Condominio - La Legge per Tutti

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IL CONDOMINIO
Curatore:
Daniela Rotunno
lunedì 22 febbraio 2016
versione 1.0
IL CONDOMINIO
SOMMARIO
INTRODUZIONE.............................................................................................................................. 4
IL CONDOMINIO COS’È ................................................................................................................. 5
Come e quando nasce un condominio. La nomina dell’amministratore........................................5
Il condominio minimo: cos’è.......................................................................................................... 6
Il condominio parziale ................................................................................................................... 7
Supercondominio: cos’è e come nasce ...................................................................................... 11
Cassazione: quando c’è supercondominio ................................................................................. 13
I BENI COMUNI ............................................................................................................................. 14
Condominio: quali sono i beni comuni ........................................................................................ 14
Parti comuni del condominio: sono divisibili?.............................................................................. 18
LA GESTIONE DEI BENI COMUNI ............................................................................................... 19
Condominio: come assegnare i posti auto in cortile.................................................................... 19
LE INNOVAZIONI .......................................................................................................................... 22
Lavori in condominio: innovazioni consentite e vietate ............................................................... 22
Innovazioni in condominio: cosa sono e che prevede la legge ................................................... 24
RAPPORTI TRA CONDOMINI....................................................................................................... 28
Vicini rumorosi in condominio: difesa.......................................................................................... 28
Rumori del vicino di condominio: come farlo smettere................................................................ 31
Quanto chiedere per il risarcimento del danno? ......................................................................... 32
LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE ............................................................................................... 34
Come si ripartiscono le spese in condominio.............................................................................. 34
Condominio: sottrarsi alle spese per innovazioni e modifiche .................................................... 36
Spese di condominio: cosa paga l’inquilino e cosa il padrone di casa........................................ 37
Riparazione balconi aggettanti e tetti in condominio: chi paga ................................................... 42
Condomini disabili: chi paga l’installazione del montascale e la relativa manutenzione? ........... 43
Lavori in condominio: per i danni chi è responsabile e chi risarcisce?........................................ 44
MOROSITÀ.................................................................................................................................... 46
Condominio: se i condomini non pagano come si recupera il credito ......................................... 46
Condominio: il pignoramento del conto corrente è possibile....................................................... 48
Dopo la riforma il creditore può pignorare il conto corrente condominiale .................................. 50
Condomino moroso: i poteri dell’amministratore......................................................................... 52
SPESE PER MANUTENZIONE ..................................................................................................... 53
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IL CONDOMINIO
Manutenzione scale condominio: come ripartire le spese .......................................................... 53
Lavori urgenti in condominio: come comportarsi? ...................................................................... 54
Infiltrazioni in condominio da beni di proprietà comune: come comportarsi ................................ 56
I lavori condominiali si pagano in anticipo: la norma che tutela i costruttori ................................ 57
Il tetto condominiale: breve guida ............................................................................................... 58
AMMINISTRATORE: NOMINA, REVOCA ED OBBLIGHI ............................................................. 60
L’amministratore di condominio: doveri, compiti e adempimenti................................................. 60
Amministratore di condominio: doveri, compiti e adempimenti parte 2 ....................................... 65
Amministratore di condominio: le nuove regole .......................................................................... 69
Amministratore di condominio: quanto tempo dura l’incarico?.................................................... 71
Revoca dell’amministratore di condominio: anche senza giusta causa ...................................... 77
Come l’amministratore deve convocare l’assemblea di condominio........................................... 79
Inerzia dell’amministratore di condominio: quale difesa.............................................................. 81
L’ASSEMBLEA DEI CONDOMINI.................................................................................................. 82
Assemblea di condominio: quali maggioranze?.......................................................................... 82
L’avviso di convocazione dell’assemblea di condominio ............................................................ 85
Condominio: chi può impugnare la delibera dell’assemblea? ..................................................... 87
Entro quanto impugnare una delibera di condominio?................................................................ 89
Quando la delibera è annullabile? .............................................................................................. 90
L’inquilino può partecipare e votare in assemblea di condominio? ............................................. 91
Assemblea di condominio, deleghe e convocazione: come opporsi ........................................... 92
IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO .......................................................................................... 94
Condominio: la mancata approvazione del regolamento assembleare....................................... 94
Regolamento condominiale: il costruttore non può riservarsi di redigerlo dopo i rogiti ............... 95
TABELLE MILLESIMALI ................................................................................................................ 97
Tabelle millesimali: approvate a maggioranza e non più all’unanimità ....................................... 97
Pulizia scale: quale tabella per le spese condominiali? .............................................................. 98
Condominio: divisione delle spese se mancano le tabelle millesimali ........................................ 99
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IL CONDOMINIO
INTRODUZIONE
a cura di Daniela Rotunno
L
a vita in condominio rappresenta oggigiorno una realtà per moltissime persone. La convivenza non è
sempre facile al punto che spesso litigi e ripicche prendono il posto dei rapporti di buon vicinato e
molte sono le controversie tra condomini che arrivano nelle aule di tribunale. In tale contesto è fondamentale
conoscere le norme che regolano la materia e quali sono i propri diritti e doveri.
La materia condominiale è disciplinata dal codice civile e finalmente, dopo ben 71 anni, è stata oggetto di
revisione ad opera della legge dell’11 dicembre 2012, n. 220 e della “novella” costituita dal decreto legge 23
dicembre 2013, n. 145; tale riforma ha da un lato recepito gli orientamenti consolidati dalla Corte di Cassazione e dall’altro ha introdotto delle innovazioni, come ad esempio quelle relative alla figura
dell’amministratore di condominio, alle nuove maggioranze per approvare le delibere in assemblea, alla possibilità di distacco dal riscaldamento condominiale senza la previa approvazione dell’assemblea.
La presente guida raccoglie alcuni degli articoli più interessanti pubblicati sul portale “La Legge per Tutti“
(www.laleggepertutti.it) ed offre una panoramica sulle vicende che possono interessare il condominio, relativamente ai rapporti tra condomini, all’attività dell’amministratore, alla ripartizione delle spese condominiali e molto altro.
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IL CONDOMINIO
IL CONDOMINIO COS’È
Come e quando nasce un condominio. La nomina dell’amministratore
Se
il
condominio
nasce
automaticamente senza bisogno di
una delibera, non appena i condomini
sono più di uno, per la nomina
dell’amministratore c’è bisogno di una
delibera, che è obbligatoria quando il
numero dei condomini è più di otto.
Il condominio si costituisce automaticamente – senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, e tanto meno di delibere e approvazioni dell’assemblea dei condomini –
nello stesso momento in cui:
1) l’unico proprietario di un edificio lo frazioni in più porzioni autonome, trasferendone la proprietà
esclusiva a una pluralità di soggetti (o anche solo al primo di essi);
2) oppure quando più soggetti costruiscano su un suolo comune;
3) oppure quando l’unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando la stessa condizione del frazionamento che a esso dà origine [1].
La nomina di un amministratore
La recente riforma del condomino [2] ha previsto che la nomina dell’amministratore è obbligatoria
solo quando i condomini sono più di otto.
IN PRATICA
La costituzione di un condominio è automatica non appena si ha più di un proprietario all’interno
della stessa costruzione. Non c’è dunque bisogno di una delibera assembleare.
La nomina dell’amministratore, invece, non è automatica, ma necessita di una delibera
dell’assemblea, che è obbligatoria non appena i condomini sono più di otto.
[1] Cass. sent. n. 17332 del 17.08.2011.
[2] Art. 1129, comma 1, cod. civ.
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IL CONDOMINIO
Il condominio minimo: cos’è
Condominio
minimo
o
piccolo
condominio,
sentenze
della
Cassazione
su
assemblea
dei
condomini e applicazione delle regole
del codice civile in materia di
condominio.
Per condominio minimo (o piccolo condominio) si intende quella collettività condominiale composta da due soli partecipanti. In questo caso si discuteva, in dottrina e giurisprudenza, circa la normativa da applicare. Era controverso, in altri termini, se
al condominio minimo si dovessero applicare le norme del condominio o quelle della comunione. La recente riforma del condominio [1] ha risolto la questione prevedendo [2] che
le norme in materia di condominio si applicano in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo
1117.
Non vi è dubbio, quindi, che anche alla fattispecie del condominio minimo sono applicabili le
norme in materia di condominio.
Anche la questione relativa alla disciplina applicabile al condominio minimo è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, che è opportuno accennare.
La Cassazione, infatti, dopo aver affermato l’esistenza del condominio anche nel caso
di condominio minimo, successivamente ebbe a mutare il suo indirizzo ritenendo che in presenza di due soli condòmini non fosse possibile costituire l’assemblea.
In tempi più recenti, invece, la Cassazione ha nuovamente mutato il suo indirizzo, ritenendo che
nel caso in cui i proprietari dell’edificio fossero soltanto due, si applicassero le norme del condominio eccezion fatta per le norme relative al funzionamento dell’assemblea [3].
Da ultimo, infine, la Cassazione a Sezione Unite ha confermato l’applicazione al condominio
minimo delle norme sul condominio, incluso l’articolo in tema di assemblea [4], con la conseguenza che in caso di mancato raggiungimento dell’unanimità, sarebbe stato necessario ricorrere
al giudice [5].
[1] L. 220/2012.
[2] All’art. 1117bis, introdotto ex novo.
[3] Disciplinata, invece, dagli articoli 1104 s.s. cod. civ.
[4] Art. 1136 cod. civ.
[5] A norma degli artt. 1105 e 1139 cod. civ.
Autore: il presente articolo è stato tratto dal volume edito da Edizioni Simone “IL NUOVO
CONDOMINIO” Manuale teorico-pratico – Con formulario e appendice normativa di Rodolfo
Cusano, 2015, Ed. XIII
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IL CONDOMINIO
Il condominio parziale
Definizione e disciplina del condominio
parziale
dopo
la
riforma
del
condominio e con le nuove norme del
codice civile: il caso in cui i beni
comuni siano destinati all’utilizzazione
di solo una parte dei condomini.
La riforma del condominio non ha toccato
l’istituto del cosiddetto “condominio parziale”: esso si ha quando i beni comuni sono
destinati all’utilizzazione di solo una parte
dei condomini. In questo caso è necessario stabilire se i beni siano comuni anche ai condómini
che di fatto non li utilizzano oppure siano comuni soltanto ai condómini che li utilizzano. Da qui la
definizione di “condominio parziale”; la parzialità risiede, in altri termini, nel fatto che solo ad una
parte dei condomini spetterebbe la comproprietà di tali beni.
Il tema è stato molte volte analizzato più con riguardo a specifici casi che in relazione a principi
generali come conferma il seguente rilievo giurisprudenziale secondo cui «Il condominio parziale raffigura una categoria radicata nell’esperienza e riconosciuta dalla giurisprudenza la quale,
piuttosto che della definizione del principio, si occupa della definizione dei casi di specie» .
Tale fattispecie di condominio parziale viene ammessa sulla base della constatazione che: «Indipendentemente dal titolo, nell’ambito della più vasta contitolarità, si ammette la costituzione per
legge dei cosiddetti condomini parziali sul fondamento del collegamento strumentale tra i beni: vale a dire, sulla base della necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero della destinazione all’uso o
al servizio di determinate cose, servizi ed impianti limitatamente a vantaggio di talune unità immobiliari», ed esplicitamente: «Per la verità, l’asserto che la proprietà comune appartenga necessariamente a tutti i partecipanti e non si frazioni, neppure in casi eccezionali, se non in virtù del titolo,
non è più condiviso e, in effetti, non regge alla critica, fondata sulla ricognizione non aprioristica
dei dati positivi» .
Se questa è la tesi di ammissibilità del condominio parziale non mancano posizioni nettamente
contrarie sostenute da notevoli argomenti.
In primo luogo, si deve constatare che la legge si riferisce esplicitamente a beni comuni a tutti i
condomini «se il contrario non risulta dal titolo» ex articolo 1117 c.c. Ciò vuol dire che esiste una
sola eccezione per la quale i beni non sono comuni a tutti i condomini: la volontà contraria contenuta nel titolo di acquisto.
Questa osservazione potrebbe sembrare sterile se il suo carattere formalistico non fosse convalidato da un ulteriore rilievo pratico e sostanziale: il motivo per cui i beni sono comuni anche a
quei condomini che non li utilizzano risiede nel fatto che quei beni partecipano di un edificio unico
che è, appunto, il condominio. Il destino comune dei beni viene supportato dall’unità dell’edificio
cui partecipano tutti i proprietari in virtù della loro ulteriore qualifica di condomini. In questa prospettiva il criterio di utilizzabilità non viene affatto preso in considerazione dalla legge per determinare la contitolarità dei beni di cui all’articolo 1117 c.c., per cui tali beni sono comuni anche se solo
alcuni condomini li utilizzano.
In realtà, è vero che il citato articolo 1117 c.c. non consente esplicitamente che la proprietà dei
beni sia comune solo ad alcuni condomini però, a ben guardare, nemmeno lo vieta espressamenPagina 7 di 101
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IL CONDOMINIO
te; tale possibilità è ammessa sulla base di una convenzione ma non si può escludere che il criterio dell’utilizzabilità (e quello correlato dell’utilità) non sia richiamato dall’articolo 1117 c.c. (in quanto sottinteso da quella normativa).
Il legislatore, allora, non ha esplicitamente dichiarato che il condominio riguarda solo coloro ai
quali i beni servono perché tale stato di fatto rappresenta una condizione necessariamente preesistente all’operatività della norma, cioè essa è presupposta sulla base della logica determinazione
dei fatti e dei conseguenti effetti che si verificano in questi casi.
Questo sembra essere il ragionamento che sta alla base dell’opinione per cui: «I presupposti per
l’attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i
servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari
per l’esistenza o per l’uso, ovvero sono destinati all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di
una sola parte (o di alcune parti) di esso.
Pertanto, del diritto soggettivo di condominio formano oggetto soltanto i servizi e gli impianti effettivamente legati alle unità abitative dal collegamento strumentale; vale a dire le sole parti di uso
comune che siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate all’uso o al servizio di determinati piani o porzioni di piano». La Cassazione determina anche il motivo specifico di tale conclusione: «La disposizione da cui risulta con certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso
comune dell’edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti, si rinviene
nell’articolo 1123, comma terzo, c.c. Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle
spese per la conservazione grava soltanto sui condomini, ai quali appartiene la proprietà comune».
In realtà, se si legge il comma in questione, non si evince affatto quanto affermato dalla Cassazione, poiché viene disciplinato il criterio di spesa in base al criterio di utilità, per cui
questa norma non disciplina affatto la parzialità della titolarità: ben potrebbe intendersi, la norma in
commento, nel senso che le spese sono sopportate dai condomini che ne traggono utilità ma la
proprietà resta, comunque, in capo a tutti i condomini, anche a quelli che non usano i beni in oggetto, così come stabilito dal principio generale di cui all’articolo 1117 c.c.
È la stessa Cassazione che risponde all’interrogativo sottolineando come il terzo comma
dell’articolo 1123 «non recepisce il criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i contributi si suddividono tra i condomini in ragione
dell’utilità. Se così fosse, il precetto sarebbe del tutto superfluo, perché ripeterebbe quello dettato
dal capoverso precedente»; tanto è vero che: «Posto che l’articolo 1123 comma terzo ripartisce il
concorso nelle spese per le parti comuni, destinate a servire le unità immobiliari in misura diversa,
in proporzione all’uso che ciascuno può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro i quali,
per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero non sono destinate all’uso o al servizio dei loro
piani o porzioni di piano. Se i proprietari delle unità immobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in virtù del criterio dell’utilità statuito
dall’articolo 1123 comma secondo c.c., il disposto dell’articolo 1123 comma terzo sarebbe del tutto
identico a quello fissato nel comma precedente e configurerebbe un duplicato inutile».
È questa un’interpretazione che collega funzionalmente le diverse parti di una norma in maniera
esemplare per arrivare ad identificare la stessa ratio che sottende l’intero dettato normativo ed il
ragionamento viene spiegato in questo modo: «In realtà, l’articolo 1123 c.c. nei distinti capoversi
contempla ipotesi differenti. Mentre al comma due regola solo ed esclusivamente la ripartizione
delle spese per l’uso, al comma tre disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La
ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati matePagina 8 di 101
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IL CONDOMINIO
rialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. La disposizione, cioè, contempla l’ipotesi di condominio parziale».
Come si vede, la Cassazione fa discendere esplicitamente dall’articolo 1123 c.c. la previsione legislativa del condominio parziale il quale deve essere ammesso, non solo in base ai ragionamenti
effettuati dalla Suprema Corte, ma anche in base al dato incontestabile che dalla legge non risulta
alcun esplicito divieto di costituzione del condominio parziale e che il condominio parziale risulta
essere una fattispecie che realizza interessi meritevoli di tutela alla stregua dei principi del nostro
ordinamento giuridico.
A questo punto, però, non si può fare a meno di richiamare un ulteriore argomento, su cui si basa
la tesi negatrice della possibilità di un condominio parziale, individuato nell’articolo 61 disp.att.
c.c., il cui primo comma recita: «Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o
porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato».
Questa norma è utilizzata per negare la possibilità di un condominio parziale in base ad un articolato ragionamento che si propone di seguito.
Il comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c., si sostiene, disciplina l’ipotesi di scioglimento di
un condominio quando questo sia costituito da parti, ciascuna delle quali abbia le «caratteristiche
di edificio autonomo»; allora, se il condominio separato fosse una fattispecie normalmente realizzabile (sulla base del criterio di utilizzabilità dei beni comuni ad alcuni soltanto dei condomini), tale
norma non sarebbe necessaria perché se è lecito il condominio parziale deve essere, a maggior
ragione, lecito dividere un condominio in due se le due parti sono, in sostanza, edifici autonomi. Il
comma primo dell’articolo 61 disp.att. c.c. sarebbe, in altri termini, superfluo e inutile.
Tale norma è, invece, utile proprio perché il legislatore non aveva previsto il condominio parziale e
perciò lo dichiara espressamente realizzabile nei casi in cui le diverse parti abbiano «caratteristiche di edificio autonomo».
Fin qui la tesi negatrice del condominio separato che utilizza la previsione del comma primo
dell’articolo 61 disp.att. c.c. con l’intento di dare significato alla sua previsione, ma tale argomento
risulta in realtà non ben congegnato e, probabilmente, non del tutto pertinente al tema in oggetto.
Il richiamo all’articolo 61 disp. att. c.c. in merito a fattispecie di condominio parziale è inopportuno
per una serie di rilevi.
In primo luogo, se si legge anche il comma secondo dell’articolo 61 dis. att. c.c. , si comprende il
meccanismo di funzionamento di tale previsione: lo scioglimento del condominio (propedeutico alla formazione dei diversi condomini limitati ciascuno ad una parte dell’originario edificio) deve essere deliberato dalla maggioranza degli intervenuti all’assemblea (dell’originario unico edificio) che
rappresenti al contempo almeno la metà del valore dell’edificio ex articolo 1136 comma secondo
c.c. Se tale maggioranza non c’è, la norma prevede la decisione dell’autorità giudiziaria in base a
domanda di un terzo dei comproprietari della parte di edificio che si vuole distaccare dal resto.
Come si vede, tale fattispecie riposa sulla volontà dei condomini e, certamente, non si riferisce a
tutti i condomini ma ad una parte (benché considerevole) degli stessi. La nascita dei diversi condomíni ex articolo 61 disp.att. c.c. presuppone, allora, la volontà (di una parte) dei condómini.
Il condominio parziale, invece, trova la sua giustificazione in uno stato di fatto oggettivo (criterio
di utilizzazione e di utilizzabilità dei beni a favore soltanto di alcuni condomini) non influenzabile
dalla volontà dei condomini: nessun condòmino, ad esempio, potrebbe adire l’autorità giudiziaria
per affermare che un bene non collegato (per utilizzazione o utilizzabilità) al proprio appartamento
ricada anche nella sua proprietà condominiale. Nel condominio parziale, infatti, i beni sono in condominio ai proprietari degli appartamenti che li utilizzano e tale stato di fatto non può essere modiPagina 9 di 101
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ficato dalla volontà dei condomini; il collegamento è in re ipsa e, come detto, nasce automaticamente per cui non c’è neanche bisogno della manifestazione di volontà delle parti né, tanto meno,
di una pronuncia giudiziaria.
Differenti risultano quindi le ipotesi del condominio parziale e quella ex articolo 61 disp.att. c.c. in
base all’analisi genetica e strutturale delle due fattispecie ma vi sono altre considerazioni in proposito. È certo che l’ipotesi del condominio parziale riposa, da un lato, nella necessità oggettiva
della sua esistenza (indipendenza dalla volontà dei condomini e sussistenza sulla base di un oggettivo e verificabile collegamento che sorge tra un bene e gli appartamenti al cui migliore godimento quel bene è destinato) e dall’altro sul fatto che il condominio resta unico ed al suo interno
alcuni beni sono in comune soltanto ad alcuni condomini.
In base a questa seconda caratteristica si può affermare, insieme alla Cassazione, che: «Ammesso dunque che, nell’ambito di un edificio diviso in piani o porzioni di piano, possono sussistere
proprietà comuni di cose, di impianti e di servizi limitate soltanto ad alcuni condomini, conviene ricordare che il condominio parziale postula che il condominio originario non si frantumi in nuovi, distinti condomìni» . Questa premessa porta alla conseguente riflessione: «La figura del condominio
parziale, invero, si distingue rispetto alla ipotesi della separazione dei condomini disciplinata dagli
articoli 61 e 62 disp.att. c.c. almeno per due ragioni:
– per i presupposti di fatto, posto che il condominio parziale sussiste anche quando non è possibile procedere alla separazione, perché la parte dell’edificio — in cui sono situate le cose, gli impianti ed i servizi comuni collegati soltanto con alcune delle unità immobiliari — non presenta le
caratteristiche di parte o di edificio autonomo (è il caso delle scale e dell’ascensore, che non servono i locali con accesso soltanto dalla strada);
– per il fatto costitutivo: il condominio parziale insorge «ope legis» ogni qual volta sussistono i
presupposti, configurati dalla relazione di accessorio a principale, in concreto tra le singole unità
immobiliari e determinate cose, impianti e servizi di uso comune, e non v’è necessità del procedimento di separazione che si svolge in assemblea o davanti all’autorità giudiziaria» .
Come si vede, i precedenti argomenti, sulla base della rilevata differenza tra il condominio parziale
ed il condominio separato ex articolo 61 disp.att. c.c., ci fanno concludere che quest’ultima ipotesi
non implica affatto il disconoscimento della prima poiché esse sono estremamente differenti tra loro.
Quanto detto conferma la possibilità di un condominio parziale che esiste solo per alcuni beni e
soltanto tra i condomini che tali beni utilizzano; tale condominio parziale non elimina affatto il condominio complessivo il quale continua a sussistere, tranne che per la gestione di quei determinati
beni la cui titolarità resta a favore solo di alcuni condomini i quali conseguentemente saranno gli
unici a sopportare le relative spese. Proprio per questo motivo il condòmino che in sede di riparto
delle spese fatte dall’amministratore ritenga che esse non lo riguardino, potrà chiedere al giudice,
con una azione di accertamento ex articolo 1123 c.c., che venga dichiarata la mancanza
dell’obbligo al pagamento.
È proprio la disposizione di cui all’art. 1123, ultimo comma, c.c. che, nel prevedere beni destinati a
servire una parte dell’edificio, riguarda proprio la fattispecie del condominio parziale. La disposizione in esame statuisce che le spese relative alla loro manutenzione sono ripartite solo fra i condomini che ne traggono utilità, i quali non possono che identificarsi con i condomini facenti parte
del condominio parziale: essendo gli unici comproprietari del bene devono sopportarne integralmente i relativi oneri.
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IL CONDOMINIO
Supercondominio: cos’è e come nasce
Le istruzioni e le disposizioni
fondamentali,
utili
ad
amministratori e proprietari, per
comprendere cosa sia e come si
costituisca un supercondominio.
Si
sente
spesso
parlare
di supercondominio senza che, spesso, si
sappia con precisione a che cosa ci si riferisca con questo termine. Eppure, per quanto
tra poco verrà detto, l’esistenza di supercondomini è molto diffusa e, soprattutto,
tendente a svilupparsi in futuro. La ragione di questa, spesso inconsapevole, diffusione
di supercondomini risiede nel fatto che per l’esistenza di un supercondominio non è necessario
alcun atto scritto o decisione adottata da alcuna assemblea e nemmeno è necessaria la originaria volontà del costruttore, ma è sufficiente che più edifici, che siano o meno già costituiti in condomìni, abbiano in comune taluni impianti, cose e servizi.
Dunque, affinché un supercondominio esista è semplicemente necessario che più stabili abbiano tra loro in comune talune cose come, ad esempio, i viali di accesso o i giardini o le aree a
parcheggio oppure l’impianto per l’illuminazione o gli alloggi del portiere e simili cose o servizi
comuni.
Il termine “supercondominio” non è stato usato dal legislatore della riforma, ma in dottrina e in
giurisprudenza si legge ormai di frequente. Per supercondominio si intende la realtà in cui vi sono più edifici che hanno in comune la proprietà di una serie di beni, funzionalmente collegati alle
proprietà esclusive. Ma quando e come si costituisce un supercondominio? È necessario un atto
apposito per la costituzione di un supercondominio? Il sorgere di questo ente deve essere accompagnato da una qualche formalità, o, come il condominio, si forma da sé, dalla realizzazione
delle condizioni giuridiche e di fatto per le quali viene in esistenza? La riforma non parla di questo
aspetto, ma la giurisprudenza recente, innovando il precedente orientamento, risponde al quesito
nel senso di una costituzione di fatto.
Come hanno chiarito i giudici [1], è anche necessario, perché possa dirsi esistente
un supercondominio, che queste cose o servizi in comune a più edifici siano in rapporto
di accessorietà con gli edifici stessi; è cioè necessario che, ad esempio, i viali di accesso (e ogni
altra cosa o servizio comune) servano a tutti gli edifici tra i quali il supercondominio sussiste.
Da queste premesse deriva la conseguenza che è del tutto inutile, per far nascere
un supercondominio che, ad esempio, venga deliberata in apposite assemblee l’unificazione di
più palazzine, cioè di singoli condomini, in un’unica entità; non serve, dunque, che gli amministratori dei singoli condomini convochino in un’unica assemblea i condomini di più palazzine per deliberare la nascita del supercondominio. Se, infatti, più cose o servizi o impianti servono contemporaneamente più edifici, il supercondominio è già esistente di per sé indipendentemente da qualsiasi delibera o decisione.
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IL CONDOMINIO
In un solo caso, pur esistendo cose o servizi comuni a più edifici, il supercondominio non potrà
dirsi già di fatto esistente: è il caso in cui il regolamento del singolo condominio o gli atti di acquisto (delle singole proprietà esclusive che costituiscono i singoli condomini) lo vietino.
Da ultimo si dirà che anche la legge di riforma del condominio [2] ha finalmente recepito in un testo normativo il concetto di supercondominio (o di condominio complesso o condominio orizzontale come, con altre espressioni si è soliti chiamare il supercondominio) elaborato nel corso degli
anni dalla giurisprudenza stabilendo, appunto, che si applicano le norme sul condominio quando
più unità immobiliari o più edifici o più condominii abbiano parti comuni come quelle descritte
precedentemente (viali, impianti di illuminazione, cortili, parchi giochi per bambini ecc.).
Poiché, quindi, al supercondominio vanno applicate le norme del condominio si dovrà procedere,
attraverso apposita assemblea, a redigere un regolamento e nominare l’amministratore.
[1] Cass., sent. n. 19.939 del 14.11.2012.
[2] Legge n. 212 del 2012.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
Cassazione: quando c’è supercondominio
Servizi in comune
pluralità di edifici.
in
caso
di
La Cassazione interviene in materia
di supercondominio. Con una sentenza
pubblicata ieri [1] la corte ha chiarito quando ricorre questa particolare figura.
Il primo principio è: “nel caso di pluralità di
edifici, costituiti in distinti condominii, ma
compresi in una più ampia organizzazione
condominiale (cosidetti “supercondomini”),
legati tra loro dalla esistenza di talune cose,
servizi ed impianti comuni (quali il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la
guardiola del portiere, il servizio di portierato ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati si
applicano a dette cose, impianti, servizi, le norme sul condominio degli edifici e non quelle sulla
comunione in generale”. Inoltre, “ai fini della configurabilità del supercondominio, non è indispensabile l’esistenza di beni comuni, ma è sufficiente solo l’esistenza di servizi comuni a più
edifici” (v. il portierato).
[1] Cass. sent. n. 19800/2014.
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IL CONDOMINIO
I BENI COMUNI
Condominio: quali sono i beni comuni
Elencazione dei beni comuni di un
edificio in condominio, distinzione
tra proprietà individuale esclusiva
e proprietà comune, regolamento
di condominio, amministratore.
Di norma, in ogni fabbricato coesistono proprietà esclusive e proprietà in comune (alle prime asservite): si ha così la figura del condominio.
Purtroppo, nessuna norma stabilisce che,
tra i compiti affidati all’amministratore, vi sia quello di redigere un elenco dei beni comuni.
Per prima cosa occorre, quindi, stabilire quali sono i beni comuni.
