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R
EUMATOLOGIA
PRATICA
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
SETTEMBRE 2010
NUMERO 3
VOLUME 5
IL CONCETTO DI REMISSIONE NELL’ARTRITE
REUMATOIDE
A. Picchianti Diamanti, V. Germano, B. Laganà ... 57
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Direttore Editoriale
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Raffaella Michieli
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LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE CON DOLORE
CERVICALE NON SPECIFICO
M. Cazzola ............................................... 63
COSA FARE DI FRONTE A UNA SOSPETTA
ARTRITE INIZIALE?
M. Colina, F. Trotta...................................... 74
PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA VACCINAZIONE
IN SOGGETTI AFFETTI DA ARTRITE
I. Chiarolanza, N. Pipitone ........................... 77
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Ufficio Editoriale
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COLLEGIO REUMATOLOGI
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Bianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità acquisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.
libri
Tajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and
infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly
J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and
neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8.
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SETTEMBRE 2010 VOLUME 5 PAGINE 57-62
IL CONCETTO
DI REMISSIONE
NELL’ARTRITE
REUMATOIDE
PAROLE CHIAVE
3FNJTTJPOF t "UUJWJUË EJ NBMBUUJB t "HFOUJ CJPMPHJDJ t
DMARDs
RIASSUNTO
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica a patogenesi autoimmune caratterizzata da una sinovite simmetrica ed erosiva. Vi è ormai forte evidenza che l’infiammazione, il danno articolare e la conseguente disabilità
siano eventi precoci nel decorso della malattia. Negli ultimi anni lo sviluppo di strumenti diagnostici più sensibili
e specifici (anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato, risonanza magnetica, ecografia articolare) e di terapie più
selettive ed efficaci (inibitori del TNF-B e nuovi agenti biologici) ha permesso notevoli passi avanti nella gestione
dei pazienti con AR, tanto che oggi si può puntare a un obiettivo ben più ambizioso del semplice miglioramento
dei sintomi e/o segni della malattia, ovvero la remissione completa. Ancora oggi, tuttavia, definire il concetto
di remissione, nonché interpretare i risultati degli studi internazionali, è reso difficile dalla presenza di numerosi
criteri di valutazione clinica e strumentale. Inoltre, la possibilità di indurre la remissione apre nuovi interrogativi
che devono essere chiariti per consentire le più opportune strategie terapeutiche: tra questi, l’individuazione
di fattori prognostici di malattia e il mantenimento della remissione. La possibilità di mantenere una remissione
completa anche dopo la sospensione delle terapie immunosoppressive sintetiche, biologiche o di entrambe è
stata infatti valutata da differenti autori, ma con risultati ancora preliminari e contrastanti.
ANDREA PICCHIANTI DIAMANTI,
VALENTINA GERMANO, BRUNO LAGANÀ
Azienda Ospedaliera “Sant’Andrea”,
Sapienza Università di Roma, Seconda Facoltà,
Cattedra di Immunologia Clinica,
Allergologia e Reumatologia
Bruno Laganà
[email protected]
nomico sia per il singolo individuo sia per il sistema
sanitario.
Recentemente l’obiettivo “remissione” si è reso sempre
più realizzabile nei soggetti con AR grazie soprattutto
alla possibilità di una diagnosi precoce e all’utilizzo
di strategie terapeutiche più incisive.
