BERGSON e lo SPIRITUALISMO FRANCESE

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Henri BERGSON
Spiritualismo e potenza della memoria
1 - Premessa
La filosofia di Henri Bergson (1859 – 1941) si colloca storicamente nel contesto
francese e in quello europeo come una delle espressioni più emblematiche della
cultura che inaugura il XX sec.
Il ‘900 è infatti segnato, nella cornice scricchiolante della cosiddetta Belle Epoque
progressista e borghese, dall’emergere e soprattutto dall’emergenza della Crisi
dei valori rassicuranti e assoluti della ragione. La fiducia positivistica nel
progresso della scienza e della ragione matematica si è incanalata, sin
dall’ultimo trentennio dell’800, in una generalizzata volontà di dominio che si è
declinata lungo tensioni imperialistiche e nazionalistiche in vista della grande
Verità divinizzata del Capitalismo e delle logiche di mercato.
Questa volontà di dominio si sarebbe tradotta, di lì a poco lungo le tensioni
imperialistiche, nella Guerra. E, in effetti, i termini dominanti nel ‘900 sono
quelli che fanno capo a “crisi”, “irrazionalismo”, “guerra”, “morte”,
“precarietà” e, aggiungerei, “distruzione” di ideali ottimistici come Libertè
Egalitè Fraternitè.
La Francia in cui vive Bergson è al crocevia di queste tensioni e il grande
ottimismo borghese forgiato dal razionalismo cartesiano è sempre più
adombrato da un’atmosfera di ripiegamento e di disillusione sul benessere che
la ragione tecnica e progressista ha promesso sin dall’età dei Lumi. Ma si tratta
di una promessa non mantenuta.
In generale il pensiero di Bergson è collocato in questa aria di Crisi o, detto
altrimenti, di Nichilismo della cultura occidentale europea.
Laddove c’è nichilismo o Crisi, c’è però anche la voglia di sperimentare nuove
strade spirituali per la coscienza dell’uomo troppo a lungo compressa entro le
ristrette certezze matematiche, economiche, tecniche.
Lo spiritualismo di Bergson, così si chiama la sua filosofia, esprime tutta l’ansia e
lo slancio verso nuovi sentieri da percorrere, per rivitalizzare ciò che la vecchia
cultura borghese ha mortificato: la vita nella sua creatività e nelle sue facoltà
più intime, profonde e, anticipando un termine della nascente psicanalisi
freudiana, “inconsce”.
Alla luce di quanto detto e per ciò che segue ho tenuto conto delle opere
principali di tutta la filosofia di Bergson, dalle quali emergono i concetti
strettamente connessi di “Coscienza” – “Durata” – “Memoria”:
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Saggio sui Dati Immediati della Coscienza (1889)
Materia e Memoria (1896)
L’Evoluzione Creatrice (1907)
La dimensione della memoria acquista un senso di primissimo piano nella
filosofia del ‘900 soprattutto grazie allo “Spiritualismo” di Bergson e a quella
grande “rivoluzione” culturale che fu la Psicoanalisi di Freud.
La cifra concettuale che segna il ‘900 filosofico è data dalla nozione di “Crisi”;
ovvero, crisi delle certezze scientifico-positiviste da un lato, e le certezze della
metafisica tradizionale dall’altro.
In questo secondo caso, la certezza metafisica per eccellenza è il dogma del
Soggetto (nel senso latino di Sub-jectum = ”fondamento primo”; la base
“rocciosa” e stabile), inaugurato da CARTESIO (in termini di “Res Cogitans”),
articolato da KANT (attraverso la funzione trascendentale dell’ “Io Penso”) e
sublimato in fine da HEGEL nei termini speculativi di “Spirito Assoluto”. Si
tratta insomma di una tradizione filosofica che fa del Soggetto il Fondamento,
appunto, e la piattaforma della verità e della realtà entro coordinate
semplicemente ed esclusivamente razionali: Il Soggetto come Uni-verso.
Il punto di vista di Bergson rimuove alla radice il dogma del razionalismo,
vedendo nel soggetto un “flusso” spirituale caratterizzato soprattutto da
componenti e situazioni emotive, affettive, intuitive, “irrazionali”: Il Soggetto
come Pluri-verso.
