N° 3 - Salute per tutti

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Vol. 6 - n. 3 - Settembre-Dicembre 2008
ISSN 2035-0678
Indexed in
EMBASE/Compendex/Geobase
Periodico quadrimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1, comma 1 DCB Milano
Fattori di rischio, precursori, prodromi
e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili
ORGANO UFFICIALE
Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini, Paola Di Fabio,
Ilaria Santini, Donatella Ussorio, Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone,
Rita Roncone, Massimo Casacchia
Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio
dimensione generale del problema
Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba, Matteo Zanzucchi,
Carla Pepe, Sergio Bernasconi
ESPERIENZA SUL CAMPO
Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti.
L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara
Annunziata Indino, Martina Mainetti, Fabrizio Pugliese, Maria Rita Govoni, Monica Sprocati, Vincenzo de Sanctis
FRONT LINE
Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente
Stefania Pisano
Posters presentati al V Congresso Nazionale SO.S.T.E.
Cagliari 16-18 Ottobre 2008
Editoriale
Negli ultimi 20-30 anni il consumo di alcol e droghe, di vario tipo, è divenuto un problema
sanitario sempre più preoccupante. Le conseguenze più dannose sono quelle descritte nei giovani e
soprattutto nei soggetti in età adolescenziale.
Le suddette sostanze vengono utilizzate dai ragazzi per vari motivi: favorire l’indipendenza
dai genitori, ridurre lo stress, migliorare l’accettazione da parte dei coetanei, esplorare i limiti delle proprie capacità cognitive, indicare un simbolo di maturità fisica.
Oltre ai problemi sanitari correlati all’assunzione di alcol e droghe, l’abuso di sostanze è molto spesso collegato ad altri comportamenti a rischio.
Una ricerca condotta nella provincia di Ferrara nel 1993-94 aveva evidenziato che il 32% degli studenti
delle scuole medie superiori beveva superalcolici almeno una volta alla settimana ed il 10% più di una volta alla settimana. Questa percentuale (32%) in 10 anni è passata al 50%, come risulta dalla indagine condotta da Indino e coll.
su 273 adolescenti ospedalizzati nel reparto di Pediatria ed Adolescentologia della Divisione Pediatrica di Ferrara e
pubblicata in questo numero della RIMA.
I fattori che influenzano l’abuso di alcol nei giovani sono tanti e a volte molto diversi tra loro.
La prima assunzione di alcolici ha luogo nel periodo della scuola media inferiore o nei primissimi anni di
quella superiore. Il più delle volte gli adolescenti iniziano a bere a casa, con i loro genitori. Le sostanze preferite
durante i pasti sono la birra e il vino. Fuori dai pasti il consumo prevalente rimane quello della birra seguita dagli aperitivi e dai superalcolici. Questi ultimi vengono assunti per lo più durante il weekend.
I luoghi dove le bevande alcoliche vengono generalmente consumate sono le case private, le discoteche, i pubs, mentre le circostanze a rischio sono le feste di fine anno scolastico, i compleanni e le gite scolastiche.
A parte gli effetti tossici secondari agli alti tassi di alcol, il consumo di questa sostanza è collegato ad un
aumentato rischio di rapporti sessuali non protetti, malattie a trasmissione sessuale, gravidanze indesiderate, incidenti stradali ed attivazione di comportamenti normalmente repressi.
L’alcol etilico viene rapidamente assorbito a livello gastrico e dell’ileo prossimale, il picco massimo viene
raggiunto entro 90 minuti. I fattori che favoriscono l’assorbimento sono rappresentati dall’assenza di grassi nella
dieta, dall’aggiunta di anidride carbonica e dalla diluizione (al 20%).
La principale metabolizzazione avviene nel fegato (90%), seguito da reni, polmoni e sudore (2-10%). Il
processo di degradazione a livello epatico riconosce 2 tappe: l’acetilazione in acetaldeide e acetilcoenzima A, per
azione degli enzimi alcol-deidrogenasi e aldeide-deidrogenasi e la trasformazione in acqua e anidride carbonica,
attraverso il ciclo di Krebs.
L’abuso dell’alcol esercita principalmente un effetto sul sistema nervoso centrale e sull’apparato
gastroenterico. In genere, la concentrazione ematica di alcol si riduce di 20-40 mg/dl per ora.
Talvolta la sintomatologia è grave anche per valori di alcolemia non particolarmente elevati.
La carenza di programmi di educazione alla salute ha portato la popolazione giovanile ad ignorare i rischi
dell’alcol. Appare, quindi, importante una strategia di prevenzione con l’obiettivo di produrre cambiamenti stabili nel
tempo, che vanno al di là dell’intervento individuale.
L’OMS ha dettato un decalogo per cercare di sconfiggere il consumo di alcol tra i giovani. In particolare:
1. ridurre drasticamente il numero di giovani che si avvicinano all’alcol;
2. ritardare il più possibile l’età in cui i giovani iniziano a bere;
3. abbattere le occasioni di drink a rischio elevato, in particolare negli adolescenti;
4. studiare alternative valide all’alcol e avviare campagne di informazione nei confronti di chi è più a
contatto con i giovani;
5. aumentare il coinvolgimento dei ragazzi nelle campagne di prevenzione sanitaria, in particolare
quelle correlate all’abuso di alcol;
6. promuovere campagne educative rivolte ai giovani sulle conseguenze dell’abuso di alcol;
7. neutralizzare l’effetto di campagne promozionali sull’alcol;
8. sostenere qualsiasi azione contro la vendita illegale di alcolici;
9. facilitare l’accesso ai centri di sostegno in particolare dei giovani e/o dei loro familiari con problemi di alcol;
10. avviare azioni preventive per ridurre il rischio di incidenti, aggressioni e atti di violenza conseguenti
all’abuso di alcol.
Per svolgere questi compiti è necessaria, tuttavia, una articolata rete territoriale che dovrà necessariamente coinvolgere la scuola, le amministrazioni comunali, i genitori dei ragazzi, le associazioni giovanili e sportive, i
pediatri di famiglia ed i medici di medicina generale.
Con queste premesse è opportuno che il Pediatra entri nell’ottica che, nella sua pratica quotidiana, sempre più frequentemente, potrà trovarsi di fronte ad adolescenti che fanno uso di alcol. E’ necessario, pertanto, che
acquisisca maggiori conoscenze sull’abuso di alcol, per poterne precocemente riconoscere gli effetti e comunque
porsi come obiettivo la prevenzione.
Vincenzo De Sanctis
1
Saluto del nuovo Consiglio Direttivo
Cari Soci,
come sapete durante il XV Congresso Nazionale sono stati rinnovati i vertici della nostra Società; quindi il nuovo Consiglio Direttivo ha il grande piacere di rivolgerVi il più sentito saluto. Il ruolo al quale siamo stati
chiamati ci onora e ci impegna, perché la SIMA è strategica nell’ambito della Pediatria.
Un ringraziamento sincero lo vogliamo esprimere a tutti coloro che prima di noi hanno guidato la nostra
Società, perché il loro lavoro ha permesso una crescita costante della SIMA in qualità e contenuti. Un ringraziamento
particolare lo vorremmo rivolgere a Giuseppe Raiola, perché con pragmatismo e determinazione ha reso la SIMA più
adeguata alla realtà attuale, e a Vincenzo De Sanctis, per la dedizione che mette nel rendere la RIMA sempre più
idonea ad un aggiornamento professionale di eccellenza.
Vari dati epidemiologici dimostrano un peggioramento dei comportamenti a rischio dei ragazzi, spesso
con inizio ad un’età sempre più giovane. Nonostante questo, la salute degli adolescenti rimane un aspetto - molto
spesso - negletto, non solo in Italia. Dovremo quindi cercare di sviluppare progetti qualitativamente qualificanti, che
permettano una maggiore sensibilizzazione di tutti i pediatri e delle istituzioni ai fini di realizzare un sistema integrato di “care” più adeguato alla complessità dei nuovi bisogni assistenziali. A questo proposito, alcuni punti ci sembrano prioritari per continuare la crescita della SIMA:
• realizzare un’Agenzia organizzativa per migliorare il rapporto con Soci e la comunicazione con la
Società civile;
• implementare l’attività formativa, anche mediante una modifica del sistema congressuale, che preveda un maggior impulso ad attività regionali o interregionali;
• favorire la creazione di commissioni che, accanto ai gruppi di studio, possano far aumentare il peso
qualitativo della SIMA in ambito scientifico; ad esempio: editoria (tradizionale e on-line), sviluppo e ricerca, farmaci
e vaccini, regionalizzazione, giovani;
• ricercare collaborazioni intersettoriali con le varie componenti della Pediatria (ospedale/territorio), intersocietarie (con società e associazioni pediatriche e non pediatriche), internazionali (con particolare attenzione alla
MAGAM e ai paesi di lingua latino-americana), con le istituzioni (specialmente quelle più vicini ai giovani come il
mondo della scuola e dello sport), con le famiglie, con i media.
Un progetto ci sta particolarmente a cuore: la realizzazione di una “Giornata per la promozione salute
dell’adolescente”, che simbolicamente vorremmo realizzare a partire dal 2009 per celebrare i 20 anni della dichiarazione sui diritti del fanciullo.
La strada che il nuovo Consiglio Direttivo ha davanti non è facile, dato anche il difficile momento socioeconomico e i rapidi mutamenti in atto nella sanità italiana. Cercheremo, con umiltà e al meglio delle possibilità che
ciascuno di noi ha, di operare un processo continuo di miglioramento della qualità a favore della SIMA e dell’assistenza ai nostri adolescenti.
Siamo certi che tutti i Soci ci saranno vicini con il loro aiuto e i loro consigli.
Silvano Bertelloni Presidente
Nicola Garofalo Vice Presidente
Michele De Simone Tesoriere
Domenico Lombardi Segretario
Salvatore Chiavetta Consigliere
Giampaolo De Luca Consigliere
Leopoldo Ruggiero Consigliere
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Vol. 6 - n. 3 - Settembre-Dicembre 2008
ORGANO UFFICIALE
Sommario
DIRETTORE SCIENTIFICO
Vincenzo De Sanctis (Ferrara)
COMITATO DI REDAZIONE
Silvano Bertelloni
Giampaolo De Luca
Bernadette Fiscina
Giuseppe Raiola
Tito Livio Schwarzenberg
COMITATO EDITORIALE
Antonietta Cervo
Salvatore Chiavetta
Michele De Simone
Teresa De Toni
Piernicola Garofalo
Maria Rita Govoni
Domenico Lombardi
Carlo Pintor
Luigi Ranieri
Leopoldo Ruggiero
Giuseppe Saggese
Calogero Vullo
INTERNATIONAL
EDITORIAL BOARD
Magdy Omar Abdou
Mujgan Alikasifoglu
Hala Al Rimawi
Thaana Amer
Mike Angastiniotis
German Castellano Barca
Yardena Danziger
Oya Ercan
Helena Fonseca
Daniel Hardoff
Christos Kattamis
Nogah Kerem
Karaman Pagava
Praveen C. Sobti
Ashraf Soliman
Joan-Carles Suris
Editoriale
pag. 1
(Pisa)
(Amantea, Cosenza)
(New York, USA)
(Catanzaro)
(Roma)
V. De Sanctis
(Pagani, Salerno)
(Palermo)
(L’Aquila)
(Genova)
(Palermo)
(Ferrara)
(Lucca)
(Cagliari)
(Catanzaro)
(Lecce)
(Pisa)
(Ferrara)
Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini,
Paola Di Fabio, Ilaria Santini, Donatella Ussorio,
Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone,
Rita Roncone, Massimo Casacchia
Fattori di rischio, precursori,
prodromi e caratteristiche
cliniche delle psicosi giovanili pag. 5
Obesità infantile: l’epidemia
del terzo millennio dimensione generale
del problema pag. 15
Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba,
Matteo Zanzucchi, Carla Pepe, Sergio Bernasconi
Esperienza sul campo
(Alexandria, Egypt)
(Istanbul, Turkey)
(Irbid, Jordan)
(Jeddah, South Arabia)
(Nicosia, Cyprus)
(Torrelavega, Spain)
(Petah-Tiqva, Israel)
(Istanbul, Turkey)
(Lisbon, Portugal)
(Haifa, Israel)
(Athens, Greece)
(Haifa, Israel)
(Tbilisi, Georgia)
(Ludhiana - Punjab, India)
(Doha, Qatar)
(Lausanne, Switzerland)
Un ulteriore approccio per migliorare
l’assistenza agli adolescenti.
L’uso di un questionario per i comportamenti
a rischio: l’esperienza di Ferrara pag. 20
Annunziata Indino, Martina Mainetti, Fabrizio Pugliese,
Maria Rita Govoni, Monica Sprocati, Vincenzo de Sanctis
Front Line
Arteterapia: nel bambino
e nell’adolescente pag. 25
Stefania Pisano
SEGRETARIA DI REDAZIONE
Gianna Vaccari (Ferrara)
STAFF EDITORIALE
Direttore Responsabile
Direzione Generale
Direzione Marketing
Consulenza Grafica
Impaginazione
In questo numero di Emothal viene riportata
la prima parte dei posters presentati al
V Congresso Nazionale SO.S.T.E., che si è tenuto
a Cagliari dal 16 al 18 Ottobre 2008 pag. 31
Pietro Cazzola
Armando Mazzù
Antonio Di Maio
Piero Merlini
Clementina Pasina
Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
Tel. 0270608091 - 0270608060 / Fax 0270606917
E-mail: [email protected]
Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003
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È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie
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per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Fattori di rischio, precursori,
prodromi e caratteristiche
cliniche delle psicosi giovanili
Rocco Pollice, Stefania Di Mauro, Mariacarla Bernardini, Paola Di Fabio, Ilaria Santini, Donatella Ussorio,
Emanuela Di Giovambattista, Michele De Simone1, Rita Roncone, Massimo Casacchia
1
Cattedra di Clinica Psichiatrica - S.M.I.L.E. - Dipartimento di Medicina Sperimentale
Cattedra di Pediatria - Ambulatorio di Auxologia - Dipartimento di Medicina Interna - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di L’Aquila
Riassunto
Nel corso dello sviluppo neuro-psicologico alcune anomalie neuromotorie, emotive, neuropsicologiche, psichiche e comportamentali sono spesso presenti in individui, apparentemente in stato di buona salute, che successivamente manifesteranno un disturbo psicotico. Questo dato diffusamente presente ed osservato in letteratura, suggerisce che alcuni aspetti attinenti l’eziopatogenesi e la sintomatologia del disturbo, si manifestano molto prima dell’esordio clinico dello stesso. Tali “vulnerabilità” o “fattori di rischio” possono influenzare i processi evolutivi di apprendimento ed il funzionamento globale anni prima dell’esordio del disturbo connclamato. Tra i fattori di rischio identificati come predittori dello sviluppo di un
disturbo psicotico (sia esso affettivo o dello spettro schizofrenico) i più importanti sembrano essere la vulnerabilità genetica
(o familiare), le complicanze ostetriche (pre, peri e post natali), le alterazioni del neurosviluppo, i deficit delle performance
scolastiche e cognitive, disturbi comportamentali e presenza di tratti di personalità disfunzionali. Purtroppo ad oggi il potere
predittivo di tali variabili (sia in termini qualitativi che quantitativi) è ancoro troppo basso ed aspecifico. Infatti, i precursori clinici identificabili nel corso dello sviluppo non sembrano essere specifici di un unico gruppo sindromico ma appaiono essere comuni a diversi disturbi sempre, però, dello spettro psicotico (schizofrenico ed affettivo). Appare utile, tuttavia, che, nei
prossimi anni, la ricerca focalizzi l’attenzione sull’identificazione di markers endo-esofenotipici, sempre più specifici e sensibili, allo scopo di consentire un approccio precoce al trattamento delle psicosi allo scopo di migliorarne la prognosi. È necessario, inoltre, nella valutazione di un possibile disturbo psicotico ad esordio precoce, avvalersi di un’accurata anamnesi allo
scopo di poter diagnosticare, e quindi trattare, la patologia durante la sua fase prodromica.
Parole chiave: psicosi, schizofrenia, disturbo bipolare, anomalie dello sviluppo, precursori clinici, deficit neuropsicologici,
infanzia ed adolescenza, anomalie comportamentali.
Risk-factors, precursors, prodromes and clinical features
in youth psychosis
Summary
Slight neuromotor, emotional neropsychological, psychic and behavioral anomalies are often present during
the neuro-psycho-development, in individuals, who are apparently in good health, and only subsequently will manifest a psychotic disorder. This fact suggests that some aspects concerning the aetiopathogenesis and the symptomatology of the disorder will manifest much earlier than the clinical beginning of the disorder. Such “vulnerabilities” or “debilities” can influence
the evolutionary learning processes and the global adjustment, some years before the beginning of the disorder. Among the
risk factors identified as facilitators of the psychotic disorder development (affective or schizophrenic), the most important
seem to be the genetic (or family) vulnerability, the obstretic complication (pre, peri and post-natal), the alterations in neurodevelopment and the low school and cognitive performances. Unfortunately, even today the predictive power of those factors (that is either in qualitative or quantitative terms) is still too small and non specific. In fact, the clinical precursors which
have been identified during the development, seem not to be specific of one syndromic group but appear to be common to
various disorders related to no other than the psychotic spectrum (schizophrenic and affective) regardless their presence is
heavier in the schizophrenic disorder than in the affective one. In seems useful, however, that research in the next years, highligths the identification of endo-esophenotypic markers, more and more specific and sensitive in order to allow an early
approach to the treatment of psychosis, improving for this the prognosis. On the evaluation of a possible early onset psychotic
disorder, it is necessary to make an accurate personal history in order to recognize and to treat the pathology during its prodromal phase.
Key words: schizophrenia, bipolar disorder, developmental abnormalities, developmental precursors, cognitive impairment,
adolescence and childhood, behavioural abnormalities.
5
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Introduzione
anni, tra il primo episodio psicotico ed il primo intervento terapeutico, definito come DUP (durata della psicosi non trattata).
Le ragioni di tale variabilità, sono dovute a molteplici fattori (clinici, disomogeneità diagnostiche, culturali, sociali). Tra questi,
secondo Mc Gorry (5), tre sarebbero i più importanti: la mancanza di insight; l’età di esordio ed il sesso (il comportamento
deviante degli adolescenti è generalmente tollerato dal contesto
sociale, maggiormente per i giovani maschi); le difficoltà diagnostiche (la maggiore visibilità e vistosità della sintomatologia affettiva porta ad una ricerca di aiuto più precoce rispetto alla schizofrenia). Inoltre, una sintomatologia di tipo paranoide costituisce un fattore di rischio aggiuntivo al ritardo. Questo ritardo, che
si realizza in fasi critiche dello sviluppo per l’adolescente ed il
giovane adulto, potrebbe influenzare in modo profondamente
negativo la progressione del disturbo, il funzionamento psicosociale, la risposta al trattamento farmacologico e l’incidenza delle
ricadute e delle ospedalizzazioni (3). Per tale motivo, maggiore
attenzione è stata rivolta all’esordio ed alla individuazione di
“soggetti a rischio” che presentano anomalie neuro-psico-comportamentali ed alterazioni del funzionamento psicosociale già
nella fase premorbosa (1). Tale modello centrato sui fattori di
rischio permetterebbe di identificare e influenzare fattori modificabili, al fine di prevenire l’espressione piena del disturbo (5),
contravvenendo al tradizionale pessimismo che vede l’inevitabilità come una caratteristica della schizofrenia.
In questa prospettiva, è auspicabile che lo studio delle fasi che
precedono l’esordio della sintomatologia psicotica possa permettere di riconoscere soggetti ad alto rischio per lo sviluppo
futuro di un disturbo psicotico su cui intervenire con intenti di prevenzione secondaria (vista la difficoltà nell’individuare i fattori
eziopatogenetici dei disturbi psicotici e la conseguente impossibilità di attuare una vera prevenzione primaria su tali disturbi) o
specifica (6).
I disturbi psicotici sono uno tra i maggiori problemi di salute pubblica. L’esordio di tali disturbi può avvenire in qualsiasi momento nel corso della vita di un individuo, ma la sintomatologia clinica di solito si manifesta caratteristicamente nel corso della prima
età adulta. Numerosi studi di follow-up hanno evidenziato che la
disabilità dovuta al disturbo psicotico si sviluppa fin dai primi
anni interferendo su diverse aree del funzionamento psicosociale quali istruzione, lavoro e famiglia (1-3). Di conseguenza, per
ridurre o impedire la rottura psicologica e sociale risultante dalla
psicosi (3), da diversi anni numerosi Autori sostengono la necessità della diagnosi e del trattamento precoce della schizofrenia e
dei disturbi psicotici. Diversi studi epidemiologici si sono occupati dello sviluppo evolutivo normale degli individui, ma anche
della rilevazione degli antecedenti clinici precoci, dei fattori di
rischio associati ai disturbi che di solito esordiscono in età adulta ed a quelli che hanno un’ evoluzione cronica, con la rilevazione di variabili significative, la concatenazione dei possibili meccanismi causali e le interazioni ambiente-individuo. I precursori
neuro-psico-comportamentali che precedono i disturbi psicotici
a caratteristico esordio in età adulta, suggeriscono che alcuni
meccanismi eziopatogenetici intervengano nelle fasi precoci
della vita degli individui affetti e che le diverse sfumature di vulnerabilità e di espressività clinica si possano modificare nel
corso del tempo, durante il quale evolve lo sviluppo neuro-psicocomportamentale.
Negli ultimi dieci anni, la ricerca ha focalizzato l'attenzione sulla
possibilità che le radici della schizofrenia, possano avere un'origine neonatale o addirittura prenatale; è infatti possibile che già
a questa età, si apprezzino alcuni segni neuromotori, che sono
aspecifici ma indicativi di una qualche disfunzione a carico del
Sistema Nervoso Centrale (SNC) (2). Molti ricercatori hanno formulato l'ipotesi che la gran parte dei disturbi psicotici, se non
addirittura tutti, siano la conseguenza di un’alterazione morfofunzionale intervenuta nel periodo precoce di sviluppo del SNC e
pertanto sembrerebbero essere la conseguenza di una sorta di
encefalopatia neuroevolutiva (3).
Una maggiore chiarezza sui meccanismi responsabili di tali
disturbi, tuttavia, è ostacolata dall’assenza di studi di coorte che
forniscano informazioni sull’endo-esofenotipo in età fetale e,
nelle età successive, dalla scarsezza numerica di studi prospettici e longitudinali che diano informazioni sul follow-up. Non solo
l’origine dei disturbi psicotici ma anche la loro evoluzione è ancora poco chiara, anche se da Kraepelin in poi la vera sfida alla
lotta alle psicosi è stata proprio l’identificazione dei momenti iniziali (esordio) in cui convergono fattori favorenti e scatenanti,
processi attinenti ed elaborazioni soggettive che si rivelano solo
a crisi esplosa. Attualmente il mancato riconoscimento del primo
episodio rappresenta un problema importante ed è associato
con una prognosi peggiore (4): la recente letteratura suggerisce
che esiste un periodo estremamente variabile, da 1 mese a 20
La psicosi all’esordio
L’instabilità diagnostica
Il termine "psicosi" fu introdotto nel 1845 da von Feuchtersleben
con il significato di "malattia mentale o follia" e da allora è stato in
uso nella letteratura psichiatrica per indicare le malattie mentali in
generale. Successivamente queste ultime vennero suddivise in
“nevrosi”, affezioni nelle quali, in mancanza di lesioni organiche,
si imputava il disturbo a un cattivo funzionamento dell'apparato
psichico (malattie funzionali), con alterazione di una sola funzione, reversibile e psicosi, malattie a carattere organico. Molte classificazioni, più recenti, hanno usato il termine psicosi anche per
alcune affezioni senza reperto anatomico (psicosi funzionali), che
presentavano però più specificamente una sintomatologia essenzialmente caratterizzata dalla gravità, da una molteplicità dei fenomeni morbosi e dall’irreversibilità dei disturbi. Attualmente, il termine psicosi viene usato in senso più pragmatico e per lo più in
6
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili
Volume 6, n. 3, 2008
forma aggettivata (psicotico) ad indicare la presenza di sintomi
tipo deliri, allucinazioni, incoerenza ideativa, catatonia.
La psicosi, nei manuali diagnostici attuali, è divenuta un criterio
necessario, ma non sufficiente, a fare diagnosi di un particolare
disturbo psicotico (5). Altre sono le caratteristiche che permettono di formulare una diagnosi definitiva: per i disturbi psicotici
affettivi, per esempio, sono rappresentate dalla presenza di sintomi legati alla polarità del tono dell’umore, mentre per la schizofrenia il DSM richiede la presenza di criteri temporali (sei mesi),
oltre alla presenza di altri sintomi, definiti “negativi”. Inoltre, l’ICD10 riconosce una categoria di “schizofrenia semplice”, che consiste in sintomi negativi e deterioramento progressivo, senza che
vi sia in alcun momento presenza di sintomi psicotici positivi(7).
Da queste problematiche nosologiche scaturiscono implicazioni
importanti nel distinguere il momento in cui definire l’inizio, o
meglio l’esordio, dei disturbi definiti psicotici. Poiché i nostri
sistemi di classificazione attuali si concentrano sulla presenza di
psicosi e solo successivamente distinguono le sindromi in differenti disturbi psicotici, l’esordio viene generalmente identificato
con la prima comparsa dei sintomi psicotici stessi (5).
A questa instabilità diagnostica, riconosciuta già Kraepelin (8),
spesso segue un ritardo nella formulazione della diagnosi definitiva ed un ritardo nel trattamento del disturbo stesso. Per questo
la recente ricerca internazionale si è concentrata non solo sullo
studio degli esordi della sintomatologia psicotica ma anche degli
eventi che li precedono.
le ed in particolare al contesto scolastico, con la finalità di
insegnare l’empatia, promuovere la capacità di gestire lo
stress (strategie di coping), i conflitti, il controllo degli impulsi,
la creatività, la competenza sociale, lottare contro i processi di
discriminazione e di stigmatizzazione, educare alle emozioni e
promuovere l’empowerment individuale e di gruppo.
selettivi: per soggetti ad alto rischio, ma senza segni oggettivi di disagio o di disturbo e comprendono programmi prescolari per i bambini dei quartieri poveri, interventi sul dropout scolastico ed interventi sui figli in età evolutiva dei pazienti affetti da patologie psichiatriche, sia disturbi schizofrenici
sia disturbi affettivi.
indicati o specifici: per soggetti ad alto rischio con segni e
sintomi soggettivi e oggettivi di disagio; sono sempre indicati, anche se costosi e non esenti da rischi. Rientrano in questa classe: le strategie di identificazione e trattamento precoce dei disturbi psicotici; i programmi preventivi nei figli di
pazienti depressi; gli interventi sui disturbi della condotta in
età evolutiva; la prevenzione del suicidio in età adolescenziale; gli interventi sui disturbi del comportamento alimentare; la
prevenzione degli stati di abuso nei confronti dei minori nell’accezione ampia che comprende l’abuso sessuale, il maltrattamento.