DIAGNOSI PRECOCE
La possibilità di ottenere una diagnosi di AR quanto
più precoce e allo stesso tempo specifica si è andata
realizzando negli ultimi anni grazie all’utilizzo di nuovi strumenti diagnostici quali gli anticorpi anti-peptide
ciclico citrullinato (anti-CCP), la risonanza magnetica
(RM) con mezzo di contrasto e l’ecografia articolare
con sonde ad alta frequenza e utilizzo del segnale
Power Doppler. La radiografia convenzionale è infatti
in grado di visualizzare soltanto le alterazioni articolari più avanzate nei pazienti con AR, mentre è ormai
appurato come la risonanza magnetica e l’ecografia articolare siano in grado di definire anche lesioni
articolari iniziali quali le microerosioni, la sinovite e,
peculiarità della risonanza, un’alterazione pre-erosiva quale l’edema osseo. Vincoli diagnostici come i
criteri ACR (American College of Rheumatology) del
1987 1, ormai considerati obsoleti soprattutto per la
REUMATOLOGIA
pratica
INTRODUZIONE
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica a patogenesi autoimmune, caratterizzata da una sinovite
simmetrica ed erosiva, spesso associata a manifestazioni extra-articolari. Il decorso clinico è estremamente
variabile, da forme lievi autolimitantesi a forme aggressive che evolvono rapidamente verso la disabilità. In numerosi pazienti si evidenzia un andamento
caratterizzato dall’alternarsi di fasi di attività e di quiescenza, che conduce alla distruzione e alla deformità
articolare con grave impedimento funzionale. L’AR si
associa a un considerevole aumento di morbilità e
mortalità, oltre a rappresentare un notevole onere eco-
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
57
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
scarsa sensibilità nelle forme precoci, saranno superati al completamento del processo di validazione dei
nuovi criteri. Per supporre una diagnosi di AR precoce, Emery ha proposto nel 2003 alcuni criteri quali
la tumefazione di tre o più articolazioni, il coinvolgimento delle articolazioni metatarsofalangee (MTF)
e metacarpofalangee (MCF), e la rigidità mattutina
maggiore di trenta minuti. Questi criteri devono essere tutti presenti e supportati da altre valutazioni come
la cronicità (maggiore di 12 settimane), un aumento
degli indici di flogosi, la presenza del fattore reumatoide e/o degli anticorpi anti-CCP, infine alterazioni
all’ecografia e/o alla RM.
TERAPIE BIOLOGICHE
La comprensione sempre più approfondita della patogenesi dell’AR ha inoltre portato allo sviluppo e all’introduzione in commercio di agenti biologici in grado
di bloccare a diversi livelli la cascata di eventi patogenetici alla base della malattia. Essi rappresentano
senz’altro un ulteriore importante elemento che contribuisce al raggiungimento della remissione.
I primi a essere introdotti e attualmente più utilizzati
sono i 3 inibitori del Tumor Necrosis Factor (TNF)-B:
il recettore di fusione dimerico etanercept e i due anticorpi monoclonali anti-TNF, l’infliximab chimerico e
l’adalimumab umanizzato. Più recentemente sono stati
introdotti altri agenti biologici: il rituximab, anticorpo
monoclonale chimerico anti-CD20, l’inibitore del co-
stimolo abatacept, costituito dalla porzione extracellulare del CTLA4 unita al frammento Fc di una IgG1
umana, il tocilizumab, inibitore del recettore per l’interleuchina-6, quest’ultimo con possibilità di somministrazione non solo ai pazienti non responders agli antiTNF-B, ma anche in pazienti naïve agli stessi; infine,
in via di commercializzazione il golimumab, nuovo
anticorpo monoclonale anti TNF-B, e il certolizumab,
anticorpo monoclonale anti-TNF-B peghilato.
Numerosi studi hanno evidenziato la sicurezza e l’efficacia di tali terapie nel ridurre l’attività di malattia nei pazienti con AR; tuttavia è stato successivamente osservato
come il loro utilizzo in una fase più precoce permetteva
di ottenere risultati ancor più eclatanti. È stato quindi coniato il concetto di “window of opportunity” per definire
in maniera più oggettiva quel periodo in cui l’intervento
terapeutico precoce può consentire una migliore risposta clinica 2; si è quindi andato definendo in maniera
sempre più rigorosa il limite temporale per poter definire
un AR “precoce” che oggi la maggior parte degli autori
considera ≤ 12 mesi dall’insorgenza di sintomi.
L’istituzione di early arthritis centers, con la conseguente possibilità di poter giungere a una diagnosi certa
di AR entro poche settimane/mesi dall’insorgenza dei
sintomi, e l’avvento di terapie sempre più mirate ed
efficaci hanno dunque rappresentato un’autentica rivoluzione nella gestione di tale patologia, portando
negli ultimi anni a una revisione degli obiettivi primari
del trattamento terapeutico.
TABELLA I. Principali criteri per la valutazione della remissione nei pazienti con artrite reumatoide.
