“OLTRE” 30 (Gennaio / Aprile 2015)

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OLTRE
Il giornale dello spazio privato del SE'
Quadrimestrale di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia.
Num. 30 – Gennaio Aprile 2015 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856
del 06/04/2005 - Direttore responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta
- Iscritto all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al
17/07/1989 - Str. S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 0119586167 - [email protected]
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SOMMARIO – 1 Editoriale - 2 Esterofilia - 3 Scegliere - 4 Aspetti della psicologia
del primogenito - 5 ...Come la torre di Pisa - 5 Ancora (vedi OLTRE 29) sul
narcisismo e i suoi derivati - 12 Il curriculum di Ugo Langella.
EDITORIALE – (Dall’editoriale di OLTRE n. 2 – Settem. / Dicem. 2005.) "OLTRE - IL
GIORNALE DELLO SPAZIO PRIVATO DEL SE'". Questo sottotitolo che sopra compare,
è stato preso pari pari da un volume della Boringhieri, scritto da un grande psicoanalista
indiano, ancorché poco noto al grande pubblico: Masud Kan. Non vorrei spiegarlo.
Preferirei che ognuno cercasse di dargli il significato che gli pare, tanto sono convinto che
gli darebbe quello giusto. E' fondamentale cercare il proprio SE' dentro di noi, coltivarlo e
proteggerlo. Ciò non significa essere né egoisti e né chiusi, ma dedicare a noi, in primo
luogo, quelle attenzioni indispensabili per conservarci sani, sereni e fiduciosi. Nonostante
tutto.
Questo per quanto riguarda il SE’. Tuttavia, parafrasando la nota frase latina... “Si
vis pacem, para bellum!” “Se vuoi la pace prepara la guerra”, frase di un certo Vegezio
vissuto nel IV secolo dopo Cristo (qui da interpretare in chiave simbolica), aggiornata con
alcuni Corollari della Legge di Murphy (che trovi su internet) fra i quali:
“Se qualcosa può andar male, lo farà.” “Lasciate a se stesse, le cose tendono a andare
di male in peggio...” “..Se vuoi una ragionevole pace interiore, preparati alla guerra”,
anziché sperare che un mago, una fata, un dio, qualcuno insomma di esterno a te, venga
magicamente in tuo aiuto e per così dire: “ti tolga le castagne dal fuoco”. Ma “guerra” a chi?
Contro quelle parti di noi, che in un modo o nell’altro non amano la vita poichè vivere
richiede uno sforzo continuo (e chi ha detto che la vita debba essere facile?) parti che
attentano continuamente contro di essa; parti distruttive che comunque le si chiami
esercitano su di noi il fascino delle sirene di omerica memoria, per ascoltare le quali Ulisse
ebbe la precauzione di farsi legare all’albero della nave, e che altro non sono se non le
nostre pulsioni di morte. Della serie: “Aiutati che il ...Sé... ti aiuta”. In effetti, se
facciamo attenzione, spesso il SE’ ci mette in guardia, ci consiglia, ma siamo noi che
non sappiamo o non vogliamo ascoltarlo, perché preferiamo pensare, come scritto
prima, che una volta o l’altra tutto si sistemerà da solo.
Se vuoi sapere di più circa il SE’, vai all’indirizzo internet http://www. oltrepsy.it/
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della prima, dove leggi:
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Sotto in blu i numeri di OLTRE in ordine di importanza. In nero, i titoli e la pagina:
1
13 Senza titolo per non crearti pregiudizi (pag. 3)
15 Il SE’ (pag. 2)
15 I segnali di pericolo provenienti dal SE’ (pag. 6)
10 Criteri psico-architettonico-urbanistici per la protezione del SE’ (pag. 3)
12 Teoria generale degli attacchi di panico (pag. 8)
ESTEROFILIA
“Una volta o l’altra vado allestero!” No. Il fatto che manchi l’apostrofo fra all ed estero
non è un errore ortografico ma esprime bene foneticamente come quella frase viene
pronunciata. Sono più di 50 anni che periodicamente sento dire questa frase da qualcuno:
“Vado allestero!” D’accordo: adesso c’è la crisi, ma c’era già chi lo diceva negli anni 60,
quando in Italia era scoppiato il cosiddetto “bum” fatto di edilizia scadente, frigoriferi,
dischi microsolco e FIAT 500. Ma andare all’estero a far che cosa? C’è qualche posto dove
si possa fare quello che si vuole ed essere pagati tanto, poichè era questa (e lo è ancora)
l’aspettativa sottostante? Qualche giorno fa un notiziario televisivo diceva che in un tempo
x (ics) più di ottantamila giovani italiani sono andati a lavorare in Inghilterra. A parte quelli
che hanno risposto a inserzioni di bandi relativi a mansioni ben precise, la maggior parte è
andata alla ventura.
Parliamoci chiaro: molti extracomunitari, quelli che hanno voglia di lavorare, per tacere di
quelli che: “Se era per lavorare non venivo in Italia!”, di lavoro ne trovano. “Si, ma lavori
pesanti, per una quantità di ore giornaliere estenuanti!” Verissimo. Ma il fatto è che molti
dei nostri giovani che emigrano in Inghilterra, o altrove, quei lavori pesanti e/o poco
gratificanti li trovano là, e se vogliono guadagnare qualcosa, non certo arricchirsi, non
devono badare all’orario! “Ma vuoi mettere? Farli in Inghilterra è diverso. Là posso
imparare l’Inglese!” Vero, ma che Inglese impari? Lo slang!? Quello va bene allo stadio!
“Faccio il part-time e vado a scuola serale per impararlo!” Ma se fai il part-time come fai a
pagarti tutte le spese? Il costo della vita in Inghilterra è molto elevato. Pensi di vivere da
straccione? Finisce che devi ancora farti mandare i soldi da casa! E se non fai il part-time,
dopo una lunga e pesante giornata lavorativa, quanta voglia pensi che avrai di stare ancora
alcune ore a scuola tanto più se il giorno dopo dovrai essere presto al supermercato per
scaricare la merce, dietro al banco di un bar, o al ristorante a pelare le patate? Se poi con i
soldi che guadagni lavorando, non vuoi vivere sotto i ponti devi trovare casa in edifici
periferici, dove nemmeno lì ti regalano nulla! Comunque, sei proprio sicuro che sia colpa
degli altri se qui non trovi un lavoro, e potresti non trovarlo neppure in Inghilterra o
altrove?
