Psichiatria e Psicologia clinica 10-10-2007 - Digilander

annuncio pubblicitario
Psichiatria e Psicologia clinica
Dr. Pozzi
10-10-2007
h 11:30-12:30
Il professore inizia la lezione presentandosi come responsabile dell’ambulatorio dei disturbi
d’ansia, che funziona ormai da tre anni e ci informa che faremo insieme a lui, oltre a questa, altre
due lezioni (il 24 e il 25 ottobre).
DISTURBI D’ANSIA
EPIDEMIOLOGIA
- sino a 1/4 della popolazione generale nella vita;
- sottostima nell’epidemiologia e nella pratica clinica;
- più comuni nel sesso femminile (2 o 3 volte);
- problemi di criterio e fenomeni di comorbilità;
- sintomi e disfunzione;
- costo sociale.
I disturbi d’ansia sono molto frequenti nella popolazione generale. Questo non ci deve stupire,
perché siamo di fronte ad un continuum fra normalità e patologia. Quindi nell’arco della vita,
secondo studi epidemiologici sulla popolazione generale, circa ¼ delle persone possono avere
quello che viene definito un disturbo d’ansia secondo gli odierni sistemi classificativi.
In più c’è un problema di sottostima, qualora non si faccia un campionamento diretto della
popolazione, visto che spesso le persone non riportano tali disturbi, se non dopo anni e anni, quando
non ce la fanno più e solo allora si presentano dal medico. Spesso è lo stesso medico di famiglia che
non si rende conto che il proprio paziente potrebbe avere un disturbo d’ansia, proprio perché spesso
è il paziente stesso a vergognarsi del proprio disturbo e a volerlo mascherare (la cosiddetta fobia
sociale, o “timidezza patologica”); al contrario di quei pazienti che invece assillano il medico con la
propria patologia (qui rientriamo di più nell’ambito dei disturbi di personalità).
Molti pazienti con disturbi d’ansia vengono indirizzati su un versante non medico, di psicoterapia
per intenderci. Non che ci sia niente di male in questo, ma il problema è che gli psicologi non hanno
l’armamento concettuale per fare una buona diagnosi differenziale e magari sottostimano o
escludono a priori la possibilità di curare efficacemente un disturbo d’ansia con metodi di tipo
biologico, come usare un farmaco, semplicemente perché non è uno strumento in loro possesso.
Dunque cercano comunque di supplire a ciò con un trattamento psicoterapeutico, quando invece ci
sono dei disturbi d’ansia, che, se non bloccate un certo tipo di sintomatologia, non riuscite a gestirli.
La maggiore prevalenza è nel sesso femminile, nell’ordine di due o tre volte a seconda dei disturbi.
I problemi di criterio consistono nel fatto che, per fare una diagnosi secondo gli odierni criteri
classificativi, bisogna soddisfare una serie di criteri diagnostici, delle soglie che in genere sono a
volte di tipo qualitativo a volte di tipo qualitativo.
La comorbilità è un fenomeno oggi piuttosto complesso che non possiamo affrontare oggi; per dirla
in modo molto semplice, siccome il DSM (sistema degli odierni criteri classificativi dei disturbi
d’ansia) identifica delle sindromi tipo, molto caratteristiche, con dei criteri abbastanza restrittivi,
mentre nella realtà clinica spesso le persone con disturbi d’ansia hanno una sintomatologia più
sfrangiata, può darsi che una persona soddisfi i criteri almeno parzialmente per più di un disturbo.
Questo a dir la verità finisce con essere più la regola che l’eccezione e in questo dovremo
recuperare il vecchio concetto di nevrosi, ma lo faremo alla fine della lezione.
