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MEMORIE D’ARCHITETTURA.
IDENTITÀ E CONTINUITÀ DELLA MUSEUMSINSEL. PROGETTO PER IL SESTO MUSEO.
GIULIA MENESTRINA
VERONICA RIGAMONTI
TESI DI LAUREA MAGISTRALE
A.A. 2014-2015
RELATORE: PIER FEDERICO CALIARI_CORRELATORI: ARCH. SARA GHIRARDINI _ ARCH. PAOLO CONFORTI
POLITECNICO DI MILANO_SCUOLA DI ARCHITETTURA E SOCIETÀ_CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA DEGLI INTERNI
INDICE
ABSTRACT
9
INTRODUZIONE
11
1 BERLINO
15
1.1 CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA
OTTO E NOVECENTO
17
1.2 LA RICOSTRUZIONE SELETTIVA ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
25
1.3 L’ISOLA DELLA MEMORIA
1.3.1 ALTES MUSEUM
1.3.2 NEUES MUSEUM
1.3.3 ALTE NATIONALGALLERIE
1.3.4 BODE MUSEUM
1.3.5 PERGAMONMUSEUM
1.3.6 SCHLOSS
1.3.7 BAUAKADEMIE
31
35
39
43
45
47
49
55
2 IL SESTO MUSEO
61
2.1 BISOGNO DI CONTINUITÀ
2.1.1 IDENTIFICAZIONE DELL’AREA
2.1.2 IDENTITÀ FUNZIONALE
2.1.3 RAPPORTO CON LE PREESISTENZE
2.1.4 I TRE LAYER DI PROGETTO
63
65
67
69
73
2.2 L’ANTICO E IL MODERNO: DISTINGUERSI PER COMPLETARSI
2.2.1 UN BASAMENTO PER IL CASTELLO
2.2.1.1 RAPPORTO COL CONTESTO
75
77
79
5
INDICE
2.2.1.2 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEGLI INTERNI
2.2.1.3 PERCORSO ESPOSITIVO
2.2.2 DA ACCADEMIA A MUSEO: LA TRASMISSIONE DEL SAPERE COME FIL
ROUGE
2.2.2.1 FILOSOFIA PROGETTUALE NEL RAPPORTARSI CON LA
PREESISTENZA
2.2.2.2 IL TEATRO
2.2.2.2.1 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEGLI INTERNI
2.2.2.3 IL MUSEO
2.2.2.3.1 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO
2.2.2.3.2 PERCORSO ESPOSITIVO
81
83
XXX
87
89
91
95
97
99
101
CONCLUSIONI
107
APPENDICE
111
1. KARL FRIEDRICH SCHINKEL VITA E PENSIERO
1.1LA BERLINO DI SCHINKEL
1.2 PRINCIPALI OPERE BERLINESI
1.2.1 NEUE WACHE
1.2.2 SCHLOSSBRUCKE
1.2.3 SCALO DOGANALE
1.2.4 SCHAUSPIELHAUS
1.2.5 MONUMENTI A FEDERICO II
1.2.6 CHIESA DI FRIEDRICHSWERDER
113
117
119
121
123
125
127
129
131
BIBLIOGRAFIA
137
SITOGRAFIA
143
6
ABSTRACT
Due musei, un museo, un progetto per la Berlino contemporanea, che non solo rispetta
l’antica, ma la emula, nell’ansiosa ricerca di un’identità, o quantomeno del riscatto di
un’identità, che si sente d’aver perduto nel secolo scorso.
La quinta scenica del progetto è, quindi, una città più che eterogenea, ove spiccano gli
edifici più innovativi tra le ricostruzioni in stile di monumenti, musei, edifici simbolo dell’essere
Germania.
Confronto difficoltoso, ma altrettanto stimolante: la natura del progetto, il suo
linguaggio, dichiarano apertamente e senza timor di critica la nostra filosofia di rapporto con
tale realtà, ritenendo necessario, se non fondamentale, l’agire con mano sicura, piuttosto che
disegnare un mondo in sordina.
9
INTRODUZIONE
Il nostro lavoro è partito dal desiderio di confrontarsi, almeno in esercizio teorico, una volta
nella vita, con le grandi architetture del passato.
Vagliando svariate possibilità, ci siamo imbattute in questo lotto berlinese, diviso dalla
Sprea, a cavallo della Museumsinsel. Qui, non solo vi sono i suddetti monumenti, ma essi
non sono originali, bensì esito di restauri e ricostruzioni in stile, il che rende il nostro lavoro
ancora più ricco di spunti e temi di discussione. Come rispondere all’idea di ricostruzione?
Come porsi nella diatriba tra storia, storicismo e contemporaneità?
È stata immediata la decisione di proporre un nuovo museo, in modo da poter dialogare
faccia a faccia con l’identità del luogo.
11
1 BERLINO
“Tutto quanto è accaduto a Berlino non ha paragoni”
Carl Sternheim
15
1.1 CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA:
L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
All’inizio dell’Ottocento Berlino è la capitale della Prussia, regno nato da appena un
secolo, ma già affermato come potenza militare europea. Il suo assetto urbano, nel corso di
questi cento anni, subì modifiche sostanziali soprattutto per volere di Federico II il Grande1:
finalmente capitale moderna, si spoglia delle sue aree paludose, perdendo la natura di mero
campo militare.
Nucleo generatore dell’urbano è il Mitte2, quartiere che, in quanto sede dei primi
insediamenti, ebbe storicamente sempre grande rilevanza all’interno di una città in continuo
cambiamento. Area statica, di memoria e di celebrazione dell’essere una potenza mondiale,
è tagliata in due parti dalle sponde del fiume Sprea, il quale crea una vera e propria isola
nel cuore di Berlino. Essa ospitava, al tempo di Federico II il Grande, il Lustgarten, piccolo
ma estremamente curato giardino, e il Castello reale: la scelta di edificare proprio qui la
residenza dei regnati non è solo legata alla bellezza del luogo, ma sicuramente è figlia di
motivazioni ideologiche, tipiche dell’agire germanico, a simboleggiare il regno come nucleo
fondatore della città e dell’unità raggiunta.
L’isola è collegata al resto dell’urbano tramite uno dei viali più famosi della città, Unter
den Linden3, strada ampia, alberata, che si dirige sino alla neoclassica Porta di Brandeburgo.
Lungo questo asse fu posto anche il Foro Fedriciano, con il teatro dell’opera, la Cattedrale
e la Biblioteca. Procedendo verso sud ci si imbatte nella cosiddetta “città di Federico”, vasto
ampliamento voluto dal regnante, il quale, ancora una volta, insiste per seguire le orme della
classica Roma, impostando il disegno urbano su progetto del barocco piano dell’epoca di
Sisto V.
Federico il Grande diede occasione di modifica e miglioramento dell’assetto urbano
anche dopo la sua morte: grandioso doveva essere, secondo gli architetti del tempo, il
monumento da erigere in suo onore. Molti furono coloro che si dilettarono nel disegno
dei più svariati elogi formali: da citare sicuramente per importanza Friedrich Gilly4. Egli, al
concorso bandito in tale occasione, presentò una visione molto complessa di sistemazione
generale della piazza, arricchita da obelischi, fontane a mo’ di sfinge, quinte porticate e archi
17
CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
di trionfo. Nessuno dei progetti fu poi realizzato, ma l’idea che ne scaturì fu molto significativa
ed accompagnò lo sviluppo della città di Berlino per i due secoli successivi: non semplici
edifici, ma monumenti che potessero donare solennità e regalità alla città in auge. Proprio la
presa visione di questo progetto convinse il giovane Schinkel, di cui tratteremo in seguito, a
dedicarsi all’architettura.
É nella seconda metà dell’Ottocento che la città di Berlino inizia ad assumere la sua
attuale conformazione: nel 1867, per iniziare, furono demolite le mura e venne costruito il
Ringbahn5. Sono gli anni del Piano Hobrecht, piano che prevedeva la costruzione di strade
anulari e radiali secondo una struttura urbana organizzata per isolati ad alta densità, con
l’introduzione delle tipiche piazze “a stella”. Rimase, comunque, irrisolto il rapporto con la
città settecentesca.
Nei trent’anni successivi venne costruita la prima linea della metropolitana (da Stralauer
Tor alla stazione del giardino zoologico, con una diramazione verso Postdamer Platz)
e Berlino iniziò a confrontarsi con le altre capitali europee, senza aver nulla da invidiare a
città come Londra e Parigi. Negli anni ‘20 Berlino annetté molti comuni e città circostanti,
guadagnandosi l’epiteto di “Grande Berlino”: diretta conseguenza fu, cinque anni dopo, la
nascita, per mano di Martin Wagner, delle Siedlungen. In questa Berlino fantasmagorica
dei primi decenni del’900, nessun altro luogo trasmetteva dinamismo e vitalità come
Postdamer Platz, Alexander Platz e la Friedrichstrasse: nodi di traffico, luoghi urbani innovativi,
sede di edifici ed attività commerciali a scala metropolitana. Siamo dinnanzi a quella che
venne definita la Welthauptstadt Germania6: il piano di Hitler e di Adolf Speer prospetta la
costruzione ex novo di una città-simbolo del Reich millenario. II concetto morfologico di base
fu quello di ordinare lo sviluppo edilizio di Berlino assumendo come confine l’Autobahnring
e tracciando un sistema di assi raccordato al Ring, nelle direzioni est-ovest e nord-sud.
Quest’ultima direttrice fu un tentativo di fare traboccare il centro di Berlino: la grande cupola
che ne costituiva il culmine divenne il simbolo del Reich e rese la città vecchia un sedimento
del passato.
Se, negli anni Trenta, Berlino vuole assurgere al ruolo di “capitale del mondo”, ben
presto, ossia dal ‘40, anno del primo bombardamento, si riempì di torri antiaeree. Cinque
anni dopo, metà dell’edilizia esistente era rasa al suolo e la città si presentava come un cumulo
di macerie. Neppure un edificio monumentale venne risparmiato dai bombardamenti.
18
CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
La città, occupata dalle truppe britanniche, francesi, statunitensi e sovietiche, si trova ben
presto divisa in due settori, facenti capo ai sistemi contrapposti del capitalismo occidentale
e del comunismo sovietico.
I primi piani di ricostruzione disegnavano ancora una città indivisa ed è di facile
lettura come ritenessero la distruzione bellica l’occasione per una radicale riprogettazione
dell’urbano. In comune a tutte le proposte, una rete di autostrade più o meno fitta che
separasse la città in nuclei, mentre i quartieri abitativi, entità limitate ed autonome, venivano
inseriti in ampie aree verdi.
Queste proposte utopiche ebbero vita breve, ma lasciarono un’impronta sui seguenti
concreti piani di ricostruzione, sia ad Est che ad Ovest.
Nel 1945 Hans Scharoun7 venne nominato Stadtbaurat8: a lui si deve una ricerca
progettuale per la rifondazione della città che per la prima volta preveda un distacco netto
dalla città di pietra del passato e dall’idea di Berlino capitale del reich millenario. Nel 1946 la
prima proposta di Stadtlandschaft9: spazi aperti e spazi urbani si dispongono secondo uno
schema lineare fluido lungo il corso della Sprea. Altri architetti, nel contempo, proposero un
piano noto come Zehlendorfer Plan, fondato, invece, sul recupero del patrimonio edilizio
e infrastrutturale superstite. Nel 1947 i due pensieri opposti trovano sintesi nel progetto
di Karl Bonatz: la ricostruzione “storica” è considerata lecita solamente nella Berlino Est e
precisamente nell’area del Mitte.