Alla fin fine, supermercato, bar, ristorante, stazione di lavaggio o similari, la conclusione
è che in alternativa ti dichiari disponibile a fare in Inghilterra quello che in Italia ti
vergogneresti di fare. “Va bene, hai ragione, ma lavorare in Inghilterra è come sentirsi in
vacanza tutto l’anno! E poi là nessuno mi conosce! Io vado a vedere com’è, e poi se non
trovo niente me ne ritorno a casa!” Ho capito: vado l’ammazzo e torno, ma questa non è la
stagione adatta. Almeno, hai dei validi titoli di studio ed una valida preparazione per sperare
di farti assumere una volta o l’altra da aziende locali ad uno stipendio decente? E
comunque, anche se ce l’avessi, non è che in Inghilterra perché arrivi tu dall’Italia ti
mettano subito a capo di un ufficio o di un reparto! Ti farebbero fare anni di paziente
gavetta pagandoti certo meglio di chi fa lavori pesanti, ma ti accorgeresti che
dell’Inghilterra vedresti ben poco se non qualcosa alla domenica, poichè come avviene da
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noi per gli extracomunitari, essendo tu un extra-britannico, assai probabilmente ti ci
vorranno anni prima di sentirti al livello di un inglese medio, e dopo un certo numero di
anni di m.... lontano da casa, cominceresti ad odiarla!
A mio avviso, degli 82000 giovani che sono andati recentemente a lavorare in quella
nazione molti di loro stanno buttando via parte della loro vita per un futuro che non avranno
mai, anche perché troveranno sempre di più una concorrenza spietata da parte di coetanei di
altre nazioni, basti pensare agli Indiani, in maggior numero e più e meglio preparati, che
inoltre hanno il pregio di conoscere bene la lingua. Ma allora che deve fare il giovane
Italiano che qui non trova lavoro? Rinunciare a cercare rifugio in lontani ed illusori
paradisi; rimboccarsi le maniche e impegnarsi seriamente nell’inventarsi o
reinventarsi una identità professionale autogestita, inizialmente ad un prezzo tale da
trovare dei clienti. Solo dopo, aumentando la domanda potrà alzarlo! E se è disposto a
fare altrove lavori pesanti e poco pagati, può farli anche qui, senza necessariamente
allontanarsi da casa. Se identifica un’azienda interessante, soprattutto a livello artigianale,
non deve aver paura di offrirsi a lavorare anche gratuitamente. Per intanto può imparare, e
se dimostra buona volontà, può ottenere anche di più. Cosa conta è non mollare mai!
Troppo spesso non ci rendiamo abbastanza conto di come molti extracomunitari ci diano
una lezione di vita che non dovremmo dimenticare, poichè si accontentano di poco, mentre i
nostri giovani qualsiasi cosa facciano vogliono guadagnare subito cifre elevate. “Il lavoro è
un diritto!” Non vi è alcun dubbio, ma purtroppo l’economia, che ci piaccia o no, ha le sue
leggi. Il fatto è che ormai siamo troppo ben abituati e le rivoluzioni non è più disposto a
farle nessuno poichè tutti hanno in qualche modo dei privilegi da difendere, per cui oggi più
che mai si sogna di trovare la Mecca da qualche parte anche a costo di lasciare qui le
persone che amiamo, coltivando illusioni che una vita sola non basta a soddisfare, e intanto
se ne va e si perdono le amicizie e gli affetti.
Come se non bastasse: “Ma se ghe pensu...” la nota canzone di Gilberto Govi. I Genovesi
di immigrazione se ne intendono! Negli anni 70 circolava una dolce canzone che diceva:
“Amore, ritorna. Le colline sono in fiore... Non mi importa se non sei diventato più
importante, poichè tu sei importante per me!” Circa poi le illusioni di trovare “allestero”
partner più emancipati/e dei propri conterranei, sono sempre convinto della validità del
detto: “Donne e buoi dei paesi tuoi”. Spesso si tratta dell’ingannevole fascino dell’esotico. E
poi, vuoi mettere la nostra cucina? Non sono affatto convinto che sia la migliore del mondo,
ma penso che a renderla tale sia il fatto che i nostri intestini ci sono abituati!
SCEGLIERE
Quanto segue non è un tema nuovo. L’ho già trattato alcune volte anche se con titoli
diversi, pur tuttavia merita di essere ulteriormente ribadito. Si tratta del problema non solo
del scegliere, ma del fare la scelta migliore per noi. Un tempo, quando il Cristianesimo
era dominante nella nostra testa, e la psicologia non aveva ancora fatto la sua irruzione sulla
scena, quando scegliere si faceva difficile l’interessato andava in chiesa dove si rivolgeva a
Dio, alla Madonna ed ai santi, anche se il più diretto interessato sarebbe stato lo Spirito
Santo, per ricevere la giusta ispirazione o, almeno, quella che si pensava lo fosse. Il vero
problema del scegliere, infatti, non è prendere una decisione o l’altra, poichè spesso
nell’immediato non è affatto difficile, ma fare una scelta di cui non si abbia a pentirsi, per
cui, dato che nessuno dispone di una sfera di cristallo davvero efficiente, il dubbio ed i
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conflitti interni sono sempre in agguato. Circa quello che si dovesse fare o non fare, un
tempo i 10 Comandamenti, i Sette vizi capitali, i Salmi, costituivano delle direttive. Oggi ci
sarebbe anche “Il libro delle decisioni”, ma essendo la vita diventata più complicata e le
sfumature più indefinite, oltre al fatto che le persone rivendicano sempre di più il diritto di
pensare con la propria testa, questi punti di riferimento appaiono sempre più inadeguati.
