Doc

annuncio pubblicitario
Riassunti di L’Età Post-Eroica
SENZA LA GUERRA NON ESISTE STATO: Heinrich von Treitschke, storico e politico tedesco,
prendendo come base il proprio paese (Germania), a fine ottocento dichiarò che l’origine e
l’esistenza di ogni Stato dipendessero dalla guerra. Egli sosteneva che tutti gli Stati fossero sorti
dalla guerra: il primo compito dello Stato rimane sempre la difesa armata dei propri cittadini,
dunque. Ciò era dimostrato dalla statua equestre dedicata al re soldato Federico il Grande, le cui
vittorie avevano assicurato alla Prussia lo status di grande potenza: uno Stato nato e reso grandioso
proprio dalla guerra. Come dimostrato dalle celebrazioni militari, i soldati in parata rappresentavano
in modo scenografico quello che lo Stato esigeva e si aspettava dai propri sudditi, ossia i cittadini;
l’esercito era manifestazione e scuola di patriottismo per i civili.
Nonostante le varie differenze tra gli Stati europei, un fattore in comune nella maggior parte di essi
era la cultura militare insita nelle istituzioni dello Stato. La dimensione militare era grandiosa e
connessa a grandi eventi e figure di uomini potenti, entrando a far parte della vita quotidiana. Gli
uomini in uniforme impersonavano le virtù dalle quali dipendeva l’esistenza stessa dello Stato,
quelle stesse virtù derivanti dalle gloriose vittorie di guerre e battaglie e dalla storia del proprio
paese. Senza la capacità di fare la guerra, lo Stato del primo Novecento non poteva esistere: ecco
perché ogni paese europeo (eccetto la Svizzera) disponeva di un proprio esercito.
- ESERCITI: Gli Stati fanno la guerra, e viceversa. Il perché la guerra era ben accetta dal popolo
era chiaro: la democratizzazione dello stato e della guerra. Emergevano infatti gli eserciti di leva di
massa, che coinvolgevano una grande porzione di popolazione. Su gli eserciti, inoltre, aveva inciso
l’industrializzazione, ovvero l’applicazione della tecnologia sempre più avanzata all’attività bellica:
ciò consentiva di creare eserciti più grandi, più pericolosi, più temibili. Curioso è il caso
dell’esercito prussiano, molto debole inizialmente, ma che in poco tempo, guidato da Bismarck,
riuscì a sconfiggere in breve tempo Danimarca, Austria e Francia: il segreto era una migliore
organizzazione, un miglior grado di preparazione, pianificazione e velocità (vanno ricordate le
ferrovie utilizzate dall’esercito per muoversi in poco tempo), che permise di mobilitare un maggior
numero di uomini equipaggiati in modo più efficiente rispetto agli altri eserciti.
Non a caso, il futuro maresciallo di Francia, Ferdinand Foch, nel 1903 dichiarò che nella guerra
moderna le basi essenziali della vittoria erano la massa e la preparazione. Ma la massa era il popolo,
o meglio i ceti inferiori: i più ricchi poteva esentarsi dalla leva, oppure pagarsi un sostituto. Ma nel
1905 la legge cambiò, e quasi tutti i cittadini francesi di sesso maschile divennero soggetti a servire
per due anni nell’esercito regolare (la durata della ferma fu aumentata poi a tre anni). Non
mancavano le proteste, basate essenzialmente sull’impennata della spesa militare (a spese dei
cittadini, tramite una maggiore tassazione); ma anche da parte delle famiglie benestanti, che
dovevano assumersi l’obbligo di servire nell’esercito. La maggior parte dei soldati semplici
continuò inoltre ad essere malnutrita, equipaggiata in modo inadeguato e in pessime condizioni di
vita. Non mancavano i dissensi: l’emigrazione verso altre regioni o altri paesi diventò uno dei mezzi
preferiti per evitare il servizio militare. La legge italiana del 1888, che proibiva agli uomini di età
inferiore ai 32 anni di lasciare il paese, si rivelò inefficace. In altri casi decidevano semplicemente
di non rispondere alla convocazione.
- ORGANIZZAZIONE: Ogni esercito era costituito da quadri professionali: ufficiali, sottufficiali
e uomini arruolati a lungo termine. I militari di professione garantivano l’assolvimento dei compiti
di pianificazione strategica e di direzione, e addestravano i soldati di leva. Lo scopo di questa
complessa macchina militare era trasformare i civili in soldati: nel settecento era più facile, perché
si sfruttava la coercizione anche fisica, una disciplina brutale e costrittiva. Le cose cambiarono
grazie agli articoli indignati sulla stampa e a politici imbarazzati. Ovviamente, nessun esercito
funziona senza un certo grado di coercizione: dopotutto il soldato doveva dimenticare la propria
mentalità ed abituarsi al rispetto delle regole per far funzionare la macchina bellica. In un
battaglione non può esistere la decisione soggettiva di un singolo, ma un piano d’azione studiato e a
conoscenza di tutti gli elementi.
Dai cittadini soldati ci si attendeva che combattessero non per paura, ma per devozione al loro paese
e dedizione nei confronti dei loro commilitoni. La sicurezza dello Stato dipendeva dalla
disponibilità di ogni singolo soldato ad adempiere ai propri obblighi militari, a rispondere alle
chiamate alle armi, a obbedire agli ordini di uccidere, e se necessario morire. Insomma, il soldato
doveva agire per convinzione e non per obbligo: ma tale convinzione doveva essere demandata
direttamente dal proprio Stato, che istruiva il popolo alla cultura, ad un’identità collettiva, a dei
simboli sacri, il Nazionalismo. L’esercito era esclusivamente e aggressivamente solo maschile. La
cultura militare era dominata da un tipo di mascolinità che esaltava la forza fisica e il coraggio così
come le forti bevute, le avventure sessuali e la violenza gratuita. Ma se il soldato era il cittadino
ideale, era ovvio che solo gli uomini potevano essere membri qualificati della comunità nazionale.
Fare del cittadino un soldato è dargli il senso del dovere e dell'obbedienza nei confronti del paese:
ciò trasforma la popolazione in una nazione.
PACIFISMO E MILITARISMO: Nel 1898 lo Zar Nicola II esordì con una frase diretta alle
nazioni europee: in generale, egli affermò che l’Europa, così come la Russia e il mondo intero,
doveva impegnarsi a ridurre i costi degli armamenti e spendere di più nella pace e nella giustizia. È
giunto il tempo di creare una durevole armonia fra le nazioni, sosteneva. Quelle parole furono
accolte calorosamente, almeno all’apparenza: era chiaro agli occhi di tutti che la Russia aveva una
situazione economica disastrata, a cui si aggiungevano le precarie condizioni dei suoi cittadini. Tutti
sapevano che i proclami sulla pace e sul disarmo non avrebbero avuto effetti pratici. Tuttavia si
tenne un accordo proprio in riscontro alle parole dello Zar, e i paesi che inviarono i propri
rappresentanti furono 26, compresi gli Usa, il Giappone e altri.
Durante la conferenza internazionale dell’Aia (che si tenne nel 1899) furono tre i punti trattati: il
divieto di certi tipi di armi, l’elaborazione delle norme belliche fissate alla Conferenza di Ginevra
(1864 e 1868), e la risoluzione delle controversie internazionali con gli strumenti della mediazione.
Certo era che immaginare una guerra dal volto umano era impossibile. Erano tutti d’accordo però
sul fatto che la produzione di alcuni tipi di armi dovevano essere messi fuorilegge. Si trattò anche il
tema dell’Arbitrato che, nell’applicazione di convenzioni internazionali, rimaneva il mezzo più
efficace e più giusto per la risoluzione di quelle controversie che la diplomazia non sarebbe riuscita
a risolvere. Ma ad oggi sappiamo che tale accordo era solo un incontro di disonesti teatranti, nel
quale venne messo in scena un preludio alle imminenti tragedie del secolo a venire.
La pace se possibile, la vittoria militare se necessario: tra filosofi e politici, erano in molti a
condividere l’idea che la guerra era stata un’opportunità per compiere imprese eroiche e acquisire
potenza e vantaggi materiali, ma erano altrettanti a sostenere invece che essa avrebbe dovuto essere
bandita dalla società civile, che rappresentava una patologia da sconfiggere, e che alla fine non era
poi così necessaria.
- IVAN BLOCH: Uno dei più importanti volumi che dimostravano la nocività della guerra era
sicuramente “Il futuro della guerra” di Bloch: era suddiviso in più tomi e in totale era costituito da
4.000 pagine, in cui venivano descritti i disastri che portava la guerra in ambito economico, sociale
e politico. Quasi tutto ciò che in quell’opera fu scritto si avverò pochi anni dopo (disordini sociali,
consumo eccessivo di risorse, produzione di armi che grava sull’economia nazionale, soldati
massacrati, imposizioni fiscali e scarsità di cibo, sofferenze e morti). Alla fine, sosteneva Bloch nel
suo libro, l’edificio sociale ne sarebbe uscito disintegrato, e il sistema politico sarebbe crollato. Il
futuro della guerra, insomma, sarebbe stata la carestia, non il combattimento; il crollo dell’intera
organizzazione sociale.
- NORMAN ANGELL: Il movimento Pacifista sposò completamente le teorie descritte nel libro di
Bloch, così come quelle pubblicate dal giornalista britannico Norman Angell nel suo testo intitolato
“La grande illusione” (anche questo uno dei più grandi volumi dell’epoca). Lo scopo di Angell era
quello di persuadere gli europei che la guerra non poteva portare altro che disastri. L’espansione del
commercio su scala globale, secondo Angell, aveva modificato la natura e le fonti della ricchezza,
che non dipendevano più dal controllo del territorio o delle risorse. Le azioni, che rappresentavano
la ricchezza in epoca contemporanea, erano intangibili, in quanto il loro valore dipendeva da un
fragilissimo sistema di istituzioni la cui crisi avrebbe danneggiato sia i vincitori che i vinti. Ecco
perché Angell sosteneva che la potenza militare non fosse la base necessaria della ricchezza di una
nazione. Tra l’altro, vincere una guerra non significava acquisire un maggiore potere: era solo
un’idea morale e d’orgoglio.
Tuttavia, così come Bloch, Angell non era un pacifista nel senso stretto del termine: egli sosteneva
che all’aggressione si potesse e si dovesse resistere, anche con la forza, e che la conquista avente
come fine la creazione di una società ordinata era giusta e fonte di progresso. Insomma, riteneva che
gli eserciti erano efficaci quando creavano condizioni in cui il commercio potesse prosperare.
Incutendo nella gente il timore della capacità distruttiva della guerra, essi speravano di convincerla
che fosse inutile.