Negli ultimi anni la comunità psichiatrica internazionale sembra
concorde sulla necessità di effettuare strategie di identificazione
e trattamento precoce dei disturbi mentali. L’intervento pertanto
dovrebbe essere rivolto sia ai soggetti nella fase prodromica
della malattia che ai soggetti al primo episodio.
L’obiettivo della terapia in fase prodromica è quello di ritardare
l’esordio. Le linee guida suggeriscono di individuare con esattezza i soggetti che presentano una sintomatologia positiva sottosoglia e una familiarità per una patologia psicotica (stati mentali a rischio). Successivamente alla valutazione globale va effettuato un regolare monitoraggio dello stato mentale, un trattamento sintomatico della sintomatologia specifica (ansia, depressione, abuso di sostanze: terapia farmacologia più terapia cognitivo comportamentale) ed un sostegno nelle aree di funzionamento più problematiche come le relazioni interpersonali e familiari. Vanno effettuati, inoltre, interventi psicoeducazionali e di
miglioramento delle strategie di coping verso i sintomi psicotici
sottosoglia, unitamente ad interventi psicoeducazionali familiari.
In questi casi l’intervento farmacologico con antipsicotici non è
indicato, eccetto che nei casi caratterizzati da una rapida evoluzione del quadro clinico verso una sintomatologia francamente
psicotica (antipsicotici atipici a basse dosi).
L’obiettivo, nella fase di esordio, è quello di ridurre la DUP e, di
conseguenza, la disabilità clinica e funzionale della patologia, la
cronicità ed il carico familiare. Dopo un accurato esame obbiettivo
e neurologico, volto all’ esclusione di altre patologie ed eventualmente supportato da esami di laboratorio completi, EEG e RMN,
si può impostare una terapia farmacologia con APA. Vanno effettuati, inoltre, interventi psicoeducativi sia per il paziente che per i
Tra terapia e prevenzione
Esiste una correlazione tra DUP (Duration of Untreated
Psychosis) ed il periodo necessario per la remissione della sintomatologia psicotica, così come tra DUP e una maggiore presenza di sintomatologia negativa. I pazienti individuati e trattati
tempestivamente dopo l’esordio della psicosi hanno avuto una
prognosi migliore mentre, al contrario, quelli con una più lunga
DUP presentavano uno scarso funzionamento lavorativo, sociale
e globale nell’anno precedente al ricovero(9). Comunque è
ancora aperta la questione secondo cui la DUP non sia altro che
un epifenomeno del funzionamento premorboso, con una differenza tra i generi (i maschi non solo avevano un funzionamento
premorboso peggiore rispetto alle femmine, ma presentavano,
anche, un deterioramento più veloce). Tuttavia, gli studi che si
occupano di individuare i prodromi ed i precursori dei disturbi
mentali dell’età adulta sono gravati da bias dovuti alle modalità
di studio per lo più retrospettivi, e soprattutto non sono riusciti ad
identificare segni e sintomi predittivi, falsi positivi e falsi negativi.
Vi è, inoltre, un rischio di interventi ingiustificati, carenza di una
domanda esplicita, potenziale esposizione dei falsi positivi ad un
rischio iatrogeno. selettivi, indicati o specifici.
Gli interventi rivolti alla promozione della salute mentale possono
essere:
universali: si sostanziano nelle strategie di promozione della
salute mentale, possono essere applicati all’età adolescenzia-
7
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
familiari, con particolare attenzione alla psicoeducazione al disturbo e alla terapia farmacologia, abuso di sostanze, segni precoci di
crisi, individuazione degli obiettivi personali, problem solving, valutazione della percezione di se stesso con individuazione delle
risorse positive (secondo le tecniche CBT) per aumentare le risorse personali, CBT per i sintomi psicotici residui.
Anche i disturbi psichiatrici minori che esordiscono in età adolescenziale non devono essere sottovalutati perché potrebbero
essere il preludio di un disturbo più grave o perché potrebbero
ridurre il funzionamento psicosociale in periodi determinanti per
la crescita personale.
intendiamo indicare, solitamente, la prima apparizione, nella storia del paziente, della sintomatologia positiva. Mentre, per prodromo, generalmente, si intende il periodo compreso tra la comparsa dei primi segni di patologia e l’esordio del primo sintomo
francamente psicotico, ossia la prima deviazione, riconoscibile,
dell’esperienza di un soggetto. Tutto il periodo che precede il
prodromo è definito come premorboso. Il passaggio dalla fase
premorbosa a quella prodromica, o dalla fase prodromica al
primo episodio di malattia avviene nel corso di settimane o mesi.
La fase premorbosa sfuma durante i primi sintomi psichiatrici – i
prodromi – che a loro volta sfumano nell’esordio del primo episodio di psicosi. Solitamente è possibile stimare la data di esordio dei sintomi in maniera affidabile nell’arco di mesi (Figura 1).
Durante il periodo premorboso, i soggetti che successivamente
svilupperanno un disturbo psicotico, per definizione, non sono
distinguibili in maniera evidente dai loro coetanei. Tuttavia studi
retrospettivi hanno identificato numerose caratteristiche premorbose che potrebbero rappresentare le manifestazioni cliniche di
una vulnerabilità biologica alla successiva manifestazione di una
psicosi.
Le fasi dello sviluppo
della patologia psicotica
La maggior parte della psicosi tendono ad insorgere per la prima
volta durante l’adolescenza o la prima età adulta. L’età mediana di
insorgenza risulta essere per entrambe, schizofrenia e disturbo
bipolare dell’umore, di circa 19 anni; per i maschi sembra lievemente più precoce (10). Il momento dell’esordio, tuttavia, è solo
l’ultimo evento di una sequela tanto lunga quanto a noi, per molti
versi, ancora ignota di cambiamenti nella persona che presenta
una sintomatologia psicotica.
Secondo molti Autori la piena espressione della patologia è preceduta da lievi deficit del funzionamento, nonché da anomale
caratteristiche personologiche (3). Questo sembra essere più specifico per la schizofrenia che per le altre psicosi ed il deficit funzionale che precede la piena espressione del disturbo potrebbe
essere considerato come la prima parziale espressione del medesimo disturbo (3).
I principali ostacoli allo studio delle fasi prepsicotiche della patologia psicotica sono determinati dal lungo periodo di latenza che va
dalla nascita allo sviluppo dei sintomi psicotici evidenti e dalla loro
relativa bassa incidenza nella popolazione generale (5). Il quadro
clinico della malattia psicotica, nel suo decorso temporale, può
avere configurazioni molto diverse ma può essere descritto, generalmente, sulla base di cinque periodi o fasi successive:
il periodo premorboso
il periodo prodromico
l’esordio
il periodo di stato
il periodo degli esiti
I criteri per diagnosticare un disturbo psicotico richiedono un’accurata datazione dell’inizio del disturbo e la distinzione dei sintomi prodromici da quelli dell’episodio psicotico acuto. Queste esigenze diagnostiche implicano che la datazione clinica delle fasi
critiche dell’evoluzione del disturbo psicotico siano attuabili, affidabili e valide, ma tutt’ora non esistono criteri precisi, universalmente condivisi, per definire l’inizio di un periodo e la fine di un
altro. Negli ultimi anni i diversi autori sono giunti a delle definizioni molto più omogenee di esordio e di prodromo. Per esordio
La fase premorbosa
Tale fase è caratterizzata dalla presenza di lievi anomalie che precedono di alcuni anni l’espressione clinica della patologia, ovvero “segni e sintomi di un determinato gruppo diagnostico che
precedono il disturbo, ma non predicono l’esordio” (11). I precursori di un disturbo sono descritti sin dall’infanzia, sono relativamente stabili per gravità e sono cronici. Diversi studi, hanno
rilevato che approssimativamente un terzo dei pazienti affetti da
un disturbo schizofrenico mostravano evidenti anormalità comportamentali premorbose. Il funzionamento premorboso dei
pazienti affetti da psicosi affettive, invece, è anche in questo
caso, meno studiato.
La fase premorbosa nei disturbi dello spettro
schizofrenico
Numerosi studi sono concordi nell’affermare che la maggior
parte dei pazienti con schizofrenia presenta evidenti anomalie
Gravità dei sintomi
Primo episodio
di psicosi
Fase prodromica
Fase premorbosa
Tempo
Figura 1. Evoluzione dei disturbi psicotici.
8
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili
Volume 6, n. 3, 2008
comportamentali premorbose molto prima dell’esordio clinico
della patologia (12). Molti ricercatori hanno formulato l’ipotesi
che la gran parte dei disturbi psicotici, se non addirittura tutti,
siano la conseguenza di un’alterazione morfofunzionale intervenuta nel periodo precoce di sviluppo del SNC. Da questa prospettiva, i disturbi psicotici e specie la schizofrenia sembrerebbero essere la conseguenza di una sorta di encefalopatia neuroevolutiva. I disturbi più frequentemente riscontrati sono il ritiro
sociale, l’ansia e l’aggressività. In circa il 25% dei casi, le osservazioni sui soggetti ad alto rischio di ammalare di schizofrenia
hanno dimostrato che si trattava di soggetti tendenzialmente
chiusi ed isolati, con tratti spesso pseudodepressivi. A scuola
apparivano poco motivati, scarsamente coinvolti nei giochi e
poco tolleranti alle frustrazioni (13). Carter et al. (14) hanno esaminato diverse variabili premorbose in 212 soggetti ad alto
rischio per lo sviluppo di schizofrenia, evidenziando, dopo 25
anni di follow-up, che 33 di questi avevano ricevuto diagnosi di
schizofrenia ed hanno individuato che l’interazione tra rischio
genetico ed il comportamento sociale dirompente a scuola era la
variabile che più di tutte prediceva il disturbo. Malmberg et al.
(15) in uno studio prospettico hanno individuato 4 variabili premorbose associate allo sviluppo in età adulta di schizofrenia:
avere meno di 2 amici intimi, preferire socializzare in piccoli gruppi, sentirsi più sensibile degli altri e non avere relazioni sentimentali. Anche altri studi precedenti avevano rilevato che problemi interpersonali e difficoltà a stabilire relazioni fuori dall’ambiente familiare durante l’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta possono essere riconosciuti come fattori di rischio sia per la
schizofrenia sia per i disturbi affettivi e di personalità, anche se in
modo meno evidente (16).
Confrontando il funzionamento premorboso dei pazienti con
disturbo schizofrenico con quello dei pazienti affetti da psicosi
affettiva, altri Autori (17) hanno evidenziato che i primi presentavano deficit più evidenti rispetto ai secondi. In uno studio retrospettivo, Cannon et al. (18) hanno dimostrato una chiara associazione tra uno scarso funzionamento durante l’infanzia e lo sviluppo di un disturbo psicotico nell’età adulta, con una differenza
significativa tra la capacità di socializzare ed il funzionamento
scolastico dei pazienti schizofrenici rispetto al gruppo di controllo, così come per quanto concerne la capacità di socializzare di
soggetti che svilupperanno un disturbo psicotico affettivo, che
però non presentavano alterazioni del rendimento scolastico
rispetto al gruppo di controllo. Una scarsa performance scolastica è stata considerata come segno premorboso di schizofrenia
fin dai tempi di Bleuler, insieme a molti altri fattori correlati alla scolarità come le ripetizioni degli anni scolastici, le difficoltà a terminare il corso di studio, le difficoltà sociali e comportamentali (19).
Qualunque sia l’eziopatogenesi della schizofrenia è ormai evidente sia dagli studi retrospettivi che da quelli prospettici che già
da bambini, le persone che svilupperanno un disturbo dello spettro schizofrenico, si ritrovano relativamente isolati, insicure di se
stesse e con limitate opportunità di interazione sociale e ciò può
predisporre alla schizofrenia attraverso una limitazione delle
opportunità per un esame corretto della realtà, favorendo uno
stile paranoideo di pensiero (15). Alcuni Autori suggeriscono che
gli individui “destinati” a sviluppare un disturbo schizofrenico non
sono in grado di apprendere nuove abilità cognitive nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza se comparati con il gruppo di
pari (20).
Anche per quanto concerne la sessualità è stato evidenziato,
ormai da diversi decenni, che i pazienti con disturbo schizofrenico fin dalla giovane età avevano presentato difficoltà nello stabilire relazioni sentimentali a differenza dei coetanei (15). Del resto
fare amicizia durante l’infanzia costituisce un processo complesso che dipende dall’abilità di entrare in reciproca interazione con
altre persone e tollerare una certa quota di disaccordo e da
diverse variabili, come per esempio la precoce esperienza di una
buona relazione con i genitori o con altre figure chiave. Molti fattori potrebbero interferire con questo processo, incluso un alterato sviluppo cerebrale per cause genetiche o per complicanze
ostetriche, patologie dell’infanzia o l’isolamento sociale, contribuendo ad una “cascata autoalimentante di funzionamento
anormale” che potrebbero costituire un bias per lo studio dei fattori premorbosi della schizofrenia (3). Un possibile meccanismo
psicologico alla base di questa dimensione potrebbe essere una
cattiva “teoria della mente”, che consiste nella capacità di inferire con gli stati mentali altrui e che potrebbe aumentare il rischio
di sviluppare alcune caratteristiche psicopatologiche della schizofrenia, come l’evitamento sociale o i disturbi del pensiero (21).
La schizofrenia determina un globale deterioramento delle funzioni cognitive di entità variabile. Molti di questi deficit precedono l’esordio dei sintomi psicotici. In un’esaustiva revisione della
letteratura, Aylward et al. (22) hanno mostrato come bambini,
adolescenti e giovani adulti in fase premorbosa hanno prestazioni più basse della media nelle misure standardizzate di valutazione dell’intelligenza (QI). Il quoziente d’intelligenza inferiore
alla media rappresenta, attualmente, ancora il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di una schizofrenia in età adulta.
La fase premorbosa nei disturbi dello spettro affettivo
A differenza della numerosa letteratura presente sugli antecedenti psico-comportamentali della schizofrenia, il funzionamento
premorboso dei soggetti che svilupperanno un disturbo affettivo
è stato meno studiato. Goodwin e Jamison affermarono che molti
soggetti che svilupperanno un disturbo bipolare hanno problemi
comportamentali ed affettivi molto prima di un episodio di malattia chiaramente identificabile (23). Cannon et al. (24) in uno studio retrospettivo controllato, hanno evidenziato che i soggetti
con disturbo bipolare presentavano un peggiore funzionamento
psicosociale premorboso rispetto ad un gruppo di controllo
costituito da soggetti sani e che tale deterioramento era relativo
soprattutto al funzionamento sociale e relazionale, mentre il funzionamento scolastico appariva conservato. Roza et al. (25) in
uno studio prospettico con 14 anni di follow-up effettuato su un
9
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Tabella 1. Definizioni di Prodromo nel corso degli ultimi decenni.
Keith, Matthews (1991)
“un gruppo eterogeneo di comportamenti in relazione temporale con l’inizio di una psicosi”
Loebel et al. (1992)
“un intervallo di tempo compreso tra la comparsa di un comportamento insolito e l’inizio
dei sintomi psicotici”
Beiser et al. (1993)
“un periodo di tempo compreso tra i primi sintomi evidenziabili ed i primi sintomi psicotici
prominenti”
che la presenza di anomalie del neurosviluppo e di uno scarso
funzionamento psicosociale premorboso siano correlati con
un’età di esordio precoce del disturbo bipolare (20), con lo sviluppo di una comorbidità con abuso di sostanze, con aumento
del rischio di tentativi di suicidio e con lo sviluppo di un disturbo
bipolare a cicli rapidi. Carlson et al. (27), in uno studio di followup a 2 anni di soggetti con disturbo bipolare tipo I, hanno evidenziato che le anomalie psico-comportamentali, soprattutto i
disturbi del comportamento in età infantile, sono fortemente correlate ad uno scarso outcome funzionale a due anni e ad una
maggiore frequenza di ospedalizzazioni.
campione di 2.600 bambini, hanno affermato che il punteggio
della dimensione “Comportamento ansioso-depressivo” della
Child Behaviour Checklist (CBCL) era predittivo di un disturbo
dell’umore in età adulta. Cambiamenti episodici del tono dell’umore (depressione ed irritabilità) e discontrollo dei livelli di attività
e di rabbia, sono stati riportati da alcuni autori così come la presenza di deficit dell’attenzione e di un comportamento antisociale (26).
Nell’ambito dei disturbi bipolari, i precursori clinici della fase premorbosa non sembrano predire l’esordio del disturbo in maniera
indiscriminata. Carlson e Weintraub (27), in uno studio controllato tra bambini ad elevato rischio per un disturbo bipolare, bambini ad elevato rischio per altri disturbi psichiatrici e bambini
senza rischio per disturbi psichiatrici, hanno messo in evidenza
che le anomalie comportamentali (comportamento antisociale
ed aggressivo-distruttivo) ed i deficit dell’attenzione sono più frequenti nel gruppo ad alto rischio per disturbo bipolare e nel gruppo ad alto rischio per disturbi psichiatrici rispetto al gruppo di
controllo. Tuttavia, solamente nel gruppo ad alto rischio per il
disturbo bipolare, i problemi comportamentali ed attentivi apparivano correlati allo sviluppo di un disturbo bipolare in età adulta,
mentre negli altri due gruppi l’importanza dei problemi durante
l’infanzia non era limitata esclusivamente allo sviluppo di un
disturbo affettivo. In tutti e tre i gruppi la presenza di problemi
comportamentali ed attentivi, inoltre, era correlata con la presenza di una sintomatologia non affettiva, di una morbilità con l’abuso di sostanze e di una notevole riduzione del funzionamento
sociale e lavorativo.
Gli studi effettuati su popolazioni ad alto rischio per lo sviluppo
del disturbo hanno evidenziato che i soggetti con due genitori
affetti da disturbi dell’umore avevano elevati livelli di irritabilità,
depressione, maggiore sensibilità di reazione, e scarsa modulazione dell’umore rispetto ai soggetti con un solo familiare affetto(28). I figli di genitori affetti da disturbo bipolare, inoltre,
mostrano iperattività, scarsa capacità di effettuare un compito,
scarsa flessibilità e capacità di adattamento (28). Queste caratteristiche appaiono simili al costrutto temperamentale della disinibizione comportamentale, che appare correlato allo sviluppo
di un disturbo del comportamento impulsivo/iperattivo o disattento (29).
La presenza di anomalie psico-comportamentali durante l’infanzia e l’adolescenza sembra avere un impatto sul decorso clinico
del disturbo bipolare. Numerose evidenze, infatti, suggeriscono
Il funzionamento premorboso
Nella lettura scientifica esistono forti evidenze sull’esistenza di
precursori comportamentali che precedono l’esordio dei sintomi
psicotici acuti nella schizofrenia (9) e delle psicosi affettive. Uno
degli indici dei precursori di malattia più frequentemente utilizzati è il funzionamento premorboso. Kraepelin fu il primo a descrivere le caratteristiche di personalità durante l’infanzia dei pazienti affetti da “dementia praecox”, sottolineando che questi erano
bambini silenziosi, timidi, con difficoltà a fare amicizia e vivevano
“solo per se stessi” (8). Diversi studi hanno tentato di individuare un valore predittivo del funzionamento premorboso rispetto ad
alcune variabili fenomenologiche e neurobiologiche, evidenziando che uno scarso funzionamento premorboso predice un esordio più precoce, la preponderanza di una sintomatologia negativa (30) o comunque più grave, con manifestazioni cognitive più
severe all’esordio (12), un decorso clinico cronico e più grave
della malattia e la presenza dei “neurological soft signs”, indici
aspecifici di un danno cerebrale, a supporto dell’ipotesi neuroevolutiva della patologia psicotica (30). Altri autori, invece, ad una
storia premorbosa hanno associato un’età di esordio più avanzata, un più tardivo utilizzo di antipsicotici e una più tardiva prima
ospedalizzazione (31). Sembra inoltre che il funzionamento premorboso possa anche costituire un predittore non solo dell’outcome clinico, ma anche di quello funzionale e sociale dei pazienti con disturbo psicotico. In particolare, alcune caratteristiche del
funzionamento premorboso, come il livello lavorativo, la scolarità, le abilità sociali e relazionali, il numero di amici, lo stato
matrimoniale e gli interessi extralavorativi, sembrano essere più
strettamente correlate con l’outcome funzionale. I pazienti con
10
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili
Volume 6, n. 3, 2008
una sindrome deficitaria sono caratterizzati da un funzionamento premorboso più povero, mentre i pazienti con schizofrenia
paranoide da un funzionamento migliore rispetto ai pazienti con
schizofrenia non paranodiea (32).
Un peggioramento del livello di funzionamento premorboso nel
passaggio dall’infanzia all’età adulta sembra essere associato
alla comparsa di una sintomatologia negativa o di uno stato deficitario così come una lunga durata di psicosi non trattata. Questo
cambiamento nel comportamento e nel funzionamento potrebbe
essere dovuto anche alla fase prodromica della patologia, ossia
la fase immediatamente precedente l’esordio del primo episodio
psicotico.
sordio della malattia come il primo (non specifico) segno del
disturbo mentale e l’esordio dell’episodio come il primo sintomo
di primo ordine (segno specifico) nel caso della schizofrenia, o il
primo momento in cui vengono soddisfatti i criteri operazionali
del sistema diagnostico.
Il termine "prodromo" è stato anche usato, da alcuni Autori, per
denotare il periodo che precede una ricaduta nei pazienti con
disturbo psicotico stabilizzato (33). Questo "prodromo della ricaduta" dovrebbe però essere ben distinto dal periodo prepsicotico
che precede l’inizio dell’esordio di una malattia psicotica "il prodromo iniziale", definito come il periodo di tempo che intercorre
dal primo cambiamento in una persona fino allo sviluppo dei primi
sintomi franchi del disturbo psicotico. In realtà, non è facile stabilire l’inizio della fase prodromica e bisogna spesso affidarsi ai
ricordi dei pazienti e dei loro familiari per ricostruire quello che è il
processo psicotico (Figura 2), dato che, come nella clinica medica, il prodromo è un concetto retrospettivo, diagnosticato solo
dopo lo sviluppo dei sintomi e dei segni definitivi.
Gli elementi da tenere presente nella descrizione dei sintomi prodromici sono il grado di deviazione dalla norma, la frequenza
dell’esperienza ed il tempo durante il quale è stata presente (9).
È da notare, infatti, che qualunque sintomo prodromico può
essere esperito come una caratteristica premorbosa. In soggetti
che riferiscono un determinato sintomo come una caratteristica
presente da molto tempo, solo in caso di evidente peggioramento del sintomo esso dovrebbe essere considerato come prodromico. Inoltre, i soggetti possono riferire un aumento di intensità e durata dei sintomi prodromici, che possono in alcuni casi
raggiungere il livello di intensità dei sintomi psicotici.
La durata della fase prodromica varia da pochi giorni a diversi
anni, ma in media è di 24-36 mesi (34). Il riconoscimento del prodromo psicotico è di fondamentale importanza per la diagnosi
ed il trattamento precoce dei disturbi psicotici, per l’ identificazione della ricaduta, per futuri studi sugli individui ad alto rischio;
inoltre il ritardo nel trattamento del primo episodio è un problema
importante ed è associato con una prognosi peggiore.
Le metodologie impiegate nel passato per studiare la fase prodromica dei disturbi psicotici includono:
1. la ricostruzione dettagliata e retrospettiva, attraverso i colloqui
con i familiari e con il paziente, circa i cambiamenti avvenuti
nella personalità del paziente, dalla comparsa dei primi sintomi prodromici fino alla psicosi franca.
2. Interviste dei pazienti nelle fasi iniziali della psicosi: solo in
questa fase i pazienti possono descrivere i sintomi e le esperienze come li hanno realmente vissuti considerato il recente
esordio del disturbo, tuttavia, essendo già evidenti le alterazioni cognitive, la loro attendibilità deve essere ben valutata.
3. Osservazioni approfondite di un piccolo numero di pazienti
durante lo sviluppo della psicosi: questo metodo presenta il
vantaggio di essere prospettico permettendo l'osservazione e
la registrazione dei cambiamenti nell'individuo mentre accadono.
La fase prodromica
Il termine " prodromo " deriva dal termine greco prodromos che
significa precursore di un evento. Nella clinica medica, un prodromo si riferisce ai sintomi ed ai segni precoci di una malattia
che precedono le manifestazioni caratteristiche della forma
acuta e completamente sviluppata. Considerando le diverse
definizioni di prodromo psicotico che sono state date, nel corso
degli ultimi decenni, dai diversi autori (Tabella 1) si può concludere che la fase prodromica dei disturbi psicotici possa essere
considerata come un periodo di “disturbo prepsicotico”, ossia
un periodo di deviazione dall’esperienza precedente e dal comportamento della persona, in cui ancora non compare una sintomatologia che permetta di soddisfare i criteri per la diagnosi di
un disturbo conclamato. Hafner e coll. (10) hanno distinto l’esordio della “malattia” dall’esordio dell’ “episodio”, definendo l’e-
5
4
3
2
1
Time
Figura 2. Sequenza ipotetica dei possibili cambiamenti che si possono
riscontrare durante la fase prodromica: sull’asse delle Y è rappresentata
la severità dei sintomi o dei cambiamenti nel funzionamento ipotetico
di un paziente che ha sviluppato una psicosi. Le frecce indicano i punti
di cambiamento riferiti dal paziente stesso e dai suoi familiari.
1 = per la prima volta il paziente nota qualche cambiamento,
2 = i familiari o gli amici per la prima volta notano un cambiamento
nel paziente,
3 = il paziente nota la comparsa di sintomi psicotici,
4 = i familiari o amici notano sintomi psicotici nel paziente,
5 = primo intervento psichiatrico.
(da: Yung and Mc Gorry, 1996).
11
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Caratteristiche della fase prodromica
nello spettro schizofrenico
stato visto che questi hanno una durata media compresa tra 2 e
4 settimane.
Circa l’80-90% dei pazienti con schizofrenia riferisce una varietà
di sintomi che hanno preceduto l’esordio della patologia conclamata e che comprendono cambiamenti riguardanti percezione,
credenze, sfera cognitiva, umore, affettività e comportamento,
(Tabella 2) mentre circa il 10-20% dei pazienti sviluppa sintomi
psicotici improvvisamente, senza una significativa fase prodromica (34). Vi è, inoltre, una grande variabilità tra i pazienti rispetto alle manifestazioni sintomatiche: i sintomi prodromici possono
manifestarsi gradualmente, o in maniera relativamente improvvisa, i soggetti possono riferire che i sintomi prodromici inizialmente compaiono raramente, ma nel tempo diventano più frequenti.
Uno dei più importanti e costanti sintomi prodromici è rappresentato dal ritiro e dall’isolamento sociale (34), che generalmente presenta un andamento progressivo ed ingravescente.