Sino a poco tempo fa, usava ancora tirare i dadi o leggere i fondi delle tazzine di caffè, ma
oggi più nessuno ci crede. O anche cercare la risposta nella statistica, ma dato che questa
presuppone il possesso a priori di dati sicuri ed aggiornati, se non se ne dispone è inutile.
Grazie a S. Freud, però, possiamo andare più sul sicuro. Non otterremo una risposta
oggettiva ma soggettiva, è vero, ma è proprio di quella che abbiamo bisogno. Del resto i dati
statistici sono risultati oggettivi di valutazioni spesso in gran parte soggettive: vedi gli
indici di gradimento, per cui sono solo relativamente attendibili per uno specifico individuo.
S. Freud nella sua “Teoria delle pulsioni”, afferma l’esistenza in noi di pulsioni di vita
e di pulsioni di morte. Non starei qui ad entrare nel dettaglio, poichè è proprio il caso di
dire che bastano le parole. In ogni caso, se non si dispone di quelle opere, basta andare su
internet e digitare pulsioni di vita e/o pulsioni di morte, e si ottengono tutti gli
approfondimenti necessari. Si può anche consultando l’indice tematico su www.oltrepsy.it
Secondo Freud a livello inconscio subiamo delle spinte o pulsioni antagoniste
tendenti ad andare verso la vita o verso la morte. Tali spinte agirebbero prevalentemente
sotto forma di impasto di ambedue le pulsioni. Raramente, infatti, ci troviamo davanti a
situazioni palesemente del tutto positive o negative. In tal caso scegliere non sarebbe un
problema. I dubbi vengono piuttosto quando sia la percentuale delle pulsioni di morte che
quella delle pulsioni di vita quasi si equivalgono. Allora scegliere richiede un esame più
approfondito. In ogni caso, una volta presa questa o quella decisione, dovremmo
chiederci: “Per come sono oggi, laddove non modificassi il mio modo di essere e di
affrontare la vita, tale decisione potrebbe rivelarsi la conseguenza della prevalenza
delle pulsioni di vita o delle pulsioni di morte?” Se avremo davvero il coraggio di essere
onesti con noi stessi, la risposta che potremmo darci non dovrebbe essere difficile. Se poi
sentissimo in noi dell’angoscia o dei tristi presentimenti, significherebbe che il SE’ (le
caratteristiche del quale sono descritte all’inizio di pag. 2 di questo numero) cercherebbe di
fermarci poichè quella decisione che ci era sembrata provenire dalle pulsioni di vita,
proviene dalle pulsioni di morte, salvo che si sia decisi a cambiare modo di essere.
ASPETTI DELLA PSICOLOGIA DEL PRIMOGENITO
In una famiglia in cui ci siano più figli, il primo, maschio o femmina, a patto che sia
ragionevolmente sano di mente, godrà di una considerazione maggiore da parte dei genitori
in termini di affidamento. Peccato, però, che il primogenito, sempre maschio o femmina che
sia, provi un odio profondo più o meno malcelato verso di loro, responsabili di aver messo
al mondo altri figli, ognuno dei quali, nascendo, gli ha sottratto ulteriori attenzioni da parte
dei genitori, nello stesso tempo in cui quest’ultimi esigevano da lui una maggiore
responsabilizzazione, equivalente ad una crescita accelerata di cui l’interessato avrebbe fatto
volentieri a meno, vivendo la cosa come una perdita affettiva. E’ assai probabile, in tal caso,
che i genitori non riescano a farsi una ragione di tale odio, convinti, al contrario, di aver
privilegiato il primogenito proprio responsabilizzandolo. Avviene frequentemente, allora,
che il suddetto crescendo si comporti in modo provocatorio verso di loro, nella speranza di
ritornare a riassorbirne tutte le attenzioni come quando era ancora figlio unico, ottenendo
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molto spesso o quasi sempre il risultato contrario per il rifiuto da parte degli interessati non
solo di giustificare questo comportamento pur non condividendolo, ma persino di rifletterci
sopra insieme. Talvolta, comunque, i genitori vi arrivano da soli, ma a causa dei sensi di
colpa poichè in fondo a loro andava tanto bene così, non fanno nessuna esplicita
ammissione, lasciando quindi il figlio nell’odio che spesso non si attenua neppure dopo la
loro morte. E’ molto probabile, tuttavia, che questo meccanismo si ripeta anche in ogni
figlio temporaneamente ultimogenito alla ulteriore nascita di un fratello o di una sorella
laddove questa avvenga entro i loro primi anni di vita; spesso anche più tardi e forse a
qualsiasi età alla nascita di un proprio figlio il quale potrebbe essere vissuto come
l’ennesimo rivale nell’accaparrarsi l’amore dei genitori: nel caso di un padre, dell’amore
della madre-moglie.
...COME LA TORRE DI PISA
Perchè la Torre di Pisa non cade? Perché l'asse che passa per il suo
baricentro, perpendicolare alla terra, ricade entro l'area di base della torre.
Se l'inclinazione aumentasse fino al punto in cui l'asse perpendicolare si
spostasse fuori della base, la torre cadrebbe. Allora: qualsiasi età abbiate,
qualsiasi cosa vi succeda, qualsiasi cosa succeda intorno a voi, non
lasciate mai che il vostro baricentro cada fuori dalla base, almeno sino
a quando indicherete (!) all’autista del furgone funebre che vi conterrà,
la strada più breve per portarvi al cimitero!!!
ANCORA (seguito di OLTRE 29) SUL NARCISISMO E I SUOI DERIVATI
...Circa il narcisismo in generale, non possiamo dimenticare la gigantesca quantità di
risorse umane e materiali distrutte nel corso dei secoli attraverso le guerre, a causa del
desiderio di supremazia narcisistica di un popolo sugli altri. Anche l’esplorazione dello
spazio, per quanto utile per sviluppare ulteriori conoscenze astronomiche e nuove
tecnologie, sembra soggiacere alla lotta per il raggiungimento della supremazia narcisistica
planetaria, a scapito della sopravvivenza delle popolazioni. Si va alla ricerca di nuove
galassie, ma nello stesso tempo si trascura la Terra in cui viviamo.