- LE BON e WELLS: Gustave Le Bon pubblicò nel 1895 il libro “Psicologia delle folle”, in cui
affermava che la folla è una formazione sociale moderna. Per molti aspetti, essa richiama quella che
fugge da Londra nella “Guerra dei mondi” di Wells (in cui si narra di un attacco alieno alla Terra, e
il relativo panico che si viene a creare nella città di Londra). La massa viene descritta, sia da Le Bon
che da Wells, frammentata, irascibile, manipolabile e incline al panico. La disciplina militare, per
entrambi, era il modo migliore per sconfiggere le forze disintegratrici che producevano le folle e
ristabilire l’ordine e la coesione sociale. In definitiva, le diagnosi della società moderna che
compaiono negli scritti di pacifisti e militaristi mostrano una sorprendente somiglianza: in entrambe
le filosofie, speranze e timori coesistevano in modo problematico. I militaristi speravano che la
guerra avrebbe restaurato la volontà collettiva della nazione; i pacifisti speravano che la società
avesse superato il bisogno di un conflitto, e temevano che se la guerra fosse arrivata, avrebbe
compromesso le fragili strutture della civiltà. La guerra, come la malattia e la morte, rappresenta
una disgrazia, e dunque una componente inevitabile della vita: pacifismo e militarismo coesistevano
in un’Europa che viveva in pace ma si preparava alla guerra.
GLI EUROPEI IN UN MONDO VIOLENTO: Nel 1913, il barone Forstner, un ventenne tenente,
fu assegnato alla città alsaziana di Zabern. Nonostante fosse stato nominato da poco, Forstner si era
già guadagnato la fama di persona dedita all’alcol e brutale: era lui stesso causa, a volte, di tensioni
nella città tra cittadini e esercito. Il Parlamento tedesco discusse i fatti di Zabern e condannò la
condotta dell’esercito. Non furono però presi particolari provvedimenti per disciplinare Forstner e i
suoi incompetenti superiori. Era però nota l’eccessiva forza militare dell’esercito rispetto alla
debolezza del Parlamento tedesco. Inoltre, la diffusa indignazione che fece seguito agli eventi
evidenziò il livello assai basso della tolleranza nei confronti della violenza pubblica presente in
Europa ai primi del 900.
Via via che la società diventava meno violenta, gli uomini e le donne comuni si sentirono più sicuri.
Hegel osserva come un uomo consideri normale tornare a casa in sicurezza a notte fatta. Tuttavia
proprio la naturalezza con cui vive nell’ordine sociale è forse la base più importante che lo Stato
possa fornire perché la vita sia migliore. Proprio questo adeguamento a una vita ordinata portò
alcuni a pensare che gli europei avrebbero perso il gusto per la violenza e le loro virtù eroiche.
- I MOTIVI DEGLI SCONTRI: All’inizio del ventesimo secolo, un’Europa pacifica si trovava a
vivere in un mondo pericolosamente violento. Gran parte di questa violenza derivava dai tentativi
degli europei di espandere o mantenere il controllo sui propri possedimenti imperiali. La
globalizzazione, se da un lato appariva come fonte di pace e di cooperazione internazionale, era
dall’altro fonte di violenze. La colonizzazione e la guerra apparivano dunque inscindibili: questo
perché se la guerra non era di conquista, era una risposta violenta dei colonizzatori ai tentativi delle
popolazioni conquistate di liberarsi dal governo straniero. Come sosteneva Hannah Arendt (filosofa
tedesca naturalizzata statunitense), il dominio per mezzo della pura violenza entra in gioco quando
si sta perdendo il potere. La violenza si arrestava solo quando non rimaneva più nulla da calpestare.
- IMPERI e COLONIE: Nel diciannovesimo secolo, la potenza europea di gran lunga e più
costantemente bellicosa era la Gran Bretagna. È sbagliato pensare all’Inghilterra come una potenza
pacifica e in contrasto solo con la Germania militarista. Di fatto, l’esercito britannico fu sempre in
guerra in qualche parte del mondo: si pensi per esempio alla campagna di Kitchener nel Sudan, di
altri battaglioni fra l’Afghannistan e l’India, in Cina e contro i boeri in Sudafrica. Il motivo di così
tanto impegno in guerra era appunto il mantenimento dell’impero.
Ma nella crudele storia del governo imperiale, la vicenda del Congo Belga fu eccezionale per e
incessanti brutalità che la caratterizzarono: il re Leopoldo del Belgio intorno al 1880 comprò un
immenso territorio nel bacino del Congo, e lo gestì come un’impresa privata. Il mantenimento
dell’ordine fu affidato alla Force Publique, composta da mercenari africani e ufficiali europei, i
quali fecero ricorso a ogni mezzo per trasformare la popolazione locale in una forza lavoro da
utilizzare nelle piantagioni di gomma del sovrano. Si trattava della più vile corsa alla ricchezza nella
storia della coscienza umana, corsa che costò circa 10 milioni di morti alla popolazione africana. Le
proteste furono molte, ma le violenze nel mondo coloniale erano ormai talmente tante che zittivano
ogni movimento contrario; motivo di tanta foga violenta era, come al solito, l’economia.
- BALCANI: All’inizio del ventesimo secolo, la zona più violenta d’Europa era quella dei Balcani,
dove un gruppo di nuovi Stati era riuscito a strappare l’indipendenza dall’impero ottomano. Si
trattava di Stati poveri, governati da una dinastia di importazione recente e divisi da antagonismi
locali, etnici e religiosi. Nonostante le aspirazioni di stabilire – o ristabilire – il controllo, nessuno di
questi stati era capace di realizzare un governo stabile e ordinato. Diversamente dai conflitti politici
dell’Irlanda, della Spagna o dell’Italia meridionale, l’instabilità dei Balcani ebbe un impatto diretto
sull’ordine internazionale, in quanto la violenza in quelle zone aggravò il declino dell’impero
ottomano e stimolò la competizione fra le grandi potenze, in particolare fra l’Impero asburgico e
quello russo: l’effetto fu la fine della lunga pace europea.
Nel 1912, mentre i turchi stavano ancora combattendo contro gli italiani nell'Africa del Nord e nel
Mediterraneo orientale, la Bulgaria, la Serbia, la Grecia e il Montenegro si accordarono per
scatenare una guerra di aggressione che puntava a cacciare gli ottomani fuori dall'Europa, per
sempre. Dopo una serie di conquiste (come il Kosovo e l'Albania), le malattie e il maltempo
rallentarono la loro avanzata, dando agli ottomani il tempo di recuperare: nel 1913 a Londra fu
firmata la pace. Ma dopo un mese, le rivalità si riaccesero tra le precedenti e temporanee alleate: la
Bulgaria, scontenta del bottino che si era assicurata, attaccò le posizioni serbe e greche in
Macedonia, con esito disastroso; la Bulgaria fu costretta a cessare le ostilità, perdendo gran parte di
quanto aveva guadagnato. La questione balcanica fu forse uno dei motivi per cui gli uomini
cominciarono a perdere fiducia nella pace: non a caso, la violenza ora riappariva come l'unica forma
affidabile di difesa dei propri interessi nazionali. Ogni Stato ricominciò la corsa agli armamenti,
destinando una sempre maggiore quantità di uomini, soldi e materiali. L'Europa si preparava a una
guerra inevitabile.
- PRIMA GUERRA MONDIALE: Il 28 giugno 1914, l'erede al trono dei domini asburgici,
l'arciduca Francesco Ferdinando, fu vittima di un attentato mentre era in visita a Sarajevo (capitale
della Bosnia). Il suo uccisore era Princip, un terrorista inviato in Bosnia dalla Mano Nera, una
società segreta collegata a membri delle forze di sicurezza serbe. Inizialmente non accadde niente
circa i rapporti diplomatici tra le potenze europee: ma dietro le quinte un piccolo gruppo di uomini
stava prendendo delle decisioni che avrebbero causato una delle piu grandi catastrofi della storia
contemporanea.
L'Austria decise di approfittare dell'omicidio di Francesco Ferdinando per rimuovere la minaccia
serba contro gli interessi dell'impero nei Balcani. La Serbia però era sostenuta dalla Russia, e per
questo l'Austria aveva bisogno della sua unica alleata, la Germania. Dopo un ultimatum da parte
dell'Austria alla Serbia, a cui però quest'ultima non aveva dato seguito, gli austriaci le dichiararono
guerra (28 luglio 1914), bombardando Belgrado un giorno dopo. I francesi dichiararono il proprio
appoggio alla Russia, la quale mobilitò le sue truppe. La Germania replicò con una dichiarazione di
guerra contro la Russia stessa. Dopo che i tedeschi violarono la neutralità del Belgio, l'Inghilterra
dichiarò guerra alla Germania. Gli aspetti più orribili della guerra erano legati al fatto che essa era
combattuta non solo dagli eserciti, ma dalle nazioni stesse; ecco perché queste guerre sono così
sanguinarie.
- PERCHE' SCOPPIA LA GUERRA: Ma perché l'uccisione di Francesco Ferdinando mise fine al
periodo di pace europea?
1. Innanzitutto bisogna considerare il peso delle responsabilità della Germania: nel trattato di
Versailles del 1919, infatti, si afferma che la Germania e i suoi alleati sono responsabili di
aver causato tutte le perdite e i danni ai quali i governi alleati sono andati soggetti, in
conseguenza della guerra loro imposta dall'aggressione della Germania e dei suoi alleati.
2. Un secondo tipo di spiegazione è l'opposto della prima: la guerra non fu colpa di nessuno, o
forse di tutti, ma derivò da tragici sbagli di valutazione e sfortunati incidenti.
3. Vi è poi un'ultima spiegazione, secondo cui la guerra è stata il risultato inevitabile di alcune
tensioni profondamente radicate nel mondo pre-bellico. Per i marxisti, il conflitto scaturì
dalle contraddizioni di fondo dell'economia capitalista; per altri dalle tensioni del sistema
internazionale. Insomma, le tensioni prima o poi sarebbero esplose, se non nel 1914, subito
dopo.
- CONSENSO POPOLARE: Inoltre, sappiamo che una guerra, per essere combattuta senza
ostacoli interni, deve essere sostenuta tramite il consenso del popolo. Per ottenere ciò, i governi
dovevano convincere la popolazione che era in atto una guerra difensiva per la sopravvivenza della
nazione. Così, il popolo sapeva che gli Austriaci stavano soltanto rispondendo all'aggressione serba,
i tedeschi stavano difendendo un alleato fedele da un attacco, i russi che non potevano vedere
distruggere la Serbia, i francesi che non potevano permettere l'invasione della Russia da parte dei
tedeschi, i britannici che il Belgio doveva essere difeso in quanto neutrale. Per questo, molti giovani
considerarono la guerra come una grande avventura, una prova di virilità, una possibilità di gloria e
di fama. L'evidente sostegno del pubblico alla guerra frustrò qualsiasi speranza di dar vita a
un'opposizione organizzata.