Il concetto importante da ricordare adesso è che spesso il paziente con disturbi d’ansia è
polisintomatico, quindi un buon inquadramento clinico del paziente richiede una certa esperienza da
parte del valutatore. Apparentemente sono delle patologie piuttosto banali, non sono pericolose
della vita, però prestate attenzione, perchè non ci sono soltanto i sintomi, ma c’è anche la
disfunzione: ci sono dei soggetti che riescono a sopportare i loro sintomi e non li estrinsecano, non
dicono di avere degli attacchi di ansia, o il batticuore, o la timidezza patologica, però all’effettivo
c’è tutta una serie di attività che non riescono a svolgere. E magari questa cosa si scopre solo
quando, per una qualche ragione ambientale, vengono spostati di contesto. Faccio un esempio
banale: immaginate la classica persona che fa un lavoro di tipo impiegatizio, che si organizza da
sola le sue pratiche, le sue piccole cose; la sua azienda viene improvvisamente venduta, per cui a
questo soggetto gli viene detto di andare a fare l’operatore di call center, che comunque è sempre un
lavoro impiegatizio. Alcuni soggetti, a cui viene improvvisamente cambiata la mansione lavorativa,
scoppiano, perché ovviamente tutta la loro organizzazione difensiva salta per aria. Per esempio a
volte i pazienti con il disturbo di panico stringono i denti, non dicono nulla, si tengono i loro
attacchetti, se non sono proprio fortissimi, però poi, nel loro meccanismo di condizionamento, si
convincono che siano determinate situazioni ad innescare gli attacchi, cosa che non è sempre così,
perché gli attacchi possono insorgere anche spontaneamente, e quindi cominciano ad evitare tutta
una serie di situazioni. Questo talvolta determina anche un costo sociale non irrilevante, quando per
esempio un soggetto non è in grado di entrare nelle gallerie o di prendere una metropolitana: può
voler dire sprecare 2 o 3 ore al giorno, che, moltiplicate per un anno lavorativo, portano ad un non
trascurabile costo sociale per un disturbo apparentemente banale.
CONTINUUM FRA NORMALITA’ E PATOLOGIA
- non solo soglie di frequenza e intensità;
- adeguatezza adattativa e comprensibilità;
- transitorietà e modificabilità;
- interferenza con il funzionamento personale;
- ruolo della cultura fra “protezione” e “patomorfosi”.
Questo è un altro concetto molto importante. Freud fu il primo a pensarlo in un certo senso, ovvero
il continuum fra normalità e patologia. Purtroppo un’elaborazione indebita di questo concetto ha
condotto a quel fenomeno dell’antipsichiatria, secondo cui negli anni ’60 e ’70 si era iniziato a
sostenere che il disturbo mentale in assoluto fosse un artefatto di modalità di gestione sociale del
disturbo stesso, in pratica che la patologia veniva determinata dai manicomi o cose del genere.
Questo chiaramente non è vero, soprattutto per i disturbi psicotici, in cui c’è uno iato fra normalità e
patologia: sentire delle voci nella testa che ti parlano e che ti dicono di fare delle cose non ha un
continuum con la normalità. Nel caso invece dei disturbi d’ansia siamo di fronte a una situazione
molto più sfumata, quindi ciò che Freud mette giustamente in evidenza nel campo della nevrosi,
non deve essere assolutamente usato nel campo delle psicosi maggiori.
Come si fa a valutare se siamo ancora nel normale o nel patologico? Certamente noi abbiamo delle
soglie di frequenza e di intensità in base alle quali formalmente poniamo dei confini, però spesso ci
sono dei pazienti che sono sotto soglia per dei sintomi che però sono assolutamente degni di una
valutazione clinica, quindi un conto è l’epidemiologo che fa il lavoro tipico degli epidemiologi, un
conto è il clinico che deve curare le persone. Quindi accontentarsi semplicemente delle soglie di
frequenza e intensità sarebbe comunque sbagliato.
Rispetto all’ansia un criterio importante è quello dell’adeguatezza adattativa e della comprensibilità.
Che cosa vuol dire? L’ansia è un derivato di un segnale fisiologico, quindi, se questo segnale viene
emesso in maniera adeguata, anche se piuttosto intenso, diciamo che è normale. Ci sono persone
con un’alta responsività neurovegetativa e psicofisiologica, che reagiscono molto più intensamente
a situazioni di pericolo, ma se il pericolo è attendibilmente reale, non è patologia. L’altro aspetto è
quello della comprensibilità, cioè la persona che sa contestualizzare il suo disagio, lo mette nei
giusti binari.
Un altro criterio è quello della transitorietà e della modificabilità: normalmente l’ansia come stato
transitorio è l’ansia segnale, si presenta quando c’è bisogno e viene modificata a seconda delle
richieste dell’ambiente anche del lavoro di comprensione che il soggetto fa da un punto di vista
cognitivo. Quando un soggetto diventa stabile e insensibile al contesto ambientale, allora
evidentemente questo è un criterio di patologia.
