18 - Regione Sardegna

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Cultura
Costituita a San Vito
l’Accademia delle launeddas
Per iniziativa di Luigi Lai con il fine di difendere e valorizzare i “sonos de canna”
egli anni ’60 rischiavano l’estinzione. Oggi sono
apprezzate e studiate in tutto il mondo. Le
launeddas, strumento simbolo della millenaria
tradizione musicale isolana, dal 12 luglio scorso hanno la
loro Accademia: un luogo di eccellenza dove studiare,
difendere e valorizzare i sonus de canna.
L’idea è venuta a Luigi Lai, il più grande suonatore
vivente, l’uomo che ha fatto conoscere le sonorità
magiche delle launeddas in tutto il mondo. Quasi un
segno del destino: l’Accademia sorge a San Vito, centro
del Sarrabus, terra di impareggiabili suonatori e di
perfetti ballerini. Da queste parti sono nati, o hanno
vissuto, Austinu Vacca, Gioacchino e Giuannicu Cabras,
Felicino Pili, Efisio Melis, Aurelio Porcu, i fratelli
Emanuele e Antonio Lara. Nomi scolpiti nella memoria
collettiva, uomini che hanno fatto ballare intere
generazioni di sardi.
Per la cerimonia di inaugurazione, sono arrivati a San
Vito quattro sacerdoti: il parroco del paese don Antonio
Usai, per sette anni missionario in Brasile, il suo vice
don Giordano Podda, l’ex parroco don Giuseppe Pes, ora
a Monastir, e il parroco di Barumini, don Aldo
Carcangiu, grande amico del maestro. Don Usai benedice
i locali dell’Accademia. Tra il pubblico, alcuni dei nomi
più importanti del panorama musicale isolano: Elena
Ledda, Mauro Palmas, Gavino Murgia. Tutti hanno
parole di elogio e incoraggiamento per Luigi Lai.
L’Accademia nasce senza contributi pubblici. Così ha
voluto il maestro rifiutando l’offerta del Comune di San
Vito. “Questo deve essere il luogo dove studiare la storia,
l’evoluzione e i diversi linguaggi delle launeddas – dice
Luigi Lai – oggi l’obiettivo è la qualità. Negli anni ’60 la
priorità era salvare lo strumento dall’estinzione, ora
bisogna tutelarlo dal pressappochismo e dalle
improvvisazioni. Vedo in giro troppa “zavorra”, se non si
garantisce qualità lo strumento è destinato a morire”.
L’Accademia sarà aperta agli altri generi musicali. Luigi
Lai non teme il confronto, trent’anni fa, con la
partecipazione all’album “La Pulce d’Acqua” di Angelo
Branduardi e al successivo tour nelle piazze di tutta
Italia, ha inaugurato la stagione delle sperimentazioni.
“Occorre dialogare con tutti. Ben vengano le
contaminazioni. Il confronto non è mai negativo. Chi
danneggia lo strumento e la tradizione sono i pessimi
N
suonatori-soffiatori che oggi girano per l’isola”.
Luigi Lai, da anni, insegna a Cagliari alla scuola delle
launeddas. Nel suo corso si è formata e continua a
formarsi una nuova generazione di suonatori. I suoi
consigli e le sue insistenze hanno permesso di produrre
qualità. “L’importante è non fermarsi. Chi crede di aver
imparato tutto non ha capito nulla. Io stesso, a 76 anni,
posso dire di non sentirmi arrivato. Ci sono ancora tante
cose da perfezionare”.
Luigi Lai maestro de “sonos de canna”
Erede di una lunga e gloriosa tradizione di suonatori di launeddas del Sarrabus
Luigi Lai nasce a San Vito, rione Orrea-S’Arcu ’e Congiu,
il 25 Luglio del 1932. Si avvicina alle launeddas da
bambino. L’incontro con lo strumento avviene in
occasione di una festa paesana. Rimane folgorato dalle
sonorità magiche dei sonus de canna. Per giorni tormenta
il padre, Vito, e la madre, Felicita Melis: vuole le launeddas
ad ogni costo. La sua insistenza, alla fine, viene premiata:
i genitori le acquistano per lui da un costruttore di
Muravera. Luigi Lai, per mesi, non si stacca dallo
strumento a tre canne. I primi passi sono da autodidatta.
Impara da solo la respirazione a fiato continuo, insieme ad
altri ragazzini di San Vito passa le giornate a provare e
riprovare i brani della tradizione.
Nei primi anni ’40 l’incontro decisivo con Antonio Lara,
uno dei grandi interpreti, insieme ad Efisio Melis, dei
sonus de canna. Sarà il suo maestro per sei anni
consecutivi, da lui apprende tutti i segreti dello strumento.
È uno studio lungo e minuzioso: Luigi Lai si reca a piedi da
San Vito a Villaputzu per seguire le sue lezioni, lo
accompagna alle feste paesane dove Lara viene chiamato
per le processioni e i balli in piazza.
