08 febbraio 2015

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08 FEBBRAIO 2015
Professioni sanitarie. Laureati, ma trattati ancora come i “manovali” della sanità
Gentile Direttore,
medici e infermieri sono tutti operatori sanitari? Perché in caso di risposta affermativa finalmente
abbiamo trovato qualcosa che li accomuna. Sarebbe banale e retorico trovare un punto di incontro
nella finalità dell'assistenza, che dovrebbe puntare alla salute di chi, purtroppo, ha bisogno di cure,
semplicemente perché come ci hanno insegnato a scuola (a tutti quanti) oggi la sanità deve o quanto
meno dovrebbe puntare sul lavoro d'équipe.
Ma cos'è un'équipe se non un gruppo di persone ognuna delle quali svolge un compito di sua
pertinenza, ma con un obiettivo comune? Scavando nell'etimologia del termine di chiara matrice
francese, le similitudini con una squadra di calcio calzano a pennello: tanti giocatori che
collaborano fra loro per portare a casa un buon risultato. In realtà questo termine si presta poco ad
una collocazione nel sistema sanitario, dal momento che ci si trova davanti ad una squadra formata
da alcuni che vogliono prevaricare sugli altri.
Allora tralasciando la definizione di équipe che, in Italia, ahimè ancora poco trova applicazione,
viene da chiedersi se la professione sanitaria si sia davvero evoluta nel corso di questi ultimi
anni.Non mi soffermo sulla formazione della professione infermieristica di cui tanto si è parlato
finora ma, ad ogni modo, piaccia o no, l'introduzione del titolo universitario necessario per
l'esercizio della professione avrebbe dovuto aprire nuovi scenari per chi sceglie, con coraggio, di
intraprendere questo percorso.
Dicevo con coraggio, perché oggi ce ne vuole tanto, per affrontare tre anni di università, magari
altri due di laurea magistrale e sentirsi ancora oggi trattati come i manovali della sanità. E' quello
poi che buona parte della classe medicacontinua a fare, per la necessità di difendere il proprio
"territorio" fatto di potere decisionale e privilegi economici, o semplicemente per la convinzione di
sentirsi superiori agli altri e padroni del sistema.
Quanto detto trova riscontro in tante lettere inviate al suo portale, da parte di medici che vedono
come una minaccia l'evoluzione di chi a loro dire (e in un modo neanche troppo celato) dovrebbe
stare sotto.
Di conseguenza i progressi degli ultimi anni inerenti la professione infermieristica sono dei
"progressi di facciata": le università formano persone che prendono uno stipendio basso (il più
basso in Europa) e non devono avere nessuna capacità decisionale o comunque devono occupare un
gradino più basso rispetto ai medici nella gerarchia della sanità, pur mantenendo un carico di
responsabilità davvero sbilanciato con tutto il resto.
Va detto che qualcuno dei nuovi dottori presenta un'apertura mentale diversa, ma buona parte della
vecchia classe è radicata alle convinzione che il medico è padrone della salute e, come una casta
politica difende i privilegi acquisiti, arroccandosi in una fortezza cinta dalla convinzione che la
laurea in medicina valga più di tutte le altre.
Dalle tante polemiche lette, spesso sterili e prive di fondamento, emerge che mai nessuno ha messo
in discussione la competenza medica per quanto riguarda diagnosi e cura. Ma sull'assistenza....?
Non è forse l'infermiere che viene formato per la gestione dell'assistenza? Non è forse lui ad averne
la piena responsabilità? Dove è scritto, se non in vecchi testi di medicina, che l'infermiere deve
erogare la propria assistenza secondo le disposizioni del medico?
Questa evoluzione della professione spaventa in molti, soprattutto i tanti medici che, avendo seguito
la carriera politica sono al governo e possono boicottare ogni tentativo di cambiamento
(naturalmente degli altri).
Perché le specializzazioni infermieristiche non sono mai partite? Perché in tanti ospedali,
soprattutto al sud non si è ancora insediata la figura del Dirigente Infermieristico? Perché il nostro
albo professionale non difende l'immagine del professionista suo iscritto? E' triste vedere che la
gente chiama "infermiere" ogni camice bianco che si aggira dentro e fuori un ospedale: ne è
dimostrazione il fatto che anche la segretaria che opera in uno studio medico viene chiamata
infermiera pur non avendo conseguito nessun titolo, o anche l'operatore O.S.S. che si offre di
garantire assistenza infermieristica a domicilio. Non sarebbe stato opportuno allora iniziare una
bella campagna informativa in grado di far conoscere davvero la professione infermieristica alla
popolazione?
Tante domande a cui è difficile dare risposta, anche se la stessa è semplice: in Italia,
l'infermiere deve stare un gradino sotto al medico. E allora non prendiamoci in giro con i soliti
discorsi retorici secondo i quali sono gli infermieri stessia non voler progredire, oppure con le
timide proposte di legge che dovrebbero valorizzare la professione e non portano mai a nulla.
Ancora oggi, nel 2015, mi capita spesso di leggere spesso la frase "il personale medico e
paramedico del reparto di...", perché in questo paese esistono i medici e poi il resto del mondo, con
una cancellazione di identità che poco si sposa con quanto viene promesso agli studenti infermieri
durante il loro percorso di studi.
Allora non parliamo di lavoro d'équipe che esiste nel sistema anglosassone, di certo non in Italia. E'
anche vero che le cose stanno cambiando, ma quanto tempo ci vorrà ancora affinché si diventi tutti
operatori sanitari? Quante diatribe saranno ancora necessarie perché l'infermiere sia riconosciuto e
rispettato come un professionista della sanità al pari del medico (naturalmente ognuno con le
proprie competenze)? Durante il periodo di degenza in ospedale una persona non ha bisogno solo
di diagnosi e cura ma anche di una dignità e di un decoro che è in grado di offrirgli solo chi si
occupa con coscienza dell'assistenza: l'infermiere. Altrimenti si fa un passo indietro di almeno 50
anni. Fatto sta che tutti i professionisti che operano in un ospedale sono importanti per il buon esito
di un percorso di cura, ognuno per il settore di propria pertinenza.
Continuare ad insistere su un sistema gerarchico verticale, serve solo a frenare un sistema che in
realtà dovrebbe evolversi per un miglioramento dell'assistenza al paziente.
Dr. Giuseppe Iraci Sareri
Infermiere presso Anestesia e Rianimazione
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