. Returning now back into the frigidarium (8), which, according to the directions of Vitru(From a Relief at vius (5.11), has a passage (14) communicating with the mouth of the furnace (e), which Athens.) is also seen under the boilers in the cut opposite, calledpraefurnium (Vitr. 5.10), or propnigeum (Plin. Ep. 2.17.11); and passing down that passage, we reach the chamber (15) into which the praefurniumprojects, and which has also an entrance from the street at B. It was appropriated to the use of those who had charge of the fires (fornacatores). There are two staircases in it; one of which leads to the roof of the baths, and the other to the coppers which contained the water. Of these there were three: one of which contained the hot water--caldarium (sc. vas, or ahenum); the second the tepid--tepidarium; and the last the cold--frigidarium. The warm water was introduced into the warm bath by means of a conduit pipe, marked on the plan, and conducted through the wall. Underneath the caldarium was placed the circular furnace (f) (furnus, Hor. Ep. 1.11, 12), over 7 feet in diameter, which served to heat the water and give out streams of warm air into the hollow cells of the hypocaustum. It passed from the furnace under the first and last of the caldrons by two flues, which are marked upon the plan. The copper containing hot water was placed immediately over the furnace; and, as the water was drawn out from thence, it was supplied from the next, Frigidarium of the the tepidarium, which was raised a little higher and stood a little way off from the furOld Baths at Pom- nace. It was already considerably heated from its contiguity to the furnace and the hypocaust peii. (From Gell.) below it, so that it supplied the deficiency of the former without materially diminishing its temperature; and the vacuum in this last [1.280] was again filled up from the farthest removed, which contained the cold water received directly from the square reservoir seen behind them,--a principle which has at length been introduced into the modern bathing establishments, where its efficacy, both in saving time and expense, is fully acknowledged. The boilers themselves no longer remain, but the impressions which they have left in the mortar in which they were imbedded are clearly visible, and enable us to ascertain their respective positions and Boiler, miliarium.(From dimensions, the first of which, thecaldarium, is represented in the above cut. Such coppers or boilers appear to have been called miliaria, from similarity of shape to a Pompeii.) milestone (Pallad. 5.8, 1.40). Behind the coppers there is another corridor (16), leading into the court oratrium (17) appropriated to the servants of the bath, and which has also the convenience of an immediate communication with the street by the door at C. We now proceed to the adjoining set of baths, which were assigned to the women. The entrance is by the door A, which conducts into a small vestibule (18), and thence into the apodyterium (19), which, like the one in the men's bath, has a seat (pulvinsus, gradus) on either side built up against the wall. This opens upon a cold bath (20), answering to the natatio of the other set, but of much smaller dimensions, and probably similar to the one denominated by Pliny (l.c.) puteus. There are four steps on the inside to descend into it. Opposite to the door of entrance into the apodyterium is another doorway which leads to the tepidarium (21), which also communicates with the thermal chamber (22), on one side of which is a warm bath in a square recess, and at, the further extremity the labrum. The floor of this chamber is suspended, and its walls perforated for flues, like the corresponding one in the men's baths. It is to be specially noticed that the tepidarium in the women's baths had no brazier, but had a hanging or suspended floor. Suspending the floor of atepidarium was a proceeding subsequent apparently to Vitruvius's time ; so that this, among many other reasons which are enumerated by Nissen (op. cit.chap. v.), proves that the women's baths were a subsequent addition. True, the comparative smallness and inferiority of the fittings--up in this suite of baths has induced some Italian antiquaries to throw a doubt upon the fact of their being assigned to the women; and amongst these the Abbate Iorio (Plan de Pompeii) ingeniously suggests that they were an old set of baths, to which the larger ones were subsequently added when they became too small for the increasing wealth and population of the city. But their greater carelessness of structure is an actual proof of later date in a building at Pompeii (see Nissen,l.c.). And the story, already quoted, of the consul's wife who turned the men out of their baths at Teanum for her convenience, seems sufficiently to negative such a supposition; and to prove that the inhabitants of ancient Italy, if not more selfish, were certainly less gallant than their successors. In addition to this, Vitruvius expressly enjoins that the baths of the men and women, though separate, should be contiguous to each other, in order that they might be supplied from the same boilers and hypocaust (5.10); directions which are here fulfilled to the letter, as a glance at the plan will demonstrate. Besides the public baths at Pompeii, there are several very interesting baths of two or three chambers in private houses, which reproduce in a smaller scale many of the peculiarities of the larger baths. Such are to be found in the villa of M. Nonius (Overbeck, op. cit. 247-8), Casa del Fauno (310), the three-storied house (323), the Villa Suburbana (326), and especially the Casa del Laberinto (305). Notwithstanding the ample account which has been given of the plans and usages respecting baths in general, something yet remains to be said about that particular class denominated Thermae; of which establishments the baths in fact constituted only a small part. The thermae, properly speaking, were a Roman adaptation of the Greek gymnasium [GYMNASIUM], or palaestra, as described by Vitruvius (5.11): both of which contained a system of baths in conjunction with conveniences for athletic games and youthful sports; exedraein which the rhetoricians declaimed, poets recited, and philosophers lectured; as well as porticoes and vestibules for the idle, and libraries for the learned. They were decorated with the finest objects of art, both in painting and sculpture, covered with precious marbles, and adorned with fountains and shaded walks and plantations, like the groves of the Academy. It may be said that they began and ended with the empire, for it was not until the time of Augustus that these magnificent structures were commenced. M. Agrippa is the first who afforded these luxuries to his countrymen, by bequeathing to them the thermae and gardens which he had erected in the Campus Martius. (D. C. 54.29; Plin. H. N 36.189.) Recent excavations (1882) have brought to light magnificent remains of these baths, but a careful examination goes far to disprove the belief long entertained that the Pantheon was originally designed to be a part of Agrippa's thermae, probably a colossal laconicum. But it was originally a separate structure; and though the thermae extended to it subsequently, yet no passage was ever broken through. Besides, the Pantheon has no trace of a hypocaust. It was consecrated as a temple to Mars, Venus, and other ancestors of the Gens Julia, probably immediately after its completion in 27 B.C.: see D. C. 63.27. (Middleton, Rome, p. 337.) It appears from a passage in Sidonius Apollinaris (Carm. 23.495), that the whole of these buildings, together with the adjacent Thermae Neronianae, remained entire in the year 466 A.D. The example set by Agrippa was followed by Nero, and afterwards by Titus; the ruins of whose thermae are still visible, covering a vast extent, partly under ground and partly above the Esquiline Hill.4Thermae were also erected by Trajan, Caracalla, Diocletian, and Constantine: besides several which were constructed by private individuals, P. Victor enumerates sixteen, and Panvinius (Urb. Rom. Descript. p. 106) has added four more. There are still ample remains of the thermae of Caracalla and Diocletian. [1.281] Although the custom of seeking the favour of the people by grants of free bathing might lead to the surmise that no fee was exacted from bathers in the imperial thermae, yet it is certain that we find in the literature descriptive of life at Rome constant references to the charge of a quadrans, and none to free bathing. Most, if not all, of the other regulations previously detailed as relating to the economy of the baths, apply equally to the thermae; but it is to these establishments especially that the dissolute conduct of the emperors, and other luxurious indulgences of the people in general, detailed in the compositions of the satirists and later writers, must be considered to refer. Although considerable remains of the Roman thermae are still visible, yet, from the very ruinous state in which they are found, we are far from being able to arrive at the same accurate knowledge of their component parts, and the usages to which they were applied, as has been done with respect to thebalneae; or indeed to discover a satisfactory mode of reconciling their constructive details with the description which Vitruvius has left of the baths appertaining to a Greek palaestra, or to the description given by Lucian of the baths of Hippias. All, indeed, is doubt and guess-work the learned men who have pretended to give an account of their contents differing in almost all the essential particulars from one another. And yet the great similarity in the ground-plan of the three which still remain--namely, those of Titus, Caracalla, and Diocletian--cannot fail to convince even a superficial observer that they were all constructed upon a similar plan. Not, however, to dismiss the subject without enabling our readers to form something Plan of the Thermae like a general idea of these enormous edifices, which, for their extent and magnificence, have been likened to provinces--(in modum provinciarum exstructae, Ammian. 16.6)--a of Caracalla. ground-plan is given of the thermae of Caracalla, which are the best preserved amongst those remaining, and which were perhaps more splendid than all the rest, though those of Diocletian were more extensive. Those apartments of which the use is ascertained, even with the appearance of probability, are alone marked and explained. But for most of these explanations there cannot be claimed more than a bare probability. The dark parts represent the remains still visible; the open lines are restorations. A, Portico fronting the street made by Caracalla when he constructed histhermae.