CRITERI
3&.*44*0/&
ACR assenza di: rigidità mattutina, astenia, dolore articolare 5 criteri su 6
anamnestico, dolorabilità articolare al movimento, tumefazione
articolare; VES < 20-30mm/h
ACR modificato (non viene più considerata l’astenia)
4 criteri su 5
FDA
Remissione ACR + arresto progressione radiografica (Sharp/
van der Heijde o Larsen) per almeno 6 mesi in assenza di
terapia.
EULAR
DAS28
< 2,6
DAS44
< 1,6
CDAI
≤ 2,8
SDAI
≤ 3,3
ACR: American College of Rheumatology; VES: velocità di eritrosedimentazione; FDA: Food and Drug Administration; EULAR: European League Against
Rheumatoid Arthritis; DAS28: Disease Activity Score su 28 articolazioni; DAS44: Disease Activity Score su 44 articolazioni; CDAI: Clinical Disease Activity Index; SDAI: Simplified Disease Activity Index.
REUMATOLOGIA
pratica
58
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
IL CONCETTO DI REMISSIONE NELL’ARTRITE REUMATOIDE
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
A. PICCHIANTI DIAMANTI, V. GERMANO, B. LAGANÀ
DAS44; misurazione graduata del dolore articolare
evocato dalla palpazione da parte dell’esaminatore
con uno score massimo di 78), valutazione della tumefazione su 44-28 articolazioni, VES e stato globale
di salute (GH) determinabile attraverso una scala visiva analogica da 0 a 100. La complessa valutazione
attraverso le formule “0,54x–(Ritchie) + 0,06xSJC44
+ 0,33lognat(ESR) + 0,0072xGH” per il DAS44 e
“0,56x–(TJC) + 0,28x–SJC + 0,70lognat(ESR) +
0,014xGH” per il DAS28, vengono rese facilmente
determinabili attraverso l’inserimento dei parametri suddetti in appositi strumenti di calcolo o in siti internet dedicati. Si può parlare di remissione clinica in presenza
di un’attività di malattia inferiore a 1,6 per il DAS44
e 2,6 per il DAS28, per almeno 2 mesi consecutivi 3.
Quest’ultimo, non considerando articolazioni quali le
tibiotarsiche e i piedi, pur riducendo il tempo della
valutazione può causare una sottostima dell’attività di
malattia. Il criterio SDAI (Simplified Disease Activity
Index) è un indice semplificato del DAS e comprende 5 componenti: articolazioni tumefatte e dolenti su
28 totali, proteina C reattiva (PCR), attività di malattia
definita dal paziente e dal medico valutata mediante
VAS. Il range è 0,1-86 e la remissione corrisponde a
valori ≤ 3,3. Il criterio CDAI (Clinical Disease Activity
Index) è anch’esso un indice semplificato che deriva
dal DAS e indica la remissione per valori ≤ 2,8 4
(Tab. I). Tra i numerosi studi che hanno comparato la
performance delle differenti definizioni di remissione
al fine di individuare un unico gold standard, menzioniamo lo studio QUEST-RA (Questionnaires in Standard Monitoring of Patients with RA) condotto su circa
6000 pazienti. Tale studio ha dimostrato, di rilevante,
l’ampia variabilità tra i differenti indici, con una percentuale di remissione dell’8,6% secondo i criteri ACR
e del 19,6% utilizzando il DAS28 negli stessi soggetti
esaminati, a sottolineare quindi la necessità di uniformare i parametri da utilizzare nei futuri trial 5. Sebbene
la terapia con farmaci convenzionali in associazione
e con biologici sia da considerarsi efficace nel migliorare la clinica e la funzionalità di alcuni pazienti con
AR, tuttavia la progressione radiografica e la correlata
disabilità possono risultare più difficilmente contrastabili. Appare dunque sempre più evidente come, oltre
a dover uniformare il criterio clinico, per valutare più
correttamente la remissione bisognerebbe considerare
insieme i dati clinici e radiografici: solo in presenza
di una remissione clinica e strumentale possiamo considerare un paziente con AR in “remissione completa”
o “true remission”.