Ciò che si definisce “Ragione” è solo un aspetto - o comunque la punta di un
iceberg – della vita della coscienza: Bergson parla a tal proposito di una “crosta”
superficiale sotto la quale ribolle lo spirito magmatico in tutte le sue dimensioni
e possibilità esistenziali.
Dice Bergson nel Saggio sui dati Immediati della Coscienza:
“E’ l’io profondo che risale alla superficie. E’ la crosta esteriore che scoppia, e
cede ad una spinta irresistibile. Nelle profondità dell’io, al di sotto di quegli
argomenti molto ragionevolmente connessi, si preparava dunque un
ribollimento e, con ciò stesso una tensione crescente di sentimenti e di idee(…)
L’azione non esprime più quell’idea superficiale, quasi esteriore a noi, distinta e
facile da esprimersi: risponde invece all’insieme dei nostri sentimenti, dei nostri
pensieri e delle nostre aspirazioni più intime, a quella concezione particolare della vita
che è l’equivalente di tutta la nostra esperienza passata. (…)
Siamo liberi quando i nostri atti emanano dalla nostra personalità intera,
quando la esprimono, quando hanno con essa quell’indefinita rassomiglianza
che si trova alle volte tra l’opera e l’artista”.
2 - Che cos’è la coscienza per Bergson?
Potremmo dire che la “coscienza” non sia altro che la durevole e sempre presente
conservazione di tutte le mie esperienze vissute che, sedimentandosi nel tempo,
costituisce la nostra personalità.
Il “tempo” di cui parla Bergson non è quello oggettivo della scienza (il tempo
degli orologi e cronometri che “tagliano” e cristallizzano la vita in istanti
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immobili; Kronos deriva dal verbo greco “Krinein” che significa “tagliare”), ma
si tratta del tempo “vissuto” individualmente dalla coscienza; un tempo relativo
insomma, ciò che Bergson fissa nei termini di Tempo “Qualitativo” contro il
tempo “Quantitativo”. Ognuno di noi ha tempi relativi e differenti: il tempo è
dato dalla qualità delle esperienze che si sedimentano nella nostra crescita
individuale.
Es.: un individuo di 20 anni può essere “qualitativamente” più maturo di uno di
60; lo spartiacque fra i due non è l’Ufficio Anagrafe, ma la vita vissuta con una
pluralità di esperienze che hanno dato linfa vitale alla coscienza.
Il senso del tempo interiore!
La coscienza coincide, dunque, con ciò che Bergson, parlando di questa
particolare dimensione temporale dell’esistenza, chiama “Durata” (Durèé): essa
è appunto quella stratificazione e fusione, entro un flusso unitario, di tutte le
nostre esperienze vissute, che ci determinano nel presente e inevitabilmente
pesano o condizionano sulle nostre azioni avvenire. (Il contrario di Kronos, in
greco, è Kairos che significa “flusso omogeneo” di tempo; “scorrimento”;
“evoluzione continua senza interruzioni”
Cerco di spiegarmi meglio con le parole stesse di Bergson nel Saggio sui Dati
Immediati della Coscienza:
“La durata assolutamente pura è la forma che assume la successione dei nostri
strati di coscienza quando il nostro io si lascia vivere, quando si astiene dallo
stabilire una separazione tra lo stato presente e gli stati anteriori”.
Detto altrimenti: chi si ostina ad analizzare le proprie emozioni o il proprio
passato “cervelloticamente”, cessa di possedere tanto le emozioni quanto il
passato. Essere i “ragionieri” dei propri sentimenti impoverisce l’“elasticità”
della coscienza, o anima…come dir si voglia.
In oltre Bergson paragona metaforicamente la coscienza, come “flusso” o
“durata”, alla pellicola cinematografica o alla melodia di una sinfonia: il senso
complessivo di un film è dato dalla “fusione” ininterrotta dei singoli
fotogrammi, che presi separatamente e isolati non conferiscono pienezza di
senso alla storia sceneggiata; similmente la melodia altro non è che la fusione
armonica e globale delle note del pentagramma; prese di per sé, tali note
costituiscono non melodia ma suoni insignificanti. Ora, se considerassimo la
nostra vita come semplice somma di singole situazioni non ne troveremmo il
“filo rosso” di continuità, ma la continuità è data dalla memoria storica o,
comunque, dal fatto che le esperienze vissute “retroagiscono” in un modo o
nell’altro nel presente e costituiscono il trampolino di slancio per l’avvenire.
