La storia del mondo va da oriente a occidente" tratto da Lezioni

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La storia del mondo va da oriente a occidente"
tratto da Lezioni di filosofia della storia (1837)
La storia del mondo va da oriente a occidente: l'Europa è infatti assolutamente la fine della
storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio. Per la storia del mondo c'è un Oriente per
eccellenza (kat'eksokèn), anche se l'oriente è per sé qualcosa di relativo: infatti benché la terra
abbia forma di sfera, tuttavia la storia non compie un cerchio intorno ad essa, ma ha piuttosto
un ben determinato “oriente”, che è l'Asia. Qui nasce il sole esteriore, fisico, che tramonta ad
occidente: ma qui nasce anche il sole interiore dell'autocoscienza, che diffonde un più alto
splendore. La storia del mondo è il processo educativo per cui dalla sfrenatezza della volontà
naturale si giunge all'universale e alla libertà soggettiva.
[…]
La prima forma dello spirito è quindi quella orientale. Questo mondo ha per base la coscienza
immediata, la spiritualità sostanziale: non più il sapere dell'arbitrio particolare, ma quel che si
è chiamato il sorgere del sole, cioè il sapere di una volontà essenziale, per sé autonoma ed
indipendente, rispetto a cui la volontà soggettiva assume in un primo tempo la posizione delle
fede, della fiducia, dell'obbedienza. Concepito più concretamente, questo è il rapporto
patriarcale. Nella famiglia l'individuo è un tutto e nello stesso tempo è un momento di quel
tutto, vive in essa in funzione di un fine comune, che pur essendo tale ha insieme la sua
propria e particolare esistenza, e con ciò è anche oggetto della coscienza degli individui.
Questa coscienza sussiste nel capo della famiglia, il quale costituisce la volontà, l'attività per il
fine comune, e provvede per gli individui, indirizza il loro agire verso quel fine generale, li
educa e li mantiene corrispondenti ad esso. Essi non sanno e non vogliono nulla che vada al di
là di questo fine, della sua presenza nel capo e della sua volontà.
Il massimo teorico della superiorità europea è il filosofo tedesco Hegel: riprende l' idea che l'
Occidente è la culla della libertà, vi aggiunge che è la patria della scienza e della tecnologia,
del razionalismo e dell' individualismo creativo.
Per Hegel la civiltà occidentale non è una fra le tante: è l' unica a poter capire e "includere" le
altre nella sua sintesi; è la sola a svolgere una missione universale. Nella filosofia della storia
hegeliana lo spirito del mondo abbandona l' Oriente immobile e passivo, si sposta verso l'
Occidente che è motore di progresso. La modernità siamo noi, cinesi e indiani sono condannati
al declino perché prigionieri della tradizione. Secondo Hegel i pensieri dei cinesi e degli indiani
sono importanti, certo, ma solo in quanto ‘premesse’ necessarie, solo in quanto hanno
preparato il terreno affinché poi i greci, gli ebrei, i cristiani e, infine, soprattutto, i tedeschi
portassero al culmine umanamente possibile il processo evolutivo dell’umanità. Un
atteggiamento ed un procedimento, quindi, sostanzialmente viziati di etnocentrismo. Anche
se è bene precisare che tale etnocentrismo non comporta alcuna presa di posizione di carattere
razzista, per il semplice motivo che, per Hegel, le civiltà orientali risultano tanto necessarie alla
maturità di quella europea così come in nostro esser stati fanciulli risulta necessario al nostro
essere adulti.
Hegel ritorna decisamente a Montesquieu, declinando in chiave di filosofia della storia
quella figura del dispotismo orientale che il pensatore francese aveva caratterizzato piuttosto
in termini antropologici, sociologici e geografici. L'oriente è stato certo la culla delle antiche
civiltà, ma la civiltà progredisce seguendo l'apparente cammino del sole, da oriente a
occidente. L'oriente, inteso come Asia, è condannato a rimanere prigioniero di una sorta di
infanzia dell'umanità, dove non esiste ancora l'individuo con la sua autonomia, la sua capacità
di scelta e di emancipazione dalla tradizione, ma solo il soggetto inserito nella trama dei vincoli
familiari e gerarchici, e ad essi completamente subordinato, all'interno di una tradizione
patriarcale che sintetizza e comprime in un'unica dimensione passato, presente e futuro. Il
dispotismo non è che l'espressione politica di questa complessiva visione del mondo e delle
relazioni umane, in se stessa giudicata evidentemente inferiore e superata prima dalla
concezione greca, poi da quella romana e infine da quella occidentale “per eccellenza”,
cioè dal “mondo germanico” tanto nella sua forma sociale – il pluralismo dinamico degli
interessi economici di individui e associazioni – quanto nella sua miglior forma politica, che per
Hegel si esprime in una monarchia costituzionale capace di garantire al tempo stesso la
pluralità sociale e l'unità etico-politica dello stato.