--B and C, small chambers-D, D, and E, E, the [1.282] porticoes. (Vitr. 5.11.)--F, F, Exedrae, in which there were seats for the philosophers to hold their conversations. (Vitruv. l.c.; Cic. de Orat. 3.5, 17.)--G,Hypaethrae, passages open to the air: “Hypaethrae ambulationes quas Graeciπεριδρόμιδας,, nostri xystos appellant.” (Vitruv. l.c.)--H, H, Stadia in the palaestra--quadrata sive oblonga (Vitruv. l.c.), if they were not like I, I, which were possibly academies where public lectures were delivered.--J, J, and K, K, Rooms appropriated to the servants of the baths (balneatores). In the latter are staircases for ascending to the principal reservoir. The spaces between J and K, marked I, I, were probably like I, I, below, lecture rooms or libraries.--L, Space occupied by walks and shrubberies--ambulationes inter platanones.(Vitruv. l.c.)--M, The arena or stadium in which the youth performed their exercises, with seats for the spectators (Vitruv. l.c.), called the theatridium.--N, N, Reservoirs, with upper stories, sectional elevations of which are given in the two woodcuts on p. 283.--O, Aqueduct which supplied the baths.--P, The cistern or piscina. This external range of buildings occupies one mile in circuit. We now come to the arrangement of the interior, for which it is very difficult to assign satisfactory destinations. Q represents the principal entrances, of which there were eight.--R, the natatio, piscina, or cold-water bath, to which the direct entrance from the portico is by a vestibule on either side marked S, and which is surrounded by a set of chambers which served most probably as rooms for undressing (apodyteria), anointing (unctuaria), and stations for the capsarii. Those nearest to the peristyle were perhaps the conisteria, where the powder was kept which the wrestlers used in order to obtain a firmer grasp upon their adversaries:--“Ille cavis hausto spargit me pulvere palmis, Inque vicem fulvae tactu flavescit arenae.” Tepidarium of the Thermae of Caracal- OVID, Met. 9.35. la, restored. (From Middleton.) (See also Salmas. ad Tertull. Pall. p. 217; and Mercurialis, de Art. Gymn. 1.8.) The inferior quality of the ornaments which these apartments have had, and the staircases in two of them, afford evidence that they were occupied by menials. T is considered to be the tepidarium, with four warm baths (U, U, U, U) taken out of its four angles, and two labra on its two flanks. There are steps for descending into the baths, in one of which traces of the conduit are still manifest. Thus it would appear that the centre part of this apartment served as a tepidarium, having a balneum or calda lavatio in four of its corners. The centre part, like that also of the preceding apartment, is supported by eight immense columns. This tepidarium was a splendid room, 170 feet long by 82 feet wide. It is restored in the above cut from existing indications. “It had a groined roof springing from immense columns of granite and porphyry, each surmounted by a short piece of entablature, which merely returns round the capital of the column in the debased fashion of the second and third centuries. The smaller columns on each side were set in front of the recesses containing the warm baths.” (Middleton, p. 361.) [1.283] The apartments beyond this, which are too much dilapidated to be restored with any degree of certainty, contained of course the laconicum and sudatories, for which the round chamber W and its appurtenances seem to be adapted, and which are also contiguous to the reservoirs, Z, Z. (Vitr. 5.11.) ε, ε probably comprised the ephebia, or places where the youth were taught their exercises, with the appurtenances belonging to them, such as thesphaeristerium and corycaeum. The first of these takes its name from the game at ball, so much in favour with the Romans, at which Martial's friend was playing when the bell sounded to announce that the water was ready (Mart. 14.163). The latter is derived from κώρυκος,, a sack (Hesych. sub voce), which was filled with bran and olive husks for the young, and sand for the more robust, and then suspended at a certain height, and swung backwards and forwards by the players. (Aulis, de Gymn. Const. p. 9; Antill. ap. Oribas. Coll. Med. 6.) The chambers also on the other side, which are not marked, probably served for the exercises of the palaestra in bad weather. (Vitr. 5.11.) These baths contained an upper story, of which nothing remains beyond what is just sufficient to indicate the fact. They have been mentioned and eulogized by several of the Latin authors. (Spartian. Caracall. 100.9; Lamprid. Heliogab.100.17, Alex. Sever. 100.25; Eutropius, 8.11; Olymp. apud Phot. p. 114, ed. Aug. Vindel. 1601.) For a full account of the noble proportions and elaborate ornamentation of the several rooms, the reader is referred to Middleton, l.c.,356-369. It will be observed that there is no part of the bathing department separated from the rest which could be assigned for the use of the women exclusively. From this it must be inferred either that both sexes always bathed together promiscuously in the thermae, or that the women were excluded altogether from these establishments, and only admitted to the balneae. It remains to explain the manner in which the immense body of water required for the supply of a set of baths in the thermae was heated, which has been performed very satisfactorily by Piranesi and Cameron, as may be seen by a reference to the two subjoined sections of the castellum aquaeductus andpiscina belonging to the thermae of Caracalla. A, Arches of the aqueduct which conveyed the water into the piscina B, from whence it flowed into the upper range of cells through the aperture at C, and thence again descended into the lower ones by the aperture at D, which were placed immediately over the hypocaust E; the praefurnion of which is seen in the transverse section, at F in the lower cut. There were thirty-two of these cells arranged in two rows over the hypocaust, sixteen on each side, and all communicating with each other; and over these a similar number similarly arranged, which communicated with those below by the aperture at D. The parting walls between these cells were likewise perforated with flues, which served to diffuse the heat all around the whole body of water. When the water was sufficiently warm, it was turned on to the baths through pipes conducted likewise through flues in order to prevent the loss of temperature during the passage, and the vacuum was supplied by tepid water from the range above, which was replenished from the piscina. Of the thermae of Diocletian, built on the Quirinal hill, the largest edifice of the imperial period, which accommodated 3200 bathers, twice as many as those of Caracalla, commenced in A.D. 302 by Maximian in honour of his colleague Diocletian, and dedicated in 305 A.D., we have extensive remains, which, like those of the thermae of Titus, include the cavea of a theatre, while the tepidarium was made by Michel Angelo into the church of S. Maria degli Angeli, about 1565. “Even now this tepidarium forms one of the most imposing interiors in the world; it is about 300 feet long by 92 wide, vaulted in three bays with simple quadripartite groining, which springs from eight monolithic columns of Piscina and Castel- Egyptian granite about 50 feet high and 5 feet in diameter” (Middleton, op. cit.371). The lum of the Aquae- vestibule of the church was the laconicum of the baths: it is a circular domed hall, which ductus of the Ther- originally had a circular opening in the centre of the dome. mae of Caracalla. Remains of the thermae of Constantine, built only a few years after those of Diocletian, existed in the sixteenth century (see Palladio, plate xiv.), but have been mostly cleared away to obtain sites for Italian palaces. The most important works on the subject are--Baccius, de thermis veterum(Graevii Thes. xii. pp. 279-379); Ferrarius, de balneis (Polnei Thes. 3.297-310); Montfaucon, Antiq. expl. iii. pp. 201-12; Palladio, Le Terme dei Romani,ed.. Scamozzi; Cameron, The Baths of the Romans; Stieglitz, Archaeologie der Baukunst, iii. pp. 241-76; Hirt, Geschichte der Baukunst, iii. pp. 233-36; Canina, L'architettura Romana, i. ch. ix.; Bussemaker et Daremberg, Œuvres d'Oribase, 2.865-75; Bechi in Mus. Borbonico, 2.49-52; Gell, Pompeiana,chapters vi., vii.;. Saglio, Dict. des Antiquit‰s, 1.648-664; Guhl and Koner, Das Leben der Griechen und Rƒmer, ed. 1876, especially pp. 491-503, 655-660; Overbeck, [1.284] Pompeii, 174-190 for the old baths, 190-207 for the Stabian baths; Nissen, Pompeianische Studien, chaps. v., vi., vii.; Becker's Gallus, ed. Gƒll, 3.104-57; Marquardt, Privatleben der Rƒmer, 1.262-88, who gives in the notes to p. 269 references to descriptions of the most interesting remains of ancient baths now extant; J. H. Middleton, Ancient Rome in 1885, ch. xi., who gives the results of the latest excavations and valuable information as regards the materials used in the building and other architectural peculiarities of the great Roman thermae. 1 Balnea is, however, used in the singular to designate a private bath in an inscription quoted by Reinesius. (Inscr. 11.115.) 2 Piscina is a general word for a large basin either of cold or warm (see p. 277 a) water, into which bathers could plunge (Sen. Ep. 56, 2) or swim about (Plin. Ep. 2.17.11). It is therefore synonymous with the natatorium(-ia) ornatatio, and the baptisterium of Sidonius Apollinaris. (Ep. 2.2; cf. Plin. Ep. 1. c. and 5.6.25.)3 It was also called alabastrum, ampulla, λήκυθος, μυροθήκιον, ἐλαιοφόρον.(Ruperti, ad Juv. Sat. 3.262.) [AMPULIA.]4 The celebrated group of Laocoon and his sons, now in the Vatican, were found in the ruins of the thermae of Titus.A Dictionary of Greek and Roman Antiquities. William Smith, LLD. William Wayte. G. E. Marindin. Albemarle Street, London. John Murray. 