Inizialmente, infatti, può coinvolgere aree specifiche (ad es. la
scuola o il lavoro) per poi estendersi a tutta la rete relazionale del
soggetto. Una seconda manifestazione caratteristica è la riduzione delle capacità di svolgere un comportamento finalizzato (13),
che si manifesta attraverso una diminuzione del rendimento scolastico o lavorativo. Tali alterazioni comportamentali possono
accompagnarsi alla comparsa di nuovi interessi, con caratteristiche di stranezza e di bizzarria rispetto al periodo precedente e a
modificazioni del pensiero (13) che, pur non assumendo ancora
la connotazione di alterazioni formali vere e proprie, si allontanano dagli schemi di funzionamento precedente. Tutti questi sintomi sono, per tutta la durata della fase prodromica, associati ad
una notevole quota di ansia, che tende ad aumentare con la progressione verso lo scompenso psicotico.
La durata media del prodromo nella schizofrenia è di 52,7 settimane. Per quello che riguarda invece i prodomi della ricaduta, è
Caratteristiche della fase prodromica
nello spettro affettivo
Contrariamente alla quantità di letteratura sui prodromi nella
schizofrenia, poco è stato scritto circa le caratteristiche prodromiche delle psicosi affettive e non ci sono studi specifici che
esaminano i prodromi nei pazienti al primo episodio di disturbo
affettivo.
L’episodio maniacale solitamente ha un inizio acuto, in altre
parole, con un prodromo di breve durata, come già descritto
anche da Kraepelin (8) contrapponendo l’esordio di questo
disturbo a quello più insidioso della demenza praecox (schizofrenia). Alcuni studi hanno riscontrato, invece, che il prodromo
dell’episodio maniacale era addirittura significativamente più
lungo del prodromo dell’episodio depressivo (35). Per questi
stessi autori, i sintomi prodromici più frequenti erano per l’episodio depressivo umore depresso, mancanza di energia e difficoltà
di concentrazione e per quello maniacale umore elevato, aumento dell’attività e ridotta necessità di dormire, associati, secondo
Carlson e Goodwin, anche a cambiamenti dei contenuti del pensiero e preoccupazioni di carattere sessuale e religioso (35, 36).
Altri Autori utilizzarono il prodromo della ricaduta come modello
per il prodromo del primo episodio. Altman et al. (37) valutarono
il prodromo della ricaduta prospetticamente in una popolazione
di 19 soggetti con disturbo bipolare ed evidenziarono che alterazioni insolite nel contenuto del pensiero avvenivano circa un
mese prima di un episodio maniacale, mentre alti livelli di disorganizzazione concettuale erano presenti prima di una ricaduta
depressiva. Jackson, Cavanagh e Scott (38), più recentemente,
hanno effettuato un’attenta ed ampia revisione della letteratura
sulla durata e sui sintomi delle fasi prodromiche degli episodi
depressivi e maniacali. I cambiamenti del tono dell’umore e dell’attività psicomotoria, un aumento dell’ansia, i disturbi del
sonno, i cambiamenti dell’appetito e la comparsa di pensieri di
morte costituivano i sintomi prodromici più frequenti degli episodi depressivi. I disturbi del sonno rappresentavano i maggiori
indicatori prodromici di un episodio maniacale, seguiti dalla
comparsa di sintomi francamente psicotici, labilità del tono dell’umore, cambiamenti dell’attività psicomotoria e dell’appetito e
da un aumento dell’ansia. La durata del prodromo depressivo
era, in media, di 11-19 giorni, mentre quella del prodromo maniacale era di 21-29 giorni (Tabella 3).
In conclusione, la ricerca sui prodromi clinici del disturbo bipolare appare ancora vaga e ricca di difficoltà. La prima difficoltà è la
distinzione dei sintomi precoci della malattia dalle patologie in
comorbidità ed una definizione più precisa dell’età di esordio del
disturbo bipolare. I pazienti, inoltre, possono presentare nella
fase prodromica caratteristiche comuni con altre patologie come
la schizofrenia. Per poter chiarire alcuni di questi aspetti sono
necessarie ulteriori ricerche sui prodromi iniziali.
Tabella 2. Aspetti prodromici di psicosi più comunemente
descritti negli studi sul primo episodio.
(da: Mc Gorry, 1999 – modificata).
Aspetti prodromici
Riduzione della concentrazione e dell’attenzione
Riduzione dell’iniziativa e della motivazione,
mancanza di energia
Depressione dell’umore
Disturbi del sonno
Ansia
Ritiro sociale
Sospettosità
Deterioramento del funzionamento di ruolo
Irritabilità
12
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Fattori di rischio, precursori, prodromi e caratteristiche cliniche delle psicosi giovanili
Volume 6, n. 3, 2008
Tabella 3. Sintomi prodromici identificati nel Disturbo Bipolare.
(adattata da Jackson, Cavanagh e Scott, 2003).
Sintomi precoci
Depressione Bipolare
Range del
campione
esaminato
% di soggetti
che hanno presentato
questi sintomi
Media (%)
Cambiamento dell’umore
20-40
10-88
48
Sintomi psicomotori
20-40
10-86
41
Aumento dell’ansia
20-40
18-59
36
Modificazioni dell’appetito
20-40
10-53
36
20
29-64
29
20-40
17-57
24
20
14-29
22
Disturbi del sonno
20-206
53-90
77
Sintomi psicotici
20-206
7-80
47
Ideazione autolesiva
Disturbi del sonno
Altro
Mania
Cambiamento dell’umore
20-206
14-100
43
Sintomi psicomotori
20-206
10-100
34
Altro
20
20-35
30
Modificazioni dell’appetito
20-206
12-67
20
Aumento dell’ansia
20-40
11-20
16
Conclusioni
Da diversi anni la letteratura sui disturbi dello spettro psicotico ha
evidenziato che la maggior parte delle persone affette da schizofrenia e psicosi “schizophrenia-like” presentano uno scarso
funzionamento psicosociale molto prima dell’esordio conclamato della patologia. Nonostante i numerosi studi su tale argomento, la prevalenza, il decorso e le caratteristiche della fase premorbosa e prodromica dei disturbi dello spettro psicotico sono
ancora poco conosciuti. Tale ambito di ricerca, tuttavia, è di grande importanza dal momento che, attraverso lo studio degli eventi che precedono il primo episodio psicotico, potrebbe essere
possibile individuare i fattori protettivi o di vulnerabilità allo sviluppo del disturbo e, quindi, programmare interventi mirati di prevenzione secondaria.
5.
McGorry PD, Yung A, Phillips L. Ethics and early intervention
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Corrispondenza:
Dott. Rocco Pollice
Dipartimento di Medicina Sperimentale,
Università degli Studi di L’Aquila
Via Vetoio - 67100 Coppito, L’Aquila
Tel. 0862368314
Fax 0862312104
e-mail: [email protected]
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema
Volume 6, n. 3, 2008
Obesità infantile: l’epidemia
del terzo millennio
dimensione generale del problema
Maria Elisabeth Street, Laura Garini, Marilena Garrubba, Matteo Zanzucchi, Carla Pepe, Sergio Bernasconi
Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria e Università di Parma
Riassunto
L’obesità è il risultato dell’accumulo eccessivo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocutaneo, ma
anche negli altri tessuti, che può essere associato ad alterazione di parametri metabolici e a conseguenze sullo stato di
salute presente e futuro. La sua prevalenza è in continuo aumento in tutto il mondo e in tutti i gruppi di età a tal punto
che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità come un’epidemia globale con conseguenze enormi
per la salute pubblica. A livello individuale, l’obesità insorge quando l’apporto calorico eccede la spesa energetica. Tale
squilibrio ha, in genere, una genesi multifattoriale (fattori genetici, fattori ambientali, stili di vita, condizioni socio-culturali) e può instaurarsi in tutte le età della vita, tra le quali sono a maggior rischio il periodo prenatale, il primo anno di
vita, l’epoca dell’adiposity rebound e l’adolescenza. L’obesità è anche un fenomeno sociale e pare che tenda a diffondersi in clusters, soprattutto familiari. Quando l’eccesso ponderale è presente in età evolutiva, vi è un elevato rischio che
tale condizione si mantenga in età adulta e conduca ad una serie di complicanze sia a breve che a lungo termine con
un impatto economico significativo sul sistema sanitario. Il trattamento dell’obesità nel bambino si basa sulla correzione delle abitudini alimentari e degli stili di vita. Dato che la terapia dell’obesità è gravata da un elevato numero di insuccessi, poste le premesse esposte sopra, la prevenzione dell’obesità a vari livelli, con interventi mirati ai periodi critici per
lo sviluppo di obesità, rappresenta attualmente l’approccio più realistico ed efficace, a cui destinare risorse.
Parole chiave: obesità, spesa sanitaria, prevenzione.
Obesity in childhood: third millennium epidemic.
Global view of the problem
Summary
Obesity is due to excessive and generalised accumulation of fat in the subcutaneous and other tissues,
and can be associated with altered metabolic parameters and subsequently with present and future health conditions.
The prevalence of obesity is increasing continuously in all the world and in all age groups at a stage that the World
Health Organisation has defined obesity a global epidemic with enormous consequences on public health. In the single individual, obesity occurs when calorie intake is greater than energy expenditure. This imbalance has usually a multifactorial origin (genetic factors, environment factors, life styles, social-cultural conditions), and can develop at any age.
The periods more at risk are prenatal life, the first year of life, the period of adiposity rebound in childhood, and adolescence. Obesity is a social phenomenon and appears to spread in clusters, in particular family clusters are frequent.
When adiposity is present in childhood there is a high chance of the condition persisting in adulthood leading to shortand long-term complications with a significant impact on the health system. The treatment of adiposity in childhood is
based on the correction of feeding habits and life styles. The high number of unsuccessful approaches to the treatment
of obesity represents a significant burden, considering the above mentioned circumstances, thus the prevention of obesity at different levels with specific interventions at the critical ages, represents to date the most realistic and effective
approach.
Key words: obesity, health expenses, prevention.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
totale, metodo della densità corporea, metodo del potassio corporeo, bioimpedenzometria, densitometria a raggi X a doppia
energia, risonanza magnetica nucleare) (3).
La prevalenza dell’obesità è in continuo aumento in tutto il mondo
interessando tutti i gruppi di età. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) ha definito l’obesità come un’epidemia globale con
conseguenze enormi per la salute pubblica. Si stima che a livello
mondiale oltre un miliardo di soggetti sia in sovrappeso e circa 300
milioni di soggetti siano obesi. La prevalenza mondiale del sovrappeso tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra i 5 e i 17
anni è oggi stimata intorno al 10% (la prevalenza dell’obesità è pari
al 2-3%). Questo dato sottende un ampio intervallo che varia da un
valore al di sotto del 10% in Africa e in Asia ad un valore superiore
al 20% nelle Americhe ed in Europa.
La gravità del problema è destinata a peggiorare sia nei paesi
industrializzati (Nord America ed Europa) sia in quelli in via di sviluppo (Cina, India, Sud America). Il trasferimento delle abitudini alimentari e degli stili di vita dai paesi ricchi a quelli poveri determina
un aumento della prevalenza dell’obesità in questi ultimi ma, mentre nei paesi in via di sviluppo le classi a rischio di obesità sono
quelle economicamente privilegiate, nei paesi ricchi le classi
sociali più esposte sono quelle a ridotto tenore economico e culturale (4).
Negli Stati Uniti d’America, a partire dal 1960, sono stati condotti
una serie di studi osservazionali in cui veniva selezionato un campione rappresentativo della popolazione adulta: National Health
Examination Survey (NHANES) I 1960-1962, NHANES I 1971-
L’obesità è il risultato dell’accumulo eccessivo e generalizzato di
grasso nel tessuto sottocutaneo, ma anche negli altri tessuti, che
può essere associato ad alterazione di parametri metabolici, a
conseguenze sullo stato di salute fisico e psicologico, presente e
futuro. Per la definizione quantitativa di obesità in età evolutiva è
necessario tenere conto di età e sesso, dal momento che la composizione corporea varia fisiologicamente con questi. Attualmente
non vi è consenso sulle modalità di misurazione del tessuto adiposo in età pediatrica. Le definizioni generalmente sono basate
sulle misurazioni antropometriche o su indici da esse derivati, tra i
quali il Body Mass Index (BMI) ottenuto dal rapporto tra il peso in
chilogrammi e la statura in metri al quadrato. Negli ultimi 20 anni
sono state pubblicate numerose carte di crescita nazionali. Anche
in Italia sono disponibili da alcuni anni carte Nazionali di riferimento per altezza, peso e BMI dai 2 ai 20 anni “generali”, per i nuclei
familiari con genitori di provenienza mista, per l’Italia del Sud e
l’Italia del Centro-Nord (1), con i cut-off per il sovrappeso e l’obesità, che per l’adulto corrispondono ad un BMI di 25 e 30 Kg/m2
rispettivamente (2). Il BMI aumenta durante il primo anno di vita,
tende a diminuire progressivamente fino a raggiungere il nadir tra
i 4 e i 6 anni ed infine risale (fase di rebound) con un incremento
massimo in corrispondenza del picco puberale di crescita, mantenendosi più o meno costante in età adulta. Il maggiore difetto di
tale indice risiede nell’incapacità di distinguere la massa grassa
dalla massa magra. La valutazione del tessuto adiposo può avvalersi di misurazioni indirette (la plicometria e la misurazione delle
circonferenze corporee) o dirette (metodo dell’acqua corporea
Età della vita a rischio per l’instaurarsi dell’obesità
Glicemia
materna
BMI prima
della gravidanza
Iperinsulinemia
? Sviluppo del pancreas
? Fattori placentari
Preconcezionale
Alimentazione
del neonato
Peso alla nascita
Peso alla nascita
Prenatale
Crescita
del bambino
Prima infanzia
Adiposity
Rebound
Dieta
Rebound
Sedentarietà
Seconda infanzia
Adolescenza
Diabete mellito tipo 2
Insulino - resistenza
Fattori di rischio cardiovascolare
BMI
Adiposità
Adiposità centrale
Figura 1. Fattori di rischio per lo sviluppo dell’obesità e delle sue complicanze. (da: St. Jeor, S.T. et al. Circulation 2004; 110:e471-e475, modificata)
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema
Volume 6, n. 3, 2008
1974, NHANES II 1976-1980, NHANES III 1988-1994, NHANES
1999-2000, NHANES 1999-2002, NHANES 1999-2004. Negli anni
2003-2004 la prevalenza di sovrappeso negli adulti era pari al
66,3%, più elevata nel sesso maschile (70,8 %) rispetto al sesso
femminile (61,8%), e la prevalenza del sovrappeso nei soggetti dai
2 ai 19 anni di età era di circa il 33,6% La prevalenza dell’obesità
si è dimostrata relativamente costante dal 1960 al 1980 (dal 13,4
al 15%), quindi è progressivamente aumentata in entrambi i sessi
e per tutte le fasce di età. Dal 1978-1980 al 2003-2004 la prevalenza di obesità nella popolazione adulta (dai 20 ai 74 anni di età)
è aumentata dal 15% al 32,9% e nei bambini e negli adolescenti
(dai 2 ai 19 anni di età) è aumentata dal 5% al 17,1% (4).
A partire dagli anni Ottanta, la prevalenza dell’obesità è triplicata in
molti Paesi Europei e continua a crescere. In Europa la prevalenza
del sovrappeso risulta del 32-79% negli uomini e del 28%-78%
nelle donne, la prevalenza dell’obesità del 5-23% negli uomini e
del 7-36% nelle donne ed è maggiore nell’Europa Mediterranea
rispetto ai Paesi del Nord Europa. Per quanto riguarda i bambini,
la maggiore prevalenza di sovrappeso è stata rilevata in Portogallo
(7-9 anni 39%), Spagna (2-9 anni 31%) e Italia (6-11 anni 27%),
quella minore in Germania (5-6 anni 13%), Cipro (2-6 anni 14%) e
Serbia e Montenegro (6-10 anni 15%) (5).
In Italia non esiste ancora un sistema di sorveglianza su obesità e
sovrappeso, per cui i dati epidemiologici sono piuttosto lacunosi.
Al momento i dati più aggiornati sono quelli forniti dall’indagine
multiscopo dell’ISTAT “Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari”, pubblicata nel marzo 2007 e riferita all’anno
2005 e il Progetto Cuore, che riporta dati misurati tra il 1998 e il
2002. Secondo l’ISTAT gli adulti obesi in Italia sono circa 4,7 milioni, il 9% in più rispetto all’indagine effettuata nel 1999-2000. Dei
120.000 individui intervistati il 34,2% ha dichiarato di essere in
sovrappeso e il 9,8% di essere obeso. Mentre l'obesità interessa in
ugual misura maschi e femmine, le differenze di sesso sono marcate per quel che riguarda le persone in sovrappeso, che sono il
42,5% tra gli uomini rispetto al 26,6% tra le donne (6). Il Progetto
Cuore riporta stime più alte: sono risultati in sovrappeso il 50%
degli uomini (obesi il 18%) ed il 34% delle donne (obese il 22%) (7).
L’analisi della distribuzione territoriale del fenomeno rivela profonde differenze: secondo l’indagine ISTAT, al Meridione l’11,6% della
popolazione è obesa, mentre nel Nord-ovest solo il 8,4% supera la
soglia dell’obesità(6). Per quanto riguarda la popolazione infantile,
secondo i dati annuali 2003 della ricerca sull’obesità dell’Istituto
Auxologico Italiano, il 30-35% dei bambini italiani è sovrappeso e il
10-12% obeso. A livello individuale, l’obesità insorge quando l’apporto calorico eccede la quota energetica per la normale crescita
e sviluppo del bambino, il metabolismo e l’attività fisica. Tale squilibrio ha, in genere, una genesi multifattoriale. Infatti, sebbene fattori genetici possano influenzare la suscettibilità ad un ambiente
favorente l’obesità, fattori ambientali, stili di vita, condizioni socioculturali giocano un ruolo eziologico preponderante.
In una minoranza di casi l’obesità è causata dalla mutazione di singoli geni, da alterazioni molecolari, da alterazioni endocrine o iatro-
gene. Diversi fattori che interagiscono tra loro concorrono al determinarsi del sovrappeso:
l’intake energetico: porzioni eccessive di cibo e bevande zuccherate, consumo di pasti fuori casa, frequente consumo di
fuori pasto ipercalorici (cibi e bevande).
l’attività fisica: riduzione delle ore di educazione fisica a scuola, scarsa pratica di attività fisica extra-scolastica.
la sedentarietà: eccessivo tempo trascorso davanti a televisione, computer, videogiochi. In particolare, la visione della televisione riduce il tempo impiegato nell’attività fisica, contribuisce
al consumo di cibo spazzatura, influenza negativamente le
scelte alimentari, riduce il metabolismo basale.
l’ambiente domestico, i genitori, chi si occupa dei bambini, la
scuola e la comunità possono influenzare il comportamento
alimentare e lo stile di vita e l’attività fisica dei bambini.
Le fasi della vita in cui è maggiore il rischio del determinarsi dell’obesità sono:
1) il periodo prenatale, per le influenze esercitate dallo stato di
salute, dalle abitudini alimentari e dal metabolismo materni
sulla crescita e sullo sviluppo dei meccanismi della regolazione metabolica fetale (programming intrauterino);
2) il primo anno di vita, per gli eventuali effetti protettivi dell’allattamento al seno, per l’apprendimento di modalità e comportamenti alimentari da parte del bambino con il divezzamento
intorno al sesto mese, per i possibili effetti negativi di una dieta
iperproteica, che potrebbe contribuire ad anticipare l’epoca
dell’adiposity rebound;
3) l’epoca dell’adiposity rebound (AR), che corrisponde al secondo incremento nella curva del BMI che di solito si rileva tra i 5
e i 7 anni. Un AR anticipato si associa ad un aumentato rischio
di sovrappeso, diabete e coronaropatia nelle età successive.
Esso è caratterizzato da un BMI ridotto prima dell’AR, elevato
dopo l’AR. Un basso livello di adiposità prima dell’AR suggerisce una velocità di crescita accelerata ed un deficit energetico
nelle prime fasi della crescita, attribuibili ad una dieta iperproteica a scarso contenuto lipidico. Il latte materno (alimento di
riferimento almeno per il primo anno di vita), contenendo una
quota proteica relativamente bassa (circa 7%) ed un’elevata
quota lipidica (circa 50%), esercita un effetto benefico sui processi accrescitivi;
4) l’adolescenza, per i cambiamenti nella distribuzione del grasso
corporeo tra maschi e femmine, per l’eventuale comparsa di
fattori di rischio per l’obesità come la variazione delle abitudini
alimentari, l’irregolarità dei pasti e la diminuzione dell’attività
fisica (Figura 1) (8).
L’obesità è un fenomeno sociale molto rilevante e da molto
tempo i ricercatori hanno osservato che si riscontra con maggiore frequenza in ambiti famigliari. È particolarmente interessante
uno studio recente che ha mostrato, studiando le variabili disponibili relative a 12.067 persone dal 1971 al 2003, la diffusione dell’obesità attraverso reti sociali: la probabilità di un soggetto di
diventare obeso aumenta rispettivamente del 57%, 40% e 37%
17
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
sembra essere più rapida nel giovane che nell’adulto. Uno studio
recente condotto su bambini e adolescenti con obesità grave ha
evidenziato che il 25% dei bambini di età compresa tra i 4 ed i 10
anni ed il 21% degli adolescenti presentano un’alterazione della
tolleranza glucidica (10).
La flogosi è responsabile anche della disfunzione endoteliale ed
infine delle lesioni aterosclerotiche. La proteina C reattiva (PCR),
marker dell’infiammazione, è pertanto considerata anche un
marker del rischio cardiovascolare (valori <1, tra 1 e <3, >3
mg/l rappresentano un rischio vascolare rispettivamente basso,
medio, alto). L’associazione di obesità viscerale, ipertensione,
ipercolesterolemia, insulino-resistenza, che definisce la “sindrome metabolica”, aumenta esponenzialmente il rischio cardiovascolare. Recenti studi hanno suggerito che il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari potrebbe esistere anche indipendentemente dal persistere dell’obesità in età adulta (11).
Sovrappeso ed obesità e loro complicanze hanno un impatto
economico significativo sul sistema sanitario. La spesa sanitaria
associata a sovrappeso ed obesità comprende costi diretti, connessi a prevenzione, diagnosi e trattamento, e costi indiretti, correlati alla morbilità ed alla mortalità. Negli USA ammonta al 5,5-7%
della spesa sanitaria nazionale e supera l’1% del prodotto interno lordo (12). In Europa rappresenta il 2-3,5% della spesa sanitaria diretta e rappresenta lo 0,35% (0,20% in Germania, 0,70%
in Svezia) del prodotto interno lordo. Si stima che in Svezia si
spendono 45 dollari all’anno pro capite per le spese sanitarie, a
cui si aggiungono costi indiretti per 157 dollari; il costo diretto pro
capite arriva fino a 32 dollari nei Paesi Bassi, 35 in Germania, 69
in Belgio. Questi costi sono in continuo aumento: nel Regno
Unito il costo pro capite è passato da 13 dollari nel 1998 a 25-31
dollari nel 2002 (5). Anche se sono più difficili da quantificare in
termini finanziari, devono essere considerati anche altri costi
intangibili, come per esempio il minor rendimento scolastico, la
discriminazione lavorativa, i problemi psicosociali e la scarsa
qualità della vita (3). Il trattamento dell’obesità nel bambino si
se ha un amico, un fratello, un coniuge che diventa obeso, mentre non è influenzata dai vicini di casa (Figura 2). Pertanto il fenomeno non è dovuto solo all’esposizione ai medesimi fattori
ambientali ma anche a variabili psicosociali (accettazione del
sovrappeso come normalità, variazioni del comportamento alimentare e dello stile di vita) (9). Tali osservazioni possono avere
un risvolto sull’attuazione di interventi di prevenzione, in quanto
l’obesità si struttura in comunità, in veri e propri networks, come
accade anche a livello di malattia (l’obesità e le sue complicanze) ed a livello metabolico (l’insulino-resistenza e le complicanze
correlate, interazioni tra proteine, networks di regolazione). Il
poter agire sui networks può essere altrettanto importante che
agire sui “geni”. Un bambino o un adolescente con un BMI elevato presenta un alto rischio di diventare sovrappeso od obeso
nell’età adulta (tracking). Inoltre, l’obesità del bambino e dell’adolescente conduce ad una serie di complicanze sia a breve che
a lungo termine: complicanze endocrine (insulino-resistenza/iperinsulinismo, intolleranza glucidica, diabete mellito di tipo 2, ipogonadismo ipogonadotropo funzionale nei maschi, pubertà anticipata nelle femmine, sindrome dell’ovaio policistico), alterazioni
dell’accrescimento (aumento staturale per l’età cronologica ed
età ossea avanzata), complicanze respiratorie (sindrome dell’apnea ostruttiva notturna), ortopediche (ginocchio valgo, piede
piatto, atteggiamenti scoliotici, malattia di Blount, epifisiolisi dell’anca, malattia di Osgood-Shatter), gastrointestinali (epatopatopatia steatosica, colelitiasi, reflusso gastro-esofageo), ipertensione arteriosa, dislipidemia, complicanze cardiovascolari, disagio psico-sociale e scarsa autostima.
L’insulino-resistenza nei giovani obesi è un fenomeno precoce,
fortemente associato con l’accumulo di lipidi nel compartimento
viscerale e nei miociti e con lo stato proinfiammatorio caratterizzato da bassi livelli di adiponectina e livelli aumentati di citochine
infiammatorie. Quando ad essa si associa il difetto di secrezione
di insulina da parte delle beta cellule insorgono l’intolleranza glucidica e successivamente il diabete di tipo 2. Tale evoluzione
Amico proprio
Amico comune
Amico altrui
Amico dello stesso sesso
Amico di sesso opposto
Coniuge
Sorella/fratello
Sorella/fratello dello stesso sesso
Sorella/fratello di sesso opposto
Vicino di casa
0
100
200
Aumento del rischio di obesità nel soggetto (%)
18
300
Figura 2.
Probabilità di un soggetto
di diventare obeso
in base alla relazione
con un altro soggetto
che diventa obeso nei
sottogruppi della rete
sociale del Framingham
Heart Study.
(da: Cristakis NA,
Fowler JH. The spread
of obesity in a large social
network over 32 years.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Obesità infantile: l’epidemia del terzo millennio dimensione generale del problema
Volume 6, n. 3, 2008
Bibliografia
basa sulla correzione delle abitudini alimentari e degli stili di vita.
La dieta deve essere equilibrata ed adeguata alle esigenze nutrizionali legate all’età. Nei casi di obesità grave si potrà valutare
l’opportunità di ricorrere a diete ipocaloriche o fortemente ipocaloriche. I farmaci disponibili non sono per il momento indicati in
età pediatrica e il trattamento chirurgico è riservato a pazienti
resistenti a tutti gli altri trattamenti, dopo il raggiungimento della
statura definitiva e in presenza di gravi complicanze dell’obesità.