Il narcisista (soggetto affetto in modo marcato da narcisismo secondario), è un attore
che recita in continuazione anche senza palco e senza set. Se non può esibirsi in ruoli
esaltanti, lo fa in ruoli vittimistici. C’è del narcisismo di troppo tanto in chi si veste in
modo ricercato per andare a comperare il pane, come in chi fa la stessa cosa uscendo vestito
come se fosse a casa sua, del tutto indifferente circa la sensibilità visiva e olfattiva altrui.
Circa il narcisismo, il manuale PDM – Manuale Diagnostico Psicodinamico (a cura
dell’American Psychoanalisis Association, Internal Psychoanalytical Association (Raffaello
Cortina Editore - 2008) riporta:
DISTURBI NARCISISTICI DI PERSONALITA - I disturbi narcisistici di personalità si
collocano lungo un continuum di gravità che va dal confine con i disturbi nevrotici di
personalità a livelli di disturbo decisamente più gravi. All'estremo nevrotico dello spettro di
gravità, gli individui narcisisti possono essere socialmente appropriati, avere successo,
essere affascinanti e, pur non avendo grandi capacità di intimità, essere ragionevolmente
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ben adattati alle loro famiglie, al lavoro e agli interessi che coltivano. Invece, le persone
con personalità narcisistiche organizzate ai livelli più patologici del continuum,
indipendentemente dal successo raggiunto, soffrono di una chiara diffusione dell'identità,
non hanno un senso coerente di una moralità autodiretta e possono comportarsi in modi
molto distruttivi. L'esperienza soggettiva caratteristica degli individui narcisisti è un senso
di vuoto interiore e di mancanza di significato, e un bisogno di ricorrenti conferme esterne
circa la propria importanza ed il proprio valore. La descrizione classica della "personalità
come se" (Deutsch, 1942) [vedi OLTRE 28 – pag. 7) probabilmente appartiene all'area
generale della psicopatologia narcisistica. Quando i soggetti narcisisti riescono a ottenere
queste conferme (in forma di status, ammirazione, ricchezza e successo) provano un senso
quasi di euforia, e spesso si comportano in modo grandioso, trattando con disprezzo le altre
persone (specialmente quelle che percepiscono di stato inferiore). Quando l'ambiente non
riesce a fornire questo tipo di conferme, tendono a sentirsi depressi, a provare vergogna e ad
essere invidiosi delle persone che riescono a ottenere ciò che loro non hanno. La mancanza
di piacere nel lavoro e nell'amore può essere dolorosa anche per chi ne è testimone [e questo
dolore, percepito dallo psicoterapeuta, favorisce la percezione di questo tipo di patologia
psichica].
Il ritratto del disturbo narcisistico di personalità fornito dal DSM (Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders – American Psychiatric Association, 2000) mostra la
versione più arrogante di questo tipo di psicopatologia (Reich, 1933), e non tiene conto di
molte persone che hanno intrapreso una terapia che sembrano apertamente diffidenti e meno
di successo, ma che coltivano dentro di sé fantasie grandiose (Akhtar, 1989; Cooper,
Ronningstam, 1992; Gabbard, 1989; Hunt, 1995; McWilliams, 1994; Rosenfeld, 1987). I
pazienti meno apertamente arroganti possono chiedere ai loro terapeuti di insegnar loro a
essere "normali" o più apprezzati dagli altri, oppure possono lamentarsi perché vogliono ciò
che hanno le persone più fortunate di loro. Questi sottotipi corrispondono grosso modo alle
versioni più introiettive o più anaclitiche del narcisismo. [Anaclitiche: più somiglianti, per
narcisismo, con i genitori o persone dell’ambiente infantile – U. Galimberti]
Spesso i soggetti narcisisti hanno preoccupazioni ipocondriache e tendono a somatizzare.
La letteratura clinica indica che, avendo vissuto le prime esperienze di attaccamento come
qualcosa di poco gratificante e inaffidabile, le persone che hanno poi sviluppato gravi tratti
narcisistici possono aver reagito a queste esperienze con un forte disinvestimento emotivo,
rivolgendo le preoccupazioni essenzialmente sulla propria integrità corporea. Gli individui
con disturbo narcisistico di personalità investono molte energie confrontando il proprio
status con quello delle altre persone. Tendono a difendere la propria autostima ferita per
mezzo di una combinazione di idealizzazione e svalutazione degli altri. Quando idealizzano
un'altra persona si sentono speciali e più importanti in virtù del fatto che hanno una
relazione con quest’ultima. Quando svalutano qualcuno, invece, si sentono superiori. I
terapeuti che lavorano con soggetti di questo tipo tendono a sentirsi idealizzati o svalutati
senza motivo, o anche semplicemente non presi in considerazione. Questi atteggiamenti
possono indurre nel terapeuta sentimenti di noia, lieve irritazione, impazienza o la
sensazione di essere invisibili.
La letteratura clinica sul disturbo narcisistico di personalità contempla diverse ipotesi sulla
sua eziologia e dunque diverse indicazioni al trattamento, che vanno dal valorizzare la
sintonizzazione empatica e l'esplorazione degli inevitabili fallimenti empatici del terapeuta
(Kohut, 1971, 1977) al concentrarsi su un esame sistematico delle difese: la vergogna,
l'invidia e la normale dipendenza (Kernberg, 1975). Come nel caso dei soggetti con una
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struttura psicopatica del carattere, è più facile aiutare in terapia i pazienti narcisisti se hanno
raggiunto o superato la mezza età, quando i loro investimenti narcisistici su bellezza, fama,
ricchezza e potere sono andati delusi e hanno dovuto scendere a patti con i limiti realistici
della loro grandiosità. [Infine il PDM include nella categoria dei disturbi narcisistici della
personalità, il soggetto] arrogante, che crede di avere tutti i diritti. È come il "carattere
fallico narcisistico" di Reich (1933), il "narcisista inconsapevole" di Gabbard (1989), il
"narcisista a pelle spessa" di Rosenfeld (1987), il narcisista "overt” di Akhtar (1989),
descritto anche da Cooper e Ronningstam (1992). Si comporta apertamente come uno che
crede di avere tutti i diritti, svaluta le altre persone, colpisce gli altri per quanto è
vanitoso e manipolatorio, oppure carismatico e dominante. (Pagg. 32 - 34).