GLI EUROPEI IN UN MONDO VIOLENTO: Nel 1913, il barone Forstner, un ventenne tenente,
fu assegnato alla città alsaziana di Zabern. Nonostante fosse stato nominato da poco, Forstner si era
già guadagnato la fama di persona dedita all’alcol e brutale: era lui stesso causa, a volte, di tensioni
nella città tra cittadini e esercito. Il Parlamento tedesco discusse i fatti di Zabern e condannò la
condotta dell’esercito. Non furono però presi particolari provvedimenti per disciplinare Forstner e i
suoi incompetenti superiori. Era però nota l’eccessiva forza militare dell’esercito rispetto alla
debolezza del Parlamento tedesco. Inoltre, la diffusa indignazione che fece seguito agli eventi
evidenziò il livello assai basso della tolleranza nei confronti della violenza pubblica presente in
Europa ai primi del 900.
Via via che la società diventava meno violenta, gli uomini e le donne comuni si sentirono più sicuri.
Hegel osserva come un uomo consideri normale tornare a casa in sicurezza a notte fatta. Tuttavia
proprio la naturalezza con cui vive nell’ordine sociale è forse la base più importante che lo Stato
possa fornire perché la vita sia migliore. Proprio questo adeguamento a una vita ordinata portò
alcuni a pensare che gli europei avrebbero perso il gusto per la violenza e le loro virtù eroiche.
- I MOTIVI DEGLI SCONTRI: All’inizio del ventesimo secolo, un’Europa pacifica si trovava a
vivere in un mondo pericolosamente violento. Gran parte di questa violenza derivava dai tentativi
degli europei di espandere o mantenere il controllo sui propri possedimenti imperiali. La
globalizzazione, se da un lato appariva come fonte di pace e di cooperazione internazionale, era
dall’altro fonte di violenze. La colonizzazione e la guerra apparivano dunque inscindibili: questo
perché se la guerra non era di conquista, era una risposta violenta dei colonizzatori ai tentativi delle
popolazioni conquistate di liberarsi dal governo straniero. Come sosteneva Hannah Arendt (filosofa
tedesca naturalizzata statunitense), il dominio per mezzo della pura violenza entra in gioco quando
si sta perdendo il potere. La violenza si arrestava solo quando non rimaneva più nulla da calpestare.
- IMPERI e COLONIE: Nel diciannovesimo secolo, la potenza europea di gran lunga e più
costantemente bellicosa era la Gran Bretagna. È sbagliato pensare all’Inghilterra come una potenza
pacifica e in contrasto solo con la Germania militarista. Di fatto, l’esercito britannico fu sempre in
guerra in qualche parte del mondo: si pensi per esempio alla campagna di Kitchener nel Sudan, di
altri battaglioni fra l’Afghannistan e l’India, in Cina e contro i boeri in Sudafrica. Il motivo di così
tanto impegno in guerra era appunto il mantenimento dell’impero.
Ma nella crudele storia del governo imperiale, la vicenda del Congo Belga fu eccezionale per e
incessanti brutalità che la caratterizzarono: il re Leopoldo del Belgio intorno al 1880 comprò un
immenso territorio nel bacino del Congo, e lo gestì come un’impresa privata. Il mantenimento
dell’ordine fu affidato alla Force Publique, composta da mercenari africani e ufficiali europei, i
quali fecero ricorso a ogni mezzo per trasformare la popolazione locale in una forza lavoro da
utilizzare nelle piantagioni di gomma del sovrano. Si trattava della più vile corsa alla ricchezza nella
storia della coscienza umana, corsa che costò circa 10 milioni di morti alla popolazione africana. Le
proteste furono molte, ma le violenze nel mondo coloniale erano ormai talmente tante che zittivano
ogni movimento contrario; motivo di tanta foga violenta era, come al solito, l’economia.
- BALCANI: All’inizio del ventesimo secolo, la zona più violenta d’Europa era quella dei Balcani,
dove un gruppo di nuovi Stati era riuscito a strappare l’indipendenza dall’impero ottomano. Si
trattava di Stati poveri, governati da una dinastia di importazione recente e divisi da antagonismi
locali, etnici e religiosi. Nonostante le aspirazioni di stabilire – o ristabilire – il controllo, nessuno di
questi stati era capace di realizzare un governo stabile e ordinato. Diversamente dai conflitti politici
dell’Irlanda, della Spagna o dell’Italia meridionale, l’instabilità dei Balcani ebbe un impatto diretto
sull’ordine internazionale, in quanto la violenza in quelle zone aggravò il declino dell’impero
ottomano e stimolò la competizione fra le grandi potenze, in particolare fra l’Impero asburgico e
quello russo: l’effetto fu la fine della lunga pace europea.
Nel 1912, mentre i turchi stavano ancora combattendo contro gli italiani nell'Africa del Nord e nel
Mediterraneo orientale, la Bulgaria, la Serbia, la Grecia e il Montenegro si accordarono per
scatenare una guerra di aggressione che puntava a cacciare gli ottomani fuori dall'Europa, per
sempre. Dopo una serie di conquiste (come il Kosovo e l'Albania), le malattie e il maltempo
rallentarono la loro avanzata, dando agli ottomani il tempo di recuperare: nel 1913 a Londra fu
firmata la pace. Ma dopo un mese, le rivalità si riaccesero tra le precedenti e temporanee alleate: la
Bulgaria, scontenta del bottino che si era assicurata, attaccò le posizioni serbe e greche in
Macedonia, con esito disastroso; la Bulgaria fu costretta a cessare le ostilità, perdendo gran parte di
quanto aveva guadagnato. La questione balcanica fu forse uno dei motivi per cui gli uomini
cominciarono a perdere fiducia nella pace: non a caso, la violenza ora riappariva come l'unica forma
affidabile di difesa dei propri interessi nazionali. Ogni Stato ricominciò la corsa agli armamenti,
destinando una sempre maggiore quantità di uomini, soldi e materiali. L'Europa si preparava a una
guerra inevitabile.
- PRIMA GUERRA MONDIALE: Il 28 giugno 1914, l'erede al trono dei domini asburgici,
l'arciduca Francesco Ferdinando, fu vittima di un attentato mentre era in visita a Sarajevo (capitale
della Bosnia). Il suo uccisore era Princip, un terrorista inviato in Bosnia dalla Mano Nera, una
società segreta collegata a membri delle forze di sicurezza serbe. Inizialmente non accadde niente
circa i rapporti diplomatici tra le potenze europee: ma dietro le quinte un piccolo gruppo di uomini
stava prendendo delle decisioni che avrebbero causato una delle piu grandi catastrofi della storia
contemporanea.
L'Austria decise di approfittare dell'omicidio di Francesco Ferdinando per rimuovere la minaccia
serba contro gli interessi dell'impero nei Balcani. La Serbia però era sostenuta dalla Russia, e per
questo l'Austria aveva bisogno della sua unica alleata, la Germania. Dopo un ultimatum da parte
dell'Austria alla Serbia, a cui però quest'ultima non aveva dato seguito, gli austriaci le dichiararono
guerra (28 luglio 1914), bombardando Belgrado un giorno dopo. I francesi dichiararono il proprio
appoggio alla Russia, la quale mobilitò le sue truppe. La Germania replicò con una dichiarazione di
guerra contro la Russia stessa. Dopo che i tedeschi violarono la neutralità del Belgio, l'Inghilterra
dichiarò guerra alla Germania. Gli aspetti più orribili della guerra erano legati al fatto che essa era
combattuta non solo dagli eserciti, ma dalle nazioni stesse; ecco perché queste guerre sono così
sanguinarie.
- PERCHE' SCOPPIA LA GUERRA: Ma perché l'uccisione di Francesco Ferdinando mise fine al
periodo di pace europea? 1) Innanzitutto bisogna considerare il peso delle responsabilità della
Germania: nel trattato di Versailles del 1919, infatti, si afferma che la Germania e i suoi alleati sono
responsabili di aver causato tutte le perdite e i danni ai quali i governi alleati sono andati soggetti, in
conseguenza della guerra loro imposta dall'aggressione della Germania e dei suoi alleati.
2) Un secondo tipo di spiegazione è l'opposto della prima: la guerra non fu colpa di nessuno, o forse
di tutti, ma derivò da tragici sbagli di valutazione e sfortunati incidenti.
3) Vi è poi un'ultima spiegazione, secondo cui la guerra è stata il risultato inevitabile di alcune
tensioni profondamente radicate nel mondo pre-bellico. Per i marxisti, il conflitto scaturì dalle
contraddizioni di fondo dell'economia capitalista; per altri dalle tensioni del sistema internazionale.
Insomma, le tensioni prima o poi sarebbero esplose, se non nel 1914, subito dopo.
- CONSENSO POPOLARE: Inoltre, sappiamo che una guerra, per essere combattuta senza
ostacoli interni, deve essere sostenuta tramite il consenso del popolo. Per ottenere ciò, i governi
dovevano convincere la popolazione che era in atto una guerra difensiva per la sopravvivenza della
nazione. Così, il popolo sapeva che gli Austriaci stavano soltanto rispondendo all'aggressione serba,
i tedeschi stavano difendendo un alleato fedele da un attacco, i russi che non potevano vedere
distruggere la Serbia, i francesi che non potevano permettere l'invasione della Russia da parte dei
tedeschi, i britannici che il Belgio doveva essere difeso in quanto neutrale. Per questo, molti giovani
considerarono la guerra come una grande avventura, una prova di virilità, una possibilità di gloria e
di fama. L'evidente sostegno del pubblico alla guerra frustrò qualsiasi speranza di dar vita a
un'opposizione organizzata.
GUERRA E RIVOLUZIONE: Che aspetto avrebbe dovuto avere la ricompensa della vittoria per
giustificare così tanto sangue? Quando le morti divennero sempre più numerose, ogni Stato si sentì
obbligato a promettere un futuro che giustificasse tanti sacrifici, o quantomeno si sentiva
giustificato a portare avanti la guerra per una vittoria. Qualsiasi cosa inferiore alla vittoria, come
una pace, avrebbe avuto conseguenze disastrose per coloro che l’avessero sottoscritta. I politici,
così, chiedevano ai loro popoli di affrontare sacrifici sempre maggiori piuttosto di ammettere che le
atrocità che avevano sopportato erano state vane. Si era creato un circolo vizioso in cui tutti i
belligeranti erano intrappolati: nessuno voleva firmare una pace e tanto meno perdere la guerra; il
perseguimento della vittoria costava sacrifici e sforzi sempre maggiori per la popolazione e per la
nazione stessa.