Dato che la terapia dell’obesità è gravata da un elevato numero
di insuccessi, la prevenzione dell’obesità rappresenta attualmente l’approccio più realistico ed efficace. Il recente aumento della
prevalenza di sovrappeso ed obesità e la diffusione del fenomeno in clusters richiede la promozione di strategie di intervento a
vari livelli, mirati in particolare ai periodi critici per lo sviluppo di
obesità (13). Gli interventi educativi da soli non sono sufficienti
per modificare i comportamenti responsabili dell’incremento
ponderale: tale cambiamento deve essere supportato da interventi strutturali ambientali e dell’intera società (14).
Non esiste un modello di riferimento valido in assoluto per realizzare una prevenzione primaria efficace dell’obesità a breve e
soprattutto a lungo termine (3). A tutt’oggi i risultati migliori sono
stati ottenuti con interventi diversificati e realizzati a vari livelli
(scuola, famiglia, figure professionali - pediatri/nutrizionisti/psicologi/physical trainers/personale sanitario - industria alimentare,
amministrazione pubblica, mass media, ecc.). Gran parte delle
risorse disponibili sono attualmente impiegate per la ricerca delle
basi genetiche, cellulari ed ormonali dell’obesità, ma è necessario rivolgere l’attenzione anche alle politiche comunitarie per la
salute, alla sicurezza alimentare, alla regolazione del commercio
e della pubblicizzazione degli alimenti, all’educazione alla corretta alimentazione, all’accessibilità alla pratica dell’attività fisica
che sono altrettanto importanti.
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2.
Obesity: preventing and managing the global epidemic. Report of
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3.
Lobstein T, Baur L, Uauy R for the IASO International Obesity Task
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4.
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5.
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Turkey, World Health Organization, 2006.
6.
Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), Condizioni di salute, fattori
di rischio e ricorso ai servizi sanitari, 2005, Roma.
7.
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8.
Sachiko TSJ, Hayman LL, Daniels SR, et al. Prevention Conference
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comorbidities. Circulation, 2004; 110:e471-475.
9.
Cristakis NA, Fowler JH. The spread of obesity in a large social
network over 32 years. N Engl J Med 2007; 357:370-379.
10. Sinha R, Fisch G, Teague B, et al. Prevalence of impaired glucose
tolerance among children and adolescents with marked obesity.
N Engl J Med 2002; 346:802-810.
11. Freedman DS, Khan LK, Serdula MK, et al. Interrelationships among
childhood BMI, childhood height, and adult obesity: the Bogalusa
Heart Study. Int J Obes Relat Metab Disord 2004; 28:10-16.
12. Thompson D, Wolf AM. The medical care cost burden of obesity.
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13. American Academy of Pediatrics, Committee on Nutrition. Prevention
of pediatric overweight and obesity. Pediatrics 2003; 112:424-430.
14. Da “L’obesità in età evolutiva” a cura di L.Iughetti e S.Bernasconi.
McGraw-Hill 2005; pag.209-226.
Corrispondenza:
Dott.ssa Maria Elisabeth Street
Dipartimento Materno-Infantile
Via Gramsci, 14 - 43100 Parma
Tel. 0521702723 - Fax: 0521702209
e-mail: [email protected]
19
Un ulteriore approccio
per migliorare l’assistenza
agli adolescenti.
L’uso di un questionario per
i comportamenti a rischio:
l’esperienza di Ferrara
Annunziata Indino1, Martina Mainetti1, Fabrizio Pugliese1,
Maria Rita Govoni2, Monica Sprocati2, Vincenzo de Sanctis2
1
2
Riassunto
Da Gennaio 2003 a Dicembre 2007 è stata eseguita un’indagine sui comportamenti a rischio, le relazioni familiari e il rendimento
scolastico in 273 adolescenti (139 maschi, 138 femmine - 7 non riportavano il sesso) ricoverati presso il reparto di Pediatria ed adolescentologia
di Ferrara per patologie acute.
È stato registrato che l’abitudine al fumo di tabacco, l’abuso di alcolici e
droghe, l’attività sessuale erano presenti rispettivamente nel 33%, 59%,
14% e 29% del nostro campione.
Risultati scolastici in calo o pessimi e relazioni familiari deteriorate sono
state riportate nel 31% e 5% rispettivamente dei nostri adolescenti.
Gli Autori sottolineano l’importanza di un’approfondita valutazione dei
pazienti in età adolescenziale per poter prevenire e trattare eventuali
comportamenti a rischio.
Scuola di Specializzazione in Pediatria - Università degli Studi di Ferrara
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia - Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara
I
Il nostro studio è nato a seguito di una richiesta dell’Ufficio
Qualità della Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.
L’obiettivo era quello di identificare un “progetto di miglioramento della qualità dell’assistenza medica”.
In considerazione di ciò, abbiamo pensato di approfondire alcune problematiche tipiche dell’età adolescenziale allo scopo di
avere una visione più “allargata” dei problemi dei ragazzi accolti
per patologie acute nel nostro reparto di degenza.
Pazienti e metodi
Da Gennaio 2003 a Dicembre 2007, con il consenso dei genitori, i medici (strutturati o in formazione specialistica) hanno somministrato un questionario anonimo (Figura 1) a tutti i pazienti di
età uguale o superiore ai 14 anni, ricoverati presso il reparto della
Divisione di Pediatria ed Adolescentologia dell’Arcispedale
Sant’Anna di Ferrara.
In particolare sono stati indagati:
le relazioni familiari e sociali,
il rendimento scolastico,
il rapporto con se stessi e l’autostima,
la sfera sessuale,
l’utilizzo di droghe,
l’abitudine voluttuaria al fumo,
l’assunzione di alcolici e superalcolici,
la sicurezza stradale in merito all’uso del casco e della cintura.
Parole chiave: comportamenti a rischio, adolescenti, questionario.
A possible way to improve
adolescents health care. A test
questionnaire on risk behaviours
delivered to adolescents admitted
to pediatric unit in Ferrara
Summary
From January 2003 to December 2007 we conducted a survey on risk behaviours, relations and school performance in 273 adolescents (139 males, 138 females - 7 didn’t relate sex) admitted to Pediatric
and Adolescent Unit of Ferrara for acute medical disease.
Smoking, alcohol assumption, drugs abuse and sexual activity were registered in 33%, 59%, 14%, 29%, respectively. School performance were
bad or declining in 31% and deteriorated family relations were declaired
in 5% of our adolescents.
The Authors stress the importance of an “extensive” evaluation of adolescents in order to prevent and eventually treat risk behaviours of adolescents.
Risultati
Il campione in esame è costituito da 273 adolescenti (139
maschi e 138 femmine, in 7 casi il sesso non veniva specificato
Key words: risk behaviours, adolescents, questionnaire.
20
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti.
Volume 6, n. 3, 2008
L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara
Scheda per la valutazione dei comportamenti
a rischio nell’adolescente
Data
Sesso:
M❏
F❏
Età
Relazioni familiari
❏ buone
❏ ottimali
❏ deteriorate
Droghe
❏ no
❏ sì
❏ epoca di inizio
❏ uso in pregresso
cannabis
anfetamine
cocaina
❏ uso attuale
cannabis
anfetamine
cocaina
Relazioni sociali
❏ buone, amici di entrambi i sessi,
associazioni, gruppi
❏ pochi amici, solitario
❏ non amici
Rendimento scolastico
❏ buoni risultati
❏ risultati in calo, saltuariamente buoni
❏ pessimi risultati, abbandono
Guardi la TV:
❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore
Quando?
❏ mattino
❏ > 4 ore
❏ pomeriggio
❏ > 4 ore
Navighi in Internet:
❏ sì ❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore
❏ no
❏ > 4 ore
Utilizzi Internet per:
❏ esplorare siti
❏ chattare
❏ con persone conosciute
❏ studio/lavoro
❏ web-cam
Attività sessuale
❏ no
❏ sì
❏ n° partner negli ultimi 6 mesi
❏ inizio < 16 anni
❏ notte
Usi la Play Station?
❏ sì ❏ < 2 ore ❏ 2-4 ore
❏ no
Con chi?
❏ da solo
❏ con amici
❏ con familiari
Sicurezza personale
❏ usa sempre casco/cintura di sicurezza
❏ usa non sempre casco/cintura di sicurezza
❏ non usa casco/cintura di sicurezza
Se sessualmente attivo,
Conosce contraccezione Usa contraccezione
❏ sì
❏ sì
❏ no
❏ no
Immagine di sé
❏ esprime rapidamente 3 buone qualità
❏ esprime con fatica 3 buone qualità
❏ non riesce ad esprimere 3 buone qualità
❏ sconosciuti
Atteggiamento mentale
❏ spesso contento
❏ scoraggiato, triste
❏ scontento, pensieri di suicidio
Alcool
❏ no
❏ sì
quali
Fumo di tabacco
❏ no ❏ sì
Se sì
❏ da quale età
❏ occasionale
❏ quotidiano
❏ quantità: sigarette/die
Se sì
Cosa assume?
• birra
• vino
• superalcolici
• da quale età
21
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Fumo in famiglia
• no
• sì
• chi
Frequenza
• occasionale
• quotidiano
• quantità: bicchieri/die
Fumo tra gli amici
• no
• sì
Alcool in famiglia
• no
• sì
• cosa
• chi
Con chi fuma
• amici
• familiari
• solo
Alcool tra amici
• no
• sì
• cosa
È interessato a smettere?
• no
• sì
• perché
Con chi assume alcool?
• familiari
• amici
• solo
Conosce i danni del fumo?
• no
• sì
• quali
Conosce i danni da alcool?
• no
• sì
• quali
Il genitore acconsente all’intervista con il/la figlio/a
Figura 1. Questionario utilizzato per la nostra indagine.
nella scheda). L’età media del campione era pari a 15,1 anni. Nella
Figura 2 viene riportata la distribuzione del campione per classi di
età. I ragazzi/e intervistati sembrano godere di rapporti familiari nel
complesso buoni, infatti il 60% le riteneva buone, il 35% ottimali e
solo il 5% lamentava relazioni familiari “deteriorate”.
Il rendimento scolastico nel 23% dei casi era “in calo”, nell’8%
veniva riportato pessimo e nel 69% buono.
Per valutare l’autostima è stato chiesto di esprimere tre proprie
buone qualità; dai risultati è emerso che il 22% esprimeva con
fatica 3 buone qualità, il 70% le esprimeva con facilità, mentre
Attività sessuale
50
Inizio prima dei 16 anni
100
100
33,8
80
33,8
71%
29,2
81%
80
60
40
20
19%
0
60
sì
no
%
30
%
40
Partner negli ultimi 6 mesi
%
20
40
100
29%
2,8
0
0,4
sì
0
anni 14
anni 15
anni 16
%
20
10
no
80
60
79%
40
20
0
17%
4%
1
tra 1 e 3 tra 4 e 8
anni 17 non indicato
Figura 3. Risultati dell’attività sessuale, età d’inizio e numero dei partners
del nostro campione.
Figura 2. Distribuzione del campione per classi di età.
22
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Un ulteriore approccio per migliorare l’assistenza agli adolescenti.
Volume 6, n. 3, 2008
L’uso di un questionario per i comportamenti a rischio: l’esperienza di Ferrara
40
32%
%
30
20
10
18%
17%
9%
11%
9%
4%
0
Inizio 11
anni
Inizio 12
anni
Inizio 13
anni
Inizio 14
anni
Inizio 15
anni
Inizio 16
anni
Non
indicato
Figura 4. Età d’inizio del fumo di tabacco per classi di età.
Consuma alcol?
Età di inizio
7%
100
12
anni
22%
80
%
60
Non
risponde
59%
13 anni
4% 16 anni
40%
40
11%
20
15 anni
14 anni
1%
0
sì
no
non
indicato
24%
32%
fossero a conoscenza dei danni provocati dal
fumo, meno della metà era disposta a smettere di
fumare.
Il consumo di alcolici è risultato molto diffuso
(59%), con un’età d’inizio abbastanza precoce
(76% entro i 14 anni, Figura 5).
La bevanda più consumata era la birra (68%),
seguita dai superalcolici (50%) e dal vino (32%).
Inoltre, come accadeva per il fumo, gli alcolici ed i
superalcolici venivano prevalentemente consumati
in compagnia di amici (84%), meno con i familiari
(28%).
L’abuso di droghe (pregresso od attuale) è stato
dichiarato dal 14% degli adolescenti. Il rapporto
maschi: femmine era pari a 1:1, l’età media di inizio
era 14 anni. Il 10% aveva iniziato fra gli 11 ed i 12
anni di età.
La sostanza di abuso maggiormente utilizzata era la
cannabis (89%), seguita da cocaina (3%) ed anfetamine (3%). Nel 5% dei casi non veniva specificata. Il
5% dei ragazzi che riferivano abuso di sostanze
lamentava relazioni familiari deteriorate, il 43%
ammetteva risultati scolastici in calo ed il 13% pessimi risultati.
Infine, l’82% dei ragazzi/e riportava di rispettare l’obbligo del casco e/o delle cinture di sicurezza, mentre
i restanti non rispettavano tali norme con regolarità.
Figura 5. Risultati del consumo di alcolici ed età d’inizio.
Conclusioni
l’8% non rispondeva alla domanda. Il 29% dei ragazzi/e risultava
sessualmente attivo (Figura 3), con un rapporto maschi:femmine
pari a 1:1,7.
L’85% degli adolescenti aveva iniziato l’attività sessuale prima
dei 16 anni (Figura 3), di questi il 38% era costituito da ragazzi, il
62% da ragazze.
Per quanto riguarda la numerosità dei partners sessuali, il 79%
ne riportava uno, il 17% da due a tre ed il 4% da quattro a otto
partners negli ultimi 6 mesi (Figura 3).
Il 97.7% degli adolescenti, sessualmente attivi, era a conoscenza delle misure contraccettive.
Quest’ultime, tuttavia, venivano utilizzate nell’89% dei casi (90%
dei ragazzi, 86% delle ragazze).
Il fumo risultava un’abitudine voluttuaria abbastanza diffusa: il
33% affermava di fumare. In particolare 71 soggetti (25%) ne
facevano uso abituale, 19 occasionale (7%) e 3 (1%) non specificavano. Per quanto riguarda l’epoca d’inizio, il 35% aveva iniziato a fumare prima dei 14 anni (Figura 4) e il 9% intorno all’età
di 11 anni.
Tale abitudine veniva per lo più svolta in compagnia di amici
(89%), ed il 40% fumava anche in presenza dei familiari. L’80%
degli intervistati riportava di avere amici fumatori.
Nonostante i ragazzi ai quali è stato distribuito il questionario
I dati da noi raccolti, sebbene confermino quanto già riportato
ampiamente in letteratura (1-3), offrono lo spunto per alcune
riflessioni e considerazioni.
In particolare, l’analisi dei dati raccolti attraverso le schede distribuite ai ragazzi ricoverati per problemi acuti presso la nostra
struttura ci ha consentito di avere una visione più “allargata” delle
problematiche tipiche di questa fascia d’età.
Le osservazioni sulla sessualità e la discrepanza esistente fra
riferita conoscenza dei metodi contraccettivi ed utilizzo di questi
ultimi concordano con quanto riportato nell’indagine “Abitudini e
stili di vita degli adolescenti” della Società Italiana di Pediatria (1)
e dalla Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (2).
Questi studi segnalano che gli adolescenti hanno in questo
ambito una formazione del tutto carente, legata spesso al “passaparola” fra coetanei (1), e che il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in età adolescenziale è in aumento (2).
Alcuni comportamenti a rischio, quali fumo di tabacco ed abuso
di alcolici, avvengono usualmente in compagnia di amici. Tutto
ciò fa pensare che il gruppo dei coetanei rappresenta un punto
di riferimento importante ed un modello da seguire (4). Sebbene
la maggior parte dei ragazzi conoscesse i danni provocati dal
23
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
fumo, meno della metà era disposta a smettere di fumare.
Questa osservazione è in accordo con l’indagine “Abitudini e stili
di vita degli adolescenti” della Società Italiana di Pediatria,
secondo la quale per la maggior parte degli adolescenti un comportamento potenzialmente rischioso (come fumare sigarette)
non necessariamente deve essere evitato (1).
E’ interessante notare come i ragazzi/e nell’elenco dei danni provocati dal fumo di tabacco includevano anche “l’ingiallimento
della pelle e dei denti”, “l’invecchiamento della pelle”.
Questa osservazione conferma quanto è importante l’estetica in
questa fascia di età. La percentuale di abuso di sostanze stupefacenti registrata nel nostro campione sebbene inferiore a quanto riportato nell’indagine HBSC-OMS 2005-2006 (il 32,3% dei
ragazzi ed il 31,3% delle ragazze a 15 anni aveva già sperimentato una sostanza stupefacente, almeno una volta) (3) rappresenta comunque un dato rilevante che necessita di eventuali
approfondimenti. In conclusione il pediatra-adolescentologo
dovrà utilizzare qualsiasi occasione per approfondire non solo gli
aspetti medici, ma anche psico-sociali e comportamentali. Una
stretta collaborazione con la famiglia dell’adolescente ed altri
specialisti è necessaria tutte le volte in cui viene identificata una
situazione potenzialmente a rischio.
Bibliografia
1.
Tucci M. Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani.
Area Pediatrica 2007; 4:19-24.
2.
http://www.sigo.it
3.
Secondo rapporto sui dati toscani dello studio HBSC 2005-2006
4.
Maduli L. Valutazione psico-sociale degli incidenti in adolescenza.
SRM Psicologia Rivista. Roma,12 settembre 2005.
Corrispondenza:
Dott.ssa Annunziata Indino
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia
Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara
Corso Giovecca, 203 - 44100 Ferrara
Tel. 347/3017834
e-mail: [email protected]
The Israel Center for Medical Simulation (MSR), in collaboration with
the Israel Society of Adolescent Medicine, offers healthcare providers who
teach adolescent medicine the opportunity to enhance their teaching capabilities of communication skills with adolescent patients.
An international workshop
"TRAIN THE TRAINER IN COMMUNICATION WITH ADOLESCENTS"
will be held between
June 7 and June 10, 2009
at MSR in Sheba Medical Center near Tel Aviv.
The workshop's objectives include: Developing simulated-patient-based
programs; preparing scenarios; selecting and training actors; facilitating
debriefing discussions and feedback provision; and conducting group sessions in
the fishbowl technique.
During the workshop participants will learn how to enhance their teaching capabilities by using simulated patient-based training programs. They will
participate in individual and group sessions simulating various encounters
between healthcare providers, adolescent patients and family members.
Upon completion of the workshop each participant will receive a package containing workshop materials including recorded scenarios as well as a formal certificate of participation in the Train-the-Trainer workshop.
For additional information please contact with Dr. Daniel Hardoff [email protected].
24
Arteterapia:
nel bambino e nell’adolescente
Stefania Pisano
Arteterapeuta in formazione, Gruppo di studio di adolescentologia
(Coordinatore Fabio Franchini) – Università degli Studi di Firenze
“Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, […] può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia” (1).
L’Arte Terapia è un trattamento psicologico che compare con lo sviluppo delle istituzioni psichiatriche nel XVIII e nel XIX secolo. Alcuni
medici, infatti, notarono che il malato mostrava un’urgenza a creare.
S’ipotizza che la matrice dell’atteggiamento codificato e diagnostico verso il mondo delle immagini, sia da ricercarsi nel Neoclassicismo, e nella credenza “razionale” che lo stato psichico di
una persona possa essere compreso attraverso l’analisi di una produzione artistica.
Nel 1950 l’arteterapia si conferma come terapia individuale per poi
espandersi sempre di più al gruppo e sempre di più in contesti di
espressione non verbale.
Dal professor Henri Wallon si è potuto imparare l’arte dell’osservazione senza pregiudizi a priori.
In seguito il professor Julian De Ajuriaguerra, nel suo laboratorio
all’Ospedale Henri Rouselle, St. Anne, a Parigi, ha studiato per
lunghi anni i problemi delle difficoltà scolastiche del bambino.
Tratto saliente alla base dell’arteterapia, è l’evidenza di una comunicazione non verbale che passa nella relazione in modo più efficace e diretto. In un setting arteterapeutico il silenzio verbale non è
il silenzio del corpo, esso è:
“Un bagno di e nel linguaggio parlato, nell’ascolto del suono delle
parole, anche se i pazienti non partecipano alla conversazione e
sembrano indifferenti a quello che si dice, ascoltano e il loro silenzio fa parte del brusio”. Questo introduce il concetto di “bagno
affettivo”, creato attraverso i rapporti corporei: di vicinanza o di
allontanamento.
I prodotti in arteterapia possono essere utilizzati per conoscere
meglio chi li fa e chi li riceve, nel complesso intreccio della relazione trasferale che passa per l’agito, anziché per la parola. Il transfert
che si attua in questo sistema, si presenta con la particolarità di
essere “diluito” (3), nel senso che l’affettività viene rivolta in parte
sull’oggetto creato e in parte sul terapeuta.
L’arteterapia non produce arte, ma trae un valore terapeutico per
In America, nel dopoguerra, l’intervento di Margareth
Naumburg, s’iscrive pienamente nella storia dell’arteterapia. Nel corso della sua lunga attività psicoterapeuta e
arteterapeuta, getterà le fondamenta teoriche di questa
disciplina.
Secondo la Naumburg il processo dell’arteterapia, orientata dinamicamente, è basata sul riconoscimento che i pensieri e i sentimenti dell’uomo sono derivati dall’inconscio e
spesso raggiungono la loro espressione nelle immagini
piuttosto che nelle parole. Attraverso questa proiezione pittorica l’arteterapia diventava comunicazione tra paziente e
arteterapeuta.
In America Edith Kramer ha, quindi, trovato un fertile terreno per lo sviluppo del proprio personale orientamento,
impostando interventi di trattamento terapeutico con bambini. Il lavoro della Kramer pone l’accento sul “concetto di
arte come terapia, piuttosto che su una psicoterapia che
utilizzi l’arte come uno dei suoi strumenti”. La terapia d’arte è concepita come un mezzo di sostegno dell’Io, una
forma di terapia che integra o sostiene la psicoterapia ma
non la sostituisce.
Il suo intervento terapeutico avviene combinando i due termini, arte e psicoterapia, attraverso i processi artistici.
25
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
luppo della creatività, per potenziarla e per il cambiamento terapeutico. Essi sono veicolo di emozioni, stati d’animo, che hanno lo
scopo di esprimere un disagio.
La materia è un linguaggio e la Milner descrive i materiali artistici
come una realtà svuotata ma che assumono un senso quando l’artista ne fa uso.
La Milner associa i materiali artistici alla pelle e ai prodotti corporei,
alcuni di questi come la creta ad esempio porta ad uno stato di
regressione, tenendo presente che il primo materiale creativo e
comunicativo del bambino sono le feci.
L’atto stesso del dipingere e soprattutto del modellare comporta in
sé una riparazione di frustrazioni arcaiche e permette ai pazienti di
esprimere “carenze” di cui hanno risentito profondamente nella
prima infanzia.
Il disegno, la pittura e il modellaggio sono da molto tempo utilizzati nelle cure di diversi tipi di patologia infantile, da psicoterapeuti o
psicanalisti. I test proiettivi di disegno sono uno strumento complementare alla terapia verbale, per valutare e diagnosticare la personalità, lo sviluppo e le attività cognitive del bambino. Il disegno è
uno stratagemma per “rompere il ghiaccio”; molti bambini restano
muti di fronte allo psicologo, ma quasi mai si rifiutano di disegnare.
L’arteterapia, come linguaggio non verbale, offre al bambino numerose possibilità per esprimere l’emotività, per esplorare e risolvere
problemi, o per dare forma ai propri pensieri. Il processo arteterapeutico offre l’opportunità di lavorare ad un livello non verbale e di
creare immagini; ad esempio, le persone che hanno difficoltà ver-
favorire un processo creativo che consente di sperimentare una
strutturazione delle funzioni dell’Io.
È la creatività la vera risorsa. Jung (4) scrisse che essa è un istinto,
sperimentando su se stesso il metodo di tradurre le emozioni in
immagini.
Creare è il sistema più autentico per rivendicare la nostra unicità
nella società. Attraverso l’attività grafico-pittorica e il modellaggio
della creta è possibile esprimere rabbia e risentimento, paure e
colpe, rivendicazioni e frustrazioni, accettandoli e mettendoli da
parte; e a loro posto, fare emergere fiducia, autostima, accettazione.
La personalità stessa è una creazione continua, un processo vitale
in continua trasformazione.
Noi conosciamo la follia come il contrario della ragione, e questa è
raccontata dagli psichiatri. Ma c’è una follia che non è conosciuta
dalla psicologia, dalla psichiatria o dalla psicoanalisi, ma è conosciuta dalla creazione artistica.
L’esperienza di Artaud, come quella di Van Gogh trovano nell’arte
un momento d’espressione che allevia la sofferenza, il fatto di
“impadronirsi di una forma” costituisce un argine al dilagare di ciò
che non ha forma. Un Io scisso, che trova conforto soltanto nella
possibilità di dare forma ai propri fantasmi. “L’arte allora sarà un
modo, l’unico modo, […] conflittuale, di fuggire a questo mondo”
(5). Essa è una forma d’estensione della realtà, una via intellettuale
ad aprire nuove esperienze.
Le emozioni accrescono il nostro senso d’identità, e la ricostruzione
dell’identità perduta è lo scopo finale del lavoro svolto all’interno dell’atelier dall’équipe curante.
L’arteterapeuta lavora condividendo il proprio lavoro con gli altri
membri dello staff attraverso uno scambio di informazioni, non soltanto all’inizio del trattamento, ma anche nel corso dello stesso.
L’arteterapia è utilizzata come supporto diagnostico dai medici.
La necessità del dare forma all’informe della sofferenza sono
momenti di un’esplorazione comune. La creazione artistica costituisce, dunque, un momento di sperimentazione di diverse possibilità all’esistente, e in questo senso in esso, il problema dell’identità può trovare una soluzione. L’arteterapeuta coniuga il linguaggio
psicologico al linguaggio artistico, e, accogliendo e contenendo il
paziente funge da ponte tra il dentro e il fuori. Lo scavo dentro di sé
può mettere a nudo antiche ferite e dolori sopiti ma non del tutto
dimenticati. Quello che contraddistingue l’arteterapia è che il contenuto emerso è condiviso con un’altra persona che accompagna
il paziente nel suo viaggio artistico.
È importante la scelta dei materiali e dei colori. Il materiale espressivo deve assecondare le esigenze del paziente, esso non è scelto
a caso, ma rispetta le cognizioni storico-artistiche, le caratteristiche
personali, i suoi bisogni e ciò che vuole esprimere in quel preciso
momento.
Il materiale è il mezzo espressivo della relazione terapeutica, e la
scelta del paziente dà indicazioni anche su come il processo
potrebbe svolgersi: ansia, esitazione, entusiasmo.
I materiali artistici sono una parte fondamentale per i processi di svi-
26
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Arteterapia: nel bambino e nell’adolescente
Volume 6, n. 3, 2008
bali, o bambini che hanno disagi emotivi e comportamentali, possono avere più facilità a relazionarsi attraverso la creazione di
un’immagine.
Secondo Franca Medioli Cavara (6) il bambino disegnando estrinseca la parte più dolorosa, e poi per mezzo delle parole fa emergere altri brandelli della sua psiche, infatti, certe esclamazioni si
rivelano importanti chiavi interpretative.