1890. Vai alla traduzione automatica ( e molto approssimativa) William Smith, DCL, LL.D.:Un dizionario di antichit€ greche e romane, John Murray, London, 1875. Nota : La traduzione • stata fatta in modo automatico, per cui risulta spesso molto approssimativa. Testo originale Balneae, Balineae, Balneum, Balineum, Thermae (ἀσάμινθος, βαλανεῖον, λοετρόν, λουτρόν). Queste parole sono tutte comunemente tradotte con il nostro termine generale di vasche da bagno, anche se i migliori e più recenti autori fanno una certa distinzione.. Balneum o balineum, deriva dal greco βαλανεῖον ( Varrone, De Ling. Lat. IX. 68 , ed. M¤ller), significa, nel suo senso primario, una sorta di vasca da bagnodel tipo di quelle che la maggior parte delle persone tra i romani possedevano in casa loro (Cic. ad Att. II .3) , e quindi la camera che conteneva la vasca da bagno (Cic. ad fam. XIV .20) , che • anche la traduzione corretta della parola balnearium. Il diminutivo Balneolum viene adottato da Seneca (Ep. 86) per designare la stanza da bagno di Scipione, nella villa di Liternum, ed • espressamente utilizzato per caratterizzare la modestia dei costumi repubblicani rispetto al lusso dei suoi tempi. Ma, quando i bagni dei privati diventarono pi‡ sontuosi, e composti da molte stanze, al posto della piccola camera descritta da Seneca, il Balnea plurale o balinea • stata adottata, che ancora, in un linguaggio corretto, aveva solo riferimento ai bagni di privati . Cosƒ Cicerone termini i bagni alla villa di Quinto suo fratello (Ad Q. Frat. III.1 ¥ 1) Balnearia. balneae e balineae, che secondo Varrone (De Ling. Lat. 0,25 VIII , IX 0,41 , ed. M¤ller) non hanno alcun numero singolare, uno erano i bagni pubblici. Cosƒ Cicerone (Pro Cael. 25) parla di Senias balneas, publicas balneas, e nel vestibolo p184 balnearum (Ib. 26), Aulo Gellio ( III 0,1 , 0,3 X ) del balneas Sitias. Ma questa precisione di dizione • trascurato da molti scrittori successivi, e in particolare dai poeti, tra i quali Balnea non • insolitamente usato al plurale per indicare i bagni pubblici, in quanto la balneae parola non poteva essere introdotto in un esametri. Anche Plinio, nella stessa frase, fa uso del plurale neutro Balnea per pubblico e di balneum per un bagno privato (Ep. II, 0,17) . Terme (θέρμαι, sorgenti termali) significava Warm Springs correttamente, o bagni di acqua tiepida , ma • venuto per essere applicato a quei magnifici edifici che si svilupp‰ sotto l'impero, in luogo della semplice balneae della repubblica, e che comprende all'interno del loro areale di tutte le pertinenze degli edifici appartenenti al ginnasio greco, cosƒ come un normale stabilimento assegnare alle balneazione (Juv. sab VII 0,233) . Scrittori, tuttavia, l'uso dei termini, senza distinzione. Cosƒ i bagni eretto da Claudio Etrusco, il liberto dell'imperatore Claudio, sono decorate da Stazio (Sylv. I .5.13) Balnea, e da Marziale (VI 0,42) thermulae Etrusci. In un epigramma di Marziale (IX 0,76) - Thermis balneum subice - i termini non vengono applicati a tutto l'edificio, ma a due differenti camere nell'edificio stesso. Bagni Romani. I Romani, nei periodi precedenti della loro storia, usato il bagno, ma raramente, e solo per la salute e la pulizia, non come un lusso. Cosƒ apprendiamo da Seneca (Ep. 86) che gli antichi Romani si lavavano le gambe e le braccia ogni giorno, e tutto il corpo bagnato una volta alla settimana (cfr. cat. De Lib. Educ. App. Non. Ephippium III sv; Colum. R . R. Io 0,6 ¥ 20 ). uno Non • registrato in quale preciso periodo l'uso del bagno caldo • stato introdotto tra i romani, ma sappiamo da Seneca (LC) che Scipione aveva un bagno caldo nella sua villa di Liternum, che, tuttavia, era del tipo pi‡ semplice , costituiti da una camera singola, appena sufficiente per gli scopi necessari, e senza pretese di lusso. E 'stato "piccolo e scuro", dice "alla maniera degli antichi". Seneca anche p186 descrive i bagni pubblici come oscura et gregali tectorio inducta, e cosƒ semplice nella loro dispositivi di cui il edile giudicato della temperatura adeguata da parte le sue mani. Questi erano bagni di acqua tiepida, ma la pratica di riscaldamento di un appartamento con l'aria calda da canne fumarie collocato immediatamente sotto di essa, in modo da produrre un bagno di vapore, è riportata da Valerio Massimo (IX 0,1 § 1) e da Plinio ( Plin. H. N. IX 0,54 S79 ) di essere stato inventato da Sergio Orata, vissuto nell'età di L. Crasso, l'oratore, prima della guerra Marsic. L'espressione usata da Valerio Massimo è pensilia Balnea, e da Plinio balineas pensiles, che è spiegata in modo diverso dai commentatori diversi, ma un unico sguardo al di sotto dei piani inserita sarà sufficiente per comprendere il modo in cui la pavimentazione delle camere è stata sospeso sopra le celle vuote della ipocausto, chiamato da caldariorum suspensura Vitruvio (V 0,11) , in modo da non lasciare dubbi circa il significato preciso dell'invenzione, che è più pienamente esemplificato nel seguente passo di Ausonio (337 Mosell. ) : crepidine fumant "Quid (memorem) quae sulphurea substructa Balnea, ferventi cum Mulciber haustus Operto, Vovit anhelatas tettoria per Cava flammas, glomerans Inclusum vaporem exspirante aestu? " Con il tempo di Cicerone, l'uso di bagni, sia pubblici che privati, di acqua calda e aria calda, era diventato generale (Epist. ad Q. Frat. III 0,1), e veniamo a sapere da uno dei suoi discorsi che non vi erano già bagni (balneas Senias) a Roma, che erano aperte al pubblico dietro pagamento di una piccola somma (Pro Cael. 25, 26). In epoche precedenti della storia di Roma una maggiore delicatezza molto è stato osservato per quanto riguarda la balneazione, anche tra gli uomini, 07was consueto presso i Greci, perché secondo Valerio Massimo (II .1 § 7) si è ritenuto indecente per un padre a fare il bagno in compagnia di suo figlio dopo che aveva raggiunto l'età della pubertà, o di un genero con il padre-in-law (cfr. Cic. De Off. I 0,35 , De Orat. II, 0,55 ). Ma la virtù è morto come una maggiore ricchezza e, quando le terme entrò in uso, non solo gli uomini fare il bagno insieme in numeri, ma anche uomini e donne nudi e bagnati promiscuamente nello stesso bagno. E 'vero, tuttavia, che gli enti pubblici che spesso contenevano bagni separati per entrambi i sessi adiacenti gli uni agli altri ( Vitruv. V 0,10 ; Varrone, De Ling. Lat. IX 0,68 ), come si vedrà di essere stato il caso in i bagni di Pompei. Aulo Gellio (X 0,3), racconta una storia di moglie del console che ha preso un capriccio di fare il bagno a Teanum (Teano), una provincia piccola città della Campania in uomini bagni la (balneis virilibus), probabilmente, perché in una piccola città, la femmina reparto, come quella di Pompei, è stata più limitata e meno conveniente di quello assegnato agli uomini; e di un ordine è stato quindi dato al questore M. Mario, a sua volta gli uomini fuori. Ma se gli uomini e donne sono stati autorizzati ad utilizzare le rispettive camere di indiscriminatamente, o che alcuni degli istituti pubblici era solo un insieme comune di bagni per entrambi, il costume prevalso sotto l'impero di uomini e donne al bagno insieme indiscriminatamente ( Plin. H. N. XXXIII 0,12 S54) . Questa usanza è stata proibita da Adriano (Spart. Hadr. C18) , º e da M. Aurelio Antonino (Capitolin. Anton. C23) , e Alessandro Severo vietata qualsiasi terme, comune a entrambi i sessi (Balnea mixta), di essere aperto a Roma (Lamprid. Alex. Sev. C24) . Quando i bagni pubblici (balneae) sono stati istituiti, b erano solo per le classi inferiori, che solo bagno in pubblico, il popolo della ricchezza, così come quelli che formavano la senatorio e gli ordini equestri, utilizzato bagni privati nelle proprie case . Ma già ai tempi di Giulio Cesare troviamo nientemeno che un personaggio della madre di Augusto avvalendosi delle strutture pubbliche (Suet. agosto 94) , e in processo di tempo, anche gli imperatori si bagnava in pubblico con il più vile di il popolo ( Spart. Hadr. c17 ; Trebell. Pollio, De Gallien. duob. c17 ). I bagni sono stati aperti all'alba e chiusi al tramonto, ma al tempo di Alessandro Severo, sembrerebbe che sono stati tenuti aperti quasi tutta la notte (Lamp. Alex. Sev. Lc). L'allusione a Giovenale (Balnea Nocte Subit, sab VI 0,419 ) probabilmente si riferisce ai bagni privati. Il prezzo di un bagno è stato un quadrante, la più piccola moneta d'argento coniato, a partire dall'età di Cicerone verso il basso ( Cic. Pro Cael. 26 ; Hor. sab ho .3.137 ; JUV. sab VI 0,447 ), che fu pagato per il custode del bagno (balneator), e quindi è chiamato da Cicerone, nel discorso appena citato, permutatio quadrantaria, e da Seneca (Ep. 86) res quadrantaria. I bambini al di sotto di una certa età sono state ammesse in franchigia (Juv. sab II, 0,152) . Sconosciuti, anche, e gli stranieri sono stati ammessi ad alcune delle terme, in caso contrario a tutti, a titolo gratuito, come apprendiamo da una iscrizione trovata a Roma, e citata da Pitiscus (Lex Antiq.) L. Octavio. L. F. CAM. Rufo. TRIB. MIL........ QUI LAVATIONEM GRATUITAM MUNICIPIBUS, INCOLIS HOSPITIBUS ET ADVENTORIBUS. I bagni sono stati chiusi quando una disgrazia è successo alla Repubblica (Fabr. descr. Urb. Rom. C18), e Svetonio dice che l'imperatore Caligola ha reso un reato capitale per concedersi il lusso di balneazione su ogni festa religiosa (Ib.) Essi sono stati inizialmente posto sotto la Soprintendenza per i edili , il cui compito era quello di tenerli in riparazione, e vedere che sono stati tenuti puliti e di una temperatura adeguata (Ib., Sen. Ep 86. ) Nelle province il dovere stesso sembra essere attribuite al questore, come si può dedurre dal brano già citato da Aulo Gellio (X 0,3) . Il tempo di solito assegnato dai Romani per prendere il bagno era l'ora ottava, o poco dopo (Mart. Ep. 0,48 X , XI 0,52 ). Prima di questo tempo, ma nessuno invalidi sono stati autorizzati a fare il bagno in pubblico (Lamprid. Alex. Sev. 24) . c Vitruvio calcola le ore più adatte per la balneazione sia da mezzogiorno al tramonto su (V 0,10) . Plinio ha preso il bagno alla nona ora in estate, e l'ottava in inverno (Ep. III 0,1, 8) ; e Marziale parla di prendere un bagno quando si è stanchi e affaticati, alla decima ora, e anche più tardi (Epig. III 0,36 , X 0,70 ). Quando l'acqua era pronta e le terme preparati, era stata annunciata dal suono di una campana thermarium AES (Mart. Ep. XIV 0,163) . Una di queste campane, con l'iscrizione BALNEATORIS FIRMI, è stato trovato nel Diocletianae terme, nell'anno 1548, ed è entrato in possesso del dotto Fulvio Ursino (Append. annuncio Ciaccon. De Triclin.) Mentre il bagno è stato utilizzato solo per la salute o la pulizia, uno solo è stato ritenuto sufficiente p187 alla volta, e che solo quando necessario. Ma il lusso dell 'impero non conosceva limiti tali, e il bagno quotidiano è stato a volte ripetuto ben sette e otto volte di seguito - il numero che l'imperatore Commodo stesso con lo spettacolo (Lamprid. Com. C11) . Gordiano bagnata sette volte al giorno in estate, e due volte in inverno. L'imperatore Gallieno sei o sette volte in estate, e due o tre volte in inverno (Capitolin. Gallo. C17) . Commodo ha anche preso i suoi pasti nella vasca da bagno (LC Lamprid.), una consuetudine che non è stata limitata a un dissoluto imperatore solo (cfr