E cos’è ciò che permette la conservazione di questi strati di coscienza?
Bergson è categorico e risponde: la memoria!
Talmente categorico che arriva a stabilire, in una fondamentale equazione
filosofica del suo pensiero, l’identità di Memoria e Coscienza:
MEMORIA = COSCIENZA
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Questa identità è molto chiara perché se non ci fosse memoria noi saremmo
“frantumati”; vivremmo sempre nell’attimo fuggente e la nostra vita sarebbe
una somma di tante situazioni “chiuse” e scollegate fra loro. Questo
significherebbe non avere né crescere con una Identità, ovvero con una
coscienza.
Per inciso: il termine “Esperienza” si presta bene al discorso di Bergson perché
deriva dal latino “Ex-Periri”, cioè: “uscire fuori dai confini”.
L’esperienze, insomma, sono le condizioni della nostra evoluzioni e dinamicità,
e queste sono possibili attraverso ciò che rende possibile la conservazione delle
esperienze fatte: la memoria. Vice-versa la chiusura su se stessi…paralizza e
atrofizza l’anima.
Vorrei sottolineare che qui Bergson compie il vero strappo rispetto alla vecchia
concezione di Ragione: da una Ragione “astratta” , speculativa e puramente
matematica, si passa al nuovo concetto di ragione che ha a che fare con
l’Azione: essa è letteralmente calata nell’esperienza vissuta e concreta, dunque
si tratta di una ragione dinamica che agisce come strumento di “sopravvivenza”
nel mare aperto e rischioso, imprevedibile dell’esistenza; si parla di Intelligenza
pratica e attiva (dal latino Intus-legere = “leggere dentro” alla realtà; essere dentro
la realtà ed esserne co-involti anima e corpo, con tutto il carico di sentimenti,
affetti, sogni, progetti, emozioni, impulsi e, soprattutto, ricordi). Per questo si è
soliti anche riassumere lo “Spiritualismo” di Bergson come “Filosofia
dell’Azione”
Faccio ancora dire qualcosa a Bergson su questo punto (da L’Energia Spirituale
del 1919):
“Cos’è la coscienza? Voi pensate di certo che non definirò una cosa così
concreta, così costantemente presente all’esperienza di ognuno di noi. Ma senza
dare della coscienza una definizione che sarebbe meno chiara di essa, posso
caratterizzarla con il suo tratto più evidente: coscienza significa in primo luogo
memoria. La memoria può mancare di ampiezza, può abbracciare solo una
piccola parte del passato, può trattenere solo quello che è appena accaduto. Ma
deve esserci memoria, altrimenti non ci sarebbe coscienza.
Ogni coscienza è anticipazione del futuro. Considerate la direzione del vostro
spirito in un momento qualsiasi: vedrete che esso si occupa di ciò che è, ma in
vista soprattutto di quello che sta per essere. L’attenzione è un’attesa, e non c’è
coscienza senza una certa attenzione alla vita. Il futuro è già qui; ci chiama o,
piuttosto, ci trae a sé. Questa trazione ininterrotta che ci fa andare avanti sulla
strada del tempo, è a causa anche del nostro agire di continuo. Ogni azione è
uno sconfinamento nel futuro.
Trattenere ciò che non è più, anticipare ciò che non è ancora; ecco dunque la
prima funzione della coscienza. (…)
Dunque possiamo dire che la coscienza è il tramite tra ciò che è stato e ciò che
sarà, un ponte gettato fra il passato e il futuro”
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Digressioni Letterarie sul “Bergsonismo”
A questo punto è opportuno, a mio avviso, richiamare almeno due riferimenti
letterari che si impongono come necessari per comprendere il concetto di
“Memoria” e di “Coscienza” di Bergson: mi riferisco al francese M. PROUST e
all’irlandese J. JOYCE.
Del resto il riferimento alla dimensione letteraria ha senso se si tiene conto che
1.
Bergson intendeva la lo Spirito come la dimensione complessiva
dell’esistenza umana che dunque non può essere considerata “per
compartimenti stagni” ma letteratura, filosofia e le stesse scienze “esatte” sono
comunque imprese umane, quindi hanno un fondamento spirituale comune;
2.