L’arteterapia per i bambini non ha solo un valore diagnostico, ma
ha anche un valore espressivo, perché nel bambino il disegno
emerge spontaneamente e dipingere è un linguaggio naturale.
Dai disegni infantili, emerge il modo in cui un bambino conosce e
sente la realtà; disegnano ciò che ricordano, dando colore ai loro
sentimenti.
Gli studi sul disegno infantile provano come il bambino, nelle fasi
iniziali dell’attività grafica, non faccia altro se non esercitare la propria gestualità, trasferendo sulla carta parte dei movimenti che ha
imparato a compiere. È questo il momento in cui egli ‘gioca’ con
le linee, per le gratificazioni che l’esercizio di questa attività procura (7). Le configurazioni iniziali sono immagini non figurative e,
nello stesso tempo, oggetti della realtà circostante, dal momento
che quei segni indicano tutti gli oggetti che il bambino è in grado di
nominare o ricordare. Gli scarabocchi comprendono tutti i segni
che risultano da un movimento spontaneo.
Con il progressivo affinamento del controllo oculo-manuale, il bambino giunge a combinare gli “scarabocchi-base” (Kellogg, 1969) in
altre configurazioni per arrivare ad un assetto figurativo, quindi alla
“figura umana”.
Henry Aubin (8) sostiene che, nel suo aspetto motorio e gestuale, il
bambino trova nel disegno un processo catartico capace di liberarlo dalle tensioni ansiogene in un modo più efficace che con un
colloquio di tipo puramente verbale.
Arthur Robbins sulla scia degli studi di Winnicott, ha sostenuto che
il prodotto artistico è un oggetto transizionale, una specie di coperta di Linus protettiva rispetto all’angoscia.
“Ciò a cui mi vado riferendo […] non è il pezzo di stoffa o l’orsacchiotto che il bambino adopera – non tanto l’oggetto usato, quanto l’uso dell’oggetto. Sto richiamando l’attenzione […] nell’uso da
parte di un bambino di ciò che io ho chiamato oggetto transizionale” (9).
L’oggetto ha assunto un significato dove i meccanismi proiettivi e
le identificazioni hanno agito a tal punto che qualcosa del soggetto si trova nell’oggetto: per il bambino è l’inizio di un rapporto con il
mondo.
Con il passaggio alla scuola elementare, il bambino comincia l’apprendimento della scrittura, della lettura, del calcolo ed entra in un
sistema completamente diverso.
Ai bambini che vivono con disagio questa nuova necessità di imparare sistemi di pensiero codificati, si propone di aumentare l’espressività in tutti i suoi aspetti, attraverso atelier di recupero scolastico. L’arteterapeuta con la possibile collaborazione di un logopedista o uno psicologo, propongono l’insegnamento scolare insieme all’attività creativa.
Secondo Gaston Bachelard l’immagine viene prima del pensiero, e
nella sua semplicità non ha bisogno di un sapere perché è la ricchezza di una coscienza ingenua.
“Come dev’essere difficile la vita per un adolescente che abbia
semplicemente l’ambizione di essere se stesso […]” (10).
Crescere non è facile, ancor meno diventare adulti. Essere grandi
significa avere più libertà, ma anche molte più responsabilità.
Spesso l’arteterapia funziona da collante e favorisce la socializzazione di adolescenti che stanno attraversando un periodo difficile,
in crisi di crescita.
L’adolescenza oscilla tra problematiche contraddittorie sia mentali
sia di comportamento: il corpo che cambia, lo sviluppo dell’identità,
la riorganizzazione di un mondo interno e la modificazione delle
relazioni intersoggettive con lo spostamento dell’interesse dalla
famiglia al gruppo dei coetanei.
Qualche elemento di riflessione può essere fatto rispetto alla solitudine che alberga tra i giovani. Una solitudine che non si riferisce
all’essere soli, ma al sentirsi soli.
È sempre più evidente la capacità/incapacità di comunicare emotivamente tra generazioni.
Spesso una generazione cresciuta nell’abbondanza e nel superfluo, risulta incapace di curiosità, di sogno, di trasgressione vera.
Costruirsi uno spazio dove far vivere le proprie immagini interiori è
uno stimolo a uscire dal disagio e dal malessere. Eppure negli ultimi anni la nostra cultura ha cercato di cancellare il disagio in quanto forma inclusa nell’imperfetto.
L’approccio dell’arteterapia rivolta agli adolescenti si presenta con
caratteristiche particolari dove il linguaggio verbale non sempre
costituisce un canale elettivo. I ragazzi, infatti, presentano la necessità di non parlare e di stare per proprio conto isolandosi.
L’adolescente nell’atelier può vivere i fantasmi e i suoi sogni; in uno
spazio che è luogo d’intimità in cui l’immagine creata si carica d’emotività, e la comunicabilità di questa, sviluppa il contatto tra
mondo interno e mondo esterno. I ragazzi possono “nidificare” (11)
nel loro spazio-atelier come fosse una casa loro ma fuori dell’ambiente familiare, uno spazio semi-sociale in cui è possibile mostrarsi e parlare senza costrizione.
L’essere che prova il sentimento del rifugio, si ritira, si nasconde,
si cela. Il nido come il guscio, sono immagini che sollecitano in noi
riposo, tranquillità, intimità. L’essere ama “ritirarsi nel proprio angolo” (12).
In questo spazio di intimità si iscrive la maggior parte della attività
di arteterapia condotte in atelier con gli adolescenti (13).
Il bisogno di espressione creativa, spesso attende solo un contesto
propizio per emergere.
Ogni atelier è caratterizzato da un setting arte-terapeutico che ha
una funzione di contenimento e di regolazione pulsionale: un contenitore in cui il soggetto inizia un percorso, proiettando il proprio
vissuto.
L’atelier costituisce per l’adolescente in crisi: la possibilità di dare
forma a un vissuto interno, la gestione e l’organizzazione dei conflitti, attraverso una relazione viva, concreta.
27
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 6, n. 3, 2008
Bibliografia
Dipingere, scolpire, incollare, implicano un’attività motoria che restituisce all’adolescente un contatto con il suo corpo.
L’atelier nella qualità di contenitore, favorisce un lavoro di strutturazione, nel quale le difese del paziente sono rispettate. Esso è un’area transizionale di incontro, un’area di collegamento fra il soggetto
e l’oggetto, in cui si verifica un passaggio attraverso un elemento
intermedio che può essere il materiale scelto, o il terapeuta stesso.
Occorre però distinguere l’arteterapia dall’arte. L’arte, infatti, non è
un processo necessariamente terapeutico, ma è semplicemente
un modo di esistere che risponde alle regole di comunicazione,
regole estetiche e temi universalmente condivisi.
La preistoria ci suggerisce testimonianze suggestive, che decorano le caverne e le tombe dei nostri progenitori. Comunicazione, o
anche, scoperta e sperimentazione di oggetti che scrivono.
Sudres dice che l’essere umano è al tempo stesso arte e apportatore di arte.
Quando parliamo di arteterapia ci collochiamo nell’ambito della
cura, con soggetti in preda a sofferenze e difficoltà. Essa non consiste in un apprendimento artistico, ma in una produzione che consiste in una proiezione libera senza la preoccupazione del risultato estetico.
“L’arteterapia espressiva si basa su un lavoro di espressione
mediata (poesia, pittura, collage, creta, ecc.) e consiste nell’analizzare e interrogare, nell’integrazione del gioco verbale-transferale,
ciò che viene prodotto” (14).
Un’altra distinzione importante deve essere fatta fra arteterapia e
movimento Espressionista, infatti, quand’anche l’artista esprime i
sentimenti più profondi, buoni o cattivi, la composizione armonica
figurativa ha un ordine che non appartiene alla patologia, ma solo
all’arte. Medesime riflessioni si devono porre tra arte astratta o informale e le macchie di colore prodotte in modo esperenziale in arteterapia: nel primo caso la comunicazione appartiene ad un ordine
logico, che esiste nelle scelte d’accostamenti di linee e colori, mentre in arteterapia quest’ordine logico non è richiesto, come non è
richiesto il risultato estetico.
Nella lettura delle opere d’arte si pone spesso l’attenzione alle regole formali della composizione: la prospettiva, l’armonia delle forme
e l’uso dei colori; altrettanto importanti sono il soggetto, i contenuti
informativi e le emozioni che l’artista intende trasmettere.
Nell’arteterapia la funzione principale è quella di occuparsi dei bisogni delle persone, e l’attività artistica come quella psicoanalitica
consente il sostanziarsi di un processo catartico capace di garantire all’uomo un migliore inserimento nell’universo sociale.
Il tema che riguarda tutti noi, la società in cui viviamo e la storia da
cui proveniamo, è il rapporto che l’individuo ha con se stesso.
L’ansia e l’angoscia che convivono in noi, determinano un travaglio
e una forte sensibilità di fronte all’interrogativo dell’esistenza, provocando un forte spaesamento che ci coglie indifesi.
Stare con se stessi dando forma a qualcosa che non si riesce a
comunicare è liberatorio. Creare implica un fare, un agire e reagire
attivamente a qualcosa d’inespresso, un momento in cui si decide
di appartenere solo a se stessi, ai propri istinti, alla propria storia.
K. Jaspers, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina, Milano
2001, p. IX.
1
A.Denner, L. Malavasi, Arteterapia: metodologia e ricerca. Atelier terapeutici
di espressione plastica, Del Cerro, Tirrenia (Pisa) 2002, p.102.
2
3
Il concetto di transfert è un termine freudiano applicato al processo psicoanalitico per comprendere i rapporti tra paziente e analista. Il transfert
diluito in arteterapia si riferisce alla mediazione dell’oggetto creato durante
il processo creativo.
C. G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, Bur 2004.
4
S. Pasko, Il sogno la follia. La passione dell’impossibile in Mallarmè e Van
Gogh, Besa, Nardò (LE) 2001, p. 12.
5
6
F. Medioli Cavara, Il disegno nell’età evolutiva. Esercitazioni psicodiagnostiche, Boringhieri, Torino 1986.
A. Argenton, Arte e cognizione, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 112.
7
H. Aubin, Il disegno del bambino disadattato, Piccin, Padova 1985.
8
D. W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando, Roma 2005, p. 16.
9
P. Crepet, I figli non crescono più, Einaudi, Torino 2005, p. 53.
10
Il termine nidificare, per Baschelard, indica una necessità da parte dell’adolescente a crearsi uno spazio intimo.
11
G. Baschelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 2006, p. 120.
12
J. L. Sudres, L’arteterapia con gli adolescenti, ed. Scientifiche Magi, Roma
2000.
13
Ibidem, p. 53.
14
Si ringrazia la Prof.ssa Milva Giacomelli della Facoltà di Architettura
Per approfondire
Aubin H., Il disegno del bambino disadattato, Piccin, Padova 1985.
Medioli Cavara F., Il disegno nell’età evolutiva. Esercitazioni psicodiagnostiche, Boringhieri, Torino 1986.
Argenton A., Arte e cognizione, Raffaello Cortina, Milano 1996.
Sudres J. L., L’arteterapia con gli adolescenti, Edizioni Scientifiche Magi,
Roma 2000.
Jaspers K., Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina, Milano
2001.
Pasko S., Il sogno, la follia. La passione dell’impossibile in Mallarmè e Van
Gogh, Besa editrice, Nardò (LE) 2001.
Denner A., Malavasi L., Arteterapia: metodologia e ricerca. Atelier terapeutici
di espressione plastica, Edizioni Del Cerro, Tirrenia (Pisa) 2002.
Case C., Dalley T., Manuale di arteterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2003.
Sicurelli R., Elementi di psicoanalisi nell’arte. Freud e la creatività artistica,
Edithing, Treviso 2003.
Jung C.G., Ricordi, sogni, riflessioni, Bur 2004.
Crepet P., I figli non crescono più, Einaudi, Torino 2005.
Winnicott D.W., Gioco e realtà, Armando editore, Roma 2005.
Baschelard G., La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari 2006.
28
Dicembre 2008
In questo numero di Emothal viene riportata la prima parte dei posters
presentati al V Congresso Nazionale SO.S.T.E., che si è tenuto a Cagliari
dal 16 al 18 Ottobre 2008
Straordinaria quanto inattesa risposta
a talidomide di una ß-thalassemia
“intrattabile”
Masera N.1, Tavecchia L. 2, Ronzoni S.1, Vimercati
C.1, Parini R.1
Clinica Pediatrica- Università Milano-Bicocca 2Servizio
Immunotrasfusionale Ospedale San Gerardo Monza
Comitato Editoriale
1
GM, ragazza attualmente ventenne di origini albanesi
affetta da thalassemia intermedia (β°‚ β+); viene trasfusa in Albania dall’età di un anno con frequenza
semestrale; mai eseguita ferrochelazione. A 4 anni
splenectomia. Giunge in Italia a 9 anni con grave anemizzazione (Hb: 4.5 g%), cardiopatia dilatativa, gravissime deformità ossee (in particolare arti inferiori e
massiccio faciale), spiccata epatomegalia con importante dolorabilità in loggia epatica. Ripetuti tentativi
trasfusionali risultano inefficaci per il verificarsi di
emolisi massiva post-trasfusionale immediata pur in
presenza di test Coombs diretto e indiretto e prove di
compatibilità negativi.
Inizia quindi terapia con Idrossiurea (HU) 10
mg/k/die con discreta ma insufficiente risposta in termini di Hb (6-6.5 g%) e miglioramento del quadro
epatico. Valutato possibile TMO da banca (due fratelli HLA non compatibili): non praticabile per le condizioni cliniche di base. Non potendo escludere l’eziologia autoimmune dell’anemia emolitica e vista la
gravità del caso, all’età di 12 anni si intraprende terapia immunosoppressiva con steroidi e ciclofosfamide
senza risposta alcuna. A 14 anni, in seguito a indagini immunoematologiche sofisticate è stato isolato
nella paziente Ab anti-Scianna; tramite banca internazionale del sangue vengono reperite due unità
Scianna negative che però, trasfuse alla paziente, non
producono alcun incremento del valore di Hb inducendo invece ulteriore emolisi (Hb pre-trasf: 5 g%,
post-trasf: 3.5 g%). La paziente viene quindi considerata non più trasfondibile. A 15 anni viene sottoposta
a 3 cicli di Rituximab senza alcuna risposta di rilievo
in termini di Hb. Nel tempo la dose di HU viene
incrementata fino a 30-35 mg/k/die mantenendo valori di Hb: 5-6 g%. La ragazza assume inoltre terapia
cardiologica per scompenso cronico congestizio (diuretico, ACE-inibitore, digitale), antiaggregante (ASA)
per la piastrinosi (PLT:900.000-1.000.000/mmc),
bifosfonati e calcio per grave osteoporosi, folina. Il
quadro clinico si mantiene sostanzialmente stazionario (consentendo alla ragazza una deambulazione
autonoma per piccoli tratti e la frequenza a scuola
seppur irregolare) fino al marzo 2008 quando si assiste ad un progressivo calo dei valori di Hb fino a nadir
di 3.7 g% nel maggio, in assenza di segni di infezione e con importante peggioramento clinico generale e
quadro di scompenso cardiocircolatorio grave con
iniziale edema polmonare. In considerazione delle
scarse opzioni terapeutiche a disposizione, la paziente viene assecondata nella sua richiesta di non essere
ricoverata e viene trattata a domicilio con dosi eleva-
Direttore Scientifico
Vincenzo De Sanctis (Ferrara)
Comitato di Redazione
Vincenzo Caruso (Catania), Paolo Cianciulli (Roma), Maria Concetta Galati (Catanzaro),
Maria Rita Gamberini (Ferrara), Aurelio Maggio (Palermo)
Comitato Editoriale
Maria Domenica Cappellini (Milano), Marcello Capra (Palermo), Gemino Fiorelli (Milano), Alfio La Ferla (Catania), Turi Lombardo (Catania),
Carmelo Magnano (Catania), Roberto Malizia (Palermo), Giuseppe Masera (Monza), Lorella Pitrolo (Palermo), Luciano Prossomariti (Napoli),
Michele Rizzo (Caltanisetta), Calogero Vullo (Ferrara)
Segretaria di Redazione
Gianna Vaccari (Ferrara)
International Editorial Board
A. Aisopos (Athens, Greece), M. Angastiniotis (Nicosia, Cyprus), Y. Aydinok (Izmir, Turkey), D. Canatan (Antalya, Turkey),
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Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
te di diuretici, digitalici e ACE-inibitori. Sulla base
della segnalazione di un caso simile in letteratura che
ha mostrato un’ottima risposta prolungata negli anni
alla talidomide (1), la ragazza previo consenso informato viene posta in terapia con Talidomide (Thalomid®) 75 mg/die, scalando progressivamente HU. I
valori di Hb evidenziano una progressiva rapida ripresa: dopo un mese dall’ inizio della talidomide Hb: 7.2
g%; dopo 4 mesi Hb: 9.4 g%. La terapia viene ben tollerata. Al controllo di settembre la ragazza presenta
condizioni generali nettamente migliorate e la terapia
cardiologia viene progressivamente scalata. Il meccanismo con cui talidomide potenzi l’eritropoiesi non è
noto. In letteratura esiste qualche segnalazione relativa
alla sua efficacia nelle mielodisplasie e un’unica segnalazione nella talassemia (1). Riteniamo che talidomide
sia da considerare come possibile opzione terapeutica
in casi drammatici di talassemie non trasfondibili e non
responsive a HU. Potrebbero essere importanti studi sia
biologici che clinici per meglio definire le possibili
applicazioni della talidomide nella talassemia.
Bibliografia
1. LB Aguillar-Lopez, JL Delgrado Lamas, B Rubio-Jurado, F J
Perea, B Ibarra. Thalidomide therapy in a patient with
thalassemia major. Blood Cells, Mol Dis 2008, 41:136-137
Alterazioni dell’asse gh/igf-i in pazienti
adulti affetti da β-thalassemia e
correlazione con parametri di efficacia
della terapia trasfusionale e chelante
M. Poggi, P. Pugliese1, C. Pascucci, S. Monti,
G. Amodeo, A. Lo Sardo1, V. Toscano
UOC di Endocrinologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, II
Facoltà di Medicina, Università di Roma “La Sapienza”;
1
UOC di Immuno-Ematologia e Medicina Trasfusionale, I Facoltà
di Medicina, Università di Roma “La Sapienza”
Scopo. Le alterazioni dell’asse GH/IGF-I sono state
descritte, in passato, nei pazienti affetti da βThalassaemia Major (TM), soprattutto bambini e adolescenti. Recenti lavori mostrerebbero una aumentata
presenza di alterazioni a carico dell’asse GH/IGF-I
anche in soggetti adulti. Queste potrebbero avere un
impatto importante sullo sviluppo e sulla progressione del danno osseo e cardiaco nei soggetti affetti da
TM. La patogenesi delle alterazioni endocrine, in passato sempre correlata all’accumulo di Ferro, non è stata mai completamente chiarita. Lo scopo del nostro lavoro è stato valutare le alterazioni dell’asse GH/IGF-I
in un gruppo di pazienti adulti affetti da TM e verificare se queste correlassero con alcuni importanti parametri di efficacia della terapia trasfusionale e chelante.
Materiali e Metodi. Abbiamo sottoposto un gruppo
di 28 pazienti adulti (13 donne e 15 uomini, età
media 30 ± 6.2 anni) affetti da TM a valutazione dell’asse GH/IGF-I mediante test con GHRH e Arginina.
Tutti i soggetti erano sottoposti ad una regolare terapia trasfusionale e chelante dal primo anno di vita.
L’indice medio di massa corporeo (BMI) era di 21.8 ±
1.9. Inoltre sono stati valutati i livelli ematici di
Ferritina, IGF-I e degli enzimi epatici. Infine sono
stati valutati i depositi di Ferro intraepatico mediante
bio-susceptometria magnetica (SQUID).
Risultati. Abbiamo rilevato la presenza di un alterata risposta di GH al test dinamico in 9 soggetti
(32.1%). Questi presentavano inoltre minori livelli di
IGF-I. La comparazione tra i due sottogruppi non
mostrava differenze riguardo i valori di Ferritina,
enzimi epatici e accumulo di Ferro intraepatico, rilevato mediante SQUID.
Conclusioni. Questo studio conferma la necessità di
valutare la funzionalità dell’asse GH/IGF-I in soggetti
affetti da TM, anche dopo il raggiungimento dell’età
adulta. La presenza di alterazioni del tono secretorio
di GH non sembra correlare con i parametri di efficacia della terapia trasfusionale e chelante e pertanto
altri meccanismi, oltre al deposito di Ferro, potrebbero essere coinvolti nella patogenesi di questa complicanza endocrina.
Utilizzo combinato del filtro in linea
e del lavaggio automatico nella terapia
emotrasfusionale di pazienti talassemici
Ricchi Paolo1, Criscuoli Maria2, Spasiano Anna1,
Bovenzi Diomira2, Cinque Patrizia1, Costantini
Silvia1, Lo Pardo Catia2, Samaritani Maria2,
Macrì Michela2, Luciano Prossomariti1
U.O.C. Microcitemia1, S.I.T.2 A.O.R.N Cardarelli, Napoli
Introduzione. Alcuni pazienti affetti da Talassemia
Major tendono a manifestare reazioni a seguito della
trasfusione dei prodotti ottenuti con le normali procedure. Il filtraggio del sangue al momento della
donazione (filtro in linea) è in grado di ridurre significativamente l’incidenza di reazioni da globuli bianchi; inoltre, sono disponibili apparecchi che operando un lavaggio multiplo in automatico delle emazie
garantiscono un allontanamento pressocchè totale
delle proteine plasmatiche. L’obiettivo di questo studio è stato quello di osservare gli effetti sulle caratteristiche del sangue trasfuso, sull’esigenza trasfusionale e sulle reazioni avverse dell’utilizzo combinato
di queste due metodiche in un gruppo di pazienti
talassemici.
Materiali e Metodi. I criteri di inclusione sono stati i
32
Emothal
Atti Congresso So.STE
seguenti: trattamento continuo precedente presso il
centro per almeno 48 mesi senza interruzione; presenza di almeno tre reazioni avverse da proteine e/o
globuli bianchi nell’arco di sei mesi, esigenza trasfusionale di almeno due unità al mese, precedente splenectomia almeno due anni prima dell’arruolamento,
assenza di cause teoriche di potenziale incremento/
decremento del consumo di sangue. Sono stati considerati 6 pazienti affetti da talassemia major. Per un
tempo di circa 16 mesi tutte le unità di sangue assegnate ai pazienti sono state filtrate al momento della
donazione attraverso l’impiego di filtri (Baxter) e successivamente lavate con ACP 215 (Haemonetics). Al
termine del lavaggio in automatico le emazie sono
state ulteriormente concentrate per incrementarne l’ematocrito.
Risultati. La valutazione effettuata dal Centro
Trasfusionale sul contenuto di emoglobina, di emoglobina libera e proteine e sull’ematocrito delle unità
di emazie lavate con ACP 215 ha evidenziato che tale
procedura consente il mantenimento delle caratteristiche di emocomponente ideale per il paziente talassemico (Hb gr/u > 60, Hb libera % < 0,150, Proteine
gr/u <0,25, Ht %>75. La Tabella 1 mostra i parametri
trasfusionali per ogni paziente
I dati riportati mostrano che l’utilizzo di questa metodica ha completamente annullato l’insorgenza di reazioni trasfusionali. Tuttavia, mantenendo uguale il
valore pre-trasfusionale, è stato necessario un lieve
incremento, delle unità di sangue e del quantitativo
totale di emazia trasfuse.
Conclusioni. L’utilizzo combinato del filtro in linea e
del lavaggio in automatico sulla terapia emotrasfusionale è una procedura fattibile ed efficace nel paziente
talassemico con frequenti reazioni trasfusionali, ma
comporta un’attenta selezione del donatore (maggiore quantità di sangue da salassare), un incremento dei
tempi di preparazione (circa 25-30 minuti per unità)
ed un lieve aumento dell’esigenza trasfusionale.
Tabella 1.
33
Studio della funzionalità renale in pazienti
affetti da talassemia major (TM)
Rizzello M.C.1, Tampieri B.2, Cesaretti C.2, Fasulo
M.R.2, Cassinerio E.2, Sorrentino F.1, Cianciulli P.1,
Cappellini M.D.2
1
UO Day Hospital Talassemia,Dipartimento Alte Specialità,
Ospedale S.Eugenio, Roma; 2Centro Anemie Congenite,
Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di
Milano, Fondazione IRCCS Policlinico, Mangiagalli e Regina
Elena
Scopo del lavoro. Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi sulle conseguenze del sovraccarico di ferro a livello cardiaco ed epatico nei pazienti
affetti da TM, mentre ben poco ancora si conosce
riguardo agli effetti sulla funzionalità renale. Questo
studio ha lo scopo di valutare l’andamento degli indici di funzionalità renale nell’arco di un anno in rapporto all’entità del sovraccarico di ferro e alla terapia
ferrochelante in un gruppo di pazienti affetti da TM.
Metodi. lo studio è stato condotto su 198 pazienti
affetti da TM: 107 (gruppo A: 44 M, 64 F, età media
33,7± 6,2 anni, BMI 28 ± 8,1) seguiti a Milano, e 89
(gruppo B: 35 M, 54 F, età media 35,3 ± 8,3 anni,
peso 58,9 ± 11,7 kg) seguiti a Roma. Tutti i pazienti
erano in regolare terapia trasfusionale e ferrochelante.
I dosaggi di creatinina sierica (v.n. <1,2 mg/dl) e di
clearance della creatinina (ClCr, v.n.>125 ml/min)
sono stati utilizzati come indici di funzionalità renale.
La ClCr è stata calcolata con la formula di CockcroftGault. In un sottogruppo di pazienti del gruppo A è
stata inoltre valutata la proteinuria (v.n.<0,15 g/l).
Sono stati confrontati i parametri renali al tempo 0
(T0) e a distanza di un anno (T1). Per l’analisi statistica è stato eseguito un paired t-test (significatività per
p<0,05).
Risultati. I valori di ferritina, creatinina e ClCr dei
due gruppi al T0 e al T1 sono riportati in Tabella 2 e
Tabella 3. Nel gruppo A, al T0 solo un pz (0,9%) presentava valori di creatininemia superiori alla norma,
mentre 39 pz (36%) avevano valori di ClCr
Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
Tabella 2. Parametri valutati nel gruppo A.
<125ml/min; nel 54% dei 61 pz in cui è stata dosata
la proteinuria sono stati riscontrati valori aumentati.
Al T1 sono stati riscontrati valori alterati di creatininemia e ClCr rispettivamente in 4 (4%) e 42 (39%) pz.
È stata rilevata inoltre la presenza di nefrolitiasi nel
14% dei pz. Nel gruppo B al T0 tutti i pz avevano
valori di creatininemia nei limiti di norma, mentre 71
pz (80%) presentavano livelli ridotti di ClCr. Al T1
non sono state riscontrate alterazioni dei valori di
creatininemia, ma 63 pz (71%) presentavano una
ClCr ridotta. La presenza di nefrolitiasi interessava 14
pz (16%). Unificando i gruppi A e B sono state valutate le correlazioni tra ferritina e i parametri renali a
T0 e a T1, risultate statisticamente non significative.