Nel 1949 venne sanzionata la divisione in due dell’intera Germania: nacquero, così, la
Repubblica Federale Tedesca (BRD) a Ovest, con capitale Bonn, e la Repubblica Democratica
Tedesca (DDR) a Est, con capitale la parte di Berlino sotto il controllo sovietico. Con l’acuirsi
della guerra fredda fu sempre più netta la separazione dei due settori della città, fino al
drastico epilogo costituito dall’edificazione del Muro10.
Nel 1950, Walter Ulbricht11 decise che il grande, sontuoso, Castello di Berlino, situato in
centro città, andasse distrutto, in quanto simbolo dell’antico assolutismo prussiano. Il palazzo
fu raso al suolo tra settembre e dicembre dello stesso anno: andarono, così, irrimediabilmente
distrutte preziose opere d’arte.
Nel 1958 fu proposto il concorso Hauptstadt Berlin12: persino il solo bando destò grosse
polemiche, in quanto l’intenzione alla base dell’iniziativa era quella di progettare una futura
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CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
capitale riunificata, senza prima aver consultato il settore orientale. Inevitabile la risposta della
DDR: nel 1959 bandì una gara per la ristrutturazione del centro storico, interamente incluso
nel settore sovietico. Il concorso occidentale, che chiedeva una riprogettazione della città
attraverso interventi architettonici legati alle istituzioni politiche, culturali ed economiche,
vide una larga partecipazione e la vittoria dei tedeschi Spengelin, Eggeling e Pempelfort,
clamorosamente preferiti tra gli altri a Scharoun e a Le Corbusier. Come troppo spesso stava
accadendo, i progetti dell’Haupstadt Berlin rimasero comunque sulla carta e servirono tutt’al
più di riferimento agli architetti dei periodi successivi.
Quando fu eretto il muro, nel 1961, la ricostruzione edilizia e i piani di riassetto
urbanistico vennero, pertanto, pensati in funzione di questa barriera, prima soltanto
ideologica, poi anche fisica, che sembrava non sarebbe mai sparita dall’immagine della città.
Per quarant’anni si svilupparono, così, due Berlino totalmente distinte, ognuna rappresentativa
del sistema politico-sociale di riferimento: a Est la capitale del socialismo, a Ovest la vetrina
del mondo occidentale in pieno blocco sovietico. Unico punto comune fu il metodo di
risposta al fabbisogno di abitazioni: sia ad Est che ad Ovest sorsero grandi quartieri satelliti
e fu completamente trascurato il risanamento delle zone centrali.
Le nuove realizzazioni, eccezion fatta per l’appena citato settore residenziale, rimasero
sporadiche e isolate, per quanto di ottimo livello e firmate da alcuni tra i più noti architetti di
sempre: si parla, ad esempio, della Philarmonie di Hans Scharoun (1963), così come della
Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe (1968).
Per un radicale cambiamento ideologico, bisogna aspettare gli anni Ottanta, quando
L’IBA13 promosse, per la prima volta e nel settore Ovest, una politica urbana radicalmente
diversa: la cosiddetta ricostruzione critica14.
Il Muro cadde il 9 novembre 1989. Due anni dopo Berlino fu di nuovo capitale del paese
unificato: doveva, pertanto, riacquistare la faccia che si deve ad una capitale. Fu necessario,
però, risolvere un problema urbanistico senza precedenti: ricucire un tessuto urbano che, per
quarant’anni, crebbe diviso in due parti nettamente distinte. Particolarmente esemplificativa
di questo complesso processo di ricostruzione-unificazione è la vicenda di Potsdamer
Platz: la piazza, situata a Ovest della Friedrichstadt, era diventata, ai primi del Novecento,
un animatissimo crocevia. Pesantemente bombardata durante la seconda guerra mondiale,
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CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
divenne anche limite e confine tra le zone di occupazione sovietica e statunitense: la sua
ricostruzione, in queste condizioni, fu considerata improponibile e la piazza venne, così, rasa
completamente al suolo. Negli anni Sessanta, la zona ad Ovest compresa fra il Tiergarten e
la Potsdamer Strasse, divenne area di progetto del Kulturforum, nuovo centro contrapposto
all’antico centro monumentale del sistema Unter den Linden-Museumsinsel, territorio di
proprietà dell’Est. Nell’area del Kulturforum vengono realizzati le già citate Philarmonie e
Neue Nationalgalerie, oltre alla Staatsbibliothek15, sempre di Scharoun. Quest’ultimo
edificio sancì la rinuncia definitiva a ricomporre l’asse di comunicazione diretta con la
vicina Potsdamer Platz. Quando, invece, alla fine degli anni Ottanta, venne abbattuto il
Muro, si dovette rispondere alla richiesta di continuità architettonica nelle aree divenute
vuoti urbani. Fra le numerose proposte avanzate, prevalse l’idea di ricucitura puntuale del
tessuto, mediante interventi coesi alla tradizione storica della città europea. A questo filone
di pensiero si accosta l’architetto Renzo Piano, vincitore nel 1992 del concorso internazionale
per la ricostruzione di Potsdamer Platz e dell’area adiacente al Kulturforum, complesso atto
ad accogliere, nonostante il nome omen, svariate funzioni, tra le quali quella residenziale,
quella culturale e quella commerciale16. Immediatamente a Nord, Helmut Jahn progetta, nel
contempo, il Sony Center: i due complessi, stilisticamente opposti, rappresentano uno dei
più importanti esperimenti di rifondazione totale di un centro città europeo.
Nonostante tutto, non sembra aver ancora sostituito, nelle abitudini dei berlinesi,
i “vecchi” centri delle due Berlino del dopoguerra, Kurfürstendamm a Ovest e Unter den
Linden a Est.
Proprio il tratto terminale di Unter den Linden e tutta la Museumsinsel rappresentano l’altro
aspetto cruciale della ricostruzione o, meglio, della “doppia ricostruzione” di Berlino, che
approfondiremo seguitamente.
Ultimo cambiamento attuato è Il Planwerk17 del 2010, che disegna una Innenstadt18
quasi del tutto nuova, ricomposta sugli spazi, le misure e la memoria di una città quasi del
tutto distrutta.
21
CITTÀ DIVISA, CULTURA UNITA: L’ASSETTO URBANO DI BERLINO TRA OTTO E NOVECENTO
NOTE
1. 1740-1786.
2. In italiano “centro”.
3. Letteralmente “sotto i Tigli”.
4. 1772-1800.
5. Anello ferroviario metropolitano.
6. Albert Speer ridisegna Berlino a stregua di Capitale del Mondo.
7. Bernhard Hans Henry Scharoun (Brema, 20 settembre 1893 – Berlino, 25 novembre 1972)
è stato un architetto tedesco, esponente di spicco della cosiddetta architettura organica
razionalista, noto soprattutto per la sala concerti della filarmonica di Berlino e la vicina
Biblioteca di Stato (Staatsbibliothek).
8. Consigliere Comunale per l’Urbanistica.
9. Paesaggio urbano.
10. 1961.
11. Walter Ulbricht (Lipsia, 30 giugno 1893 – Döllnsee, 1º agosto 1973) è stato un politico
tedesco, assurgendo al ruolo di primo storico leader della Germania Est.
12. Berlino capitale.
13. Internationale Bau-Ausstellung.
14. Cfr. paragrafo 1.2.
15. Biblioteca di Stato.
16. I blocchi edilizi erano rivestiti in mattoni, riferimento esplicito alla tradizione costruttiva
berlinese, disposti lungo le strade, in modo da generare una tipologia di quartiere
tradizionale, l’opposto di quanto auspicava Le Corbusier.
17. Prospetto dei lavori.
18. Cuore della città.
23
1.2 LA RICOSTRUZIONE SELETTIVA ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
Il concetto di ricostruzione critica è rimasto come parola d’ordine per tutti i nuovi interventi di
rinnovamento: i tracciati stradali storici e le linee di fuga devono essere rispettati o ricostruiti.
Tale metodologia presuppone non la ricostruzione conservativa del tessuto urbano, ma la
sovrapposizione di più strategie, la ricostruzione di spazi urbani e di strutture storiche che
realizzino nuove situazioni, con l’aggiunta di nuovi elementi che si contrappongano in modo
cosciente al passato, alla ricerca di una via che apra il dialogo tra tradizione e moderno, che
cerchi la contraddizione del moderno non nel senso di una rottura, ma di uno sviluppo che
rimanga visibile attraverso tappe spazio temporali1.
Alla riunificazione della città, ciascuna delle due parti, infatti, aveva trovato per conto
proprio una formula facile e comprensibile, che si dimostrava adeguata alle rispettive
condizioni di spirito. Da una parte, la filosofia marxista, con l’idea di creare una città egualitaria,
caratterizzata da una netta separazione funzionale, ove campagna e città si accostassero
paritarie, non più gerarchicamente. Dall’altra, il focus era la creazione di luoghi consacrati
alla cultura, estranei a qualsiasi tipo di riferimento alla realtà contingente. Conseguenza fu
l’inevitabile presentarsi di vuoti eterogenei ed insensati ammassi di monumenti.
I piani prevedevano continue demolizioni e ricostruzioni, senza un’idea di fondo unitaria.
Esemplare l’insegnamento di Ungers negli anni ‘60. Egli sosteneva, a ragione, che in
nessuno stadio dell’esistenza di Berlino fosse mai esistito un vero e proprio territorio unitario,
bensì un agglomerato di frammenti urbani estremamente differenziati. Inoltre, la sua quasi
totale distruzione aveva profondamente segnato una struttura urbana frammentaria e
straordinariamente complessa. Pertanto, riteneva fondamentale identificare la fisionomia
di ogni parte di Berlino, caratterizzandola maggiormente, al fine che ciascuna mantenesse
la propria natura specifica. Tale modo d’operare doveva essere attuato in un ottica di
completamento, senza creare in alcun modo contrapposizioni ed esclusioni reciproche:
solamente così, la città potrà rispondere, sempre secondo Ungers, ai bisogni della società,
soprattutto alla necessita di quest’ultima di riconoscersi nell’urbano, ritrovando l’identità
perduta.
25
LA RICOSTRUZIONE SELETTIVA ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
Si creano, così facendo, una serie di città nella città, ognuna delle quali risponde a dei propri
requisiti identitari. Ed è proprio da questa filosofia che si è arrivati al pensiero che oggi regola
l’architettura di Berlino: leggi diverse per aree diverse. Ci troviamo, in tal modo, dinnanzi
a isole moderne, basti pensare a Postdamer Platz o Friedrichstrasse, zone completamente
nuove, che seguono in tutto e per tutto l’idea della metropoli contemporanea internazionale.
Dall’altra faccia della medaglia, le aree identificate come storiche ed identitarie, prima fra
tutte la Museumsinsel: su di essa non viene minimamente considerato il nuovo, tutto deve
essere restaurato e, laddove non possibile, ricostruito in stile.
26
LA RICOSTRUZIONE SELETTIVA ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
NOTE
1. Kleihues.
29
1.3 L’ISOLA DELLA MEMORIA
Nel cuore della città di Berlino, nel quartiere denominato, non per altro, Mitte, il fiume Sprea
crea una vera e propria isola urbana. Essa, nella sua parte più settentrionale, è conosciuta
come Museumsinsel, alias l’isola dei musei, patrimonio dell’umanità dal 1999. Luogo di
enorme importanza storico-topografica, è stato sede dei due primi insediamenti urbani
gemelli che hanno poi dato vita a Berlino, Berl e Cölln. Di facile comprensione la natura
del nome: l’intera area è dedicata alla cultura, alle esposizioni statali di musei che ormai
hanno assorto a fama internazionale. Eretti nell’arco di un secolo (1822-1930), i cinque musei
hanno sostituito un’area industrial-portuale, ricca di paludi, regalando al centro della capitale
il nobile aspetto che a tutt’oggi ha. La mente che ideò questa “acropoli dell’arte” fu quella
di Federico Guglielmo IV di Prussia, il quale intendeva emulare i forum dell’antica Roma,
rendendo l’arte cuore pulsante del tessuto urbano, indi accessibile.