E. Rosenfeld nel 1987 conia la più profonda ed estesa definizione del comportamento
estremo del narcisista: colui che stabilisce: “relazioni oggettuali narcisistiche
onnipotenti”. “Intendevo sottolineare - scrive - che non si tratta generalmente di uno stato
senza oggetto [cioè senza interlocutori se non il narcisista stesso, come allora e ancora oggi
molto spesso si pensa] ma di una particolare relazione con gli oggetti [interlocutori]; [questi
soggetti narcisisti sono] in grado di mettersi in rapporto [con gli altri] solo per scopi
narcisistici e solo in modo estremamente onnipotente.” “Sentendosi onnipotenti,
proiettano [negli altri] quelle parti di sé che sentono essere indesiderabili o che
provocano dolore o angoscia.” (Comunicazione e interpretazione – pag. 31)
Circa la rabbia narcisistica, su OLTRE 29 ci sembra di averla definita in modo
sufficientemente chiaro. Inviterei il lettore a ripassarla alla pagina 5 di quel numero. Essa è
più diffusa di quanto si creda ed è pericoloso sottovalutarla sia nei giovani che negli adulti
in quanto potenzialmente omicida e suicida. Tuttavia occorre fare un’ulteriore precisazione.
Può accadere che il soggetto che ha delle reazioni di rabbia narcisistica sia
effettivamente responsabile dei comportamenti di cui è accusato, pur dichiarandosi
innocente, anche se i fatti ed i testimoni lo smentiscono. In tal caso la rabbia narcisistica
non esploderebbe tanto per il sentirsi accusato per il suo comportamento in una determinata
situazione, e lui stesso se messo alle strette potrebbe anche riconoscerne la paternità.
Potrebbe, ma non è detto che lo faccia, nonostante l’evidenza, semplicemente poichè si
sente dalla parte della ragione ed è persino incredulo che chi lo contesta non se ne renda
conto con i suoi tentativi di convincerlo del contrario. Il soggetto si autoassolve per cosa ha
fatto con la motivazione implicita del perché lo ha fatto, ed esplode la sua rabbia
narcisistica contro chi non capisce questa sua sottigliezza.
Cioè: il suo professarsi innocente non deriva infatti dal negare di aver compiuto l’atto di
cui viene accusato, ma dal perché lo ha fatto, e che è molto spesso o quasi sempre la
conseguenza di una frustrazione narcisistica da lui subita dalla sua presunta vittima. Il
suo dichiararsi innocente è dovuto all’aver semplicemente reagito ad una provocazione
in tal senso, davanti alla quale la reazione di cui è accusato è per lui non solo
giustificata ma del tutto autodifensivamente legittima a protezione della sua immagine
narcisistica dalla frustrazione. E’ assai probabile però che chi lo contesta non abbia preso
in considerazione tale possibilità, ed è proprio quest’ultimo elemento a far sentire il soggetto
ancora più vittima, al punto da fargli venire la tentazione di scaricare su chi lo contesta tutta
la rabbia narcisistica provata contro il responsabile della frustrazione narcisistica da lui
subita, assommata a quella del non essere capito. E se il soggetto si è vendicato da solo
senza ricorrere a chi lo difendesse, ciò può semplicemente significare la sua sfiducia nella
capacità di tali figure, che possono anche essere rappresentanti della Legge, di rendersi
conto della gravità della frustrazione narcisistica che gli è stata inflitta vendicandolo
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adeguatamente, per cui si è fatto giustizia da solo. E’ tuttavia ovvio che si tratta di una
pretesa di natura onnipotente, ma che non è facile farla accettare all’interessato se
prima non si cerca di guardare la situazione dalla sua angolatura.
Al fine di evitare dubbi di interpretazione, è bene precisare che nella sostanza la rabbia
narcisistica può scatenarsi in due situazioni:
la 1ª, quando un soggetto subisce un’offesa o un’ingiustizia gratuiti;
e la 2ª - sulla quale prima ci siamo dilungati: quando un soggetto è accusato di un qualcosa
che ha fatto ma a scopo difensivo come legittima difesa da una frustrazione narcisistica,
aspetto quest’ultimo però che non gli viene riconosciuto poichè spesso neppure pensato
dall’accusatore, addossandogli tutta la colpa, talvolta di elevata gravità. Che l’accusato
possa avere la colpa può apparire indiscutibile, ma non ai suoi occhi, poichè secondi lui
si tratta comunque ed esclusivamente di legittima difesa. Ma pur scandalizzandosi di non
essere capito, è alquanto improbabile che preciserà - ancora una volta per narcisismo - che
cosa ha dovuto difendere a tutti i costi.
Per quanto riguarda la frustrazione narcisistica, molto spesso responsabile della rabbia
narcisistica, laddove il lettore non avesse ben chiaro il suo significato, basterebbe rivolgesse
la sua mente alle varie rivoluzioni del passato: da quella Americana a quella Francese,
Russa e Cinese, passando attraverso altri numerosi episodi circoscritti ma non meno
significativi. Movimenti politici sempre più estremizzati nel nord Africa, nell’Africa
continentale, nei paesi arabi, nell’Asia, sembrano nascere per reazione alla frustrazione
narcisistica subita dall’Occidente attraverso i governanti locali corrotti dagli
occidentali stessi per i propri fini. Anche il Comunismo, nato come reazione alla
frustrazione narcisistica delle masse, a sua volta è stato quasi dovunque abbattuto dalla
frustrazione narcisistica delle stesse, poichè narcisisticamente oppresse dai loro
presunti liberatori. Non dimentichiamo poi la frustrazione narcisistica che per secoli il
Cattolicesimo ha inflitto ai credenti attraverso la colpevolizzazione di tutti i comportamenti
sessuali, permessi solo a fini esclusivamente procreativi e comunque solo dopo regolare
autorizzazione a difesa della purezza e della castità, condizionando in tal modo i
comportamenti di intere generazioni, mentre ancora ai giorni nostri e sempre di più vengono
alla luce episodi di perversione sessuale nei confronti di minori che hanno come
protagonisti non solo il basso clero, ma addirittura esponenti delle gerarchie.