REUMATOLOGIA
pratica
CRITERI DI REMISSIONE
La remissione nei pazienti con AR non è tuttavia una novità, bensì un rebus che appassiona i reumatologi da
almeno trent’anni, come ci ricorda il lavoro di Pinals et
al. del 1981, Preliminary criteria for clinical remission
in rheumatoid arthritis. Solo recentemente, però, tale
possibilità si è andata concretizzando nella pratica
quotidiana rendendosi disponibile per una percentuale
sempre maggiore di pazienti, tanto da divenire l’obiettivo stesso della terapia. Ancora oggi, tuttavia, definire
il concetto di remissione per l’AR è reso difficile dalla
mancanza di un unico gold standard di misurazione:
numerosi criteri sono stati infatti validati per valutare
in maniera il più possibile oggettiva e omogenea la
remissione, che fossero allo stesso tempo di semplice
esecuzione nella pratica clinica. Le scale di valutazione prendono in considerazione differenti aspetti della
malattia quali l’attività infiammatoria, la funzione fisica
e il danno articolare. I primi indici di remissione sono
stati introdotti dall’ACR nel 1982. Secondo l’ACR viene raggiunta la remissione quando sono soddisfatti almeno cinque tra i seguenti criteri per almeno due mesi
consecutivi: rigidità mattutina < 15 minuti, assenza di
astenia, dolore articolare anamnestico, dolorabilità articolare al movimento, tumefazione articolare e velocità di eritrosedimentazione (VES) < 20-30mm/h. Nella
forma modificata (ACRm), la valutazione dell’astenia
è stata rimossa, e l’assenza anamnestica di dolore sostituita dalla valutazione dello stesso mediante scala
analogica visiva (VAS). Il raggiungimento della remissione si ottiene soddisfacendo almeno quattro dei cinque criteri revisionati. Questi criteri, tuttavia, non considerano il blocco della progressione radiografica e
l’interruzione della terapia farmacologica. Sono quindi
state definite dalla Food and Drug Administration (FDA)
tre categorie di remissione di malattia: risposta clinica completa, risposta clinica maggiore, remissione.
Quest’ultima prende in considerazione i criteri ACR di
remissione, aggiungendo però l’arresto della progressione radiografica valutato secondo Larsen o Sharp;
inoltre, sia i criteri ACR sia l’arresto di progressione
radiografica devono persistere almeno sei mesi dall’interruzione della terapia. Nell’ampio spettro dei criteri
di remissione, l’European League Against Rheumatoid
Arthritis (EULAR) ha introdotto nel 1996 ulteriori parametri che valutano il grado di attività di malattia su
44 (DAS44, Disease Activity Score) o su 28 (DAS28)
articolazioni. Il DAS44 e il DAS28 (range 1-9 e 2-10,
rispettivamente), sono calcolati considerando quattro
parametri: l’indice articolare di Ritchie (soltanto per il
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
Per andare a quantificare il danno radiologico ci
sono numerosi sistemi di score, tra cui il più utilizzato è quello di Sharp 6. Questo consiste in una misura
separata delle erosioni (17 aree) e del restringimento
dello spazio articolare (18 aree). Le erosioni vengono
registrate in relazione alla superficie coinvolta (valore
massimo 5). Il restringimento dello spazio articolare
viene considerato con un punteggio da 0 a 4 (dalla
normalità all’anchilosi). Questo sistema venne modificato da van der Heijde alcuni anni dopo per includere la valutazione non solo delle mani, ma anche dei
piedi. I parametri presi in considerazione sono sempre gli stessi, con uno score totale da 0 a 120. Infine,
lo score di Larsen applica un punteggio da 0 a 5 in
relazione alla severità del danno (numero e localizzazione, dimensione delle erosioni, riduzione dello spazio articolare, profilo osseo). La remissione si definisce
in assenza di progressione radiologica e comparsa di
nuove erosioni. La valutazione delle immagini in RM
viene invece effettuata tramite lo score internazionale OMERACT (Outcome Measures in Rheumatology
Clinical Trias) 7. Le lesioni prese in considerazione
sono le erosioni cui viene assegnato un punteggio da
1 a 10 in base all’entità del danno, l’edema osseo
(lesione a margini definiti che aumenta l’intensità del
segnale nelle sequenze T2), il cui punteggio varia da
1 a 10, e la sinovite a livello delle articolazioni MCF
dalla II alla V e del carpo assegnando un punteggio
da 0 a 3.