L’articolo 1117 c.c. individua le parti dell’edificio che si presumono di proprietà comune, in quanto solitamente destinati a servire in maniera indifferenziata l’intera collettività condominiale. Tali
beni sono divisi in tre categorie (necessari, di pertinenza e accessori) a seconda della diversa
funzione svolta dagli stessi.
La riforma del condominio del 2012 (L. 220/2012) non ha apportato significative innovazioni alla
norma in esame, ma si è limitata a fornire una definizione più articolata delle parti comuni tenendo
conto di tutte quelle innovazioni tecnologiche (si pensi, ad esempio, agli impianti per la ricezione
radiotelevisiva, da satellite e via cavo) intervenute nel corso degli anni e che oggi si ritengono essenziali alla funzionalità degli appartamenti.
L’elencazione dei beni comuni fornita dall’articolo 1117 c.c. è la seguente:
– beni comuni necessari: sono quelli indicati al punto 1 dell’articolo 1117 c.c. e comprendono
il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale,
i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli ànditi, i portici, i cortili e in genere tutti le parti dell’edificio
necessarie all’uso comune. La L. 220/2012 ha aggiunto a questi beni comuni necessari i pilastri e
le travi portanti;
– beni comuni di pertinenza: sono quelli indicati al punto 2 dell’articolo 1117 c.c. e comprendono
i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per
il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune. La L. 220/2012 ha
aggiunto a tali beni, detti anche eventuali in quanto possono anche mancare, le aree destinate a
parcheggio e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
– beni comuni accessori: sono quelli indicati al terzo punto dell’articolo 1117 c.c. e comprendono
le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli
ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di
trasmissione per il gas. La L. 220/2012 ha aggiunto a questa elencazione anche gli impianti per il
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IL CONDOMINIO
riscaldamento e il condizionamento dell’aria (in precedenza la norma parlava solo di impianti di riscaldamento), gli impianti per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere
di flusso informatico, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condòmini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino
al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
L’elencazione dei beni comuni fornita dall’articolo 1117 c.c. non è tassativa né inderogabile. Ciò
significa che ben possono aversi casi di condomìni nei quali vi siano beni comuni che il codice
civile non ha indicato ed, inoltre, che lo stesso bene indicato tra i beni comuni dall’articolo 1117
c.c. può, invece, essere di proprietà del singolo condòmino: si pensi, ad esempio, al caso in cui
il costruttore, in sede di alienazione del singolo appartamento, ceda all’acquirente l’intera proprietà
del solaio di copertura del fabbricato.
Sulla scorta di quest’ultima considerazione è evidente che oltre alla destinazione di fatto all’uso
comune, al fine di individuare quali sono i beni comuni, occorre risalire al momento di nascita
del condominio e, quindi, l’amministratore deve aver riguardo non solo a quanto disposto
all’articolo 1117 c.c., ma anche agli originari contratti di alienazione ed al regolamento di condominio contrattuale eventualmente richiamato, tenendo sempre ben presente che occorre un
patto esplicito affinché il bene possa considerarsi di proprietà di un singolo condòmino e che, in
mancanza, il semplice silenzio determinerà la proprietà comune del bene. Infatti, è all’originario atto di alienazione (il primo atto di vendita di un immobile facente parte del fabbricato) che la giurisprudenza attribuisce la nascita del condominio; quindi, è a questo momento che bisogna risalire
per verificare se i beni identificati abbiano, o meno, natura di beni comuni. In pratica il costruttore,
nel regolamento di condominio (contrattuale) o nel primo atto di vendita, deve riservarsi la proprietà di quelli che sono i beni in comune. In mancanza di espressa e specifica riserva il bene
passa, sia pure pro quota, al condòmino, ma è da considerarsi ormai comune a tutti.
Il principio di separazione tra la proprietà del singolo condòmino ed i beni comuni non implica che i
beni comuni siano necessariamente di proprietà di tutti i condòmini; difatti, l’amministratore potrà
trovarsi di fronte alla cd. comunione parziaria, cioè a beni comuni che appartengono solo ad alcuni
tra di essi (si pensi ad un condominio con più scale, ascensori ecc. dove questi sono comuni solo
ai proprietari degli immobili cui servono).
Durante la vita del condominio può accadere che le parti comuni subiscano delle variazioni. Si
possono avere variazioni nella loro consistenza: ad esempio, a seguito della demolizione del tetto
e la sua trasformazione in terrazzo di uso comune, oppure nella loro titolarità, come nel caso, ad
esempio, della vendita dell’appartamento occupato dal portiere dopo che tale servizio è stato eliminato.
L’azione di accertamento della proprietà comune, in quanto ha ad oggetto la contitolarità del diritto di proprietà in capo a tutti i condòmini, è relativa ad un rapporto sostanziale plurisoggettivo
unitario, dando luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario fra tutti i condòmini; infatti, il giudicato si forma ed è opponibile nei confronti dei soli soggetti che hanno partecipato al giudizio.
D’altra parte, poiché non è applicabile ai rapporti assoluti la disciplina specifica dei rapporti obbligatori, non è estensibile alla specie il criterio dettato in materia di obbligazioni indivisibili
dall’articolo 1306 c.c., in virtù del richiamo di cui all’articolo 1317 c.c., secondo cui gli effetti favorevoli di un sentenza pronunciata nei confronti di uno o di alcuni dei diversi componenti
dell’obbligazione solidale o indivisibile si comunicano agli altri .
L’esclusione in base al titolo
Dalla rubrica dell’articolo 1117 c.c., “Parti comuni dell’edificio”, è evidente non solo il fatto che il
legislatore abbia inteso porre in primo piano i beni comuni ma anche il fatto che
il condominio negli edifici non è altro che un prodotto, cioè il risultato della comunione su deterPagina 15 di 101
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IL CONDOMINIO
minate parti di un edificio senza le quali (parti comuni) non esisterebbe nemmeno il concetto di
condominio.
Il medesimo articolo 1117 c.c. non si limita ad elencare le cose comuni di un edificio in condominio poiché contiene, nella prima parte, un’importantissima precisazione secondo la quale tutte le
parti ivi elencate debbano considerarsi comuni «se non risulta il contrario dal titolo».
La genericità del termine titolo non è un errore del legislatore ma risponde ad una precisa volontà
di rifarsi ad un più ampio concetto in cui accomunare tutti gli atti che possano contenere
l’esclusione di un bene dal novero delle parti comuni di un fabbricato.
Difatti, come si è precisato in dottrina: «Titolo può essere il documento (contratto) costitutivo del
condominio […] ma può essere pure il testamento quando il condominio è imposto o deriva da un
atto di ultima volontà; od anche l’atto di donazione. Titolo è quindi quell’atto giuridico capace di attribuire o trasferire il diritto di proprietà» .
Da quanto detto risulta che il regolamento di condominio non può essere annoverato tra i titoli
capaci di escludere un bene dalle parti comuni di un edificio. Difatti, dall’articolo 1138 c.c. si evince
che lo stesso regolamento contiene «le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle
spese nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione».
È evidente che il codice civile non attribuisce al regolamento la facoltà di escludere determinati
beni dal novero delle parti comuni di cui all’articolo 1117 c.c. È anche vero, però, che se alla formazione del regolamento di condominio partecipano tutti i condòmini esso diviene un contratto a
tutti gli effetti e ben può contenere una clausola di esclusione di un bene dalle parti comuni. È
questa l’ipotesi in cui il regolamento formato dall’originario costruttore e depositato agli atti del notaio, che contiene una clausola di esclusione, viene richiamato nel primo e nei successivi atti di
compravendita per formarne parte integrante e sostanziale. In questi casi è evidente che il regolamento è solo l’involucro, il documento, che riportato nel rogito notarile, assume valore contrattuale con la sottoscrizione delle parti .
Il titolo contrario non è l’unico strumento che può escludere un bene dalle parti comuni di un edificio in condominio; i beni in comune, per essere considerati tali, devono anche avere la destinazione all’uso (comune) tipica di tali beni.
La presunzione di comunione di cui all’articolo 1117 c.c. scatta, in altri termini, sia per le parti nominativamente indicate nell’articolo stesso, sia per quelle indicate solo in via generica, solo se
all’atto della nascita del condominio sussista la destinazione all’uso comune su cui si fonda la presunzione e se non sussista, a tale momento, un titolo contrario: occorre cioè tenere conto sia della
situazione di fatto (destinazione) sia di quella giuridica (titolo) esistente al momento in cui, per effetto della scissione in almeno due parti della proprietà dell’edificio, viene a nascere il condominio».
È importante sottolineare la definizione temporale dello stato di fatto di cui si parla poiché esso attiene al momento della formazione del condominio (al suo momento genetico quindi), e solo a
quello, restando ininfluenti i successivi sviluppi del fenomeno. Invero, gli atti successivi a tale primo frazionamento possono solo determinare mutamenti nella composizione del condominio (caso
comune è quello in cui l’originario proprietario venda ad altri ulteriori appartamenti e piani) ma non
influiscono affatto sulla sua formazione, cioè sulla sua nascita, che si verifica in occasione del primo frazionamento della proprietà dell’edificio Per cui quando un bene che dovrebbe ritenersi comune a tutti i condomini (ex articolo 1117 c.c.) per le sue caratteristiche strutturali è destinato
all’uso o al godimento solo di una parte dell’edificio, viene meno il presupposto per la contitolarità
necessaria.
Verificato lo stato di fatto in cui il bene si trova, se cioè sia effettivamente destinato ad un
uso (utilità) comune, si può passare all’analisi del titolo così come esige il richiamato articolo
1117: «è all’atto costitutivo del condominio, cioè alla prima vendita, che occorre fare riferimento
onde accertare se sussista o meno titolo contrario alla presunzione di cui all’articolo 1117 c.c.,
cioè se da tale atto emerga una chiara ed univoca volontà delle parti di riservare esclusivamente
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IL CONDOMINIO
ad uno dei condòmini la proprietà di beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente
destinati all’uso comune; parimenti, come si è detto, è a tale momento che si deve fare riferimento
per accertare se uno di tali beni risulti invece destinato all’uso specifico di un appartamento o piano.
Autore: il presente articolo è stato tratto dal volume edito da Edizioni Simone “IL NUOVO
CONDOMINIO” Manuale teorico-pratico – Con formulario e appendice normativa di Rodolfo
Cusano, 2015, Ed. XIII
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IL CONDOMINIO
Parti comuni del condominio: sono divisibili?
Quando
ricorrono
determinate
condizioni è possibile dividere gli
spazi
condominiali
(giardino,
terrazza, ecc.) tra più condomini che
ne acquistano, ciascuno per la
propria
quota,
la
proprietà
esclusiva.
La legge prevede il generale divieto di divisione delle parti comuni dell’edificio. Non
si tratta tuttavia di un divieto assoluto in
quanto la divisone è ammessa quando non rende più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino [1]. In ogni caso è necessario il consenso di tutti i condomini alla divisione.
La valutazione della possibilità concreta di dividere una parte comune senza renderne più scomodo l’uso è una verifica che va effettuata caso per caso ma può anche basarsi su comuni regole di
esperienza [2] .
Per esempio, si può facilmente immaginare che la divisione del giardino comune in parti uguali tra
tutti i condomini potrebbe procurare più vantaggi che incomodità ai singoli proprietari.
La divisione non è possibile quando rende più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino; la
giurisprudenza intende per “incomodità” la più difficile fruizione del bene comune o la riduzione
della sua utilità ricavabile in funzione della proprietà individuale.
Per esempio, è indivisibile un cortile condominiale se, dopo la divisione, è prevista l’installazione di
garage che potrebbero limitare la luce negli appartamenti vicini e provocare immissioni e rumori
molesti. Nel momento in cui la parte comune viene divisa, vengono meno ovviamente tutte le regole che disciplinano le parti comuni dell’edificio in tema di ripartizione di spese, manutenzione,
innovazione ecc. Con la divisone, ogni singolo condomino acquista la proprietà esclusiva della
propria parte del bene diviso. Il divieto legale di divisibilità vale soltanto per le parti comuni
dell’edificio ma i condomini possono estenderlo convenzionalmente anche ad altre cose di proprietà esclusiva.
La Corte di Cassazione [3] ha infatti ammesso la possibilità per i condomini di stipulare un patto
di indivisibilità con il quale individuare alcuni beni qualificandoli come parti comuni e disporne
appunto l’indivisibilità e inseparabilità, secondo il regime appena visto.
In base a tale patto non sono possibili cambiamenti di destinazione d’uso di alcune parti
dell’edificio, anche se di proprietà esclusiva di uno o alcuni, se prima non vi è il consenso di tutti i
condomini.
[1] Art. 1119 cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 4978/2012.
[3] Cass. sent. n. 6036/1995.
Autore: Maria Monteleone
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IL CONDOMINIO
LA GESTIONE DEI BENI COMUNI
Condominio: come assegnare i posti auto in cortile
Se l’assemblea non raggiunge la
maggioranza ogni condomino può
ricorrere al giudice per chiedere
l’assegnazione rotatoria degli spazi.
Nel caso in cui i posti auto presenti
nel cortile siano insufficienti a soddisfare
tutti i condomini, l’assemblea può disporne
l’assegnazione su rotazione, ma se non
viene raggiunta la maggioranza necessaria
per l’approvazione della delibera ciascun
proprietario può presentare un ricorso in tribunale affinché a deciderlo sia il giudice. È
quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].
È difficile che il cortile condominiale si presti ad essere diviso tra i condomini in quanto bene in
comunione e di difficile ripartizione (si pensi all’area che serve per accedere ad altre sezioni del
fabbricato). Sicché, dopo aver nominato un consulente tecnico (CTU), il giudice può assegnare
salomonicamente a ciascun condomino un posto auto all’interno del cortile condominiale; se poi
detto spazio è insufficiente a ospitare, contemporaneamente, le automobili di tutti il magistrato può
anche stabilire dei criteri di rotazione tra gli stessi. Difatti, l’uso turnario della cosa comune,
quando troppo stretta per ospitare tutti i proprietari, non ne snatura la funzione.
In sintesi, quando non c’è accordo sull’utilizzo del bene comune, la parte più diligente può chiedere l’intervento del giudice, che viene chiamato a decidere sull’utilizzo del bene (il cortile, nella fattispecie). Se la decisione prevede la divisione del bene in due o più parti uguali che vengono assegnate in uso ai due contendenti, nessuno può avere nulla da ridire. Diversamente, se il bene è
troppo piccolo per accontentare tutti, il tribunale può stabilire un’assegnazione rotatoria.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 settembre – 12 novembre 2015, n. 23118
Presidente Mazzacane – Relatore Lombardo
Ritenuto in fatto
1. – F.E. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Chiavari, il fratello F.M. , chiedendo procedersi allo scioglimento della comunione esistente sul cortile adiacente al fabbricato di loro proprietà ovvero in subordine – ove la divisione non fosse stata possibile – chiedendo l’individuazione e
l’assegnazione, all’interno dell’area comune, dei posti-auto di pertinenza di ciascuna della parti;
chiese ancora lo scioglimento della comunione relativa al vano sottotetto, con attribuzione a ciascuno
dei
fratelli
della
rispettiva
parte.
Il convenuto, costituitosi, resistette alle domande attrici, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale adito respinse la domanda di divisione del cortile adiacente al fabbricato, ritenendone
la indivisibilità, ma – sulla base della esperita C.T.U. – individuò i posti-auto in esso ricavabili e li
ripartì assegnandoli a ciascuna delle parti; dispose poi la divisione del vano sottotetto, assegnando a ciascuna delle parti le due porzioni individuate dal consulente tecnico, con facoltà di ciascun
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IL CONDOMINIO
condividente
di
erigere
una
parete
divisoria.
2. – Sul gravame proposto da F.M. , la Corte di Appello di Genova, con sentenza dell’1.9.2010,
confermò
la
sentenza
di
primo
grado.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre F.M. sulla base di tre motivi.
Resiste
con
controricorso
F.E.
.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Considerato in diritto
1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 cod.
civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata; si deduce, in particolare, che i giudici
di merito, assegnando individualmente ai comproprietari i posti-auto nel cortile comune, avrebbero
creato un “nuovo” diritto reale, in violazione del principio di tipicità degli stessi, e avrebbero impedito a ciascun condomino l’uso della cosa comune in tutta la sua estensione.
La
censura
non
è
fondata.
E invero, l’assegnazione dei posti-auto nel cortile comune costituisce manifestazione del potere di
regolamentazione dell’uso della cosa comune, consentito all’assemblea del condominio (Sez. 2,
Sentenza n. 12485 del 19/07/2012, Rv. 623462); né tale regolamentazione con relativa assegnazione di singoli posti-auto ai vari condomini determina la divisione del bene comune o la nascita di
una nuova figura di diritto reale, limitandosi solo a renderne più ordinato e razionale l’uso paritario
della cosa comune (Sez. 2, Sentenza n. 6573 del 31/03/2015, Rv. 634794).
È evidente, poi, che in mancanza di accordo tra i condomini o di delibera assembleare (o addirittura – come nella specie – ove l’assemblea non sia stata neppure costituita), la regolamentazione
dell’uso della cosa comune ben può essere richiesta al giudice e da lui disposta (cfr. Sez. 2, Ordinanza
n.
3937
del
18/02/2008,
Rv.
602018).
2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e
2909 cod. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto passata in giudicato la statuizione della sentenza di primo grado relativa alla individuazione dei posti-auto. Secondo il ricorrente, il gravame
proposto relativamente all’assegnazione dei posti-auto avrebbe implicato anche la censura circa la
individuazione dei posti-auto compiuta dal giudice sulla base della esperita C.T.U.
Anche
questa
censura
è
infondata.
Esattamente la Corte territoriale ha ritenuto che con l’atto di gravame non fosse stata censurata la
individuazione dei posti-auto, ma solo la loro assegnazione individuale; ciò perché nell’atto di appello si è chiesto dichiararsi il diritto di entrambe le parti di parcare la propria autovettura nei postiauto individuati dal C.T.U. e non si è contestata la individuazione delle aree ove i posti-auto erano
stati
previsti.
3. – Col terzo motivo di ricorso, si deduce infine la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e
1119 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata; si deduce, in particolare,
che la realizzazione della parete divisoria nel locale sottotetto dell’edificio – del quale i giudici di
merito hanno disposto la divisione tra le parti – impedirebbe al ricorrente di raggiungere il tetto o le
altre parti comuni per effettuare le riparazioni. Si deduce ancora che l’onere di ciascuno dei comproprietari di consentire all’altro di accedere alla propria parte del sottotetto per eseguire le riparazioni delle parti comuni dell’edificio avrebbe creato un “nuovo” diritto reale, inesistente e atipico.
Anche
questa
doglianza
non
può
trovare
accoglimento.
Premesso che la statuizione della sentenza di primo grado che ha disposto la divisione del sottotetto non è stata appellata ed è passata in giudicato, i ricorrenti contestano la facoltà riconosciuta
alle parti di costruire una parete divisoria a protezione delle rispettive proprietà, per il fatto che tali
pareti impedirebbero a ciascuno dei condividenti di accedere al tetto e alle altri parti comuni.
E tuttavia, la Corte di Appello ha statuito che detta impossibilità di accesso non sussiste, in quanto
ciascun condomino ha l’obbligo di consentire all’altro l’accesso alle parti comuni per eseguire le
necessarie
riparazioni.
Tale onere di consentire al vicino il transito nella propria parte del sottotetto per accedere alle parti
comuni, al fine di eseguire le necessarie riparazioni, non costituisce alcun nuovo diritto reale, né
rappresenta un onere atipico posto a carico delle parti dai giudici di merito, ma discende direttaPagina 20 di 101
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IL CONDOMINIO
mente dall’applicazione dell’art. 843, primo comma, cod. civ., a tenore del quale “Il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera proprietà del vicino oppure comune”.
4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento
delle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00 (tremiladuecento), di cui Euro 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
[1] Cass. sent. n. 23118/15 del 12.11.2015.
Autore: Maria Monteleone
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LE INNOVAZIONI
Lavori in condominio: innovazioni consentite e vietate
Per stabilire se i lavori effettuati
sulle parti comuni dell’edificio o
l’installazione di impianti siano
legittimi occorre prima capire se si
tratta di innovazioni o di semplici
modifiche e poi se rientrano tra le
innovazioni consentite dalla legge.
Il condominio può deliberare, a determinate condizioni, lavori di innovazione, cioè
interventi di trasformazione che si distinguono dalle semplici modificazioni in quanto alterano la parte comune dell’edificio, mutandone la funzione e destinazione.
Per “innovazione” si intende infatti un’attività volta ad incidere sulla consistenza materiale del
bene o sulla sua utilità, mutandone l’entità o la destinazione originaria [1].
Per esempio costituisce semplice modifica l’assegnazione nominativa di posti auto nel parcheggio
condominiale già esistente; costituisce, invece, innovazione la trasformazione in parcheggio (per
esempio con opere di pavimentazione) di un’area condominiale prima destinata a giardino comune.
La legge [2] autorizza le innovazioni quando sono dirette al miglioramento o all’uso più comodo oppure al maggiore rendimento delle cose comuni.
Quali maggioranze per deliberare?
Affinché l’assemblea possa deliberare le innovazioni è necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno 2/3 del valore dell’edificio.
Un diversa maggioranza è richiesta per alcuni tipi di innovazioni, espressamente indicati dalla legge, per i quali occorre un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno
la metà del valore dell’edificio. Si tratta di opere e interventi per:
– migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
– eliminare barriere architettoniche;
– contenere il consumo energetico degli edifici;
– realizzare parcheggi destinati ai condomini;
– produrre energia mediante utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque
rinnovabili;
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IL CONDOMINIO
– installare impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro
genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione delle singole utenze (fanno eccezione gli impianti che non comportano modifiche in grado di
alterare la destinazione della cosa comune e di impedire ad altri condomini di farne uso secondo il
loro diritto).
Innovazioni vietate
La legge vieta però tutte le innovazioni che:
– possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza dell’edificio;
– alterano il decoro architettonico;
– rendono alcune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Vediamo a titolo esemplificativo alcuni casi di innovazioni che la giurisprudenza ha ritenuto illegittime in quanto contrarie al divieto previsto dalla legge:
– innovazione effettuata in violazione di norme antisismiche: in questo caso i condomini hanno
diritto ad ottenere la rimessione in pristino [3];
– innovazione che altera l’aspetto armonico dell’edificio a prescindere dal pregio estetico, come
per esempio l’installazione di una canna fumaria che percorre tutta la facciata condominiale [4];
– sopraelevazione che non rispetta lo stile del fabbricato e si pone in disarmonia con la costruzione preesistente [5];
– innovazione che spezza il disegno armonico della facciata, ad esempio trasformazione in veranda dell’unico balcone esistente sul piano ammezzato che spezza il disegno di balconi sulla facciata di un edificio ottocentesco ed è realizzata di un colore troppo diverso e contrastante con quello
della facciata stessa [6];
– innovazione che costituisce un uso illegittimo della parte comune provocandone l’inservibilità
per altri condomini: per esempio, intervento di comunicazione tra due appartamenti dello stesso
condomino tramite apertura di un varco nel muro, costituendo una servitù di passaggio gravante
sull’intero condominio [7].
[1] Cass. sent. n. 12654/2006.
[2] Art. 1120 cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 4958/1981.
[4] Cass. sent. n. 10350/2009.
[5] Cass. sent. n. 10048/2013.
[6] Cass. sent. n. 14445/2009.
[7] Cass. sent. n. 21395/2013.
Autore: Maria Monteleone
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IL CONDOMINIO
Innovazioni in condominio: cosa sono e che prevede la legge
Lavori
di
ristrutturazione
e
innovazione,
parcheggi,
barriere
architettoniche,
risparmio
energetico, maggioranze, decoro
architettonico, innovazioni gravose
e voluttuarie.
Le innovazioni sono quelle modifiche alle
cose
comuni
che
determinano
un’alterazione dell’edificio o a parti di esso
(e quindi una diversa consistenza) o il mutamento della destinazione originaria (e quindi implicano una diversa utilizzazione rispetto alla
precedente).
Entro che limiti sono possibili le innovazioni?
Il codice civile [1] lascia liberi i condomini di apportare tutte le innovazioni dirette al miglior godimento, o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.
Quale maggioranza è necessaria per approvare le innovazioni?
Le delibere dell’assemblea che hanno per oggetto le innovazioni devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e
i due terzi del valore dell’edificio [2].
Tuttavia il codice prevede alcune ipotesi con maggioranze più semplici. Infatti, con un numero di
voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio,
i condomini possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad
oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché per la produzione
di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche
in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne
uso secondo il loro diritto.
L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un
solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui sopra. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti.
Un singolo condomino può, a proprie spese, apportare innovazioni?
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IL CONDOMINIO
Certamente: poiché il codice stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a
condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale
uso secondo il loro diritto, è consentito a tutti i proprietari di appartamenti dell’edificio di apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune [3].
Non costituisce innovazione la ristrutturazione dell’impianto fognario (in quanto necessaria alla
conservazione ed al godimento della cosa comune [4]), né la sostituzione di ascensori usurati e
non più agibili, con ascensori nuovi anche se di tipo e marca diversi.
Quali sono le innovazioni vietate?
Sono vietate le innovazioni che:
– possono recare pregiudizio alla stabilità o sicurezza del fabbricato,
– che ne alterino il decoro architettonico (ossia che intacchino, in modo visibile e significativo, la
particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica
identità);
– o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o anche il godimento di un solo
condomino [5] (cioè che producano una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene).
Per esempio è illegittima la delibera condominiale che, nel restringere il viale di accesso ai garage,
rende disagevole il transito delle autovetture [6].
Invece non è innovazione vietata la decisione di adibire il cortile comune – di ampiezza insufficiente a garantire il parcheggio delle autovetture condominiali – a parcheggio dei motoveicoli, con individuazione degli spazi, delimitazione ed assegnazione degli stessi ai singoli condomini. Infatti, in
tale caso non c’è una trasformazione della originaria destinazione del bene comune, o
l’inservibilità di talune parti dell’edificio all’uso o al godimento anche di un singolo condomino [7].
Non dà luogo altresì ad una innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ. la delibera assembleare di
destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale quando non vi è alcun apprezzabile
deterioramento del decoro architettonico, né alcuna significativa menomazione del godimento e
dell’uso del bene comune, ed anzi, da essa derivando una valorizzazione economica di ciascuna
unità abitativa e una maggiore utilità per i condomini [8].
Cos’è il decoro architettonico?
Per decoro architettonico si intende l’estetica dell’edificio, costituita dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edifici di particolare pregio artistico.
Ogni edificio ha il suo decoro architettonico, anche quei fabbricati costituiti da una linea armonica,
sia pure estremamente semplice.
Secondo la Cassazione [9] non c’è lesione del decoro architettonico quando l’edificio per le caratteristiche costruttive ovvero per il degrado sia privo di una fisionomia che gli conferisca una
propria specifica identità.
Quando c’è lesione del decoro architettonico?
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IL CONDOMINIO
Se le innovazioni comportano lesione del decoro architettonico, esse possono essere approvate
solo se vi sia il consenso dell’unanimità di tutti i condomini, e fermo il rispetto dei vincoli urbanistici predisposti dal Comune.
La giurisprudenza ha individuato una serie di ipotesi (che, ovviamente, non sono esaustive). Per
esempio, si considera illegittima, perché lesiva del decoro architettonico:
– la costruzione realizzata dal condomino in aderenza alla facciata del fabbricato, caratterizzato
dall’esistenza a piano terra di un porticato con grossi archi, risultato inglobato dal manufatto [10];
– oppure l’utilizzo di una parete esterna dell’edificio a sostegno di un cartellone pubblicitario che
copra la superficie disponibile nel caso in cui tale destinazione rechi pregiudizio al decoro dello
stabile, inteso non solo in termini di piacevolezza ed armonia dell’aspetto architettonico
dell’edificio condominiale ma anche di rispettabilità e dignità dello stesso: tale tipo di intervento
viene considerato una innovazione e, per essere autorizzato, necessita del consenso di tutti i condomini. Se una clausola di regolamento contrattuale vieta variazioni all’aspetto esterno
dell’immobile, la delibera condominiale può vietare a un condomino l’installazione sul balcone di
sua proprietà esclusiva di una zanzariera che, per le sue caratteristiche (nel caso, formata da telaio in alluminio installato lungo il perimetro esterno del balcone dell’appartamento) risulti immediatamente visibile dall’esterno, e lesiva del decoro architettonico dell’edificio [11].
Quali sono le innovazioni gravose e voluttuarie?
Quando l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle
particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da
qualsiasi contributo nella spesa [12].
Costituisce innovazione voluttuaria qualsiasi intervento di grave entità economica effettuato per
un motivo puramente estetico: ad esempio, la sostituzione di un impianto ascensore perfettamente
funzionante con un altro più moderno, oppure il rifacimento delle scale con marmi, il rifacimento
dell’androne per renderlo più elegante su richiesta di alcuni condomini.
Il condomino può opporsi e non partecipare alle spese per una innovazione gravosa o voluttuaria; in tal caso, però, deve manifestare il suo dissenso in assemblea o con la tempestiva impugnazione della deliberazione.