Marziale, Epig. XII 0,19 ). E 'stata la solita e costante abitudine dei romani a prendere il bagno dopo gli 'esercizio e in precedenza per il pasto principale (coena), ma i debosciati dell'impero bagno dopo aver mangiato cosƒ come in precedenza, al fine di favorire la digestione, in modo da acquisire un nuovo appetito per il pesce fresco. Nerone • tra quelli considerati abitudinari di questa pratica ( sugna. Nero, 27 , cf. JUV. sab Ho 0,142 ). Su uscita dal bagno era usuale per i romani cosƒ come i Greci di essere unti con l'olio, ma una particolare abitudine di corpo, o la tendenza a certe denunce, a volte prescritto, questa, per essere invertito, per cui Augusto, che soffriva di disturbi nervosi, • stato abituato a ungere se stesso prima di balneazione (Suet. agosto 82) , e una pratica simile • stata adottata da Alessandro Severo (Lamprid. Alex. Sev. lc). La prassi pi‡ abituale, tuttavia, sembra essere stato quello di prendere qualche ginnastica dolce (Exercitatio), in prima istanza, e poi, dopo il bagno, per essere unto o al sole, o in camera tiepida o termica, e infine a prendere il loro cibo. I romani non si accontentano di un bagno unico di acqua calda o fredda, ma hanno passato con un corso di bagni in successione, in cui l'agenzia di aria e acqua • stato applicato. E 'difficile stabilire l'ordine esatto in cui il corso • stato di solito presa, se davvero ci fosse una qualsiasi pratica generale al di l€ del capriccio del singolo. Sotto il trattamento medico, la successione sarebbe, ovviamente, essere disciplinati dalla natura della malattia per la quale • stata chiesta una cura, e sarebbe anche variare a seconda della differente prassi di medici diversi. E 'certo, tuttavia, che si trattava di una prassi generale di chiudere i pori, con bretelle corpo dopo la sudorazione eccessiva del bagno di vapore, o versando acqua fredda sulla testa, o mediante immersione in una sola volta in piscina, o in un fiume (Auson. Mosell. 341) . Musa, il medico di Augusto, si dice che hanno introdotto questa pratica (Plin. H. N. XXV 0,7 S38) , che divenne molto di moda, in conseguenza della prestazione di cui l'imperatore che ne derivano, anche se Dion (LIII. p517) Musa accusa di aver artatamente provocato la morte di Marcello con l'applicazione impropria di un medesimo trattamento. In altri casi si • ritenuto favorevole alla salute per versare l'acqua calda sopra la testa prima del bagno di vapore, acqua fredda e subito dopo ( Plin. H. N. XXVIII 0,4 S14 ; Cels. De Med. I 0,3 ), e altre volte, un susseguirsi di acqua calda, tiepida, e il freddo si ricorreva. I due medici Galeno e Celso si differenziano per alcuni aspetti, come l'ordine in cui i bagni dovrebbero essere prese, il primo prima di raccomandare l'aria calda del Laconicum (ἀέρι θερμῷ), poi il bagno di acqua calda (ὑδωρ θερμὸν e λοῦτρον 2 ) , poi il freddo e, infine, di essere ben strofinato (Galeno, De metodologiche Medendi, X 0,10 p708, 709, ed. K¤hn) mentre il secondo consiglia il suo paziente, a sudare per un breve periodo nella camera tiepido (tepidarium) , senza spogliarsi, poi di procedere nella camera termica (calidarium), e dopo aver attraversato un corso regolare di sudore lƒ, per non scendere nella vasca da bagno caldo (solium), ma a versare una quantit€ di acqua calda sulla testa, poi tiepido, freddo e infine, e in seguito di essere raschiata con la strigile (perfricari) e, infine, strofinato asciutto e unto (Cels. De Med. I 0,4) . Questi, con ogni probabilit€, • stata la solita abitudine dei Romani quando il bagno • stato fatto ricorso p188 come una fonte quotidiana di piacere, e non per cure mediche particolari; tanto pi‡, in quanto assomiglia sotto molti aspetti il sistema di balneazione, in pratica, ancora tra gli orientali, che, come osserva Sir W. Gell, "sono riusciti con conquista per i lussi dei Greci e dei Romani snervati "(Gell di Pompei, vol. P86 I, ed. 1832). Avendo cosƒ dettagliata da parte delle autorit€ classiche abitudini generali dei romani in relazione al loro sistema di balneazione, resta ora ad esaminare e spiegare le disposizioni interne delle strutture che conteneva i loro bagni, che servir€ come un commentario pratico di tutti che • stato ha detto. In effetti ci sono pi‡ ampie e migliori materiali per l'acquisizione di una conoscenza approfondita costumi romani in questo particolare, quelli di qualsiasi altro degli usi connessi al loro abitudini domestiche. L'antica autorit€ principali sono Vitruvio (V 0,10) , Lucian (Ἱππίας ἢ βαλάνειον, una descrizione dettagliata di un insieme di vasche eretto da un architetto di nome Ippia), Plinio il Gio- vane, nelle due lettere che descrive le sue ville ( II 0,17 , 0,6 V ), Stazio (Balneum Etrusci, Silv. 1.5) , Marziale ( 0,42 VI , epigrammi e altro), Sidonio Apollinare (Epist. II .2), e Seneca (Epist. 51 , 56 , 86 ). Ma sarebbe quasi senza speranza per tentare di organizzare le informazioni ottenute da questi scrittori, se non fosse per l'aiuto offerto a noi dalle rovine di antichi bagni ampi, come le Terme di Tito, Caracalla e Diocleziano, ma soprattutto il pubblico bagni (balneae) a Pompei, che sono state scavate nel 1824-1825, e sono risultate essere un set completo, costruito in tutte le loro parti importanti su regole molto simili a quelle stabilite da Vitruvio, e in buona conservazione che molte delle camere erano complete, anche per i massimali. Al fine di rendere le osservazioni soggiunse più facilmente comprensibili, la xilografia nella pagina precedente è inserita, che è tratto da un affresco dipinto sulle pareti delle terme di Tito a Roma. La xilografia allegata rappresenta la pianta delle terme di Pompei, che sono quasi circondata su tre lati da case e negozi, formando quello che i romani chiamato un'insula. L'intero edificio, che comprende un doppio set di bagni, ha sei ingressi diversi dalla strada, uno dei quali A , d€ accesso alla serie solo pi‡ piccoli, che si suppone siano stati stanziati per le donne, e altri cinque per il maschio dipartimento, di cui due, B e C , comunicare direttamente con i forni, e gli altri tre D , E , F , con gli appartamenti di balneazione, di cui F, la pi‡ vicina al forum, • stata la principale, gli altri due, D ed E, essendo su lati diversi dell'edificio, serviva per la convenienza di coloro che vivevano sui lati nord ed est della citt€. Per avere una variet€ di ingressi (ἐξόδοις πολλαῖς τεθυρωμένον) • una delle qualit€ enumerate da Lucian, se necessario, ad un ben costruito insieme di vasche da bagno (Ippia, 8). Passando attraverso la F ingresso principale, che viene rimosso dalla strada da un marciapiedi stretto che circonda l'insula (il cordolo esterno del quale • segnato sul piano dalla linea sottile disegnato intorno ad esso), e dopo scendendo tre gradini, il bagnante trova su la mano sinistra una piccola camera ( 1 ), che conteneva una convenienza (latrina 3 ) e procede in un portico coperto ( 2 ), che correva sui tre lati di una corte aperta - atrio ( 3 ), e questi insieme formarono il vestibolo delle terme - balnearum vestibulum (Cic. Pro Cael. 26) , in cui i servi della sede, cosƒ come gli assistenti dei bagnanti, in attesa. Ci sono posti per la loro sistemazione p189 posto sotto il portico ( a, a ). Questo comparto risponde esattamente alla prima, che viene descritto da Lucian (lc 5). All'interno di questo tribunale il custode dei bagni (balneator), che esigeva il quadrante pagato da ogni visitatore, • stato anche di stanza, e la scatola per contenere il denaro • stato trovato in essa. La stanza ( 4 ), che corre di nuovo dal portico, avrebbe potuto essere stanziati a lui, oppure, in caso contrario, potrebbe essere stato un oecus o esedra , per la convenienza delle classi meglio, in attesa del ritorno dei loro conoscenti dalla interno, nel qual caso corrisponde con le camere di cui da Lucian (lc 5), adiacente ai dipendenti 'in attesa del posto (ἐν ἀριστερᾷ δὲ τῶν ἐς τρυφὴν παρεσκευασμένων οἰκημάτων). In questa corte allo stesso modo, come il luogo pi‡ pubblico, la pubblicit€ per il teatro, o di altre comunicazioni di interesse generale, sono stati affissi, di cui uno, che annuncia uno spettacolo di gladiatori, rimane ancora. ( 5 ) • il corridoio che conduce dalla posta all'ingresso, nel vestibolo stesso. ( 6 ), una piccola cellula di uso simile a quella corrispondente nel corridoio di fronte (1). ( 7 ) Un passaggio di comunicazione che conduce nella camera ( 8 ), il frigidarium, che fungeva anche da apodyterium o spoliatorium, una stanza per spogliarsi; e che • accessibile anche dalla strada per la porta D, attraverso il corridoio ( 9 ), in cui una piccola nicchia • osservabile, che probabilmente serviva per la stazione di un altro balneator, che ha raccolto il denaro da coloro che entrano dalla strada nord. In questa stanza tutti i visitatori devono avere incontrato prima di entrare nell 'interno dei bagni, e le sue localit€, cosƒ come altre caratteristiche tipiche dei suoi accessori in su, non lasciano spazio a dubbi sul fatto che serviva come sala spogliarsi. Non sembra che ogni regola generale di costruzione • stata seguita dagli architetti dell'antichit€, per quanto riguarda la frazione e la temperatura pi‡ adatte per un apodyterium. La parola non • menzionata da Vitruvio, n‹ espressamente da Lucian, ma lui dice che ci basta per dedurre che appartenesse al frigidarium nei bagni di Ippia (lc 5). "Dopo aver smesso l'ultimo appartamento ci sono un numero sufficiente di camere per i bagnanti a svestirsi, al centro dei quali • un oecus contiene tre bagni di acqua fredda. " Plinio il giovane dice che l'apodyterium in una sua villa proprio adiacente il frigidarium (Ep. 0,6 V) , ed • chiaro da un passo gi€ citato, che l'apodyterium era un appartamento calda nei bagni appartenenti alla villa di Cicerone Quinto (ASSA in alterum apodyterii angulum promovi, fratello), alla quale la temperatura Celso assegna anche. Nelle terme a Roma il caldo e il freddo dipartimenti avevano probabilmente ciascuno un apodyterium separato collegato ad esso, o in caso contrario, il piano terreno • stato sistemato in modo che un apodyterium sarebbero contigui, e per i due, o entrambi, ma dove lo spazio e mezzi erano circoscritte, come nella piccola citt€ di Pompei, • pi‡ ragionevole concludere che il frigidarium servito come apodyterium per coloro che si sono limitati a bagni freddi, e il tepidarium per coloro che hanno iniziato le loro abluzioni negli appartamenti caldo. I bagnanti erano tenuti a togliersi le vesti in apodyterium, non essendo consentito di entrare verso l'interno, a meno nudo (Cic. Pro Cael. 26) . Sono stati poi consegnati ad una classe di schiavi, chiamati capsarii (da capsa, il caso in cui i bambini piccoli per condurre i loro libri alla scuola), il cui compito era di prendere in carico di loro. Questi uomini erano noti per disonest€, e lega con tutti i ladri della citt€, in modo che essi conniventi a rapine sono stati messi lƒ per impedire. Da qui l'espressione di Catullo - O balneariorum optume furum! (Carm. xxxiii.1) e Trachilo nel Rudens di Plauto (II .33.51) , si lamenta amaramente della loro furfanteria, la quale, nella capitale, • stata effettuata a un tale eccesso che leggi molto severe sono state adottate nei loro confronti, il reato di furto nei bagni fatti un reato capitale. Per tornare nella stessa camera - • a volta e spaziosa, con sedili di pietra lungo due lati del muro ( b, b ), e un passo per i piedi al di sotto, leggermente rialzato da terra (pulvino et gradus, Vitruv. 