I cinque musei della Museumsinsel (l’Altes Museum di Schinkel, il Neues Museum e
l’Alte Nationalgalerie di Stüler, il Pergamonmuseum di Messel e il Bode Museum di von Ihne)
subirono ingenti danni durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, anche se,
fortunatamente, le opere d’arte furono evacuate per tempo in altre sedi.
A Germania riunificata, fu sancito un concorso internazionale: gli obiettivi principali
furono la ricostruzione del Neues Museum (il più danneggiato dai bombardamenti), la
creazione di un sistema di collegamenti tra i vari musei e la ricollocazione secondo nuovi criteri
espositivi delle opere. I progetti risultanti mostrano chiaramente le varie filosofie di “ricucitura”
di un complesso monumentale: svettano le proposte di Grassi, Gehry e Chipperfield.
Il primo, Giorgio Grassi, propone la ricostruzione dell’ala distrutta del Neues mediante
l’utilizzo di mattone a vista, materiale povero, che non rispetta in alcuna maniera il linguaggio
di nessuno dei musei dell’Insel. Davanti al museo prevede un edificio di collegamento: solidi
volumi squadrati, piccole finestre regolari. Frank O. Gehry, dalla sua, si adatta ancor meno alla
natura del luogo e impone le sue architetture organiche in una serie di padiglioni alla “bilbao”,
disposti liberamente senza apparente schema compositivo. Sicuramente il più arrogante di
tali padiglioni è quello che l’architetto disegna in totale penetrazione all’Altes di Schinkel,
31
L’ISOLA DELLA MEMORIA
l’edificio più antico ed intangibile dell’isola. Per risolvere il problema dei collegamenti egli
utilizza gallerie vetrate, proponendo anche una teca dalle medesime caratteristiche a chiusura
del colonnato del Pergamon. David Chipperfield disegna un percorso che unifichi fra loro
tutti i musei (esclusa l’ Alte Nationalgalerie), un padiglione vetrato di servizi difronte al Neues
Museum ed un altro similare davanti al Pergamonmuseum. Per il Neues Museum propone
un delicato restauro e una ricostruzione dell’abbattuto, in forme moderne ma in assonanza
con l’edificio originario.
Nel 1999 fu approvato un piano di rinnovamento dell’Insel (Progetto Museumsinsel
Berlin 2015): un camminamento collegherà i diversi palazzi, compreso un nuovo edificio
d’ingresso di David Chipperfield; verranno restaurati i giardini dell’Alte Nationalgalerie e la
quarta ala del Pergamon.
Il problema di cosa e come costruire in un centro storico si pone, in modo ancor più
evidente, per l’area di fronte all’Altes Museum, dove sorgeva, fino allo scoppio della Seconda
guerra mondiale, il Castello imperiale.
32
1.3.1 ALTES MUSEUM
Capolavoro neoclassico di Karl Friedrich Schinkel, è datato 1822-1830, guadagnandosi così
il posto di primo museo eretto sull’isola. Nato per volere di Federico Guglielmo III che si
propose di rendere accessibili le numerose collezioni di opere d’arte all’epoca dislocate
nelle diverse residenze reali. Egli, interessato alla rapidità costruttiva del nuovo museo, decise
di riutilizzare l’edificio dell’Accademia e delle Scuderie sull’Unter den Linden, attuando un
radicale intervento di ristrutturazione. Schinkel propone, invece, un manufatto ex novo. Di
forte interesse la posizione dello stesso: fronteggiava il Castello di Berlino (non più esistente,
ma ora in fase di ricostruzione secondo disegno di Stella), immerso nel giardino di Lustgarten
(già oggetto delle attenzioni di Schinkel prima per la Neue Wache, poi per la ristrutturazione
del Duomo e il rifacimento del Ponte sulla Sprea), a chiusura del lato settentrionale della piazza,
facendo sì che lo spazio del Foro federiciano si imponga come nodo urbano. L’interesse del
progetto risiede non solo nelle scelte compositive e distributive alla scala architettonica, ma
anche per il respiro urbanistico dell’intervento che prevede la riorganizzazione dell’area, con
la chiusura di un canale e l’ampliamento di una parte del fiume Sprea.
L’edificio si staglia con le sue 18 colonne ioniche frontali, che ricercano un dialogo con
quelle del Duomo : “Ho modellato la base delle colonne del porticato sull’esempio degli
antichi monumenti ionici. Questa base è più delicata e più adatta all’ordine ionico della base
attica abitualmente usata con questo ordine.”. Schinkel emula modellando su esempio, non
traspone meramente, prende le distanze dal modello, proponendo un tipo sempre nuovo e
diverso. Nell’intento di realizzare un insieme armonico composto da singoli episodi e onde
evitare la predominanza di uno sugli altri, Schinkel prende come modello la stoà ellenistica
anziché il tempio periptero. Il grande portico cela i due livelli e protegge gli affreschi sul
fronte, conferendo implicitamente un carattere di trasparenza all’edificio che in tal modo si
pone in continuità con lo spazio della piazza antistante, connotandosi quale diaframma che
media il passaggio fra l’esterno e lo spazio interno in cui è presente la scala a doppia rampa
che conduce al piano superiore dove, in dissolvenza, si apre una prospettiva sulla città.
La pianta parallelepipeda, estremamente semplice, con una galleria su ogni lato per
l’esposizione di statue al piano terra e di dipinti a quello superiore, fa l’eco all’Arsenale e al
Castello, alla ricerca di un equilibrio stilistico e volumetrico, purtroppo negato nell’Ottocento
35
ALTES MUSEUM
con la costruzione del nuovo imponente Duomo e con la demolizione del Castello, che
lasciò il posto alla sede della DDR.
Fulcro compositivo è la sala rotonda cupolata, di chiara derivazione dal Pantheon
(presenta persino un lucernario centrale che lascia penetrare dall’alto la luce). Tale spazio è
articolato, a piano terra, da una serie di venti colonne corinzie che sorreggono un ballatoio
al piano superiore: ricco è il disegno della tessitura muraria, della pavimentazione, della
cassettonatura. La caratteristica che rende particolare la rotonda del museo schinkeliano
rispetto ad altre che da essa prendono spunto, come si potrebbe citare quella stirlinghiana,
è la dimensione urbana che assume. Da planimetria, si configura come il nucleo da cui si
irradiano tutti i volumi, come soggetti ad una forza centrifuga che nega i confini museali,
sfocandoli nello spazio della città. Ideologicamente, l’opera d’arte viene proiettata nella città.
Altri elementi compositivi sottolineano la natura urbana del museo: percorsi sinuosi, volumi
stravaganti, dettagli pop coloratissimi.
Federico Guglielmo III iniziò all’interno del museo la cosiddetta Antikensammlung,
collezione delle antichità, che ancor oggi fa parte dell’apparato espositivo dell’Altes. Il
piano rialzato è dedicato alla scultura e scandito da colonne doriche. Al piano superiore,
dedicato alla pittura, gli spazi sono suddivisi da tramezzi lignei ortogonali alle pareti, che
non raggiungono il soffitto: l’illuminazione laterale è diffusa e non diretta e, inoltre, questo
stratagemma permette un aumento della superficie espositiva disponibile.
36
1.3.2 NEUES MUSEUM
Alle spalle dell’Altes, nel 1855 l’architetto Friedrich August Stüler, allievo del più famoso Karl
Friedrich Schinkel, costruì il Neues Museum1, dalla fisionomia fortemente classicista.
Parzialmente distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale, è stato riprogettato
da David Chipperfield e completato nel 2009. Il concorso vinto in collaborazione con Julian
Harrap, presenta un progetto incentrato sulla riparazione e il recupero del volume originale,
rispettando la struttura storica: il nuovo deve riflettere il vecchio senza imitarlo. Per rimediare
alle numerose mancanze, David Chipperfield ha ripreso le proporzioni originali degli
ambienti ideati da Stüler e, lasciando apparire con forte evidenza le parti ricostruite ex novo,
ha restituito in maniera leggibile e omogenea l’originario aspetto. La sequenza originale di
ambienti espositivi è completata da sezioni di nuova costruzione in continuità con l’esistente.
Le nuove sale sono costruite con elementi prefabbricati in calcestruzzo composto da
cemento bianco mescolato con scaglie di marmo; la nuova scala principale ripete l’originale
in una sala di mattoni, priva delle sue decorazioni originali. L’involucro è completato con una
tessitura muraria di mattoni pieni faccia a vista che, con un ritmo serrato, sono disposti su
corsi sfalsati. Altri nuovi volumi, la corte egiziana, l’abside nel cortile greco e la Cupola sono
costruiti in mattoni ad integrazione delle parti conservate. Il colonnato, ricompletato delle
sue parti mancanti, riporta in Neues alla situazione urbana prebellica. Un nuovo edificio,
la James Simon Gallery, sarà costruito tra il Neues Museum e la Sprea, riecheggiando la
situazione urbanistica del sito prima del 1938.
La scelta di evitare interventi radicali è stata oggetto di non poche critiche da parte dei
puristi tedeschi del filone della Ruin Sehnsucht2, che sono arrivati a sostenere che l’intervento
sia la continuazione dei bombardamenti inglesi con altri mezzi.
Ospita la collezione del Museo Egizio e il Museo di Preistoria e Protostoria, la biblioteca
antiquaria e una Nefertiti, vera pepita d’oro del museo.
39
NEUES MUSEUM
NOTE
1. Nuovo Museo
2. Nostalgia delle rovine.
41
1.3.3 ALTE NATIONALGALLERIE
Completata nel 1876 secondo progetto di Johann Heinrich Strack, successore di Friedrich
August Stüler, è stata oggetto anch’essa di bombardamenti e ricostruzioni.
Si staglia su di un alto basamento con doppia scalinata, al culmine della quale vi è
una statua equestre di Federico Guglielmo IV. L’edificio ha l’aspetto di un tempio corinzio:
una fila di colonne precede la facciata dell’edificio con timpano. L’edificio riprende stili o
elementi di tre costruzioni modello: le colonne richiamano i templi, la scala monumentale
richiama, invece, il teatro e l’abside la chiesa. Con queste tre idee l’architetto Stühler volle
rappresentare in un unico edificio l’idea di nazione, storia ed arte.
Riaperta nel 2001, ha affiancato alla collezione originale di opere d’arte del XIX secolo
nuove opere pittoriche e scultoree sia d’arte tedesca che europea.
43
1.3.4 BODE MUSEUM
Originariamente denominato ‘’Kaiser-Richieder-Museum’’, venne terminato da Ernst
Eberhard von Ihne, uno degli esponenti più noti del barocco giglielmino, nel 1907.
Facilmente identificabile nell’isola, sia per la sua posizione sull’estremità settentrionale,
a stregua di testa di veliero, sia per la sua grande cupola in rame scuro. Il suo stile neobarocco
ben si sposava con i desideri di rappresentanza di Guglielmo II. Ihne dovette fare enormi
lavori di terrazzamento per consentirne la costruzione: il museo, infatti, presenta tre ali i cui
muri esterni sono prosecuzioni dirette delle sponde della Sprea. Von Bode volle che anche
l’architettura interna fosse molto curata e si occupò scrupolosamente della successione delle
sale e del loro arredo.
Oggetto di restauro tra il 1950 e il 2006, ospita ad oggi reperti d’arte bizantina e romana.