L’intera casistica (A+B) è stata poi suddivisa in base ai
trattamenti chelanti effettuati durante l’anno di osservazione (DFO 70 pz; L1 12 pz; DFO+L1 25 pz;
Deferasirox 56 pz). Sono stati esclusi i pz che nel
corso dell’anno hanno cambiato terapia; nessuna
variazione statisticamente significativa è stata osservata dopo un anno per ogni tipo di trattamento.
Conclusioni. Nella nostra casistica di pz affetti da
TM, nonostante valori di creatininemia nella norma,
si osserva una ridotta ClCr. Le cause non sono ancora
chiare, ma è ipotizzabile un ruolo del sovraccarico di
ferro anche a livello renale; pertanto sono auspicabili
ulteriori studi.
Accumulo di ferro cardiaco e deferasirox:
riscontro di efficacia in un caso clinico
Ruffo G.B.1, Pepe A.2, Borsellino Z.1, Cuccia L.1,
Marocco M.R.1, Gagliardotto F.1, Saieva L.1, Favilli
B.2, Capra M.1
1
U.O.C. Ematologia-Emoglobinopatie, P.O. G.Di Cristina,
ARNAS Civico Palermo; 2MRI Lab, Istituto di Fisiologia Clinica,
Fondazione G.Monasterio/ CNR, Pisa
Riportiamo il caso di un ragazzo di anni 23 affetto da
ß-Talassemia Major, genotipo IVS1:110/IVS1:110, in
trattamento trasfusionale regolare (2 unità di GRC
ogni 17 gg circa). Ferro intake (media ultimi 3 anni:
0.35 mg/kg/die). Il paziente, già splenectomizzato
(1999), presenta inoltre: deficit staturale, osteopenia,
nefrolitiasi. La terapia ferrochelante è stata iniziata
Tabella 3. Parametri valutati nel gruppo B.
con deferoxamina (DFO) all’età di due anni, e praticata con buona compliance (80%). Nel Settembre
2003, il paziente veniva arruolato nello studio preregistrativo del Deferasirox (DFX), e randomizzato
nel primo anno nel braccio DFO. Il paziente, all’ingresso nello studio, eseguiva, secondo protocollo,
biopsia epatica per la valutazione del sovraccarico di
ferro che evidenziava una LIC di 3,0 mg/g/dw. Nel
Settembre 2004, secondo il previsto follow-up a un
anno, veniva ripetuta biopsia epatica che confermava
il moderato accumulo di ferro con LIC 3,2 mg/g/dw.
Da Ottobre 2004 iniziava terapia ferrochelante con
DFX alla dose di 10 mg/kg/die,che nel Febbraio
2005, in base all’andamento delle ferritine, veniva
aumentata a 20 mg/kg/die. Dal Settembre 2003 ad
oggi le ferritine medie del paziente si sono mantenute sempre al di sotto di 1000 ng/ml, sia durante trattamento con DFO, che con DFX. In particolare, dopo
l’aumento della dose di DFX, le ferritine medie erano
ancora più basse (572 ng/ml). Durante tutto il periodo di trattamento con DFX, non si sono mai verificati eventi avversi, né sono stati rilevati fenomeni di tossicità. Il paziente ha eseguito nel Marzo 2005 una
prima RMN T2* che ha messo in evidenza un eterogeneo accumulo di ferro nel cuore (valore medio globale 16 ms) e un accumulo di ferro borderline nel
fegato (6,2 ms). La successiva RMN T2*, eseguita a
Dicembre 2006, ha mostrato un miglioramento che si
evidenzia con un valore di T2* cardiaco medio di 28
ms, assenza di accumulo di ferro in tutti i segmenti
analizzati, e un accumulo di ferro borderline nel fegato (T2* 15 ms). Nel Giugno 2008, è stata eseguita
una terza RMN T2*, che ha confermato valori di T2*
compatibili con assente accumulo di ferro nel cuore
in tutti i segmenti ( T2* medio globale 41 ms) e accumulo di ferro borderline nel fegato (16,5 ms).
Conclusioni. La terapia con DFX, in questo paziente, ha determinato una sostanziale riduzione del
sovraccarico di ferro a livello cardiaco mantenendo
accettabili i valori di accumulo di ferro epatico e risultando efficace e sicura. Ancora una volta il solo valore della ferritina risulta inadeguato a fornire informazioni sull’accumulo di ferro cardiaco, venendo cosi
enfatizzato il ruolo centrale della cardio-risonanza.
34
Emothal
Atti Congresso So.STE
Prima diagnosi di talassemia intermedia
in adolescente
Terapia con deferiprone in un caso di
neurodegenerazione associata al difetto
di pantetonato chinasi (PKAN)
Vaccari M.G.1, Cavazzunti C.1, Putti M.C.2,
Ammendola R.1, Chiavilli F.1, Gavioli F.1, Lobue G.1,
Scipioni C.1, Tocchetto M.1, Potenza R.1
Zuccarelli A., Sanna P.M.G.,Bellu L., Solinas,
Mulas G.
Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia1
Azienda ULSS 18 Rovigo Clinica di Emato-Oncologia Pediatrica
Dipartimento di Pediatria Università di Padova, Azienda
Ospedaliera2
Centro trasfusionale e di microcitemia Ospedale di Olbia,
Divisione di Pediatria Ospedale di Olbia, Servizio di
Neuropsichiatria infantile ASL Olbia.
Centro trasfusionale e di Microcitemia, ASL N° 2 Olbia
Descriviamo il caso di una giovane di 17 anni con
sindrome talassemica intermedia. Alla nascita glaucoma congenito; non ittero neonatale. All’età di 16
anni durante un’escursione in montagna presenta
lipotimia. Durante il ricovero in Astanteria si rilevano anemia microcitica, splenomegalia, modesta
iperbilirubunemia, ferritinemia normale. La ragazza
presenta pallore, subittero, bassa statura (confrontata con i genitori e la sorella maggiore), modeste
anomalie scheletriche (turricefalia). In Tabella 4 i
risultati dello studio familiare.
L’analisi del DNA mediante Riverse Doto Blot per la
ricerca di mutazioni beta talassemiche ha evidenziato nella paziente la presenza della mutazione GA IVS I.1, ereditata dal padre, e della mutazione CT -101, ereditata dalla madre. La sorella NV presenta la medesima mutazione, silente. Il fratello
presenta le due mutazioni, con un quadro clinico
caratterizzato da anemia e modeste anomalie scheletriche (turricefalia).
I difetti beta talassemici subsilenti, spesso associati
a fenotipo ematologico normale, possono causare,
in associazione con forme tipiche di beta talassemia, sindrome intermedia anche trasfusione dipendente. E’ utile ricercare questi difetti nei partner dei
portatori di difetti talassemici tipici, quando presentano anomalie anche modeste dell’assetto emoglobinico.
La Neurodegenerazione associata al difetto di pantetonato chinasi (PKAN) già nota anche come sindrome di Hallervoden-Spatz è inclusa nel gruppo
delle sindromi neurodegenerative da accumulo di
ferro (Neurodegeneration with Brain Iron
Accumulation –NBIA) . La frequenza della malattia
viene valutata in 1-3 casi per milione tenendo
conto della possibilità che vi siano dei casi non
riconosciuti o erroneamente diagnosticati. Ciò
porta a stimare che ci sia un portatore sano ogni
275/500 individui. Nella forma classica la PKAN ha
un esordio precoce con andamento progressivo e
segni neurologici soprattutto extrapiramidali come
distonia, disartria e rigidità. Viene qui descritto un
caso giunto alla nostra osservazione.
S.B., nata nel luglio 1997, ha manifestato sin dai
primi mesi di vita disturbi neurologici . Un esame
obiettivo effettuato a Roma il 13/10/2003 mostrava
andatura lievemente atassica, tremore intenzionale,
segni piramidali agli arti inferiori, riflessi da stiramento iperelicitabili, clono del piede bilaterale,
Babinski positivo bilateralmente, disartria. L’esame
del fundus oculi mostrava persistenza di fibre mieliniche nel settore superiore dei dischi ottici. La
valutazione cognitiva mediante elaborazione dei
dati alla scala di Griffith rivelava un’età mentale di
due anni con un quoziente generale di 38 significativo di ritardo cognitivo di grado medio. Questi
Tabella 4.
35
Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
segni associati al referto della RMN encefalica fece
porre sospetto diagnostico di malattia di
Hallervorden Spatz. La diagnosi fu confermata il
28/6/2005 con analisi genetico molecolare che
documentò la presenza di due mutazioni (C 1351
T sull’esone 4 e G 1561 A sull’esone 6) del gene
PANK2. Da allora la paziente ha assunto ininterrottamente acido pantotenico 500 mg/die, Ibedenone
45 mg/die e Baclofene. La situazione clinica è progressivamente peggiorata per cui nel Dicembre
2007 presso il nostro centro la paziente ( che allora
pesava 20 kg e era alta 114 cm) ha cominciato terapia con Deferiprone 25 mg/die in monosomministrazione al mattino.
La bambina ha tollerato perfettamente la terapia (
ha sospeso solamente una settimana dal 30/06 al
06/07/2008 in quanto è stata ricoverata per una
caduta accidentale che peraltro non ha avuto alcuna conseguenza). Il tasso emoglobinico all’inizio
della terapia era 133g/l e la ferritinemia 45 ng/L ;
attualmente dopo 9 mesi di terapia il tasso emoglobinico è di 125 g/L e la ferritinemia è di 6 ng/L .
Tutti i controlli ematochimici prticati sono nella
norma (in particolare ALT, AST, Glicemia,
Azotemia, Bilancio del ferro). Le condizioni cliniche sono significativamente migliorate. L’ultimo
esame obiettivo neurologico ha mostrato un miglioramento del tono muscolare degli arti e una riduzione dell’escursione delle articolazioni tibio tarsi-
che. Ultimamente la paziente ha cominciato a mangiare autonomamente, a pronunciare alcuni vocaboli e a fare alcuni passi senza appoggio.
Fenotipo ematologico e clinico in
pazienti con triplicazione dei geni alfa
ed eterozigosi per beta talassemia
Pagano L., Ammirabile M., Ricchi P., Cinque P.,
Spasiano A., 1Filosa A., Salamandra A., Costantini
S. e Prossomariti L.
U.O.C. Microcitemia, * U.O.S.S. Talassemia Pediatrica
A.O.R.N.“A. Cardarelli” Napoli
Il termine Talassemia Intermedia definisce quadri
clinici e fenotipi microcitemici che hanno una posizione intermedia fra la semplice eterozigosi asintomatica e l’omozigosi molto grave.
Presso il centro “Microcitemia” dell’Azienda Cardarelli sono seguiti all’incirca 108 pazienti affetti da
Talassemia Intermedia i cui genotipi sono eterogenei e 19 (15%) presenta un genotipo di eterozigosi
per beta-talassemia associato a triplicazione dei
geni alfa globinici.
In questo lavoro presentiamo il fenotipo ematologico e clinico di 19 pazienti (16 F/3 M) provenienti
da 13 famiglie tutte di origine campana, che sono
eterozigoti per beta talassemia e presentano tutti la
triplicazione dei geni alfa globinici anti 3.7 (vedi
Tabella 5). Il fenotipo clinico risulta eterogeneo:
Tabella 5.
36
Emothal
Atti Congresso So.STE
solo due pazienti sono trasfusione dipendente (N. 4
e N.12), cinque sono stati sottoposti a trasfusioni
occasionali in gravidanza, due presentano un fenotipo di portatore sano di beta talassemia (N. 6 e
N.11). Quattro pazienti presentano splenomegalia
e cinque sono stati splenectomizzati. La mutazione
CD39 è stata riscontrata in 16 pazienti essendo la
mutazione più frequente nella nostra regione, la
paziente N.4 presenta una mutazione di origine
asiatica IVS2-654 (C→T). L’estrema variabilità
fenotipica dei pazienti eterozigoti beta talassemici
con triplicazione dei geni alfa globinici , pone un
problema per la consulenza genetica.
Presenza di ricombinazioni tra i geni
alpha globinici in sicilia
Passarello C., Giambona A., Vinciguerra M., Leto
F., Fiorentino G., Li Muli R., Cassarà F., Cannata
M., Lo Gioco P., Renda D., Maggio A.
U.O.C. Ematologia II con Talassemia, Ospedale Cervello,
Palermo
Introduzione. I geni globinici alpha 2 ed alpha 1
sono il risultato di una duplicazione avvenuta circa
60 milioni di anni fa e di ripetute successive ricombinazioni. Nonostante ciò, i due geni sono rimasti quasi
identici e differiscono soltanto a livello del secondo
introne (IVSII), per la sostituzione del nucleotide 55
(Guanina nel gene α1 e Timina nel gene α2) e per la
sostituzione alla posizione 119 (5’-CTCGGCCC-3’
nel gene α1 e Guanina nel gene α2), ed a livello della
regione 3’ non tradotta. Una recente ricerca condotta
da Law et al. (Haematologica 2006) ha messo in evidenza la presenza di due ricombinazioni tra i geni
alpha globinici: la variante alpha 121 nella quale l’octonucleotide dell’IVSII del gene α1 è sostituito dalla
Guanina alpha 2 specifica, ed la variante alpha 212 in
cui due siti nell’IVSII del gene α2 sono sostituiti da
Tabella 6.
*Ghana **Marocco °Affetto
37
sequenze alpha 1 specifiche. In questo lavoro vengono riportati i primi casi di queste ricombinazioni
ritrovate in diversi soggetti Siciliani e stranieri, di origine Mediterranea, non imparentati tra loro.
Materiali e Metodi. Tutti i soggetti sono stati selezionati durante il programma di screening per emoglobinopatie condotto presso il centro talassemia
dell’Az.Osp. “V. Cervello”- Palermo. Il DNA è stato
estratto con il metodo Fenolo-Cloroformio e successivamente analizzato per mutazioni beta ed alpha. Il
gene beta è stato analizzato mediante sequenziamento dal nucleotide – 130 dal CAP al nucleotide 150 nt
al 3’ del Poly A, e laddove sospettata la presenza di
una delezione mediante GAP-PCR. Entrambi i geni
alpha sono stati sequenziati dal nucleotide – 36 dal
CAP al nucleotide + 76 al 3’ del Poly-A e le più comuni delezioni di origine Mediterranea (-α3.7, -α4.2, α-Med, α--20.5, α--CAL) sono state analizzate mediante
GAP-PCR.
Risultati. In 10 soggetti (4 dei quali facenti parte di 2
famiglie) è stata ritrovata la ricombinazione alpha 212
mentre in un soggetto la ricombinazione alpha 121
(vedi Tabella 6). In alcuni di questi soggetti, oltre alle
ricombinazioni sono state trovate delle sostituzioni
nucleotidiche nell’intone I (IVSI) del gene alpha 2 in
posizione 38 e 39. Le ricombinazioni 121 ed 212 e le
sostituzioni sono state riscontrate sia in eterozigosi
che in omozigosi, sia in associazione con mutazioni
alpha che mutazioni beta. I genotipi ed i fenotipi dei
soggetti indagati sono riportati in Tabella 6.
Discussione. Questi dati suggeriscono che questi
alleli ricombinanti, sia che siano in eterozigosi che in
omozigosi, non influenzano l’espressione dei geni
alpha né di conseguenza il fenotipo dei soggetti portatori. Tuttavia ulteriori studi dovrebbero essere condotti su soggetti con fenotipo normale per valutare la
reale presenza di questi alleli nella popolazione
Siciliana.
Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
HB southern Italy: una nuova variante
alpha altamente instabile, riscontrata
nella popolazione del Sud Italia
Passarello C.1, Giambona A.1, Prossomariti L.2,
Ammirabile M.2, Pucci P.3, Renda D.1, Pagano L.2,
Maggio A.1
1
U.O.C. Ematologia II con Talassemia, Ospedale Vincenzo
Cervello 180, CAP 90146, Palermo; 2Centro Microcitemie
“A. Mastrobuoni”, Azienda Ospedale Cardarelli, Napoli, Italia;
3
GEINGE Biotecnologie Avanzate scrl and SEMM-European
School of Molecular Medicine- Naples Site, Napoli
Introduzione. L’alpha talassemia è il più comune
disordine monogenetico nel mondo. Data la struttura
del cluster alpha le alterazioni più comuni sono rappresentate dalle delezioni che possono coinvolgere
zone più o meno estese. Il sequenziamento genico ha,
tuttavia, fatto emergere negli ultimi anni la notevole
presenza di alterazioni nucleotidiche che colpiscono i
singoli geni alpha 2 ed alpha 1 determinando catene
globiniche varianti i cui effetti clinici possono essere
in alcuni casi anche gravi.
Nel Sud Italia l’alpha talassemia risulta essere molto
presente e molte sono le varianti alpha riscontrate. In
questo lavoro vengono riportati gli effetti clinici di
una nuova variante altamente instabile, chiamata Hb
Southern Italy, creata dalla co-presenza di due mutazioni puntiformi, già note, in un singolo gene alpha2.
Materiali e Metodi. I soggetti sono stati selezionati
durante il programma di screening per emoglobinopatie condotto presso il centro talassemia dell’
Az.Osp. “V. Cervello” di Palermo ed il centro per le
microcitemie “A.Mastrobuoni” di Napoli. I campioni
di sangue di vari membri di 6 differenti famiglie sono
stati analizzati secondo metodi standard. Il DNA è
stato estratto con il metodo Salting-Out e successivamente analizzato per mutazioni alpha. Entrambi i
geni alpha sono stati sequenziati dal nucleotide – 36
dal CAP al nucleotide + 76 al 3’ del Poly-A e le più
comuni delezioni di origine Mediterranea (-α3.7, -α4.2,
α--Med, α--20.5, α--CAL) sono state analizzate mediante
GAP-PCR.
Risultati. La sequenza del gene alpha 2 ha messo in
evidenza la presenza di una mutazione al codone 26
(GCG→ACG), conosciuta come Hb Caserta, e al
codone 130 ((GCT→CCT) conosciuta come Hb
SunPrairie; gli studi familiari hanno mostrato che le
due mutazioni co-esistono nello stesso gene creando
così una nuova variante chiamata da noi Hb
Southern Italy. Alle due mutazioni è risultato sempre
associato in cis un cambio nucleotidico polimorfico
G→A alla posizione +861. Come si vede in tabella
tutti i soggetti portatori della nuova variante mostrano un fenotipo da alpha + talassemia con lieve riduzione del volume corpuscolare medio (MCV) e livelli di Hb A2 normali o lievemente più bassi. I soggetti omozigoti per la Hb Southern Italy ed il soggetto
con associata la delezione α0 –20.5 presentano fenotipi da talassemia intermedia.
Discussione. Questo è il primo caso di una variante
con doppia mutazione riportato nel Sud Italia. I
fenotipi sia dell’eterozigote che dell’omozigote sono
simili a quelli, riportati da altri autori, dei portatori
dell’Hb SunPrairie, tuttavia l’Hb Southern Italy risul-
Tabella 7. Dati ematologici ed emoglobinici dei vari membri delle famiglie studiate.
*Trasfuso ** Non trasfuso
38
Emothal
Atti Congresso So.STE
ta essere più instabile e non evidenziabile, al contrario della prima, con la spettrometria di massa a cromatografia liquida. Ciò suggerisce che la mutazione
al codone 26 contribuisce all’ulteriore instabilità
della variante. È importante notare che mentre i soggetti omozigoti per l’Hb Southern Italy, pur presentando una severa anemia, non necessitano di trasfusioni, i soggetti con l’associazione con una alpha0
talassemia presentano una severa malattia da HbH
trasfusione dipendente (Tabella 7).
Fenotipo di talassemia intermedia (TI) in
soggetti eterozigoti per mutazioni
del gene beta-globinico e riarrangiamenti
sul cluster alfa-globinico
Refaldi C.1, Cesaretti C.1, Fasulo M.R.1,
Harteveld C.L.2, Giordano P.C.2, Cappellini M.D.1
cia in trans all’allele ααα, determinando la presenza
di 7 geni alfa attivi. Il quadro clinico di questa
paziente è più severo e richiede una terapia trasfusionale regolare. L’eccesso di catene alfa associato al
difetto di catene β aumenta il grado di sbilanciamento del rapporto tra globine α e β con conseguente
incrementata precipitazione di globine libere negli
eritroblasti midollari e negli eritrociti, peggiorando
così il quadro di eritropoiesi inefficace e di emolisi
periferica ed aggravando il fenotipo clinico. Le caratteristiche cliniche e genotipiche dei tre casi sono
descritte in Tabella 8.
Poiché la sola duplicazione del cluster alfa rimane
clinicamente silente, si può ipotizzare che la sua frequenza nella popolazione sia più elevata dell’atteso e
potrebbe giustificare alcuni quadri inspiegati di talassemia intermedia.
1
Centro Anemie Congenite, Dipartimento di Medicina Interna,
Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Policlinico,
Mangiagalli e Regina Elena
2
Hemoglobinopathies Laboratory, Leiden University Medical
Center, Leiden, The Netherlands
I portatori eterozigoti di beta-talassemia generalmente manifestano solo una lieve anemia. La presenza di
difetti genetici aggiuntivi coereditati insieme alla
mutazione β-talassemica può però aggravare il quadro clinico del semplice portatore. In questo lavoro
presentiamo tre casi di soggetti eterozigoti per una
mutazione beta-talassemica che presentano però un
fenotipo intermedio. I difetti beta riscontrati sono nel
caso 1 e 2 la mutazione β0 cod39, mentre nel caso 3
la β+ IVSI-110. In tutti i casi sono stati esclusi difetti
di membrana o carenze enzimatiche eritrocitarie.
L’analisi MLPA (Multiplex Ligation-dipendent Probe
Amplification) del locus alfa ha rivelato la presenza
di tre nuovi riarrangiamenti, tutti risultanti nella
completa duplicazione del cluster dei geni alfa. Nel
caso 1 e 3 la duplicazione si associa ad un allele normale in trans, per un totale di 6 geni alfa attivi. Nel
caso 2 l’allele con la duplicazione del cluster si assoTabella 8.
39
Genetica dell’emocromatosi ereditaria
dell’adulto in sicilia
Renda Disma, Renda Maria Concetta, Fecarotta
Emanuela, Maggio Aurelio
Divisione di Ematologia II con Talassemia, A.O. “V. Cervello”
Palermo
Introduzione e razionale. L’emocromatosi ereditaria
dell’adulto (HH) è una malattia autosomica recessiva
caratterizzata da un aumento dell’assorbimento del
ferro e da accumulo di ferro nei tessuti. L’incidenza
dell’HH nella popolazione Caucasica è di circa 1/300
ed è frequentemente associata a mutazioni del gene
HFE, responsabili del 93% di casi di HH. Più raramente la HH è causata da mutazioni presenti nel
gene per il recettore 2 della transferrina (TFR2). Una
rara forma autosomica dominante di emocromatosi
ereditaria è la malattia da ferroportina dovuta a
mutazioni presenti nel gene FNP.
I dati riportati in letteratura suggeriscono che la prevalenza in Europa dei pazienti affetti da HH si riduce seguendo un gradiente Nord-Sud.
Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
Dal 1997, subito dopo l’individuazione del gene
HFE, su tutti i pazienti che afferivano al nostro centro per sospetta HH, è stata eseguita l’analisi molecolare del gene HFE. Dal 2005 abbiamo esteso l’analisi genetica ai geni TFR2 e FPN.
Pazienti e metodi. Sono stati studiati oltre 500
pazienti e 100 casi-controllo. I pazienti inclusi nell’analisi genetica presentavano valori di ferritinemia
>300ng/dl e/o un indice di saturazione della transferrina >40%. L’analisi genetica è stata estesa ai
familiari dei pazienti con omozigosi o eterozigosi
composta e ai familiari dei portatori di eterozigosi
HFE - C282Y. L’indagine molecolare dei geni HFE,
TfR2 e FPN è stata eseguita tramite sequenziamento
genico diretto (CEQ 8800 Beckman) e restrizione
enzimatica su frammenti di PCR specifici.
Risultati e Discussione. L’analisi dei dati clinici e
genetici a nostra disposizione, ci ha permesso di
suddividere i casi analizzati in tre principali sottopopolazioni:
pazienti con iperferritinemia
pazienti con iperferritinemia ed epatopatia cronica virus correlata (HCV positivi)
pazienti con iperferritinemia e sindrome metabolica.
Tra i pazienti con sospetto di emocromatosi ereditaria HCV negativi 17 (6.3%) sono risultati omozigoti per la mutazione C282Y, 19 (7.0%) omozigoti per
la mutazione H63D 11 (4.0%) con eterozigosi composta e 1 con eterozigosi composta H63D/S65C.
L’analisi delle frequenze alleliche (FA) mostra che
per la variante H63D non vi è nessuna differenza
significativa tra i vari gruppi esaminati (pazienti
HCV-, familiari di primo grado e controlli). Per la
variante C282Y la FA è del 10% nei pazienti HCV-,
mentre è intorno all’1% nei controlli ed al 2.3% nei
consanguinei.
I dati ottenuti dall’analisi genetica evidenziano una
prevalenza della mutazione C282Y maggiore di
quella descritta in letteratura per la popolazione siciliana ed una frequenza allelica della mutazione
H63D più elevata che nel resto della popolazione
italiana. Quest’ultimo dato assume particolare rilevanza poiché il 6% della nostra popolazione è portatore sano di beta talassemia.
La condizione di omozigosi H63D o di eterozigoti
composta S65C/H63D comporta malattia se in presenza di co-fattori favorenti l’assorbimento del ferro
come lo stato di portatore sano di talassemia. I dati
analizzati suggeriscono che la prevalenza dell’HH
potrebbe essere sottostimata per lo scarso utilizzo
della determinazione del bilancio marziale nella
popolazione maschile.
Tipizzazione immunologica del fluido
della cavità celomatica di embrioni
umani
Renda M.C.1, Makrydimas G.2, Fecarotta E.1,
Damiani G.3, Jakil M.C.3, Piazza A.1, Maggio A.1
1
Div. Ematologia II con Talassemia, A.O. “V. Cervello”,
Palermo; 2Dept of Obst and Gynaec, Ioannina Hosp. (Gr);
3
Unità di Diag. Prenat., A.O. “V. Cervello”, Palermo
Introduzione e Razionale. Il trapianto in utero di
cellule staminali ematopoietiche (IUHSCT) è ostacolato da due possibili barriere: lo spazio nel midollo osseo e la tolleranza immunologia. Nel feto
umano vi è evidenza di una immunocompetenza
sin dalla 11° settimana di gestazione. Tuttavia,
prima della 10° settimana è impossibile realizzare
una procedura di IUHSCT per via vascolare o intraperitoneale. Questo ostacolo potrebbe essere superato con una infusione attraverso la cavità celomatica. Durante il primo trimestre di gestazione è possibile osservare la presenza di due cavità separate: la
cavità amniotica e la cavità celomatica. I fluidi contenuti in entrambe le cavità possono essere prelevati con una procedura ecoguidata e analizzati nella
loro composizione. Conoscere la composizione cellulare del fluido potrebbe rivelarsi importante nel
determinare se l’infusione attraverso la cavità celomatica può dare una opportunità di indurre tolleranza e chimerismo nel feto. Per questo motivo
abbiamo studiato il pattern immunologico di fluidi
celomatici umani prelevati tra la 6° e la 10° settimana di gestazione.