STRATEGIE TERAPEUTICHE
La migliore strategia terapeutica per poter indurre una
remissione completa e sostenuta emerge da diversi
trial che hanno valutato l’utilizzo, in una fase precoce
di malattia, di terapie combinate. Tra questi, lo studio
PREMIER, che ha mostrato una percentuale di remissione clinica dopo il primo anno nel 43% dei pazienti
trattati con l’associazione adalimumab e methotrexate
(MTX) e un’assenza di progressione radiologica nel
64% 8. Lo studio BEST (Behandel Strategieen) ha evidenziato un 38% di remissione e 93% di mancata progressione radiografica nei pazienti trattati con MTX e
infliximab a un anno, infine lo studio COMET (Combination of Methotrexate and Etanercept in Active Early
Rheumatoid Arthritis) ha riportato, con l’associazione
etanercept e MTX, una percentuale di remissione clinica del 50% e assenza di progressione radiologica
nell’80% dopo un anno di terapia 9 10. L’estensione di
tali studi ha inoltre confermato i dati conseguiti nel
primo anno di osservazione.
REUMATOLOGIA
pratica
60
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
Ulteriore supporto alla strategia per indurre una remissione sostenuta è il monitoraggio frequente dell’andamento della malattia, con conseguente adeguamento
del regime terapeutico (tight control). A tal proposito,
lo studio TICORA (Tight Control for Rheumatoid Arthritis) ha dimostrato come il tasso di remissione fosse
significativamente superiore in un gruppo di pazienti
con AR precoce inseriti in un programma di monitoraggio intensivo (visite mensili con regolare valutazione dell’attività di malattia tramite DAS) rispetto al gruppo inserito in un monitoraggio di routine. Un secondo
elemento rilevante ha evidenziato che la terapia con
DMARDs (Disease-Modifying Antirheumatic Drugs) veniva interrotta per tossicità nel 16% dei casi nel primo
gruppo rispetto al 43% del secondo, probabilmente
in correlazione alla possibilità di rassicurare i pazienti
nei confronti della terapia e di consentire modifiche
più tempestive. Infine, lo studio CAMERA (Computer
Assisted Menagement in Early Rheumatoid Arthritis) ha
mostrato come il sistematico monitoraggio mediante
un programma decisionale di valutazione computerizzata e un follow-up mensile consentissero di ottenere
una maggiore percentuale di remissione.
QUESITI APERTI
Poter indurre la remissione apre nuovi scenari ancora
poco esplorati e la necessità di risolvere nuovi quesiti
terapeutici:
1. è possibile prevedere quali pazienti avranno maggiore probabilità di raggiungere tale obiettivo? In
effetti, sono oggi auspicabili fattori prognostici capaci di determinare nel singolo paziente il tipo di
progressione di malattia, e quindi la più opportuna
strategia terapeutica. Dai lavori pubblicati su tale
argomento emergono differenti predittori di remissione: il sesso maschile, la giovane età, l’assenza
di abitudine al fumo, la breve durata di malattia,
una bassa attività di malattia, di disabilità e di
danno radiologico all’esordio; l’assenza di fattori
reumatoidi e anti-CCP, bassi livelli dei reattanti di
fase acuta, IL-2 e RANKL (Receptor Activator for
Nuclear Factor X B Ligand) all’esordio; inoltre, l’utilizzo precoce di una strategia terapeutica aggressiva quale la combinazione di differenti DMARDs
o l’associazione con anti-TNF-B 11;
2. come mantenere la remissione? È infatti evidente
che, se da un lato la riduzione/sospensione delle terapie immunosoppressive consentirebbe una
riduzione degli effetti collaterali nonché dei costi
diretti della terapia, dall’altro si potrebbe correre
IL CONCETTO DI REMISSIONE NELL’ARTRITE REUMATOIDE
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
CONCLUSIONI
Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli passi
avanti nella comprensione della patogenesi, nella
precocità diagnostica, nell’individuazione di fattori
A. PICCHIANTI DIAMANTI, V. GERMANO, B. LAGANÀ
predittivi di risposta e, in generale, nella complessa
gestione dei pazienti con AR. Questo ha reso possibile, per un numero sempre maggiore di pazienti, il
raggiungimento dell’obiettivo remissione, fino a pochi
anni fa considerato quasi una chimera. Rimane tuttavia molto da fare, soprattutto considerando quella
percentuale di pazienti che nonostante le nuove strategie terapeutiche non risponde in maniera adeguata
e/o duratura.