L’ultima cosa da dire è sul ruolo della cultura: ci sono delle forme sindromiche che sono specifiche
di determinate culture, le cosiddette sindromi etniche (l’isteria artica, che è una nevrosi d’angoscia
in cui le persone hanno una serie di manifestazioni somatiche; il koro della zona del Pacifico - da
non confondere con il kuru che è il tremore dovuto ai prioni - in cui i soggetti di sesso maschile
temono di perdere la loro virilità e che i loro genitali vengano risucchiati nell’addome. Questa è
un’interpretazione abbastanza fantasiosa di un fenomeno che parzialmente accade, perché, come voi
sapete, noi abbiamo la muscolatura cremasterica responsabile di un riflesso che si innesca con lo
sfregamento della faccia interna della coscia; tale riflesso è di tipo difensivo, dovuto al fatto che
questi organi sono penduli e potenzialmente soggetti a danneggiamento. Nelle situazioni di
pericolo, in tutte le specie animali, di meno nell’uomo, c’è una certa retrazione dei genitali, quindi
si crea una sorta di circolo vizioso fra l’ansia e questo fenomeno, che viene culturalmente
interpretato come il pericolo di perdere la propria virilità: è come se venisse confusa in qualche
modo la causa con l’effetto, fenomeno che è comunque all’ordine del giorno nei pazienti ansiosi).
La cultura da un certo punto di vista è un fattore protettivo e lo si vede anche da un punto di vista
epidemiologico, perché siccome il problema generale dell’ansia è di dare peso a ciò che ci accade
intorno, quando noi non riusciamo a dare senso a ciò che ci accade intorno, siamo fisiologicamente
ansiosi, dato che siamo delle entità psicosomatiche. E comunque la cultura è responsabile di una
diversa presentazione delle manifestazioni cliniche a seconda degli strati sociali.
PSICOFISIOLOGIA
- mente e corpo;
- rapporto fra ansia, cognizione e prestazioni;
- numerosi parametri funzionali e di laboratorio (cardiovascolari, ventilatori, elettrodinamici,
elettromiografici, elettrocorticali,…).
L’ansia è, come tutte le emozioni, a cavaliere fra il biologico e lo psichico, perché le emozioni
nascono nel corpo, nascono nel cervello, esistono anche negli animali inferiori anche se loro non ce
le verbalizzano, in particolar modo negli animali a sangue caldo. Non so se sapete che lo scatto
evoluzionistico è fra rettili ed uccelli, cioè fra animali a sangue caldo, con grosso incremento delle
funzioni ipotalamiche, fra cui anche una maggiore ricchezza dei correlati delle presentazioni
somatiche. E quindi l’ansia è il segnale di allarme che si può innescare sia per pericoli esterni che
interni (alterazioni biologiche).
Se voi fate gli esami, sapete che una certa quantità di ansia migliora le prestazioni fino a un certo
livello, oltre il quale non solo la curva non cresce più, ma diventa una curva a U rovesciata, dunque
le prestazioni peggiorano. Gli ansiosi si trovano tutti dall’apice della curva in poi, dunque più sale
l’ansia, più le prestazioni peggiorano. Questo si manifesta anche sull’attività cognitiva, cioè voi,
sotto la pressione dell’ansia, magari vi applicate di più a una prestazione cognitiva, però commettete
più errori e avete una maggiore difficoltà nella memorizzazione e nell’apprendimento. Questa è una
delle disfunzioni più importanti che si registra nel mondo dei lavoratori. Infatti nei paesi sviluppati,
il grosso della forza lavoro è impegnato in attività mentali, quindi, se una volta l’ansioso era
comunque in grado di svolgere la sua attività lavorativa, in quanto prettamente manuale, oggi
diventa un lavoratore scarsamente produttivo, che ha molta difficoltà a svolgere le mansioni a cui è
normalmente addetto.
L’ultimo punto ha un interesse ad oggi prevalentemente di ricerca, nel senso che, ricercare tutti
questi correlati laboratoristici, ad oggi non ha particolare rilievo nella pratica clinica. Noi per
esempio oggi stiamo lavorando con un derivato dell’elettrocardiografia holter, che è la Heart Rate
Variability, ma lo stiamo utilizzando per valutare le modificazioni in psicoterapia.
GENI E AMBIENTE
- numerosi geni soggetti a polimorfismo;
- caratteristiche cliniche manifeste e tratti endofenotipici;
- esperienze precoci e ruolo dei “traumi”.
