Lezioni del 6 e 10 ottobre. L`evoluzionismo culturale/Progresso

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Lezioni del 6 e 10 ottobre.
L’evoluzionismo culturale/Progresso.
Riepilogo
- CONTESTO STORICO-CULTURALE DELLA NASCITA DELL’ANTROPOLOGIA
EVOLUZIONISTA: L'IDEOLOGIA DEL PROGRESSO E L'IMPERIALISMO EUROPEO
- E. B. TYLOR: IL CONCETTO DI CULTURA
- IL PARADIGMA EPISTEMOLOGICO EVOLUZIONISTA
- MORGAN: UN ESEMPIO DI PARADIGMA EVOLUZIONISTA ALL’OPERA
- BILANCI.
- L'IMPOSTURA DELLO SVILUPPO
1. Contesto.
Ideologia del progresso
Imperialismo europeo
↓
Evoluzionismo culturale
Ideologia del progresso:
“La fiducia nel progresso materiale e sociale costituì il quadro ideologico entro il quale venne
organizzandosi il lavoro teorico degli antropologi evoluzionisti. Per questi ultimi quello di
progresso era un concetto sintetico per mezzo del quale diventava possibile esprimere
contemporaneamente le idee di cumulatività e di continuità culturale. La convinzione
dell’esistenza di un progresso nella storia dell’uomo deriva essenzialmente dalla considerazione
della società industriale di metà Ottocento come di quella società che si trovava al più alto
stadio di una evoluzione culturale di natura cumulativa. L’eccezionale incremento produttivo di
cui le società europee, e soprattutto quella inglese, stavano sperimentando gli effetti da qualche
decennio divenne la chiave di lettura della storia passata: le leggi che governavano l’incremento
della produzione materiale ed intellettuale della società presente dovevano essere le stesse che
dapprima lentamente, poi via via sempre più rapidamente, avevano determinato lo sviluppo
delle società passate e quindi il passaggio da uno stadio culturale inferiore ad uno stadio
superiore” (Ugo Fabietti, Storia dell’antropologia, Bologna, Zanichelli, 1991 pag.12)
Imperialismo europeo:
“..Potere-sapere, produzione di potere-produzione di sapere costituiscono le due facce di un
unico e medesimo processo. Il sapere partecipa al potere, non nel senso che ne sarebbe
semplicemente il riflesso, ma molto più profondamente nel senso che ne è al centro. Sono le
relazioni sociali, economiche, ideologiche, in un momento dato della storia della società, che
costituiscono il sapere e “determinano le forme e i campi possibili della conoscenza” (Foucault).
Le scienze dell’uomo sono nate, alla fine dell’800, da questa configurazione di rapporti tra
potere e sapere. .. nell’antropologia, scienza delle società “primitive” o “tradizionali”, si può
leggere la storia stessa dei rapporti di dominio tra centro e periferia..”(Mondher Kilani,
Antropologia. Una introduzione, Bari, Dedalo, 1994)
2. Autori e opere.
Edward Burnett Tylor (1832-1917)
Primitive culture 1871
Lewis Henry Morgan (1818-1883)
The league of the Iroquois 1851
Systems of consanguinity and affinity of the human family 1871
Ancien society 1877
3. Il concetto di cultura.
Manuale di storia dell’antropologia pag. 250 e pag. 251
4. Paradigma evoluzionista
- la cultura umana è unica, e si è sviluppata nel tempo, seguendo presso tutti i popoli della terra la
stessa sequenza di sviluppo (unità psichica del genere umano)
- i vari popoli percorrono nel loro cammino evolutivo una sequenza di stadi culturali fissi, che li
porta dalla selvatichezza originaria alla civiltà - rappresentata dalla società inglese di fine ‘800.
- le differenze culturali riscontrabili sono dovute ai diversi stadi raggiunti dalle società nel loro
cammino di sviluppo. Le società primitive attuali rappresentano uno stadio che le società
occidentali hanno attraversato in un lontano periodo, una sorta di archivio vivente.