Bergson seguì nella sua formazione studi matematici, filosofici ma
anche letterari: nel 1928 vinse il premio Nobel per la Letteratura.
A – DIGRESSIONE SU PROUST
Nel ciclo di romanzi Alla Ricerca del Tempo Perduto, Marcel Proust evidenzia
metaforicamente che la coscienza (protagonista assoluta della sua opera) sia
assimilabile ad una stoffa che si presenta come unitaria, omogenea e semplice.
In realtà la stoffa di cui la nostra anima è intessuta e vestita è fatta di trame
complicate e sottili di fili che globalmente la determinano.
Fuori metafora, i fili della nostra coscienza sono i “dati immediati” (da cui il
titolo della sua opera filosofica maggiore), ovvero le “esperienze vissute” che
fanno parte del nostro “tempo perduto” ma che comunque, insegna Proust, non
è perduto irrimediabilmente o irreversibilmente, perché la memoria conserva le
esperienze e ne può riattivare il ricordo in ogni momento del presente
modificandolo con una sua propria tonalità emotiva e predisponendo le nostre
stesse azioni future – i progetti - .
I pro-getti, per Bergson, infatti costituiscono quello “slancio vitale” e,
letteralmente, quelle “proiezioni” che coinvolge tutto il nostro essere a partire
dalle radici con il bagaglio totale delle nostre esperienze.
Infine Bergson punta l’attenzione sul fatto che la memoria non è una facoltà fra
altre facoltà determinate, ma è la nostra precondizione esistenziale senza cui
non avremmo coscienza di esistere né di “progredire”. La memoria è la cifra
“ontologica” (cioè del nostro proprio essere autentico essenziale) che coinvolge
tutte le fibre della nostra ragione e della nostra “materia”.
Per spiegare quest’ultimo punto utilizzo un esempio che traggo dall’inizio di
uno dei romanzi di Proust (il primo del ciclo: non ci giurerei –Dalla Parte di
Swamm - ma ne sono quasi convinto, comunque verifica il titolo esatto). Proust
in apertura, infatti, rievoca tutto il suo passato (e qui l’evocazione è il registro
trainante della macchina letteraria proustiana: “evocare” significa “portare da”,
rendere presente ciò che è assente) e tutta la sua dimensione esistenziale
partendo dal senso dell’olfatto: ovvero partendo dal semplice e apparentemente
insignificante odore di una tazza di The o di un ambiente campagnolo qualsiasi
che scoperchiano e riattivano quegli strati di coscienza dell’infanzia vissuta in
una casa di campagna di una cara zia che aveva l’abitudine o il vezzo di bere
thé (momento comunque affettivo di aggregazione), evidentemente tasselli
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costruttivi della psiche e dell’anima, che ripresentandosi possono determinare
in vari modi la coscienza attraverso dolore, tristezza, nostalgia, amarezza,
rigetto, ecc…
Riassumendo: Bergson smantella la vecchia e unilaterale, “raziomaniaca”
categoria del “Soggetto”, per consegnare l’individuo o la coscienza nella sua
dimensione ontologica essenziale, che è la com-plessità dinamica, ovvero alla
lettera, stratificazione di una pluralità di “plessi” ed esperienze compattate e
legate fra loro dal filo rosso della memoria: la memoria “esistenziale” e non
quella memoria legata, per es. ad esercizi di “mnemotecnica” con cui si può
imparare una lettura o una lezione “per il giorno dopo” (questa, dice Bergson, è
un tipo di memoria legata all’abitudine o ripetizione di certi meccanismi
mentali “coatti”, ovvero legati passivamente o per semplice automazione ad
uno scopo tecnico e non spirituale-esistenziale).
Per spiegare meglio quest’ultimo punto credo che le parole di Bergson (da
L’Evoluzione Creatrice) siano più convincenti delle mie:
“La memoria, come abbiamo cercato di dimostrare, non è la facoltà di disporre
dei ricordi in un cassetto o di iscriverli in un registro. Non esiste registro né
cassetto e nemmeno potremmo dire che esista una facoltà, poiché una facoltà
agisce in maniera discontinua, quando vuole o quando può, mente lo stratificarsi del
passato sul passato procede ininterrottamente.