- FRANCIA: Una prima strategia francese per sconfiggere il nemico era il Plan XVII, che
prevedeva una concentrazione delle truppe francesi alla frontiera orientale: le forze francesi
dovevano avanzare unite contro l’esercito tedesco. I fanti francesi entrarono nel territorio nemico il
15 agosto, incontrando una forte resistenza e cominciando a subire perdite spaventose, che in poco
tempo sarebbero state circa l’80%. Nella sola giornata del 22 agosto furono uccisi 27.000 soldati
francesi, e in totale dal 20 al 23 agosto furono più di 40.000. Insomma, il Plan XVII era fallito.
- GERMANIA: La spedizione dei soldati tedeschi verso il fronte occidentale fu inizialmente senza
problemi. Ma più i tedeschi si spingevano fino alle stazioni terminali delle loro ferrovie, più
diventava difficile portare avanti l’offensiva. Vi erano molti problemi, tra cui le grandi dimensioni
dell’esercito, la cattiva comunicazione con le proprie forze, l’impossibilità di controllare un così
vasto contingente, poche informazioni sullo schieramento del nemico, problemi con i rifornimenti e
quindi uomini esausti. Quando l’attacco tedesco cominciò a perdere la propria direzione, i francesi
riuscirono a recuperare. Con una sanguinosa battaglia, i tedeschi vennero fermati, ma si giunse
presto a una situazione di stallo: entrambi gli eserciti non riuscivano a predominare.
Nel frattempo, la Germania combatteva la sua guerra anche sul fronte orientale contro la Russia. La
differenza sostanziale riguardava gli spazi: a ovest il conflitto si concentrava in un’area compatta
(guerra immobile), mentre a est il fronte si estendeva per oltre 1.500 chilometri (guerra di
movimento). Anche qui però gli eserciti rimasero intrappolati in una guerra di logoramento, che si
sarebbe decisa solo al momento del crollo dell’esercito russo.
- CONDIZIONI PSICOLOGICHE: Ogni esercito, ormai provato dalla guerra stremante
ininterrotta, aveva uomini che non potevano e non volevano continuare a combattere perché la loro
scorta di coraggio si era esaurita. A volte soffrivano di quello che era chiamato “shock da granata”,
una condizione che si manifestava con una varietà di sintomi, fra i quali un’estrema agitazione,
insonnia, delirio e perdita della parola e dell’udito: se erano fortunati tali soldati venivano trattati
con umanità, ma il più delle volte venivano costretti a tornare al fronte il prima possibile.
Nel 1917 emersero segni che la sopportazione dei soldati stava per toccare il limite. Su ogni fronte
si manifestarono disordini, segnale che la disciplina militare stava cominciando a disfarsi. Ma
l’efficienza militare venne ripristinata presto in tutti gli eserciti, anche grazie alla polizia
responsabile dell’imposizione della disciplina degli eserciti: dure punizioni, che arrivavano fino alla
pena di morte, potevano essere assegnate per essersi addormentati durante un turno di guardia, per
non essere avanzati per attaccare il nemico, o per essere scappati. L’unica possibilità di sottrarsi alla
disciplina militare era la diserzione, che significava nascondersi lontano dal campo di battaglia:
alcuni ci riuscirono, altri furono catturati e severamente puniti.
- ECONOMIA: Nel 1914, nessuna economia nazionale era preparata ad affrontare la guerra che
avrebbe dovuto combattere; tutte dovettero riadattarsi rapidamente e radicalmente per poter
rispondere a una così elevata domanda di beni e servizi. La mobilitazione di massa di giovani
uomini per l’esercito sottrasse braccia alle fabbriche e ai campi, lo sconvolgimento dei mercati
interni e del commercio internazionale soffocò il rifornimento di materie prime, e i danni provocati
dall’occupazione straniera restrinsero le basi della produzione. Su tutti i fronti, i combattenti
distrussero interi villaggi, rovinarono miniere e contaminarono i campi coltivati.
Gli Stati limitavano i viaggi, razionavano il cibo e imponevano giorni senza consumo di carne. Per
risparmiare energia, introdussero l’ora legale. Ridussero le ore nelle quali i locali pubblici potevano
servire birra. Intromettendosi in cos tante attività della vita di ogni giorno, lo Stato gettò le basi di
quei regimi che sarebbero nati poco dopo la fine della prima guerra mondiale.
- CENSURA: Quello che poteva essere scritto e riferito a proposito della guerra era attentamente
controllato da censori civili o militari: i quotidiani che uscivano dai limiti consentiti potevano essere
chiusi, gli articoli e i libri che criticavano la politica governativa erano messi al bando. Al fine di
prevenire il diffondersi di notizie scoraggianti dal fronte venne introdotto un sistema di censura
militare. Gli uffici per l’informazione di guerra stampavano centinaia di manifesti, organizzavano
raduni e parate, curavano apparizioni pubbliche degli eroi di guerra e mostre delle armi sequestrate.
Ogni campagna propagandistica cercava di diffamare il nemico.
- FINE DELLA GUERRA: Nell’autunno del 1918, la rivoluzione leninista sembrò propagarsi a
occidente. Alla fine di settembre, il comando supremo tedesco si rese conto che la guerra era
perduta: le forze britanniche e francesi erano sopravvissute all’ultima offensiva tedesca ed erano ora
sostenute dall’arrivo di una grande quantità di truppe americane. La disciplina all’interno
dell’esercito tedesco cominciò a sfasciarsi, e con essa la capacità del governo tedesco di mantenere
l’ordine. L’Imperatore di Germania Guglielmo II si rifugiò in Olanda. La capacità dello Stato di
imporre l’ordine, e in molti luoghi perfino il suo controllo del monopolio della violenza, venne
compromessa: sommosse, omicidi politici e minacce rivoluzionarie tormentarono l’immaginazione
degli europei. La guerra distrusse tutto: per milioni di europei, il conflitto aveva dimostrato la triste
verità contenuta nella previsione di Norman Angell, secondo cui la guerra non avrebbe pagato. Essi
credevano che un altro conflitto europeo dovesse essere evitato a ogni costo.
LA TREGUA DEI VENT’ANNI: L’11 novembre del 1918, gli eserciti contrapposti lungo il fronte
occidentale continuarono a far fuoco fino alle 10:59. Alle 11 in punto, si fece silenzio, in quanto
entrò in vigore l’armistizio. Alcuni soldati scavalcarono le trincee e attraversarono la terra di
nessuno per abbracciare i loro ex nemici; altri se ne andarono; la maggior parte rimase dov’era,
dubitando ancora che la guerra fosse veramente finita. Nel 1919 si tenne la Conferenza di pace di
Parigi, in cui gli Stati vincitori (Francia, Inghilterra e Usa) imponevano a quelli sconfitti alcuni
trattati da rispettare.
Al posto dell’Impero asburgico si istituì un gruppo di Stati basati in linea generale sul principio
dell’autodeterminazione. Gli Usa non fornirono sostegni alla pace e non aderirono alla Società delle
Nazioni. I britannici vi aderirono ma cominciarono subito ad avere dubbi sugli accordi di pace. La
Russia, essendo governata ora dai bolscevichi, era fuori dal consenso degli Stati. L’Italia e il
Giappone, nonostante fossero fra le potenze vincitrici, erano profondamente insoddisfatti dello
Status quo. A pagare maggiormente le conseguenze della guerra fu la Germania: obbligata a
ridimensionare drasticamente le forze armate, l’economia gravata dalle enormi riparazioni di
guerra, governo sotto attacco, società percossa da conflitti. Ma nonostante tutto, la Germania
rimaneva lo Stato più importante d’Europa.
Nel Medio Oriente, il periodo successivo alla guerra fu caratterizzato da una serie di lotte armate
per decidere il futuro dell’Impero ottomano. Quando nel 1918 i turchi accettarono l’armistizio, le
loro province arabe erano in rivolta, e truppe straniere stavano penetrando nell’entro terra, tra cui
quelle britanniche, greche e italiane. L’impero si stava rapidamente disintegrando, e il sultano
Mohammed VI rimase confinato a Costantinopoli. Gli succedette Kemal, il quale istituì una
repubblica al posto del sultanato.
- RUSSIA: Lenin, nel 1918, aveva convinto i suoi compagni ad accettare le dure condizioni di pace
imposte dalla Germania vittoriosa a Brest-Litovsk, in conseguenza delle quali il paese perse un
terzo dei territorio della Russia europea, assieme a quasi metà della sua capacità industriale. Nello
stesso anno, si formarono degli eserciti controrivoluzionari appoggiati da Usa, Giappone, Gran
Bretagna e Francia, che minacciarono il regime russo su diversi fronti. I Bolscevichi ne uscirono
vittoriosi, usando la forza contro tutti i nemici. Nel 1921 i bolscevichi avevano vinto la guerra
civile, ma l’economia russa era paralizzata, la fame una realtà, e il malcontento cresceva tra tutti.
- ITALIA: Nel 1919, mentre Lenin istituiva la Terza Internazionale (la seconda era crollata nel
1915) per diffondere la rivoluzione mondiale, Benito Mussolini fondò a Milano un Fascio di
combattimento: la sua rapida ascesa al potere sarebbe stata inconcepibile senza la guerra. Nel 1914
Mussolini dirigeva l’Avanti, il quotidiano ufficiale del Partito socialista italiano; poco dopo l’inizio
della guerra, però, ruppe con i compagni socialisti sulla questione dell’intervento, da lui sostenuto.
Se inizialmente il futuro duce possedeva un programma che mescolava a un radicale nazionalismo
elementi anticapitalistici e anticlericali, ben presto si spostò a destra, omaggiando la monarchia e la
Chiesa e promettendo di difendere la proprietà e l’ordine.
Con lo Stato ridotto quasi alla paralisi, l’economia del paese a terra e il sistema politico collassato,
molti italiani guardavano alle squadre fasciste (reclutate fra ex militari, studenti e giovani
predisposti alla violenza) come a un fondamentale alleato contro la minaccia di una rivoluzione
comunista. Ma fascismo e comunismo nascevano dalla stessa guerra, e possedevano entrambi un
ideale di base: era necessario un nuovo sistema, ricorrendo anche a misure dure e perfino brutali per
realizzarlo.
- TRATTATI: Alla fine del 1923, il ministro degli Esteri tedesco Stresemann inaugurò un apolitica
tesa a ottenere concessioni dagli Alleati in un’ottica di conciliazione piuttosto che di scontro.