Esistono poi tante, tante altre cause di frustrazione narcisistica quotidiana provenienti
dal mondo esterno per un insieme di motivi, di cui abbiamo l’impressione che feriscano solo
noi a causa della specifica sensibilità alla frustrazione narcisistica dovuta ai propri
vissuti. Tali cause non daranno luogo a comportamenti omicidi né direttamente suicidi, ma
tuttavia potrebbero spingerci ad isolarci dal mondo
“La vita, in fondo, non è che uno esterno allo scopo di smaltirle non osando, sempre
per narcisismo, neppure confidarle a qualcuno per il
slalom tra figure di m.........”.
timore di essere derisi e/o criticati e/o non capiti.
Niccolò Ammanniti (2014)
Questo avviene poichè i nostri rapporti con gli altri,
chiunque essi siano, ancorché parenti strettissimi (!),
sono condizionati dal reciproco narcisismo e dal timore di vederselo frustrato. I figli molto
spesso non sopportano le critiche dei genitori, ma è altrettanto vero che raramente i genitori
riflettono onestamente sulle critiche dei figli, o se lo fanno non glielo fanno sapere.
Narcisismo da ambo le parti. Anche i rapporti sociali, qualsiasi essi siano, sono condizionati
dalla costante preoccupazione circa un possibile scontrarsi narcisistico. In un caso come
nell’altro, e come scritto prima, in tanti altri casi, la paura è quella di subire frustrazioni
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narcisistiche. Niccolò Ammanniti in: “Figuracce” (Einaudi 2014) alla pag. XIII scrive: “La
vita, in fondo, non è che uno slalom tra figure di m.........” Noi potremmo modificare questa
frase così: “La vita, in fondo, non è che uno slalom tra frustrazioni narcisistiche,
all’ovvio scopo di evitarle.” E forse è proprio questa la causa del nostro stress quotidiano.
Circa l’esaltazione narcisistica, è persino superfluo far notare come ci siano soggetti che
sono talmente avvolti nel loro narcisismo per gli studi che hanno fatto, l’attività che
svolgono, le cariche che ricoprono o semplicemente la quantità di soldi che hanno, da
diventare completamente narcisisticamente impermeabili al narcisismo degli altri,
calpestandolo senza alcun pudore. Più si sale nella scala sociale, e qui il termine dipende
dalle idealizzazioni soggettive del campo in cui tale scalata avviene, più l’individuo è
invariabilmente portato ad autoelevarsi narcisisticamente in rapporto alla riverenza o
all’adulazione di cui è convinto di avere diritto di essere oggetto. Nessuno escluso. Il
potere, cioè, qualsiasi potere anche se piccolo, “dà alla testa” di chi ce l’ha.
Estremizzando, qualsiasi soggetto che comunque già di suo per narcisismo si crede un
“dio”, ad un certo punto finisce per credere davvero di esserlo. e spesso, pur di continuare
ad esserlo, è disposto a fare qualsiasi cosa. La storia, la quotidianità, ci mettono davanti
un’infinità di esempi.
ANCORA SULLA DIFFERENZA FRA NARCISISMO PRIMARIO E SECONDARIO Nel caso il lettore non lo avesse fatto, gli consiglio di andare a leggere OLTRE 29 - pagina
3 - dove viene descritta la differenza fra narcisismo primario e narcisismo secondario.
Quanto segue, comunque, è sufficiente per capirla. Figurativamente parlando, potremmo
paragonare il narcisismo primario al cosiddetto “colesterolo buono”, ed il narcisismo
secondario al cosiddetto “colesterolo cattivo”. Quando si attribuisce alla parola
narcisismo un intrinseco significato negativo, chi si esprime in tal modo anche se non lo
precisa si riferisce mentalmente al narcisismo secondario, cioè al “colesterolo cattivo”.
Come abbiamo visto in OLTRE 29, il narcisismo primario può essere equiparato ad un
sano amor proprio, cioè al narcisismo positivo, cioè al “colesterolo buono”.
Per capire la negatività e pericolosità del narcisismo secondario, basterebbe citare
Hitler, in “Anatomia della distruttività umana”, di E. Fromm. Ma non occorre andare
così lontano. E’ sufficiente sfogliare i quotidiani. Si potrebbe dire che basterebbe passare in
rassegna i nostri pensieri. Impronte di esso se ne trovano più che a sufficienza. Ma ci
sarebbe subito chi si tirerebbe indietro, scandalizzato da questa affermazione. Comunque: il
narcisismo secondario è instabile come la nitroglicerina. Anche a costo di ripetermi, è
necessario ribadire che basta qualche scossa proveniente dall’esterno, nel nostro caso
chiamata frustrazione narcisistica, inflittaci da qualcuno o proveniente dal nostro interno,
ad esempio a seguito dell’invidia provata dal narcisista verso qualcuno da lui percepito
come più narcisista ancora, per rendere tale “nitroglicerina” pericolosamente esplosiva, con
conseguenze imprevedibili. Sotto il peso della frustrazione, o sotto la spinta dell’invidia,
quindi, qualunque soggetto con un po’ di narcisismo secondario di troppo può diventare
un omicida o un traditore.
Abbiamo sottolineato il ruolo dell’invidia. Ma a sua volta essa è la conseguenza della
idealizzazione, cioè della ipervalutazione di qualcuno o di qualcosa. Anche se sembra
paradossale, prima idealizziamo. Poi invidiamo. Quindi ci sentiamo narcisisticamente
frustrati dalla persona invidiata, ed al quel punto diventiamo più o meno pericolosi: dipende
dal livello del narcisismo. O depressi. Pare incredibile ma facciamo tutto noi!