Nel 1948, a soli sedici anni, l’esordio da suonatore: avviene
a Barumini in occasione della Festa di Santa Lucia. Nel
centro della Marmilla inizia la folgorante carriera di Luigi
Lai. Da lì parte il lungo viaggio che lo condurrà
nell’Olimpo dei grandi interpreti della tradizione musicale
isolana. Come in tutte le belle storie, c’è però un periodo
Agosto-Settembre 2008
A sentirlo non sembra. Le sonorità prodotte dalle sue
launeddas e da quelle del suo allievo prediletto, Fabio
Vargiolu, hanno qualcosa di magico: musica identitaria
di altissimo livello.
“Ascoltare Luigi Lai è sempre una grande emozione –
dice Salvatore Atzeni, da 33 anni organizzatore del
festival di Digione in Francia –. Ricordo la sua prima
esibizione da noi. Il pubblico rimase incantato. Non
riusciva a spiegarsi il miracolo di uno
strumento suonato a fiato continuo”.
“Luigi Lai è la storia – aggiunge Giuliano
Marongiu, presentatore TV – una sua
esecuzione vale un’intera serata. Nessuno
come lui riesce a catturare l’attenzione
della gente”. Tra il pubblico c’è anche un
allievo speciale, Augusto Marini, di
professione cardiologo. “Ho capito perché i
suonatori di launeddas vivono a lungo –
dice Marini – con il loro modo di suonare
fanno ogni giorno terapia iperbarica,
aumentando la presenza di ossigeno nel
sangue”.
Chiusa la cerimonia, l’attenzione dei
presenti è tutta rivolta agli oggetti presenti
nei locali. L’Accademia ospita i cimeli della
carriera del maestro. Dentro le vetrine, i
diversi tipi di launeddas. Ogni canna ha la
sua caratteristica timbrica: fiorassiu,
spinellu, mediana a pipia, punt’e organu.
Nelle teche il primo stracasciu (astuccio per il trasporto
dello strumento ndr.) costruito da Luigi Lai e le
launeddas utilizzate nella tournée con Angelo
Branduardi. Appesi al muro i manifesti dei suoi concerti
in giro per il mondo, il diploma di cavaliere conferitogli
da Francesco Cossiga e la pergamena del “Premio alla
Carriera”, ricevuto a Cagliari in occasione del Jazz Expò
2007. E ancora: l’archivio fotografico e i tanti articoli
dedicati a Luigi Lai dalla stampa locale, nazionale e
internazionale, raccolti con pazienza da Gabriella Sanna.
“Il suo è stato un contributo decisivo – dice il maestro –
senza il suo aiuto non sarei mai riuscito a riordinare
tutto il materiale custodito in cassetti e bauli”.
All’Accademia sono intanto arrivate le prime iscrizioni. Il
primo allievo però Luigi Lai ce l’ha in casa. È il nipote
Riccardo, tre anni e mezzo, la musica nel sangue. Grazie
ai preziosi insegnamenti del nonno comincia ad emettere
le prime note. A lui e agli allievi che seguiranno le sue
lezioni, Lugi Lai è pronto a regalare tutto il suo sapere.
“A 76 anni il mio unico desiderio è che il Signore mi
mantenga in salute. Ho ricevuto tanto dalla mia famiglia
e dal mio pubblico, adesso è venuto il momento di
seminare e io, statene certi, ho ancora tanto da dare”.
Pier Sandro Pillonca
buio. A metà degli anni ’50 la Sardegna viene invasa dalla
cosiddetta musica civile. Valzer, tango, mazurka e, più
tardi, twist e rock spazzano via i balli sardi. Fisarmoniche,
batterie e chitarre elettriche prendono il posto dello
strumento a tre canne.
Nel 1956, Luigi Lai, è costretto a lasciare la Sardegna.
Parte in Svizzera con la moglie Rosina. Fa il calzolaio ma
non dimentica la musica. Nel paese d’Oltralpe rimane per
15 anni, poi, nel 1971, il rientro a San Vito. È il periodo in
cui, lentamente, la gente si riavvicina ai temi dell’identità.
I danni causati dal colonialismo materiale e culturale sono
però incalcolabili. In Sardegna i suonatori di launeddas si
contano sulle dita di una mano. È grazie all’opera di Luigi
Lai e di pochi altri che lo strumento viene salvato
dall’estinzione. Nascono le prime scuole di launeddas, si
forma una nuova generazione di esecutori. Nel 1971 Luigi
Lai viene chiamato ad accompagnare la processione di
Sant’Efisio a Cagliari. Da allora la sua sarà una presenza
continua, le note magiche del suo strumento faranno da
colonna sonora alla sagra del Primo Maggio. Ma è fuori
dai confini regionali che il maestro ottiene le più grandi
soddisfazioni. Nel 1977, in tour con Angelo Branduardi,
incanta le piazze di tutta Italia, poi arrivano i concerti
nelle principali capitali europee, a New York, Tokyo,
Sidney. Un’avventura lunga quarant’anni che il maestro
porta ancora avanti con l’entusiasmo di un ragazzino.
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