Stresemann trovò un alleato disponibile nel primo ministro francese Briand, il quale credeva che la
sicurezza della Francia potesse essere meglio perseguita mediante una stretta cooperazione con la
Gran Bretagna e una politica più accomodante e flessibile nei confronti della Germania. Nel 1926 la
Germania entrò nella Società delle Nazioni e prese parte ai avori di una commissione incaricata di
preparare una conferenza generale sul disarmo. Ci fu anche una soluzione riguardo le riparazioni,
che furono fissate a una quota che i tedeschi avrebbero potuto pagare.
- VERSO LA GUERRA: Gli anni 30 erano un periodo basso e disonesto, oltre che violento. Si
ricorda ad esempio la conquista dell'Etiopia da parte dell'Italia di Mussolini, le brutalità commesse
dal regime sovietico contro i contadini, i Gulag, la carestia che afflisse l'Ucraina. I governi delle
democrazie liberali assisterono a questa marea di sofferenze e di morte con ansia e sgomento. I
sostenitori del comunismo e del fascismo tentarono di spiegare e giustificare le politiche omicide di
Stalin e l'imperialismo di Mussolini. Fra gli europei, l'orientamento dominante fu quello di non farsi
coinvolgere, di lasciare che gli eventi facessero il loro corso. Nessuno di questi eventi, infatti,
sembrava toccare gli interessi degli altri Stati europei: per nessuno di essi valeva la pena di rischiare
un'altra catastrofe come la scorsa guerra.
- GERMANIA: Nel 1922 e 1923, in Germania né l'estrema destra e né l'estrema sinistra erano
abbastanza forti da prendere il potere illegalmente o da conquistarlo con libere elezioni. Quando nel
1929 l'economia mondiale precipitò nella crisi, questa situazione cambiò: i conservatori crearono
un'alternativa antidemocratica. Così, nel 1933 il governo fu consegnato ad Adolf Hitler. Questi si
sbarazzò ben presto dei suoi alleati, sottomise col terrore i propri oppositori e smantellò la
Costituzione. In poche parole, in poco piu di un anno affermò il proprio controllo sullo Stato e sulla
società tedesca.
Il nazismo trovò consensi "grazie" alle divisioni politiche, a un grave dissesto economico e a un
senso di frustrazione nazionale, il tutto causato dalla guerra. In secondo luogo, la guerra abituò i
tedeschi alla violenza. Le attrattive del nazismo consistevano in una serie di paure e odi, oltre che
interessi particolari: la questione ebraica assumeva un'importanza centrale, così come
l'anticomunismo. Nel 1918, queste forze estranee avevano tradito la patria e continuato ad essere la
fonte del malcontento tedesco. L'interesse principale era quello di far tornare la Germania una
potenza mondiale di tutto rispetto, in risposta all'umiliazione subita col trattato di Versailles.
Hitler credeva di poter sovvertire la pace di Versailles con mezzi diplomatici, sfruttando le
debolezze e le divisioni esistenti fra gli altri Stati europei, ma gli obiettivi finali del suo
imperialismo razziale non potevano essere conseguiti senza la guerra, necessaria per conquistare i
vasti spazi rivendicati dalla Germania a Est. Nel 1936 Hitler annunciò che la Germania non si
sarebbe piu attenuta alle restrizioni che il Trattato di Versailles imponeva alle sue forze armate.
Gran Bretagna e Francia non passarono all'azione, mantenendo comunque lo stato di allarme.
Nel 1938 Hitler si mosse per la prima volta oltre i confini del Reich, costringendo il governo
austriaco ad accettare un'incursione di truppe tedesche e la fusione dei due paesi (Anschluss).
Sempre nello stesso anno, Hitler iniziò ad avvicinare il suo esercito in Cecoslovacchia, dove viveva
una consistente minoranza tedesca; ma la Cecoslovacchia mobilitò il suo esercito, assicurandosi
anche l'appoggio di Gran Bretagna e Francia. Hitler dunque fece marcia indietro, ma non
abbandono il suo obiettivo: in un futuro non troppo lontano, avrebbe distrutto la Cecoslovacchia, e
non era di certo un segreto.
Per evitare la catastrofe, il primo ministro britannico Chamberlain compì tre viaggi per incontrare
Hitler, riassumibili tutti nel terzo, in cui di fatto venne concesso a Hitler tutto quello che voleva;
l'alternativa era attaccarlo. Così, prive di vincoli, nel 1939 le truppe tedesche entrarono a Praga,
completando la distruzione dello Stato cecoslovacco. Hitler preparò subito anche l'invasione della
Polonia: stavolta, però, Chamberlain dichiarò che in caso di attacco, l'Inghilterra (così come la
Francia) sarebbe accorsa in aiuto alla Polonia. Hitler non aveva ragioni per pensare che ora le
potenze occidentali facessero sul serio, anche perché la Germania aveva stretto un patto di non
aggressione con la Russia, condannando la Polonia a combattere su entrambi i fronti.
La guerra era ormai inevitabile: l'Europa si trovava a dover affrontare di nuovo un dramma atroce,
ma questa volta senza nemmeno l'entusiasmo di vincere. Nessun canto, nessuna banda e nessuna
felicità vi era ad accogliere i soldati e i cittadini europei. Chamberlain era ormai rassegnato, dopo
aver provato in ogni modo ad evitare la guerra. Perfino a Berlino l'atmosfera non era entusiasta.
L'auto di Hitler, al momento dell'annuncio dell'inizio della guerra, attraversò strade vuote: non
c'erano folle esultanti, né espressioni di gioia o di solidarietà. L'Europa aveva iniziato la guerra,
un'altra volta.
L'ULTIMA GUERRA EUROPEA:
L'ultima guerra europea iniziò il 1° settembre del 1939, quando i tedeschi bombardarono la Polonia
presso il golfo di Danzica. L'obiettivo strategico di Hitler era l'eliminazione delle forze vive, ossia la
distruzione della società e della cultura polaccha. La guerra, sosteneva Hitler, doveva essere
combattuta con la piu grande brutalità e senza pietà. E così fu: ammazzarono prigionieri,
incendiarono paesi, catturarono ostaggi, uccisero civili e capi politici. Gran parte di questa violenza
fu opera delle SS e della Gestapo. Come promesso la Gran Bretagna e la Francia dichiararono
guerra alla Germania per difendere i loro alleati polacchi, ma di fatto non fecero niente per aiutarli
militarmente.
Una volta sconfitta la Polonia, Hitler fu ansioso di procedere con il suo piu vasto progetto
imperialistico su base razziale, il che significava invadere l'Unione Sovietica, rompendo il patto di
non aggressione. Prima di questo, però, doveva assicurarsi il controllo del fronte occidentale,
sconfiggendo la Francia e allontanando i britannici dal continente. Gli alleati occidentali
aspettarono al riparo della linea Maginot, un sistema di fortificazioni che si estendeva per 140
chilometri lungo la frontiera franco-germanica. Quando i militari tedeschi cominciarono a spostarsi
verso Ovest, i francesi sbagliarono a valutare quale sarebbe stato il punto di massima
concentrazione dell'offensiva tedesca, e inviarono le loro truppe migliori a Nord verso il Beglio,
consentendo così al nemico di avanzare attraverso la foresta delle Ardenne, che la linea Maginot
lasciava scoperta.
- INGHILTERRA: Dopo la caduta della Francia, Hitler sperava che la Gran Bretagna sarebbe
rimasta neutrale e avrebbe lasciato avanzare ad Est la Germania. Ma Churchill, diventato primo
ministro, era determinato a restare in guerra. La Royal Air Force riuscì a sconfiggere la Luftwaffe,
costringendo Hitler a rinviare ulteriori operazioni militari.
- RUSSIA: Nel 1941 i tedeschi sfondarono in territorio russo: lo shock fu tremendo,e la loro
avanzata provocò un disastro terribile. I sovietici in sei mesi persero 4 milioni di uomini e migliaia
di aerei e carri armati. Leningrado fu accerchiata, e Mosca posta sotto assedio, consentendo così ai
tedeschi di impossessarsi di alcune zone industriali. Hitler aveva deciso che Mosca dovesse
scomparire dalla storia, sommersa a un enorme lago artificiale. Ma quando cominciò l’inverno, fu
evidente che i tedeschi non erano riusciti a superare un grosso problema: quello logistico di una
linea di rifornimenti che si estendeva continuamente, lasciando spesso le truppe senza carburanti,
munizioni e altro. Approfittando dei rallentamenti delle truppe tedesche, i sovietici riuscirono a
liberare Mosca: l’Armata Rossa stava recuperando.
A maggio, Stalin aveva ordinato un’offensiva presto rivelatasi fallimentare: i tedeschi reagirono con
una propria offensiva, destinata però a bloccarsi quando non riuscirono a conquistare Stalingrado.
Era un secondo campanello d’allarme per Hitler, che aveva già sentito suonare il primo poco prima
con la liberazione di Mosca. Infatti, nel 1943, gli esausti resti dell’armata tedesca furono costretti
alla resa: la campagna tedesca subì così una grave sconfitta, di grande portata simbolica, in quanto
la Germania prima d’allora non aveva mai perso una battaglia. Il regime dittatoriale tedesco riuscì a
prevalere sulle democrazie occidentali, ma a Est si trovò di fronte un regime simile, forse
organizzato ancora meglio, e il nazismo non poté superare la prova del fuoco.
- USA: Nel frattempo i cacciabombardieri giapponesi stavano attaccando la base navale americana
di Pearl Harbor. Hitler decise di affiancarsi ai giapponesi, dichiarando guerra agli Stati Uniti. Questi
ultimi sembravano l’unica via d’uscita per un’Europa sottomessa dalla Germania. Iniziò così la
battaglia dell’Atlantico, in cui i tedeschi potevano mostrare la propria abilità per mezzo degli UBoot (sottomarini). Solo nel 1943, finalmente, il numero di navi fabbricate superava quello delle
navi perse, e nello stesso anno gli alleati riuscirono ad affondare un numero maggiore di U-Boot,
costringendo i tedeschi a limitarne l’attività.
Contemporaneamente, i britannici e gli americani cacciarono gli italiani e i tedeschi dal NordAfrica, sbarcando in Sicilia. Mussolini venne estromesso dal potere. Ora la Germania era costretta a
condurre un nuovo tipo di guerra, fronteggiando una schiera di nemici che disponevano di
popolazioni molto più numerose, di risorse più consistenti e di una capacità produttiva nettamente
maggiore. Nel 1944 gli alleati sbarcarono in Normandia, uccidendo più di un milione di soldati
tedeschi. Roma fu occupata dagli anglo-americani.
Ma i tedeschi non mollavano così facilmente e continuavano a infliggere gravi perdite ai loro
nemici: essi continuavano a combattere a lungo, anche se ogni possibilità di vittoria era visibilmente
svanita, probabilmente per convinzioni ideologiche, per salvarsi la pelle a vicenda, per la coesione
all’interno dell’esercito, o forse solo perché avevano paura a non farlo, considerando che i disertori
venivano letteralmente appesi ai lampioni.