45
1.3.5 PERGAMONMUSEUM
Il più famoso dei musei dell’isola, è anche il più recente: costruito tra il 1910 e il 1930 da
Ludwig Hoffmann, ospita edifici monumentali ricostruiti a dimensioni naturali, come l’altare
di Pergamo o la porta del mercato di Mileto, ritrovati dagli archeologi tedeschi del XIX secolo
a Pergamo, in Asia minore, nella medesima epoca in cui Schliemann dissotterrò il tesoro di
Priamo.
L’inadeguatezza delle fondamenta provocò danni a questo primo museo, che, di
conseguenza, venne demolito negli anni precedenti alla prima guerra mondiale.
Il nuovo e più grande Pergamonmuseum venne concepito come un edificio a tre ali:
oggi ospita la Collezione delle antichità classiche, con testimonianze di architettura ellenistica
e romana, il Museo dell’Asia Anteriore e il Museo di Arte Islamica.
47
1.3.6 SCHLOSS
Berlino, dal 1443 fino al 1950, ebbe il suo grandioso Castello, il centro nevralgico
dell’imperialismo prussiano, oggetto nel corso dei secoli di continui ampliamenti e radicali
modifiche stilistiche. Denominato, con poca fantasia, Berliner Stadtschloss, l’immenso
Castello a pianta parallelepipeda, all’ombra di una imponente cupola ramata, si innalzava su
quella che è l’odierna Schlossplatz1.
Meta sontuosa della via trionfale Unter den Linden (peraltro fiancheggiata, in tutta la sua
ragguardevole estensione, da altri palazzi regali in stile neoclassico progettati dall’architetto
di corte, Karl Friedrich Schinkel), il Castello di Berlino, al termine del primo conflitto mondiale,
si prestò anche da portavoce del nascente bolscevismo: da uno dei suoi quattro portali, il
9 novembre 1918, Karl Liebknecht proclamò la fondazione della Repubblica socialista. La
facciata da cui fu proferito lo storico annuncio venne conservata e ad oggi è l’unica parte
originale ancora in piedi, essendo stata incorporata nell’edificio dello Staatsratgebäude2.
Risultato architettonico della grandeur imperiale prussiana nonché fulcro della vita politica
cittadina e nazionale, il palazzo venne pesantemente danneggiato dai bombardamenti
durante la seconda guerra mondiale.
Definitivamente demolito dal governo della DDR nel 1951, sia per motivi ideologici
(è infatti considerato simbolo decadente del passato militarista prussiano), sia per non
affrontare un impegnativo lavoro di restauro. Al suo posto venne costruito, in forme moderne,
l’imponente Palazzo della Repubblica, sede del Parlamento: è un intervento traumatico, che
rende irriconoscibile il Lustgarten così attentamente progettato da Schinkel. Assieme alla
MarxEngelsPlatz antistante e all’altissima torre televisiva inaugurata qualche anno prima,
costituì la triade stilistica della Repubblica Democratica Tedesca.
Alla caduta del Muro, l’amministrazione di Berlino si trovò nell’imbarazzante situazione
di dover decidere cosa fare del gigantesco edificio simbolo del regime comunista. Il palazzo
necessitava di un immediato restauro (si scopre infatti che è stato costruito con materiali ad alto
contenuto di amianto); il suo futuro era comunque precario, dal momento che il Parlamento
della nuova Germania si è espresso, quasi all’unanimità, per la sua demolizione. Al suo posto
rimase una spianata verde, lungo il canale e di fronte al Duomo, presto trasformata in parco.
La risposta è il progetto di Franco Stella: non si tratta di una fedele riproduzione
49
SCHLOSS
dell’originale, ma di un nuovo polo chiamato Humboldtforum, che del castello avrà solo lo
stile delle facciate e della cupola, con un’aggiunta ben distinta sul retro. La ricostruzione
delle facciate in stile è decisa da un voto largamente maggioritario del Parlamento tedesco:
a ragione del valore politico e civile che solo quelle antiche forme possono oggi qui avere e
non per una qualche preferenza estetica, che ovunque potrebbe applicarsi.
La ricostruzione, prescritta dal programma, riguarda i corpi di fabbrica e la corte d’onore
del Castello, progettati o trasformati nei primi anni del Settecento da Schlüter, Eosander
e Böhme, e la riproposizione volumetrica dell’edificio trasversale che separava i due cortili
interni, e della cupola sopra il portale del fronte occidentale, eretta da Stüler e Schadow
a metà dell’Ottocento. La nuova costruzione riguarda un insieme di luoghi e di corpi di
fabbrica all’interno dell’antico cortile occidentale e un nuovo edificio esterno sul lato verso
la Sprea, adiacente al muro cieco del Castello barocco. I cinque corpi di nuova costruzione
aggiungono una molteplicità di luoghi aperti e chiusi a quelli dell’antico Castello: due edifici
stretti e lunghi a galleria; due edifici cubici ad aula; l’ edificio-belvedere verso la Sprea.
La fine dei lavori è prevista per il 2019.
50
SCHLOSS
NOTE
1. Piazza del Castello.
2. Edificio del consiglio di Stato della DDR.
53
1.3.7 BAUAKADEMIE
Nel 1831, il completamento del nuovo scalo, permette a Schinkel di collocare la “pietra
angolare” delle operazioni di rinnovo del centro città; l’edificio affacciato sulla Sprea darà
l’allineamento al nuovo asse borghese e commerciale di collegamento est-ovest tra la Schloss
Platz e il Gendarmenmarkt. L’intervento comporta alla città una serie di vantaggi quali la
formazione di una nuova piazza ed una via, la rimozione dei mulini e delle chiuse fatiscenti siti
dietro il castello, la riqualificazione dell’edificato lungo la Sprea. L’Accademia era uno degli
edifici ottocenteschi più importanti della città tedesca. Le soluzioni scelte per questo palazzo
furono prese come spunto dall’architettura razionale del Novecento. Per questo progetto a
Schinkel riuscì di fondere le forme classiche a quelle gotiche. La costruzione dell’Accademia
riprendeva le strutture cubiche di questi edifici industriali nella loro semplicità ed essenzialità,
ma le integrava in un concetto eclettico che citava tanto il gotico (assenza di muri portanti,
ma solo pilastri, grandi finestre) quanto l’architettura classica (ornamenti, citazione libera del
palazzo rinascimentale). Ne risultava un edificio sobrio e decorativo, che già da fuori mostrava
chiaramente la sua struttura interna.
Un impianto quadrato, grazie al sito libero su tutti i lati, risolve nella massima unitarietà
un programma funzionale composito: ciascuna delle quattro facciate, praticamente uguali
tra loro, è suddivisa verticalmente in otto campate da nove pilastri in muratura. Questa
struttura tradisce subito la divisione interna dell’edificio: la pianta dell’Accademia è infatti
a scacchiera. Grazie all’apporto statico dei massicci pilastri esterni, Schinkel può alleggerire
i muri del palazzo illuminandolo con ampie finestre a trifora con arco ribassato. Al di sopra
del pianterreno, leggermente rialzato, si trovano altri due piani. I pilastri esterni risultano
prolungati verso l’alto per coronare l’edificio con un elegante attico che riprende le forme
del tetto della chiesa vicina, la Friedrichswerdersche Kirche.
Inevitabilmente il palazzo suscitò delle critiche, dovute da un lato alla sua essenzialità,
dall’altro semplicemente al colore rossiccio dei mattoni: insieme alla chiesa, l’Accademia
dell’architettura significò, dopo una pausa di secoli, un ritorno all’utilizzo del laterizio per le
architetture rappresentative. Esso è, di fatto, solo rivestimento: Schinkel esercita tutta la sua
abilità e maestria nei decori esterni.
Fu abbattuta nel 1962 dalle autorità della DDR, a favore della sede del Ministero degli affari
55
BAUAKADEMIE
esteri: ciò che ne rimase venne depositato poco lontano, nel caso di un’eventuale ricostruzione.
Dopo la riunificazione della Germania, l’edificio ministeriale della DDR venne a sua
volta raso al suolo: anche questa misura suscitò alcune perplessità, dato che la costruzione
non si trovava affatto in cattivo stato; inoltre non si sapeva (né si sa oggi) se l’Accademia
sarebbe mai stata ricostruita.
Dal 2004, in attesa di trovare una soluzione definitiva per l’area non edificata,
un’impalcatura ricoperta da un gigantesco telo riproduce tutt’e quattro le facciate
dell’Accademia, dando un’idea di quel che era il suo ruolo urbanistico per il centro di Berlino.
56
2 IL SESTO MUSEO
61
2.1 IL BISOGNO DI CONTINUITÀ
63
2.1.1 IDENTIFICAZIONE DELL’AREA
Scelto d’agire sull’isola dei musei, è stato necessario identificare un’area precisa di pertinenza
del nostro progetto.
La Museumsinsel, come detto, risulta satura di monumenti, ognuno dei quali incombe
sulla sua area di pertinenza: mancano, nonostante tutto, collegamenti reali che completino
il sistema di spazi pubblici, creando un unicum, anziché una realtà, per quanto bella,
frammentaria.
L’analisi del tessuto urbano, storico e non, ha fatto immediatamente risaltare, come
direttrici principali, Unter den Linden (con la sua prosecuzione oltre lo schlossbrucke), e la
via parallela, Werderschermarkt, oltre la Schinkel Platz. Proprio su di essa si affaccia l’area
sulla quale si e deciso di intervenire: tutto il lotto di pertinenza di quella che un tempo era
la Bauakademie di Schinkel, ad oggi distrutta e sostituita da un impalcatura che ne riprende
le fattezze, e l’area compresa tra lo Schloss in costruzione e la piazza antistante, basamento
rimasto dell’antico monumento dedicato al Kaiser Guglielmo, e area in cui sorgevano, prima
della piazza, le nominate residenze in linea. Si nota subito che, l’assenza di costruito in questi
ambiti, crea dei vuoti privi di funzione, degli spazi irrisolti che spezzano il continuum del
costruito e degli spazi pubblici inerenti. Infatti, sebbene la Museumsinsel sia da molto tempo
soggetto di discussione e progetto continuo, per quest’area che di fatto si identifica come
limite e chiusura dell’isola dei musei, non si e ancora trovata una soluzione che si potesse
ritenere appropriata, completa, soddisfacente.
Nodo nevralgico del progetto diventa la piazza, attorno alla quale si impernia il nuovo
sistema edificato.
65
2.1.2 IDENTITÀ FUNZIONALE
Per assurgere al doveroso compito di confrontarsi con i maestosi edifici presenti sull’isola,
si intendano sia i musei che il Castello e il Duomo, si è deciso di proporre, come tema
progettuale, quello di un nuovo complesso museale. Risultava, di fatto, anche inutile proporre
una funzione progettuale diversa, con il rischio di sradicare o compromettere l’identità di un
luogo così caratterizzato e caratterizzante.
Oltre a ciò, si è voluto tener di conto che, i piani vigenti prevedono, senza particolari
definizioni di sorta, di mantenere intatta l’identità di questa oasi della cultura, ammettendo
nuove costruzioni, ma non di buon grado nuove funzioni.
Non è stato un compito semplice definire il tipo di museo da progettare: Berlino, da
vera capitale europea, è ricca di qualsivoglia collezione si possa immaginare e l’isola, nello
specifico, presenta, all’interno dei suoi musei, esposizioni d’arte e archeologia che coprono
le principali epoche storiche. Si è optato, infine, per un museo d’architettura: non solo perché
non ripetitivo, ma anche perché, il tema dell’esporre l’architettura è uno degli argomenti
ancor oggi più discussi nel fare allestimento.