Materiali e Metodi. Previa approvazione del progetto da parte del Comitato Etico Aziendale, alle
donne pervenute presso la nostra Azienda
Ospedaliera per una interruzione volontaria di gravidanza, è stato proposto di essere incluse in questo
studio. Il fluido celomatico è stato ottenuto tramite
un prelievo trans-vaginale eco-guidato. Da una aliquota di cellule ottenute dal fluido è stato estratto
l’mRNA per l’analisi delle famiglie Vβ, pre-Tα and
Cα del TCR. Le rimanenti cellule sono state incubate con anticorpi monoclinali specifici per le linee
cellulari CD3+; CD34+; CD105+; CD56+; CD45+;
CD45RO+; CD45RA+. L’analisi è stata eseguita
impiegando forward scatter/ side scatter e CD45
gating.
Risultati e Discussione. Abbiamo studiato il pattern immunologico di 17 fluidi celomatici prelevati da feti compresi tra la 6° e la 10° settimana di
gestazione per rilevare la presenza di transcritti
VDJβ-TCR riarrangiati e per la presenza di antigeni
delle cellule T, B, NK e mesenchimali. 7/17 (40%)
campioni mostravano una espressione di trascritti
40
Emothal
Atti Congresso So.STE
riarrangiati Vβ-TCR. L’analisi del pattern cellulare
mostrava una frequenza molto bassa di linfociti T,
pre-B, B e cellule NK. L’alta frequenza di cellule
CD105 positive suggerisce che le cellule mesenchimali/epiteliali costituiscono la popolazione cellulare più rappresentata nel fluido celomatico. La presenza dell’espressione delle sole catene pre-Tα,
specifiche del pre-TCR e la bassa frequenza di antigeni specifici per linfociti T, pre-B and B ed NK
suggerisce che la cavità celomatica potrebbe essere
considerata una nuova via di accesso per il superamento della barriera immunologia all’attecchimento del trapianto di cellule staminali nel feto o per
l’induzione di una tolleranza donatore-specifica.
Identificazione di una nuova delezione
alfa°-talassemica in due pazienti affetti
da HBH
Sessa R.1, Puzone S.1, Ammirabile M.2, Pagano L.2,
Esposito P.1, Piscopo C.1,3, Izzo P.1, Grosso M.1
1
Dip. Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università di
Napoli Federico II; 2U.O.C. Microcitemia A.O.R.N. Cardarelli;
3
CEINGE-Biotecnologie Avanzate, Napoli
Recentemente, nel corso di uno studio per la caratterizzazione molecolare di pazienti con HbH,
abbiamo identificato una nuova delezione α-talassemica in due pazienti provenienti da due famiglie
originarie della Campania. In entrambi i casi, la
ricerca delle mutazioni α-talassemiche più frequenti nel Mediterraneo aveva mostrato la presenza della
mutazione α+-3.7 in apparente omozigosi. Infatti,
l’analisi molecolare estesa ai componenti familiari
aveva mostrato lo stato di eterozigosi per la delezione ·+-3.7 solo in uno dei genitori, mentre nell’altro non era presente alcuna delle mutazioni in
esame. Inoltre, l’analisi di sequenza estesa ai due
geni α-globinici aveva escluso la presenza di mutazioni puntiformi rare. Questo dato ha portato ad
ipotizzare che il fenotipo HbH fosse dovuto in
entrambi i casi alla presenza di un difetto delezionale raro di tipo α°. In entrambi i pazienti, l’analisi
mediante Southern blot ha permesso di individuare la presenza di un pattern anomalo di restrizione
solo con una sonda corrispondente al gene theta 1,
che determinava la comparsa di un frammento anomalo di circa 6.3 kb. Questo dato indica la presenza di una delezione che rimuove un’estesa regione
compresa tra i geni ζ- e α-globinici. Tale pattern di
restrizione non risulta sovrapponibile a quello di
altre delezioni α-talassemiche riportate in letteratura, anche se mostra delle analogie con quello della
rara delezione α°--CAL, inizialmente descritta in
41
una paziente di origine calabrese. Al fine di caratterizzare i breakpoint di questa nuova delezione,
abbiamo quindi effettuato un’amplificazione allelespecifica utilizzando gli stessi oligonucleotidi specifici per la delezione α°-CAL. Nei nostri due casi, al
posto di un frammento atteso di circa 400 bp,
abbiamo ottenuto un prodotto di amplificazione di
circa 2 kb. L’analisi di sequenza effettuata sul frammento di DNA così ottenuto ha permesso di determinare i punti di breakpoint di questa nuova delezione che cadono in una regione interna alla delezione --CAL, corrispondenti a due diverse sequenze Alu. La nuova delezione è quindi differente dalla
--CAL e, essendo stata individuata in due famiglie
di origine campana, è stata chiamata di tipo α°-Campania. In entrambi i casi da noi descritti la
nuova delezione dà origine ad un fenotipo HbH
quando è associata al difetto α+ talassemico -3.7.
Le basi molecolari dell’alfa talassemia
nel polesine
Vaccari M.G., Cavazzunti C., Ammendola R.,
Chiavilli F., Gavioli F., Lobue G., Scipioni C.,
Tocchetto M., Potenza R.
Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia Azienda ULSS, Rovigo
Premessa. Nella popolazione della Provincia di
Rovigo (Polesine) sono frequenti i difetti beta talassemici, ma anche la presenza dei trait alfa talassemici è significativa. Il sospetto diagnostico si basa
sul fenotipo ematologico (MCV< 80 fL, MCH <<25
pg, Hb A2 <3,5.
Materiali e Metodi. La diagnosi era completata,
fino al 2006 dallo studio del rapporto di sintesi fra
le catene globiniche, attualmente il nostro laboratorio utilizza l’analisi del DNA mediante Reverse Dot
Blot per la ricerca dei difetti alfa talassemici
(Nuclear Laser Medicine).
Risultati. Da dicembre 2006 ad agosto 2008
abbiamo studiato 50 soggetti, 41 di origine italiana,
1 di origine romena e 8 africani.
Nei soggetti studiati sono stati individuate le mutazioni: IVS I-5 nt (10), delezione – 3,7 (25), delezione – 3,7 omozigote (3), delezione -20,5 (2),
delezione - - MED (5), triplicazione del gene alfa
(4).
Discussione. La maggior parte dei trait rilevati si
può definire lieve. In particolare, i difetti IVS I - 5
nt, - 3,7 e - 4,2 sono correlati a patologia solo in
associazione con difetti severi. La delezione - MED allo stato omozigote determina idrope fetale;
associata a difetti più lievi determina la cosiddetta
Emothal
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 6, n. 3, 2008
malattia da Hb H, anemia emolitica cronica, generalmente non trasfusione dipendente. E’ stata rilevata, in associazione con altri difetti alfa talassemici, in due pazienti con malattia da Hb H.
La triplicazione del gene alfa determina uno squilibrio di sintesi delle catene globiniche tipo trait beta;
in associazione con altri trait beta talassemici determina una sindrome talassemica intermedia. In un
caso la triplicazione del gene alfa è stata rilevata
associata a mutazione C-G dell’IVS II.745 in un
paziente adulto (53 aa) affetto da sindrome talassemica trasfusione dipendente.
Si può concludere che la diagnosi molecolare dei
difetti alfa talassemici permette la definizione diagnostica di sindromi clinicamente significative; la
diagnosi del difetto molecolare è fondamentale per
l’adeguata consulenza genetica ai portatori di difetti alfa talassemici.
Talassemia intermedia:
caratterizzazione delle basi molecolari
Vaccari M.G., Cavazzunti C., Ammendola R.,
Chiavilli F., Gavioli F., Lobue G., Scipioni C.,
Tocchetto M., Potenza R.
Dipartimento di Medicina Trasfusionale Centro Microcitemia Azienda ULSS, Rovigo
I trait beta talassemici subsilenti sono condizioni
rare caratterizzate nell’eterozigote da fenotipo ematologico normale, Hb A2 normale o modicamente
aumentata, modesto sbilanciamento della sintesi
delle catene globiniche. Gli eterozigoti composti
per queste anomalie e per tipici difetti talassemici
sono spesso affetti da talassemia intermedia.
Abbiamo studiato una famiglia nella quale erano
presenti un difetto lieve del gene beta e due difetti
del gene alfa globinico.
Discussione. M.S. 53 anni
Riferisce di essere portatore di trait beta talassemi-
co. Sposato, ha due figli, lavora come magazziniere.
A 50 anni IMA. Durante il ricovero riscontro di
anemia. Diagnosi di crisi emolitica in microcitemico. Dopo due mesi dalla dimissione inizia regolare
terapia emotrasfusionale (2 unità/15 gg), per ‘anemia in microcitemico’ .Si presenta per approfondimento diagnostico: presenta pallore, iperbilirubinemia indiretta, splenomegalia (diam 15 cm).
E’portatore del difetto C-G IVS II.745 e di triplicazione del gene alfa.. Il figlio MD presenta il difetto
C-G IVS II.745 e la mutazione alfa IVS I -5 nt, con
fenotipo ematologico normale e Hb A2 aumentata.
Il figlio MD è portatore della triplicazione alfa e
della mutazione C-G IVS II.754, come il padre, e
della mutazione alfa IVSI -5 nt. Il fenotipo ematologico è quello di un trait beta talassemico, verosimilmente la contemporanea presenza del trait alfa
talassemico determina un fenotipo meno severo
(Tabella 9).
HB San Cataldo [‚144 (hc1) lys>THR
HBB:c.434 a>c]: una nuova variante
emoglobinica con incrementata affinità
per l’ossigeno
Vinciguerra M., Giambona A., Passarello C., Leto
F., Li Muli R., Fiorentino G., Cassarà F., Cannata
M., Lo Gioco P., Di Salvo V., Renda D., Maggio A.
Azienda Ospedaliera “V. Cervello”, Unità Operativa di
Ematologia II, Palermo.
Introduzione. Sostituzioni amminoacidiche nei
punti di contatto tra le catene α e β e nella zona
carbossi-terminale della catena globinica, essenziale nell’effetto Bohr e nel legame con 2-3 difosfoglicerato, danno luogo a varianti con alterata affinità
per l’ossigeno (O2).
Le varianti emoglobiniche con affinità per l’ossigeno aumentata rilasciano meno O2 alla pressione
parziale di O2 (PO2) tissutale; ciò determina anemia
Tabella 9.
42
Emothal
Atti Congresso So.STE
Tabella 10.
*probando
e ipossia con conseguente secrezione a livello renale di eritropoietina, la quale agisce a livello midollare stimolando l’eritropoiesi: l’effetto che ne deriva
è la policitemia, da non confondere con la policitemia vera dove aumentano anche leucociti e piastrine. Nella maggior parte dei casi si riscontra un’eritrocitosi familiare associata a livelli elevati di emoglobina; tali varianti sono per lo più asintomatiche
e, quindi, vengono identificate solo nel corso di
esami ematologici di routine per la presenza di eritrocitosi.
Le varianti con affinità per l’ossigeno diminuita
sono meno numerose; sono ben ossigenate nei polmoni e rilasciano più facilmente l’O2 ai tessuti.
Sono caratterizzate da cianosi fin dai primi giorni di
vita e da una leggera anemia.
Materiali e Metodi. I soggetti sono stati selezionati durante l’attività di screening per le emoglobinopatie svolta presso il nostro centro.
Il probando è una donna di 59 anni afferita al
nostro servizio di talassemia; lo studio di primo
livello (esame emocromocitometrico completo e
determinazione delle frazioni emoglobiniche con
cromatografia liquida ad alta pressione – HPLC) ha
evidenziato un quadro di eritrocitosi che ha portato ad approfondire il caso con l’analisi molecolare.
Il DNA è stato estratto da sangue periferico con il
metodo fenolo-cloroformio; il gene β-globinico,
amplificato con primers specifici, è stato sequenziato da -130 nt dal CAP a 120 nt dal polyA.
Si è, quindi, proceduto con lo studio familiare.
Risultati. I dati ematologici del probando (FMC)
mostravano un quadro di eritrocitosi non accompagnata da un aumento di leucociti e piastrine; ciò ha
escluso la possibilità che si trattasse di policitemia
vera. I livelli di emoglobina erano elevati, così come
il valore dell’ematocrito (vedi Tabella 10).
43
Il quadro emoglobinico mostrava un valore di
HbA2 lievemente incrementato e la presenza di una
banda patologica in zona P3 del 41%.
L’analisi di sequenza del gene β-globinico ha rilevato una sostituzione nucleotidica nel terzo esone,
non descritta in letteratura, e, precisamente, al
COD 144 (AAG>ACG); ciò porta ad una sostituzione aminoacidica (lisina>treonina).
In letteratura sono riportate tre varianti emoglobiniche che interessano il medesimo codone: Hb
Barbizon [β144 (HC1) Lys>Met]; Hb Andrew
–Minneapolis [β144 (HC1) Lys>Asn] e Hb Mito
[β144 (HC1) Lys>Glu]. In tutti e tre i casi viene
riferita un’affinità per l’O2 incrementata.
Studi funzionali (curva di dissociazione O2) hanno
evidenziato che anche questa nuova alterazione
molecolare da noi riscontrata porta ad un incremento dell’affinità per l’ossigeno. Lo studio familiare ha evidenziato la presenza di tale emoglobina
variante anche in un altro soggetto di 24 anni
(DFL), figlia del probando, che presenta un quadro
fenotipico analogo alla madre (vedi Tabella 10).
Conclusioni. L’attenta valutazione del quadro ematologico ed emoglobinico è il punto di partenza
fondamentale nell’attività di screening per le emoglobinopatie.
Nel caso di varianti emoglobiniche, lo studio di
primo livello fornisce una diagnosi “presuntiva” cui
deve seguire la conferma molecolare; le problematiche principali sono legate alla valutazione delle
eventuali alterazioni funzionali di emoglobine
varianti non riportate in letteratura come quella da
noi riscontrata e, soprattutto, alle interazioni con
mutazioni β-trait o βS-trait.
Il principale risvolto di tali problematiche è la difficoltà nella formulazione del referto e nel fare un’adeguata consulenza genetica in coppie a rischio.
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
EXJADE: 125 mg Compresse dispersibili
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
EXJADE 125 mg compresse dispersibili.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Ogni compressa dispersibile contiene 125 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 125 sull’altro.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche
EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni.
EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti:
- in pazienti con altre anemie,
- in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni,
- in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati).
4.2 Posologia e modo di somministrazione
Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa
100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla
compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera
iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più
di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche
ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento
della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente
che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso
corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la
ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10
mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con
dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al
giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia
o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate
né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (>65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni
posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5
anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere
uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in
pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e
deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti
i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4).
4.3 Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina
stimata <60 ml/min.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego
Funzione renale: EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive,
talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio
della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina
sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina
C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può
essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata
al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina
stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione
tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se
ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una
persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad
esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali
pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono
state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare
attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare
attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si
risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi,
la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in
trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio
del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel
quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per
ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è
raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5).
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione
La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione
di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere
pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una
diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento
concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione
di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina,
simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad
altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e
repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante
di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti
può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato
con questi medicinali.
4.6 Gravidanza e allattamento
Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale
per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene
escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non
sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3).
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari
Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli
o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8).
4.8 Effetti indesiderati
Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale)
ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per
lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della
creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica
sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in
alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle
transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante
l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle
alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione:
molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di
ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità.
Patologie
Molto comune
Patologie del sistema nervoso
Comune
Non comune
Cefalea
Capogiri
Patologie dell’occhio
Cataratta precoce, maculopatia
Patologie dell’orecchio e del labirinto
Perdita dell’udito
Patologie respiratorie, toraciche e
mediastiniche
Dolore faringolaringeo
Patologie gastrointestinali
Patologie renali e urinarie
Patologie della cute e del tessuto
sottocutaneo
Aumento della creatinina
ematica
Esofagite
Emorragia gastrointestinale,
ulcera gastrica (incluso ulcere
multiple), ulcera duodenale,
gastrite
Proteinuria
Tubulopatia renale (sindrome di
Fanconi acquisita), glicosuria
Insufficienza renale acuta1
Eruzione cutanea, prurito
Disturbi della pigmentazione
Orticaria1
Piressia, edema, affaticamento
Disturbi del sistema immunitario
Disturbi psichiatrici
Non nota
Diarrea, stipsi, vomito, nausea,
dolore addominale, distensione
addominale, dispepsia
Patologie sistemiche e condizioni relative
alla sede di somministrazione
Patologie epatobiliari
Raro
Reazioni di ipersensibilità
(inclusi anafilassi e
angioedema)1
Aumento delle transaminasi
Epatite, colelitiasi
Insufficienza epatica1
Ansia, disturbi del sonno
Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale.
4.9 Sovradosaggio
Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di
ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda
gastrica, e con trattamento sintomatico.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1.
Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del
ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato
studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di
base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il
trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica
di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra
escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti
da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina
sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici
(29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10-30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da
18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti
di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20
e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a ≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina
1
(da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose
assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno
mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non
è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una
diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia.
5.2 Proprietà farmacocinetiche
Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è
di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata
di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13-25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o
elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la
via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente
glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di
deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione
media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo
approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a
≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti.
Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per
il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in
pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da
livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità.
5.3 Dati preclinici di sicurezza
I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono
state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un
precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo,
ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando
somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è
risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti
sulla fertilità o sulla riproduzione.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti
Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato.
6.2 Incompatibilità
Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere.
6.3 Periodo di validità
3 anni.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione
Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità.
6.5 Natura e contenuto del contenitore
Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento
Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito.
8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
EU/1/06/356/001
EU/1/06/356/002
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
28.08.2006
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
07/2008
EXJADE: 250 mg Compresse dispersibili
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
EXJADE 250 mg compresse dispersibili.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Ogni compressa dispersibile contiene 250 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 250 sull’altro.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche
EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni.
EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti:
- in pazienti con altre anemie,
- in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni,
- in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati).
4.2 Posologia e modo di somministrazione
Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa
100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla
compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera
iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più
di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche
ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento
della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente
che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso
corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la
ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10
mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con
dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al
giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia
o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate
né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (≥65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni
posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5
anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere
uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in
pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e
deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti
i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4)
4.3 Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina
stimata <60 ml/min.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego
Funzione renale: EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive,
talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio
della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina
sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina
C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può
essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata
al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina
stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione
tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se
ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una
persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad
esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali
pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono
state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare
attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare
attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si
risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi,
la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in
trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio
del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel
quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per
ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è
raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5).
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione
La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione
di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere
pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una
diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento
concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione
di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina,
simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad
altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e
repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante
di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti
può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato
con questi medicinali.
4.6 Gravidanza e allattamento
Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale
per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene
escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non
sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3).
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari
Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli
o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8).
4.8 Effetti indesiderati
Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale)
ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per
lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della
creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica
sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in
alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle
transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante
l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle
alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione:
molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di
ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità.
Patologie
Molto comune
Patologie del sistema nervoso
Comune
Non comune
Cefalea
Capogiri
Patologie dell’occhio
Cataratta precoce, maculopatia
Patologie dell’orecchio e del labirinto
Perdita dell’udito
Patologie respiratorie, toraciche e
mediastiniche
Dolore faringolaringeo
Patologie gastrointestinali
Patologie renali e urinarie
Patologie della cute e del tessuto
sottocutaneo
Aumento della creatinina
ematica
Emorragia gastrointestinale,
ulcera gastrica (incluso ulcere
multiple), ulcera duodenale,
gastrite
Proteinuria
Tubulopatia renale (sindrome di
Fanconi acquisita), glicosuria
Insufficienza renale acuta1
Eruzione cutanea, prurito
Disturbi della pigmentazione
Orticaria1
Esofagite
Piressia, edema, affaticamento
Disturbi del sistema immunitario
Disturbi psichiatrici
Non nota
Diarrea, stipsi, vomito, nausea,
dolore addominale, distensione
addominale, dispepsia
Patologie sistemiche e condizioni relative
alla sede di somministrazione
Patologie epatobiliari
Raro
Reazioni di ipersensibilità
(inclusi anafilassi e
angioedema)1
Aumento delle transaminasi
Epatite, colelitiasi
Insufficienza epatica1
Ansia, disturbi del sonno
Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale.
4.9 Sovradosaggio
Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di
ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda
gastrica, e con trattamento sintomatico.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1.
Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del
ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato
studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di
base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il
trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica
di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra
escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti
da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina
sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici
(29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10-30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da
18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti
di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20
e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina
(da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose
assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno
mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non
è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una
diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia.
5.2 Proprietà farmacocinetiche
Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è
di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata
di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13-25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o
elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la
via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente
glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di
deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione
media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo
approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a
≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti.
Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per
il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in
pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da
livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità.
5.3 Dati preclinici di sicurezza
I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono
state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un
precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo,
ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando
somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è
risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti
sulla fertilità o sulla riproduzione.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti
Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato.
6.2 Incompatibilità
Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere.
1
6.3 Periodo di validità
3 anni.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione
Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità.
6.5 Natura e contenuto del contenitore
Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento
Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito.
8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
EU/1/06/356/003
EU/1/06/356/004
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
28.08.2006
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
07/2008
EXJADE: 500 mg Compresse dispersibili
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
EXJADE 500 mg compresse dispersibili.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Ogni compressa dispersibile contiene 500 mg di deferasirox. Questo medicinale contiene lattosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Compressa dispersibile. Compresse di colore biancastro, rotonde, piatte, con bordi smussati ed impresso NVR su un lato e J 500 sull’altro.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche
EXJADE è indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a frequenti emotrasfusioni (≥7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati) in pazienti con beta talassemia major di età pari e superiore a 6 anni.
EXJADE è anche indicato per il trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni quando la terapia con deferoxamina è controindicata o inadeguata nei seguenti gruppi di pazienti:
- in pazienti con altre anemie,
- in pazienti di età compresa tra 2 e 5 anni,
- in pazienti con beta talassemia major con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non frequenti (<7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati).
4.2 Posologia e modo di somministrazione
Il trattamento con EXJADE deve essere iniziato e mantenuto da medici esperti nel trattamento del sovraccarico cronico di ferro dovuto a emotrasfusioni. Si raccomanda di iniziare il trattamento dopo la trasfusione di circa 20 unità (circa
100 ml/kg) di globuli rossi concentrati o quando si evidenzia con il monitoraggio clinico la presenza di un sovraccarico cronico di ferro (es. ferritina sierica >1.000 µg/l). Le dosi (in mg/kg) devono essere calcolate e arrotondate alla
compressa intera più vicina. Gli obiettivi della terapia di chelazione del ferro sono di eliminare la quantità di ferro somministrata nelle trasfusioni e, secondo necessità, di ridurre il carico di ferro esistente. Dose iniziale La dose giornaliera
iniziale raccomandata di EXJADE è di 20 mg/kg di peso corporeo. Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 30 mg/kg per i pazienti che necessitano di ridurre livelli corporei elevati di ferro e che stanno anche ricevendo più
di 14 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa >4 unità/mese per un adulto). Può essere considerata una dose iniziale giornaliera di 10 mg/kg per i pazienti che non necessitano di ridurre i livelli corporei di ferro e che stanno anche
ricevendo meno di 7 ml/kg/mese di globuli rossi concentrati (circa <2 unità/mese per un adulto). Si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento
della dose (vedere paragrafo 5.1). Per i pazienti già adeguatamente trattati con deferoxamina, potrebbe essere considerata una dose iniziale di EXJADE che sia numericamente pari alla metà della dose di deferoxamina (es. un paziente
che riceve 40 mg/kg/die di deferoxamina per 5 giorni la settimana (o equivalente) potrebbe passare ad una dose iniziale giornaliera di 20 mg/kg/die di EXJADE). Quando ciò comporta una dose giornaliera minore di 20 mg/kg di peso
corporeo, si deve controllare la risposta del paziente e se non si ottiene una sufficiente efficacia deve essere preso in considerazione un aumento della dose (vedere paragrafo 5.1). Dose di mantenimento Si raccomanda di monitorare la
ferritina sierica ogni mese e di aggiustare la dose di EXJADE, se necessario, ogni 3-6 mesi, sulla base dell’andamento dei valori della ferritina sierica. Gli aggiustamenti della dose possono essere effettuati in intervalli compresi tra 5 e 10
mg/kg e devono essere adattati alla risposta e agli obiettivi terapeutici del singolo paziente (mantenimento o riduzione del carico di ferro). Non sono raccomandate dosi superiori a 30 mg/kg perché vi è solo un’esperienza limitata con
dosi superiori a questo livello. Se la ferritina sierica scende costantemente sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 4.4). Preparazione EXJADE deve essere assunto una volta al
giorno a stomaco vuoto, almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.5 e 5.2). Le compresse vengono disciolte mescolandole in un bicchiere d’acqua o di succo d’arancia
o di mela (100-200 ml), fino a ottenere una sospensione fine. Dopo aver ingerito la sospensione, l’eventuale residuo deve essere risospeso in una piccola quantità d’acqua o di succo e ingerito. Le compresse non devono essere masticate
né ingerite intere (vedere anche paragrafo 6.2). Pazienti anziani (≥65 anni) Le raccomandazioni posologiche per i pazienti anziani sono uguali a quelle descritte in precedenza. Pazienti pediatrici (da 2 a 17 anni) Le raccomandazioni
posologiche per i pazienti pediatrici sono le stesse previste per i pazienti adulti. Il calcolo della dose deve tenere in considerazione le variazioni ponderali dei pazienti pediatrici nel corso del tempo. Nei bambini di età compresa tra 2 e 5
anni, l’esposizione è minore rispetto a quella degli adulti (vedere paragrafo 5.2). Di conseguenza pazienti in questo gruppo di età potrebbero necessitare di dosi maggiori di quelle necessarie negli adulti. Tuttavia la dose iniziale deve essere
uguale a quella prevista negli adulti, seguita da una titolazione individuale. Pazienti con compromissione della funzionalità renale EXJADE non è stato studiato in pazienti con compromissione della funzionalità renale ed è controindicato in
pazienti con clearance della creatinina stimata <60 ml/min (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Pazienti con compromissione della funzionalità epatica EXJADE non è stato studiato nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica e
deve essere usato con cautela in tali pazienti. Le raccomandazioni di dosaggio iniziale per pazienti con compromissione della funzionalità epatica sono uguali a quelle sopra descritte. La funzionalità epatica deve essere controllata in tutti
i pazienti prima del trattamento e quindi ogni mese (vedere paragrafo 4.4).