Non v’è dubbio: esso ci segue, intero, istante per istante; tutto ciò che abbiamo
sentito, pensato, voluto fin dalla nostra prima infanzia è qui proteso sul
presente che sta per integrarvisi, e urge contro la porta della coscienza”.
[In ultimo, per inciso, non è assolutamente un caso che la memoria giochi un
ruolo centrale nella Psicoanalisi freudiana, in cui l’“IO” non è che il risultato
delle sue esperienze passate e delle sue pulsioni lipidiche -“sessuali”
metabolizzate dal e nell’inconscio. Il metodo della Psicoanalisi si basa sul
recupero del passato attraverso l’ “anamnesi” (= ricordo) di quegli aspetti che la
razionalità cosciente ha rimosso…ma non annullato].
B – DIGRESSIONE SU JOYCE
L’irlandese James Joyce più che sulla memoria fa leva, nella sua produzione
letteraria, sul concetto di “Flusso di Coscienza” (lo Stream of Consciousness)
condiviso con la contemporanea V. WOOLF; concetto che definisce la nuova
identità europea della coscienza negli anni di Crisi della cultura di inizio ‘900.
In tal senso si usa parlare generalmente, come aveva preannunciato
NIETZSCHE, di “Nichilismo” che tradurrei liberamente come “la malattia del
disincanto” per tutte le certezze del Passato (inteso come tradizione dogmatica
– metafisica); ciò che lo stesso Nietzsche, riprendendo un concetto inventato dal
russo Fedor DOSTOEVSKIJ, riassumeva nella nozione ormai classica di “Morte
di Dio”.
Il “Flusso di Coscienza” per Joyce è ciò che per Bergson è lo “Slancio vitale”
della coscienza: consiste nel recupero di tutte le componenti che hanno
caratterizzato la storia o il “vissuto” di un individuo.
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Chi sarebbe l’individuo del ‘900? Direi che si tratta di Ulisse (titolo del
capolavoro di Joyce) alla ricerca di se stesso nel mare aperto della sua anima.
Tecnicamente Joyce rende questo “viaggio” individuale attraverso il metodo
letterario del “Monologo Interiore”, una sorta di autoanalisi, per “associazioni
libere”, che distrugge le convenzioni borghesi e razionali, persino nella stessa
sintassi – punteggiatura. In Italia un esempio di “flusso di coscienza”
convogliato nel “monologo interiore” è fornito da “La Coscienza di Zeno” di I.
SVEVO e da “Uno, Nessuno e Centomila” di L. PIRANDELLO e in Europa la
massima coscienza letteraria di questa crisi e del recupero-ricerca di sé è
rappresentata dal binomio Proust – Hermann HESSE (basta leggersi Demian o,
meglio, Peter Camenzind)
Conclusivamente si deve dire che Bergson ha insistito, contro l’aridità delle
scienze oggettive del Positivismo che estromettono la sfera spirituale dalla
“verità” e dalla “conoscenza certa”, sulla ricchezza e com-plessità di questa
sfera (dove, parafrasando Giordano BRUNO mi verrebbe da dire che “il centro
è ovunque e la circonferenza in nessun luogo”).
La sfera della coscienza come flusso dinamico, “slancio vitale”, caratterizzato
dalla sua dimensione temporale: la “durata” (ciò che S. AGOSTINO chiamava
“Distensio Animi”). La Dinamicità della coscienza implica la continua tensione
nel presente tra passato e proiezione-progettualità verso il futuro della
coscienza aperta sull’ infinità delle possibilità: Dynamis in greco significa
“movimento” ma anche “potenza” nel senso di possibilità e potenzialità:
Nietzsche, per es., intende esattamente questo per “Volontà di Potenza” del
Super-uomo, una volontà di rimanere e sentirsi un “ponte” o una “freccia”
scagliata verso il futuro ma carica del proprio passato vissuto e da rielaborare
creativamente-intelligentemente (diversamente Nietzsche chiama il Superuomo anche con la nozione di “Uomo come Opera d’Arte”).
E la Volontà di Potenza di Nietzsche è riproposta da Bergson in termini di
“Intelligenza Creatrice”.
Dice Bergson ne “L’Evoluzione Creatrice”:
“Noi non possiamo prevedere dell’avvenire se non ciò che si richiama al
passato”
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