In caso di dissenso di alcuni condomini all’approvazione della innovazione gravosa o voluttuaria, si applica la seguente disciplina:
– se l’innovazione non può essere suscettibile di utilizzo separato (per esempio, un nuovo
modello di ascensore), l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini
che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. In tal caso, potranno
utilizzare e avvantaggiarsi dell’innovazione tutti i condomini, anche quelli che non hanno partecipato alla spesa;
– se invece l’innovazione è suscettibile di utilizzazione separata (ad esempio, impianto riscaldamento centrale), essa è sempre consentita a spese di chi l’ha votata ed essa rimarrà in proprietà
dei soli condomini che l’hanno deliberata e sopportato le relativa spesa.
Qual è la maggioranza per l’eliminazione delle barriere architettoniche?
Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l’installazione di
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IL CONDOMINIO
dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono
approvate dall’assemblea di condominio, in prima, o in seconda convocazione, con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Nel caso in cui il condominio rifiuti di
assumere tale delibere o non l’assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, i portatori di
handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare a proprie spese, servoscale, nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle
porte di accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori, alle rampe o
alle autorimesse [13]. E ciò sempre che non arrechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio
inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Qualora tale innovazione importi una spesa molto elevata, i condomini che non intendono trarne
vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa, pur potendo utilizzare poi
l’innovazione che non sia suscettibile di godimento separato.
Qual è la maggioranza per la costruzione di parcheggi?
Le delibere volte alla costruzione di parcheggi sono approvate dall’assemblea del condominio, in
prima o in seconda convocazione con la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che
rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.
Qual è la maggioranza per l’installazione di impianti televisivi satellitari?
Le delibere relative all’installazione di impianti televisivi satellitari sono considerate innovazioni necessarie: pertanto devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio.
Qual è la maggioranza per approvare opere di risparmio energetico?
Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico e
all’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili, è sufficiente la maggioranza degli intervenuti con
un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio a condizione che gli interventi siano individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato.
Qual è la maggioranza sulla termoregolazione e contabilizzazione del calore? Le innovazioni
relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, necessitano della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo
del valore dell’edificio.
[1] Art. 1120 cod. civ.
[2] Ai sensi dell’art. 1136 comma 5 cod. civ. (art. 1120 cod. civ.).
[3] Cass. sent. n. 24006/2004.
[4] Cass. sent. n. 16639/2007.
[5] Art. 1120 comma 4 cod. civ.
[6] Cass. sent. n. 20639/2005.
[7] Cass. sent. n. 5997/2008.
[8] Cass. sent. n. 14319/2011.
[9] Cass. sent. n. 7762/2010.
[10] Cass. sent. n. 27551/2005.
[11] Cass. sent. n. 8883/2005.
[12] Art. 1121 cod. civ.
[13] Art. 2 legge, n. 13/1989.
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IL CONDOMINIO
RAPPORTI TRA CONDOMINI
Vicini rumorosi in condominio: difesa
Rumori molesti ed intollerabili, la
prova delle immissioni rumorose: la
perizia fonometrica. Risarcimento del
danno alla salute (danno biologico) e
del danno esistenziale (danno morale).
Nella speciale classifica dei rompitori di scatole, i vicini rumorosi seguono, con poco distacco, le suocere. Ebbene se per la madre
di nostra moglie, la legge non ha ancora individuato uno strumento adeguato di tutela, per i vicini rumorosi, invece, esiste una norma ad
hoc, cioè appositamente invocabile.
Il codice civile, infatti, vieta le immissioni rumorose [1]. Tra queste, sono sicuramente annoverabili quelle determinate dai rumori molesti provocati dei nostri amatissimi abitanti limitrofi.
Con questo articolo, quindi, cercherà d’informare il povero cittadino, disturbato nella propria quiete, sulle modalità di reazione al vicino fastidioso. Per quanto riguarda le suocere, invece, vi rimando ad un eventuale colloquio privato.
La figlia della signora che abita di sotto, ha lo stereo a tutto volume per tutta la giornata o
quasi: come devo fare?
Questa domanda è molto frequente, in quanto descrive un fenomeno assai diffuso. Poiché non
sempre le maledizioni inviate sortiscono l’effetto sperato, bisogna agire formalmente.
In primo luogo, se vivete in un condominio, consiglio di rivolgervi all’amministratore. Questi, se
ligio al suo compito, non vi risponderà che è un problema vostro, ma contatterà l’interessata, visto
che il frastuono, probabilmente, investe tutto il fabbricato.
Se il richiamo dell’amministratore non produce alcunché, allora rivolgetevi ad un legale e, per il
tramite dello stesso, inviate una lettera formale alla disturbatrice, intimandole l’immediata interruPagina 28 di 101
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IL CONDOMINIO
zione del fastidio e prospettando la possibilità concreta di agire giudizialmente, anche per il risarcimento del danno.
Se neanche questo rimedio ha buon esito, oltre ad invocare i defunti parenti del disturbatore di
turno, non vi resta che avviare una causa.
Come faccio a fare causa al mio vicino rumoroso? Che cos’è la perizia fonometrica?
In primo luogo, dovete sempre ricordare che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Voglio dire che
per fare causa ad un vicino rumoroso, non è sufficiente la propria parola. Dovete anche dimostrare
ciò che avviene, altrimenti il giudice non vi darà ragione. Neanche i testimoni possono essere
sufficienti in tal senso: è necessaria una perizia fonometrica.
Non allarmatevi, non è una parolaccia. Attraverso la perizia fonometrica, redatta da un tecnico
specializzato ( potete trovarli anche su internet oppure potete invocare l’intervento dell’ARPA nei
casi più gravi), potrete dimostrare che il livello del rumore provocato dal vicino, supera la normale
tollerabilità (normalmente circa 3,5 decibel). Questo limite è ovviamente modificabile: se vivete,
infatti, in un centro abitato, zeppo di traffico e frastuono proveniente dai fabbricati adiacenti (ad
esempio, in corso di ristrutturazione) non potete certo lamentarvi se a questi forti rumori si aggiunge quello della lavatrice del vicino. Il giudice, quindi, deve valutare anche la situazione ambientale
in cui vivete, stabilendo se o meno, è stata superata la normale tollerabilità nel vostro caso, tenendo conto anche dell’orario in cui il vicino vi disturba (di notte, il problema è molto più evidenziabile).
Ebbene se la perizia fonometrica vi da ragione e vivete, ad esempio, in un tranquillo condominio,
non vi resta che affidare l’incarico al vostro legale di fiducia.
Questi preparerà un atto di citazione a comparire nei riguardi del soggetto responsabile (non sempre è il proprietario dell’immobile. Si pensi al caso dell’inquilino rumoroso).
Posso chiedere il risarcimento del danno al vicino rumoroso ?
Ebbene, si. L’azione rivolta contro le molestie da rumori, conduce, anche e volendo, al risarcimento del danno.
In questo caso ad essere violato è il vostro diritto alla salute (le famose scatole…) ed avete diritto
all’equa riparazione ai sensi del codice civile [2].
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IL CONDOMINIO
In sostanza non solo potete ottenere una sentenza dal giudice con la quale questi ordina al vicino
d’interrompere, ora e per sempre, i rumori molesti, ma anche e contestualmente, una pronuncia in
cui riconosce a vostro favore il risarcimento del danno.
Spesso, però, il pregiudizio subito, non consiste in un vero e proprio danno alla salute, ma in un
sostanziale peggioramento delle nostre abitudini di vita o delle normali attività quotidiane compiute
(ad esempio, il classico caso del disturbo del riposo notturno).
Molti, allora, si domanderanno se è possibile ottenere il risarcimento anche in tal caso. Ad esempio un Signore, disturbato dai costanti schiamazzi notturni dei vicini, era andato dall’urologo per
farsi certificare il danno alle scatole, ma il medico aveva trovato tutto in ordine: che si può fare, allora?
Vi rispondo di seguito.
Posso chiedere il risarcimento del danno esistenziale al vicino rumoroso?
Altroché. Lo conferma, proprio in una recente decisione giurisprudenziale, la Suprema Corte di
Cassazione [3].
Questa ha precisato che la lesione al diritto al normale svolgimento della propria vita, determinato
dalle immissioni rumorose, è sicuramente apprezzabile e va risarcita.
La vivibilità della nostra vita è un diritto costituzionalmente garantito (inviolabilità del domicilio
e tutela della famiglia) e pertanto se turbata dalla intollerabili emissioni rumorose dei vostri vicini, va adeguatamente risarcita.
Si tratta di un danno, sostanzialmente morale, da quantificare, in via equitativa, dal giudice invocato.
[1] Art. 844 cod. civ.
[2] Art. 2043 cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 20927/2015.
Autore: Marco Borriello
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IL CONDOMINIO
Rumori del vicino di condominio: come farlo smettere
Normale tollerabilità: quando le
pareti sono correttamente isolate è
necessario avviare la causa in
tribunale se neanche la diffida
legale
o
la
richiesta
bonaria
dell’amministratore
sortiscono
effetti.
Quanto nell’appartamento si sentono troppi rumori, le cause possono essere solo
due: o il vicino è maleducato, oppure le pareri dell’edificio non sono ben isolate. Riguardo a quest’ultima causa, la normativa sull’isolamento
acustico [1] stabilisce alcuni parametri per definire il limite sotto il quale la parete si può dire non
a regola: 50 dB (decibel) per le pareti che separano i diversi appartamenti tra loro (i muri, cioè,
orizzontali); 64 dB per i pavimenti che separano, in senso verticale, gli appartamenti; 40 dB per
l’isolamento della facciata dell’edificio rispetto ai rumori esterni della strada; 35 dB per
gli impianti idrosanitari e gli scarichi degli appartamenti vicini, ascensori e autoclavi.
Se sentite ogni singola parola del vostro vicino, quando questi parla con tono pacato, è chiaro che
il problema è uno scarso isolamento acustico e, in tale ipotesi, la causa andrà effettuata al costruttore se non sono passati 10 anni dall’ultimazione dell’immobile. Un isolamento corretto dovrebbe
consentire di non sentire nulla del vociare dei vicini. Sempre che questi, come detto, rispettino i
crismi dell’educazione.
Rumori che superano la normale tollerabilità
Quando invece i rumori derivano da oggetti strisciati sul pavimento, da impianti non correttamente
funzionanti (si pensi al condizionatore o allo scaldabagno), dallo stereo o dalla tv ad alto volume, o
infine dagli schiamazzi notturni (feste, ecc.), allora non entrano più in gioco i decibel ma un concetto più vago: la normale tollerabilità. Se la soglia dei rumori, infatti, viene ritenuta “intollerabile”, allora la causa può essere fatta contro il vicino rumoroso. Si tratta di un’azione civile volta a ottenere il risarcimento del danno. Scatta invece il reato di disturbo della quiete delle persone se, ad essere disturbato, non è solo il singolo vicino o il dirimpettaio, ma un numero indeterminabile di persone (si pensi alla molestia arrecata a tutto il quartiere da un altoparlante, installato
dal bar, che diffonda musica). Se l’azione civile si inizia con un atto di citazione notificato
dall’avvocato, quella penale richiede invece una semplice denuncia sporta da uno dei soggetti
danneggiati alla più vicina stazione dei Carabinieri o depositata presso la Procura della Repubblica.
Sia l’azione civile che quella penale presuppongono, comunque, che il rumore abbia superato
la normale tollerabilità: la valutazione può essere fatta dal giudice. Ma come fa il magistrato a
valutare qualcosa che, ovviamente, è difficile che si verifichi in corso di causa? Potrà ricorrere
ai testimoni. Di questo ci occuperemo tra breve.
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IL CONDOMINIO
Come far smettere i rumori senza causa
Per far cessare i rumori del vicino potrebbe essere, a volte, sufficiente la semplice diffida
dell’avvocato. Inutile coinvolgere l’amministratore di condominio, poiché questi non è deputato
alle liti tra condomini, salvo che sia stato violato il regolamento condominiale. L’amministratore,
tuttavia, potrebbe intervenire in via “ufficiosa”, al di là dei propri poteri, svolgendo un ruolo da paciere e tentando di porre rimedio al litigio.
Inutile anche segnalare l’accaduto al sindaco. Come detto, i Carabinieri intervengono solo quando vi siano gli estremi del reato, ossia quando il disturbo è tale da arrecare pregiudizio non a pochi
appartamenti.
La causa in tribunale per far smettere i rumori del vicino
Se neanche la lettera dell’avvocato dovesse sortire effetti, l’unica soluzione resta la causa civile.
Eventualmente si può valutare anche un ricorso in via d’urgenza che, sebbene non consenta di
ottenere il risarcimento del danno (come invece la causa ordinaria) garantisce quantomeno tempi
più celeri. In tal caso, comunque, una volta ottenuta l’ordinanza con l’ordine di cessazione dei rumori, si potrebbe sempre ricorrere, in un momento successivo, al giudizio per il risarcimento del
danno.
La prova dei rumori del vicino
Come si diceva prima, uno dei problemi che potrebbe sorgere in corso di causa è dimostrare che il
vicino è stato rumoroso. Di certo una perizia potrebbe fare poco: il consulente dovrebbe piazzarsi
giorno e notte nella casa del danneggiato e attendere che il vicino sia così sciocco, a causa ormai
iniziata, dal ripetere le condotte illecite.
Così il giudice può servirsi dei testimoni. In questa cornice, ci si può servire di chiunque: parenti,
amici che sono stati ospiti, persino il coniuge. Se l’amministratore ha avuto personale contezza
dei rumori potrebbe testimoniare (ma è difficile che lo farà, preferendo sempre assumere un comportamento neutrale ed estraneo alle liti personali).
A riguardo, la Cassazione ha chiarito, con una recente sentenza [2], che il superamento della normale tollerabilità dei rumori provenienti da un appartamento può essere testimoniato anche
dagli altri condomini, senza necessità di nominare un consulente tecnico d’ufficio. La deposizione, peraltro, non è invalidata dal fatto che i testi abbiano presentato un esposto in Questura in relazione allo stesso problema. Infatti, l’unica cosa che rileva, al fine di escludere un’incompatibilità
a testimoniare (circostanza che scatta quando il teste ha un interesse diretto alla causa), è che le
loro abitazioni siano poste in una posizione diversa da quello in cui vive chi lamenta il fastidio.
La Cassazione, nel confermare le pronunce di merito, ha stabilito che l’entità dei rumori e il superamento del limite della normale tollerabilità può essere “oggetto di deposizione testimoniale”,
spettando poi al giudice valutare l’attendibilità e la congruità delle dichiarazioni rese. Quanto poi
alla presunta incapacità a testimoniare il collegio di legittimità ha chiarito che l’interesse che può
determinare l’esclusione dalla lista testi sussiste solo nel caso in cui gli appartamenti abitati da chi
depone si trovino nella medesima posizione di quello dell’attrice, così come irrilevante deve ritenersi la presentazione dell’esposto in Questura.
Quanto chiedere per il risarcimento del danno?
Secondo la sentenza della Cassazione richiamata sopra, il danno si presume sempre esistente:
non c’è quindi bisogno di dimostrare di aver passato notti insonni, di aver subito stress e di non
aver potuto lavorare con pienezza di energie. Né è necessario procurarsi certificati medici. QualoPagina 32 di 101
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IL CONDOMINIO
ra vengano accertati i rumori superiori alla normale tollerabilità l’esistenza del danno si presume
sempre. In tal caso il giudice quantificherà la somma secondo quanto più giusto gli apparirà nel
caso concreto (è la cosiddetta valutazione in via equitativa).
È chiaro, però, che se il condomino ha subito un ulteriore danno (si pensi al soggetto che soffre di
fibrillazioni o al malato sottoposto a cure salvavita che non ha potuto riposare peggiorando il proprio quadro clinico), e tale danno è documentabile, potrà chiedere un risarcimento aggiuntivo.
[1] DPCM n. 5/12/1997.
[2] Cass. sent. n. 2864/16.
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IL CONDOMINIO
LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE
Come si ripartiscono le spese in condominio
Millesimi, ripartizione delle spese
tra condomini, maggioranze, scale,
ascensore, lastrico solare, servizi
per conservazione e godimento
delle parti comuni, per servizi
comuni e per innovazioni.
Come si ripartiscono le spese del condominio tra i vari condomini? Esistono tre diversi
tipi di criteri da applicare in relazione al tipo
di spesa e, soprattutto, al servizio che ha
determinato detta spesa. Vediamoli singolarmente.
RIPARTIZIONE PER MILLESIMI
La regola generale per la ripartizione delle spese in condominio è quella della divisione secondo
“millesimi”, ossia in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno condòmino. Questo, almeno, per quanto riguarda le spese necessarie per la conservazione e per
il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e
per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. A stabilirlo è una norma inderogabile del codice
civile [1]: o meglio, derogabile, ma solo con il consenso preso all’unanimità dell’assemblea o da
un regolamento di condominio di tipo “contrattuale” (ossia approvato da tutti i condomini, di norma con il rogito notarile di acquisto dell’appartamento).
RIPARTIZIONE IN BASE AL MAGGIOR USO
Accanto a questo criterio di determinazione delle singole quote per la partecipazione alle spese
condominiali, vi è anche quello di ripartizione in base all’uso. Ciò, però, vale solo per quelle
spese inerenti a parti comuni dell’edificio che servono i condomini in misura diversa (si pensi
all’ascensore, il cui uso viene di norma fatto in maggior misura dai proprietari degli ultimi piani). In
tal caso le relative spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne. Non si
tratta dell’uso “effettivo”, ma “potenziale”, e quindi predeterminato, anche in questo caso, in base a
criteri astratti e presuntivi, dai quali non ci si può sottrarre. Per esempio, è innegabile che il proprietario di un appartamento all’ultimo piano usi l’ascensore più volte rispetto al proprietario
dell’appartamento posto al primo piano, ma anche se dovesse essere uno sportivo e preferire fare
sempre le scale a piedi, sarebbe comunque tenuto a corrispondere le spese per la conservazione
e la manutenzione anche dell’ascensore.
RIPARTIZIONE IN BASE ALL’USO ESCLUSIVO
Un ultimo criterio di determinazione delle spese è per servizi suscettibili di utilizzazione separata,
ossia di cui usufruiscono in via esclusiva solo alcuni condomini e non gli altri (si pensi a un edificio
con più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato): in tal caso l’amministratore di condominio deve ripartire le bollette unicamente tra i condomini traggono utilità da tale servizio. È il caso del cosiddetto “condominio parziale”.
SCALE E ASCENSORI
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IL CONDOMINIO
Nell’ipotesi di spese inerenti a scale e ascensori esse sono ripartite a carico dei soli proprietari
delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del
valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale
all’altezza di ciascun piano dal suolo.
RIPARAZIONE O RICOSTRUZIONE DEL LASTRICO SOLARE
Nel caso di lastrico solare a uso esclusivo (ossia quando il diritto d’uso spetti solo ad un condomino o ad alcuni di essi) le spese vanno ripartire per un terzo a carico di coloro che ne hanno
l’uso esclusivo e per i restanti due terzi a carico di tutti i condomini.
Nel caso invece di lastrico in comune a tutti i condomini, si applicano i normali millesimi.
ONERI GRAVOSI E VOLUTTUARI
Le spese non necessarie come le innovazioni meramente voluttuarie o eccessivamente gravose vanno ripartite tra i condomini che abbiano deciso di sostenerle, essendone esonerati quelli
che non intendono trarne vantaggio.
Sono voluttuarie quelle spese che non hanno una utilità rispetto alle condizioni obbiettive
dell’edificio condominiale e che, quindi, non producono un effettivo vantaggio ai condomini nel godimento dei beni comuni oggetto d’innovazione (si pensi a un fregio estetico o una statua
nell’androne).
Sono gravose invece quelle innovazioni la cui esecuzione comporti una notevole spesa
(l’installazione di un ascensore è gravosa per i condomini del piano terra che ne fanno un uso limitato).
Nel caso di spese gravose o voluttuarie si può decidere per due diverse strade:
– se si tratta di innovazioni suscettibili di utilizzazione separata, i condomini favorevoli potranno
realizzarla a loro spese e goderne in modo esclusivo;
– se non è possibile l’utilizzazione separata, i favorevoli potranno comunque realizzarla a proprie spese, ma l’innovazione potrà essere utilizzata da tutti, anche dai dissenzienti. In questo caso, però, i condomini dissenzienti non avranno alcun diritto o obbligo sull’opera (per esempio non
potranno votare nell’assemblea per decisioni relative a tali beni), né dovranno sostenere i relativi
costi di esercizio e di gestione.
Il fatto però che non abbiano partecipato alla spesa iniziale non implica un divieto per i condomini
dissenzienti dall’utilizzo di tali opere: anche i condomini dissenzienti (e i loro eredi o aventi causa)
possono in qualunque momento esercitare il diritto di avvantaggiarsi dell’innovazione inizialmente
rifiutata; a tal fine dovranno però contribuire alle spese dell’opera che la maggioranza dei condomini ha già sopportato.
[1] Art. 1123 cod. civ.
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IL CONDOMINIO
Condominio: sottrarsi alle spese per innovazioni e modifiche
Nuove
opere
in
condominio,
innovazioni e modifiche, sottrazione
alle spese da parte del singolo
condomino,
presupposti
e
condizioni, spese voluttuarie o
particolarmente gravose.
In materia di condominio degli edifici, al
singolo condomino è consentito evitare di
partecipare, per la quota che gli compete,
alle
spese
per
le innovazioni e
per modifiche di parti comuni [1], ma ciò è possibile solo a condizione che:
– si tratti di spese che riguardino impianti suscettibili di utilizzazione separata
– e che dette spese abbiano o natura voluttuaria (cioè siano prive di utilità) oppure risultino molto
gravose, con riferimento oggettivo delle condizioni e all’importanza dell’edificio.
Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [2].
La valutazione di tale voluttarietà o gravosità è rimessa al giudice: la legge non detta, infatti, criteri
oggettivi per tale valutazione.
In particolare – ha precisato la Corte – con riferimento alle scale, poiché sono elementi strutturali
necessari all’edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto
e al terrazzo di copertura, esse rientrano tra le parti comuni anche per i condomini proprietari dei
negozi con accesso dalla strada; anche questi ultimi, infatti, ne possono (potenzialmente) fruire e
quindi devono partecipare alle spese relative alla conservazione e manutenzione della copertura
dell’edificio.
Il fatto che in un edificio ci siano più scale e più androni, inoltre, non è condizione sufficiente a far
ritenere la piena autonomia e indipendenza strutturale e funzionale delle relative porzioni immobiliari rispetto alla rimanente parte dell’edificio, ove si tenga conto che la funzione della scala è quella di consentire l’accesso al tetto o al lastrico solare comuni all’intero edificio, e che l’androne non
solo dà accesso alla scala suddetta ma anche ai muri perimetrali, anche essi comuni all’intero
stabile condominiale.
[1] ai sensi dell’art. 1121 del cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 10483/15.
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IL CONDOMINIO
Spese di condominio: cosa paga l’inquilino e cosa il padrone di casa
Affitto: gli oneri accessori derivanti
dalle spese condominiali, gestione
ordinaria e straordinaria, cosa deve
pagare
il
locatore
e
cosa
il
conduttore.
Quando la casa è in affitto alcune delle spese condominiali sono a carico del locatore (padrone di casa) ed altre del conduttore (inquilino) il quale, pertanto, oltre al
normale canone di locazione dovrà corrispondere anche tali importi (cosiddetti oneri accessori). In ogni caso, il condominio deve pretendere il pagamento delle somme direttamente dal locatore, salvo poi il diritto di quest’ultimo di chiederne la restituzione al conduttore. Il conduttore a sua volta deve effettuare il pagamento entro 2
mesi dalla richiesta.
In caso di morosità del primo, il decreto ingiuntivo contro il secondo sarebbe illegittimo.
Quali spese sono a carico del padrone di casa e quali quelle a carico dell’inquilino?
Sulla distinzione spesso si sono consumate forti dispute nelle aule di tribunale. In generale, si può
dire che:
– le spese di gestione straordinaria (cioè quelle relative ad opere necessarie per rinnovare, modificare o sostituire parti, anche strutturali, dell’edificio nonché opere e modifiche necessarie per
realizzare e/o integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici dell’immobile) sono a carico
del locatore,
– le spese di gestione ordinaria (cioè quelle necessarie a mantenere in efficienza l’immobile e
per rimuovere il deterioramento prodotto dall’utilizzo del bene locato) sono a carico
del conduttore. Fanno eccezione alcune spese che sono ripartite tra conduttore e locatore in misura differente.
Le parti possono comunque stabilire, nel contratto di locazione, una diversa ripartizione delle
spese (ad esempio possono prevedere un rimborso al locatore di un importo forfetario oppure un
rimborso delle somme effettivamente spese dal locatore attraverso anticipi mensili e salvo conguagli).
Oltre alle spese condominiali vi sono le spese di gestione dell’immobile stesso, anch’esse ripartite
secondo lo stesso criterio sopra visto. In tal caso, il locatore ed il conduttore provvedono ad effettuare direttamente il pagamento delle spese che sono di loro competenza.
Riportiamo qui sotto una tabella riepilogativa [1] in cui vengono elencati i tipi di spesa più comuni
relativi ad un immobile, indicando se e a chi spetta sostenerle.
TIPO DI SPESA
LOCATORE
CONDUTTORE
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IL CONDOMINIO
TIPO DI SPESA
LOCATORE
CONDUTTORE
PARTI INTERNE DELL’IMMOBILE
Impianto di riscaldamento
–
sostituzione
integrale
– manutenzione straordinaria
– manutenzione ordinaria
Impianto sanitario
Infissi e serrande
– sostituzione integrale
– manutenzione ordinaria
Serrature
– sostituzione integrale
– rifacimento chiavi e serrature
Vetri
– installazione doppi vetri
– sostituzione causa rottura
Pavimenti e rivestimenti
– sostituzione integrale
– tinteggiatura
– installazione e rifacimento
– manutenzione ordinaria
Impianto di allarme
Citofono
PARTI COMUNI CONDOMINIALI
Impianti
Riscaldamento dell’acqua
Addolcimento dell’acqua
– manutenzione ordinaria;
– pulizia annuale, impianto
e filtri, messa a riposo stagionale;
–
lettura
contatori;
– forza motrice, combustibi– installazione e sostituzione le;
– adeguamento a leggi e re- – consumo combustibile,
golamenti
acqua, energia elettrica
Antincendio
– manutenzione ordinaria;
– installazione e sostituzione –
ricarica
estintori;
– acquisto estintori
– ispezioni e collaudi
Condizionamento dell’aria
Autoclave
– installazione e sostituzione – manutenzione ordinaria,
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IL CONDOMINIO
TIPO DI SPESA
LOCATORE
CONDUTTORE
integrale dell’impianto o di forza motrice, ricarica prescomponenti primari (per sione serbatoio, ispezioni,
esempio: pompa, serbatorio) collaudi, lettura contatore
Ascensore
–
installazione;
– manutenzione straordinaria;
– adeguamento a nuove disposizioni di legge
– manutenzione ordinaria
Antenna televisiva
– installazione, sostituzione
– potenziamento
– manutenzione ordinaria
Spurgo
– manutenzione ordinaria;
– manutenzione straordina- – disotturazione dei pozzetti
ria
e condotti
Illuminazione
– manutenzione ordinaria
– installazione e sostituzione – consumi
Parti esterne del condominio
Citofoni
– sostituzione
– manutenzione ordinaria
Grondaie
– sostituzione
– manutenzione ordinaria
Tetto e lastrico solare
– manutenzione straordinaria
– manutenzione ordinaria
Cancello
– installazione e sostituzione – manutenzione ordinaria
Ringhiere
– sostituzione
– manutenzione ordinaria
– sostituzione piante
– manutenzione ordinaria;
– riparazione degli attrezzi;
– sostituzione fiori
Aree verdi
Parti interne dell’edificio condominiale
Arredi (marmi, corrimano ringhiere,
– installazione e sostituzione – manutenzione ordinaria
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IL CONDOMINIO
TIPO DI SPESA
LOCATORE
CONDUTTORE
cassette della posta, zerbini)
Serrature
– installazione e sostituzione
Cassette postali
– installazione e sostituzione – manutenzione ordinaria
Armadietti contatori
– installazione e sostituzione – manutenzione ordinaria
Lampadine
– sostituzione
Amministrazione del condominio
Amministrazione
– compenso amministratore;
– spese postali, telefoniche,
bancarie;
– cancelleria
–
Assicurazione dell’edificio
– pagamento premi
–
Energia elettrica
–
– consumi
Alloggio portiere
10%
90%
Bidoni pulizia
–
– acquisto
Portierato e pulizia dell’edificio
Compenso portiere e sostituto, compresi contributi assicurativi e previdenziali, accantonamento liquidazione, tredicesima, premi, ferie ed indennità varie, anche locali
Manutenzione della portineria
Materiali per la pulizia
Disinfestazione e derattizzazione dei –
locali di raccolta rifiuti e dei contenitori
– relativi oneri
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IL CONDOMINIO
TIPO DI SPESA
LOCATORE
CONDUTTORE
dei rifiuti
Il pagamento
Come detto, il locatore esige la parte di spese condominiali dall’inquilino il quale è tenuto a versarle entro 20 giorni. Prima di pagare, però, questi ha diritto di ottenere l’indicazione specifica delle
spese con la menzione dei criteri di ripartizione nonché di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate (ad esempio, se trattasi di immobile in condominio, i c.d. rendiconti
condominiali).