Un sesto museo che raccontasse l’evoluzione dell’architettura a cavallo tra la metà
dell’Ottocento e la metà del Novecento, che riuscisse a narrare la storia della Germania, e
non solo, senza andare, però, a toccare il tanto delicato tema della seconda guerra mondiale.
67
2.1.3 RAPPORTO CON LE PREESISTENZE
Se gli assi principali non sono stati di difficile definizione, in quanto sottolineati da ogni
costruzione storica ivi presente, ma anche da ogni ricostruzione o nuova costruzione che dir
si voglia, sicuramente e stato più complesso identificare dei giusti rapporti con il costruito. Vi
sono da considerare numerosi rapporti visivi che collegano i musei presenti, (molti dei quali
resi da Schinkel nei suoi studi e progetti sotto forma di prospettive) e molte direttrici dettate
dalle masse edificate e dagli spazi pubblici.
L’ idea di impianto è quella che si adagi su queste direttrici, senza negare una propria
natura, un voler definirsi autonoma e con un carattere intrinseco, senza negare un dovuto
dialogo con l’intorno.
Se, come detto, la piazza dove trovava sede il monumento a Guglielmo diventa fulcro del
progetto, lo Schloss, l’ex sede della DDR e quello che rimane dell’impianto della schinkeliana
Bauakademie hanno non solo contribuito, ma dettato le regole per la caratterizzazione del
nuovo museo. Esemplarmente, si è ritenuto necessario mantenere un dialogo tra lo Schloss
e la piazza antistante, ricalcando però, in eco storicista, l’impianto delle case che sorgevano
un tempo sulle rive della Sprea: ecco che un ipotetico, preliminare, corpo unico edificato
si taglia in due parti distinte, aprendosi in corrispondenza dell’ingresso del Castello, in
modo tale che esso mantenga i rapporti fisici e visivi con l’intorno. O ancora, risultava di
fondamentale importanza definire il collegamento tra l’isola vera e propria e la Bauakademie,
unico “monumento” di fatto sito sull’argine opposto del fiume: ecco necessario il disegno
di un nuovo corpo, privo di funzione museale, porticato, che sottolineasse la connessione ivi
descritta.
Nettamente più complesso è stato l’agire sulla Bauakademie, edificio che di fatto ad
oggi non esiste, ma che è presente a stregua di ingombrante fantasma del passato per
mezzo di un’intricata impalcatura che sorregge le rappresentazioni delle facciate originali.
Tutte le possibilità sono state vagliate, dalla ricostruzione completa in stile, allo smontaggio
dell’impalcatura e conseguente nuovo disegno progettuale. La soluzione finale è stata esito
della commistione di tutte le prove intermedie: una ricostruzione in stile sì, ma non completa.
Bisogna premettere che, concretamente, è prevista nei prossimi anni una ricostruzione
dell’Accademia e sicuramente questo ha influenzato il nostro progetto. D’altra parte, però,
69
RAPPORTO CON LE PREESISTENZE
ci sembrava ridondante e insignificante ricostruire un edificio che, per quanto di altissimo
livello, è già esistito nel suo essere. Compromesso è stato quello di riproporre in stile tre
delle quattro facciate, svuotando gli interni, in modo tale che potessero accogliere un nuovo
elemento, che donasse un in più a ciò che già è.
70
2.1.4 I TRE LAYER DI PROGETTO
Per riuscire a definire al meglio il nuovo progetto, con tutte le funzioni e le caratteristiche di
cui deve farsi carico, vengono identificati tre layer d’azione, ognuno dei quali porta con sé
richieste e bisogni specifici: il livello del suolo, quello dell’edificato ed uno interrato, nuovo
livello di cui vuole farsi carico, per motivi che spiegheremo in seguito, il nostro progetto.
Partendo dal livello del suolo, esso è servito per identificare una rete di relazioni e
collegamenti che potesse definire maggiormente il nuovo impianto, in modo tale che esso
si ponesse non come limite, ma come collegamento, come nodo di giunzione a cavallo
della Sprea. Sono state, in tal modo, delineate quelle che dovevano essere delle aree di
passaggio, di congiunzione, caratterizzate da un filtro colonnato, che le dotasse di un alto
grado di permeabilità, e delle aree più chiuse.
Tutto ciò si e ripercosso sul livello dell’edificato, andando a definire volumi, altezze ed
aperture. Tale livello è anche quello che consente il rapporto volumetrico con le preesistenze
dell’intorno e che, di fatto, ha maggiormente scandito il fare progettuale.
È’ stato ritenuto necessario agire anche su un terzo livello, quello interrato, appunto,
non solo per entrare in rapporto con il basamento della piazza che si andrà poi a presentare,
ma anche con l’ingresso della metropolitana, in modo da riuscire a conferire al progetto la
tanto agognata qualità di vero collegamento.
I tre livelli non sono affatto avulsi l’uno dall’altro, ma in continuo dialogo tramite
connessioni verticali, sia interni, sia riferiti direttamente agli spazi esterni.
73
2.2 L’ANTICO E IL MODERNO: DISTINGUERSI PER COMPLETARSI
75
2.2.1 UN BASAMENTO PER IL CASTELLO
77
2.2.1.1 RAPPORTO CON IL CONTESTO
Il museo si presenta a stregua di blocco monolitico, direttamente affacciato sulle rive della
Sprea. Il suo impianto ricalca le orme lasciate dalle case che storicamente caratterizzavano
il lungo-fiume e si flette, verso lo Schlossbrücke, come per indicare la prosecuzione del
percorso che conduce al resto della Museumsinsel e dei suoi edifici, primo fra tutti, l’Altes.
Come già accennato, l’imponenza del castello ha dettato un taglio nel costruito, cesura
che garantisse il mantenimento del rapporto fisico-visivo Schloss-piazza antistante. Ma non
solo. Il Castello ha anche fortemente inciso sull’altezza del nuovo museo: lo studio per la
definizione di questa è stato più complesso di quanto si possa immaginare. Se, da una
parte, era necessario mantenere delle dimensioni considerevoli per non risultare schiacciati
dallo Schloss e dall’altrettanto alta Bauakademie, dall’altra un’eccessiva elevazione avrebbe
coperto le preziose e storiche visuali dell’isola, oltre a negare completamente la facciata
di Stella, ad oggi in fase di costruzione. Considerati numerosi riferimenti, si è trovata una
giusta soluzione nell’articolazione del blocco su diverse altezze, più importanti nella parte
espositiva e degradanti nelle aree porticate di passaggio.
Per quanto vero che il museo presenti un disegno molto chiuso e pulito, non significa
che esso neghi le relazioni con l’intorno, anzi: in primis la chiusura è stata scelta come
linguaggio per riuscire a definire maggiormente la differenza di funzioni tra parti espositive e
collegamenti porticati; in secondo luogo tale cecità conferisce maggior importanza alle due
aperture presenti, una verso il Castello e l’altra sulla punta estrema verso l’Altes Museum. In
ultima istanza, la pulizia dei prospetti garantisce una differenziazione dal resto dell’edificato,
permettendo, nel contempo di esaltare quest’ultimo. Bisogna anche tener conto che, dopo
accurata analisi del musei presenti sull’isola, è stato deciso di mantenere per i prospetti un
rivestimento lapideo a stregua di tali monumenti, articolandolo, però, in conformazioni che
maggiormente si addicessero ad una nuova costruzione.
Il disegno del suolo è stato necessario per completare l’adeguato inserimento del
progetto: si cita il nuovo percorso che, dalla riva della Sprea, a gradonate, si eleva fino a
congiungersi con quello previsto dal progetto di Chipperfield o, ancora, la connessione tra
la nuova metropolitana in costruzione e il nostro museo.
79
2.2.1.2 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEGLI INTERNI
Il Sesto museo è nato insieme alla sua collezione ed è, pertanto, un sistema complesso ma
unitario tra architettura ed allestimento. I due piani fuori terra, quello d’ingresso e il piano
primo, presentano una pianta estremamente libera, atta ad ospitare i modelli d’architettura
di cui in seguito sarà discusso. Il piano superiore, nella fattispecie, è svuotato di tutta la
materia in eccesso, andando a definire, così, una passeggiata che si districa tra i vari pezzi
dell’esposizione, offrendo la possibilità di godere di una grande quantità di prospettive di
tali modelli.
La chiusura dettata dal rapporto con il contesto avrebbe di per sé negato l’accesso
di luce naturale all’interno del museo: questo problema è stato ovviato con l’inserimento,
in copertura, di una serie di shed che, oltre a garantire il detto apporto di illuminazione,
andassero a disegnare quella che ormai, si sa, in architettura è una quinta facciata e così
come le altre necessita di adeguata progettazione e disegno.
Lo studio dei musei dell’Insel è servito per comprendere non solo quanto articolati e
vari potessero essere gli interni di un museo, ma anche quanto fondamentale fosse l’ingresso
in un edificio che voglia manifestare una dichiarata importanza. Pertanto, i due ingressi ai
lati della piazza occupano il loro dovuto spazio, di ampio respiro, senza timore di risultare
sproporzionati nella composizione. Ancora, sempre dallo studio dell’isola è ripresa l’idea
della scala: non piccola, non di servizio, ma elemento centrale, caratterizzante, imponente,
che dichiara tutto il suo valore.
E’, certamente, al piano inferiore, interrato, che il museo mostra tutta la sua articolazione.
Qui il taglio volumetrico dovuto allo Schloss si annulla e il complesso si unisce, finalmente,
in un unicum. Quella che di impianto si presenta come una classica galleria, viene articolata
in una serie di spazi che non neghino la prospettiva centrale e la ricercata simmetria, ma che,
anzi, arricchiscano le possibilità espositive del progetto. Tre percorsi, uno principale centrale
e due d’approfondimento laterale: uno di questi permette l’entrata nel basamento della
piazza, annesso del tutto agli spazi espositivi.
Sempre a questo piano è prevista un’area per le esposizioni temporanee con diretto accesso
anche dalla metropolitana.
81
2.2.1.3 PERCORSO ESPOSITIVO
Il disegno di un doppio accesso al museo ha permesso la riflessione su un’esposizione che
potesse essere letta non solo secondo un unico percorso stabilito, in maniera classica, bensì
secondo due percorsi diversi, ma altrettanto logici e completi.
In primo luogo si ricorda, come già detto, che il tema dell’esposizione è l’architettura a cavallo
tra metà Ottocento e metà Novecento.
Per riuscire a garantire questa doppia lettura si è deciso di destinare i due piani fuori
terra all’esposizione di modelli in grande scala: sono state scelte alcune tra le più significative
architetture del periodo. Esse, rappresentate in sezione (come la Befreiungshalle) o per
intero (come la casa in mattoni di Mies) sono leggibili non solo negli esterni, ma anche negli
interni, a diverse altezze.
Il piano interrato ospita, invece, modelli ridotti, tavole e disegni, presentando, quindi,
un allestimento che si può definire più tradizionale: piedistalli per i modelli, grandi tavoli i
cui cassetti permettono l’estrazione delle varie rappresentazioni di progetto e disegni appesi
o stampati a parete. Ogni stanza tratta un argomento a sé stante, leggibile secondo linea
temporale in relazione con gli altri, ma anche completo in sé stesso, pensando anche alle
necessità di un fruitore più pigro.