- FINE DELLA GUERRA: La Seconda guerra mondiale fu molto più vasta della prima. Più vite
umane, più risorse, più macchine, più morti (circa 50 milioni di persone). Inoltre, molto più della
prima guerra mondiale, la seconda trascinò con sé sia soldati che civili, poiché i combattimenti non
ebbero confini.
- GUERRE PARALLELE: La vittoria militare, nel regime hitleriano, non avrebbe avuto senso se
a essa non si fosse riusciti ad affiancare una rivoluzione razziale. Così, fra il 1933 e il 1939 Hitler
creò i fondamenti ideologici di una campagna di ominazione razziale: i dettagli di simili progetti
erano vaghi, ma l’obiettivo era chiaro; sterminare i nemici razziali della Germania e conquistare le
razze inferiori, riducendole in schiavitù. Fra i primi obiettivi figurarono i tedeschi affetti da malattie
incurabili e quelli socialmente indesiderabili. Il nucleo della guerra razziale tedesca era la questione
ebraica: gli ebrei non potevano essere semplicemente sottomessi, in quanto si riteneva che fossero
troppo pericolosi, e che il loro potere fosse troppo forte. L’unico rimedio era sbarazzarsene
(rimaneva solo decidere come). Inizialmente furono estromessi dalla società e privati dei diritti
civili ed economici, ma già dal 1938 il ritmo delle persecuzioni si intensificò: gli squadristi nazisti
dettero alle fiamme sinagoghe, uccisero alcuni uomini ebrei, ne arrestarono molti e distrussero le
vetrine dei negozi condotti da ebrei (notte dei cristalli).
- QUESTIONE EBRAICA: In una prima fase, i tedeschi strapparono dalle loro case,
concentrarono e segregarono gli ebrei che abitavano nei territori conquistati, rinchiudendoli nei
ghetti o nei campi di concentramento. Poi, nel 1941, Hitler e i suoi più stretti collaboratori
elaborarono la "soluzione finale" della questione ebraica, ossia l’uccisione di ogni ebreo sul quale
potessero mettere le mani. La scena del massacro si spostò nei campi di concentramento verso i
quali vennero trasportati milioni di ebrei provenienti da tutta Europa. Ma per riuscire nel loro
intento, i tedeschi avevano bisogno di aiuto, e in qualsiasi luogo giungessero trovavano persone
disposte a collaborare. È possibile quindi affermare che lo sterminio degli ebrei fu un fenomeno
europeo, in cui francesi, ucraini, lettoni e fascisti italiani svolsero ciascuno un proprio ruolo.
Ma quando gli eserciti tedeschi vennero sconfitti, i regimi che avevano collaborato con essi furono
spazzati via. Furono uccise molte persone che avevano collaborato con il regime nazista. Molti
collaborazionisti furono sottoposti a processo e condannati a pene pesanti. Nel 1945 milioni di
soldati tedeschi furono fatti prigionieri, cosi come diversi capi del regime furono sottoposti a
processo davanti al Tribunale internazionale di Norimberga. Furono moltissimi invece i suicidi dei
funzionari del regime, tra cui Hitler, Goebbels e Himmler.
LE BASI DEL MONDO POSTBELLICO
Nell’estate del 1945, i capi dell’Alleanza si riunirono per l-ultima volta a Potsdam, un sobborgo di
Berlino. Alla riunione parteciparono il nuovo presidente degli Usa Truman, Churchill, e Stalin.
Emerse il peggioramento dei rapporti fra russi e americani. Il conflitto tra Est e Ovest era ancora
mascherato dai tentativi di cooperazione messi in atto da entrambe le parti, ma la difficoltà di
raggiungere un accordo su questioni specifiche fu inequivocabile.
- USA: Gli Stati Uniti, essendo materialmente a distanza dal conflitto a causa dell’oceano, poterono
permettersi il lusso di scegliere quanti soldati addestrare e quante risorse dedicare alla guerra. Gli
Stati Uniti avrebbero comunque combattuto una guerra in cui il ruolo determinante sarebbe stato
svolto dai macchinari, il che avrebbe ridotto al minimo le perdite fra i loro soldati. Le capacità
produttive americane, inoltre, non furono mai pienamente mobilitate in funzione dello sforzo
bellico. Il livello di vita medio dei cittadini americani addirittura aumentò.
Durante la guerra, i sovietici diventarono per gli americani un indispensabile alleato, mettendo da
parte le vecchie animosità. Ma la divisione postbellica dell’Europa emerse gradualmente da una
complessa dinamica di conflitti e di adattamenti con cui ogni parte, sempre più consapevole degli
interessi contrapposti, accettava i limiti del proprio potere. Quando nel 1945 Roosevelt morì, il suo
successore Truman continuò a tentare di cooperare con Stalin. La situazione si modificò nel 1947,
anno in cui iniziò apertamente la Guerra fredda con le seguenti parole di Truman: "La politica degli
Usa consiste nel sostenere i popoli liberi che stanno resistendo ai tentativi di soggiogarli da parte di
minoranze armate o di pressioni esterne". Era ovviamente un riferimento all’Unione Sovietica che
si impossessava delle zone limitrofe dell’Europa orientale.
Tre mesi dopo il segretario di Stato statunitense Marshall colse l-occasione ad Harvard per
annunciare un piano per la ripresa economica, il Piano Marshall. Questo rappresentava una potente
espressione dell’impegno americano nei confronti del continente europeo, basato sulla
consapevolezza che l’instabilità sociale e il bisogno di beni materiali avrebbero creato un terreno
favorevole per i comunisti.
- RUSSIA: Anche Stalin definì la sua politica dell’Europa, basata al consolidamento del diretto
controllo sovietico sulla metà orientale del continente. Venne annunciata la formazione di una
nuova versione dell’Internazionale comunista, che Stalin aveva sciolto durante la guerra, con la
quale Mosca si apprestava a imporre disciplina e uniformità a tutti i partiti comunisti.
La fase critica del processo di divisione dell’Europa si concluse nel 1948, quando i sovietici e i loro
alleati locali instaurarono un regime comunista in Cecoslovacchia, violando le istituzioni
democratiche. Come era già successo precedentemente, anche nel 1948 le potenze occidentali
fecero ben poco per salvare la democrazia cecoslovacca da Stalin. Nello stesso anno, Gran
Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo firmarono a Bruxelles un patto militare;
l’estate seguente anche Canada e Usa avviarono colloqui con i membri del Patto di Bruxelles,
facendo nascere il Patto Atlantico (1948-49), in cui si afferma che ogni attacco a una nazione
membra sarà considerato come un attacco alla coalizione stessa fra i paesi firmatari.
- VERSO UN’EUROPA UNITA: La creazione della Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio (CECA) fu un evento rivoluzionario, da cui poi sarebbe nata l’Unione Europea. Ma
un’Europa unita doveva possedere un sistema di difesa, e questo era impensabile senza il riarmo
della Germania. Il sistema di difesa doveva essere pensato inoltre con una certa fretta, poiché la
Corea del Nord aveva appena minacciato l’esercito statunitense di occupazione, e Stalin aveva
appena sperimentato la bomba atomica. Washington promise, attraverso il comando della NATO,
non solo di difendere l’Europa da un attacco sovietico, ma anche di garantire che una Germania
riarmata non sarebbe diventata una minaccia per i suoi vicini. Così, gli Alleati accolsero la
Germania all’interno della NATO, e in cambio i tedeschi promisero che non avrebbero fabbricato
armi atomiche o chimiche, e che avrebbero posto le proprie forze armate interamente sotto il
comando della NATO.
Nel 1955 i tre alleati occidentali posero fine alla loro occupazione della Repubblica federale di
Germania, e conferirono al regime di Bonn il pieno potere di Stato sovrano sulla sua politica interna
ed estera (pur con delle restrizioni militari). Nel 1957 i sei paesi (Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi,
Lussemburgo e Germania Ovest) firmarono il Trattato di Roma, con il quale veniva istituita la
Comunità Economica Europea, con sede a Bruxelles.
- GUERRA ATOMICA: In un momento non meglio precisato fra il 1952 e il 1956, i sovietici
avrebbero disposto di un numero di bombe sufficiente a produrre il crollo di mezza Europa. Ma la
Russia anticipò la previsione e nel 1949 fu in grado di sperimentare un ordigno nucleare. Nel 1957,
quando l’Unione Sovietica riuscì a mandare in orbita un satellite, era chiaro che disponeva di missili
intercontinentali in grado di colpire obiettivi situati negli Usa. Insomma, gli Stati Uniti non
detenevano più il monopolio delle armi avanzate. Alcuni esperti cominciarono a mettere in
discussione la saggezza e la plausibilità dell’uso di armi atomiche. Se fosse avvenuta realmente una
guerra atomica tra le due superpotenze, la sicurezza dell’Europa sarebbe stata potenzialmente
compromessa.
Per alcuni anni, dunque, il rapporto tra Usa e Unione Sovietica rimaneva ostile e competitivo, ma
ognuna delle due parti si impegnava ad evitare uno scontro militare, che avrebbe avuto conseguenze
catastrofiche. La dimensione delle possibili distruzioni, rendeva l’uso degli armamenti atomici
sempre più impensabile.
- LA FINE DEL COLONIALISMO: Il colonialismo finì perché si modificarono le valutazioni
morali degli europei e la loro percezione di ciò che veramente contava. Quando i popoli assoggettati
cominciarono con sempre maggiore insistenza a chiedere l’indipendenza, i colonizzatori si chiesero
se il mantenimento delle colonie valesse tutto quel sangue e quelle risorse che occorrevano a tale
scopo. L’imperialismo aveva di fatto smesso di apportare benefici apprezzabili ai paesi avanzati. Se
il colonialismo non apportava alcun vantaggio né alla madrepatria e né alle colonie, non vi era
ragione per mantenerlo. Una dimostrazione era stata data dalle lotte per l’indipendenza da parte
dell’Algeria nei confronti della Francia: quest’ultima intendeva mantenere la colonia con la forza,
ma dopo tre anni di guerra decise di mollare e concedere l’indipendenza all’Algeria (“l’Algeria ci
costa più di quanto valga” dichiarò de Gaulle nel 1961).