In mancanza di richiesta di esibizione dei documenti nel termine, il locatore è esonerato dall’onere
di documentare la propria richiesta. Il conduttore è automaticamente in mora e non avrà la possibilità di opporre alla richiesta di pagamento la mancata specificazione di spese e criteri di ripartizione.
Se il conduttore richiede di visionare i documenti giustificativi degli oneri accessori e dei criteri di
divisione e il locatore non gli fornisce tale documentazione richiesta, quest’ultimo non potrà agire
in causa per ottenere lo sfratto dell’inquilino per il mancato pagamento degli oneri accessori.
È incerto, tra i giudici, il termine di prescrizione del pagamento degli oneri a carico del conduttore.
Secondo la più recente giurisprudenza si tratta la prescrizione è di 2 anni e non di cinque [2].
Tale termine decorre da:
– se l’edificio in cui è ubicata l’abitazione è di proprietà di un singolo locatore, dalla data di chiusura della gestione del singolo esercizio annuale [3];
– se l’immobile è in condominio, dalla data in cui è stato approvato il consuntivo delle spese con
delibera dell’assemblea dei condomini;
– negli altri casi, dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere [4].
[1] Fonte: Memento “Immobili e condominio”
[2] Cass. sent. n. 3947/2015.
[3] Cass. sent. n. 8609/2006.
[4] Cass. sent. n. 4588/1995.
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IL CONDOMINIO
Riparazione balconi aggettanti e tetti in condominio: chi paga
Regole per una giusta ripartizione in
ambito condominiale delle spese di
manutenzione e conservazione di
balconi aggettanti e tetti.
Fra le spese che, in ambito condominiale,
procurano maggiori discussioni e, sovente,
anche liti giudiziarie, sicuramente un posto
preminente hanno quelle che riguardano
la manutenzione e riparazione dei balconi
e dei tetti.
In materia, i giudici hanno da tempo definito orientamenti precisi, tali che, se fossero maggiormente conosciuti da amministratori e condomini, eviterebbero fin da subìto qualsiasi tipo di discussione.
I balconi aggettanti, e cioè quei balconi che emergono dalle facciate interne o esterne di un condominio, sono considerati dalla giurisprudenza di proprietà esclusiva del proprietario dell’unità
immobiliare di cui costituiscono il prolungamento [1].
Pertanto, di un balcone aggettante solamente i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte
frontale si considerano di proprietà comune a tutti i condomini. Dunque, solo per le riparazioni di
tali parti le relative spese vanno ripartite fra tutti i condomini in base alla tabella millesimale generale.
Al contrario, le spese per la riparazione e manutenzione di ogni altra parte di un balcone aggettante (soletta, rivestimenti interni, pavimentazione oppure anche della parte frontale qualora non
abbia nei suoi elementi alcun rilievo estetico) sono a carico esclusivo del proprietario
dell’appartamento di cui il balcone costituisca prolungamento.
Per cui, in conclusione, se il balcone non ha alcuna incidenza sul decoro architettonico dell’edificio nel suo complesso, ogni spesa per la sua manutenzione o riparazione è a carico
del solo proprietario dell’appartamento di cui il balcone costituisce prolungamento.
Per ciò che riguarda il tetto, invece, esso, e tutte le parti che lo compongono, a meno che non vi
sia una diversa disposizione del regolamento condominiale, sono di proprietà condominiale [2] e,
perciò, le spese per la relativa manutenzione e riparazione devono essere ripartite fra tutti i condomini sulla base della tabella millesimale generale.
Se invece il tetto non copre tutte le proprietà esclusive dei condomini, ma solo alcune di esse, la
ripartizione delle relative spese deve essere fatta solo tra i condomini le cui proprietà esclusive
sono ricomprese nella proiezione verso il basso del tetto medesimo.
[1] Cass. sent. n. 15.913/2007.
[2] Art. 1117 cod. civ.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
Condomini disabili: chi paga l’installazione del montascale e la relativa manutenzione?
Il costo del montascale è a carico di
chi provvede alla sua installazione. I
condomini
dissenzienti
possono
essere esclusi dal riparto dei costi.
L’installazione di un montascale può essere decisa:
a) dall’assemblea;
b) dal condomino in seguito all’inerzia
dell’assemblea sollecitata sul punto;
In caso di decisione dell’assemblea, le spese diinstallazione del montascale dovranno essere
suddivise tra tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà di ciascuno.
L’installazione del montascale, tuttavia, può essere considerata come un’innovazione gravosa con la conseguenza che i condòmini dissenzienti possono notificare il proprio dissenso dalla
spesa e quindi non parteciparvi. In tal caso la spesa dovrà essere suddivisa solamente tra i favorevoli e sempre sulla base dei millesimi di proprietà.
Quanto alle spese di manutenzione, posto che il montascale ha la medesima funzione di un
ascensore, esse devono essere ripartite tra tutti i condòmini (o tra quelli che hanno partecipato
all’installazione)[1].
Se, invece, l’installazione è avvenuta ad opera del singolo condomino,la spesa è a
suo esclusivo carico. Questo, sia in caso di installazione da parte del condomino interessato di
propria iniziativa e senza avanzare richiesta all’assemblea, sia in caso di richiesta avanzata
all’assemblea, senza aver ottenuto risposta positiva.
Nel caso in cui, infatti, il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta
fatta per iscritto, le deliberazioni in merito all’installazione del montascale per disabili, i portatori di
handicap, o chi ne esercita la tutela o la potestà (ad esempio i genitori del disabile), possono installare, a proprie spese, il servoscala o strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche
modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici,
agli ascensori e alle rampe dei garages [2].
In entrambi i casi però l’installazione dev’essere fatta in modo tale da non ledere la destinazione
d’uso delle cose comuni, da non alterare il decoro e da non pregiudicare il diritto degli altri condomini all’uso delle parti interessate dalle modifiche.
Autore: Valentina Azzini
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IL CONDOMINIO
Lavori in condominio: per i danni chi è responsabile e chi risarcisce?
Fino a che punto si estendono le
responsabilità
dell’amministratore
del condominio e quali sono quelle
dell’appaltatore in caso di danni
subiti da terzi a seguito di lavori
eseguiti nel condominio stesso? Sin
dove si estende la responsabilità
dell’appaltatore?
La più consueta procedura attraverso cui
il condominio, normalmente a seguito di
una decisione assunta dall’assemblea, dispone di effettuare lavori sul fabbricato consiste
nell’affidamento, curato dall’amministratore, di uno o più appalti di lavori ad uno o più soggetti
terzi.
Secondo quanto viene stabilito dal codice civile [1] l’autonomia dell’attività dell’appaltatore
nell’ambito dell’esecuzione dell’opera assunta si esplica nella sua totale autonomia operativa, attraverso l’impiego di una propria organizzazione, nell’apprestare i mezzi ritenuti necessari
all’esecuzione dell’opera contrattualizzata, curandone le modalità di esecuzione ed obbligandosi
verso il committente a prestargli il risultato della sua opera.
Accade però con una certa frequenza che a seguito dei lavori fatti effettuare nell’ambito del fabbricato condominiale derivino danni a carico di terzi ed alle loro proprietà. In tali casi i conflitti tra le
parti coinvolte hanno il proprio esito, per così dire naturale, in procedimenti per il risarcimento di
danni. In tali casi i giudici sono chiamati a chiarire se sussista o meno, ed a definire quale ne sia il
grado, la responsabilità che deve essere attribuita ad ognuno dei soggetti coinvolti: ditta, o ditte,
esecutrice/i dell’appalto, amministratore del condominio, direttore dei lavori – che può anche
coincidere con l’amministratore stesso – ed assemblea condominiale che, nell’esercizio delle sue
funzioni, ha autorizzato i lavori e, normalmente, ha anche proceduto a scegliere la ditta, o le ditte,
esecutrice/i degli stessi.
Una vicenda da Cassazione
La Cassazione ha avuto recentemente modo di esprimersi sul tema [2] occupandosi della vicenda di un condomino che aveva convenuto in giudizio il proprio condominio, l’amministratore del
medesimo personalmente, nonché le due società appaltatrici allo scopo di ottenere il risarcimento
dei danni patiti dall’unità immobiliare di sua proprietà a causa della cattiva esecuzione delle opere
di bonifica e di impermeabilizzazione del tetto del condominio.
I convenuti si costituivano quindi in giudizio mentre la società esecutrice dei lavori chiamava in
causa anche la propria assicurazione in manleva.
Il Tribunale di Roma, interessato in primo grado del caso, riteneva di dover accogliere parzialmente la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da parte del condomino, condannando però la
sola società esecutrice delle opere al pagamento della somma di lire 504 milioni in favore della
parte attrice e l’assicurazione a manlevare la medesima per lire 75 milioni. Successivamente la
Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha proceduto a condannare non solo la società esecutrice dei lavori, ma anche il condominio (con esclusione
dell’appellante) e l’amministratore personalmente al pagamento della somma di euro 452.500 a tiPagina 44 di 101
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IL CONDOMINIO
tolo di risarcimento danno in favore di parte attrice nonché alla rifusione delle spese dei due gradi
di giudizio. La Corte territoriale riteneva infatti di dover attribuire una responsabilità in capo al
Condominio in concorso con la società appaltatrice (per quest’ultima in relazione alla scelta
dell’impresa subappaltatrice di alcuni dei lavori – cosiddetta culpa in eligendo), nonché in capo
all’amministratore, in qualità di direttore dei lavori, cui riteneva di attribuire una responsabilità per
aver omesso di effettuare i necessari controlli sullo svolgimento dei lavori (cosiddetta culpa in vigilando).
Il Condominio e l’amministratore personalmente hanno successivamente proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello. La Suprema Corte di Cassazione, investita della questione, si è pronunciata con sentenza in esame nella quale ha ritenuto opportuno precisare
e ribadire alcuni principi in relazione a quelle che sono le rispettive responsabilità del committente,
dell’amministratore e del direttore dei lavori.
Di chi è la responsabilità in caso di appalto?
Nello specifico la Suprema Corte, inserendosi in un alveo giurisprudenziale ormai consolidato, ha
rilevato che, in riferimento al tema in oggetto, ovvero alle responsabilità conseguenti l’assunzione
di un contratto d’appalto, quelle relativa ai danni provocati a terzi ed eventualmente anche quelle
della mancata osservanza della legge penale nel corso dell’esecuzione del contratto è da attribuirsi esclusivamente all’appaltatore, in conseguenza dell’autonomia con cui egli svolge la propria attività nell’esecuzione dell’opera, autonomia che è chiaramente sancita da quanto viene previsto
dal Codice civile [3]. La Suprema Corte ha poi precisato che l’amministratore rappresenta il condominio, poiché quest’ultimo è un ente di gestione privo di personalità giuridica. Da ciò consegue
che il condomino nell’ipotesi in cui ritenga, come nel caso di cui alla sentenza in commento, di
aver subito un danno in conseguenza di un’omessa vigilanza da parte del condominio (o meglio,
di chi lo rappresenta) nell’esecuzione di lavori sulle parti comuni, dovrà necessariamente agire nei
confronti dell’ente (ovvero il condominio e non nei confronti dell’amministratore).
Il direttore dei lavori, secondo la Suprema Corte, assume la specifica funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore, vigilando che l’esecuzione dei lavori abbia
luogo in conformità a quanto stabilito nel capitolato di appalto.
Alla luce di quanto detto nel caso in oggetto non è stato riconosciuto alcun tipo di responsabilità al
direttore dei lavori, all’amministratore, ovvero al committente che non possono rispondere della
cattiva esecuzione dei lavori imputabile esclusivamente a libere iniziative dell’appaltatore.
[1] Art. 1655 cod. civ.: “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”
[2] Cass. sent. n. 20557/15
[3] Secondo cui appunto “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. La responsabilità del committente nei confronti dei terzi, secondo gli Ermellini, “è configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli
dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l’appaltatore finisca per agire
quale nudus minister privo dell’autonomia che normalmente gli compete” (vedasi in proposito Cass. sent.
n.7499/04 e n.7755/09), ovvero nell’ipotesi in cui si possa concretizzare in capo al committente una culpa in eligendo, per avere egli assegnato l’esecuzione delle opere ad un’impresa manifestamente incompetente e priva
delle capacità tecniche necessarie (in proposito Cass. sent. n.15185/04).
Autore: Massimo Pipino
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IL CONDOMINIO
MOROSITÀ
Condominio: se i condomini non pagano come si recupera il credito
Dalla intimazione di pagamento al
condominio,
all’elenco
dei
condomini morosi, alla notifica del
precetto, alla fase esecutiva: tutte
le fasi del recupero crediti.
Per chi deve recuperare un credito nei
confronti di un condominio si pongono da
sempre diversi problemi, che la giurisprudenza, prima, e la recente legge di riforma
del condominio poi, hanno tentato di risolvere non sempre con grande successo.
Con la riforma c’è, la prima volta, una parvenza di disciplina per il “recupero crediti” nei confronti
dei condomini.
In sostanza, la legge [1] ha stabilito il divieto, per il terzo creditore, di agire contro i condomini in
regola con i pagamenti (delle spese condominiali) se non dopo aver inutilmente escusso quelli
morosi, il cui elenco dovrà essergli fornito dallo stesso amministratore.
Neppure una parola, tuttavia, è stata spesa per stabilire se potrà essere richiesto, al singolo condomino, l’intero credito reclamato dal terzo o solo la propria quota proporzionale.
Al momento, quindi, l’unica cosa certa è che il terzo creditore debba munirsi di un titolo esecutivo nei confronti del condominio, notificarlo (così come già avveniva prima della legga di riforma)
all’amministratore dello stabile, per poi richiedere a quest’ultimo l’elenco dei condomini inadempienti verso il pagamento delle spese condominiali.
Fatto questo, cominciano le criticità: cosa fare se l’amministratore non fornisce l’elenco richiesto,
come agire (per l’intero credito o solo pro quota) nei confronti dei singoli condomini? Su questi
punti il codice civile non dice nulla.
Al momento, pertanto, appaiono possibili (da parte del legale del creditore) due strade:
1. o rivolgersi al Tribunale perché ordini all’amministratore di fornire l’elenco;
2. oppure procurarsi in qualche modo l’elenco dei condomini e notificare a ognuno di essi un atto
di precetto.
Qualora, viceversa, l’amministratore risponda e fornisca al creditore il nome dei condomini morosi,
al terzo non resterà che individuarne uno al quale notificare l’atto di precetto, intimandogli il pagamento dell’intero credito dovuto dal condominio.
Pur nel silenzio legislativo, si deve ritenere che la riforma abbia reintrodotto il criterio della solidarietà del debito. Al singolo condomino non andrà viceversa notificato (sebbene vi siano
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IL CONDOMINIO
alcune sentenze che affermano il contrario) il titolo esecutivo già notificato all’amministratore: questo in quanto il condominio è soggetto privo di personalità giuridica.
Alla notifica dell’atto di precetto, che è un ultimo avviso al debitore che si intende procedere in via
esecutiva nei suoi confronti, dovrà poi seguire la richiesta di pignoramento sul bene (normalmente l’alloggio, ma si possono anche escutere beni mobili o crediti del pignorato verso terzi) del
condomino prescelto.
Solo una volta (inutilmente) effettuate le esecuzioni nei confronti dei condomini morosi, infine, il
creditore potrà poi agire (sempre per l’intero credito) aggredendo i beni dei condomini in regola con i pagamenti.
IN PRATICA
1. LE REGOLE
Le Disposizioni di attuazione del Codice civile prevedono che non si possa agire in via esecutiva
contro i condomini in regola con i pagamenti delle spese condominiali se non dopo aver inutilmente escusso quelli morosi il cui elenco andrà chiesto all’amministratore.
2. IL VUOTO LEGISLATIVO
La legge non dice cosa fare qualora l’amministratore non trasmetta l’elenco dei condomini morosi,
e se il creditore possa agire nei confronti di un singolo condomino per l’intero credito o solo pro
quota.
3. LA PROCEDURA
Si dovrà anzitutto (per quanto per i crediti scaduti questo passaggio non sia indispensabile) inviare
una diffida di pagamento all’amministratore, per poi procedere alla richiesta del decreto ingiuntivo
o alla notifica di un atto di citazione. Una volta ottenuto il titolo esecutivo e notificati titolo e atto di
precetto all’amministratore, si dovrà poi richiedere all’amministratore stesso del condominio
l’elenco dei condomini che risultano essere morosi.
4. LA FASE ESECUTIVA
Si dovrà notificare ai condomini morosi l’atto di precetto relativo all’intero credito, per poi richiedere
un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) nei loro confronti. Solo una volta che saranno stati inutilmente escussi i condomini morosi, si potrà agire nei confronti degli altri condomini.
5. I DUBBI
A oggi non esistono sentenze della Corte di cassazione che dicano chiaramente se la legge di riforma ha reintrodotto o no il criterio della solidarietà del debito: al momento, pertanto, potrebbero
esserci sentenze dei giudici di merito contrastanti sul punto.
[1] Art. 63 disp. att. cod. civ.
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IL CONDOMINIO
Condominio: il pignoramento del conto corrente è possibile
Le interpretazioni dei tribunali
divergono dallo spirito della
legge: in caso di morosità si può
bloccare
il
conto
del
condominio.
Alcune recenti decisioni dei Tribunali [1] hanno reso possibile quello che viceversa la legge di riforma del condominio [2] aveva
negato:
e
cioè
l’aggressione da parte dei creditori del
condominio indistintamente dei beni di
tutti i condomini, a prescindere che si
tratti di quelli “virtuosi”, cioè puntuali nel
pagamento degli oneri condominiali, o di quelli morosi.
La questione, in poche parole, è la seguente: la nuova legge [3] ha imposto l’obbligo per i creditori
condominiali di agire nei confronti degli obbligati (condomini) in regola con i pagamenti degli oneri
condominiali solo dopo aver escusso, senza risultati, quelli morosi, che cioè non hanno pagato
l’amministratore. A tal fine quest’ultimo consegna ai creditori l’elenco dei proprietari che non hanno
pagato le rate del condominio affinché possano essere soggetti ad esecuzione forzata.
La stessa riforma ha anche previsto (pena la revoca dell’amministratore che non vi provveda) che
ogni condominio debba necessariamente essere dotato di un conto corrente bancario o postale ove dovranno transitare tutti i movimenti relativi alle somme incassate e spese dallo
stabile in questione.
Il creditore del condominio, pertanto, è ora ragionevolmente certo (cosa che non sempre avveniva prima della entrata in vigore della recente riforma) che esista un conto corrente condominiale
da sottoporre a pignoramento: su tale conto corrente, come è ovvio, saranno presenti soprattutto i beni (versamenti) dei condomini maggiormente solleciti a rispettare le scadenze di pagamento, mentre ovviamente non vi saranno quelli dei condomini morosi.
Con il risultato che qualora il pignoramento sia dichiarato (come è avvenuto recentemente da parte di alcuni Tribunali) ammissibile, saranno proprio i condomini “virtuosi”, in aperto contrasto
con la legge, a vedere i loro beni aggrediti dal creditore condominiale.
Ritenendo lecito il pignoramento del conto corrente condominiale, in altre parole, si è fornito
un formidabile mezzo di escussione a favore dei terzi creditori, i quali date le gravissime conseguenze che il pignoramento causa normalmente alla gestione condominiale, avranno
una ragionevole certezza di incassare il proprio credito senza dover dapprima aggredire, andando incontro a spese considerevoli e poche possibilità di successo, i beni dei condomini morosi, magari già da tempo sottoposti a iscrizioni ipotecarie da parte di altri creditori (se non dello
stesso condominio).
Si sottolinea, oltretutto, come il pignoramento del conto corrente condominiale (come di qualunque
altro conto corrente) faccia sì che l’amministratore non possa in alcun modo provvedere al
pagamento (visti i tempi della procedura, almeno per diversi mesi) dei debiti condominiali sino
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IL CONDOMINIO
all’avvenuto sblocco del conto stesso, che potrà avvenire solo previo pagamento o comunque autorizzazione del creditore condominiale esecutante.
Nella pratica, pertanto, accadrà che per evitare la sospensione delle varie forniture delle quali necessita il condominio, saranno proprio (e nuovamente) i condomini che hanno disponibilità economica a dover provvedere a saldare il creditore procedente, pagando anche le quote dei condomini morosi.
Inoltre le decisioni del Tribunali hanno ritenuto ammissibile il pignoramento del conto in quanto,
una volta effettuati i singoli versamenti delle rate: “le somme escono dalla disponibilità dei singoli
condomini per rientrare in qualche modo in quella del solo condominio”: il che consiste ancora una
volta nel consegnare al condominio, in qualche modo, quella patente di personalità giuridica che
pure sino ad ora sia il legislatore che i Tribunali hanno sempre espressamente negato.
Qualora, pertanto, dovesse trovare ulteriori conferme l’orientamento favorevole alla pignorabilità
del conto corrente condominiale, si avrebbe una chiara lesione dei diritti dei condomini puntuali nei
pagamenti.
[1] Cfr. Trib. Brescia sent. del 30.05.2014; Trib. Reggio Emilia sent. del 16.05.2014, Trib. Milano e Pescara
sentt. del 27.05.2014.
[2] L. 220/2012.
[3] Art. 63 disp. att. cod. civ., introdotta dalla legge 220/2012.
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IL CONDOMINIO
Dopo la riforma il creditore può pignorare il conto corrente condominiale
L’amara conseguenza per chi ha già
pagato: dover soddisfare i creditori
oppure
versare
nuove
rate
all’amministratore per ripristinare la
liquidità e proseguire la gestione del
condominio.
Arrivano i primi chiarimenti post-riforma del
condominio. La questione prospettatasi
all’alba dell’entrata in vigore della nuova
normativa riguardava la possibilità, per i
creditori del condominio, di pignorare il conto corrente condominiale. In particolare, si era ritenuto che ciò non fosse possibile. E ciò perché le nuove norme impongono ai creditori insoddisfatti di
aggredireprima chi non è in regola coi pagamenti (ricevendo l’elenco dall’amministratore) e solo
dopo, in caso di insuccesso, gli altri condomini “virtuosi”. Invece, pignorando il conto tale regola
viene capovolta: poiché, in banca, sono depositati solo i soldi dei condomini virtuosi, si finisce per
aggredire prima chi paga gli oneri condominiali e dopo (o meglio, “mai”) chi non li paga.
Eppure, negare la possibilità di pignorare il conto significa privare i creditori di un mezzo di esecuzione forzata che, forse, è l’unico che garantisce la soddisfazione dei crediti non riscossi. E pertanto, proprio per tale ragione, i giudici di diversi tribunali stanno precisando che il conto corrente
condominiale può essere pignorato.
Da ultimo la sentenza del Tribunale di Milano [1]. Secondo il giudice meneghino, il creditore ben
può pignorare il saldo del conto corrente condominiale. E ciò perché tutti i versamenti dei singoli
proprietari esclusivi, una volta confluiti in banca, si confondono nella provvista gestita
dall’amministratore: e, una volta depositato, non è più possibile distinguere la provenienza delle
rimesse dall’uno o dall’altro condomino. In pratica, nessuno riuscirebbe a dire quale parte dei soldi
riguarda versamenti effettuati, in passato, dai condomini morosi e quali, invece, da quelli virtuosi.
Ciò che si pignora, invece, è il saldo, a prescindere dalla causale e dalla titolarità delle singole rimesse.
Peraltro, dopo la riforma del condominio è obbligatoria l’apertura di un conto corrente del condominio: le somme che vi confluiscono costituiscono patrimonio autonomo dell’ente di gestione
e non dei singoli condomini. Infatti, secondo il codice civile [2],l’amministratore è tenuto a far
transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, oltre a quelle a qualsiasi
titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio. E il patrimonio del condominio deve essere tenuto separato da quello
dell’amministratore e dei singoli condomini. Insomma: i contributi versati dai singoli partecipanti si confondono con le altre somme già presenti sulla provvista e vanno a integrare quel saldo
che è a immediata disposizione del correntista “condominio”.
Non contano più le ragioni per le quali le singole rimesse sono state effettuate, come la provenienza delle stesse dall’uno o dall’altro condomino.
L’amara conseguenza
Dura, sed lex, dicevano i latini. Anche se è dura, è comunque la legge. E difatti, benché il principio
in punto di diritto sia ineccepibile, ciò comporta un’amara conseguenza: in caso di pignoramento
del conto corrente, causato dall’inadempimento di alcuni condomini, gli altri virtuosi si troveranno o
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IL CONDOMINIO
a dover pagare i creditori insoddisfatti, per conto dei morosi, oppure a dover versare nuove rate
condominiali per consegnare all’amministratore la liquidità necessaria per mandare avanti la gestione.
[1] Trib. Milano, sent. del 27.05.2014.
[2] Art. 1129, comma settimo, cod. civ.
Autore: Angelo Greco
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IL CONDOMINIO
Condomino moroso: i poteri dell’amministratore
Può
l’amministratore
di
condominio sospendere i servizi
al condomino moroso senza
previa autorizzazione del Giudice
se la morosità perdura da oltre
un semestre e i servizi sono
utilizzabili in modo separato?
Oppure può solo procedere con
un ricorso per decreto ingiuntivo
per il recupero delle somme?
La legge di riforma del condominio
[1] ha
modificato
la
disciplina [2] riguardante la riscossione dei contributi condominiali. In forza di ciò, a decorrere dal
18/06/2013, nel caso in cui un condominio sia in mora nel pagamento dei contributi per almeno un
semestre, l’amministratore ha la facoltà di sospendergli la fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.
A differenza di quanto accadeva in precedenza, ora non è più necessario che l’autorizzazione a
tale sospensione sia contenuta nel regolamento condominiale.
Di solito però, nei condomini, i servizi in questione sono il riscaldamento centralizzato, l’acqua e
l’ascensore. Escludendo quest’ultimo (a meno che ciascuno dei condomini abbia una chiave per
utilizzarlo), per procedere alla loro sospensione bisognerebbe che gli impianti siano costruiti e tarati in modo da permettere il distacco forzoso; circostanza questa piuttosto rara.
Ad ogni modo, il principale ostacolo alla sospensione dei servizi in questione non sono di certo le
difficoltà tecniche. Infatti, tale previsione normativa è rimasta quasi del tutto disapplicata in quanto la giurisprudenza di merito ha ritenuto la sospensione dell’erogazione del riscaldamento o
dell’acqua in contrasto con la Costituzione [3] che garantisce il diritto alla salute.
Quindi, in caso di mora nel pagamento dei contributi condominiali come risultanti dallo stato di
ripartizione approvato dall’assemblea, all’amministratore non rimane che procedere, senza bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea stessa, con un ricorso per decreto ingiuntivo comunque
immediatamente esecutivo nonostante l’eventuale opposizione proposta dal condomino moroso.
[1] L. 220/12.
[2] Art. 63 disp. att. cod. civ.
[3] Art. 32 Cost.
Autore: Alessandro Marescotti
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IL CONDOMINIO
SPESE PER MANUTENZIONE
Manutenzione scale condominio: come ripartire le spese
Scale in condominio: come
dividono
gli
oneri
per
manutenzione,
sostituzione
pulizia.
si
la
e
Condominio: come si fa a ripartire le spese
di manutenzione delle scale dello stabile?
E quelle per la pulizia? Si tratta di due operazioni che coinvolgono, in modo differente,
gli interessi dei proprietari con appartamento
ai piani superiori e quelli ai piani inferiori che
non utilizzano spesso le scale. Ecco perché
esiste una disciplina speciale per tali voci di bilancio condominiale. Cerchiamo, allora di fare chiarezza.
Spese di manutenzione e sostituzione
Riguardo le spese di manutenzione e sostituzione delle scale (e anche per l’ascensore), il codice civile [1], per come modificato dalla recente riforma del condominio, stabilisce che alla spesa
partecipano solo i proprietari delle unità immobiliari a cui servono detti servizi (quindi, non gli appartamenti situati in altre scale non soggette ai lavori). Inoltre, la spesa in questione è ripartita tra
essi, per metà in base al valore delle singole unità immobiliari (ossia per millesimi) e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo: pertanto i proprietari degli appartamenti al piano terra pagheranno la metà della spesa in ragione dei loro millesimi di proprietà, e null’altro dovranno, in quanto l’altezza del loro piano è pari a zero. I condomini,
però, possono concordare un diverso criterio di ripartizione di tali oneri, purché la decisione venga
approvata in assemblea con l’unanimità dei consensi. In alternativa, la deroga alla disciplina prevista dal codice deve essere contenuta in una clausola del regolamento contrattuale di condominio. È quanto confermato dalla Cassazione con una recente sentenza [3]: la Corte ha avuto
modo di ribadire che i criteri di ripartizione degli oneri condominiali sono derogabili, ma la deroga
deve essere provata.