HEGEL E SCHOPENHAUER SUL RAPPORTO ORIENTE OCCIDENTE
In molti hanno insistito su come la filosofia sia un prodotto squisitamente greco e unicamente
occidentale, quasi come se l'Oriente non avesse mai pensato e - per dirla con una terminologia
aristotelica - gli Orientali non fossero uomini in senso pieno. In questo senso, il motto di
Quintiliano "satura tota nostra est" parrebbe trasformarsi in "philosophia tota nostra est", e su
questo punto concorda una lunga tradizione che da Aristotele giunge fino a Hegel; questi nelle sue "Lezioni sulla storia della filosofia" - nota come si tenda a provare un misto di fascino
e di ammirazione per il pensiero orientale, e ciò dipende unicamente dal fatto che non lo si
conosce, se non superficialmente, poiché - nota Hegel - se si scava in profondità si scopre che
una filosofia orientale in senso stretto non esiste. Ma negli stessi anni in cui Hegel condannava
il mondo orientale quale inferiore a quello occidentale, Schopenhauer andava scoprendo che
anche l'Oriente aveva saputo (e sapeva ancora) pensare, sapeva sollevare quelle stesse
problematiche sulle quali si affaticavano gli Occidentali e ad esse fornivano risposte altrettanto
ingegnose. Ed è per questo che Schopenhauer tentò di coniugare, con pari dignità, il sapere
maturato nell'Occidente con quello germogliato nell'Oriente, consapevole che non esistono un
uomo occidentale e un uno orientale, bensì esiste l'uomo in quanto tale, uguale in tutto il
mondo e capace di porsi le stesse domande indistintamente dal luogo in cui si è trovato a
nascere. Più che di un antagonismo conflittuale tra civiltà, si dovrebbe allora parlare - e
tentare di attuarla - una cooperazione degli uomini in quanto tali per discutere di tutti quei
problemi che, appunto, non riguardano l'uomo occidentale o l'uomo orientale, ma l'intero
genere umano.
HEGEL E MARX SULLE SOCIETA' ASIATICHE
La differenza fondamentale tra i due filosofi tedeschi in merito alla definizione dello Stato
asiatico, sta nel fatto che, mentre Hegel rimase fondamentalmente aderente alla visione
tradizionale dell'Oriente - visto, sin dai tempi delle guerre persiane, come il luogo di un
dominio assoluto e disumano (dispotismo asiatico) in merito al quale era possibile soltanto un
giudizio negativo -, Marx inaugurò invece, pur nella continuità da molti punti di vista con la
visione hegeliana e illuminista, una nuova prospettiva di valutazione - tanto morale quanto
epistemologica - delle civiltà orientali.
Alla visione hegeliana, tipicamente "culturale", secondo la quale essenza dello stato asiatico
sarebbe stata una forte connotazione dogmatica e illiberale delle idee e dei comportamenti
politici in esso vigenti (alla quale si opporrebbe, come noto, la tradizione libertaria
occidentale), Marx aggiunse infatti un completamento "economico", individuando nell'M.P.A.
(ovvero nel "modo di produzione asiatico") l'origine socio-produttiva di tali atteggiamenti
mentali e politici.
D'altra parte, anche nella valutazione morale dell'M.P.A. il pensiero marxiano conobbe due
differenti fasi:
a) in una prima fase egli rimase infatti essenzialmente fedele alla visione tipicamente
occidentalistica che lo aveva preceduto (sostenendo l'inferiorità di una tale forma di
organizzazione produttiva rispetto a quella occidentale, il cui destino era, colla diffusione su
scala planetaria, e in seguito col superamento, dell'M.P.C. - ovvero del "modo di produzione
capitalistico" -, quello di sfociare nell'instaurazione di una società di carattere
socialistico/comunistico);
b) in un secondo momento, tuttavia, si possono trovare nei suoi scritti indizi che dimostrano da
parte sua una rivalutazione dell'M.P.A., le cui strutture produttive (essenzialmente
comunitarie) ricordano per molti aspetti quelle dei sistemi economici che egli immaginava di
prossima instaurazione! (Né fu probabilmente un caso che il socialismo si instaurasse proprio
in paesi che, come la Russia, avevano alla propria base delle tradizioni di governo tipicamente
asiatiche, seppure nel contesto di un superamento dell'economia agraria di sussistenza, verso
nuovi sviluppi di carattere industriale…).
A Marx quindi, si deve forse una più completa - e in ogni caso nuova - visione teorica del
funzionamento degli stati e delle tradizioni orientali, ma anche un primo tentativo di
rivalutazione di questi ultimi in un contesto occidentale e non asiatico!
Marx stesso tuttavia, si mantenne più vicino a Hegel nella valutazione dell'M.P.A. che non su
molti altri aspetti del suo sistema. In questo tipo di organizzazione sociale difatti, è in gran
parte vero ciò che sostiene lo stesso Hegel - … e più in generale la tradizione storicistica
precedente il pensiero materialista e dialettico -, dal momento che in esso è la sfera morale e
politica (sovrastrutturale) a prevalere, controllandole, sulle strutture materiali ed economiche e non l'opposto!
Il tutto però, si inserisce in Marx in un discorso di natura economicistica, prima che politica ovvero all'interno del paradigma materialista dialettico da lui scoperto!
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