PETRONE Igino 5 - Provincia di Campobasso

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Scheda realizzata da Barbara Bertolini e Rita Frattolillo
Igino PETRONE
Nasce a Limonano nel 1870. Figlio del notaio Enrico, studia prima a Cerreto Sannita e
quindi a Napoli, dove si laurea in legge a ventun anni. Si reca poi presso l'Università di
Monaco di Baviera per perfezionarsi in filosofia e frequenta il neotomista Von Hertling.
A ventiquattro anni ottiene, per titoli, la libera docenza in filosofia all'Università di Roma.
È nominato anche professore straordinario a Monaco e, a ventisette anni, vince il concorso
straordinario di filosofia del diritto all'Università di Modena. Tre anni dopo è professore
ordinario di filosofia morale a Napoli e nel 1910 diviene ordinario di filosofia del diritto
nello stesso ateneo, ma ha difficoltà ad insegnare, perché già minato dal male che lo
porterà alla tomba.
Socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli e di quella dei Lincei, autore
di vari saggi filosofici, P. è particolarmente attivo dal 1892 al 1912, e dà un contributo
rilevante alla filosofia del diritto. Inizia la sua produzione con una serie di forbiti saggi
giuridici ed economici che attestano la sua valenza e che mettono in luce le grandi doti di
analisi e di sintesi.
Tra le opere si segnalano: La filosofia politica contemporanea (1892), La Terra nella odierna
economia capitalistica (1893), I latifondi Siciliani e la prossima legge agraria (1895). La fase
recentissima della filosofia in Germania (1895) segna il programma della nuova filosofia del
diritto in Italia.
Nella prolusione del 1896, come libero docente nell'Università di Roma, su La Filosofia del
diritto al lume dell'idealismo critico, P. compie un gran passo verso quel più deciso
orientamento idealistico della sua filosofia: «Egli non poteva essere che un idealista, e tale
fu, veramente, sempre, senza interruzione, dalle prime alle ultime sue scritture» (M.
Barillari). Seguono Il valore ed i limiti di una psicogenesi nella morale e Un nuovo saggio sulla
concezione materialistica della storia (critica tra le più acute che si siano fatte allora al libro di
Antonio Labriola sul Materialismo Storico). Altro lavoro importante è la prolusione letta il
29 novembre 1897, quando P. sale sulla cattedra dell'Università di Modena, che riguarda la
Storia interna ed il problema presente della filosofia del diritto.
Nel dibattito sulla fondazione della filosofia del diritto come scienza filosofica, P. si pone
tra il Vanni e il Frangapane. L'uno è il fondatore del positivismo critico e vuole
«determinare una sfera di autonomia della filosofia del diritto che la salvi dall'essere
fagocitata dalla sociologia» (G. Fasso); l'altro è «il più rigoroso osservante dei dogmi del
positivismo fra i filosofi del diritto ed i giuristi del tempo» (idem). P., nell'ambito «di un
'idealismo oggettivo' e di un antipositivismo, eccezionale in quei tempi» (E. Nobile), si
erge contro la concezione sociologica del positivismo e contro la visione speculativa della
storia da esso derivante, recuperando in parte le tensioni della Ragion pratica kantiana.
Nel saggio Il diritto nel mondo dello spirito (1910) egli cerca di isolare il diritto dalla morale,
perché ritiene che il diritto sia «indissolubilmente connesso al momento della vita dello
spirito» (idem): la natura dell'uomo può soddisfare la sua ansia di Bene solo nell'Altro da
sé, nell'Essere. È del 1900 il saggio su I limiti del determinismo scientifico, il quale «segna
quella direzione di pensiero mai più abbandonata, che, tratta dall'indeterminismo
francese, è da lui penetrata e rischiarata con vigore» (M. Barillari). Con la prolusione sul
Problema morale, P. entra con forza nell'aspro campo della filosofia della morale, tema a lui
caro. Seguono: Il valore della vita (1901), L'inerzia della volontà e le energie profonde dello spirito
(1909), L'etica come filosofia dell'azione e come intuizione del mondo, Il diritto nel mondo dello
spirito (1910) e, postume (1917, curate da G. Mancini), Etica e Ascetica, che sono un
compendio delle lezioni universitarie da lui tenute, rivedute dal suo discepolo Giorgio Del
Vecchio.
Tuttavia Il suo «impegno speculativo di proiezione europea non esclude la riflessione
anche sulla sua regione» (Martelli-Faralli). Infatti, convinto della rilevanza del problema
agricolo nella crisi economica di fine secolo, reca il suo contributo collaborando per un
decennio alla Rivista internazionale di Scienze sociali. Ne Il Sannio moderno (1910) P. si
sofferma sull'economia del Molise, prevalentemente agricola, e vede nella proprietà
«sbocconcellata e polverizzata» della maggior parte del territorio molisano un ostacolo
allo sviluppo dell'agricoltura ed alla diffusione della meccanica agraria. Non sostiene il
latifondo, ma nello stesso tempo non ritiene realizzabile che si possa passare dai
galantuomini ai contadini-proprietari perché, per lui «il contadino proprietario è il più
accanito borghese». «Attivamente presente nel dibattito filosofico che si apre nella crisi del
positivismo e in quello che, all'interno del mondo cattolico, porta alla formazione della
prima democrazia cristiana» (R. Lalli), dal 1893 al 1900 è uno dei maggiori intellettuali del
cattolicesimo sociale italiano.
Attento alle novità nazionali ed internazionali, milita nel nascente movimento cattolico,
divenendone l'ideologo per il suo originale apporto e le sue geniali intuizioni. «La sua
formazione, venuta da influenze rosminiane e liberal-cattoliche che pure non si tradussero
in atteggiamenti conciliatoristi; e la sua acuta sensibilità per i problemi del rinnovamento
culturale [...] gli fecero assumere un ruolo atipico e comunque di difficile collocazione
nelle ricorrenti e più consolidate categorie interpretative delle posizioni interne al
movimento cattolico ottocentesco» (Luigi Picardi). Fondamentalmente estraneo alle
correnti radicali del riformismo religioso, egli si accosta al cattolicesimo sociale del Toniolo
e poi alle linee più dinamiche di Romolo Murri, e non è insensibile alla lezione di A.
Labriola, avendo chiara la percezione della superiorità del suo "comunismo critico". Nella
realtà politica di quegli anni è contrario al pacifismo e, a proposito della spedizione
italiana in Libia, «fra la commozione degli adunati, dimostrò che la sola pace feconda per
l'umanità è quella che deriva dalla guerra ed è ottenuta con essa» (G. Amoroso).
Muore a San Giorgio a Cremano nella provincia di Napoli nel 1913.
Nel 1917 è stato inaugurato nel suo paese un monumento per onorarne la memoria e
presentata una raccolta dei suoi scritti con il titolo: L'omaggio della dottrina e della Cultura
italiana alla memoria di Igino Petrone per l'inaugurazione del suo monumento di Limosano.
Tanti gli studiosi che si sono occupati del suo pensiero, subito dopo la sua morte: G. De
Montemayor, E. Di Carlo, G. Mancini, G. Ferretti, B. Paolucci, G. D'Adamo, padre A.
Gemelli, F. Masci, P. Ragnisco. Successivamente si sono soffermati sui suoi lavori
Tomasino D'Amico, Pompeo Giannantonio, Luigi Picardi.
Bibliografia di Igino PETRONE – in preparazione -
Bibliografia su Igino PETRONE – in preparazione -
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