Spese di pulizia
Diverso il discorso per le spese dovute alla ditta di pulizia per il lavaggio settimanale. Infatti, in tale
caso, la Cassazione ha detto che l’unico criterio da adottare è quello dell’altezza
dell’appartamento, in deroga quindi alla disciplina generale prevista dal codice per le spese di manutenzione e sostituzione [4]. In pratica, secondo la Suprema Corte le spese per la pulizia e
l’illuminazione delle scale di un condominio va fatta in base all’altezza di piano – cioè in misura
proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
Anche in questo caso, però, l’assemblea, all’unanimità, può decidere per un diverso sistema di ripartizione.
[1] Art. 1124 cod. civ.
[2] L. 220/2012.
[3] Cass. sent. n. 8823/2015.
[4] Cass. sent. n. 432/2007.
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IL CONDOMINIO
Lavori urgenti in condominio: come comportarsi?
Regole da osservare nel caso in
cui sia necessario provvedere ad
opere senza ritardo: guida per
amministratori e condomini.
Non è raro che nei complessi condominiali italiani, specie in questo periodo di
crisi economica, venga procrastinata
l’esecuzione di lavori necessari, a volte
anche estremamente urgenti, per il ripristino di parti comuni danneggiate
(ad esempio: muri perimetrali, recinzioni, tetti, lastrici solari, piante pericolanti).
Il problema si complica quando la mancata esecuzione delle opere di manutenzione ordinaria o straordinaria può comportare pericolo
di danno per la salute dei condomini o di terzi estranei.
Che spetta fare, allora, all’amministratore nel caso in cui l’assemblea non riesca a raggiungere
un accordo sul punto: il rappresentante del condominio è comunque tenuto ad autorizzare i lavori
necessari ed, eventualmente, con quali eventuali limiti?
La legge [1], a questo riguardo, stabilisce che l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente. In tal caso, però, ha l’obbligo di riferirne nella prima assemblea successiva all’autorizzazione stessa”.
Dunque, la regola è che le opere di manutenzione straordinaria sono esclusivamente di competenza dell’assemblea: l’amministratore deve sempre convocare quest’ultima affinché, assumendosi le proprie responsabilità, deliberi sull’effettuazione delle opere di straordinaria manutenzione.
Tuttavia esiste l’eccezione alla regola: se c’è urgenza, l’esecuzione di lavori di manutenzione
possono
–
anzi,
devono
–
essere
sollecitati
ed
autorizzati direttamente dall’amministratore senza necessità di avvisare l’assemblea o di ottenerne delibera. L’amministratore, avrà poi il dovere di riferire delle opere da lui autorizzate senza il previo
consenso dell’assemblea, a quest’ultima nella prima riunione successiva.
Il potere dell’amministratore di intervenire in caso di urgenza è circoscritto all’esecuzione dei lavori “strettamente necessari” cioè a quelli tali da evitare possibili conseguenze dannose dal
mancato esercizio degli stessi.
Perciò, una volta esaurito l’intervento necessario nell’interesse dei condomini ad evitare il pericolo
di un maggior danno, o la prevenzione di un possibile illecito commesso a danno di terzi (si
pensi a cadute di calcinacci su auto in sosta o su passanti, oppure alla presenza di buche sulla
strada condominiale o ad eventuali rami pericolanti ecc.), l’amministratore è obbligato ariferire all’assemblea che, nella prima seduta, deciderà se ed in quale maniera proseguire nei lavori. In
tale sede i condomini dovranno verificare che la spesa autorizzata dall’amministratore sia stata effettivamente sopportata per ragioni di urgenza: in occasione, perciò, dell’assemblea chiamata a
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IL CONDOMINIO
ratificare la spesa decisa dall’amministratore, questi dovrà dimostrarel’urgenza dei lavori fatti
eseguire.
L’assemblea e, quindi, i singoli condomini potranno valutare l’esistenza o meno dell’urgenza ed in
caso negativo, non ratificando la spesa autorizzata dall’amministratore, sarà questi, personalmente, a dover sopportare integralmente la spesa.
Ecco perché, a tal fine, è opportuno che l’amministratore si munisca di tutti i documenti e le prove
necessarie per dimostrare all’assemblea il carattere di urgenza della spesa da lui autorizzata.
[1] Art. 1135, comma 2, cod. civ.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
Infiltrazioni in condominio da beni di proprietà comune: come comportarsi
Breve
e
riassuntiva
scheda
illustrativa su ciò che è necessario
e utile sapere nel caso in cui da
beni condominiali si propaghino
infiltrazioni di acqua: contro chi
agire e chi è tenuto a pagare per
rimuovere la causa delle infiltrazioni
e risarcire i danni.
La responsabilità per i danni derivanti
da infiltrazioni d’acqua è assai di frequente collegata, in ambito condominiale, a una
scarsa manutenzione della parti comuni (tetti, solai, lastrici, ecc.).
In tali casi, come ha riconosciuto la Suprema Corte di Cassazione [1], l’omissione da parte del
condominio
della
necessaria manutenzione di
tali
beni
comuni
comporta
che
il condominio stesso sia ritenuto responsabile quale custode dei danni che le infiltrazioni di acqua hanno provocato.
Solo e soltanto se il condominio dovesse provare che le infiltrazioni siano state provocate da
un caso fortuito ed assolutamente imprevedibile (ad esempio, una precipitazione atmosferica assolutamente eccezionale), solo allora la sua responsabilità potrà essere esclusa.
Accertata, dunque, in capo al condominio la responsabilità dei danni provocati dalle infiltrazioni,
dovrà essere convocata apposita assemblea per deliberare ed autorizzare [2] gli interventi di manutenzione necessari a rimuovere la causa che ha prodotto il danno (ad esempio, lavori di ripristino di tetti o lastrici) e per ripartire le relative spese, compreso il risarcimento del danno subìto
dal condomino o da un terzo estraneo al condominio) secondo i millesimi di proprietà generale [3].
Nel caso specifico in cui le infiltrazioni provengano da un lastrico solare di uso esclusivo di un
singolo condomino (cosiddetta terrazza a livello), le spese saranno ripartite addebitandole per un
terzo (comprese quelle per risarcire il terzo o il condomino danneggiato) al proprietario del lastrico
solare e per due terzi tra tutti i proprietari a cui il lastrico solare serve da copertura [4] con esclusione, quindi, dal concorso alle spese dei condomini alle cui proprietà il lastrico non sia sovrapposto.
[1] Cass. civ., SS.UU., sent.. n. 3672/1997
[2] Art. 1136, 2° comma, cod. civ.
[3] Art. 1123, 1° e 3° comma, cod. civ.
[4] Art. 1126 cod. civ.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
I lavori condominiali si pagano in anticipo: la norma che tutela i costruttori
L’assemblea
dovrà
costituire
un
fondo
speciale di importo pari
al prezzo da versare
all’impresa
costruttrice.
In tempi di crisi e di aumento
del divario della ricchezza
tra i cittadini, ci mancava
anche la norma a favore
dei costruttori: norma che è
stata prevista dalla riforma
del condominio e che entrerà in vigore nel mese di giugno.
Da oggi in poi, ogni qual volta che l’assemblea dei condomini decida di approvare opere
di manutenzione straordinaria e/o innovazioni sul palazzo, dovrà necessariamente costituire un
“fondo speciale” di importo pari all’ammontare dei lavori. In altre parole, bisognerà che tutti i proprietari di casa versino in anticipo, al condominio, ed in base alla ripartizione della spesa, quanto
ci sarà da pagare per i lavori stessi.
La norma era stata voluta proprio dai costruttori per tutelarsi dai mancati pagamenti. Difatti, tale
fondo nasce per garantire le aziende in caso di mancato pagamento dei condomini ed evitar loro
di dover procedere per vie legali (con tutti gli oneri che ciò comporta). Ma essa diventa per i condomini una forma di pagamento anticipato.
Insomma, si tratta un regalo per le aziende di costruzioni – che, in tal modo, saranno esonerate da
qualsiasi rischio di mancato pagamento – ma che potrebbe diventare anche un disincentivo per le
dissestate assemblee ad approvare lavori straordinari, se non strettamente urgenti e inderogabili.
Cosa succederà, tuttavia, se il singolo condomino non potrà versare, in un’unica soluzione ed in
forma anticipata, tutti i soldi per i lavori? Cosa avverrà se la banca non glieli vorrà prestare?
In caso di lavori improcrastinabili (per esempio, la messa in sicurezza per l’edificio), dovendo gli
stessi essere comunque deliberati, si avrà una situazione inverosimile: o i lavori, per quanto urgenti, non potranno essere realizzati, oppure gli altri condomini saranno costretti ad anticipare la
quota per conto dei meno abbienti.
Insomma, il peso della mancanza di liquidità delle aziende finisce ancora una volta per ricadere
sulle spalle dei privati cittadini.
[1] Art. 1135 cod. civ. modificato dalla riforma del condominio.
Autore: Angelo Greco
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IL CONDOMINIO
Il tetto condominiale: breve guida
Manutenzione,
modifiche
e
coibentazione del tetto: cosa si può
e cosa non si può fare, e quali
maggioranze servono.
Le riparazioni conseguenti ai danni da infiltrazioni di acqua provenienti dal tetto sono
a carico di tutti i condomini in proporzione ai
millesimi di proprietà, salvo diverso accordo [1]. Deve contribuire anche il condomino
che ha subito il danno, che si trova nella
duplice veste di danneggiato e danneggiante. Il risarcimento riconosciutogli, pertanto,
verrà ridotto della quota da lui dovuta.
Incorporazione
Un condomino non può incorporare il tetto nella sua proprietà esclusiva [2]: tale innovazione è, infatti, vietata se non c’è una autorizzazione da parte di tutti gli altri condomini [3].
Mansarda
Il proprietario del sottotetto può sostituire al tetto una mansarda, a condizione che sia salvaguardata – mediante opere adeguate – la funzione di protezione e copertura delle sottostanti strutture
svolta dal tetto preesistente [4]. Inoltre non si deve alterare l’estetica dell’edificio, né ledere il diritto degli altri condomini. In ogni caso, il condomino ne deve dare preventiva notizia
all’amministratore, specificando i dettagli dell’intervento e le modalità di esecuzione.
L’amministratore, a sua volta, ne riferisce all’assemblea [5]. Lo stesso dicasi se si tratta di un abbaino. È comunque opportuno, per evitare possibili contestazioni sotto il profilo dell’alterazione
dell’aspetto architettonico dell’edificio, acquisire il consenso di tutti gli altri condomini, tanto più che
potrebbe essere richiesto dal Comune come condizione per il rilascio del permesso di costruire.
Modifiche
Un singolo condomino non è legittimato a richiedere in via autonoma un permesso di costruire per
realizzare interventi riguardanti il tetto dello stabile condominiale. Esso, infatti, è di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari; ne consegue che per apportare modifiche al
tetto è necessaria una apposita deliberazione dell’assemblea condominiale [6].
Manutenzione
La spesa per la manutenzione del tetto deve essere ripartita tra tutti i condomini serviti da tale
struttura, in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo [7].
Nel supercondominio, se per le caratteristiche strutturali e funzionali di uno dei corpi di fabbrica,
risulta che tutti i condomini sono interessati alla riparazione del tetto (magari perché vi è installata
la centrale termica), alla spesa devono contribuire tutti, e non solo i condomini di questo specifico
edificio [8].
Se il costruttore-venditore delle singole unità immobiliari si è riservato la proprietà esclusiva del
tetto, le spese di manutenzione sono a suo esclusivo carico, se vi sia stata una specifica pattuizione in tal senso [9]; in assenza di tale accordo, trova applicazione il seguente principio [10]: un
terzo delle spese a carico del proprietario esclusivo e i restanti due terzi a carico dei condomini alle cui appartamenti il tetto serve da copertura, in proporzione ai millesimi di proprietà [11].
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IL CONDOMINIO
Coibentazione
La coibentazione del tetto può essere considerata intervento su parte comune dell’edificio volta al
contenimento del consumo energetico, anche se ad avvantaggiarsene è soprattutto il proprietario
del sottotetto. Di conseguenza, la relativa spesa può essere deliberata dall’assemblea con il voto
favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 334/1.000 [12]. La
spesa va suddivisa in proporzione ai millesimi di proprietà. Se l’edificio ha più tetti, alla spesa devono concorrere i soli condomini che traggono utilità dal tetto interessato dall’intervento.
Terrazza
Il proprietario dell’ultimo piano non può sostituire il tetto con una terrazza da annettere al proprio
appartamento. Questo tipo di intervento, infatti, non rientra nel più ampio diritto di sopraelevazione
spettante al proprietario dell’ultimo piano, ma costituisce un’alterazione dell’uso cui tale bene comune è destinato [13]. Per la sua realizzazione occorre quindi il consenso di tutti gli altri condomini, non potendo l’assemblea decidere a maggioranza, pena la nullità della relativa delibera [14].
Tubi
Un condomino può sistemare sul tetto condominiale un tubo dell’acqua potabile, a condizione di
non menomare la funzione di questa parte comune dell’edificio [15].
[1] Art. 1123 cod. civ.
[2] Art. 1102 cod. civ.
[3] Cass., sent. n. 4449 del 27.07.1984
[4] Cass., sent. n. 14107 del 3.08.2012.
[5] Art. 1122, c. 2, cod. civ.
[6] Con le maggioranze stabilite dall’art. 1136 cod. civ.. T.A.R. Lombardia, sent. n. 1820 del 11.07.2013.
[7] Trib. Roma, sent. n. 18080 del 12.09.2013; Cass., sent. n. 5064 del 29.04.1993.
[8] Corte App. Milano, 17.01.1992.
[9] Cass., sent. n. 1338 del 9.06.1961.
[10] Art. 1126 cod. civ.
[11] Cass., sent. n. 532 del 30.01.1985.
[12] Art. 26, l. n. 10 del 9.01.1991.
[13] Cass., sent. n. 1737 del 28.01.2005.
[14] Cass., sent. 8777 del 26.10.1994.
[15] Cass., sent. n. 2293 del 9.06.1975.
Autore: Temistocle Marasco
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IL CONDOMINIO
AMMINISTRATORE: NOMINA, REVOCA ED OBBLIGHI
L’amministratore di condominio: doveri, compiti e adempimenti
Un rapido esame della figura
dell’amministratore di condominio:
che cosa fa, che cosa dovrebbe fare,
chi lo può fare (prima parte).
La figura dell’amministratore di condominio è, con buona probabilità, una delle più
discusse del panorama professionale italiano, inevitabilmente al centro dell’attenzione
e delle critiche dei suoi amministrati, sia esso interno o esterno, persona fisica o persona giuridica, professionista del settore o
volonteroso dopolavorista. Egli attira inevitabilmente su di sé sempre infinite discussioni nel caso
di reali o presunti malfunzionamenti nella conduzione della compagine condominiale e scarsi apprezzamenti nell’ipotesi, caso raro, in cui non si possano sollevare dubbi o critiche sul suo operato. In Italia non è noto con certezza quale sia il numero dei condòminii presenti e tale incertezza,
apparentemente paradossale, è dovuta da un lato al fatto che con il termine “condominio” il legislatore ha inteso indicare quegli edifici che siano composti da almeno due unità immobiliari autonome la cui proprietà fa capo ad almeno due diverse persone e dall’altro dal fatto che in realtà non
esiste una vera e propria procedura formalizzata per la costituzione di un condominio: esso sorge
in modo del tutto autonomo nel momento in cui avviene la vendita delle varie unità immobiliari ad
opera del costruttore dell’immobile. All’atto di costituzione del condominio le parti dell’edificio,
che sotto un profilo funzionale sono collegate al miglior godimento delle porzioni di piano di proprietà esclusiva di quelli che sono i condomini, sono immesse nel novero di quelle cose sulle quali
si esercita un dominio congiunto da parte dei proprietari stessi delle singole unità immobiliari: il
che, appunto concretizza un condominio.
Il condominio in Italia
Per fornire qualche dettaglio in merito al fenomeno “condominio” in Italia, e comprendere meglio
la figura professionale dell’amministratore di condominio, che cosa faccia, che cosa dovrebbe fare
e, soprattutto, chi lo può fare, può essere utile, consultare il 2° rapporto redatto da Censi-Anaci
(che però è ormai datato marzo 2006 e quindi è precedente la riforma della legge su condominio
che è del 2012). L’indagine in parola, sulla base di una serie di proiezioni statistiche e considerando dati frutto di procedimenti di stima, è arrivata a concludere che in Italia si può ipotizzare
l’esistenza di un numero di immobili costituiti in condominio di oltre 900.000 unità, dei quali
740.000 identificabili attraverso la disponibilità del codice fiscale di cui solo 330.000 presentano,
come sarebbe d’obbligo, il modello 770. La riforma del condominio cui si è fatto cenno [1] dovrebbe aiutare a far emergere “dal sommerso” una serie di compagini non censite
nell’anagrafe tributaria. Infatti, secondo quanto viene stabilito dal Codice civile [2] nella nota di trascrizione dell’atto d’acquisto, “per i condòminii devono essere indicati l’eventuale denominazione,
l’ubicazione e il codice fiscale”, codice fiscale che è obbligatorio per qualunque, abbia esso 2 o
200 partecipanti [3].
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IL CONDOMINIO
L’Amministratore di condominio “fai da te”
In questo enorme numero d’immobili costituiti in condominio si stima che la figura
dell’amministratore sia presente in circa un terzo dei casi [4] e teniamo conto che non è raro che
anche nei condòmini ove è obbligatorio nominare un amministratore, non tale adempimento non
viene rispettato. Sempre secondo il citato rapporto Censis-Anaci la proporzione tra gli amministratori che si potrebbero definire “fai da te” ed i professionisti del settore è ancora fortemente sbilanciata a favore dei primi. Ce n’è uno che svolge quest’attività per professione ogni otto che la svolgono, come si suol dire, per spirito di servizio, ma va anche sottolineato che tale situazione si manifesta nella stragrande maggioranza dei casi in contesti in cui l’amministratore non professionista è anche condomino dell’immobile che amministra. Tuttavia, è innegabile che in una società
complessa come quella attuale, decidere di assumere la gestione d’una compagine condominiale
senza aver mai avuto un’esperienza del genere è cosa non scevra di rischi sia per il condòminoamministatore che per il condominio ne suo complesso. I condomìni moderni non sono nemmeno
lontanamente paragonabili con quelli del passato. Le compagini con decine ed volte centinaia di
partecipanti non sono più l’eccezione ma si stanno affermando, sempre più velocemente, come la
regola.
Ma, al di là della dimensione attualmente assunta dai condomìni, che li fanno rappresentare realtà
economiche di anche rilevante entità, è il vasto numero di adempimenti che il legislatore nazionale
ha oggi affidato all’amministratore, e molto spesso la risoluzione delle particolari problematiche
ad essi connessi, a fare si che per assolvere questa funzione sia necessario possedere particolari
nozioni e competenze che vanno da quelle di natura legale a quelle tecnico contabili e fiscali, senza dimenticare le capacità di risoluzione dei conflitti e di gestione di processi complessi. Chi scrive
ritiene tuttavia che il pur necessario sviluppo della categoria verso una sempre più spiccata professionalizzazione non dovrebbe, comunque, portare all’eccesso opposto. In tal senso sarebbe
bene non lasciarsi sedurre dalla rosee previsioni di chi, vagheggiando l’istituzione dell’inevitabile e
salvifico albo professionale, scantona quando si sottolinea la necessità di tutelare l’interesse degli
amministrati e, conseguentemente, evita di affrontare seriamente quella di elevare il livello di professionalità degli amministratori. Chi assume queste posizioni che verrebbe da i di “difesa a tutti i
costi dell’orticello”, infatti, pur essendo animato dalle migliori intenzioni, tuttavia, trascura quanto è
stato più volte dimostrato dell’esperienza ovvero che l’istituzione di albi e ordini professionali rappresenta un ostacolo al normale svilupparsi delle dinamiche del mercato ed un ostacolo per
l’accesso alla professione. Ciò che il consumatore/condomino deve pretendere non è un soggetto,
l’amministratore professionista titolare di una posizione all’interno di un albo che lo garantisce dalla concorrenza di altri professionisti con livelli di preparazione tecnico-giuridica-amministrativa anche più elevati dei suoi (vedi commercialisti), ma il miglior servizio possibile in relazione all’offerta
economica più conveniente. In poche, note e chiare parole, il miglior rapporto tra la qualità del
servizio offerto ed prezzo per esso richiesto. Per ottenere tale risultato l’istituzione di tariffari obbligatori non ha alcuna utilità. Da sempre è il mercato il modo migliore per formare prezzi di beni e
servizi.
Un esempio assolutamente pratico potrà aiutare a rendersi conto di che cosa si vuole significare
con questa che, prima vista, pare una formula vuota. Rispetto ad un medesimo servizio
un amministratore si offre di svolgerlo per 15 euro ad unità immobiliare e un altro, invece, ne richiede solamente 7. Se il criterio di scelta fosse esclusivamente quello basato sull’esborso economico, è evidente che la prima delle due offerte non avrebbe alcuna possibilità di essere accolta.
Tuttavia, quello del mero costo economico del servizio acquistato è solamente uno dei criteri che
guidano la scelta (certo magari uno dei più importanti). Infatti unitamente al costo della prestazione si tiene conto della preparazione specifica per lo svolgimento del servizio proposto,
la professionalità acquisita operando sul mercato, ecc. da ciò consegue che l’amministratore più
economico, probabilmente, tenendo a mente il citato rapporto tra qualità e prezzo rischierà di essere non essere ritenuto il più conveniente. Si pensi, al contrario, al caso in cui, in ragione della
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IL CONDOMINIO
presenza di un tariffario obbligatorio, entrambi presentino un’offerta. Il primo professionista, valutando sempre nella stessa misura il valore del suo lavoro, continua a chiedere 15 euro per ognuna
delle unità immobiliari facenti parte dell’immobile di cui gli è stata proposta l’amministrazione. Il
secondo, essendovi tenuto per legge, chiede il minimo possibile, ossia 7 euro. Probabilmente, potrà sostenere qualcuno, la piccola differenza (8 euro ad unità immobiliare su base annua per
ognuno dei condomini non rappresenta certo una cifra problematica) farà ancora comunque propendere per il primo dei due professionisti. Presumibilmente, però, la sola presenza
d’un tariffario avrà l’effetto di ingenerare un’aspettativa di risparmio nel consumatore che lo lascerà propendere per l’offerta più economica, magari senza una verifica delle qualità effettive del professionista. Qualità che, tra le altre cose, a fronte dell’esistenza di un minimo guadagno garantito,
mediamente, potrebbero mostrare anche un progressivo decadimento (se è la legge e non il mercato a garantire la misura del mio guadagno perché l’impegno che metto per aggiornarmi
dev’essere costante visto che, comunque, ho un minimo garantito?). Pretendere l’istituzione di un
tariffario in base al quale essere obbligati a prezzare la propria prestazione è un favore alla parte
mediocre della categoria degli amministratori di condominio e sempre un danno per tutti i comproprietari. Avere la necessità di vedere amministrato in modo serio il proprio edificio significa esigere
la possibilità di rivolgersi a figure professionali preparate e continuamente aggiornate in base
all’evoluzione della normativa in materia. È questo, dunque, secondo l’opinione di chi scrive, il
perno su cui deve ruotare tutto il sistema: riuscire ad ottenere che il soggetto incaricato di amministrare un condominio, che lo faccia per spirito di servizio (perché risiede nel condominio che amministra) o che lo faccia per professione, sia preparato. Il che significa certificazioni di qualità (che
no siano però pezzi di carta acquistabili dal miglior offerente buone solo per essere incorniciate ed
appese al muro), aggiornamento periodico, ecc. Ogni ipotesi che non sia finalizzata a restringere
la concorrenza creando “riserve di caccia” garantite e renda possibile il raggiungimento (e soprattutto il mantenimento) di un buon livello di preparazione è la benvenuta. Spiace notare che
l’attuale assetto normativo, nonostante la recente riforma non aiuti a dare la giusta dignità ad
un’attività (la si consideri economica o professionale) che molto spesso è percepita come quella
d’un semplice “passacarte
Quali sono i requisiti i requisiti per l’assunzione dell’incarico di amministratore condominiale
Il primo elemento che in riferimento alla figura dell’amministratore di condominio, a che cosa faccia, a che cosa dovrebbe fare ed a chi lo può fare, che deve essere sottolineato è un dato meramente numerico: dopo l’entrata in vigore della “riforma”, infatti, la nomina dell’amministratore è obbligatoria solamente per quei condomìni che possono contare più di otto partecipanti (in limite precedente era di quattro). In tutti gli altri casi, condomìni composti da 8 unità immobiliari o meno,
possono tranquillamente fare a meno dell’assistenza di un professionista per l’adempimento di tutti quegli atti burocratico-fiscali-amministrativi che la legge richiede. E qui ci si trova di fronte al primo paradosso: al soggetto condominio sono stati affidati nel tempo un numero sempre crescente
di obblighi ed adempimenti da rispettare, cosa che, a rigor di logica avrebbe consigliato quanto
meno di mantenere invariato il limite di condòmini al di sopra del quale far scattare l’obbligatorietà
della figura del professionista responsabile dei cennati adempimenti : invece si è scelta la strada
esattamente opposta. Inoltre, sotto il profilo della specifica preparazione professionale continuano
a non venir richiesti particolari titoli accademici. Tuttavia, rispetto alla situazione che caratterizzava
il periodo pre-2012, qualche cosa è stato fatto proprio in relazione alla possibilità di assunzione
dell’incarico: insomma anche per (quasi tutti) gli amministratori è necessario il possesso di determinati requisiti (che però non sono di carattere accademico [5]. Possono svolgere l’incarico di
amministratore di condominio tutti coloro che:
– hanno il godimento dei diritti civili;
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– non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della
giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge
commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque
anni;
– non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;
– non sono interdetti o inabilitati;
– il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari;
– hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado;
– hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in
materia di amministrazione condominiale.
I requisiti di cui alle lettere f ) e g) non sono necessari nel caso in cui l’amministratore sia nominato
tra i condòmini dello stabile. Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio talune tipologie di società [6]. Nel caso in cui sia un soggetto societario a svolgere l’attività di amministratore del condominio è necessario che i requisiti sopra citati siano posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le
funzioni di amministrazione dei condòminii a favore dei quali la società presta i propri servizi.
La perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) comporta la cessazione dall’incarico. In
tale evenienza ciascun condòmino può convocare senza formalità alcuna l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore. Sotto il profilo degli elementi di qualifica allo svolgimento
dell’attività di amministratore di condominio va poi ricordato il fatto che a quanti hanno svolto attività di amministrazione condominiale per almeno un anno, nell’arco dei tre anni precedenti alla data
di entrata in vigore della riforma, è consentito lo svolgimento dell’attività di amministratore anche in
mancanza dei requisiti di cui alle lettere f ) e g), resta però salvo l’obbligo di svolgere un’attività di
formazione periodica accreditata.
Esaminando da vicino il dettato legislativo, al di là della pur lodevole intenzione del legislatore di
regolamentare l’assunzione degli incarichi, restano però, e nell’arco dei circa 3 anni di vigenza della legge non vi sono elementi che possano portare a modificare il giudizio, seri motivi di perplessità in relazione alla contraddittorietà del risultato raggiunto. Un esempio su tutti: se si riflette sul significato del secondo comma dell’articolo 71-bis, secondo il quale “i requisiti di cui alle lettere f ) e
g) del primo comma (obbligo di avere conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado, frequenza di un corso di formazione iniziale e attività di formazione periodica in materia di
amministrazione condominiale) non sono necessari qualora l’amministratore sia nominato tra i
condòmini dello stabile” non si può che giungere alla conclusione secondo cui, anche dopo
l’entrata in vigore della legge di riforma del condominio, il proprietario di più unità immobiliari ubicate in condomìni diversi, cui è stata in precedenza affidata la gestione di quegli stessi edifici, ha
potuto continuare a gestirli, senza alcun obbligo di formazione periodica, anche se non è in possesso del diploma di scuola secondaria superiore e non ha frequentato il corso di formazione iniziale.
Il giovane laureato, invece, che si è trovato ad assumere il suo primo incarico a meno di un anno
dall’entrata in vigore della riforma e che intende svolgere professionalmente l’attività di amministratore condominiale non ha avuto modo di esercitare tale attività se non dopo aver seguito un
corso di formazione iniziale e svolgendo attività di formazione periodica [7].
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IL CONDOMINIO
In breve: attualmente chi intende assumere incarichi di gestione di condòminii è tenuto a frequentare un corso di formazione iniziale della durata di almeno 72 ore ed a seguire corsi di formazione periodica della durata di almeno quindici ore. I corsi possono essere organizzati da chiunque, purché dello staff facciano parte formatori con comprovata esperienza in materia condominiale e responsabili scientifici, che ne certifichino la competenza, della stessa tipologia. Tuttavia,
l’unico soggetto su cui incombe l’onere di verificare il rispetto di questi requisiti è l’assemblea condominiale; davvero un po’ pochino rispetto a quanto il mercato della gestione immobiliare avrebbe
necessitato.