Raccontando una visita che ci si immagina partire dall’ingresso più vicino all’esposizione
temporanea (ma valida, se letta a ritroso, anche per l’accesso altro), la prima parte della mostra
riguarda una sintesi di quelle che erano Francia, Inghilterra e Germania nell’Ottocento,
tramite l’esposizione di modelli d’architetture significative. Proseguendo per la galleria
centrale, si incontra la narrazione dell’ Art Nouveau, con uno spazio separato dedicato
all’approfondimento sull’opera di Gaudì; quella dell’espressionismo, con progetti di Behrens
(come lo stabilimento AEG) e di Mendelsohn (l’Einsteinturm). L’area successiva parla del
movimento moderno, presentandone i protagonisti: Loos, Gropius, Mies van der Rohe e
un altro spazio, simmetrico a quello di Gaudì, dedicato, invece, all’opera di Le Corbusier. In
chiusura, dopo un approfondimento sull’operato di Wright, l’esposizione dei progetti per il
concorso per la Chicago Tribune Tower, in modo tale da restituire anche l’idea di quale fosse
il clima internazionale dell’architettura di quel periodo.
I due percorsi che si sviluppano paralleli alla galleria centrale, invece, presentano
83
PERCORSO ESPOSITIVO
degli approfondimenti che possano essere letti autonomamente: da una parte, una rampa
accompagna la presentazione dei progetti per la “Torre Eiffel” di Londra, disegni esposti su
un sistema saliscendi che permette una facile lettura del maggior numero di rappresentazioni
possibile; dall’altra, una scala accompagna all’ingresso delle gallerie poste nel basamento
della piazza. Esse, storicamente, ospitavano le opere degli artisti, a stregua di deposito: nel
nuovo museo, oltre ad essere di per se stesse “esposizione” accolgono frammenti della storia
della Berlino del Novecento, lasciando aperta la possibilità di essere utilizzate come ulteriori
spazi espositivi temporanei, richiamando, in parte, la loro storica funzione.
84
2.2.2 DA ACCADEMIA A MUSEO: LA TRASMISSIONE DEL SAPERE COME FIL ROUGE
87
2.2.2.1 FILOSOFIA PROGETTUALE NEL RAPPORTARSI CON LA PREESISTENZA
Certamente, dopo anni di esercizio architettonico, abbiamo sviluppato un’idea generale
di trattamento del rapporto tra nuovo ed antico. Ciò nonostante, sarebbe stato ingenuo
e sbagliato schierarsi a priori per una o l’altra fazione, senza considerare la peculiarità del
contesto e la specificità del determinato intorno.
Per comprendere come trattare la tanto importante opera schinkeliana, è stato
necessario un approfondito studio sull’operato del maestro. Fondamentale il testo “Il
principio dell’arte in architettura”, redatto dallo stesso Schinkel a inizio Ottocento. In questo
breve componimento, egli individua i criteri della corretta progettazione in rapporto con
le preesistenze, che in realtà mostrano quanto l’architetto, seppur influenzato dal rispetto e
dall’emulazione dell’antico, si basasse su concetti estremamente contemporanei ed ancora
validi.
Ci si è dovuti anche confrontare con la volontà tedesca della ricerca di un’identità
perduta, tramite la ricostruzione dei monumenti di un tempo: la Bauakademie stessa è
oggetto di un piano che ne prevede la ricostruzione, secondo tempistiche da definirsi.
Inizialmente, l’opposizione a questa mentalità di ansiosa ricerca della fastosità passata, ci
rendeva impossibile concepire un progetto di ricostruzione stilistica. In realtà, dopo numerosi
disegni e svariate prove compositive, al primo tentativo di considerare l’edificio di Schinkel
della Bauakademie, si è capito quanto potesse essere interessante contrapporre, paragonare,
una parte di ricostruzione con un apparato completamente diverso, nuovo, moderno.
Nasce, quindi, l’idea che sta alla base del progetto: rispetto dell’antico, ma distacco da
esso; comprensione delle proporzioni e rielaborazione delle stesse; dialogo materico, ma
non emulazione. Si è deciso, pertanto, di ricostruire tre delle quattro facciate, esattamente
come si presentavano un tempo. La quarta facciata è sostituita da una doppia pelle vetrata,
non solo per permettere la vista degli interni, ma anche per creare un rapporto di dialogo
con gli edifici di Werderscher Markt, decisamente più moderni. Internamente, di quella che
era un tempo la Bauakademie, ritroviamo solo le pareti perimetrali, specchio degli esterni,
che ripropongono le medesime finiture. Così vuotata, l’Accademia può essere arricchita di
un in più, che giustifichi la parziale ricostruzione.
89
2.2.2.2 IL TEATRO
Conseguente risposta è stata la scelta di non porre alcuna esposizione all’interno della
ricostruita Bauakademie.
Lasciare l’edificio vuoto al piano terra, creando un sistema paragonabile a quello che Mies ha
utilizzato nella Neues Nationalgalerie1, in questo caso non sembrava poter funzionare, anzi,
appariva sminuente, negando una giusta percezione dello spazio interno.
Si è, pertanto, deciso di restituire all’edificio quella funzione culturale e di formazione
che aveva un tempo in qualità di Accademia: quale struttura, sin dai tempi più antichi, è più
pubblica ed educativa di un teatro?
91
IL TEATRO
NOTE
1. Il podio di Mies è concepito diversamente da quello schinkeliano: distacca sì l’edificio
dal contesto, ma ribaltare il rapporto fra spazio principale e secondario. Un atrio
sovradimensionato, completamente libero, interrotto solo da due un corpo scala.
La pianta libera permette totale flessibilità, permettendo l’esposizione di opere anche
molto grandi. Il padiglione di vetro è coperto da una grande griglia ortogonale di travi
metalliche sorretta da otto colonne cruciformi in acciaio, secondo le teorie del tanto
caro a Mies “Less is more”. Il mondo classico viene filtrato dal linguaggio della modernità
e la colonna con capitello viene reinterpretata, diventando pilastro, una manifestazione
che spoglia di ogni valenza decorativa il procedimento costruttivo. Netta è la separazione
con il piano interrato.
93
2.2.2.2.1 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEGLI INTERNI
Se, come detto, si è ritenuto interessante confrontarsi con una ricostruzione, è fondamentale
dichiarare che essa è solo parziale. Ricostruire per ricordare l’importanza visiva, concettuale,
ma anche tecnica dell’opera di Schinkel (citeremo ad esempio il primo studio in rivestimento
di mattoni bruciati che l’architetto a compiuto proprio per le facciate della Bauakademie),
ma rendere chiara e leggibile l’azione compiuta, non tanto perché la ricostruzione completa
sia considerata da noi un falso, ma perché mosse dal desiderio di donare alla città di Berlino
un edificio che fosse specchio della sua identità, strattonata nel continuo dialogo tra antico
e nuovo.
Così, la facciata dell’accademia diventa un leggero schermo vetrato, che permette la
visione degli interni e del teatro che, nella sua forma massiva ma pulita, si pone, forte del suo
essere, in una spazialità quasi eterea.
La scelta di una forma sfaccettata ma definita nasce dal bisogno di alleggerire un
edificio tanto ricco di ornamenti quale la Bauakademie, non solo per distinguersi da essa, ma
anche per lasciare che i suoi decori potessero godere della giusta e meritata attenzione di un
possibile fruitore. Meteorite che si incastra tra piano terra e interrato, al suo interno presenta
delle pulite gradonate, quasi fossero quelle di un teatro della Grecia classica, sulle quali le
trasparenti sedute sono solo vagamente percepibili. La copertura, ulteriormente pannellata,
si inclina verso il palcoscenico, garantendo un’acustica che sia il più ottimizzata possibile.
95
2.2.2.3 IL MUSEO
97
2.2.2.3.1 LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEGLI INTERNI
Laddove il teatro si inclina, una scala conduce all’interrato, anche in questo caso, spazio
dedicato al museo vero e proprio. Al di sotto della Bauakademie propriamente detta, un
primo spazio espositivo, aperto, libero, senza particolari ostacoli.
Il museo si dirama su una superficie rapportabile a quella della Schinkel Platz: anche
qui il percorso principale è assiale e, attraverso una grande sala con lucernario, culmina in
un ambiente cupolato sottostante la fontana, che conduce al secondo ingresso del museo,
direttamente collegato alla piazza. Gli spazi interni, di derivazione dagli studi dei musei
dell’isola, sono estremamente vari ed articolati: sale di varia dimensione accolgono ognuna
un tema progettuale diverso affrontato da Schinkel. Particolare attenzione è stata posta al
trattamento dei solai: trattandosi di un interrato, il rischio era quello di avere una copertura
monotona e “piatta”. Soluzione proposta è il disegno di chiusure superiori una volta voltate,
un’altra ribassate, un’altra ancora con finti lucernari, in modo tale da garantire caratterizzazione
e varietà agli interni. Altrettanto accurato è stato lo studio delle prospettive: se è vero che il
percorso principale è facilmente leggibile, sono state garantite numerose prospettive sugli
ambienti laterali, in modo tale che, un possibile fruitore, potesse essere accattivato e spinto
ad approfondire la sua visita.
99
2.2.2.3.2 PERCORSO ESPOSITIVO
“La sua grandezza risiede nel suo eccezionale senso delle proporzioni, che trasformava
qualsiasi stile egli usasse”
Philip Johnson su Schinkel
Pur traendo esempio dal passato classico, gotico e medioevale, Schinkel è convinto che ogni
opera d’arte debba contenere in nuce un elemento innovativo, senza il quale, altrimenti,
non risulterebbe mai né interessante né utile, né per chi la progetta, né per chi ne fruisce. E
questo è il principio che guida l’esposizione delle opere del maestro.
Tra le 40 opere di Schinkel a Berlino se ne conservano solo 17. Purtroppo, molti edifici
sono stati vittime delle due Guerre Mondiali, le rivolte e altri eventi degli ultimi secoli.
L’intera porzione museale direttamente sotto la Bauakademie è dedicata all’edificio: modelli
e disegni di dettaglio di Schinkel illustrano l’importanza di quest’opera nel palinsesto di
progetti dell’architetto.
Così come Schinkel ha sempre organizzato il suo lavoro pensando ad un fare didattico
e didascalico, così è stata impostata l’esposizione.
Il percorso procede al di sotto della piazza e si articola, in maniera classicista, da un percorso
principale assiale, in numerose stanze laterali, dedicate ognuna ad un argomento specifico
della carriera di Schinkel. La scelta d’articolare il percorso espositivo nasce dalla necessità
di dialogo con l’architetto, a cui è appunto dedicato il museo, ma anche dal desiderio di
garantire una lettura su diversi livelli d’approfondimento della collezione. Il fruitore, di
fatti, che decidesse di fermarsi ad un livello di conoscenza basilare, attraverso gli stanzoni
principali, potrebbe avere una visione generica, ma completa, dell’architettura del maestro.
Ivi si trovano, infatti, i progetti per la Museumsinsel, dalla visione della dogana, al progetto
dello Schlossbrücke, collegamento tra il castello e il viale Unter den Linden.
Le stanze collaterali, dedicate agli approfondimenti, sono state organizzate in macroargomenti:
i progetti di case, chiese, edifici pubblici, castelli e monumenti, come la Neue Wache, una
delle prime opere, concepita come caserma, divenuta poi monumento per i caduti. Una
stanza è dedicata alla sola Schauspielhaus, una delle opere magne dell’architetto, progettata
su modello di Atene. Ulteriore stanza singola per la Friedrichswerdersche, in diretto rapporto
101
PERCORSO ESPOSITIVO
con la Bauakademie.
Le prime due stanze sono dedicate agli studi che Schinkel ha compiuto durante i
suoi viaggi in Europa ad inizio Ottocento: la decisione di dedicare sittanto spazio agli studi
dell’architetto ancora ragazzo è avvenuta in quanto essi sono risultati fondamentali per
comprendere l’intero suo operato. Sono stati scelti per l’esposizione i più significativi degli
oltre 400 disegni che Schinkel riporta in patria a conclusione del suo viaggio. Si è voluto, in
tal modo trasmettere come, per Schinkel, il disegno fosse strumento base della conoscenza
e della trasmissione del sapere.