0,10 V ). I fori sono ancora visibili nei muri, che potrebbe aver prestato servizio per pioli su cui i capi erano appesi quando decollato. Era illuminata da una finestra chiusa con il vetro, e ornati di stucchi e dipinta di giallo. Un disegno in sezione di questo interno • contenuta Sir W. Gell 's Pompei. Ci sono non meno di sei porte a questa camera, uno ha portato alla posta all'ingresso, l'altro per l'ingresso D, terzo per la piccola stanza (11), quarto ai forni, un quinto per l'appartamento tiepido, e la sesta aperta sul bagno freddo ( 10 ), nominato indifferentemente dagli autori antichi, natatio, Natatorium, piscina, baptisterium 4 , puteus, λοῦτρον. Il bagno, rivestito in marmo bianco, • di 12 piedi 10 pollici di diametro, e circa 3 metri di profondit€, e ha due gradini di marmo per facilitare la discesa in esso, e un sedile che lo circonda alla profondit€ di 10 centimetri dal fondo , al fine di consentire ai bagnanti di sedersi e lavarsi. Le ampie dimensioni di questo bacino ci spiega che cosa intendeva quando Cicerone scriveva - voluissem piscinam Latiorem, Ubi jactata offenderentur non brachia. E 'probabile che molte persone si accontentavano di un bagno freddo solo, invece di passare attraverso il corso di sudore in grave gli appartamenti caldo, e come il frigidarium sola potrebbe avere avuto alcun effetto nei bagni come questi, dove solo serviti come un apodyterium, la natatio, deve essere sottoposto a quando si dice che in un periodo di bagni freddi erano in tale richiesta, che appena qualche altri sono stati utilizzati (Gell di Pompei, lc) Vi • una piattaforma, o ambulatoriali (schola, Vitruv. V 0,10 ), intorno alla vasca, anche di marmo, e quattro nicchie dello stesso materiale disposti ad intervalli regolari, intorno alle pareti, con piedistalli , probabilmente per statue, poste in loro. 5 , il soffitto • a volta, e la camera illuminata da una finestra al centro. La xilografia allegata rappresenta un frigidarium con il suo bagno freddo (puteus, Plin. Ep. 0,6 V ) a un'estremit€, avrebbe formato una parte della villa Formian di Cicerone, alla cui et€ lo stile di P190 costruzione e l'uso del semplice ordine dorico, senza dubbio appartengono. La stessa vasca, in cui l'acqua continua a scorrere da una sorgente vicina, • posta sotto l'alcova, e le due porte su ogni lato aperto in piccole camere, che probabilmente serviva da apodyteria. E 'ancora da vedere nei giardini della Villa Caposeli, a Mola di Gaeta, il sito della Formiae antica. Nel bagno freddo di Pompei l'acqua scorreva nel bacino attraverso un becco di bronzo, e fu portato via di nuovo attraverso un condotto sul lato opposto. Si • inoltre dotata di un tubo di rifiuti sotto il margine per evitare che si esegue sopra. No. 11 • una piccola camera sul lato opposto del frigidarium, che potrebbe aver prestato servizio per rasatura (tonstrina), o per mantenere o unguenti strigiles; mentre dalla parte del frigidarium, il bagnante, che ha intenzione di andare attraverso il processo di fare il bagno caldo e sudorazione, • entrato in ( 12 ), il tepidarium. Questa camera non conteneva l'acqua sia a Pompei o alle Terme di Ippia, ma era semplicemente riscaldati con aria calda di una temperatura gradevole, al fine di preparare il corpo per il gran calore del vapore e bagni caldi, e, al ritorno, a scongiurare il pericolo di un passaggio troppo brusco all'aria aperta. Nelle piscine di Pompei questa camera serviva pure come apodyterium per chi ha il bagno tiepido, per le quali i raccordi up sono evidentemente adeguate, le pareti sono divise in una serie di compartimenti separati o incavi per ricevere le vesti quando tolto, da una serie di figure del genere chiamato telamoni o atlanti, che proiettano dalle pareti, e supportare un ricco cornicione sopra di loro. Una di queste divisioni, con i telamoni, • rappresentata nell'articolo di atlanti . Due banchi di bronzo sono state rinvenute anche nella stanza, che era riscaldata e dalla sua contiguit€ al ipocausto della camera adiacente, come da un braciere di bronzo ( foculus ), in cui le ceneri di carbone erano ancora presenti quando lo scavo • stato fatto. Una rappresentazione di esso • dato in xilografia in allegato. Tutta la sua lunghezza era • sette piedi, e la sua larghezza • due piedi e sei pollici. Oltre a questo servizio non ci pu‰ essere dubbio che questo appartamento • stato utilizzato come deposito per unguenti e una stanza per unzione (ἀλειπτήριον, unctuarium, elaeothesium), il luogo giusto per le quali • rappresentato da Luciano (LC) come adiacente al tepidarium , e da Plinio (Ep. II, 0,17), in quanto adiacente al ipocausto, e che a tal fine alcune delle nicchie tra i telamoni sembrano essere appositamente allestiti. Negli istituti pi‡ grandi una camera separata • stato assegnato a questi fini, come si pu‰ vedere facendo riferimento al disegno tratto dalle Terme di Tito, ma siccome non esiste un altro luogo all'interno del circuito delle terme pompeiane che potrebbe essere applicata nello stesso modo, possiamo tranquillamente concludere che gli abitanti di questa citt€ sono state unte nel tepidarium, quali il servizio • effettuato da servo, di nome e unctores aliptae. [ Aliptae ]. A tal fine, la gente comune usato l'olio, a volte profumata, ma le classi pi‡ ricche il pi‡ grande spettacolo di stravaganza per quanto riguarda i loro profumi e unguenti. Questi si sia procurato dalla elaeothesium dei bagni, o portato con loro in bottiglie di vetro di piccole ampolle oleariae, centinaia dei quali sono stati scoperti in diversi scavi effettuati in varie parti d'Italia. [ ampolla .] Il quinto libro di Ateneo contiene un ampio trattato sulle numerose specie di unguenti dai Romani; cui soggetto • interamente trattata da Plinio (N. H. XIII) . Caligola • menzionato da Svetonio (Suet. Cal. 37) abbia inventato un nuovo lusso per l'uso del bagno, per profumare l'acqua, sia calda o fredda, da una infusione di odori preziosi, o come afferma Plinio (LC), con l'unzione delle pareti con unguenti preziosi, una pratica, egli aggiunge, che • stata adottata da uno degli schiavi di Nerone, che il lusso non pu‰ essere limitato alle royalty (ne Principale videatur hoc bonum). Da questo appartamento, una porta, che ha chiuso con il suo stesso peso, per impedire l'ingresso di aria pi‡ fredda, ha aperto in n ° 13 , la camera termica o sudatio concamerata di Vitruvio (V 0,11) , e che, in stretta conformit€ a le sue indicazioni, contiene il bagno caldo - Balneum, o calda lavatio (LC Vitruv.), in una delle sue estremit€, e il bagno di vapore semicircolare, o Laconicum alle altre; mentre lo spazio centrale tra le due estremit€, chiamato da sudatio Vitruvio (lc), e sudatorium da Seneca, • esattamente il doppio della lunghezza della sua larghezza, secondo le indicazioni di Vitruvio. L'oggetto in modo da lasciare lo spazio tra il bagno caldo e il laconicum era quello di dare spazio per gli esercizi ginnici delle persone all'interno della camera, che erano abituati a promuovere un flusso totale di sudore da movimenti rapidi delle braccia e delle gambe, o da sollevamento pe- si (Juv. sab VI 0,420) . Nelle grandi stabilimenti le comodit€ contenuti in questo appartamento occupato due celle separate, una delle quali era destinato alle bagno caldo, l'appartamento • stato poi chiamato caldarium, Caldaria cella, o Balneum, e l'altro comprendeva il laconicum e sudatory - sudationesque Laconicum (Vitruv lc), che parte da solo • stato poi designato col nome di sudatio concamerata. d p191 Questa distribuzione • rappresentata nel dipinto sulle pareti delle Terme di Tito, in cui vi • anche un'altra particolarit€ da osservare, vale a dire., il passaggio di comunicazione (intercapedo) tra le due Camere, il pavimento di cui • sospeso su l'ipocausto. Luciano ci informa l'uso per il quale • stato previsto questo comparto, dove si cita come una delle convenienze caratteristico nei bagni di Ippia, che i bagnanti non devono tornare sui loro passi attraverso l'intera suite di appartamenti da cui erano entrati, ma potrebbero di ritorno dalla camera termica da un corto circuito in una stanza di temperatura mite (δι ἠρέμα θερμοῦ οἰκήματος, LC 7), che comunica immediatamente con il frigidarium. Il bagno d'acqua calda, che viene definito lavatio calda da Vitruvio (LC), balineum da Cicerone (ad Att. II .3) , piscina calida piscina o da Plinio (Ep. II, 0,17) e Svetonio (Nero, 27) , cosƒ come labbro come (Cic. ad fam. XIV .20) , ± e solium da Cicerone (in Pison. 