[1] Legge, 11 dicembre 2012 n. 220, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 dicembre 2012
[2] Ai sensi dell’articolo 2659 del Codice civile Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al
conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella quale devono essere indicati:
1) il cognome ed il nome, il luogo e la data di nascita e il numero di codice fiscale delle parti, nonché il regime
patrimoniale delle stesse, se coniugate, secondo quanto risulta da loro dichiarazione resa nel titolo o da certificato dell’ufficiale di stato civile; la denominazione o la ragione sociale , la sede e il numero di codice fiscale delle
persone giuridiche, delle società previste dai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto e delle associazioni non
riconosciute, con l’indicazione, per queste ultime e per le società semplici, anche delle generalità delle persone
che le rappresentano secondo l’atto costitutivo. Per i condominii devono essere indicati l’eventuale denominazione, l’ubicazione e il codice fiscale;
2) il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo;
3) il cognome e il nome del pubblico ufficiale che ha ricevuto l’atto o autenticato le firme, o l’autorità giudiziaria
che ha pronunciato la sentenza;
4) la natura e la situazione dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall’art. 2826, nonché la
quota espressa in millesimi di cui all’articolo 2645 bis, comma 4, nel caso di trascrizioni di contratti preliminari
Se l’acquisto, la rinunzia o la modificazione del diritto sono sottoposti a termine o a condizione , se ne deve fare
menzione nella nota di trascrizione. Tale menzione non è necessaria se, al momento in cui l’atto si trascrive, la
condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.
[3] Si confronti in proposito quanto stabilito dal DPR n. 605/73
[4] Secondo quanto viene esplicitamente previsto dall’articolo 9 della Legge 220/2012 intervengono sulla disciplina relativa all’amministratore di condominio. In particolare, l’articolo 9, che novella l’articolo 1129 del Codice
civile – rubricato “Nomina, revoca e obblighi dell’amministratore”, la nomina dell’amministratore deve essere
obbligatoriamente effettuata quando i condomini sono più di otto.
[5] In materia la norma di riferimento è l’articolo 71-bis delle Disposizioni Attuative del Codice civile.
[6] Si tratta delle società di cui al titolo V del libro V del Codice civile, quindi sia le società di persone che quelle
di capitale.
[7] Come si è visto, per poter assumere l’incarico di amministratore condominiale, salvo per chi già esercitava
da almeno un anno e per i così detti interni (quei condòmini che svolgono l’attività di amministratore
dell’immobile in cui è ubicata l’unità immobiliare di loro proprietà), l’articolo 71-bis delle Disposizioni attuative del
Codice civile stabilisce che è necessario seguire un corso di formazione iniziale e quelli di formazione periodica
in materia di amministrazione condominiale. Nessun’altra indicazione viene fornita. A partire dalla data di
dall’approvazione della legge n. 220 del 2012 al dicembre dell’anno stesso, in mancanza di ulteriori precisazioni,
si è assistito ad un vero brulicare di corsi d’ogni durata organizzati da chiunque. Con il decreto “Destinazione Italia” (Decreto Legge n. 145/2013, poi convertito in Legge n. 9 del 2014) il legislatore ha cercato di porre un freno
alla situazione demandando al Ministero della Giustizia il compito di regolamentare la materia della formazione
degli amministratori di condominio. Il risultato, il d.m. n. 140/14, è stato però al di sotto delle aspettative di chi
sperava che il decreto potesse effettivamente mettere ordine nella materia razionalizzando un’offerta formativa
spesso lontana dalle reali necessità dei neo-operatori del settore.
Autore: Massimo Pipino
Autore immagine: 123rf.com
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IL CONDOMINIO
Amministratore di condominio: doveri, compiti e adempimenti parte 2
Un rapido esame della figura
dell’amministratore di condominio:
che cosa fa, che cosa dovrebbe
fare, chi lo può fare (seconda
parte).
Quando è obbligatoria la nomina
dell’amministratore
Il codice civile [1] stabilisce che: “Quando i
condòmini sono più di otto, se l’assemblea
non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condòmini o dell’amministratore dimissionario”.
Lasciando al prosieguo del presente lavoro l’approfondimento della distinzione esistente tra
la nomina dell’amministratore condominiale fatta dall’assemblea e la nomina fatta dal giudice,
iniziamo ad esaminare in modo approfondito quali sono le condizioni al ricorrere delle quali è obbligatorio per i condòmini provvedere alla nomina dell’amministratore e quali sono le motivazioni
che hanno condotto il legislatore ad operare determinate scelte piuttosto di altre.
La legge, come poco sopra è già stato accennato, impone che si provveda alla nomina
dell’amministratore nel caso in cui i condòmini raggiungano almeno il numero di nove.
È opportuna una precisazione in merito al significato preciso da attribuire al termine “condòmino”. Nell’utilizzo quotidiano del vocabolo si pone scarsa attenzione a quello che è il
suo significato tecnico, impiegandolo per riferirsi genericamente a chiunque abiti o comunque utilizzi (a vario titolo: piena proprietà, comodato, diritto d’abitazione, locazione) un’unità immobiliare
ubicata nell’ambito di un edificio costituito in condominio, senza tenere conto del fatto che il significato proprio della parola “condòmino” è sostanzialmente diverso da quello, per esempio
di “conduttore” o “comodatario”. Con questa espressione, a livello tecnico giuridico, s’individua infatti il proprietario di una o più porzioni immobiliare sita/e in un edificio costituito in condominio. Il
diritto di proprietà sull’unità immobiliare deve risultare da un titolo (contratto di acquisto, donazione
etc.) che deve essere regolarmente registrato e trascritto, così da poter essere efficacemente opposto ai terzi [2]. È da notare che la qualità di condòmino è rivestita anche dall’originario proprietario dell’immobile, qualora egli, successivamente al frazionamento dell’edificio ed alla vendita delle
unità immobiliari, fatti questi che hanno dato origine al condominio, si sia riservato la proprietà di
porzioni dell’edificio stesso [3]. In sostanza è il proprietario (e non certo il conduttore) che tecnicamente è a tutti gli effetti qualificabile come “condòmino”.
Un ulteriore punto su cui è opportuno svolgere alcune considerazioni è l’oggetto della proprietà del
condòmino, proprietà che si identifica nel concetto di “unità immobiliare”. In questo contesto è preziosa l’indicazione fornita dal legislatore [4]:
“si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.
Ciò significa che il box, così come, ad esempio, la cantina, il locale commerciale o
l’appartamento sono tutte unità immobiliari. Da ciò discende che il proprietario di un box auto o
di una cantina (anche se “scollegati” – nel senso che non sono pertinenze – da un’unità immobiliaPagina 65 di 101
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re abitativa ubicata nello stesso immobile, possono essere legittimamente indicati come“condomini” al pari del titolare del medesimo diritto reale su un’abitazione ricompresa nel medesimo immobile. L’unica distinzione che potrà essere fatta tra le diverse posizioni dei citati soggetti sarà quella che si viene a creare in conseguenza della differenza di millesimi di proprietà che i rispettivi cespiti esprimeranno in relazione alla formazione delle maggioranze richieste in
sede di assemblea condominiale per le diverse tipologie di decisioni da assumere e con riferimento alla misura della relativa quota di partecipazione alle spese per la gestione e la conservazione
delle cose comuni.
Vediamo di chiarire meglio quanto sino ad ora esposto con alcuni esempi.
1- Si ponga un condominio composto da venticinque unità immobiliari, otto delle quali sono di proprietà di Tizio, mentre le restanti risultano essere, a loro volta, di proprietà di un’unica persona fisica. Tutte le unità immobiliari di cui si compone il condominio sono state date in locazione a differenti persone. In questo caso, pur sussistendo a tutti gli effetti il condominio che, come abbiamo
visto si costituisce automaticamente senza bisogno di una delibera o di particolari formalità, non
appena i condomini sono più di uno, posto che i condòmini propriamente detti (ossia, ci si ripete, i
proprietari) sono solamente due non sarà obbligatorio provvedere alla nomina dell’amministratore
(obbligo che scatta nel momento in cui i condòmini, ovvero i proprietari, sono più di otto).
2- Un condominio è composto (considerando gli appartamenti, i locali commerciali, le cantine ed i
box) di diciannove unità immobiliari. Sei di queste sono di proprietà di altrettante persone e le restanti tredici appartengono ad un unico soggetto, persona fisica. Al suo decesso le unità immobiliari di sua proprietà passano (per successione ereditaria), in comunione tra loro, a tre dei quattro
figli. Il numero dei condòmini passa così da sei a nove. In questo caso sarebbe obbligatoria la
nomina dell’amministratore? La risposta al quesito è negativa in quanto nel momento in cui
un’unità immobiliare è in proprietà di più persone esse, ai fini condòminiali, devono essere considerate al pari di un’unica entità proprietaria di quell’unità immobiliari (nota n. 5). Solamente se i
comproprietari di questi cespiti decidessero di dividerseli allora si raggiungerebbe il numero degli
otto condòmini utili per dover provvedere alla nomina dell’amministratore.
3- Un condominio si compone di otto unità immobiliari di proprietà di persone fisiche diverse. Una
di queste cede la propria abitazione in usufrutto ad uno degli altri condomini, mantenendone la
nuda proprietà. Quanti sono in questo caso i condòmini agli effetti della loro partecipazione alle
assemblee condominiali ed in riferimento alle relative maggioranze da raggiungere in funzione
delle materie da decidere? Sul tema non c’è particolare concordanza di pareri. Secondo la giurisprudenza, ai fini della gestione del condominio, ad esempio in relazione alla partecipazione alle
spese [6] proprietario ed usufruttuario devono essere considerati distintamente. Allo stesso modo
anche il Codice civile considera il proprietario e l’usufruttuario come titolari di rapporti giuridici autonomi con la compagine condominiale [7]. Alla luce di queste indicazioni della giurisprudenza e
delle citate disposizioni codicistiche, sembrerebbe che anche l’usufruttuario, nei limiti che sono
stati appena citati, debba essere considerato alla stregua di un condòmino ed essere titolare di
un’autonoma legittimazione a partecipare all’assemblea di condominio, ad impugnarne le decisioni
(e contribuire alle spese per le parti comuni).
Proprio quest’ultimo aspetto, però, ad avviso dell’autore di queste note, contrasta con quanto dettato dal Codice civile secondo cui le due parti del contratto di usufrutto sono chiamate a rispondere in solido per le spese del condominio [8]. In sostanza nudo proprietario ed usufruttuario potrebbero essere considerati come un solo soggetto tenuto a rispondere
delle obbligazioni pecuniarie derivanti dall’appartenenza al condominio in riferimento ai costi correlati alla gestione del condominio stesso e, di conseguenza, sotto un profilo sostanziale, non verrebbe ad essere superata la soglia degli otto condòmini oltre i quali scatterebbe, tra l’altro,
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l’obbligo di nomina dell’amministratore. Accogliendo la linea interpretativa proposta si potrebbe
quindi concludere che nel caso descritto nell’esempio la costituzione dell’usufrutto avrebbe quale
conseguenza che nudo proprietario ed usufruttuario assumerebbero sì delle posizione distinte ed
autonome nei confronti del condominio ma il numero dei partecipanti al condominio stesso, ai fini
della nomina dell’amministratore, resterebbe pur sempre inferiore a quello previsto dalla legge per
il verificarsi dell’obbligo di nomina, potendo essere considerati, nudo proprietario ed usufruttuario
alla stregua un unico condòmino.
4- Un condominio è composto da nove unità immobiliari ognuna delle quali è di proprietà di soggetti, persone fisiche, diverse. Si tratta della situazione tipica dove ad ogni unità immobiliare corrisponde un solo proprietario ed è anche il caso tipo cui il Codice civile fa riferimento. Nove unità
immobiliari e nove diversi proprietari. Essendo validato il “confine” degli otto condòmini la nomina
dell’amministratore è obbligatoria ed i condòmini, nei modi e nei tempi che saranno illustrati
nell’ambito dei paragrafi successivi, sono tenuti ad attivarsi per adempiere agli obblighi che vengono loro imposti dalla legge.
Sulla base degli esempi portati e dopo avere chiarito nel loro significato tecnico i contenuti dei vari
termini della fattispecie in esame (condomino, unità immobiliare, ecc.) si può pacificamente affermare che negli edifici che contino almeno nove diversi proprietari di altrettante unità immobiliari è
obbligatorio che si provveda alla nomina di un amministratore di condominio.
[1] Art. 1129 cod. civ.
[2] La dottrina ha precisato che al fine della qualificazione di un soggetto quale “condòmino” non rileva tanto
l’esistenza di un atto pubblico di trasferimento della proprietà frazionata di una parte dell’edificio condominiale —
questione che può riguardare, se mai, il problema dell’opponibilità della qualità di condòmino nei confronti dei
terzi — quanto l’esistenza di un negozio effettivamente traslativo di tale diritto, anche se concluso per mezzo di
semplice scrittura privata.
[3] Deve inoltre essere sottolineato che condòmino è non solo colui il quale sia proprietario di una o più unità
immobiliari, ma anche, ad esempio, il proprietario del solo lastrico solare o del cortile (si veda in proposito la
sentenza della Suprema Corte di Cassazione 2 maggio 1960, n. 1300), o anche di un box, di una cantina o di
una soffitta.
[4] Si veda in proposito l’articolo 40 del DPR n. 1142/49 (Approvazione del regolamento per la formazione del
nuovo catasto edilizio urbano).
[5] In questo senso si veda il secondo comma dell’articolo 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile, a
mente del quale: “Qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma
dell’articolo 1106 del codice”. La Suprema Corte di Cassazione ha poi avuto modo di precisare che l’articolo 67
delle disposizioni di attuazione del Codice civile non autorizza a ritenere che per la valida costituzione
dell’assemblea sia sufficiente la convocazione di uno solo dei comproprietari pro indiviso, essendo invece necessario che essi siano tutti avvertiti al fine di indicare quale di essi li rappresenterà nell’assemblea.
[6] Si veda in proposito la sentenza della suprema Corte di Cassazione 27 ottobre 2006 n. 23291.
[7] In tal senso il sesto e settimo comma dell’articolo 67 delle disposizioni attuative del Codice civile specificano
che“L’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono
all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni”.
Nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta invece ai proprietari, salvi i casi in cui l’usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all’articolo 1006 del Codice civile (“Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a
suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà dell’usufruttuario di farle eseguire a proprie
spese. Le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto senza interesse. A garanzia del rimborso
l’usufruttuario ha diritto di ritenere l’immobile riparato”) ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli articoli 985
(“L’usufruttuario ha diritto a un’indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione della
cosa. L’indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti. L’autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento dell’indennità prevista dai commi precedenti sia fatto ratealmente, imponendo in questo caso idonea garanzia”) e 986 (“L’usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica
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IL CONDOMINIO
della cosa. Egli ha diritto di toglierle alla fine dello usufrutto, qualora ciò possa farsi senza nocumento della cosa,
salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In questo caso deve essere corrisposta
all’usufruttuario un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo
della riconsegna. Se le addizioni non possono separarsi senza nocumento della cosa e costituiscono miglioramento di essa, si applicano le disposizioni relative ai miglioramenti. del codice. In tutti questi casi l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia all’usufruttuario sia al nudo proprietario”).
[8] L’ottavo comma dell’articolo 67 delle Disposizioni attuative del Codice civile prevede esplicitamente che: “Il
nudo proprietario e l’usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti
all’amministrazione condominiale”.
Autore: Massimo Pipino
Autore immagine: 123rf.com
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IL CONDOMINIO
Amministratore di condominio: le nuove regole
Le
novità
sulla
figura
dell’amministratore condominiale in
materia di requisiti, revoca e
formazione professionale così come
sono state introdotte dalla legge di
riforma del condominio entrata in
vigore nel 2013.
Tra le diverse novità che la tanto attesa riforma
del condominio ha introdotto a partire dal giugno 2013, vi sono sicuramente quelle che hanno
interessato la figura tanto rilevante e tanto discussa dell’amministratore di condominio.
Innanzitutto la riforma del condominio [1] ha previsto, finalmente, requisiti molto precisi perché si possa
rivestire la carica di amministratore di un complesso condominiale.
È stato, infatti, previsto che possano assumere questo delicato incarico solamente i soggetti che posseggano
ben individuati requisiti di onorabilità. Il che significa che l’amministratore:
– deve godere dei diritti civili;
– non deve aver riportato condanne per delitti contro la pubblica amministrazione o contro
l’amministrazione della giustizia o contro la fede pubblica o il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per la quale la legge preveda come sanzione la reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel
massimo, a cinque anni;
– non deve aver riportato misure di prevenzione definitive, di interdizione o di inabilitazione e non deve aver
avuto protesti.
Sono stati fissati, altresì, dei necessari requisiti di professionalità:
– possesso di diploma di scuola secondaria;
– frequentazione di un apposito corso di formazione e successivo svolgimento di attività di aggiornamento
formativo.
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IL CONDOMINIO
La legge di riforma del condominio consente, poi, anche alle società (tranne le cooperative) di poter assumere l’incarico di amministratore di condominio: in questo caso i requisiti sopra indicati devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere effettivamente le funzioni di amministratore condominiale.
La legge ha esonerato dalla necessità di possedere il diploma di scuola secondaria superiore e dall’obbligo di
frequentazione di un corso di formazione, coloro i quali sono stati amministratori almeno per un anno nei tre
anni precedenti al 18 giugno 2013.
Quanto alla revoca dall’incarico di amministratore è previsto che chi sia stato nominato dopo l’entrata in vigore della nuova legge, se non è stato revocato espressamente dall’assemblea, è automaticamente rinnovato nell’incarico per un ulteriore anno.
Infine, un ruolo fondamentale è stato attribuito alle associazioni professionali degli amministratori alle quali è stato affidato il compito di promuovere la formazione professionale degli iscritti, adottando anche un codice di condotta con la previsione di sanzioni disciplinari per le violazioni del medesimo.
Le associazioni dovranno poi aprire uno sportello informativo per gli utenti che avrà anche il compito di
mediare eventuali contenziosi tra utenti – cittadini e singoli professionisti.
Una recentissima norma di legge [2] ha in conclusione previsto che un regolamento del Ministero della Giustizia stabilirà i requisiti necessari per poter svolgere l’attività di formazione nei confronti degli amministratori e i criteri, i contenuti e le modalità con cui dovranno svolgersi i corsi di formazione iniziale e periodica
di aggiornamento.
[1] Legge n. 220 del 2012.
[2] Legge n. 9 del 2014.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
Amministratore di condominio: quanto tempo dura l’incarico?
Il mandato ha durata di un anno, ma
alla scadenza del primo anno si
rinnova automaticamente, mentre al
secondo serve una nuova nomina.
Ancora una conferma, da parte dei giudici,
sulla durata dell’incarico dell’amministratore
di condominio: secondo il Tribunale di Taranto [1] l’amministratore dura in carica un
anno, ma alla scadenza del primo anno il
mandato si rinnova automaticamente per
un altro anno, senza bisogno di conferme
esplicite; invece, alla scadenza del secondo c’è bisogno di una nuova nomina da parte
dell’assemblea che, dovendo manifestare espressamente la propria decisione, potrà scegliere se
confermare il precedente incarico o nominare un nuovo professionista. Se poi l’assemblea non
decide in merito neanche alla seconda scadenza si verifica quella che viene comunemente definita “prorogatio imperii”, ossia una proroga provvisoria e urgente dell’incarico al precedente amministratore in attesa della sua materiale sostituzione o riconferma.
Dunque alla scadenza del primo anno, l’amministratore non deve porre all’ordine del giorno
dell’assemblea la questione della sua riconferma e si limiterà a comunicare ai condòmini che il suo
mandato si è automaticamente rinnovato.
Invece, alla scadenza del secondo anno, l’assemblea è chiamata, con una delibera esplicita, a
rinnovare il mandato all’amministratore. In tale sede i condomini devono decidere, a maggioranza,
ed in modo formale ed espresso, se procedere o meno a una “nuova” nomina per lo stesso periodo, cioè un anno con rinnovo automatico salvo revoca o dimissioni.
A tale conclusione erano già arrivati il tribunale di Milano e quello di Cassino. È questo quanto
risulta all’esito della riforma del condominio [2] che ha modificato diverse norme del codice civile
tra cui, appunto, quelle sulla durata dell’incaro dell’amministratore [3].
Quanto al quorum necessario, alla scadenza del secondo anno, per la riconferma o una nuova
nomina, è necessaria maggioranza degli intervenuti e almeno 500 millesimi [4].
Secondo alcuni interpreti, le condizioni contrattuali con l’amministratore a seguito del rinnovo automatico, ivi compreso il compenso a questi dovuto per la gestione, saranno le medesime di cui
al precedente biennio. Nel caso in cui l’amministratore chiedesse un aumento la questione, limitatamente al rapporto economico, sarà oggetto di ordine del giorno. L’eventuale voto negativo non
deve essere inteso quale diniego di rinnovo ma, semplicemente, quale mancato aumento. Il contratto, pertanto, continuerà ad essere valido alle condizioni precedenti.
Anche il tribunale di Cassino [5], come detto, ha aderito a tale orientamento varato ad ottobre
scorso dal tribunale di Milano [6]. In tale sede, i giudici hanno chiarito che il rinnovo dell’incarico
dell’amministratore è automatico alla scadenza del primo anno e non è nemmeno necessario che
venga posto all’ordine del giorno.
Il codice civile prevede [7], infatti, che l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. Tale disposizione ha dato vita a tre interpretazioni:
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IL CONDOMINIO
– secondo alcuni l’incarico è annuale e si rinnova di anno in anno sino a revoca, senza che vi sia
necessità di espliciti rinnovi; il rinnovo è automatico salvo disdetta;
– una seconda interpretazione vede la durata dell’amministratore annuale con obbligo, però, di
porre nuovamente all’ordine del giorno dell’assemblea, una volta all’anno, la questione sul rinnovo
o meno dell’incarico;
– la terza tesi è quella di cui abbiamo parlato sopra e vede l’incarico rinnovarsi automaticamente
alla scadenza del primo anno, senza bisogno di un’apposita conferma, conferma che però è necessaria alla scadenza del secondo anno.
LA SENTENZA
Trib. Taranto Sez. II, Sent., 10/12/2015 COMUNIONE E CONDOMINIO Assemblea dei condomini (deliberazioni)
L’incarico di amministratore dura un anno con rinnovo automatico e alla seconda scadenza occorre nuova nomina
Le deliberazioni dell’assemblea riguardanti la nomina e la conferma dell’amministratore hanno
contenuto ed effetti giuridici eguali e differiscono soltanto nella circostanza che la conferma riguarda persona gia’ in carica mentre la nomina riguarda persona nuova.
Dopo la novella legislativa, che nel raccordo tra l’art. 1135 I comma n. 1 c.c. e l’art. 1129 comma X
c.c. mostra di avere optato per un durata biennale dell’incarico, e’ stato reputato che la “conferma”
si verifica quando, alla scadenza del secondo anno, l’assemblea ribadisca formalmente ed
espressamente la scelta con un atto (la conferma, appunto) che si sostanzia in una “nuova” nomina alle stesse condizioni del precedente contratto di mandato e per lo stesso periodo, che e’ quello indicato dall’art. 1129 comma X c.c. cioe’ un anno con rinnovo automatico in difetto di disdetta.
Viene precisato che anche per l’approvazione della deliberazione di conferma dell’amministratore
dopo la scadenza del mandato, occorre un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la meta’ del valore dell’edificio ex art. 1136 commi 2 e 4 c.c..
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto,seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del
giudice, dott.ssa Enrica Di Tursi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in I grado, iscritta al n. del R.G.C.7605-2009 riservata per la decisione
all’udienza del 16-07-15, promossa
da
F.A. e altritutti rappresentati e difesi dall’Avv.Patrizia Arcieri del Foro di Taranto ed Alfredo Paradisi Gianni Brunetti, giusta mandato a margine dell’atto di citazione;
ATTORI CONTRO
CONDOMINIO DI VIALE M.G. N. 110/112, T., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandra Lorusso,come da mandato a margine della comparsa di costituzione;
CONVENUTO
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione in rinnovazione dell’11-12-09, F.A. e altri,tutti condomini del fabbricato sito in
T. al Viale M.G.,n. 110/132, convenivano in giudizio l’amministratore
condominiale,eccependo che la deliberazione assembleare del 13-11-09,che aveva provveduto
sulla conferma dell’amministratore e dei consiglieri,sui bilanci consuntivi 2008 e preventivo 2009
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IL CONDOMINIO
nonche’ sui lavori condominiali in corso e altri gia’ fatti e da fare ,doveva essere giudizialmente
annullata perche’ assunta contra legem.
Stabilito il contraddittorio si costituiva in giudizio il Condominio convenuto ,che eccepita in rito la
nullita’ della citazione rinnovata per mancato rilascio al difensore di un nuovo mandato,respingeva
nel merito le ragioni avverse,adducendo anche che la materia del contendere doveva ritenersi
cessata quanto alla conferma dell’amministratore condominiale e dei consiglieri dato che
l’assemblea dei condomini,con Delib. 17 febbraio 2010,non impugnata,li aveva tutti confermati nel
rispettivo incarico.
Acquisita agli atti varia e pertinente documentazione, la causa veniva assegnata in decisione
nell’udienza del 16-07-15 sulle conclusioni in atti.
Preliminarmente occorre rilevare che va respinta in via pregiudiziale l’eccezione di parte convenuta relativa alla nullita’ dell’atto di citazione in rinnovazione per carenza di nuovo mandato al difensore che l’ha sottoscritta.
Invero,posto il fatto documentato e pacifico dell’esistenza di valido mandato in capo al difensore
che ha spiccato il primo atto di citazione poi caducato,si ritiene che per il nuovo atto di citazione
non si debba da quel difensore conseguire dalla parte nuova delega difensiva: cio’ per la valenza
intrinseca del primo mandato,che ,si ritiene,deve restare indenne e valido a prescindere dalla
eventuale compromissione processuale dell’atto su cui esso e’ steso ,essendo autonomo e distinto da questo per la sua propria destinazione funzionale.
A tale proposito si condivide l’orientamento della Suprema Corte che ha statuito che “La procura
speciale validamente rilasciata a margine od in calce ad un atto di citazione dichiarato nullo, non
viene travolta dalla invalidità di tale atto ma, coerentemente con le esigenze di speditezza del processo civile, conserva una sua specifica identità negoziale ed una sua autonomia logica e giuridica, desumibili anche dalla varietà delle modalità di conferimento indicate nell’art. 82 c.p.c. , nonché dal rilievo che, dal mero dato della localizzazione della procura, non può farsi derivare il restringimento degli ampi poteri che con essa la parte conferisce al difensore, estesi al compimento
di tutte le attività volte al conseguimento della tutela giudiziaria, e dunque inerenti non solo al
compimento degli atti introduttivi ma anche alla conduzione e prosecuzione del giudizio, ivi compresa, ove necessario, la rinnovazione della citazione nell’ipotesi di nullità oltre che la definizione
della lite”(Cassazione civile, sez. I, 28/04/2010, n. 10231 ; in tal senso tale principio era stato gia’
ribadito da Cass. 11 agosto 2004 n. 15498,che ha statuito che la procura speciale validamente rilasciata a margine od in calce ad un atto di citazione dichiarato nullo, non viene travolta dalla invalidità di tale atto ma, coerentemente con le esigenze di speditezza del processo civile, conserva
una sua specifica identità negoziale ed una sua autonomia logica e giuridica, desumibili anche
dalla varietà delle modalità di conferimento indicate nell’art. 82 c.p.c. , nonché dal rilievo che, dal
mero dato della localizzazione della procura, non può farsi derivare il restringimento degli ampi poteri che con essa la parte conferisce al difensore, estesi al compimento di tutte le attività volte al
conseguimento della tutela giudiziaria, e dunque inerenti non solo al compimento degli atti introduttivi ma anche alla conduzione e prosecuzione del giudizio, ivi compresa, ove necessario, la rinnovazione della citazione nell’ipotesi di nullità oltre che la definizione della lite; da tale indirizzo si
era distaccata più recentemente Cass. 12 luglio 2006 n. 15879).
Va poi dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla conferma dell’amministratore e
dei consiglieri condominiali atteso che, la parte convenuta ha dedotto e provato documentalmente
che l’assemblea condominiale del 17-02-10 ha confermato nelle rispettive cariche quei medesimi
soggetti considerati nella deliberazione impugnata.
Poiche’ tale ultima e nuova deliberazione non e’ stata impugnata e’ di piena evidenza che ogni
provvedimento del giudice al riguardo sarebbe ultroneo ,essendosi composto definitivamente fra le
parti il contrasto che ne aveva sollecitato l’intervento.
La domanda attrice e’ per il resto fondata in parte e accolta per quanto di ragione.
Invero, fermo quanto sopra a proposito del punto 1) dell’ordine del giorno relativo alla deliberazione impugnata sulla nomina dell’amministratore e dei consiglieri e preso atto che i punti 5) e 6) dello stesso sono stati rimessi a deliberazioni successive, resta da rilevare de plano che l’assemblea
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IL CONDOMINIO
condominiale del 13-11-09 ha deliberato del tutto contra legem sull’approvazione dei bilanci consuntivi 2008 e preventivi 2009.