Tutte le manifestazioni di tipo sindromico e comportamentale sono in genere regolate da gruppi di
geni che collaborano fra di loro, non si tratta del classico mendelismo. Dal punto di vista clinico i
disturbi d’ansia sono forse i meno soggetti ad un peso della genetica, o meglio lo sono, ma sono
molto facilmente riparabili: immaginiamo di fare un esperimento su un topo con una vulnerabilità
biologica ad un disturbo d’ansia; se voi supplite, soprattutto in fase precoce, con una buona pratica
di accudimento della prole, con situazioni non stressanti finchè il topolino non è adolescente,
diventa quasi indistinguibile da adulto dal topo che non ha il gene mutato. Ciò conferma il grande
peso, che già supponevamo avere per lo sviluppo delle nevrosi, della buona qualità dello sviluppo
psichico e dell’attaccamento. Infatti si parla spesso delle esperienze precoci e del ruolo dei traumi,
che va inteso sempre in modo molto sofisticato, cioè, mentre nella medicina del corpo il trauma è
un trasferimento di energia, invece in psichiatria è un’esperienza non elaborabile. Quindi il trauma
può derivare anche da una carenza, nel senso che quando siete immaturi da un punto di vista
dell’apparato psichico, se non c’è una figura di accudimento che metabolizza un po’ per voi
l’esperienza dell’ambiente, accade che per voi diventa traumatico anche ciò che traumatico non
sarebbe.
CAUSE ORGANICHE
- encefalopatie;
- affezioni cardiorespiratorie;
- turbe ormonali e metaboliche (tiroide, surrene, compenso glicemico);
- effetti farmacologici:
 medicamenti: simpaticomimetici, anticolinergici;
 tossici: sostanze vitali, CO2…;
 sostanze d’abuso: alcol, cocaina, cannabinoidi.
Vediamo quali sono le cause organiche dell’ansia: certamente le alterazioni a livello dell’encefalo,
le più disparate, senza scendere nei dettagli. Ovviamente sono necessari degli esami in più per
accertare la presenza di una alterazione organica alla base dell’ansia, in quanto l’ansia è un sintomo
molto sfumato, al pari della febbre che può avere una molteplicità di cause. Però sicuramente nella
pratica medica ritroverete l’ansia in ciascuna di queste condizioni.
Da un punto di vista di diagnosi differenziale, quando si valuta un soggetto in ambulatorio di
disturbi d’ansia, noi innanzitutto escludiamo che abbia una patologia di tipo cardiorespiratorio, a
partire da un ECG che ormai non si nega a nessuno, a meno che non si tratti di uno sportivo che si
sottopone periodicamente ad analisi per l’idoneità sportivo-agonistica.
Da un punto di vista pratico sicuramente fra i disturbi ormonali e metabolici la tiroide è quella che
viene più comunemente controllata; in realtà ci è capitato un solo caso in tre anni di una persona che
in realtà aveva un compenso glicemico: una ragazza che, avendo la tendenza ad ingrassare, si è
auto-sottoposta ad una dieta fortemente squilibrata, che determinava delle crisi ipoglicemiche, che
portavano ad un disturbo di panico, che apparentemente era sotto controllo già da qualche anno, e
c’era tuttora una terapia di mantenimento in corso.
Un’altra cosa importantissima, soprattutto oggi, sono gli effetti farmacologici. E’ importantissima
sia per i medicinali che vengono presi a scopo terapeutico, sia per i medicinali di cui si abusa fino
alla tossicità per cause professionali o accidentali. L’anidride carbonica per vostra curiosità viene
utilizzata come sistema di provocazione sperimentale nello studio dei disturbi di panico, dunque
condizioni di ipossia o ipercapnia devono essere tenute sotto controllo (un esempio tipico è quello
degli apneisti).
NEUROANATOMIA FUNZIONALE
- vie e analizzatori sottocorticali (short loop);
- substrati dell’apprendimento e del condizionamento;
- integrazione corticale del percetto e del vissuto (long loop);
- amigdala;
- proiezioni del tronco encefalico (locus coeruleus, nuclei del rafe);
- corteccia cingolata, temporale e orbito-frontale;
- ipotalamo.