4.3 Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Associazione con altre terapie ferrochelanti in quanto non è stata stabilita la sicurezza di tali combinazioni (vedere paragrafo 4.5). Pazienti con clearance della creatinina
stimata <60 ml/min.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego
Funzione renale EXJADE è stato studiato solo in pazienti con creatinina sierica al basale nell’intervallo di normalità appropriato per età. Durante gli studi clinici, un aumento >33% della creatinina sierica in ≥2 occasioni consecutive,
talvolta al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità, si è verificato in circa il 36% dei pazienti. Tale aumento era dose dipendente. In circa due terzi dei pazienti che mostravano un aumento della creatinina sierica, essa ritornava a livelli al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nella restante parte dei pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o all’interruzione del trattamento. Sono stati riportati casi di insufficienza renale acuta dopo l’uso post-marketing di EXJADE (vedere paragrafo 4.8). Le cause dell’aumento della creatinina sierica non sono state chiarite. Pertanto si deve porre particolare attenzione al monitoraggio
della creatinina sierica in pazienti che stanno ricevendo alte dosi di EXJADE e/o bassa frequenza di emotrasfusioni (<7 mg/kg/mese di globuli rossi concentrati o <2 unità/mese per un adulto). Si raccomanda di valutare la creatinina
sierica due volte prima di iniziare la terapia. La creatinina sierica, la clearance della creatinina (stimate con la formula di Cockcroft-Gault o MDRD negli adulti e con la formula di Schwartz nei bambini) e/o i livelli plasmatici di cistatina
C devono essere monitorati settimanalmente nel primo mese dopo l’inizio o la modifica della terapia con EXJADE, e successivamente una volta al mese. Pazienti con disturbi renali pregressi e pazienti che assumono medicinali che deprimono la funzione renale possono presentare un maggior rischio di complicanze. Si deve prestare attenzione nel mantenere un’adeguata idratazione in pazienti che presentano diarrea o vomito. Per i pazienti adulti, la dose giornaliera può
essere ridotta di 10 mg/kg se si osserva, in due visite consecutive, un aumento della creatinina sierica di >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento ed una riduzione della clearance della creatinina stimata
al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e se ciò non è attribuibile ad altre cause (vedere paragrafo 4.2). Per i pazienti pediatrici, la dose può essere ridotta di 10 mg/kg se la clearance della creatinina
stimata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità (<90 ml/min) e/o i livelli della creatinina sierica, in due visite consecutive, aumentano oltre il limite superiore di normalità appropriato per l’età. Se, dopo una riduzione della dose, nei pazienti adulti e pediatrici si osserva un aumento della creatinina sierica >33% al di sopra della media dei valori misurati prima del trattamento e/o la clearance della creatinina calcolata scende al di sotto del limite inferiore dell’intervallo di normalità, il trattamento deve essere interrotto. Il trattamento può essere ripreso a seconda delle circostanze cliniche individuali. Particolare attenzione deve essere prestata anche al monitoraggio della creatinina sierica nei pazienti che assumono in concomitanza medicinali che deprimono la funzione renale. Devono essere eseguiti ogni mese i test della proteinuria. Se necessario, possono essere anche monitorati altri marker della funzione
tubulare renale (ad es. glicosuria in pazienti non diabetici e bassi livelli sierici di potassio, di fosfato, di magnesio o urati, fosfaturia, aminoaciduria). La riduzione della dose o l’interruzione del trattamento possono essere considerate se
ci sono anomalie nei livelli dei marker della funzione tubulare e/o se clinicamente indicato. Se, nonostante la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento, la creatinina sierica rimane significativamente elevata e se c’è anche una
persistente anomalia in un altro marker della funzione renale (per es. proteinuria, Sindrome di Fanconi), il paziente deve essere indirizzato ad un nefrologo, e possono essere considerati ulteriori esami specialistici (come la biopsia renale). Funzione epatica: Nei pazienti trattati con EXJADE si è osservato un innalzamento dei test di funzionalità epatica. In pazienti trattati con EXJADE, dopo la commercializzazione, sono stati riportati casi di insufficienza epatica, alcuni ad
esito fatale. La maggior parte dei casi di insufficienza epatica riguardava pazienti con morbilità significative, inclusa preesistente cirrosi epatica. Tuttavia, non è possibile escludere il ruolo di EXJADE come fattore contribuente o aggravante (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di controllare transaminasi sieriche, bilirubina e fosfatasi alcalina prima dell’inizio del trattamento, ogni 2 settimane durante il primo mese e poi mensilmente. Qualora vi sia un aumento persistente e progressivo dei livelli delle transaminasi sieriche non attribuibile ad altre cause, EXJADE deve essere interrotto. Una volta chiarita la causa delle anomalie nei test di funzionalità epatica o dopo il ritorno ai livelli normali, può essere considerata una cauta ripresa del trattamento ad una dose inferiore, seguita da un graduale aumento della dose. EXJADE non è raccomandato in pazienti con grave compromissione epatica in quanto non è stato studiato in tali
pazienti. Il trattamento è stato avviato solo in pazienti con livelli basali di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore della norma (vedere paragrafo 5.2). Ulcera ed emorragia a carico del tratto gastrointestinale superiore sono
state segnalate in pazienti in trattamento con EXJADE, inclusi bambini e adolescenti. In alcuni pazienti sono state osservate ulcere multiple (vedere paragrafo 4.8). Durante la terapia con EXJADE i medici e i pazienti devono prestare
attenzione all’insorgenza di segni e sintomi di ulcerazioni ed emorragie gastrointestinali e iniziare prontamente una valutazione e un trattamento concomitante se si sospetta un evento avverso grave gastrointestinale. Si deve prestare
attenzione nei pazienti che assumono EXJADE in combinazione con medicinali che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei, i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, e nei pazienti in trattamento con anticoagulanti (vedere paragrafo 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione). Durante il trattamento con EXJADE possono comparire eruzioni cutanee. Nella maggior parte dei casi le eruzioni cutanee si
risolvono spontaneamente. Qualora fosse necessaria l’interruzione del trattamento, il trattamento può essere ripreso dopo la risoluzione dell’eruzione, ad un dosaggio inferiore che potrà poi essere gradualmente aumentato. In casi gravi,
la ripresa del trattamento può essere effettuata in associazione alla somministrazione di steroidi per via orale per un breve periodo. Sono stati segnalati casi di gravi reazioni di ipersensibilità (come anafilassi e angioedema) in pazienti in
trattamento con EXJADE, con insorgenza della reazione nella maggior parte dei casi entro il primo mese di trattamento (vedere paragrafo 4.8). Nel caso di insorgenza di tali reazioni, si deve interrompere EXJADE ed istituire un intervento medico appropriato. Sono stati segnalati disturbi uditivi (diminuzione dell’udito) ed oculari (opacità del cristallino) (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda di effettuare esami uditivi ed oftalmici (incluso la fondoscopia) prima dell’inizio
del trattamento e successivamente ad intervalli regolari (ogni 12 mesi). Se si nota la comparsa di disturbi durante il trattamento, può essere considerata una riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Si raccomanda di monitorare mensilmente i livelli di ferritina sierica per valutare la risposta del paziente alla terapia (vedere paragrafo 4.2). Se la ferritina sierica scende costantemente al di sotto 500 μg/l, deve essere considerata la possibilità di un’interruzione del trattamento. I risultati dei test di creatinina sierica, di ferritina sierica e delle transaminasi sieriche devono essere registrati e valutati con regolarità per monitorarne l’andamento. I risultati devono essere anche riportati nel
quaderno fornito al paziente. Negli studi clinici ad 1 anno il trattamento con EXJADE non ha influenzato la crescita e lo sviluppo sessuale di pazienti pediatrici trattati. Tuttavia, come misura precauzionale generale per la gestione di pazienti pediatrici con sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni, il peso corporeo, la crescita e lo sviluppo sessuale devono essere monitorati a intervalli regolari (ogni 12 mesi). La disfunzione cardiaca è una complicanza nota del sovraccarico di ferro di grado severo. Nei pazienti con grave sovraccarico di ferro, la funzione cardiaca deve essere monitorata durante il trattamento a lungo termine con EXJADE. Le compresse contengono lattosio (1,1 mg di lattosio per
ogni mg di deferasirox). I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, da deficit di Lapp lattasi, da malassorbimento di glucosio-galattosio o grave deficit di lattasi non devono assumere questo medicinale. Non è
raccomandato l’uso concomitante di deferasirox con preparati antiacidi contenenti allumino (vedere paragrafo 4.5).
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione
La somministrazione concomitante di EXJADE e preparati antiacidi contenenti alluminio non è stata formalmente studiata. Anche se deferasirox ha una minore affinità per l’alluminio rispetto al ferro, non è raccomandata l’assunzione
di EXJADE compresse con preparati antiacidi contenenti alluminio (vedere paragrafo 4.4). La biodisponibilità di deferasirox è risultata aumentata in misura variabile quando l’assunzione è concomitante con il cibo. EXJADE deve essere
pertanto preso a stomaco vuoto almeno 30 minuti prima dell’assunzione di cibo, preferibilmente ogni giorno alla stessa ora (vedere paragrafi 4.2 e 5.2). Deferasirox viene metabolizzato a carico degli enzimi UGT. Non si può escludere una
diminuzione della sua concentrazione plasmatica quando è somministrato con potenti induttori degli enzimi UGT come rifampicina, fenobarbitale o fenitoina. Si deve monitorare la ferritina sierica del paziente durante e dopo il trattamento
concomitante e, se necessario aggiustare la dose di EXJADE. In uno studio su volontari sani, la concomitante somministrazione di EXJADE e midazolam (substrato del citocromo CYP3A4) ha determinato una diminuzione dell’esposizione
di midazolam del 17% (90% IC: 8% - 26%). Nella pratica clinica questo effetto può essere più marcato. Pertanto si deve prestare attenzione quando deferasirox è associato a farmaci metabolizzati attraverso il CYP3A4 (es. ciclosporina,
simvastatina, contraccettivi ormonali, bepridil, ergotamina) data la possibile riduzione della loro efficacia. Non è stata stabilita la sicurezza di EXJADE in associazione con altri chelanti del ferro. Pertanto non deve essere associato ad
altre terapie ferrochelanti (vedere paragrafo 4.3). Non è stata osservata nessuna interazione tra EXJADE e digossina in volontari adulti sani. Non può essere esclusa un’interazione tra deferasirox e substrati del CYP2C8 come paclitaxel e
repaglinide. La somministrazione concomitante di EXJADE e vitamina C non è stata formalmente studiata. Dosi di vitamina C fino a 200 mg al giorno non sono state associate a conseguenze avverse. La somministrazione concomitante
di EXJADE e sostanze che hanno un riconosciuto potenziale ulcerogeno, come i farmaci antinfiammatori non-steroidei (incluso l’acido acetilsalicilico ad alto dosaggio), i corticosteroidi, o i bifosfonati orali, così come gli anticoagulanti
può aumentare il rischio di tossicità gastrointestinale (vedere paragrafo 4.4). EXJADE può anche aumentare il rischio di emorragia degli anticoagulanti. Uno stretto monitoraggio clinico deve essere attuato quando deferasirox è associato
con questi medicinali.
4.6 Gravidanza e allattamento
Gravidanza Per deferasirox non sono disponibili dati clinici relativi a gravidanze esposte. Gli studi su animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva alle dosi risultate tossiche per la madre (vedere paragrafo 5.3). Il rischio potenziale
per gli esseri umani non è noto. A titolo precauzionale, si raccomanda di non usare EXJADE durante la gravidanza se non in caso di assoluta necessità. Allattamento Negli studi sugli animali, è stato riscontrato che deferasirox viene
escreto rapidamente e ampiamente nel latte materno. Non sono stati osservati effetti sulla prole. Non è noto se deferasirox sia escreto nel latte umano. L’allattamento non è raccomandato durante l’assunzione di EXJADE. Fertilità Non
sono disponibili dati sulla fertilità per l’uomo. Negli animali, non sono stati riscontrati effetti avversi sulla fertilità maschile o femminile (vedere paragrafo 5.3).
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari
Non sono stati effettuati studi sugli effetti di EXJADE sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. I pazienti che notano la comparsa di capogiri, reazione avversa non comune, devono prestare cautela nella guida di veicoli
o nell’uso di macchinari (vedere paragrafo 4.8).
4.8 Effetti indesiderati
Le reazioni più frequenti segnalate durante il trattamento cronico con EXJADE in pazienti adulti e pediatrici comprendono disturbi gastrointestinali in circa il 26% dei pazienti (principalmente nausea, vomito, diarrea o dolore addominale)
ed eruzione cutanea in circa il 7% dei pazienti. La diarrea è stata segnalata più comunemente nei pazienti pediatrici di età compresa tra i 2 e i 5 anni rispetto ai pazienti di età superiore. Queste reazioni sono dipendenti dalla dose, per
lo più di intensità da lieve a moderata, generalmente transitorie e si risolvono nella maggior parte dei casi anche se si continua il trattamento. Durante gli studi clinici in circa il 36% dei pazienti si sono verificati aumenti >33% della
creatinina sierica in ≥2 determinazioni consecutive, alcune volte al di sopra del limite superiore dell’intervallo di normalità. Essi erano dose dipendente. Circa due terzi dei pazienti che hanno mostrato un aumento della creatinina sierica
sono ritornati al livello al di sotto del 33% senza aggiustamento della dose. Nei rimanenti pazienti l’aumento della creatinina sierica non rispondeva sempre ad una riduzione della dose o ad un’interruzione del trattamento. Infatti in
alcuni casi dopo la riduzione della dose si è osservata solo una stabilizzazione dei valori di creatinina sierica (vedere paragrafo 4.4). In circa il 2% dei pazienti sono stati segnalati calcoli biliari e disordini biliari correlati. Aumento delle
transaminasi è stato riportato come reazione avversa al farmaco nel 2% dei pazienti. Un aumento delle transaminasi più di 10 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità, indicativo di epatite, è stato non comune (0,3%). Durante
l’esperienza post-marketing, è stata riportata con EXJADE insufficienza epatica, talvolta fatale, specialmente nei pazienti con preesistente cirrosi epatica (vedere paragrafo 4.4). Come con altri trattamenti chelanti del ferro, ipoacusia alle
alte frequenze e opacità del cristallino (cataratta precoce) sono stati osservati non comunemente nei pazienti trattati con EXJADE (vedere paragrafo 4.4). Le reazioni avverse sono classificate di seguito usando la seguente convenzione:
molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); non comune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000); non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di
ciascuna classe di frequenza, le reazioni avverse sono riportate in ordine decrescente di gravità.
Patologie
Molto comune
Patologie del sistema nervoso
Comune
Non comune
Cefalea
Capogiri
Patologie dell’occhio
Cataratta precoce, maculopatia
Patologie dell’orecchio e del labirinto
Perdita dell’udito
Patologie respiratorie, toraciche e
mediastiniche
Dolore faringolaringeo
Patologie gastrointestinali
Patologie renali e urinarie
Patologie della cute e del tessuto
sottocutaneo
Aumento della creatinina
ematica
Esofagite
Emorragia gastrointestinale,
ulcera gastrica (incluso ulcere
multiple), ulcera duodenale,
gastrite
Proteinuria
Tubulopatia renale (sindrome di
Fanconi acquisita), glicosuria
Insufficienza renale acuta1
Eruzione cutanea, prurito
Disturbi della pigmentazione
Orticaria1
Piressia, edema, affaticamento
Disturbi del sistema immunitario
Disturbi psichiatrici
Non nota
Diarrea, stipsi, vomito, nausea,
dolore addominale, distensione
addominale, dispepsia
Patologie sistemiche e condizioni relative
alla sede di somministrazione
Patologie epatobiliari
Raro
Reazioni di ipersensibilità
(inclusi anafilassi e
angioedema)1
Aumento delle transaminasi
Epatite, colelitiasi
Insufficienza epatica1
Ansia, disturbi del sonno
Reazioni avverse segnalate durante l’esperienza post-marketing. Esse derivano da segnalazioni spontanee per le quali non è sempre possibile stabilire in modo sicuro la frequenza o una relazione causale con l’esposizione al medicinale.
4.9 Sovradosaggio
Sono stati riportati casi di sovradosaggio (2-3 volte la dose prescritta per diverse settimane). In un caso, ciò ha portato ad epatite subclinica che si è risolta dopo un’interruzione del trattamento. In pazienti talassemici con sovraccarico di
ferro dosi singole di 80 mg/kg hanno causato lieve nausea e diarrea. Segni acuti di sovradosaggio possono comprendere nausea, vomito, cefalea e diarrea. Il sovradosaggio può essere trattato mediante l’induzione di emesi o con lavanda
gastrica, e con trattamento sintomatico.
1
Depositato presso AIFA in data 00/00/0000
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica Agente chelante del ferro, codice ATC: V03AC03. Deferasirox è un chelante attivo per via orale, altamente selettivo per il ferro (III). È un legante tridentato che lega il ferro con elevata affinità in un rapporto 2:1.
Deferasirox favorisce l’escrezione di ferro, principalmente nelle feci. Deferasirox ha una bassa affinità per lo zinco ed il rame e non causa una diminuzione costante dei livelli sierici di tali metalli. In uno studio metabolico sul bilancio del
ferro in pazienti adulti talassemici con sovraccarico di ferro, EXJADE a dosi giornaliere di 10, 20 e 40 mg/kg ha indotto l’escrezione netta media rispettivamente di 0,119, 0,329 e 0,445 mg di Fe/kg di peso corporeo/die. EXJADE è stato
studiato su 411 pazienti adulti (età ≥16 anni) e 292 pazienti pediatrici (età da 2 a <16 anni) con sovraccarico di ferro cronico dovuto a emotrasfusioni. Dei pazienti pediatrici, 52 avevano un’età compresa tra 2 e 5 anni. Le condizioni di
base che richiedevano la trasfusione comprendevano beta-talassemia, anemia falciforme ed altre anemie congenite ed acquisite (sindromi mielodisplastiche, sindrome di Diamond-Blackfan, anemia aplastica ed altre anemie molto rare). Il
trattamento giornaliero di pazienti adulti e pediatrici con beta-talassemia, sottoposti a frequenti trasfusioni, a dosi di 20 e 30 mg/kg per un anno ha portato alla riduzione degli indicatori del ferro corporeo totale; la concentrazione epatica
di ferro risultava ridotta rispettivamente di circa 0,4 e 8,9 mg Fe/g di fegato (peso secco da biopsia) in media e la ferritina sierica risultava ridotta rispettivamente di circa 36 e 926 μg/l in media. A queste stesse dosi i rapporti tra
escrezione di ferro e assunzione di ferro erano rispettivamente di 1,02 (indicando un bilancio di ferro netto) e 1,67 (indicando un’eliminazione di ferro netta). EXJADE ha indotto risposte simili in pazienti con sovraccarico di ferro affetti
da altre anemie. Dosi giornaliere di 10 mg/kg per un anno possono mantenere i livelli di ferro epatico e di ferritina sierica e indurre un bilancio di ferro netto in pazienti sottoposti a trasfusioni non frequenti o eritrocitoaferesi. La ferritina
sierica valutata con monitoraggio mensile ha rispecchiato le modifiche della concentrazione epatica di ferro, indicando che l’andamento della ferritina sierica può essere utilizzato per monitorare la risposta alla terapia. I limitati dati clinici
(29 pazienti con funzione cardiaca normale al basale) con l’uso della MRI indicano che il trattamento con EXJADE 10 30 mg/kg/die per 1 anno può ridurre anche i livelli di ferro nel cuore (in media, l’aumento del MRI T2* è stato da
18,3 a 23,0 millisecondi). L’analisi principale dello studio pivotale di confronto condotto in 586 pazienti affetti da beta talassemia e sovraccarico di ferro dovuto a emotrasfusioni non ha dimostrato la non inferiorità di EXJADE nei confronti
di deferoxamina nell’analisi della popolazione totale di pazienti. Da una analisi post-hoc di questo studio si evidenzia che nel sottogruppo di pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (20
e 30 mg/kg) o deferoxamina (da 35 a ≥50 mg/kg), sono stati raggiunti i criteri di non inferiorità. Tuttavia nei pazienti con concentrazione di ferro epatico <7 mg Fe/g di peso secco trattati con EXJADE (5 e 10 mg/kg) o deferoxamina
(da 20 a 35 mg/kg), non è stata stabilita la non inferiorità a causa dello squilibrio della dose dei due chelanti. Questo squilibrio si è presentato in quanto ai pazienti in trattamento con deferoxamina era permesso di rimanere alla dose
assunta nella fase di pre-studio anche se maggiore della dose specificata dal protocollo. 56 pazienti di età inferiore ai 6 anni hanno partecipato allo studio pivotale, di cui 28 hanno ricevuto EXJADE. Gli studi preclinici e clinici hanno
mostrato che EXJADE può essere attivo come deferoxamina quando utilizzato in un rapporto di dose 2:1 (es. una dose di EXJADE è numericamente la metà della dose di deferoxamina). Tuttavia questa raccomandazione posologica non
è stata valutata in modo prospettico negli studi clinici. Inoltre in pazienti con concentrazione di ferro epatico ≥7 mg Fe/g di peso secco affetti da diverse rare anemie o da anemia falciforme, EXJADE fino a 20 e 30 mg/kg provoca una
diminuzione della concentrazione epatica di ferro e della ferritina sierica paragonabile a quanto ottenuto nei pazienti con beta talassemia.
5.2 Proprietà farmacocinetiche
Assorbimento Deferasirox viene assorbito dopo somministrazione orale con un tempo mediano alla concentrazione plasmatica massima (tmax) di circa da 1,5 a 4 ore. La biodisponibilità assoluta (AUC) di deferasirox da EXJADE compresse è
di circa il 70% rispetto a una dose per via endovenosa. L’esposizione totale (AUC) è risultata approssimativamente raddoppiata quando assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi (contenuto di grassi >50% delle calorie) e aumentata
di circa il 50% quando assunto con un pasto standard. La biodisponibilità (AUC) di deferasirox è risultata moderatamente (circa 13 25%) più elevata se l’assunzione avveniva 30 minuti prima di pasti con contenuto di grassi normale o
elevato. Distribuzione Deferasirox è altamente (99%) legato alle proteine plasmatiche, quasi esclusivamente all’albumina sierica, e ha un esiguo volume di distribuzione di circa 14 litri negli adulti. Biotrasformazione La glucoronidazione è la
via metabolica principale per deferasirox, con successiva escrezione biliare. È probabile che si verifichi la deconiugazione dei glucuronidati nell’intestino e il successivo riassorbimento (ricircolo enteroepatico). Deferasirox è principalmente
glucuronidato tramite UGT1A1 e in misura minore UGT1A3. Il metabolismo (ossidativo) di deferasirox catalizzato dal CYP450 sembra essere minore nell’uomo (circa l’8%). In vitro non è stata osservata inibizione del metabolismo di
deferasirox dall’idrossiurea. Eliminazione Deferasirox e i suoi metaboliti sono escreti principalmente nelle feci (84% della dose). L’escrezione renale di deferasirox e dei suoi metaboliti è minima (8% della dose). L’emivita di eliminazione
media (t1/2) varia da 8 a 16 ore. I trasportatori MRP2 e MXR (BCRP) sono coinvolti nell’escrezione biliare di deferasirox. Linearità / non linearità In condizioni di steady-state, la Cmax e l’AUC0-24h di deferasirox aumentano in modo
approssimativamente lineare con la dose. Con somministrazioni multiple, l’esposizione aumenta di un fattore di accumulo da 1,3 a 2,3. Caratteristiche dei pazienti Pazienti pediatrici L’esposizione complessiva degli adolescenti (da 12 a
≤17 anni) e dei bambini (da 2 a <12 anni) a deferasirox, dopo dosi singole e ripetute, è stata inferiore rispetto ai pazienti adulti. Nei bambini di età inferiore a 6 anni, l’esposizione è stata di circa il 50% inferiore a quella degli adulti.
Dal momento che il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Sesso Le femmine hanno una clearance apparente moderatamente più bassa (del 17,5%) per
il deferasirox rispetto ai maschi. Poiché il dosaggio viene aggiustato su base individuale secondo la risposta, non si prevede che ciò abbia conseguenze cliniche. Pazienti anziani La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in
pazienti anziani (di età pari o superiore a 65 anni). Insufficienza renale o epatica La farmacocinetica di deferasirox non è stata studiata in pazienti con insufficienza renale o epatica. La farmacocinetica di deferasirox non è influenzata da
livelli di transaminasi epatiche fino a 5 volte il limite superiore dell’intervallo di normalità.
5.3 Dati preclinici di sicurezza
I dati preclinici non rivelano rischi particolari per i pazienti con sovraccarico di ferro sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute, genotossicità o potenziale cancerogeno. Le evidenze principali sono
state tossicità renale ed opacità del cristallino (cataratta). Evidenze simili sono state osservate in animali neonati e giovani. Si ritiene che la tossicità renale sia principalmente dovuta alla perdita del ferro in animali che non avevano un
precedente sovraccarico di ferro. I test di genotossicità in vitro sono risultati negativi (test di Ames, test di aberrazione cromosomica) o positivi (screen V79). Deferasirox ha causato la formazione di micronuclei in vivo nel midollo osseo,
ma non nel fegato, in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro a dosi letali. Non sono stati osservati tali effetti in ratti cui non era stato somministrato un carico di ferro. Deferasirox non è risultato cancerogeno quando
somministrato nei ratti in uno studio della durata di 2 anni e nei topi eterozigoti p53+/- transgenici in uno studio della durata di 6 mesi. Il potenziale di tossicità riproduttiva è stato valutato nel ratto e nel coniglio. Deferasirox non è
risultato teratogeno, ma ha causato a dosi elevate risultate gravemente tossiche per la madre non sovraccaricata di ferro, un aumento della frequenza di variazioni scheletriche e nati morti nel ratto. Deferasirox non ha causato altri effetti
sulla fertilità o sulla riproduzione.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti
Lattosio monoidrato - Crospovidone tipo A - Cellulosa microcristallina - Povidone - Sodio laurilsolfato - Silice colloidale anidra - Magnesio stearato.
6.2 Incompatibilità
Non è raccomandata la dispersione in bevande gassate o nel latte a causa, rispettivamente, della formazione di schiuma e della lenta dispersione. Le compresse non devono essere masticate né ingerite intere.
6.3 Periodo di validità
3 anni.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione
Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità.
6.5 Natura e contenuto del contenitore
Blisters PVC/PE/PVDC/Alluminio. Confezioni contenenti 28 o 84 compresse dispersibili. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento
Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Novartis Europharm Limited - Wimblehurst Road - Horsham - West Sussex, RH12 5AB - Regno Unito.
8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
EU/1/06/356/005
EU/1/06/356/006
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
28.08.2006
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
07/2008
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