L’ASCESA DELLO STATO CIVILE: George Orwell, giornalista e scrittore britannico, descrisse
nel suo libro intitolato “1984”, pubblicato nel 1949) un’utopia negativa di come sarebbe stata
l’Europa negli anni del titolo: la Terra è divisa in tre grandi potenze totalitarie perennemente in
guerra tra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia che sfruttano la guerra perenne per mantenere il
controllo totale sulla società. Come abbiamo visto, però, il futuro dell’Europa non assomigliò né
alle agonie totalitarie del libro di Orwell e né al mondo militarizzato dello Stato guarnigione di
Lasswell, politologo americano, in cui il mondo è dominato dalla violenza. Anzi, fra le rovine
lasciate dalla guerra, gli europei costruirono degli Stati a forte connotazione civile, organizzati in
funzione della pace e a vantaggio della produzione economica (e non di quella bellica).
Sia dal punto di vista istituzionale che territoriale, i confini degli Stati europei diventarono più
aperti e permeabili di quanto non fossero mai stati prima. La crescita economica dopo la guerra
consentì ad ogni Stato dell’Europa occidentale di recuperare rapidamente dai disastri della guerra e
di ricostruire le città distrutte. Alla fine del 1950, stava cominciando a emergere un nuovo tipo di
società. La prosperità di cui gli europei godettero era data anche dai ricordi che le persone
conservavano delle sofferenze sopportate durante e subito dopo il conflitto. Ma gran parte di questo
relativo benessere dipendeva in particolare dai rapporti commerciali fra gli Stati europei: nel 1960
un terzo delle importazioni dei paesi della Comunità Europea proveniva da atri paesi membri.
Oltre all’istruzione, ora i governi si assumevano la responsabilità dell’assistenza sanitaria, dei
sussidi di disoccupazione, delle pensioni di vecchiaia e di invalidità e della concessione di alloggi a
basso prezzo. Mentre la crescita economica metteva a disposizione degli Stati entrate sempre più
consistenti, nessuno di essi spese queste risorse addizionali nel settore militare, pur mantenendo o
reintroducendo la leva.
- IL 1968: Nel 1968, la Central Intelligence Agency (CIA) informò il presidente americano Johnson
che il dissenso era diventato un fenomeno di dimensioni mondiali. I contestatori attingevano a tre
comuni fonti di malcontento:
1. La guerra del Vietnam: questa fece emergere atteggiamenti id antiamericanismo,
antimilitarismo e simpatia nei confronti dei popoli del Terzo Mondo.
2. Sentimenti di malcontento: questi univano chi rifiutava il materialismo del boom economico
del dopoguerra e chi credeva di non poter ricevere una giusta porzione dei benefici che esso
apportava.
3. Una nuova società: la generazione del ’68 era la prima del dopoguerra che, non avendo una
diretta esperienza della depressione e della guerra, poteva concentrare la propria attenzione
sulle manchevolezze della società contemporanea piuttosto che sul suo progresso nel corso
del tempo. Ovunque emersero leader carismatici che formularono richieste politiche e
infiammarono folle entusiaste, che spesso si scontravano con le forze dell’ordine. Ma le
proteste erano comunque di natura pacifica, e forse fu proprio questo elemento a distinguerle
da quelle passate.
- TERRORISMO in POLITICA: Il terrorismo politico ebbe esiti particolarmente cruenti in Italia,
in parte per l’incompetenza e la corruzione governativa, in parte perché i gruppi terroristici
emersero sia all’estrema destra sia all’estrema sinistra, contribuendo a generare un senso di crisi
politica. Dal 1969 al 1980 la violenza a sfondo politico provocò in Italia circa 400 morti e 1000
feriti. Nel 1978 il rapimento e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse dell’ex presidente del
Consiglio Aldo Moro costrinse il governo ad assumere l’iniziativa: in pochi anni i capi brigatisti
vennero catturati, e la capacità offensiva della formazione di estrema sinistra venne ridimensionata.
In Irlanda del Nord, invece, i terroristi furono capaci di conquistarsi una base sociale molto più
ampia, mobilitando antagonismi interni profondamente radicati. A partire dal 1967, la minoranza
cattolica del paese cominciò a far propaganda per rivendicare l’uguaglianza dei diritti e delle
opportunità. L’Irish Republican Army (IRA) ritornò in campo, determinato a cacciare i britannici
dal paese una volta per tutte. Nel 1969 le truppe britanniche inviate sull’isola per restaurare l’ordine
vennero trascinate nel conflitto.
La Spagna era invece un esempio di transizione pacifica alla democrazia. Il dittatore Francisco
Franco stava ormai vivendo i suoi ultimi anni al potere. Ne approfittarono i separatisti Baschi: con
l’acronimo di ETA, un’organizzazione terroristica, il loro scopo era la separazione del popolo Basco
dalla Spagna e la propria indipendenza. I riformatori però ebbero la fortuna di poter contare sul
sostegno del successore di Franco, re Juan Carlos, il quale si rese conto che una Spagna pacifica
avrebbe dovuto basarsi su salde istituzioni democratiche. Quando Franco morì nel 1975, la sua
dittatura fu trasformata in una democrazia parlamentare.
- EUROPA ORIENTALE: L’Europa orientale non sembra far parte della stessa storia pacifica che
abbiamo appena visto. Nei regimi comunisti il conflitto armato rimaneva sempre vicino alla
superficie della vita pubblica. Inoltre, i regimi dell’Europa orientale non intrapresero un processo di
demilitarizzazione come quello dei paesi occidentali, ma continuarono a tenere in piedi vasti
eserciti. Ci fu comunque uno sviluppo, seppur lento e irregolare, dei valori e delle consuetudini
civili, che contribuì a gettare le basi delle grandi rivoluzioni pacifiche del 1989.
- UNIONE SOVIETICA: All’improvvisa morte di Stalin per un attacco cardiaco, nel 1953 il
sistema sovietico subì un deciso cambiamento, e salì al potere Nikita Chruščëv. Il terrore si attenuò
ed ebbe effetti meno letali, in quanto il regime adottò una politica di “repressione senza
annientamento”. Vennero rilasciati moltissimi prigionieri politici. Berija, che aveva guidato
l’apparato del terrore staliniano, fu arrestato e giustiziato. Rimaneva comunque una società soggetta
a limitazioni: i campi di lavoro forzato, ad esempio, rimasero in attività, il dissenso veniva punito, e
la società doveva obbedire. Sotto Chruščëv, l’economia sovietica crebbe a un ritmo intenso,
aumentando la disponibilità di beni di consumo. I cittadini sovietici cominciarono ad acquistare
televisori e frigoriferi, prospettando anche un miglioramento del livello di vita.
Le pretese di superiorità da parte dei russi si fecero ancora più convinte quando, nell’ottobre del
1957, essi lanciarono il primo satellite orbitante intorno alla Terra. Chruščëv ambiva ad annientare i
suoi avversari capitalisti non con la guerra, ma con una cara economica nella quale un tempo
l’occidente era apparso imbattibile. Ma nonostante ciò, il sistema sovietico non superò l’Occidente.
Anzi, la crescita economica rallentò e il divario fra i livelli di vita tra Est e Ovest divenne più
ampio.
Prevalse Gorbacev, che non era stato coinvolto attivamente nella seconda guerra mondiale. Egli,
date le circostanze e il periodo di stagnamento dell’economia, sapeva che era inevitabile introdurre
riforme sostanziali. Formulò proposte di disarmo innovative, cominciò a cessare la guerra che le
forze sovietiche stavano combattendo a sostegno del regime comunista in Afghanistan, e ipotizzò
che l’Unione Sovietica potesse smettere di imporre ai suoi alleati dell’Europa dell’Est la conformità
alla propria politica. In Unione sovietica, la dissoluzione dell’impero era parte di una crisi
terminale, che si concluse con il collasso totale del sistema. Le forze della democrazia e
dell’autodeterminazione a cui Gorbacev aveva dato spazio in Europa orientale filtrarono anche
all’interno delle frontiere sovietiche. Intorno al 1990 quattordici repubbliche sovietiche
dichiararono la propria indipendenza e si costituirono come Stati sovrani separati. Il 25 dicembre
del 1991 l’Unione Sovietica si dissolse pacificamente.
PERCHE’ L’EUROPA NON DIVENTERA’ UNA SUPERPOTENZA: All’inizio del 1990 la
Repubblica socialista federale di Iugoslavia stava per sfasciarsi. In Serbia e Croazia le recenti
elezioni avevano confermato al potere Milosevic e Tudman, i quali puntavano a distruggere la
struttura federale creata da Tito dopo la seconda guerra mondiale. Le guerre degli anni 90 nei
Balcani ebbero terribili conseguenze per gli abitanti della regione. Inoltre, gli europei intervenivano
raramente e senza efficacia per riportare la pace fra i popoli che vivevano lungo le frontiere sudorientali. Nel 1990 la frontiera fra le due Germanie, che aveva rappresentato per 40 anni una delle
cause delle ostilità fra Est e Ovest, scomparve dalla carta politica: la nuova Germania, legata
all’Occidente, era adesso libera da limiti esterni alla propria sovranità.
Il rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti rimaneva sempre ineguale e controverso. Fin dalla sua
formazione (1949), l’Alleanza atlantica aveva fronteggiato una crisi dopo l’altra. Europa e Usa si
erano trovati in disaccordo ad esempio sul riarmo tedesco, sull’invasione di Suez, sulla guerra del
Vietnam, sulla crisi dei missili ecc. Ma anche se qualcuno avesse desiderato dire addio all’alleato
americano, finché la minaccia sovietica permaneva, pochi disponevano di una vera alternativa.
Nel 1986 i paesi membri della Comunità Economica Europea firmarono l’Atto unico europeo, il cui
obiettivo era la realizzazione di un’economia europea senza barriere, nella quale beni, capitali e
lavoro circolassero senza limiti. Pochi anni dopo, nel 1991, con il Trattato di Maastricht si da vita
all’Unione Europea. Il trattato affermava la volontà di attuare una politica estera e di sicurezza
comune, imponendosi sulla scena internazionale. Insomma, vi era una volontà comune a molti di
voler creare un sistema di difesa europeo più autonomo e indipendente dalla NATO: gli americani
però facevano sapere che si sarebbero opposti a qualsiasi organismo di difesa indipendente che
potesse competere con la NATO.
SADDAM HUSSEIN: Una prima crisi internazionale fu innescata dall’invasione del Kuwait da
parte dell’Iraq nel 1990. Il capo del regime repressivo iracheno, Saddam Hussein, sperava di
impossessarsi delle risorse necessarie (il Kuwait è ricco di petrolio) per riprendersi dalla costosa
guerra che aveva combattuto contro l’Iran negli anni 80. In questo modo, Saddam poteva
controllare il 20% delle riserve petrolifere mondiali e minacciarne un altro 30% nella vicina Arabia
Saudita. L’Europa si fece da parte e lasciò l’iniziativa agli Usa, i quali misero in piedi una vasta
coalizione internazionale per sostenere l’azione militare contro l’Iraq. Né la NATO e né le
istituzioni dell’Unione Europea vennero coinvolte. La rapida e decisiva vittoria della coalizione nel
1991 mise in rilievo la forza americana e la dipendenza dell’Europa.