Occorre premettere che non e’ fondato l’assunto del convenuto circa l’approvazione successiva di
tali bilanci nell’assemblea condominiale del 28-05-10 ,il cui verbale non attesta alcunche’ in proposito :in particolare nulla si dispone e decide in ordine alla relazione al bilancio consuntivo del 2008
e del preventivo 2009. Per quanto concerne l’anno 2009, certamente nella delibera del 2010 si attesta espressamente che” il presidente propone di approvare il rendiconto 2009 a condizione che
venga rimodulato e corretto lo stato di riparto rendiconto 2009 con dei rilievi che sono stati esposti..” ..allegare al punto”a” che faranno parte del consuntivo 2009,gli allegati A e B del presente
verbale con le correzioni apportate…””il tutto verra’ distribuito a tutti i condomini insieme al verbale
della commissione”,procedendosi cosi’ all’approvazione del consuntivo 2009 con una maggioranza di mm 367,con una alquanto generica, confusionaria ed incomprensibile approvazione di un
consuntivo che di fatto rinvia ad una ulteriore e futura correzione e determinazione ,non potendo
percio’ solo ritenersi sanante e soddisfacente della mancata approvazione di quel preventivo 2009
della prima delibera impugnata del 13-11- 09,della cui mancata approvazione si da’ implicitamente
atto .
Per quanto concerne la delibera impugnata surrichiamata si osserva che e’ di immediata evidenza
il vizio che li inficia,in quanto la schematica e scarna enunciazione solo nominale dei bilanci,con
una totale ed assoluta mancanza delle voci di spesa non riportate negli stessi tradisce l’assenza e
la particolare funzione di essi, impedendo ai condomini di rendersi conto di quali state le fatture e
le spese effettivamente pagate nell’anno di riferimento.
Infatti non vi e’ alcun cenno nei verbali dei termini contabili di essi, che sono essenziali per dar
conto agli interessati delle spese pregresse e di quelle future onde metterli, di fatto ed in concreto,
in grado di vagliare la correttezza contabile del bilancio anche rispetto alla ripartizione, gia’ fatta o
da fare, fra gli obbligati degli esborsi,elencati e motivati e quindi di comprendere la situazione contabile e finanziaria del Condominio.
Fondatamente parte attrice ha rilevato che “un consuntivo di chiusura di un esercizio finanziario
non puo’ prescindere dalle singole voci di spesa,dall’esatta indicazione dei totali delle uscite e
dell’entrate ,da una chiara ripartizione che consenta a ciascun condomino di poter concretamente
ed facilmente rendersi conto di tutte le somme maneggiate dall’amministratore in un anno di gestione”…, non distinguendosi cosi’ “le spese condominiali che l’amministratore avrebbe dovuto ripartire tra tutti i condomini ,dalle spese personali che lo stesso avrebbe dovuto addebitare in via
esclusiva al singolo beneficiario”.
Tale circostanza non puo’ che invalidare sotto tale punto delibera impugnata attenendo proprio alla stessa funzione essenziale del bilancio.
Peraltro, non si puo’ non evidenziare che la deliberazione e’ anche approssimativa perche’, in violazione del diritto degli interessati al controllo della sua regolarita’ e legittimita’ , in essa non si
fa’un esaustivo e chiaro cenno, nel relativo verbale, al valore delle singole quote millesimali dei
condomini e dei nominativi di coloro che l’hanno approvata ,rendendo cosi’ di fatto,oltremodo difficile ai condomini l’effettivo controllo sulla rilevanza effettiva della
maggioranza prevista dalle norme di assenti o al valore delle rispettive quote(Cassazione civile,
sez. II, 10/08/2009, n. 18192;Cassazione civile 31 marzo 2015 n. 6552 sez. II).
Andando al caso concreto,premesso come summenzionato, l’estrema genericita’ e approssimazione della redazione del verbale in esame, per quanto concerne il valore delle singole quote millesimali dei condomini e dei nominativi di coloro che l’hanno approvata essi, se pur non in modo
agile ed evidente, si possono ricavare “per differenza”. Infatti nella prima pagina del “Verbale del
Giorno 12/13.11.2009 risultano riportati i nomi dei condomini presenti (con una parentesi ed una
“d” affianco ad alcuni di essi,intendendosi,verosimilmente ,quelli con delega anche non risulta
chiaramente a quale condomino sia stata conferita la delega)e le quote millesimali dei predetti,risultano poi menzionati i condomini che si sono dissociati (N., D.C., B.) e la somma delle loro
quote millesimali(mm79) nonche’ la somma delle quote millesimali dei condomini che hanno approvato la delibera(mm 481).
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IL CONDOMINIO
La Suprema Corte in tema di delibere condominiali ha anche statuito che non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l’indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a
favore, tuttavia contenga, tra l’altro, l’elenco di tutti i condomini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l’indicazione, nominativa, dei condomini che si
sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle quote millesimali di cui gli
uni e gli altri sono portatori, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza,
(quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole ed il valore dell’edificio da essi rappresentato, nonché di verificare che la deliberazione stessa abbia in effetti superato il quorum richiesto dall’art. 1136 c.c.(Cassazione civile, sez. II, 19/11/2009, n. 24456).
Sicche’ solo sotto tale aspetto la condizione richiesta dalla legge,se pur con le riserve ed osservazioni surrichiamate, puo’ dirsi rispetta.
Con riferimento ai punti 2-3-4 dell’ordine del giorno relativo alla deliberazione impugnata e’ agevole rilevare come da verbale in atti che al riguardo l’assemblea non ha proprio deliberato: infatti su
tali punti vi sono state soltanto sommarie informazioni date dall’amministratore ai condomini, senza che costoro abbiano, nel contesto espresso alcuna volonta’ deliberativa di approvazione e disapprovazione di essa.
Tale circostanza emerge chiaramente da una lettura della predetta delibera in cui l’Amministratore
utilizza i termini “Rende edotta”; da’ lettura”; mette a conoscenza”.
Peraltro, anche in relazione agli atti ingiuntivi per i quali “l’Assemblea delibera di fare” in relazione
ai pagamenti insoluti dei Sigg. G. e D.C.,trattasi di delibera del tutto generica non fornendo alcun
dato significativo che consenta di determinare quale siano questi pagamenti insoluti e la loro entita’.
Per quanto concerne l’ipotizzata esistenza di conflitto di interessi tra i condomini deleganti e consiglieri delegati si premette che essa non puo’ essere dedotta come una mera ipotesi astratta ma
deve essere identificata in concreto una sicura divergenza tra le ragioni personali del condomino e
l’interesse istituzionale comune ,peraltro tale questione puo’ ritenersi assorbita dalle considerazioni suesposte. Peraltro,le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio,sia ai
fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo,compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il
diritto di voto. Quanto alle spese, si evidenzia che il Condominio convenuto e’ da ritenersi soccombente virtuale in riferimento alla rilevata cessazione della materia del contendere dato che,
contrariamente al suo assunto, si ritiene che per la riconferma degli incarichi agli organi condominiali non basti la maggioranza di cui al 3 co dell’art. 1136 c.c.
Si osserva che l’interpretazione maggioritaria degli art. 1135 e 1136 c.c. prima della novella e’ nel
senso che le deliberazioni dell’assemblea riguardanti la nomina e la conferma dell’amministratore
hanno contenuto ed effetti giuridici eguali e differiscono soltanto nella circostanza che la conferma
riguarda persona gia’ in carica mentre la nomina riguarda persona nuova. Anche per
l’approvazione della deliberazione di conferma dell’amministratore dopo la scadenza del mandato,
occorre,pertanto,un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la
meta’ del valore dell’edificio ex art. 1136 comma 4 c.c. , (in tal senso Cass. 1978,n.3797;
1978,n.2445), maggioranza questa non rinvenuta pero’ nella delibera impugnata.
In entrambi i casi e’ infatti necessario che l’amministratore riceva un’ampia fiducia da parte dei
condomini per l’espletamento dell’incarico(Cass. II 1994,n. 4269), ben potendo, del resto, venir
meno per condotte successive dell’amministratore, proprio quell’elemento fiducia iniziale.
Alla luce di tali considerazioni questo giudice aderisce all’orientamento giurisprudenziale suindicato secondo cui la disposizione dell’art. 1136 comma 4 c.c. che richiede per la deliberazione
dell’assemblea del condominio di edifici riguardante la nomina o la revoca dell’amministratore la
maggioranza qualificata di cui al comma 2 è applicabile anche per la deliberazione di conferma
dell’amministratore dopo la scadenza del mandato(Cassazione civile, sez. II, 04/05/1994, n.
4269).
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IL CONDOMINIO
Per completezza si evidenzia, inoltre che la conferma,dopo la novella legislativa, che nel raccordo
tra l’art. 1135 Ic.n. 1 c.c. e l’art. 1129 c .X c.c. mostra di avere optato per un durata biennale
dell’incarico e’ stato reputato che la “conferma” si verifica quando, alla scadenza del secondo anno l’assemblea ribadisca-formalmente ed espressamente -la scelta con un atto (la conferma) che
si sostanzia in una “nuova”nomina alle stesse condizioni del precedente contratto di mandato e
per lo stesso periodo, che e’ quello indicato dall’art. 1129 ,Xc.c.c. cioe’ un anno con rinnovo automatico in difetto di disdetta.
Posto quanto sopra, considerato che l’ente convenuto soccombe anche sulla questione pregiudiziale di nullita’ della citazione in rinnovazione ma non anche sulla mancata indicazione nel verbale
del novembre 2009 dei nominativi dei condomini e delle loro quote millesimali e tenuto altresi’ conto del contrasto giurisprudenziale in materia di conferma di amministratore , si ritiene di compensare le spese processuali al 40% tra le parti e di porle per il resto a carico dell’ente predetto e si
liquidano come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Tribunale di Taranto, seconda sezione civile , dott.ssa Enrica Di Tursi, sentiti i procuratori delle
parti nelle loro conclusioni, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione,decidendo sulla domanda di F.A. e altri nei confronti del Condominio sito in T. al Viale M.G.,n.110/132 proposta
con atto di citazione del 14-12-09,cosi’ provvede:
dichiara cessata la materia del contendere sul punto n. 1) dell’ordine del giorno relativo alla delibera impugnata circa la conferma dell’amministratore condominiale e dei consiglieri; accoglie la domanda attrice per quanto di ragione e per l’effetto annulla la deliberazione condominiale impugnata laddove approva il bilancio consuntivo 2008 e preventivo 2009; compensa le spese al 40% e le
pone per il resto a carico della parte convenuta liquidate in Euro 62,40 per esborsi ed Euro
2768,00 per compensi professionali,oltre accessori come per legge.
Così deciso in Taranto, il 4 dicembre 2015. Depositata in Cancelleria il 10 dicembre 2015
[1] Trib. Taranto sent. del 10.12.2015.
[2] L. 220/2012.
[3] Artt. 1135 e 1129 cod. civ.
[4] Art. 1136 co. 4, cod. civ.
[5] Trib. Cassino decr. n. 1186/16 del 21.01.2016.
[6] Trib. Milano, ord. del 7.10.2015.
[7] Art. 1129 cod. civ.
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IL CONDOMINIO
Revoca dell’amministratore di condominio: anche senza giusta causa
L’assemblea è libera di anticipare la
fine del mandato; al professionista
spetta però tutto il compenso
pattuito.
Per revocare l’amministratore di condominio
non c’è bisogno di fornire spiegazioni o motivazioni. La legge [1], infatti, stabilisce che
l’assemblea può revocare l’amministratore
in qualsiasi momento, anche nel corso del
mandato, e con la stessa maggioranza prevista per la sua nomina (maggioranza degli
intervenuti, e almeno 500 millesimi).
La revoca può avvenire anche senza una giusta causa: un recesso in tronco che non necessita di
un comportamento necessariamente colpevole da parte dell’amministratore. In tali casi, però,
l’amministratore ha diritto di ricevere il compenso per l’intero periodo del rapporto inizialmente
pattuito. È anche possibile, almeno ipoteticamente, che l’amministratore revocato senza giusta
causa si rivolga al Tribunale (e dapprima al condominio) pretendendo non solo il saldo del compenso totale, ma anche il risarcimento di eventuali danni che potrebbe sostenere di aver subito
in seguito alla prematura conclusione del mandato a suo tempo ricevuto.
La revoca dell’amministratore può avvenire solo tramite una espressa volontà dell’assembea con
le maggioranze sopra indicate. Tale regola non può essere derogata neanche dal regolamento di
condominio. L’amministratore revocato provvede a trasmettere tutta la documentazione in suo
possesso riguardante il condominio da lui amministrato ai singoli condomini.
Inoltre, onde evitare che il condominio subisca un danno (si pensi ad esempio al mancato pagamento dei contributi previdenziali del portinaio), l’amministratore revocato è obbligato a eseguire
le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni. Tutto ciò senza aver diritto, per
queste ulteriori attività, ad alcun compenso. Per evitare che il condominio resti privo di un organo
esecutivo, la riforma [1] ha stabilito che l’assemblea, convocata e riunita per votare sulla revoca
dell’amministratore, deliberi in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
Un’altra novità è la seguente: se il condominio non provvede alla nomina di un suo successore, lo
stesso amministratore dimissionario può rivolgersi al Tribunale chiedendo lui stesso che venga
nominato un nuovo amministratore.
La revoca dell’amministratore deve essere annotata (si tratta di uno dei quattro registri obbligatori
che deve avere il condominio) nell’apposito registro sul quale devono essere riportate, in ordine
cronologico, le date di nomina e revoca di ciascun amministratore.
Come ottenere la revoca dell’amministratore
Ci sono due strade per ottenere la revoca dell’amministratore.
La prima, più lineare, è quella di votarla in assemblea (anche senza giusta causa) e con la maggioranza degli intervenuti, e almeno 500 millesimi.
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IL CONDOMINIO
La seconda, più complessa, prevede che ci si possa rivolgere al Tribunale (anche senza essere
passati dall’assemblea) per ottenere la “revoca giudiziale”. Tuttavia tale soluzione è percorribile
solo in caso di comportamenti illeciti; è opportuno chiedere contestualmente la nomina di un nuovo amministratore.
Quando si può chiedere al tribunale la revoca dell’amministratore?:
Tutte le volte in cui l’amministratore venga meno agli obblighi inerenti al proprio mandato.
La legge indica delle ipotesi a titolo di esempio [1]. Si tratta di comportamenti che una volta posti
in essere dall’amministratore comportano il venir meno del rapporto di fiducia in virtù del quale
l’assemblea gli aveva affidato il mandato.
Le ipotesi di revoca
1. l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
2. la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni
dell’assemblea;
3. la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma;
4. la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio
del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini;
5. l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei
registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
6. qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva;
7. l’inottemperanza agli obblighi di cui all’articolo 1130, numeri 6), 7) e 9);
8. l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente
articolo.
Non è obbligatorio chiedere la convocazione dell’assemblea per ottenerne la revoca: per i comportamenti illegittimi, pertanto, anche il singolo condomino (e quindi da solo, senza bisogno di maggioranze o di numeri minimi) potrà rivolgersi direttamente al Tribunale competente. Quest’ultimo
provvederà con decreto motivato in camera di consiglio, sentito l’amministratore in contraddittorio
con il ricorrente. In due casi particolari ogni singolo condomino potrà però convocare direttamente
l’assemblea (senza passare dall’amministratore): gravi irregolarità fiscali e mancata apertura del
conto corrente condominiale.
Ciò che è cambiato con la recente legge di riforma, inoltre, è che ora il condomino che vuole ottenere la revoca giudiziale dell’amministratore potrà limitarsi a chiamare in giudizio proprio
quest’ultimo, senza doversi preoccupare di instaurare il contraddittorio, ritenuto prima necessario
da alcuni Tribunali, nei confronti di tutti i condomini.
[1] Art. 1129 cod. civ.
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IL CONDOMINIO
Come l’amministratore deve convocare l’assemblea di condominio
Contestazioni sulla validità della
delibera
per
mancato
invito
all’assemblea
con
l’ordine
del
giorno: come mettersi al sicuro.
Non poche volte le assemblee di condominio
vengono
contestate
perché
la convocazione,
da
parte
dell’amministratore, è stata assente o fatta
secondo forme non ufficiali. E questo perché, specie quando i rapporti tra le parti si
fanno più stretti, si cerca di risparmiare sui
costi di spedizione, inviando gli avvisi della riunione con un sms, un’email, un foglio nella cassetta
della posta o, addirittura, una raccomandata.
In tutti questi casi, comunque, la materiale presenza del condomino in assemblea sana il difetto
di convocazione, sicché quest’ultimo non potrebbe più contestare il vizio, salvo il deficit informativo sui punti all’ordine del giorno sui quali non abbia potuto prendere una compiuta informazione per esprimere un valido voto.
Ma come va comunicato l’avviso di convocazione? L’amministratore deve sempre prediligere sistemi che possano garantire la prova dell’avvenuta comunicazione: e quindi ben venga, sicuramente, la consueta posta raccomandata con avviso di ricevimento, che tuttavia è il sistema più
costoso e anche più lento, che spesso non garantisce il rispetto dei tempi di informazione prima
della riunione. Essa, però, dall’altro lato, offre la prova legale dell’invio della comunicazione.
Molto meglio far sì che i condomini si dotino di una posta certificata: in tal caso essi potranno risparmiare sul costo delle raccomandate (che comunque graverebbe sempre ai proprietari), a fronte di un servizio estremamente utile e riciclabile anche per svariati usi personali.
Esistono poi dei gestori di posta certificata che, a fronte di un esiguo numero di PEC ricevute o inviate in un anno, sono completamente gratuiti. In ogni caso, l’abbonamento annuale non supera le
50 euro (ma ve ne sono anche di più economici).
Nel caso delle raccomandate l’amministratore dovrà curare la conservazione degli avvisi di ricevimento, mentre nel caso della PEC quello delle email del gestore che certificano rispettivamente
la spedizione e la consegna dell’email certificata.
La consegna a mani, con sottoscrizione “per ricevimento” da parte del destinatario, è sicuramente la forma più problematica per l’amministratore che, in tal caso, sarà costretto a bussare porta a
porta ad ogni condomino e alle più disparate fasce di orario per poter essere ricevuto.
Alcuni condomini hanno adottato un sistema “misto”. L’amministratore immette nella cassetta della posta dei condomini l’avviso di convocazione, con onere da parte di questi di controfirmarlo per
ricevuta e immetterlo poi nella cassetta dell’amministratore. Per quanti non adempiono a tale incombente, scatta poi la raccomandata ufficiale e, quindi, anche l’addebito dei costi postali.
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IL CONDOMINIO
In ogni caso il codice civile [1] indica dei mezzi propri per le convocazioni: posta raccomandata,
posta elettronica certificata, fax, o consegna a mano, pena l’invalidità delle delibere assunte per
vizio di omessa convocazione. Tra l’altro, gli stessi mezzi, con le stesse accortezze, si possono
utilizzare per il successivo (e comunque obbligatorio) invio del verbale di assemblea.
La convocazione deve essere scritta e personale. Dunque non è sufficiente l’affissione
dell’avviso nella portineria o in bacheca o nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine
destinati neanche quando è obbligatoria come per la convocazione avente ad oggetto le modificazioni delle destinazioni di uso, per la quale è, comunque, previsto l’invio mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici [2].
Secondo la Cassazione [3] è irrilevante che un condomino, respingendo la raccomandata pervenutagli nei termini, si sia posto in condizione di non poter conoscere la data di convocazione, in
quanto ai fini della validità dell’assemblea è sufficiente che l’invito all’assemblea, indipendentemente dalla sua effettiva conoscenza, sia stato regolarmente eseguito dall’amministratore [4].
Attenzione, comunque, alla raccomandata. Essa pone un problema non di poco conto. Se il condomino ne contesti il contenuto, asserendo per esempio che nella busta non vi era, in realtà,
l’avviso di convocazione o, comunque, mancavano dei fogli, spetta all’amministratore una (pressoché impossibile) prova contraria [5]. In pratica, il mittente deve sempre provare il contenuto della raccomandata. Ecco perché, in questi casi, è sempre meglio utilizzare il sistema del foglio ripiegato su sé stesso (cosiddetta “Raccomandata senza busta” o “in foglio”), perché evita contestazioni di tale tipo (la spiegazione su come fare è nell’articolo “Come spedire una raccomandata
senza busta”).
[1] Art. 66, comma 3, disp. att. cod. dic. per come modificato dalla legge 220/2012.
[2] Art .1117 – ter, comma 2 cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 196/1970.
[4] Cass. sent. n. 6863/1982.
[5] Cass. sent. n. 4482/2015.
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IL CONDOMINIO
Inerzia dell’amministratore di condominio: quale difesa
Negligenza
dell’amministratore:
quando
agire
per
ottenere
il
risarcimento del danno subìto per la
condotta omissiva.
Non sono purtroppo pochi i casi
di negligenza dell’amministratore di condominio che, con il proprio comportamento
inerte, causi danni ai condomini e, talora,
anche a terzi. Ancor più spesso la censura
mossa al professionista è quella di mancata
esecuzione delle delibere assembleari,
compito che invece la legge [1] gli affida espressamente. Si tratta di uno dei compiti essenziali e
più rilevanti dell’incarico di amministratore e, perciò, è assai grave la condotta di
quell’amministratore che non agisca, restando inerte, per dare sollecita esecuzione ai contenuti
della delibera adottata dall’assemblea condominiale.
La legge stessa [2] prevede come reagire in tali circostanze stabilendo che, nel caso in cui non
vengano presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, o nei casi in
cui non venga eseguita la deliberazione presa dall’assemblea, ogni condomino può ricorrere
al giudice che, a sua volta, potrà anche nominare, in sostituzione e se necessario, un altro amministratore.
In tal modo, quindi, la legge stessa prevede come far fronte all’inerzia colpevole
dell’amministratore condominiale dando facoltà, anche ad un solo condomino, di ricorrere
al tribunale affinché siano adottati i provvedimenti necessari per gestire il condominio.
La legge [3], inoltre, autorizza il singolo condomino, ma solo quando sia necessario provvedere a
un’opera urgente (ad esempio: riparazione del tetto da cui sia imminente la caduta di calcinacci),
ad anticipare le spese (di cui poi chiedere il rimborso delle quote spettanti agli altri condomini), per
conto e nell’interesse del condominio intero e senza alcuna autorizzazione né dell’assemblea né
di un eventuale amministratore “distratto”.
In tale ipotesi, il condomino avrà diritto al rimborso da parte degli altri condomini a condizione, si
ripete, che la spesa sia urgente, che sia stata necessaria per la manutenzione di beni comuni e
che si possa, in qualche modo, dimostrarlo.
Ovviamente, in tutti i casi in cui l’inerzia dell’amministratore abbia prodotto un qualsiasi danno al
condominio (direttamente ai condomini o indirettamente perché subìto da terzi estranei che intendano rivalersi sul condominio), l’amministratore sarà tenuto a risarcire tale danno: si pensi, ad
esempio, ai maggiori danni che il ritardo dell’amministratore avrà prodotto su beni comuni che andavano riparati, oppure ai danni che terzi estranei avranno subìto per il ritardo nelle opere di manutenzione straordinaria già deliberate dall’assemblea.
[1] Art. 1130 Cod. civ.
[2] Artt. 1105 e 1139 Cod. civ.
[3] Art. 1134 Cod. civ.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
L’ASSEMBLEA DEI CONDOMINI
Assemblea di condominio: quali maggioranze?
Nomina e revoca amministratore,
spese ordinarie e straordinarie,
installazioni
e
modifiche:
ecco
quanti condomini devono essere
presenti in assemblea e quale
maggioranza serve per la validità
delle delibere.
Per la validità delle delibere assembleari è
necessario il rispetto di determinate maggioranze
relative
alla costituzione
dell’assemblea stessa e all’approvazione delle singole delibere.
In generale, se l’assemblea si riunisce in prima convocazione, sono valide le deliberazioni approvate dalla maggioranza degli intervenuti e con un numero di voti che rappresenti almeno la
metà del valore dell’edificio.
Invece, in seconda convocazione, sono valide le deliberazioni approvate dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno 1/3 del valore dell’edificio.
Vediamo nel dettaglio le maggioranze necessarie in base agli argomenti all’ordine del giorno sui
quali l’assemblea condominiale deve deliberare. Il numero dei condomini e i valori millesimali indicati si riferiscono all’assemblea in seconda convocazione.
AMMINISTRATORE E CONSIGLIERI DI CONDOMINIO
– Nomina, riconferma, revoca e compenso dell’amministratore: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno
1/2 dei millesimi;
– nomina dei consiglieri di condominio: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/3 dei millesimi.
SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE
– Manutenzione ordinaria e piccole riparazioni: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/3 dei millesimi;
– manutenzione straordinaria e riparazione di notevole entità: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno ½
dei millesimi;
– preventivi spese ordinarie annuali: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/3 dei millesimi;
– preventivi spesa riparazione di notevole entità: 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi;
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IL CONDOMINIO
– ripartizione delle spese di riscaldamento tra i condomini dell’impianto contabilizzato: 1/2 +1 degli
intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi;
– approvazione rendiconto annuale consuntivo e preventivo 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/3
dei millesimi;
– costituzione di un fondo speciale per la manutenzione straordinaria 1/2 +1 degli intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi.
MODIFICHE
– modifica delle destinazioni d’uso delle parti comuni: 4/5 dei condomini e almeno 4/5 dei millesimi
– modifiche che incidono sui diritti soggettivi sulle parti comuni o di proprietà esclusiva: tutti i condomini e il 100% dei millesimi;
– costituzione di una servitù a carico di tutto il condominio: tutti i condomini e il 100% dei millesimi;
– vendita o cessione di beni comuni: tutti i condomini e il 100% dei millesimi.
MODIFICHE E RETTIFICHE DEI MILLESIMI
– In generale modifica dei millesimi di proprietà: tutti i condomini e il 100% dei millesimi;
– modifica necessaria per correggere un errore: 1/2+1 degli intervenuti e almeno ½ dei millesimi;
– modifica nel caso di sopraelevazione, incremento di superfici o incremento o diminuzione di unità immobiliari, che alterano per più di 1/5 il valore proporzionale anche di una sola unità immobiliare: 1/2+1 degli intervenuti e almeno ½ dei millesimi.
INNOVAZIONI E INSTALLAZIONI
– Innovazioni per il miglioramento delle cose comuni: 1/2+1 degli intervenuti e almeno 2/3 dei millesimi;
– innovazioni che possono creare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne
alterino il decoro architettonico, che rendano alcune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino: tutti i condomini e il 100% dei millesimi;
– sopraelevazione pregiudizievole per le condizioni statiche, per l’aspetto architettonico o che arrechi una notevole diminuzione di aria o di luce ai piani sottostanti: tutti i condomini e il 100% dei
millesimi;
– installazione di fonti di energia rinnovabile: 1/2+1 degli intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi;
– installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica: 1/2+1 degli intervenuti
e almeno 1/2 dei millesimi;
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IL CONDOMINIO
– installazione di antenne centralizzate, paraboliche satellitari e impianti via cavo: 1/2+1 degli intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi;
– interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti: 1/2+1 degli intervenuti e almeno 1/2 dei millesimi.
Per tutte le altre delibere per le quali la legge non prevede disposizioni specifiche sono previste
le seguenti maggioranze: 1/2+1 degli intervenuti e almeno 1/3 dei millesimi.
Autore: Maria Monteleone
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IL CONDOMINIO
L’avviso di convocazione dell’assemblea di condominio
Modalità di consegna dell’avviso di
convocazione, quanti giorni prima
va spedito, orario e luogo della
convocazione, ordine del giorno,
varie ed eventuali, richiesta di
trattazione da parte dei condomini.
Condominio: l’avviso di convocazione
dell’assemblea deve contenere una specifica indicazione dell’ordine del giorno (O.D.G.) e va comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per la
prima adunanza.
Sulle modalità di convocazione dell’assemblea dei condomini si consumano spesso numerose contestazioni che, spesso, vengono risolte solo dall’intervento del giudice (si ricorda, però, che
prima della causa in tribunale è necessario, attualmente, tentare la mediazione presso uno degli
organismi abilitati). Ecco perché è necessario puntualizzare alcune questioni onde evitare inutili
contenziosi.
ORARIO DELLA CONVOCAZIONE
In mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione
di un’assemblea condominiale purché tutti condomini siano messi in grado di partecipare; né la
fissazione dell’assemblea in ora notturna può ritenersi completamente preclusiva della possibilità
di parteciparvi.
DATA DELLA CONVOCAZIONE
Non esiste una data particolare in cui deve essere convocata l’assemblea ordinaria annuale. In alcuni casi i regolamenti di condominio fissano un termine entro il quale l’amministratore dovrà rendere il conto della propria gestione e convocare l’assemblea. In genere appare logica la convocazione dell’assemblea in data successiva alla chiusura della gestione annuale, in modo che
l’amministratore oltre a rendere il conto consuntivo, sia in grado di sviluppare un preventivo di
spesa per l’anno successivo.
LUOGO DELLA RIUNIONE
L’amministratore normalmente ha un proprio ufficio dove possono essere svolte le riunioni. In caso
di condomini numerosi si è soliti prendere in affitto un locale per l’assemblea. Il locale deve essere
idoneo a consentire a tutti i condomini di partecipare ordinatamente alla discussione. È nulla, e
quindi impugnabile anche dai condomini che vi hanno partecipato, la delibera condominiale se la
convocazione non indica il luogo della riunione.
PUNTI ALL’O.D.G., VARIE ED EVENTUALI
In assemblea non è possibile discutere punti non previsti nella convocazione.