27) , sembra essere stato un marmo vaso capiente, a volte in piedi sul pavimento, come quello nella foto dalle Terme di Tito, e talvolta parzialmente sopraelevato rispetto al pavimento, come • stato a Pompei, in tutto o in affondate in essa, come indicato da Vitruvio (V 0,10) . Le sue parole sono queste: - "La vasca (labrum) deve essere posto sotto la finestra, in una posizione tale che le persone che stanno intorno non gettano la loro ombra su di esso. La piattaforma che circonda la vasca da bagno (labrorum scholae) deve essere sufficientemente spazioso per ammettere degli osservatori circostante, che aspettano il loro turno, a stare lƒ senza esclusione di ogni altra. La larghezza del passo o canale (alveus), che si trova tra il parapetto (pluteo), e il muro, non deve essere inferiore a sei metri, in modo che lo spazio occupato dal sedile e le sue gradino sotto (pulvino et gradus inferiore) pu‰ decollare solo • due piedi da tutta la larghezza. "I piani soggiunse data dal Marini, spiegher€ il suo significato. Il bagno caldo a Pompei • un bacino quadrato di marmo, ed • salito dal di fuori da due passi ha sollevato da terra, che hanno risposto al parapetto o pluteo di Vitruvio. Attorno correva una stretta piattaforma (schola), ma che, in conseguenza della misura limitata del palazzo, non ammettono di un seggio (pulvino) tutto intorno. In un altro passo l'interno i bagnanti permesso di sedersi e lavarsi. La sezione allegati render€ questo facilmente intelligibile. Ci rivolgiamo ora a all'estremit€ opposta della camera che contiene il laconicum o bagno di vapore, cosƒ chiamata perch‹ era costume degli Spartani di striscia e ungere se stessi senza l'utilizzo di acqua calda dopo il sudore prodotto dal loro esercizio atletico ( Dion Cass. LIII . p516 , cfr. Marziale, Epig. VI .42.16 ). E 'chiamato assa da Cicerone (Ad Quint. Frat. III.1 § 1), da ἄζω, ad asciugare, perch‹ essa ha prodotto la traspirazione per mezzo di una secca, atmosfera calda; che Celso (III. cap. ULT). conseguenza termini Assas sudatione ", sudorazione secco", che si aggiunge in seguito (II 0,17) ± • stato prodotto da calore secco (Calore Sicco). E 'stato chiamato dal πυριαιτήριον Greci (Voss. Lex. Etim. Sv) dal fuoco di ipocausto, che • stato prorogato in virt‡ di esso, e quindi da Alexander Aphrodis. Ξηρὸν θολόν, "una camera a volta a secco". Vitruvio afferma che la sua larghezza dovrebbe essere uguale alla sua altezza, calcolo della pavimentazione (suspensura) al fondo della Thole (curvaturam imam hemisphaerii p192), oltre al centro della quale • rimasto un foro dal quale uno scudo di bronzo (clipeo) • stata sospesa. Questo regolato la temperatura dell'appartamento, essendo alzato o abbassato per mezzo di catene a cui era collegato. La forma della cella doveva essere circolare, in modo che l'aria calda dal ipocausto potrebbero circondare con maggiore facilit€ (Vitruv. V 0,10) . In conformit€ con tali norme • il laconicum a Pompei, una sezione • riportato nella pagina precedente, il clipeo unico essere aggiunti per rendere il significato pi‡ chiaro. A, Il pavimento sospeso, suspensura; B. sulla diramazione della hemisphaerium con le pareti laterali, ima Curvatura hemisphaerii, C, lo scudo, clipeo, E ed F, mentre le catene con cui viene sollevato e abbassato; D, un labbro, o vaso di marmo piatto, in cui una fornitura di acqua • stato introdotto da un tubo unico che attraversa il gambo. Il suo uso non • accertato esattamente in questo luogo, n‹ se l'acqua che conteneva era calda o fredda. Non sarebbe corretto respingere questo racconto della Laconicum senza alludere a un parere adottato da alcuni scrittori, tra i quali sono Galiano e Cameron, che il laconicum era semplicemente una piccola cupola, con uno scudo di metallo su di esso, passando al di sopra della pavimentazione ( suspensura) della Camera, nel modo rappresentato dal disegno dalle Terme di Tito, che disegno è, senza dubbio, dato luogo al parere. Ma, si osserverà che il progetto in questione è poco più di una sezione, e che l'artista può avere fatto ricorso alla espediente per mostrare l'apparecchio appartenente ad una estremità della camera, come spesso fatto in piani simili, in cui qualsiasi parte che ha richiesto di essere rappresentati su una scala più ampia è inserito in pieno sviluppo all'interno della sezione generale, perché in nessuno dei numerosi bagni che sono stati scoperti in Italia o altrove, anche se i pavimenti erano in uno stato perfetto, ha qualche esempio congegno è stato osservato. Oltre che è manifesto che il clipeo non poteva essere alzato o abbassato nel progetto allude, visto che le catene a tale scopo non si è raggiunto nella situazione rappresentata, o, se raggiunto, non può essere gestita, in quanto devono essere arroventato dal calore della ipocausto in cui sono stati inseriti. In aggiunta ai quali, i resti scoperti coincidono esattamente con le indicazioni di Vitruvio, che questo non lo fa. Per avere un'idea di come la strigile è stato utilizzato, vedere questa foto del Apoxyomenos, una famosa statua in Vaticano, di un atleta di usarlo dopo il bagno. Un po 'più di informazioni archeologiche, tra cui una xilografia di una strigile etrusca, può essere trovato qui , e questa pagina è trovato un altro esempio in Gran Bretagna, si veda anche questo medico nota interessante l'edizione Loeb di Celso. Dopo aver attraversato il corso regolare di sudore, i romani facevano uso di strumenti chiamati strigiles (o strigles, JUV. sab III 0,263 ), per togliere il sudore, tanto nello stesso modo come siamo abituati a raschiare il sudore da un cavallo con un pezzo di cerchio di ferro, dopo aver eseguito un calore, o entra in esercizio da violente. Questi strumenti, alcuni esemplari dei quali sono rappresentati in xilografia precedenti, e molti dei quali sono stati scoperti tra le rovine delle terme vari di antichità, erano fatti di osso, bronzo, ferro e argento, tutti i corrispondenti in forma con l'epiteto di Marziale, "curvo distringere ferro: (Epig. XIV 0,51). Le classi più povere sono stati costretti a raschiare se stessi, ma i più ricchi hanno i loro schiavi ai bagni a tal fine; un fatto che viene chiarito da una storia e curiosità legati da Spartianus (Hadrian. C17) . Il strigile era affatto un corpo contundente, di conseguenza il suo bordo • stata ammorbidita con l'applicazione di olio, che era caduto su di essa da una piccola nave chiamata guttus 6 , che aveva un collo stretto, in modo da svolgere i suoi contenuti goccia a goccia, da cui il nome • preso. Una rappresentazione di una guttus figura in xilografia precedente. Augusto si dice che abbia sofferto di una violenta uso eccessivo di la strigile (Suet. agosto 80) . ± Invalidi e le persone di un delicato abito fatto uso di spugne, che Plinio dice rispose per asciugamani cosƒ come strigili. Sono stati infine asciugati con teli (Lintea), e unto ( JUV. sab III 0,262 ; Apuleio, Met. II ; Plin. H. N. XXXI 0,11 S47 ). La gente comune sono stati forniti con queste cose necessarie nei bagni, ma pi‡ ricchi effettuata proprio con loro (Pers. sab 0,126 V) . Lucian (vol Lexiph.. P320 II, ed. Reiz.) Aggiunge anche il sapone • e asciugamani alla lista. Dopo l'operazione di raschiatura e sfregamento a secco, si ritirarono in, o • rimasto dentro, il tepidarium fino a quando non ha ritenuto prudente incontro all'aria aperta. Ma non sembrano essere state di uso comune per fare il bagno in acqua, quando c'• stato alcuno, che non era il caso di Pompei, n‹ nei bagni di Ippia (Luciano, lc), sia del tepidarium e frigidarium, la temperatura solo l'atmosfera in queste due Camere essere di conseguenza di rompere l'improvviso cambiamento dalla estrema di caldo al freddo. Ritornando indietro nel frigidarium (8), che, secondo le indicazioni di Vitruvio (V 0,11) , ha un passo ( 14 ), comunicando con la bocca del forno (e), che • anche visto nella xilografia prossimo sotto le caldaie, praefurnium chiamato, propnigeum (Plin. Ep. II 0,17) , προπνιγεῖον (da πρό, prima, e πνιγεὺς, di un forno), e tramandare quel passaggio, si raggiunge la camera ( 15 ) in cui i progetti praefurnium, e che ha anche un ingresso dalla strada a B. E 'stato stanziato per l'utilizzo di coloro che avevano il compito di incendi (fornacatores). Ci sono due scale in essa, uno dei quali conduce al tetto dei bagni, e l'altra i rami che conteneva l'acqua. Tra questi vi erano tre: una delle quali conteneva l'acqua calda - caldarium (sc. vas, o ahenum), il il tiepido - tepidarium secondo, e il freddo frigidarium scorso. L'acqua calda • stato introdotto nel bagno caldo per mezzo di un tubo vuoto, segnati sul piano, e condotta attraverso il muro. Sotto il caldarium • stato collocato il forno (furnus, Hor. Ep. I .11.12 ), che serviva per riscaldare l'acqua e fornire i flussi di aria calda nelle cellule cavo della hypocaustum (da ὑπὸ e καίω). Essa p193 passato dal forno sotto il primo e l'ultimo dei calderoni da due canne fumarie, che sono contrassegnati sul piano. Questi poliziotti sono stati costruiti nello stesso modo come • rappresentato nel incisione dalle Terme di Tito, quella contenente acqua calda di essere immessi immediatamente sopra il forno e, come l'acqua • stata estratta da lƒ, • stato fornito dal prossimo, il tepidarium, che era gi€ notevolmente riscaldato dalla sua contiguit€ al forno e l'ipocausto sotto di esso, in modo che essa ha fornito la carenza della ex materialmente senza diminuire la temperatura; e il vuoto in questo ultimo • stato di nuovo riempito da pi‡ lontano, che conteneva l'acqua fredda ricevuta direttamente dal serbatoio di piazza visto dietro di loro, un principio che • finalmente stato introdotto nel moderni stabilimenti balneari, dove la sua efficacia, sia nel risparmio di tempo e di spesa, • pienamente riconosciuto. Le caldaie pi‡ rimanere se stessi, ma le impressioni che hanno lasciato nel mortaio in cui sono stati incorporati sono chiaramente visibili, e ci permettono di conoscere le rispettive posizioni e dimensioni, il primo dei quali, il caldarium, • rappresentata nella allegata taglio. Dietro i rami c'• un altro corridoio ( 16 ), che porta nel cortile o atrio ( 17 ), destinato alle dipendenti del bagno, e che ha anche la comodit€ di una comunicazione immediata con la strada dalla porta di C. Passiamo ora alla serie dei bagni adiacenti, che sono stati assegnati alle donne. L'ingresso • dalla porta A , che conduce in un piccolo vestibolo ( 18 ), e di qui nella apodyterium ( 19 ), che, come quello degli uomini bagno l', ha una sede (pulvino et gradus) su entrambi i lati costruita contro il muro. Si apre su di un bagno freddo ( 20 ), rispondendo alla natatio del set di altri, ma di dimensioni pi‡ ridotte molto, e probabilmente simile a quello espresso da Plinio (LC) puteus. Ci sono quattro passaggi sulla parte interna per scendere in esso. Di fronte alla porta di ingresso in apodyterium • un'altra porta che conduce al tepidarium ( 21 ), che comunica anche con la camera termica ( 22 ), su un lato dei quali • un bagno caldo in una nicchia quadrata, e l'ulteriore estremit€ il laconicum con il suo labbro. Il pavimento di questa camera • sospesa, e le sue pareti perforate per canne fumarie, come quello corrispondente nei bagni degli uomini. La piccolezza e inferiorit€ comparativa dei raccordi-up in questa suite dei bagni ha indotto alcuni antiquari italiani a gettare un dubbio sul fatto del loro essere assegnato alle donne, e tra questi il Abbate Iorio (Plan de Pompei) suggerisce geniale che erano una serie di vecchi bagni, di cui quelle pi‡ grandi sono aggiunti in seguito, quando divenne troppo piccola per la crescente ricchezza e la popolazione della citt€. Ma la storia, gi€ citato, della moglie del console che ha trasformato gli uomini dalle loro bagni di Teanum per la sua comodit€, sembra sufficientemente a negativo una tale supposizione, e per dimostrare che gli abitanti dell'antica Italia, se non di pi‡ egoista, erano certamente meno galante rispetto ai loro successori. Oltre a questo, Vitruvio ingiunge esplicitamente che i bagni degli uomini e delle donne, anche se separata, deve essere contigue tra loro, in