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In OLTRE 29, a pagina 9 avevo incasellato la seguente scritta: “La principale causa
della depressione è il narcisismo frustrato.” Sarebbe stato preferibile se avessi scritto:
“La principale causa della depressione è il narcisismo primario o secondario
frustrato.” Nello stesso tempo, anche così ambedue le definizioni sono incomplete, infatti:
“La principale causa della depressione endogena (profonda, inconscia) in senso
assoluto, quella che “pare non avere alcuna giustificazione”, è il narcisismo primario
frustrato.” Essa si trasmette di madre in figlio, e non è di facile trattamento
psicoterapeutico poichè “il soggetto non si accontenta di sole parole”. Invece:”La
principale causa della depressione esogena (quotidiana, conscia) è il narcisismo
secondario frustrato.” Laddove questo venga soddisfatto, se ne va con la stessa facilità con
la quale è venuta.
Purtroppo la psichiatria ha depennato i riferimenti a endogeno ed esogeno, mentre non ha
mai acquisito le differenze fra narcisismo primario e secondario. E’ interessante notare
come vi siano molte persone che pur avendo avuto dalla vita scarse gratificazioni di natura
narcisistica secondaria (sul significato del termine si veda sempre OLTRE 29) appaiono più
felici di molte altre che al contrario sembrano esserne state ampiamente gratificate.
Ciò è spiegabile con il fatto che spesso nei ceti più umili, nelle zone più povere del mondo
le madri, non lavorando, dedicano la quasi totalità del loro tempo all’accudire i figli
tenendoli attaccati al seno anche solo come biberon naturale, portandoli sempre con sé
dovunque vadano tenendoli attaccati davanti o dietro, soddisfacendo cioè i requisiti descritti
da M. Mahler circa la fase autistica normale (primo mese di vita); quelli della fase
simbiotica normale (dal 2° al 5° mese di vita), preparando così nel modo migliore il
passaggio del bambino alla fase di separazione/individuazione dal 5° al 36° mese di vita.
Appagati nel loro narcisismo primario, questi bambini risulteranno essere più forti davanti
alle privazioni e frustrazioni della vita rispetto a quelli che, invece, hanno goduto di una
ristretta gratificazione del narcisismo primario anche perché le madri hanno avuto troppa
fretta di tornare al lavoro, che nessuna gratificazione del narcisismo secondario, peggio che
peggio poi attraverso enormi quantità di vestiti e giocattoli, riuscirà mai a colmare.
Sempre circa la frustrazione narcisistica, la scuola di ogni ordine e grado è
l’ambiente dove si scontrano i narcisismi degli alunni, dei genitori, degli insegnanti.
Tutti vogliono far trionfare il loro narcisismo secondario a qualunque costo. Nessuno
vuole subire frustrazioni in tal senso. Questo spiega perché numerosi studenti al mattino
non vogliono neppure fare colazione, poichè il loro stomaco si chiude al solo pensiero di
doversi rituffare in una simile atmosfera di competizione globale.
Gli insegnanti si trovano a doversi difendere dalle frustrazioni narcisistiche che potrebbero
essere loro inflitte dal direttore o dal preside, dai genitori, dagli alunni, dai colleghi e
spesso, indirettamente, anche dai bidelli. I genitori si trovano a doversi difendere dalle
frustrazioni narcisistiche che potrebbero essere loro inflitte dal direttore o dal preside, e
dagli insegnanti a causa del comportamento e/o del rendimento scolastico negativi dei loro
figli, e dalle occhiate di non approvazione provenienti dagli altri genitori quale espressione
di rimprovero circa il fallimento della loro azione educativa. Gli alunni si trovano a doversi
difendere dalle frustrazioni narcisistiche che potrebbero essere loro inflitte dal direttore o
dal preside e dagli insegnanti, oltre che dai bidelli, a causa del loro comportamento e/o
rendimento scolastico negativi; ovviamente dai loro genitori, ma anche da parte degli
genitori dei compagni. Nella scuola elementare i bambini si sentono abbastanza protetti dai
genitori, anche se non tutti e non del tutto. Ma già nella scuola media i genitori sentono di
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essere loro l’anello debole, e non sopportano le critiche ai loro figli da parte degli
insegnanti, accusandoli a loro volta. Nella scuola superiore, poi, per gli insegnanti i
responsabili sono ancora e solo i genitori, mentre per quest’ultimi, ormai del tutto impotenti,
sono soltanto esclusivamente i loro figli.
Ma per gli alunni dei tre ordini di scuola - anzi: già nella scuola materna - la frustrazione
del narcisismo proveniente dagli insegnanti e dai genitori è, tutto sommato, scarsamente
rilevante. La situazione più devastante è costituita dalla frustrazione narcisistica del sentirsi
additati dagli insegnanti per la loro inadeguatezza o le loro inadempienze davanti alle
compagne ed ai compagni, soprattutto da quelle e/o da quelli dai quali segretamente o non
tanto segretamente desiderano le attenzioni, e tanto peggio se già l’hanno ottenute, per il
rischio di perderle poichè la frustrazione narcisistica ricadrebbe anche su di loro. A questo
punto, non stupisce che quegli studenti che ormai non hanno più nulla da perdere, avendo
ormai compromesso del tutto la propria immagine narcisistica, si trasformino in disturbatori
cronici allo scopo di negare tale perdita, nella convinzione di ottenere successo con gli
alunni simili a loro ma meno coraggiosi, allo scopo di ripristinare almeno in parte il proprio
narcisismo e la propria onnipotenza, frustrati.
I disturbi della personalità, detti anche disturbi del carattere, costituiscono
un’armatura protettiva a difesa del narcisismo secondario, ed in particolare della
frustrazione narcisistica. L’abulia molto spesso costituisce una difesa dal fare, poichè si
tratterebbe di un fare perfezionistico, sotto il quale, fra le altre cause si può vedere
facilmente il narcisismo secondario, l’assecondamento del quale spesso è più stressante del
disagio dovuto alle conseguenze del non fare.