IUGOSLAVIA: Non appena gli Stati Uniti affermarono che la Iugoslavia era un loro problema, gli
europei accettarono la sfida . in realtà, gli interventi nei Balcani furono molto incerti e frammentati.
L’azione più decisiva, intrapresa su insistenza della Germania, consisté nel riconoscimento della
secessione della Slovenia e della Croazia dalla Iugoslavia (1991). Ma ciò intensificò la guerra
combattuta dai serbi e dai croati contro la Bosnia. All’Unione europea mancava la volontà e
l’immaginazione per tentare di ripristinare un’eventuale pace nei Balcani.
Nel 1994, dopo anni di massacri, gli Usa cominciarono a dedicare attenzione alla disperata
situazione dei musulmani di Bosnia. Le forze della NATO minacciarono i serbi di bombardare le
loro posizioni se non avessero interrotto l’attacco a Sarajevo. La svolta si ebbe nel 1995, quando la
città bosniaca di Srebrenica, indicata dalle Nazioni Unite come rifugio sicuro, venne conquistata dai
soldati serbi, che cacciarono le truppe olandesi inviate sul posto per mantenere la pace, e poi
massacrarono migliaia musulmani indifesi. Questi fatti convinsero gli americani che se non fossero
intervenuti sarebbe accaduto lo sfacelo. Le forze Serbo-bosniache ignorarono le richieste di cessate
il fuoco, e dunque la NATO procedette a incursioni aeree; solo così accettarono di interrompere le
ostilità. Le forze in conflitto firmarono un trattato con cui si stabiliva l’indipendenza della Bosnia,
secondo una divisione territoriale su base etnica. Il rispetto della pace fu garantita dalla NATO che
inviò 60.000 soldati sul posto.
Ma negli anni 90 c’era una nuova crisi dei Balcani, stavolta riguardante il Kosovo, provincia della
Federazione iugoslava dominata dai serbi. Durante le guerre di secessione iugoslave, i rapporti tra la
minoranza serba e la maggioranza albanese del Kosovo si deteriorarono. Dopo il 1995 si innescò
una spirale di proteste violente e repressioni. In Europa e negli Usa aumentò la pressione
dell’opinione pubblica per un intervento. La Nato cominciò a bombardare obiettivi situati in Serbia:
cominciò una guerra aerea durata 78 giorni, alla fine della quale Milosevic accettò di ritirare le
forze serbe dal Kosovo. Le forze della NATO non subirono nemmeno una perdita in combattimento.
La guerra del Kosovo dimostrò nuovamente l’incapacità degli europei di agire da soli, e consolidò
la loro convinzione dell’esigenza di dotarsi di un autonomo sistema di sicurezza.
11 SETTEMBRE 2001: L’11 settembre del 2001 è una data che tutti ricordano principalmente per
gli attacchi terroristici al World Trade Center a New York e al Pentagono a Washington. L’Europa
espresse immediatamente solidarietà. In due riunioni, i rappresentanti della NATO si trovarono
d’accordo, per la prima volta nella storia dell’alleanza, nel fare appello alla clausola di difesa
reciproca contenuta nel trattato: così, gli aerei della NATO vennero inviati a pattugliare lo spazio
aereo statunitense. Gli americani tendevano a ritenere il terrorismo un movimento di portata globale
che minacciava direttamente la loro sicurezza nazionale. Gli europei, invece, abituati a combattere
le loro forme locali di terrorismo per vari decenni, lo consideravano una costante sfida al loro
ordine interno.
Per difendersi, il rimedio consisteva in politiche di sicurezza più efficaci, in leggi più restrittive e in
un’intensificazione della sorveglianza. L’obiettivo era estradare i terroristi e processarli come
criminali, non scatenare una guerra contro gli Stati sospetti. Inizialmente solo gli inglesi svolsero un
ruolo rilevante nella prima operazione militare contro il terrorismo globale: va ricordata ad esempio
la campagna per rovesciare il regime islamico dei talebani in Afghanistan, paese in cui si rifugiava
Osama bin Laden, l’ideatore degli attentati dell’11 settembre. Ma gli americani non avevano
bisogno dell’aiuto degli alleati in Afghanistan.
All’Europa parvero eccessivi i ricorsi da parte degli Usa a soluzioni militari, le minacce di
interventi preventivi e l’evidente disinteresse per una linea di consultazione e di cooperazione. A ciò
si aggiungevano il ricorso alla pena di morte, l’assenza di controlli sulle armi, e il disinteresse per
l’inquinamento globale. Solo la Gran Bretagna sembrava sostenere attivamente la politica militare
americana, che di fatto vedeva nella guerra l’unica risoluzione per la questione irachena. Chirac e
Schroder, rispettivamente presidente della repubblica francese e cancelliere tedesco, denunciarono
la politica americana e si opposero alla guerra. Tutti gli altri stati risposero con un sostegno più o
meno credibile.
GUERRA D’IRAQ: All’inizio sembrò che la guerra irachena, iniziata nel 2003 per catturare
Saddam Hussein, si sarebbe conclusa con un’altra rapida e poco costosa vittoria della tecnologia
militare americana. L’Iraq sprofondò in una situazione insurrezionale, nella quale i difensori del
regime di Saddam combatterono contro le forze di occupazione. La maggior parte delle azioni
militari venne condotta dai soldati americani, e in grado minore da quelli britannici; gli altri membri
della coalizione decisero di ridurre o ritirare i propri modesti contingenti. Ma il conflitto si prolungò
più di quanto si pensasse, e ciò accentuò in Europa e altrove l’ostilità nei confronti degli Stati Uniti.
La guerra d’Iraq termina il 15 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità
irachene da parte dell'esercito americano. A fine marzo 2008 il costo complessivo dei 5 anni di
guerra in Iraq, per il contribuente statunitense, supera i 500 miliardi dollari, con un incremento
mensile di oltre 340 milioni di dollari.
- CAUSE:
1. La probabile ricostituzione dell'arsenale iracheno di armi di distruzione di massa; Baghdad
possiede armi chimiche e biologiche ed anche missili di gittata superiore a quella permessa
dalle restrizioni imposte dall'ONU;
2. I contatti fra l'Iraq e vari gruppi terroristici, indice di una possibile collaborazione (l'Iraq
avrebbe potuto fornire armi atomiche da impiegare in un attentato). Possibili legami tra
l’Iraq e Al-Qaeda;
3. Il prestigio internazionale degli Stati Uniti sarebbe uscito rafforzato, spingendo molti paesi
ad allinearsi con Washington e migliorando la situazione politica internazionale;
4. L'abbattimento e la sostituzione del regime iracheno con un governo democratico avrebbe
migliorato l'immagine degli USA in Vicino Oriente, fornendo un esempio da imitare alle
popolazioni della regione;
5. Una volta conquistato, si sarebbe potuto usare l'Iraq come base per attaccare e rovesciare i
regimi di Siria e Iran.
6. Israele (stretto alleato degli USA con cui l'Iraq era formalmente in guerra da decenni)
avrebbe beneficiato dell'eliminazione di uno dei suoi più acerrimi avversari.
NUOVA EUROPA: La cittadinanza europea è una questione di diritti e privilegi, non di obblighi e
di impegni. All’inizio del ventesimo secolo, l’identità politica delle persone era determinata da
consuetudini, rituali e istituzioni concepiti per rafforzare la fedeltà e l’impegno nei confronti di un
particolare Stato. Dal 1945, in ogni Stato europeo, quelle istituzioni e quei simboli sono diventati
progressivamente più deboli; nella stessa Unione Europea non sono mai esistiti. L’unione non fa
alcuno sforzo per plasmare un’identità per i propri cittadini. Non richiede che essi siano europei e
non qualcosa d’altro. Piuttosto, l’identità europea è un diffuso crogiolo di appartenenze nazionali,
locali e culturali, nel quale nessun elemento è preponderante. L’idea di Europa non suscitava
un’adesione emotiva, non ispirava i cuori come avevano fatto le nazioni, non rappresentava
qualcosa per cui molti sarebbero stati disposti a dare la vita.
Tuttavia, l’Europa era piena di un diffuso impegno a sottrarsi ai distruttivi antagonismi del passato.
Come abbiamo visto, nella prima metà del secolo gli Stati europei venivano fatti dalla guerra e in
funzione della guerra; nella seconda metà, gli Stati europei furono fatti dalla pace e in funzione di
essa. L’Unione Europea potrà diventare un superstato civile, non una superpotenza.
IL FUTURO DELLO STATO CIVILE: Sappiamo che esiste un’incongruenza tra la forza
economica dell’Europa e la sua debolezza militare. Ciò, secondo il pensiero di Boniface (esperto di
questioni strategiche) rende l’Unione in qualche modo incompleta. In realtà, non vi è niente di
illogico e di incongruo nel fatto che nell’Europa contemporanea la forza economica e la debolezza
militare coesistano. Quell’intreccio di dedizione e coercizione che una volta motivava le persone a
combattere e a morire per la propria nazione è scomparso per sempre.
Al momento sembra difficile immaginare che i paesi dell’Unione Europea possano combattersi l’un
l’altro. Se la violenza incomberà nuovamente in Europa, non proverrà dal suo interno, ma da fuori,
dall’instabile e pericoloso mondo in cui gli europei si trovano a condurre le loro vite civili. Bisogna
ricordare inoltre che l’allargamento dell’Unione Europea, ce è giunta a includere la maggior parte
degli Stati ex comunisti dell’Europa orientale, ha avuto l’effetto di consolidare sia le istituzioni
democratiche e sia i valori civili.
Forse la questione di confine più urgente e complessa che l’Europa odierna si trova a dover
affrontare è rappresentata dalla Turchia, che aspira fortemente a entrare nell’Ue. La Turchia è un
caso difficile non perché è uno stato musulmano, ma perché non è evidentemente uno Stato civile.
La Turchia moderna, infatti, è stata creata dagli eserciti. Diversamente dai paesi membri
dell’Unione (con eccezione della Grecia), la Turchia ha mantenuto l’obbligo quasi universale del
servizio militare e dispone di un esercito di leva di massa. Al momento non esistono minacce
militari dirette all’Europa che provengano dalle sue periferie. Ma gli europei sono vulnerabili
rispetto ad altri tipi di attacchi: inquinamento, malattie e criminalità possono penetrare facilmente
attraverso i fragili confini dell’Unione.
Riassunti tratti dal sito, ora non più esistente, “http://riassunti-scienzepolitiche.blogspot.com”.
Scarica