Abbiamo due meccanismi che lavorano in parallelo nell’analisi dei nostri stimoli ambientali: uno è
il cosiddetto short loop, che implica un’analisi totalmente sottocorticale, in cui sono implicati il
talamo e l’amigdala; l’altro è il cosiddetto long loop, in cui viene integrato anche il percetto e il
vissuto e quindi entrano in ballo sia le aree corticali (come quella temporale e orbito-frontale) per
l’analisi e la valutazione dello stimolo, sia tutta la corteccia cingolata in cui sono depositate le zone
ippocampali e tutte le tracce mnesiche per il confronto. Qui siamo con tutte le scarpe nella fisiologia
dell’apprendimento condizionato: l’ansia è il principale rafforzatore dell’apprendimento, la natura
ci ha dotato di un meccanismo neurobiologico per imparare a non esporci nuovamente ai pericoli.
Ultima cosa sono le proiezioni del tronco encefalico. Voi avete presente che il locus coeruleus è
l’integratore dei sitemi noradrenergici del nostro organismo e i nuclei del rafe sono quelli a
serotonina. Questi nuclei che proiettano a tutto il telencefalo, ed in particolare alle zone
dell’apprendimento, sono i modulatori generali del cervello. Quindi in pratica i farmaci che noi
adoperiamo più frequentemente agiscono in modo generalizzato su questo sistema neurovegetativo,
dunque sono a bassa specificità e noi li usiamo in maniera transnosografica. Quindi la terapia
psichiatrica è una terapia funzionale, ovvero utilizziamo dei farmaci efficaci su un determinato
gruppo di sintomi, a prescindere dalla diagnosi della malattia di base. Le benzodiazepine invece
agiscono a livello corticale, per cui sono particolarmente efficaci in certe situazione e negative in
certe altre come l’ansia cronica.
L’ipotalamo è una delle vie efferenti, nel senso che noi abbiamo degli output tipici dell’ansia
cronica di tipo neuroendocrino.
NEUROTRASMISSIONE E MODULAZIONE
- ruolo della noradrenalina e della serotonina;
- sistemi gabaergici/BDZ;
- peptidi: CRF, AVP, NPY, CCK, galanina, oppioidi;
- disregolazione del’asse HPA;
- neurosteroidi.
Dei primi due punti ne abbiamo già parlato. Per quanto riguarda i peptidi, quello più studiato nei
disturbi d’ansia è proprio il CRF, che non è soltanto il neuropeptide che fa liberare l’ACTH, ma è
presente in tutta una serie di aree cerebrali, per cui nell’ansia cronica e nello stress agisce come
modulatore di una serie di aree cerebrali, cioè sia dentro che fuori. Invece non vi venga in mente di
trattare i disturbi d’ansia con gli oppioidi, soprattutto endorfine, se non in pazienti con una scarsa
aspettativa di vita in cui l’applicazione della medicina palliativa ha tutta la sua dignità. State attenti
anche, quando curate il dolore, di considerare la possibilità di fare un trattamento della condizione
di stress concomitante, che può risultare efficace anche nel ridurre la percezione del dolore in quei
pazienti che comunque hanno una aspettativa di vita normale.
Nei disturbi psichiatrici cronici che durano da molto tempo il sistema HPA è come se fosse
perennemente sovrattivato, senza nessun ritmo circadiano (apparente ipoioncrezione di certi
ormoni), quando invece nell’ansia acuta si ha solo una temporanea disregolazione dei valori normali
(es.: livelli alti di adrenalina per qualche giorno dopo un forte spavento, come può essere quello di
trovarmi un leone di fronte a casa). Nelle donne, al contrario degli uomini, uno stress cronico
determina un aumento dell’androgenizzazione (es.: comparsa di brufoli). Per quanto riguarda i
neurosteroidi, noi a livello cerebrale abbiamo appunto delle molecole steroidee in grado di
modulare il recettore delle benzodiazepine, come se avessimo un meccanismo di adattamento locale
dell’ansia e dello stress.
PSICOPATOLOGIA GENERALE
Paura: emozione primordiale reattiva ad un pericolo reale, attuale, definito e riconoscibile (il
famoso leone di cui parlavamo). Quindi l’oggetto ostile è correttamente percepito e siamo di fronte
ad un fisiologico segnale d’allarme.