modo che essi possano essere forniti dalle stesse caldaie e ipocausto (V 0,10) ; indicazioni che vengono qui adempiuto alla lettera, come uno sguardo al piano dimostrer€. Essa non rientra nell'ambito di applicazione di questo articolo per indagare la fonte da cui, o il modo in cui • stata fornita l'acqua ai bagni di Pompei. Ma si pu‰ osservare che la proposta di Mazois, che ha scritto subito dopo lo scavo • stato avviato, e che • stato copiato da lui, dal curatore dei volumi su Pompei pubblicato dalla Societ€ per la Diffusione della Conoscenza Utile, non • stata confermata da lo scavo, e coloro che sono interessati nella questione pu‰ consultare l'appendice quarto al Plan de Pompei, dal Iorio Abbate. Nonostante l’ ampio resoconto che • stato dato dei piani e degli usi riguardo ai bagni in generale, rimane ancora qualcosa da dire su quella particolare classe denominata Terme, di cui gli stabilimenti dei bagni, in realt€, la pi‡ piccola parte. Le terme, propriamente parlando, erano un adattamento del greco romano palestra, come descritto da Vitruvio (V 0,11) che comprendevano un sistema di vasche predisposte per giochi di atletica e sport giovanile, esedre, in cui i retori declamavano,i poeti recitavano , facevano conferenze i filosofi - cosƒ come c’erano portici e vestiboli per il riposo e librerie per i dotti. Esse sono state decorate con pregevoli oggetti d'arte, sia di pittura che di scultura, rivestite di marmi preziosi, e ornate da fontane e consentivano passeggiate all'ombra nei boschi come quelli dell 'Accademia. Si pu‰ dire che inizi‰ e finƒ con l'Impero, perch‹ non • stato fino al tempo di Augusto che queste magnifiche strutture sono state avviate. Sotto M. Agrippa si ha la prima offerta di questi lussi ai suoi connazionali, con l’apertura delle terme e dei giardini che egli aveva fatto costruire nel Campo Marzio ( Dion Cass. LIV. vol. p759 io , Plin. H. N. XXXVI 0,25 S64 ). Il Pantheon, ora esistente a Roma,era servito originariamente come un vestibolo a questi bagni, e, siccome si • ritenuto troppo imponente per tale scopo, si suppone che Agrippa abbia aggiunto il portico e lo abbia consacrato come un tempio. Risulta da un passaggio in Sidonio Apollinare (Carm. XXIII .495) , che l'insieme di questi edifici, insieme con l'adiacente Thermae Neronianae, • rimasto tutto l'anno AD 466. Poco • rimasto al di l€ di alcuni frammenti di rovine, e il Pantheon. L'esempio dato da Agrippa • stato seguito da Nerone, e poi da Tito, i resti di terme di cui sono ancora visibili, che coprono una vasta estensione, in parte sotto terra e in parte al di sopra del colle Esquilino. Thermae sono stati erette da Traiano, Caracalla e Diocleziano , ( soprattutto di quelle realizzate dagli ultimi due ancora esistono grandi resti) , e anche pi‡ tardi da Costantino, oltre a qiuelle che sono stati costruite da privati, P. Victor elenca sedici anni, e Panvinus (Urb. Rom. Descript. P106) ha aggiunto altri quattro. In precedenza per la costruzione di queste strutture per l'utilizzo della popolazione, era consuetudine per coloro che cercavano il favore della gente per dare loro un giorno di balneazione senza alcuna spesa. Cosƒ, secondo Dione Cassio (XXXVII. P143) , Faust, il figlio di Silla, arredate bagni caldi e gratis di petrolio al popolo per un giorno, e di Augusto in una occasione arredati bagni caldi e barbieri alla gente per lo stesso periodo libero di spesa (Id. LIV. p755) , e in un altro momento per un anno intero per le donne e gli uomini (Id. XLIX. P600). Perci‰ • giusto dedurre che il quadrante pagato di ammissione alla balneae non era esatte al terme, che, come le opere degli imperatori, sarebbe naturalmente aperto con generosit€ imperiale a tutti, e senza alcun onere, in caso contrario l'intero citt€ sarebbe affollato allo stabilimento lasciato li da Agrippa, ed a conferma di questa opinione si pu‰ notare che gli stabilimenti vecchi, che erano probabilmente eretto per iniziativa privata (cf. Plin. H. N. IX 0,54 S79 ), sono stati chiamati meritoriae (Plin. Ep. II, 0,17) . La maggior parte, se non tutti, degli altri regolamenti precedentemente dettagliate riguardanti l'economia dei bagni, si applicano anche alle terme, ma • soprattutto a questi stabilimenti che il comportamento dissoluto degli imperatori, e le altre indulgenze di lusso della gente in generale, dettagliati nelle composizioni di autori satirici e in seguito, deve essere considerata si riferiscono. Anche se rimane considerevole delle terme romane sono ancora visibili, dal rovinoso stato stesso in cui • accertato che essi sono, siamo lontani dal poter arrivare alla stessa conoscenza accurata delle loro parti componenti, e degli usi a cui erano applicate, • stato fatto per quanto riguarda la balneae, o addirittura a scoprire un modo soddisfacente di conciliare le particolari costruttivi con la descrizione che ha lasciato Vitruvio ha dei bagni di competenza di una palestra greca, o alla descrizione data da Luciano di bagni di Ippia. Tutti, infatti, • dubbio e indovinare-lavoro, i dotti che hanno preteso di rendere conto del loro contenuto diverso in quasi tutti gli elementi essenziali l'una dall'altra. Eppure la grande somiglianza nel piano terra delle tre che restano, non possono non convincere anche un osservatore superficiale che erano tutti costruiti su un piano analogo. Non •, tuttavia, di respingere il soggetto senza che consenta ai nostri lettori di formare qualcosa di simile a un'idea generale di questi edifici enormi, che, per la loro estensione e magnificenza, sono stati paragonati alle province - (in modum provinciarum exstructae, Amm. Marc. XVI. 6 ) - un piano terra • allegato delle Terme di Caracalla, che p195 sono i meglio conservati fra quelli restanti, e che forse sono te pi‡ splendidi di tutto il resto. Tali appartamenti, di cui • stata accertata l'uso con la comparsa di probabilit€, sono contrassegnati da solo e spiegati. Le parti scure rappresentano i resti ancora visibili, le linee sono aperte restauri . Una , di fronte al Portico strada fatta da Caracalla quando ha costruito le sue terme. - B , bagno separato-camera, sia per l'uso della gente comune, o forse per le persone che non volevano fare il bagno in pubblico. - C , Apodyteria ad essi connessi. - D, D e E, E , i portici (Vitruv. V 0,11) . - F, F , esedre, nella quale erano posti a sedere per i filosofi di tenere le loro conversazioni (Vitruv. lc; Cic. De Orat. II, 0,5 ). - G , Hypaethrae, passaggi all'aria aperta - ambulationes Hypaethrae Quas Graeci περιδρόμιδας, Nostri ricorrente xystos (lc Vitruv.). - H, H , stadi in palestra Quadrata oblonga SIVE (lc Vitruv.). - Io, io, forse scuole o accademie dove conferenze aperte al pubblico sono stati consegnati. - J, J e K, K , Camere stanziati per i servi dei bagni (balneatores). In questi ultimi scale per la risalita al serbatoio principale. - L , Lo spazio occupato dalle passeggiate e cespugli - ambulationes platanones l'altro (lc Vitruv.). - M , l'arena o stadio in cui i giovani svolto i loro esercizi, con posti a sedere per gli spettatori (lc Vitruv.), chiamato theatridium. - N, N , serbatoi, con i piani superiori, prospetti sezionale di cui sono indicati nei due xilografie successivi. - O , Acquedotto che ha fornito i bagni. - P , la cisterna o piscina. Questa gamma esterne di edifici occupa • uno miglio in circuito. Veniamo ora alla sistemazione degli interni, per cui • molto difficile assegnare soddisfacente destinazioni. - Q , rappresenta l'ingresso principale, di cui ci sono stati otto. - R la natatio, piscina, o di acqua fredda del bagno, a cui l'ingresso diretto per il portico • da un vestibolo su entrambi i lati marcati S , e che • circondata da una serie di sezioni che • servita molto probabilmente come le camere per spogliarsi (apodyteria ), l'unzione (unctuaria) e stazioni per il capsarii. Quelli pi‡ vicini al peristilio erano forse i conisteria, dove era conservata la polvere che i lottatori utilizzati al fine di ottenere una conoscenza pi‡ solida sui loro avversari: "Ille cavis hausto spargit me pulvere palmis, Inque fulvae Vicem tactu arenae flavescit ". (Ovidio, Met. IX 0,35) (Vedi anche Salmas. Tertull annunci. Pall. P217, e Mercurialis, De art. Palestra. Mi 0,8). La qualit€ inferiore del ornamenti che questi appartamenti hanno avuto, e le scale in due di essi, fornire la prova che sono stati occupati da servitori. T , • considerato il tepidarium, con quattro bagni caldi ( U, U, U, U ) ad uscire dal suo quattro angoli, e due Labra sui due fianchi. Ci sono passaggi per scendere in bagni, in uno dei quali tracce del conduttore sono ancora manifesto. Quindi sembrerebbe che la parte centrale di questo appartamento servito come un tepidarium, con una balneum o Calda lavatio in quattro dei suoi angoli. La parte centrale, come anche quella della casa precedente, • sostenuto da otto colonne immense. Gli appartamenti al di l€ di questo, che sono troppo fatiscenti da ristrutturare con qualsiasi grado di certezza, conteneva, naturalmente, il laconicum e sudatories, per i quali il ciclo camera W , e le sue dipendenze sembrano essere adattate, e che sono anche contigue alla i serbatoi, Z, Z (V Vitruv. 0,11) . V, V ± probabilmente conteneva ephebia, oi luoghi in cui i giovani sono state insegnate loro esercizi, con annessi gli appartiene, come la Sferisterio e corycaeum. Il primo di questi prende il nome dal gioco a palla, tanto a favore con i Romani, in cui l'amico di Marziale stava giocando quando la campana suon‰ per annunciare che l'acqua era pronta (Mart. XIV 0,163) . La seconda • derivata da κώρυκος, un sacco (sv Hesych.), che era pieno di crusca e sansa di olive per i giovani, e la sabbia per i pi‡ robusti, e quindi sospesa ad una certa altezza, e oscillava avanti e indietro da parte dei giocatori (Aulide, De Palestra. Const. P9; Antill. app. Oribas. Coll. Med. 6). Gli ambienti dall'altra parte, non identificati, probabilmente servivano per gli esercizi in palestra in caso di maltempo (Vitruv. V 0,11) . Questi bagni contenevano un piano superiore, di cui nulla rimane al di l€ di ci‰ che • appena sufficiente a indicare il fatto. Sono stati menzionati e ammirati da molti degli autori latini ( Spartian. Caracalla. C9 ; Lamprid. Heliogab. c17 , Alex. Sever. C25 , Eutropio, VIII 0,11 , Olymp. apud Phot. P114, ed. Vindel agosto. 