102
CONCLUSIONI
Con il progetto del Sesto Museo, è chiaro che non si voglia proporre un’unica ed
inequivocabile soluzione. Il desiderio è, piuttosto, quello di definire e trasmettere quella che
potrebbe essere la giusta metodologia d’approccio al complesso tema del progettare il
nuovo in relazione all’antico.
Senza finta copia e senza negazione. Senza storicismi e senza modernismi.
Alla ricerca di un moderno non contrapposto all’antico, ma moderno che cresca su basi
di sapere antico. Il sesto museo diventa, così, luogo ove ricercare le radici del nostro futuro.
107
APPENDICE
111
APPENDICE
1 KARL FRIEDRICH SCHINKEL
“Devo confessare che, per il modo di elaborare i miei futuri incarichi, il ricordo mi riporterà
come modello più elevato (non parlo qui di stile) le opere di quell’epoca (il gotico), che
hanno tutto, (a parte lo stile) in comune con le opere dei Greci e le superano di gran lunga
quanto a volume. L’architettura antica, con la sua maggiore capacità artistica si compie
nella materia, l’architettura gotica, nello spirito. Il Gotico riesce a innalzarsi audacemente
con pochi mezzi (...) disdegna lo sfarzo, tutto in esso scaturisce da un’idea e, pertanto, ha il
carattere della necessità, della solennità, della dignità e del sublime; l’architettura antica è
vanitosa, pomposa poiché l’ornamento vi è casuale. (...)”
Lettera a David Gilly
Schinkel nasce nel 1781 a Neuruppin, a nord-est di Berlino, dove si trasferisce ben presto per
compiere i suoi studi di Architettura nella bottega di Friedrich Gilly, maggior esponente del
tardo neoclassicismo germanico: da lui eredita i principi di semplicità, razionalità costruttiva
e legame inscindibile forma-funzione. A tali principi egli rimarrà sempre fedele. Ancora il
maestro gli trasmette l’importanza del fare architettura contestualizzata, legata al suo luogo,
che tanto tiene al delicato rapporto con la preesistenza: l’intorno deve enfatizzare l’opera e
l’opera deve esaltare l’intorno, secondo i principi dell’armonia e della funzionalità.
Da considerarsi che Schinkel si formò in un’epoca caratterizzata dal liberalismo,
dall’industrialismo, dal positivismo, e dalla rivoluzione tecnologica, aspetti che, ovviamente,
incisero profondamente sulla vicenda architettonica e urbanistica del tempo.
Nei primi dell’800 Schinkel compie una serie di viaggi in tutta Europa, che influenzeranno
per sempre il suo pensiero architettonico, convincendolo che le forme del classico e del
gotico siano le uniche da considerarsi belle. Schinkel non si limita all’osservazione dei grandi
monumenti della storia, bensì nutre un grande interesse al loro inserimento nel contesto
naturale ed urbano: le linee semplici e definite del romanico, lo stile gotico che tanto
rassomiglia al greco classico, la purezza formale delle case rurali, che tanto influenzeranno le
sue residenze suburbane. Altrettanto coinvolto pare dinnanzi alle opere dei visionari francesi,
come Etienne Louis Boulleè e Claude-Nicolas Ledoux, soprattutto per quanto concerne le
113
APPENDICE
loro forme geometriche pure. Da loro trae le valenze simboliche del progetto e la volontà
di mettere in luce l’aspetto spirituale ed interiore di ogni costruzione, distaccandosi, invece,
dagli effetti pittorici ed emotivi della rappresentazione: le sue opere sono depurate dal
carattere grandioso ed eroico tipico degli architetti rivoluzionari. Ciò testimonia il consolidarsi
di un atteggiamento che troverà forma nella concezione di architetture di grande chiarezza
formale disegnate sulla base di un perfetto senso delle proporzioni.
Schinkel deriva dalla classicità forme nobili e perfette attingendo da un ‘serbatoio di
bellezza’ che fornisce spunti per nuove composizioni, dando luogo a un’architettura che,
attraverso le sue forme, assume valore pedagogico e morale, in quanto implicitamente
induce l’uomo alla virtù. Lì dove le forme dell’antichità non soddisfano le accresciute necessità
del tempo, introduce infatti nuove soluzioni capaci, in ogni caso, di esprimerne lo spirito
nell’ambito di una perfetta armonia d’insieme, riproponendo gli stessi elementi assunti come
modello, ma modificando il sistema proporzionale di regole proprio dell’architettura greca.
La sintassi del mondo classico viene reinterpretata dalla cultura del tempo, proponendo
modelli compositivi capaci di soddisfare le nuove esigenze della città ottocentesca. Il modello
del tempio greco e romano, impostato su alto podio, è ripreso come tipologia che incarna
gli ideali eroici del tempo: come il tempio rappresentava l’essenza dell’architettura greca,
basata sull’equilibrio e sull’armonia delle proporzioni, così gli edifici, che da esso traggono
ispirazione, possono avvalersi di un’analoga rappresentatività, portatrice di nuovi valori. Il
modello classico viene così reinterpretato in chiave ‘moderna’ e riletto in base alla funzionalità
e alle esigenze richieste per le nuove costruzioni, mostrandosi confacente ad alcune tipologie
quali i musei, le biblioteche e i teatri. Nel periodo della Restaurazione, inoltre, la riscoperta
dei valori etici e civili giustifica ulteriormente l’adozione del linguaggio classico come mezzo
di comunicazione delle idee. E’ così che gli elementi della classicità vengono estrapolati dal
loro contesto e inseriti in nuove composizioni, dando luogo a un’architettura che si mette
a servizio dei governanti per realizzare quella ‘magnificenza civile’ che può attuarsi proprio
attraverso la riproposizione dell’antichità greca o romana.
Nel 1806 torna a Berlino e, causa assenza di committenti, si dedica alla pittura e alle
incisioni di paesaggi e diorami su acqua. Nel 1819 viene nominato consigliere di Urbanistica,
responsabile della progettazione di una capitale che rappresenti i Prussiani.
Concepisce in questo periodo l’Altes Museum, progetto che lo accompagnerà sino alla sua
morte nel 1841.
114
APPENDICE
Animato dalla voglia di lasciare un insegnamento alle future generazioni, decide di
raccogliere la propria opera in un manuale. E infatti, come già accennato inizialmente,
dal 1819 e fino al 1840, pubblica il primo di una serie di fascicoli (Heft) dal titolo Raccolta
di progetti architettonici che comprendono 174 tavole accompagnate da un commento
dell’autore. La grafica è semplice, diretta e nitida: una tecnica lineare del puro contorno.
Schinkel pone grande cura nella redazione delle diverse tavole di quello che più tardi
diventerà un manuale allestito nell’intento di divulgare la sua opera, di far conoscere il suo
originale e personale approccio all’architettura e di far sì che possa costituire uno strumento
utile di lavoro e soprattutto di apprendimento per gli addetti ai lavori. Dal 1820 e fino al
1830, comincia a lavorare attivamente anche a un Manuale di architettura, che voleva essere
un’opera fondamentale sulla teoria e sulla pratica operativa, e che, a causa degli innumerevoli
incarichi, non riuscirà mai a concludere né a pubblicare.
Pittore, scultore, architetto, personalità complessa ed estremamente artistica, ha
dedicato la sua vita alla ricerca del bello: per dare un’idea dell’arte a 360 gradi che impregnava
la persona di Schinkel basta citare il fatto che, tra il 1815-16, egli progettò persino la famosa
scenografia per l’opera di Mozart, il Flauto Magico. Da ricordare che nemmeno Schinkel
esce immune, nonostante la sua ammirazione per il classico, dall’epoca della rivoluzione
industriale: nasce in lui, soprattutto in seguito ai viaggi in Francia ed in Inghilterra, l’interesse
per le strutture metalliche e le composizioni che esse rendono possibili (sempre nell’ottica
di presentazione di edifici gotici), ma anche interesse verso la produzione seriale che, ad
oggi, da una parte è considerata ricchezza, dall’altra simbolo di minor pregio. Da citare, le
sue famose sedie.
115
APPENDICE
1.1 LA BERLINO DI SCHINKEL
Berlino è contesto e destinazione dei progetti di Schinkel: da una forma urbis scomposta,
dove un castello caserma emerge a fatica dall’intrico medievale e reticoli senza storia, si
liberano solo pochi punti saldi cui imperniare un’idea di piano (la Sprea, l’Unter den Linden,
le piazze). Il piano di Berlino di Schinkel prevede degli interventi che non si applicano tanto
alle zone di espansione quanto a ricucire e razionalizzare una città cresciuta per episodi
contrapposti e parti mal connesse. Nel 1817, dopo aver avviato i progetti per la Neue Wache
ed il Duomo, Schinkel sente la necessità di annotare in modo più sistematico alcuni temi relativi
al centro, coordinando l’identificazione di aree per nuovi edifici pubblici a provvedimenti
per la facilitazione viaria e al riordino delle vie d’acqua destinate a crescere di importanza
con l’auspicato incremento dei traffici. L’urbanistica di Schinkel risiede in una nuova qualità
formativa degli interventi architettonici: il principio dell’autonomia e dell’individualità
introduce una triangolazione a distanza di emergenze, una unità concettuale della città
nella discontinuità fisica. Ogni edificio rappresenta un’idea e identifica un tema della città,
creandosi un proprio intorno, fisico e virtuale. Il disegno dell’ambiente è la cornice che
sottolinea ed estende l’effetto dell’immagine architettonica.
Oltre alle opere per il centro di Berlino, Schinkel, nel periodo che va dal 1818 al 1826,
lavora anche a una serie di interventi nella vicina Potsdam, diventata città regia quando
Federico Guglielmo II vi si insediò assumendo il Castello quale sua residenza personale.
La prima opera in assoluto che Schinkel realizza è proprio in questo contesto, nel 1800,
il tempietto-belvedere dedicato a Pomona, per poi continuare con una serie di incarichi
commissionati dal principe ereditario Federico Guglielmo III per la realizzazione della propria
residenza estiva.
117
APPENDICE
1.2 PRINCIPALI OPERE A BERLINO
“Ogni architettura deve essere pura, perfetta ed autonoma. Se si rapporta ad un’altra di
diversa natura, essa deve essere in sé conclusa e trovare solo il sito, la collocazione e l’angolo
più opportuno per accostarsi alla prima.”
119
APPENDICE
1.2.1 NEUE WACHE
Prima opera di Schinkel nella città di Berlino, il nuovo corpo di guardia salda il foro federiciano
e la piazza dell’Arsenale, dando continuità all’asse dell’Unter den Linden su cui si allineano gli
edifici più rappresentativi della città. Egli infatti colma il fossato delle vecchie mura che separava
le due piazze e arretra la piccola costruzione rispetto ai due imponenti edifici dell’Università
e dell’Arsenale, ristabilendo però l’allineamento stradale mediante le statue dei due generali
prussiani che hanno combattuto le guerre napoleoniche. Con la sua pianta pressoché
quadrata, i quattro contrafforti angolari e il fronte con portico dorico esastilo concluso da
un timpano, l’edificio si ispira a un castrum romano. Molte furono le soluzioni proposte da
Schinkel: ad esempio, il porticato a cinque campate della prima ipotesi si trasforma, nella
versione definitiva, in un pronao dorico a sei colonne senza base. Gli elementi decorativi
sono contenuti e organizzati nell’ambito di una composizione simmetrica, di ineccepibile
chiarezza formale; nonostante la compattezza dei muri esterni sia fortemente in contrasto
con il colonnato aperto, ne risulta una composizione equilibrata, sottolineata dagli elementi
decorativi del cornicione e del frontone.