- il metodo utilizzato dagli evoluzionisti è il metodo comparativo: in virtù della fondamentale
unicità della cultura umana, tutte le culture possono essere comparate tra loro. I dati - desunti dai
più diversi contesti culturali così come li registra l’occhio dell’osservatore, senza grandi
problematizzazioni - vengono raccolti, anche per via indiretta, comparati, classificati e disposti
all’interno del paradigma evoluzionista, secondo una linea di sviluppo che li porta dal meno evoluto
al più evoluto.
-il compito dell’antropologia è quello di pervenire, attraverso la comparazione su larga scala, alla
formulazione di leggi generali. obiettivo dell’antropologia è, secondo i dettami di Tylor, “lo studio
delle leggi del pensiero e dell’agire umani”.
5. Bilanci.
- “grazie al metodo comparativo che consente di distinguere il particolare dal generale, il
congiunturale dal permanente, l’accidentale dal regolare, le scuole evoluzioniste poterono astrarre
dalla massa impressionante dei dati accumulati qualche principio soggiacente, capace di rendere in
parte intellegibile il funzionamento del sociale e del culturale. Nel campo della parentela, per citare
solo questo esempio, questa corrente ha consentito, grazie all’apparato concettuale messo in piedi,
di raccogliere, comparare, classificare e spiegare dei dati etnografici fino ad allora molto sparsi.
Accanto alle pionieristiche terminologie descrittive e classificatorie di Morgan e altri, occorre citare
la costruzione di nozioni come quella di endogamia ed esogamia, di parentela per alleanze, di
poliandria e poliginia, di classi d’età, di rapporti collaterali, nozioni che appartengono tuttora al
vocabolario tecnico dell’antropologia...” (Mondher Kilani, Antropologia. Una introduzione, Bari,
Dedalo, 1994)
- La teoria generale dello sviluppo culturale secondo modalità rettilinee (“evoluzionismo
unilineare”) appare oggi improponibile. il vizio teorico maggiore degli evoluzionisti appare
l’assunzione di un fattore estrinseco al funzionamento delle singole società come criterio assoluto di
valutazione nella classificazione della culture secondo un parametro evolutivo.
“...al lavoro degli antropologi vittoriani fece da sfondo un’immagine fortemente ideologica dei
processi di trasformazione dell’inghilterra capitalista di metà ottocento. all’epoca che la vide
nascere perciò l’antropologia non poté fare a meno di pagare questo duplice debito consistente in un
atteggiamento etnocentrico e autocelebrativo che si rifletté poi a livello di pratica scientifica. ma in
quanto aggregati autonomi di discorso, le “scienze sociali” riescono ad emergere come tali e come
discipline socialmente riconosciute solo a partire da congiunture scientifiche e ideologiche
particolari, e forse irripetibili, ma che comunque si inscrivono in un clima di forte dinamica
culturale e sociale. questo fu appunto il caso dell’antropologia. “
Ugo Fabietti (a cura di), Alle origini dell’antropologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1980
6. L’impostura dello sviluppo.
Serge Latouche, L’Altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 1997 (1997)
“I valori sui quali si basano lo sviluppo e in modo particolare il progresso non corrispondono affatto
ad aspirazioni universali profonde. Questi valori sono legati alla storia dell’occidente;
probabilmente non hanno alcun senso per altre società. ..”
“Lo sviluppo è stato ed è l’occidentalizzazione del mondo cioè l’imposizione di una logica estranea
a quella africana…
Quei “valori” che sono il progresso, l’universalismo, il dominio della natura, la razionalità
quantificante, ecc., sono precisamente quelli che bisogna rimettere in discussione per trovare una
soluzione ai problemi del mondo…”
“Un mito africano rappresenta il rapporto tra bianchi e neri come un dialogo tra due maschere. La
maschera del bianco ha orecchie piccolissime e una bocca enorme. La maschera del nero ha una
bocca piccolissima e grandi orecchie. Il bianco è colui che sa tutto e vuole dare lezioni agli altri, ma
non sa ascoltare. Il nero, la cui parola non è accolta, non può fare altro che ascoltare per forza o per
saggezza…
..Invece di esportare il nostro immaginario materialistico, economicistico, tecnicistico, dovremmo
cominciare con il decolonizzarlo. Imparare che si può vivere senza un’accumulazione frenetica di
oggetti e di bisogni nuovi che compromettono il futuro del pianeta. Riscoprire che nessuna società
apporta all’uomo la soddisfazione completa della sua inquietudine esistenziale e della sua
infinitezza essenziale. Che emancipandosi dalla prigione del senso per perdersi nell’oceano dei
bisogni fittizi, l’uomo occidentale volta le spalle alla saggezza e a quella parte di felicità che gli è
accessibile quaggiù.”