Ansia: emozione spiacevole che consiste in un sentimento d’allarme o penosa aspettativa che debba
succedere qualcosa, di fronte a pericoli temuti reali o potenziali (come ad esempio quelle persone
che a priori non prendono l’aereo, anche se è dimostrato da dati statistici che il mezzo aereo è il più
sicuro in assoluto, calcolando il rischio per persona per chilometri percorsi), vissuti come immediati
o imminenti, associata a manifestazioni fisiche (es.: iperattività neurovegetativa), e all’emissione di
comportamenti (es.: evitamento). Il concetto fondamentale è comunque che l’ansioso non vive nel
presente, ma vive proiettato nel futuro in cose che forse non accadranno mai.
Esistono diversi tipi di ansia:
-
-
di tratto o di stato: di tratto è l’atteggiamento perennemente ansioso; lo stato è una
condizione variabile;
anticipatoria e situazionale: anticipatoria è quando so che qualcosa è pericolosa e allora
inizio a stare in ansia ancor prima di farla (es: ansia di andare dal dentista senza esserci
ancora mai stati); quella situazionale è quella legata all’aver esperito una specifica
situazione (es: ansia di andare dal dentista dopo esserci già stati e aver già provato dolore);
libera: quando il paziente riferisce di essere ansioso senza alcun tipo di contestualizzazione.
Angoscia: manifestazone ansiosa di rango superiore, o per una particolare intensità psicofisica con
senso di costrizione (dal latino angor) e morte imminente, o per livello ontologico che investe
l’esperienza del mondo. C’è un’altra distinzione tra ansia ed angoscia che è basata sul contesto
sindromico all’interno del quale avviene la manifestazione: l’ansia è normalmente appannaggio
delle nevrosi, raramente assurge a livello d’angoscia, mentre nelle psicosi, quando un paziente ha
percezione della propria condizione di disagio, allora parliamo d’angoscia.
Panico (etimologia: dio Pan era quello con le zampe di caprone, che suonava il flauto e allucinava le
persone che si trovavano nei boschi, che venivano prese dal terrore di essersi perse): manifestazione
ansiosa, acuta e terrorizzante, che sconvolge l’unità psicosomatica e conduce alla perdita di
controllo sull’esperienza fino alla paralisi (il classico esempio del topo davanti al serpente, che,
invece di scappare, si paralizza). Dunque mentre l’angoscia è qualcosa di circoscritto all’interno che
ti fa sentire male, il panico è una perdita dei confini.
Nevrosi: termine introdotto da un medico scozzese per indicare affezioni del sistema nervoso che
conducono ad una attività disordinata (Cullen, 1776). Successivamente (XIX – XX sec) il concetto
teorico ha assunto significati peculiari nelle grandi scuole europee di psichiatria (Charcot, Janet,
Freud), declinandosi in nozioni e classificazioni specifiche (isteria, fobie, ossessioni, ecc…) Il
concetto di nevrosi è un concetto unitario che poi è stato consacrato soprattutto dalla psicoanalisi, in
quanto Freud, semplificando molto il suo pensiero, ha sviluppato il modello psicodinamico delle
nevrosi, basato su nozioni quali energia sessuale, difesa psichica, inconscio. Semplificando lo
sviluppo dell’opera freudiana possiamo distinguere: neuroastenia o nevrosi attuali (ipocondria,
nevrosi d’ansia), che scaturiscono direttamente dalla mancata soddisfazione dell’eccitamento, cioè
non implicherebbero dei meccanismi di trasformazione simbolica. Al di là del modello psicanalitico
tenete conto che la nostra coscienza non può tenere sotto controllo tutto, ma si deve focalizzare e
dunque, quando noi ci abituiamo a gestire una cosa in automatico, essa fuoriesce dalla nostra
coscienza; ciò non vale solo per il sintomo nevrotico, ma è un meccanismo generale d’economia
che il nostro organismo mette in atto. In quelle condizioni psicopatologiche in cui noi non riusciamo
a focalizzare la nostra coscienza succede un disastro: il paziente con uno stato di sovraeccitamento
maniacale va di palo in frasca.
-
Psiconevrosi o nevrosi di traslazione (isteria di convessione, isteria di angoscia o nevrosi
fobico-ossessiva) le cui manifestazioni sono prodotte da meccanismi psicologici profondi;
Nevrosi traumatiche susseguenti all’esposizione ad eventi intensivi e non elaborabili;
Nevrosi narcisistiche che esprimono il ritiro degli investimenti all’interno dell’io.
Caterina Neri
Scarica