1601). Si osserver€ che non c'• parte del dipartimento di balneazione separato dal resto, che potrebbe essere assegnata per l'utilizzo esclusivo delle donne. Se ne deduce che i due sessi frequentassero insieme promiscuamente le terme, o che le donne fodssero del tutto escluso da questi stabilimenti, e ammesse a solo i balnea. Resta da spiegare il modo in cui una tale quantit€ di acqua necessarie per i bagni nelle terme potesse essere riscaldata, e ci‰ • stato fatto in modo molto soddisfacente da Piranesi e Cameron, come si pu‰ vedere da un riferimento a due sezioni dell’ Aquaeductus castellum e piscina appartenenti alle Terme di Caracalla. A, gli archi dell’ aquaedotto che convogliata l'acqua nella piscina B, da dove scorreva nella gamma superiore delle celle attraverso l'apertura C, e quindi ancora una volta discesi verso quelle pi‡ basse dal diaframma in D, che sono stati poste immediatamente sopra l'ipocausto E; il praefurnion di che si vede nella sezione trasversale, in F nel taglio inferiore. Vi erano trentadue di queste cellule disposte in due file sopra l'ipocausto, sedici per lato, e tutte comunicanti tra di loro, e su que- sti un numero simile allo stesso modo organizzato, che comunicava con quelli al di sotto del diaframma in D. Le pareti separazione tra queste cellule sono stati ugualmente perforato con canne fumarie, che serviva per diffondere il calore in tutto il corpo intero di acqua. Quando l'acqua era abbastanza calda, si • acceso ai bagni attraverso tubi condotte anche per mezzo canne fumarie per evitare la perdita di temperatura durante il passaggio, e il vuoto • stato fornito da acqua tiepida dalla gamma di sopra, che • stato alimentato dalla Piscina, esattamente sul principio rappresentato nel disegno dalle Terme di Tito, ingegnosamente applicato su una scala molto pi‡ grande. (Le opere pi‡ importanti moderno sul terme romane sono le seguenti: Winckelmann, numerosi passaggi nelle sue opere, le descrizioni delle terme romane di Cameron, Lond. 1772, e Scamozzi e Palladio, Vicenza, 1785; Stieglitz, Archäologie der Baukunst, vol. II. p267, & c.; Hirt, Gebäude der Lehre, P233, & c.; Weinbrenner, Entwürfe und Ergänzungen antiker Gebäude, Karlsruhe, 1822, parte 1, i redattori di Vitruvio, specialmente Schneider, vol. II, pp375-391; per i bagni di Pompei, Bechi, Mus. Borbon. vol. II pp49-52; Gell, Pompeiana, Pompei nel Lib. Ent. Know., e per la migliore sintesi di tutta la materia, Becker, Gallo, vol. II p11, & c.). L'autore Note: 1 Balnea, tuttavia, • usata al singolare per designare un bagno privato in una iscrizione citato da Reinesius (Inscr. XI 0,115). ❦ 2 In questo passo • evidente che il λοῦτρον parola • utilizzata per un bagno caldo, in che senso esso si verifica anche nella dello stesso autore. Vitruvio (V 0,11) , al contrario, dice che i Greci usavano la stessa parola per indicare un bagno freddo (frigida lavatio, Graeci λοῦτρον vocitant quam). La contraddizione tra i due autori • qui sottolineato, al fine di dimostrare l'impossibilit€, cosƒ come scorrettezza, di cercare di apporre un significato preciso a ciascuno dei termini diversi fatto ricorso dagli scrittori antichi in riferimento alla loro stabilimenti balneari . ❦ 3 Laterina • stato utilizzato anche prima della data di Varrone per il vaso di balneazione, lavatrina quasi ( Varrone, De Ling. Lat. 0,68 IX ed. M¤ller, cfr. Lucill. app. non. C3 n131). ❦ 4 La parola baptisterium (Plin. Ep. 0,6 V) non • un bagno sufficientemente grande per immergere tutto il corpo, ma una nave, o labbro, contenente acqua fredda per versare sopra la testa. Cfr. anche Plin. Ep. XVII .2. ± ❦ 5 Secondo Sir W. Gell (LC) con posti a sedere, che egli interpreta scholae, per l'accoglienza delle persone in attesa l'occasione per fare il bagno - ma un passo di Vitruvio (V 0,10) , di seguito citato, sembra contraddire questo uso del termine - e sedili sono stati collocati nel frigidarium adiacenti, per l'esplicito scopo di accogliere coloro che sono stati costretti ad attendere il loro turno. ❦ 6 E 'stato anche detto ampolla, λήκυθος, μυροθήκιον, ἐλαιοφόρον (Ruperti, Ad JUV. sab III 0,262). [ ampolla .] Thayer Note: un gli antichi romani bagnato tutto il corpo una volta alla settimana (cf. Colum. R. Ho R. 0,6 § 20 ): le parole di Columella balneis rusticis... in familia quibus, feriis sed tantum, lavetur: "i bagni della cascina... in cui la Familia Va fatto lavare, ma solo su feriae". Beh, prima di tutto Familia : la famiglia allargata, spesso con particolare riferimento agli schiavi e servi, che certamente • il contesto qui. In secondo luogo, non • la feria nundinae , il giorno di mercato che si verificano ogni 8 giorni, che potrebbe essere liberamente tradotto "una volta alla settimana". Feriae sono le vacanze di vario genere, che si verificano di frequente, a seconda del periodo della storia romana e la tua classe sociale, si tratta in realt€ ha fatto o non ha incluso le nundinae: per i dettagli complicati, si veda l'articolo di Smith Feriae . Infine, questo passaggio di Columella ci sta dando consulenza piuttosto che cosa ci dice lo stato delle cose in realt€ era. L'unica conclusione che possiamo trarre • dunque un vago uno: questo autore 1c non pensa che i coloni devono fare il bagno ogni giorno. Se vogliamo essere pi‡ precisi - nota il lavetur passivo, anche se questo pu‰ essere letto in entrambe le direzioni (si veda il passo gi€ citato in precedenza, Varrone, LL 9.lxi.106-107 ) - alla base del pensiero Columella potrebbe anche essere il contrario di ci‰ che Ricco suggerisce nel nostro articolo: che tu e io possa fare il bagno ogni giorno, ma per avere tutti i braccianti farlo • solo un rifiuto. Nel clima secco del Mediterraneo, dove l'acqua dolce • spesso ad un premio, questo ha un senso. b Quando i bagni pubblici sono stati istituiti: Da ora in poi l'intero articolo si occupa di ci‰ che normalmente pensare in relazione con le abitudini bagno romano: edifici, piccole o grandi, di solito il secondo. Vi •, tuttavia, una menzione allettante in Velleio Paterculus (II. CXIV .2, qv) di quello che sembra essere un bagno di campo portatile utilizzato dal livello di comandanti militari-alta, e che sembra anche essere qualcosa di non cosƒ raro, visto che • incluso, senza essere individuati, insieme con un medico personale e una cucina in viaggio. E 'un peccato molto grande che Velleio, un testimone oculare al dispositivo o sistema, stava scrivendo una storia sommaria e che il suo lavoro full-length previsto per lo stesso periodo, se ha ottenuto intorno ad esso la scrittura, non • sopravvissuta. Tratto da : http://translate.googleusercontent.com/translate_c?hl=it&sl=en&u=http://penelope.uchicago.edu/Th ayer/E/Roman/Texts/secondary/SMIGRA*/Balneae.html&prev=/search%3Fq%3Dapodytherium%2 6hl%3Dit%26safe%3Doff%26sa%3DG%26rlz%3D1W1MOOI_it&rurl=translate.google.com&usg =ALkJrhjfyD2mDATIR0_ZX7Et_XZ-2MHoWA Le tecniche costruttive dei Romani Tratto da : http://www.santagnese.org/tecniche.htm Il testo di questa pagina è stato redatto dalla classe V C del liceo classico Tasso di Roma (anno 2003/04). Le grandi innovazioni prodotte dai Romani nel campo architettonico furono rese possibili dalla ricerca di nuove soluzioni tecnologiche.Essi riuscirono non solo a migliorare i tradizionali sistemi costruttivi etruschi ed ellenistici, ma ad inventarne di nuovi. Una scoperta decisiva fu quella del cemento (opus caementicium): un impasto fluido di calce, sabbia ed acqua, che veniva colato dentro casse di legno per ottenere le strutture portanti, a volte curve.Altre volte il cemento era amalgamato con pietrisco o frammenti di laterizio, e versato fra due muri laterali di contenimento che fungevano, ad opera finita, da paramento esterno (sistema "a sacco"). I muri venivano costruiti con diverse tecniche (ognuna delle quali detta opus). 1 Opus quadratum: strutture in blocchi regolari di forma parallelepipeda. In uso fin dal periodo arcaico (fine VII-inizi VI sec a.C.), è la tecnica che si preferì a Roma nelle costruzioni più antiche: si trova nella Cloaca Massima, nelle Mura Serviane, nell'Acquedotto Claudio e nel Tabularium. 2 Opus incertum: con l'introduzione delle malte e dell'opus caementicium si rende necessario l'uso di paramenti, coerenti con il nucleo, composti di elementi di dimensioni più ridotte. Il più antico tipo di paramento è l'opus incertum, costituito da tufelli di forma piramidale, con il vertice immerso nel nucleo cementizio del muro e la base di forma irregolare lasciata in vista. I più antichi esempi di questa tecnica a Roma risalgono ai primi decenni del II secolo a.C.: tempio della Magna Mater, Porticus Aemilia 3 Opus quasi reticulatum. Nei paramenti dei muri in opera camentizia si può notare una progressiva tendenza alla regolarizzazione della parte a vista, attraverso la realizzazione di tufelli dalla base sempre più quadrata. Si tratta di un processo continuo, in cui si può evidenziare la fase conclusiva, l'opus reticulatum,in cui i giunti tra i tufelli tendono a collegarsi in una linea continua a formare, appunto, una rete. I più antichi esempi di questa tecnica risalgono alla fine del II sec a.C.: Fonte di Giuturna, casa dei Grifi sul Palatino. 4 Opus mixtum: nato dall'unione fra l'opus incertum e l'opus reticulatum. Già alla fine della Repubblica era iniziato l'uso di rinforzare l'opera reticolata con fasce orizzontali di mattoni o tegole fratte. In età imperiale questo uso si perfeziona con l'aggiunta di ammorsature laterali, le speccachiature di reticolato sono così inquadrate da cornici di mattoni. Questa tecnica è particolarmente utilizzata tra l'età flavia e quella di Antonino Pio. 5 Opus latericium (o testaceum). Dalla crisi della Repubblica iniziano ad apparire le prime cortine di tegole fratte, che sostituiscono le pareti a blocchetti di tufo. Però la tecnica si diffonde soprattutto a partire dall'età imperiale: il primo grande monumento costruito interamente in mattoni sono i Castra Praetoria di età tiberiana. 6 Opus vittatum. All'inizio del IV sec d.C. viene introdotto un nuovo tipo di paramento, costituito da fasce orizzontali di mattoni, alternate con parallelepipedi di tufo disposti sempre in fasce orizzontali. La tecnica, che si prolunga per tutto il IV sec, è tipica a Roma nel periodo di Massenzio e Costantino. L'uso di bollare i mattoni e le tegole con un marchio di fabbrica (ausilio prezioso per la datazione delle pareti laterizie) inizia molto presto, già nel I sec a.C.. Inizialmente i bolli erano di forma rettangolare allungata, per assumere poi, dall'età flavia, una forma lunata che si va sempre più chiudendo fino a divenire quasi circolare nell'età di Caracalla. Da Adriano diventa obbligatoria nei bolli l'indicazione della data consolare, uso che diminuisce man mano fino a scomparire intorno al 164. Tra Marco Aurelio e Caracalla finiscono in mano imperiale tutte le fabbriche private: da allora l'industria dei mattoni divenne un fatto esclusivamente statale. Poco meno di un secolo dopo la morte di Caracalla cessa l'uso dei bolli sui mattoni, che riprende con Diocleziano.