121
APPENDICE
1.2.2 SCHLOSSBRUCKE
Il rifacimento del vecchio Hundebruecke, il ponte in legno tra piazza dell’Arsenale e il
Lustgarten era all’ordine del giorno fin dai primi anni del regno di Federico Guglielmo
III. Friedrich Gilly, intorno al 1800, ne aveva dato un’interpretazione come tema civile,
contrapponendo con programmatica chiarezza massicci piloni in pietra e leggere campate
in ferro. Nel 1818 Schinkel riprende quasi testualmente il progetto: per la continuità della via
triumphalis dell’Unter den Linden propone la collocazione di statue su alti basamenti come
tema unitario fino al Lustgarden. Le statue si collegano figurativamente a quelle antistanti
alla Neue Wache e, sull’isola, a quelle previste contro lo sfondo arboreo che incornicia il
vestibolo del Duomo: in questo modo il ponte unisce, non soltanto fisicamente, l’Unter den
Linden e il Lustgarten in un unico e articolato complesso monumentale.
123
APPENDICE
1.2.3 SCALO DOGANALE
L’idea di razionalizzare gli scali doganali, unificandoli in un nuovo complesso, era stata
decisiva per la vicenda dell’Altes Museum. Nel 1829, il progetto viene definito per uno
“scopo più elevato non banale”: la costruzione di un paesaggio sulla Sprea, rappresentativo
del lavoro, degli scambi, delle relazioni con il territorio, ad integrazione dell’immagine della
Berlino aulica delle istituzioni e dell’arte. I corpi squadrati ed autonomi dialogano con i grandi
blocchi storici dell’Arsenale e del Castello, in una triangolazione di emergenze che mettono
in secondo piano cortine e tessuti edilizi. Sul sito dello scalo doganale, demolito nel 1896,
sorgono oggi il Bode Museum e il Pergamon Museum.
125
APPENDICE
1.2.4 SCHAUSPIELHAUS
Gendarmenmarkt è la piazza di mercato della Friedrichstadt, il quartiere pianificato da
Federico I in seguito all’immigrazione ugonotta. Dal 1701 vi sorgono due chiese, la francese
e la tedesca. Fra queste, Langhans edifica nel 1802 il Teatro Nazionale, ma già nel 1817 un
incendio lo distrugge, ponendo il problema della sua ricostruzione. La missione di Schinkel
fu quella di costruire un nuovo teatro che avesse caratteristiche urbane. Va segnalato che
Schinkel apporta una serie di innovazioni particolarmente significative nella progettazione del
teatro moderno, in quanto configura un’unità spaziale e funzionale fra auditorium, proscenio
e palcoscenico. L’auditorium assume, pertanto, una nuova conformazione correlata alle leggi
dell’acustica e propone soluzioni specifiche atte a favorire una piena visibilità, con posti in
platea a diverse altezze e gallerie costituite da palchi con balconata. Introduce, inoltre, uno
‘sfondo simbolico‘ per il palcoscenico, rinunciando alle quinte e ai celetti, a favore di un
unico grande dipinto di sfondo e dando luogo a un cambiamento significativo dal punto
di vista tecnico anche ai fini dell’illuminazione proveniente dall’alto. Infine, l’orchestra viene
posizionata in basso rispetto al proscenio, per ottenere il massimo vantaggio acustico.
L’alto basamento e la classicità dell’insieme restituiscono grande monumentalità all’edifico;
è leggibile la giustapposizione di volumi di differenti altezze e la simmetria dell’insieme il
cui asse è individuato dalla grande scalinata d’ingresso posta in corrispondenza del pronao
esastilo. Per quanto riguarda la copertura, Schinkel introduce un elemento estraneo alla
cultura greca e cioè il tetto piano, escludendo il ricorso a sistemi voltati a cui si sostituiscono
architravi orizzontali che sono a suo avviso più coerenti con il carattere di un edificio pubblico.
Tali architravi, sorretti da pilastri, consentono variazioni di altezze nello spazio interno e
costituiscono l’elemento di modernità all’interno di una composizione chiaramente ispirata
al mondo classico. Purtroppo l’elemento moderno non viene apprezzato e la struttura a
pilastri viene apertamente condannata.
127
APPENDICE
1.2.5 MONUMENTI A FEDERICO II
Dopo che il progetto del maestro Gilly fu abbandonato, anche Schinkel affrontò, a più
riprese e a partire dal 1829, il tema di una serie di monumenti a Federico II, che conferissero
coerenza a quello che, fino ad allora, era solo un insieme disorganico di parti, costruite e
accostate senza una reale visione d’insieme.
Dei tanti interventi di Schinkel a Berlino, sono particolarmente significativi, per mole e
impatto urbanistico, quelli che riguardano l’asse Unter den Linden-Lustgarten, cioè il vero
e proprio «cuore» della città. Ne discusse a lungo con Federico Guglielmo III, sia riguardo
alla forma (il re voleva una colonna simile a quella traiana) sia alla localizzazione. Schinkel
presentò al sovrano molti progetti, ognuno pensato in funzione del suo particolare ruolo
urbano. Una delle prime soluzioni proposte fu quella di un’alta colonna posta al centro
dell’Unter den Linden, in posizione assiale rispetto all’edificio dell’Università e circondata
da un portico dorico sovrastato da un terrazzo. Per l’angolo del Lustgarten allo sbocco dello
Schlossbrücke, Schinkel immagina, invece, una loggia a colonne su tre lati con al centro una
colossale statua equestre. Di questa soluzione propose anche un’ulteriore variante, con una
colonna a base quadrata: data la lontananza degli altri edifici, si sarebbe stagliata contro il
cielo e si sarebbe potuta ammirare dalla strada lungo il Castello.
Ancora più impegnativo, infine, è il progetto che egli colloca fra il Castello e il Duomo:
un monumentale edificio con giardini pensili alberati avrebbe degnamente incorniciato
la statua del re su una quadriga, concludendo la sistemazione del lato occidentale del
Lustgarten. Come era accaduto per il progetto di Gilly, anche tutti quelli di Schinkel per
Federico II restarono, però, lettera morta.
129
APPENDICE
1.2.6 CHIESA DI FRIEDRICHSWERDER
E’ l’unica chiesa in stile neogotico che Schinkel realizza, non per sua volontà, ma su pressione
della Corona: inizialmente, egli elabora una serie di proposte in stile neoclassico, sia dorico
che corinzio, con in comune la soluzione a navata unica, vista la mancanza di proporzione
tra larghezza e lunghezza. Le soluzioni proposte sono addirittura sei: sicuramente le più
accreditate furono quella neoclassica con campanile separato e quella neogotica a due torri.
E’ sicuramente di interesse seguire le vicende per la definizione del progetto della
chiesa in quanto risultano evidenti i diversi ripensamenti che portano, nelle fasi iniziali, a
ridisegnarne l’insieme secondo linguaggi molto diversi tra loro. E, pertanto, il primo progetto
di Schinkel è un vero e proprio tempio romano pseudoperiptero, in stile corinzio, secondo il
modello della ‘Maison Carrée ’ a Nîmesx; a questo si accompagna una versione pressoché
uguale in stile dorico, e negli anni successivi, redige una nuova versione sempre fondata
sul linguaggio classico, ma con campanile separato. In seguito alle pressioni del principe
ereditario, Schinkel sviluppa una nuova variante, con quattro torri angolari e una corta navata
a sole tre campate, a partire dalla quale prevede nuove alternative in stile gotico.
Tra il 1823 e il 1824, Schinkel completa il progetto definitivo della chiesa in stile
neogotico; la costruzione inizia nel 1825, per terminare nel 1830. L’intero complesso è
stato rimaneggiato in più di una occasione e ha subito gravi danni nel corso della Seconda
Guerra Mondiale, tanto da prevederne una ricostruzione nel 1979. La pianta, delle stesse
dimensioni della neoclassica, viene divisa in cinque campate con volte stellate, che poggiano
su contrafforti. Sia al livello inferiore della chiesa, che a livello dei matronei, i vani aperti tra i
pilastri fanno apparire questi ultimi isolati in pianta mentre nella realtà sono collegati ai muri
perimetrali. Schinkel prevede di realizzare un fronte incastonato tra due piccoli campanili a
pianta quadrata, non troppo alti ma in grado, comunque, di conferire eleganza e leggiadria
all’intero prospetto, concludendoli verso l’alto in tutta la loro larghezza e lasciando così
la possibilità di utilizzare la copertura come un affaccio, per godere dell’ampia veduta
panoramica sull’ambiente circostante. Considerando la semplicità del progetto, Schinkel
decide di conferire maggiore rappresentatività all’insieme utilizzando il mattone a vista sui
prospetti che, nelle diverse forme e dimensioni, viene selezionato per adeguarsi a ogni più
piccolo dettaglio, come ad esempio i pezzi di terracotta per le sculture ubicate sul portale. I
131
APPENDICE
I parapetti, lavorati a traforo, sistemati tra i pilastri della facciata, contribuiscono alla creazione
di un effetto più ricco e, contemporaneamente, definiscono, elegantemente, la conclusione
della costruzione. Ancora oggi, questo è riconosciuto come il più grande edificio gotico
del mondo costruito in mattoni rossi. Osservando lo stile neogotico della Chiesa di
Friedrichswerder, si nota come questo sia caratterizzato da forme pure, superfici lisce, profili
e dettagli quasi classici, molto lontani dalle forme del gotico francese o di quello tedesco.
Schinkel contribuisce in maniera decisiva a far rinascere gli insegnamenti del gotico,
dando luogo, a partire da questo momento, ad un linguaggio duale che sarà alternativamente
presente nelle sue architetture, sia nella concezione dell’impianto, che nella configurazione
esterna, dove il classicismo e il neogotico si compenetreranno, dando luogo a esiti di grande
rilievo e configurando una sorta di ‘classicismo romantico’.
132
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APPENDICE
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143
RINGRAZIAMENTI
Alla fine di questo straziante percorso, stanche, isteriche, con 5 diottrie in meno e molte
rughe in più, ma oggi molto felici (si spera), dobbiamo non solo dei ringraziamenti, ma
anche molte scuse.
In primis grazie madre e padre (quelli di entrambe si intende, oramai siamo fuse in un’unica
persona), per il supporto datoci in questi lunghi anni. Un solo appunto: bastava impedirci
l’iscrizione ad architettura e saremmo stati tutti più felici.
Mari e Mariano, non ve la caverete con un “ma io t’avevo detto di fare ingegneria”.
Agli amici tutti, quelli rimasti e quelli andati, per aver condiviso questi ultimi sprazzi di
giovinezza.
Ma soprattutto a te, che da sei anni a questa parte sei la mia anima gemella, senza cui tutto
avrebbe perso il suo sapore.
Last but not least, un grazie speciale a Chicco, Sara e Paoli per averci obbligato a laurearci a
dicembre perché non ci sopportavano più.
Ma soprattutto grazie per averci insegnato tanto.
E a te, compagna di gioie e stanchezze, dopo tutti questi anni di lavoro sarà bizzarro tirare
un respiro di libertà.
Con questo lavoro abbiamo superato il limite dell’amicizia, ormai mi risulta difficile capire
dove finisca il mio pensiero ed inizi il tuo. Ci siamo tranquillizzate a vicenda, ci siamo agitate
a vicenda, ci siamo volute bene e ci siamo volute uccidere.
So solo che questo mi rimarrà nel cuore.
Ti auguro la vita più bella di sempre.
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