Nelle “varie ed eventuali” possono essere affrontate solo materie da porre in discussione in una
prossima assemblea oppure aggiornamenti da parte dell’amministratore su attività in corso.
MODALITÀ DI CONVOCAZIONE
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IL CONDOMINIO
Il modo più sicuro per convocare l’assemblea è quello della raccomandata; è consentita anche la
raccomandata semplice, ma l’avviso di ricevimento è necessario qualora sorgano contestazioni
sull’effettivo ricevimento del plico.
La convocazione deve essere ricevuta dal condomino-proprietario (o inquilino) almeno 5 giorni
prima della data di convocazione.
L’amministratore può scegliere di convocare i condomini anche a mezzo email, purché si tratti
di posta elettronica certificata: in particolare si deve trattare di una Pec partita dall’indirizzo certificato dell’amministratore e spedita all’indirizzo Pec del condominio.
Non è valida la spedizione da Pec a mail ordinaria (o viceversa). Altrettanto non è valida la spedizione da mail ordinaria a mail ordinaria, a meno che il condomino non dichiari, sottoscrivendo
di proprio pugno la mail stampata, di averne preso visione (l’originale sottoscritto andrà consegnato all’amministratore).
Stesso discorso per il caso di consegna della convocazione con avviso immesso nelle cassette
delle lettere a cura dell’amministratore: tale forma è valida solo se il condomino sottoscrive il foglio
e lo riconsegna all’amministratore. Infatti, la “consegna a mano” presuppone la firma per ricevimento da parte del condomino o di un famigliare convivente.
Con la riforma si è reso possibile la notifica dell’avviso attraverso fax. In questo caso la prova della consegna nei termini è costituita dal report di trasmissione.
CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DA PARTE DEI CONDOMINI
Se alcuni condomini vogliono discutere in assemblea una determinata questione possono farne
richiesta all’amministratore. Quest’ultimo, tuttavia, è obbligato a inserire la questione all’ordine del
giorno solo se l’istanza è stata sottoscritta da almeno due condomini che rappresentino un sesto
del valore dell’edificio.
Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i condomini possono provvedere direttamente alla
convocazione.
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IL CONDOMINIO
Condominio: chi può impugnare la delibera dell’assemblea?
Soggetti con legittimazione attiva a
impugnare
in
tribunale
o
in
mediazione
la
decisione
dell’assemblea
di
condominio:
inquilino, padrone di casa, chi si
allontana, chi vota contro, ecc.
Non sempre è facile individuare quale soggetto
può
impugnare
la delibera
dell’assemblea di condominio e questo
perché sono numerose le ipotesi che potrebbero configurarsi. Cerchiamo di analizzare tutti i possibili casi.
Chi può impugnare la decisione dell’assemblea?
Innanzitutto per poter impugnare una delibera assembleare è necessaria la qualità di condomino.
Quindi, colui che abbia firmato solo il compromesso non ha alcuna voce in capitolo.
Inoltre, i condomini che possono impugnare la delibera sono:
– quelli che erano assenti all’assemblea
– o dissenzienti all’assunzione della delibera
– o astenuti dal voto.
Secondo la Cassazione [1] ha diritto a impugnare anche il condomino che si è allontanato
dall’assemblea, salvo che non abbia conferito delega ad altro soggetto che abbia votato a favore
della delibera.
Inquilino o padrone di casa, usufruttuario o nudo proprietario?
Il condomino non proprietario dell’immobile non ha diritto a impugnare una delibera riguardante
le spese straordinarie perché manca l’interesse concreto, in quanto tali oneri devono essere sostenuti solo dal proprietario. Non contano né i vincoli di parentela tra chi abita un alloggio e chi ne
è titolare, né il fatto che il destinatario degli avvisi di convocazione dell’assemblea sia sempre stato chi vive nell’immobile. Quindi quando si trattano atti di straordinaria manutenzione, solo il nudo proprietario dell’immobile ha diritto a partecipare all’assemblea e ad essere convocato. È quanto ricordato questa mattina da una sentenza della Corte di Appello di Milano [2] (nel caso di
specie è stato negato il diritto a impugnare al condomino titolare del solo diritto di abitazione e
non proprietario di un immobile, ma padre di questi).
Al contrario, l’inquilino può impugnare la delibera solo per quelle assemblee cui ha partecipato,
aventi ad oggetto l’approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi
di riscaldamento e di condizionamento d’aria [3].
Chi non può impugnare la delibera dell’assemblea?
Non sono legittimati ad impugnare i condomini che:
– hanno votato a favore della delibera; in tal caso, il divieto di impugnare riguarda non solo la delibera nei cui confronti non si sia dissentito, ma anche tutte quelle successive che ne costituiscono
una conferma o una mera esecuzione della precedente;
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IL CONDOMINIO
– non hanno partecipato all’assemblea ma hanno conferito delega, se il delegato ha votato a favore della delibera;
– hanno aderito o accettato implicitamente irregolarità formali della delibera;
– nel caso di comproprietari che abbiano nominato un loro rappresentante in assemblea, qualora
questi abbia votato a favore della decisione.
Non possono inoltre impugnare una delibera assembleare in quanto estranei al condominio:
– l’amministratore del condominio a meno che, eccezionalmente, non impugni l’invalidità della
delibera nell’interesse del condominio per contrastare la domanda giudiziale di un condomino fondata sull’esistenza di quella delibera invalida;
– il condomino che ha venduto l’immobile dopo che si è perfezionato il trasferimento di proprietà,
in quanto ha perso la qualità di condomino;
– il conduttore non validamente avvertito dal proprietario, per le assemblee cui ha diritto di voto
(può solo esercitare un’azione di risarcimento danni nei confronti del proprietario);
– il nuovo acquirente di un immobile condominiale fino al momento della notifica (o comunque della notificazione) dell’avvenuto passaggio di proprietà [4].
[1] Cass. sent. n. 1208/1999.
[2] C. App. Milano sent. n. 954/15.
[3] Art. 10 L. 392/78, Cass. sent. n. 4588/1995.
[4] Cass. sent. n. 1176/1980.
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IL CONDOMINIO
Entro quanto impugnare una delibera di condominio?
Condominio,
delibere
dell’assemblea nulle o annullabili: i
termini
di
impugnazione
e
di
decadenza per agire in giudizio.
Le delibere dell’assemblea di condominio
devono essere impugnate entro 30 giorni
nel caso di vizio di annullabilità (v. meglio
sotto). Non ci sono termini invece nel caso
di delibera viziata da nullità: l’azione di nullità, infatti, può essere proposta in qualunque tempo, non ha cioè termini
di decadenza, salvo che la delibera stessa, nel frattempo, sia stata sostituita con altra priva di vizi
(in tal caso non è più impugnabile).
Annullabilità
Le delibere contrarie alla legge o al regolamento condominiale possono essere impugnate, sotto
pena di decadenza, entro il termine di 30 giorni (art. 1137 c. 2 c.c.), che decorre:
– per i dissenzienti e gli astenuti dalla data della delibera;
– per gli assenti, dalla data di comunicazione della delibera, cioè dal momento in cui ricevono il
verbale.
Si tratta di un termine perentorio di decadenza.
Il termine è soggetto alla sospensione feriale dei termini processuali dal 1° agosto al 31 agosto
di ogni anno (in applicazione di quanto avviene in materia di impugnazione di delibere societarie).
Una volta decaduto il termine, la delibera non può più essere impugnata ed è valida ed efficace;
essa produce pertanto i suoi effetti nei confronti di tutti i condomini, anche di quelli dissenzienti o
non convocati che non hanno impugnato.
La decadenza dei termini va eccepita dal condominio entro e non oltre i termini di costituzione
tempestiva: tale decadenza, infatti, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Quando la delibera è nulla?
Sono nulle le delibere:
– prive degli elementi essenziali;
– con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume);
– con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea;
– che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini;
– comunque invalide in relazione all’oggetto.
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IL CONDOMINIO
Quando la delibera è annullabile?
Sono considerate annullabili le delibere:
– affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari, attinenti
al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea;
– genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione;
– con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea;
– adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale;
– che violano norme che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto.
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IL CONDOMINIO
L’inquilino può partecipare e votare in assemblea di condominio?
Diritti
del
conduttore
di
partecipazione
all’assemblea,
convocazione
da
parte
dell’amministratore, giorno e orario,
usufruttuario.
Con la riforma del condominio, è stato definitivamente
consacrato
il
diritto
del conduttore (inquilino) a partecipare
all’assemblea di condominio, almeno in
determinate materie in cui quest’ultimo può
essere interessato.
Il padrone di casa (locatore) resta competente in relazione a gran parte delle materie attribuite
alla cognizione dell’assemblea condominiale, in quanto conserva pur sempre la disponibilità giuridica dell’immobile. Il condomino-conduttore, invece, può essere convocato in assemblea (in
rappresentanza dell’unità immobiliare di cui ha il godimento) e può, in quella sede, esercitare
il diritto al voto, solo in relazione ad un numero ristretto e specifico di materie: in particolare, le
delibere dell’assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi
di riscaldamento e di condizionamento d’aria. Egli ha inoltre diritto di intervenire, senza diritto di
voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni. Pertanto, spetta
all’amministratore procedere alla convocazione dei conduttori. Nel caso di mancata convocazione, l’inquilino ha diritto di impugnare la deliberazione entro 30 giorni dalla sua comunicazione.
Spirato tale termine, non è più possibile impugnarla e la nullità si sana. I presenti in assemblea,
pertanto, dovranno cautelativamente sospendere ogni discussione se fosse accertato che
l’amministratore non ha proceduto alla convocazione. Il diritto di voto in capo ai conduttori potrebbe cambiare il quorum necessario per le approvazioni. Infatti, nel caso in cui un condomino
avesse la proprietà di più unità immobiliari oggetto di locazione, aumenta il numero degli aventi
diritto al voto solo per la parte del riscaldamento (quorum per teste). I millesimi, invece, rimangono gli stessi. È stato ritenuto, in ogni caso, a carico del locatore, già prima della riforma, un obbligo di informazione relativamente alla convocazione dell’adunanza assembleare, il cui inadempimento legittima il conduttore a rifiutare il rimborso delle maggiori spese conseguenti a delibere
assunte in sua assenza. Ma tale violazione, da parte del locatore, non dà al conduttore il diritto a
chiedere la risoluzione del contratto di affitto.
DIRITTI DELL’USUFRUTTUARIO
Quanto all’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio, egli ha il diritto di voto negli
affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni.
Nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta ai proprietari, salvo alcune eccezioni [1].
[1] Si tratta dei casi in cui l’usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all’articolo 1006 cod. civ. ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli articoli 985 e 986 cod. civ. In tutti questi casi l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia all’usufruttuario sia al nudo proprietario.
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IL CONDOMINIO
Assemblea di condominio, deleghe e convocazione: come opporsi
Divieto di delega all’amministratore
per la partecipazione all’assemblea
condominiale e limiti alle deleghe
ad altri condomini: con la legge di
riforma del condominio entrata in
vigore nel 2013 è stato previsto il
divieto alla possibilità da parte dei
condomini di conferire deleghe
all’amministratore
per
la
partecipazione ed il voto in sede di
assemblea condominiale e limiti
precisi alle deleghe a favore di altri
condomini.
Tra le più interessanti novità che la recente riforma del condominio ha introdotto a partire dal giugno 2013 [1], vi è sicuramente la modifica della normativa [2] che disciplina la possibilità
di delegare altre persone alla partecipazione, e quindi, al voto, in sede di assemblea condominiale.
Le nuove norme hanno confermato la possibilità per il condomino di farsi rappresentare in sede di
assemblea condominiale, conferendo però necessariamente una delega scritta (in precedenza
non era obbligatoria la forma scritta dell’atto di delega).
Tale delega non può in nessun caso essere conferita all’amministratore condominiale. Nel caso
in cui i condomini siano più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e dei millesimi.
Sono state espressamente previste diverse forme di trasmissione della delega al condomino delegato: essa, infatti, potrà essere spedita via posta ordinaria (si consiglia la raccomandata per
avere certezza della spedizione e della ricezione) oppure a mezzo di posta elettronica (molto
meglio se certificata) o anche a mezzo fax e, naturalmente, potrà sempre essere consegnata a
mani dal delegante al delegato.
Il regolamento condominiale può prevedere limiti più rigorosi al divieto di cumulo di deleghe (divieto di rappresentare più di un quinto dei condomini e dei millesimi nei condomini con più
di venti proprietari). Invece sarà nulla la clausola del regolamento condominiale che dovesse prevedere limiti meno rigorosi di quelli fissati dalla legge.
Nel caso in cui una deliberazione sia stata adottata con il voto favorevole di un condomino che
rappresentava altri condomini ma eccedendo i limiti fissati dalla riforma del condominio, tale deliberazione si ritiene possa essere considerata annullabile, ma andrà impugnata entro trenta giorni
dalla sua adozione se il condomino impugnante era presente alla assemblea o dalla data in cui la
delibera gli è stata comunicata se era assente.
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IL CONDOMINIO
La delibera resta valida se la maggioranza necessaria alla sua approvazione sarebbe stata comunque raggiunta anche senza il voto favorevole di condomino o condomini forniti di deleghe in
eccesso a quelle consentite.
Un’assemblea di condominio, convocata con un anticipo di a soli 5 giorni dalla tua tenuta,
può essere valida? Nei 5 giorni sono da considerare anche i giorni festivi?
L’avviso di convocazione contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione.
Si specifica che tale convocazione può avvenire non solo mediante posta raccomandata ma anche fax, posta elettronica certificata o consegna a mano. Può comprendere i giorni festivi e, se
giunta cinque giorni prima, è correttamente inviata.
[1] Legge n. 220 del 2012.
[2] Art. 67 delle disp. att. cod. civ.
Autore: Angelo Forte
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IL CONDOMINIO
IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Condominio: la mancata approvazione del regolamento assembleare
In caso di mancata
approvazione
del
regolamento di natura
assembleare,
i
condomini
possono
rivolgersi al giudice
per
la
sua
approvazione?
Nel caso in cui i condomini
siano
più
di dieci,
l’assemblea deve adottare
un regolamento di condominio [1].
Nel caso di comprovata inerzia dell’assemblea o di mancato raggiungimento delle maggioranze richieste, dunque, ciascun condomino può ricorrere all’autorità giudiziaria, predisponendo
una bozza di regolamento.
Per quanto riguarda le tabelle millesimali, invece, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che se
ne possa ottenere la formazione in via giudiziale anche nei condomìni con meno di dieci condomini: ciascun condomino può agire per la formazione giudiziale di tabelle millesimali che riflettano
l’effettivo rapporto tra i valori delle diverse unità immobiliari di cui si compone l’edificio condominiale [2].
[1] Art. 1138 cod. civ.
[2] C. App. Palermo sent. del 22.03.2011.
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IL CONDOMINIO
Regolamento condominiale: il costruttore non può riservarsi di redigerlo dopo
i rogiti
Nulla
la
clausola
contrattuale con la quale
il costruttore si riserva la
facoltà
di
redigere
il
regolamento
di
condominio
dopo
la
vendita
degli
appartamenti.
Condominio: è nulla la clausola contenuta nel contratto di
vendita di un immobile con cui
il costruttore dell’edificio si riserva il diritto di redigere, in un momento successivo al rogito, il regolamento condominiale. Non
avrebbe, infatti, alcuna efficacia tale regolamento redatto, dal medesimo costruttore, dopo la vendita dell’appartamento.
Da ciò discende un ulteriore e importante effetto: se il costruttore, in tale regolamento, si riserva
la proprietà esclusiva di alcune parti dell’edificio che, invece, di norma, sono in comunione (per
es.: aree all’aperto, lastrico solare, ecc.) tale riserva non ha alcun effetto nei confronti degli acquirenti.
Lo ha stabilito la Cassazione con una recente sentenza [1].
In pratica, quanto sostiene la Cassazione è che la riserva di proprietà, effettuata dal costruttore
su parti dell’edificio che, di norma, rientrano nella comunione di tutti i condomini, dev’essere fatta
prima della cessione della prima unità immobiliare. Superato, infatti, tale momento, sarebbe
inefficace ogni riserva e, quindi, anche il regolamento di condominio.
Dottrina e giurisprudenza [2] ritengono possibile che l’originario costruttore possa riservarsi la facoltà di redigere, autonomamente, il regolamento condominiale. In tal caso (come quello in cui il
regolamento sia stato sottoscritto e votato, all’unanimità, da tutti i condomini) si parla di “regolamento contrattuale”.
Inoltre, proprio perché approvato dall’unanimità, il regolamento contrattuale può contenere limitazioni ai diritti dei singoli condomini sulle parti di loro proprietà esclusiva e sulle parti in comunione.
In buona sostanza il regolamento contrattuale può rappresentare quel “titolo” in grado di far venire
meno la condominialità di un bene [3].
Perché il regolamento sia pienamente valido ed efficace nei confronti degli acquirenti degli appartamenti è necessario che esso già esista al momento della stipula del primo contratto di compravendita. Infatti, il regolamento può essere vincolante solo a condizione che venga richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto solo rispetto a quanti hanno acquistato
appartamenti dopo la sua redazione, ma non anche per coloro che abbiano acquistato prima della
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IL CONDOMINIO
predisposizione del regolamento stesso. E ciò vale anche se, nell’atto di acquisto, sia posto a loro
carico l’obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro.
Pertanto è nulla la clausola che dà mandato al costruttore di redigere il regolamento in un momento successivo alle vendite.
Vi è però una sola eccezione: il regolamento può vincolare l’acquirente solo se, dopo la sua redazione, quest’ultimo vi presti adesione, confermandolo e approvandolo espressamente.
[1] Cass. sent. n. 8606/14 dell’11.04.2014.
[2] Cass., SS.UU., sent. n. 943/1999.
[3] Da considerarsi tale ex art. 1117 c.c. o comunque per la sua destinazione e funzione (sul concetto di condominialità e presunzione di condominialità ex art. 1117 cod. civ. cfr. Cass., SS.UU., sent. n. 7449/93).
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IL CONDOMINIO
TABELLE MILLESIMALI
Tabelle millesimali: approvate a maggioranza e non più all’unanimità
Non
è
più
richiesta
l’unanimità dei consensi
per l’approvazione da parte
dell’assemblea
condominiale delle tabelle
millesimali.
La Cassazione, con la recente
sentenza di maggio 2013 [1], ha
confermato il principio di diritto
già stabilito dalle Sezioni Unite [2] nel 2010 e cioè che è legittima l’approvazione delle tabelle
millesimali a maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresenti almeno la metà del
valore dell’edificio.
È sufficiente, quindi, che all’assemblea condominiale partecipino la maggioranza dei condomini,
non essendo più richiesta la presenza di tutti, e che detta maggioranza rappresenti almeno il 50%
del valore dell’edificio.
La suddetta sentenza, di fatto, pone le basi per il permanere di questo orientamento anche per il
periodo successivo all’entrata in vigore della riforma del condominio nel prossimo mese di giugno.
Infatti, la legge di riforma della materia condominiale prevede [3] che le tabelle millesimali possano essere modificate anche nell’interesse di un solo condomino e con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e la metà del valore dell’edificio.
[1] Cass. sent. n. 11387 del 13 maggio 2013.
[2] Cass. sent. Sez. Un. n. 18477 del 9 agosto 2010.
[3] Art. 23 della Legge 11 dicembre 2012 n. 220 sulla riforma del condominio.
Autore: Nicola Angelo Rondinelli
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IL CONDOMINIO
Pulizia scale: quale tabella per le spese condominiali?
In quale tabella va inserita la pulizia
delle scale?
Circa il criterio per ripartire, in condominio,
le spese per la pulizia delle scale (indifferentemente dalla presenza o meno
di un ascensore nel palazzo), la giurisprudenza ha elaborato diversi criteri: da ultimo
si è ritenuto che debba applicarsi in maniera
integrale il criterio dell’altezza del piano
[1]. Ove si decida di adottare questo tipo di
riparto, occorrerà predisporre un’apposita
tabella di ripartizione delle spese per la pulizia e l’illuminazione del vano scale. In buona sostanza, quando l’amministratore dovrà ripartire i costi per la pulizia e/o l’illuminazione delle scale, non
dovrà far riferimento alla normale tabella dei millesimi in base alla quale ripartisce le altre spese
comuni dell’edificio, ma dovrà utilizzare questa seconda tabella ove chi abita ai piani più alti pagherà di più di chi, invece, abita al primo o secondo piano. La progressione nella ripartizione degli
oneri condominiali è, appunto, correlata all’altezza del piano.
[1] Cass. sent. n. 432/2007.
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IL CONDOMINIO
Condominio: divisione delle spese se mancano le tabelle millesimali
La ripartizione delle spese in un
edificio con o senza tabelle: è il
giudice che deve decidere.
Come si dividono le spese di condominio se l’assemblea non ha mai deliberato
le tabelle millesimali? Il chiarimento proviene
da
una
sentenza
della Cassazione pubblicata ieri [1]. In tali casi, spetta al Giudice stabilire i criteri di ripartizione delle spese condominiali, seguendo
le norme di legge in materia.
Non è la prima volta che la Corte afferma tale principio. Già in passato [2] i giudici supremi avevano precisato che, in tema di riparto delle spese condominiali, se non è possibile fare riferimento ad
una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il singolo abitante non può sottrarsi dal pagamento della rispettiva quota; quindi, nel caso agisca presso un Tribunale spetterà al giudice
stabilire se la pretesa avanzata dal Condominio sia conforme ai criteri di ripartizione che, determinati in base ai valori delle singole quote di proprietà, sono delineati dalla legge.
In tal caso il giudice dovrà determinare, anche senza una specifica richiesta della parte, i valori di
piano o porzioni di piano espressi in millesimi. Questo principio è posto per assicurare che le
condizioni di corretta gestione dello stabile, anche senza una valida tabella millesimale, siano osservate e affinché non si legittimino situazioni di sottrazione dall’obbligo di contribuire alle spese
condominiali.
La ripartizione della spesa proporzionale
La legge prevede due regole per la ripartizione delle spese: la regola di ripartizione proporzionale e quella della ripartizione secondo utilizzo.
La ripartizione proporzionale è quella che viene effettuata attraverso le cosiddette tabelle millesimali. La conservazione e la gestione delle parti comuni, il funzionamento dei servizi condominiali e le innovazioni deliberate comportano delle spese che i condomini sono tenuti a sopportare in
proporzione
al
valore
della
loro
proprietà.
Ciò in considerazione della circostanza che ciascuna unità immobiliare ha un valore diverso rispetto
all’intero
edificio.
È comunque fatta salva una diversa volontà dei condomini.
Il valore della proprietà di ciascuno è determinata dai millesimi posseduti, secondo la tabella millesimale generale del condominio.
Sta al singolo proprietario di una unità immobiliare dimostrare la scorrettezza della ripartizione per
millesimi di valore dei costi per la manutenzione di un bene comune del quale egli, in concreto non
ritiene di poterne usufruire.
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IL CONDOMINIO
La ripartizione secondo l’utilizzo
Poiché non tutte le cose comuni sono in concreto destinate a servire tutti i condomini in uguale
misura, la legge prevede, salvo sempre un diverso accordo, per i due seguenti casi un criterio diverso da quello della ripartizione proporzionale:
– se si tratta di parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne. Ad esempio, si pensi consumo dell’acqua
potabile, alle scale e agli ascensori;
– se invece un edifico è dotato di più scale, cortili, lastrici, opere ed impianti destinati a servire solo
una parte dell’edificio stesso le spese sono poste a carico di chi ne trae utilità. Ad esempio, si
pensi al lastrico solare che copra solo alcuni appartamenti e non altri.
Tali spese non possono dunque essere poste a carico dei condomini che non ne traggono utilità.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 1548
Presidente Mazzacane – Relatore Oricchio
Considerato in fatto
C.M. , condomino dell’edificio di via (omissis) opponeva, con rituale citazione, il D.I. provvisoriamente
esecutivo
n.
253/2001
emesso
dal
Tribunale
di
Roma.
Con tale provvedimento monitorio veniva ingiunto il pagamento della somma di L. 21.251.202 asseritamente
dovuta
per
oneri
condominiali
inevasi.
Il C. chiedeva l’annullamento e la revoca dell’opposto D.I. in quanto emesso in base a pretesa
creditoria del Condominio non fondata su dati certi e sulla esistenza di tabelle millesimali approvate.
Costituitosi in giudizio l’opposto Condominio si opponeva alla domanda dell’opponente e chiedeva
il
rigetto
dell’opposizione.
Con sentenza n. 253/2002 l’adito Tribunale di Roma – Sezione Distaccata di Ostia accoglieva
l’opposizione ritenendo, in particolare, che la parte opposta – attrice in senso sostanziale – non
aveva
fornito
la
prova
dell’esistenza
e
dell’entità
del
credito
ingiunto.
Avverso la suddetta decisione del Giudice di prime cure interponeva appello il Condominio, chiedendo
la
riforma
della
gravata
sentenza.
Resisteva al proposto gravame il C. , che chiedeva la conferma dell’impugnata sentenza.
Con sentenza n.553/2010 la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame e condannava
l’appellante
al
pagamento
delle
spese
del
grado.
Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorre il Condominio con atto affidato
a
due
ordini
di
motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio, ex “art. 360, n. 3 c.p.c. di violazione e/o falsa
applicazione di norme di legge in relazione agli artt. 63 disp. att. e 2697 c.c.”.
Col motivo qui in esame si deduce, in sostanza, che “la produzione del verbale dell’assemblea
condominiale che approva il rendiconto” sarebbe di per sé idonea a soddisfare le condizioni di
ammissibilità
richieste
per
l’adozione
del
decreto
ingiuntivo.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio, ex “art. 360, n. 3 c.p.c. di violazione e/o falsa applicazione di norme di legge in relazione all’art. 69 disp. att. c.c.”.
Parte ricorrente si duole dell’erroneità dell’impugnata sentenza in quanto anche in assenza di valide tabelle, il singolo condomino non poteva sottrarsi all’obbligo pagamento ed in quanto il Giudice
stesso adito avrebbe dovuto determinare egli stesso i valori in base ai quali ripartire le spese.
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IL CONDOMINIO
3.- I due esposti motivi possono essere trattati congiuntamente attesa la loro continuità e contiguità argomentativa e logica. Entrambi sono fondati. L’impugnata sentenza ha correttamente ritenuto,
nella
fattispecie,
la
legittimità
dell’opposto
D.I.:
Ha ritenuto, altresì, che nell’instaurato e svolto giudizio di opposizione il “condomino opponente
ben poteva contestare la validità ed efficacia del decreto ingiuntivo” e che al Condominio spettava
“l’onere di fornire la prova”. Orbene le affermazioni poste a base del decisum dalla gravata decisione appaiono carenti rispetto alla corretta interpretazione ed applicazione delle norme e dei
principi ermeneutici applicabili nella fattispecie. Tanto attesa la particolarità della vicenda in esame
contrassegnata dalla pacifica assenza di una valida ed approvata tabella millesimale di ripartizione
delle spese deliberate dall’assemblea condominiale. Nell’ipotesi la delibera alla cui stregua venivano ripartite le spese (idonea di per sé alla valida emissione dell’opposto D.I.) ben poteva ritenersi non adeguatamente idonea a comprovare nel giudizio di opposizione la pretesa creditoria
del Condominio. Tanto in dipendenza dell’accennata inesistenza di valide tabelle eccepita
dall’opponente.
In tal caso, tuttavia (e anche al fine di evitare comunque una sorta di esenzione generalizzata del
pagamento a carico del debitore) incombeva comunque al Giudice un onere. E tutto ciò alla stregua, anche per effetto del principio di seguito affermato, di una corretta applicazione delle norme
invocate
con
il
primo
motivo
del
ricorso
in
esame.
In particolare vi era un obbligo di verifica dell’esistenza, validità ed efficacia della delibera in conformità del valore delle singole posizioni condominiali anche in assenza tabelle regolari.
Ed, ancora, se la pretesa del Condominio era o meno conforme a criteri di ripartizione. Giova,
specificamente e con precipuo riferimento al secondo motivo del ricorso, raffermare il principio già
affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di riparto di spese condominiali, qualora non
possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata da tutti i condomini, il condomino non
può sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti del singolo condomino sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo ai
valori delle singole quote di proprietà sono stabiliti dalla legge in “subiecta materia”, determinando
egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o
di porzioni di piano espressi in millesimi” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 30 luglio 1992, n. 9107).
L’esposto, condiviso e qui ribadito principio rinviene la sua evidente ratio nella necessità di assicurare comunque le condizioni di corretta continuità gestionale dell’ente condominiale, atteso che –
in assenza di una valida approvata tabella ed al cospetto dell’opposizione di un condominio- non
potrebbe comunque crearsi e legittimarsi una situazione di totale sottrazione all’obbligo di contribuire
alle
spese
comuni
e,
quindi,
di
paralisi
del
condominio
stesso.
4.- Il ricorso deve essere, dunque, accolto con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza
e rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, affinché la stessa decida la controversia
uniformandosi al principio innanzi formulato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.
[1] Cass. sent. n. 1548/16 del 27.01.2016.
[2] Cass. sent. n. 9107/1992.
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