Roberto Malighetti (a cura di), Oltre lo sviluppo. Le prospettive dell’antropologia, Meltemi, Roma,
2005
.
“Il discorso sullo sviluppo costituitosi all'indomani del secondo conflitto mondiale nel momento in
cui il potere statunitense è subentrato al colonialismo britannico e francese e' rimasto il principale
strumento di legittimazione dell'interventismo "civilizzatore". In piena guerra fredda funzionò per
prevenire l’adesione al campo sovietico, privando nel contempo i popoli dell’opportunità di definire
le proprie forme di vita economica, politica e sociale. Successivamente si è coniugato con nuove
categorie, come quella di "globalizzazione" ed "emergenza", continuando a sostenere la struttura
delle relazioni di dominio fra i cosiddetti Primo e Terzo mondo, sempre ridotte a due modelli
asimmetrici semplici: tradizionali-moderni, sviluppati-sottosviluppati, Noi-Loro, Occidente-Terzo
mondo.
Lo sviluppo è stato così considerato come un’impresa etnocentrica, verticistica, tecnocratica,
ancorata ad una prospettiva evoluzionistica unilineare e alla categoria illuministica di progresso.
Identificato con la crescita economica intende teleologicamente il cambiamento come graduale e
necessaria trasformazione verso forme più perfette, celebrate nello sviluppo tecnico-scientifico ed
economico occidentale o meglio dei suoi gruppi egemonici e dominanti.
le dinamiche “evolutive” sarebbero innescate sulla base dell’ipotesi che il trasferimento di beni, la
fornitura di servizi e di assistenza tecnica, la costruzione di infrastrutture determinerebbero
automaticamente lo sviluppo, indipendentemente dalla considerazione del contesto globale e della
realtà culturale dell'area di progetto. ..”
“Negli ultimi 25 anni i meccanismi dell'aiuto internazionale hanno contribuito ad indebolire le
sovranità statali, a delegittimare i poteri pubblici e la nozione stessa di politiche pubbliche. Hanno
occupato progressivamente posizioni e ruoli lasciati vacanti dalle singole istituzioni governative,
grazie alla loro agilità nell’utilizzare canali di intervento e di informazione in contrapposizione ad
istituzioni lente, burocratiche e paralizzate da strategie di controllo obsolete. Sostituendosi ad esse
producono una gestione fortemente “privata” dell’umanitario.”
“Recentemente si e' imposta la categoria di "emergenza”…
Gli interventi di emergenza si caratterizzano per il fatto di entrare in azione dopo l'avvenimento che
li legittima…
L’intensa attività sotto la pressione dell'urgenza, si fissa come non negoziabile, escludendo ogni
forma di riflessione critica sulle cause dei problemi, come anche l'attenzione contestuale alle
particolarità, alle differenze socio-culturali e ai risultati a medio e lungo termine…
La fine dell'emergenza produce la sospensione dell'attenzione dei media, l'immediata interruzione
dell'intervento, il trasferimento della macchina organizzativa in altri scenari emergenti dello
scacchiere geo-politico…”
Bibliografia essenziale:
-Ugo Fabietti (a cura di), Alle origini dell’antropologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1980
- Bastide, R., Antropologia applicata, Torino, Bollati Boringhieri, 1975
- Boltanski, L., Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Milano, Raffaello
Cortina, 2000
- Latouche,S, L'occidentalizzazione del mondo, Torino, Bollati Boringhieri, 1992
- Malighetti, R., Antropologia applicata, Milano, Unicopli, 2001
- Rist, G, Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1997
Riferimenti ai testi in programma:
Ugo Fabietti, Storia dell’antropologia, capitoli 1, 2 e 3 e relative letture.
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