Quanto segue è del tutto inedito. Spesso nella mente delle persone il significato delle
parole invidia e gelosia non solo non è ben differenziato, ma confuso (fuso-con), per cui i
due termini vengono considerati sinonimi. e quindi intercambiabili, cosa che avviene spesso
in modo del tutto casuale. Ma non è corretto. Infatti il geloso ha qualcuno e/o qualcosa che
teme di perdere, mentre l’invidioso sente che gli manca qualcosa che altri hanno, e
spesso non è consapevole di questa privazione sino a quando non ne scopre il possesso in
qualcun altro. Nella sostanza, quindi, è indiscutibile che invidia e gelosia siano termini
non solo di significato diverso, ma addirittura opposto. Eppure è difficile riuscire a
convincere a fondo le persone di questo, come spesso si può notare nella loro persistente
incertezza d’uso, ma non poichè si tratti di individui semplicemente ignoranti. In effetti tale
confusione ha un senso, ma ad un livello più profondo, poichè cosa le unisce non è il loro
significato semantico, ma la frustrazione narcisistica spesso non conscia che ne può
derivare. Infatti il geloso teme di subirla perdendo ciò che ha, sia esso persona o cosa,
mentre l’invidioso teme di subirla se non entrerà anche lui ed al più presto in possesso di
ciò che invidia negli altri. Ma non basta. Sia l’invidia che la gelosia, trasformate in
frustrazione narcisistica con il passaggio da cose temute a cose accadute, ancora una volta
unite comportano ambedue elevati rischi di trasformarsi in rabbia narcisistica, con
esiti imprevedibili sia a livello individuale che collettivo. Vi sono poi elevate possibilità che
tale rabbia narcisistica si regga su presupposti paranoici come se la causa di essa fosse delle
persone sulle quali si cerca di scaricarla, mentre molto spesso è la conseguenza di stati
conflittuali risolti in modo patologico, ad esempio in modo onnipotente, senza prevederne,
come effetto dell’onnipotenza stessa, le possibili conseguenze, cosa che accrescerebbe
ulteriormente sia la frustrazione narcisistica che la rabbia narcisistica.
Su OLTRE.16, pag. 11, avevamo affrontato il tema del narcisismo legato all’onnipotenza,
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chiamato da H. Rosenfeld: onnipotenza narcisistica. Inviterei il lettore a rileggersi quelle
pagine. Su questo aspetto ritengo opportuno fare un’importante precisazione. Il vero
narcisismo patologico non è ad esempio cercare di essere sempre elegantissimi per attirare
gli sguardi altrui. Certo, potrebbe sembrarlo se lo si vede come tentativo per far credere agli
altri di possedere un grande narcisismo primario allo scopo di suscitare invidia in loro, ma è
ancora più patologico, e in questo caso sarebbe preferibile chiamarlo: onnipotenza
narcisistica, come il vestirsi con noncuranza, e pretendere ugualmente di essere giudicati
eleganti fors’anche per qualche piccolo particolare! Hanno poi lo scopo di suscitare
sensazioni di onnipotenza narcisistica in chi le indossa: le divise, tanto più se nere (il colore
evocativo ed intimidatorio della morte!); i camici bianchi laddove puramente formali, gli
abiti talari di ogni colore, gli ermellini; le papaline, i tricorni; le toghe, le feluche, i gradi, al
solo scopo di sottolineare una presunta superiorità agli occhi dei semplici, ed incutere in
loro una qualche forma di sottomissione.
Circa il narcisismo distruttivo, E. Rosenfeld scrive: “Nel 1971...feci un'aggiunta
sostanziale alla mia teoria del narcisismo, operando una discriminazione più formale fra
diversi gruppi di pazienti con una struttura narcisistica onnipotente del carattere. Fra i
pazienti di questo tipo ve n'erano diversi che, a livello conscio, erano intensamente
distruttivi, sadici e fieri di esserlo. Per capire questi pazienti e per farli progredire, sostenni
che era essenziale differenziare gli aspetti libidici del narcisismo da quelli distruttivi, cosa
completamente ignorata sia dalla teoria sia dalla pratica psicoanalitiche. Nel formulare una
teoria del narcisismo distruttivo ipotizzai che, in alcuni casi come quelli appena menzionati,
si verifichi un'enorme idealizzazione delle parti distruttive del Sé, che risultano tanto
attraenti al paziente perché lo fanno sentire onnipotente. Quando un narcisismo distruttivo
di questo tipo caratterizza la struttura del carattere, le relazioni oggettuali libidiche (vale a
dire amorevoli, interdipendenti, permeate di sollecitudine) e ogni desiderio da parte del Sé
di sperimentare il bisogno di un oggetto e di dipendere da esso sono svalutati, attaccati e
distrutti con piacere. Spesso è difficile riconoscere tali desideri distruttivi e onnipotenti in
quel che un paziente fa e dice, perché inconsciamente, a un livello molto occulto, egli li vive
come protettivi e addirittura benevoli. La segretezza fa parte del sentimento di
superiorità distruttivo-onnipotente. Poiché l'esistenza, nel Sé, di desideri distruttivi
onnipotenti è occultata, i pazienti dominati dal narcisismo distruttivo danno l'impressione di
non avere alcun rapporto con il mondo esterno e di non curarsene affatto. Anzi,
naturalmente, è una loro pressante esigenza attaccare costantemente qualsiasi cosa
possa soddisfare i loro bisogni libidici; perciò il loro stato non può mai essere stabile.
(E. Rosenfeld - Comunicazione e interpretazione - Pag. 32 33 - Bollati Boringhieri 1989).
IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA
Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994
ha trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel
1971, nel 79 si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi dal 1975 al 1981 a Milano
dalla Dott. Myriam Fusini Doddoli della Società Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e
79 ha partecipato ai suoi gruppi di formazione e supervisione, quest'ultima continuata a
Torino nel 79 con il Dott. Flegenheimer e dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della
Società Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito l'attestato di ipnotista presso il
Centro Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof. Franco Granone. E'
iscritto all'Ordine degli Psicologi del Piemonte (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di
prima costituzione) ed all'Albo degli Psicoterapeuti. http://www. oltrepsy.it per prelevare
i numeri ed i supplementi di OLTRE. [email protected] per riceverli via e-mail.
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