Infine, lavori su un’ampia casistica, condotti con criteri
clinici univoci e con l’utilizzo delle nuove tecniche di
imaging, sono indispensabili per definire quali siano
le migliori strategie terapeutiche per mantenere una
remissione completa e sostenuta.
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1
REUMATOLOGIA
pratica
il rischio di indurre riacutizzazioni di malattia con
possibile aumento dei costi indiretti dovuti alla conseguente disabilità.
I risultati ottenuti dai diversi autori sono però preliminari e contrastanti in conseguenza del farmaco biologico in studio, della durata del follow-up, ma specialmente dei diversi criteri e tecniche di imaging utilizzati
per valutare la remissione clinica e radiologica. Alcuni lavori hanno infatti evidenziato la possibilità di
mantenere uno stato di remissione clinica a un anno
dalla sospensione della terapia biologica in una significativa percentuale di pazienti. Tale percentuale si va
tuttavia assottigliando se considerata in associazione
alla remissione radiologica, e ancor più se per la rilevazione di tale remissione si sono utilizzate le nuove
e più sensibili tecniche di imaging 12 13. Un dato che
suggerisce cautela nella sospensione della terapia è
infatti il frequente riscontro di una dissociazione tra
attività clinica e progressione del danno articolare
con la dimostrazione di una persistente infiammazione articolare anche nei pazienti in remissione clinica.
In particolare è stato evidenziato, anche dal nostro
gruppo, un peggioramento del danno articolare indagato con la RM in pazienti in remissione clinica
dopo la sospensione delle terapie biologiche 14. Un
altro dato interessante emerge da un recente lavoro di
Saleem et al., che riporta come l’unico fattore associato con una maggiore probabilità di mantenere la
remissione dopo la sospensione degli anti-TNF-B sia
l’inizio precoce del trattamento con tali agenti, che
eviterebbe l’instaurarsi di alterazioni immunologiche
irreversibili 15. Infine, da una recente metanalisi volta a
valutare la sospensione delle terapie immunosoppressive sintetiche, viene riportata un’aumentata frequenza
di riacutizzazioni di malattia nei pazienti che hanno
seguito tale approccio terapeutico.
Le ultime raccomandazioni dell’EULAR descrivono
come la forza dell’evidenza non sia sufficiente in questo momento a definire in maniera certa come mantenere la remissione, tuttavia suggeriscono, prima di
un’eventuale sospensione, di ridurre dapprima la dose
o la frequenza di somministrazione della terapia biologica mantenendo la terapia con DMARDs e rivalutando frequentemente l’attività di malattia, il tutto dopo
almeno 12 mesi di remissione persistente 16.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
61
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
9
10
11
12
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REUMATOLOGIA
pratica
8
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
13
14
15
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longed treatment with anti-tumor necrosis factor medication in early rheumatoid arthritis. Arthritis Rheum
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IL CONCETTO DI REMISSIONE NELL’ARTRITE REUMATOIDE
LA VALUTAZIONE
DEL PAZIENTE CON
DOLORE CERVICALE
NON SPECIFICO
SETTEMBRE 2010 VOLUME 5 PAGINE 63-73
PAROLE CHIAVE
%PMPSFDFSWJDBMFt&QJEFNJPMPHJBt'BUUPSJEJSJTDIJP
RIASSUNTO
Il dolore cervicale rappresenta un problema quotidiano nell’attività ambulatoriale del medico di medicina generale.
Qualsiasi patologia che coinvolga le strutture localizzate al di sopra del cingolo scapolo-omerale, in teoria, potrebbe
essere la causa di dolore cervicale anche se, in realtà, quasi sempre si tratta di dolore cervicale non specifico. È
tuttavia necessario un processo diagnostico differenziale che dovrebbe essere basato, inizialmente, su un’accurata
raccolta anamnestica, sull’esame obiettivo articolare e neurologico e sull’utilizzo di questionari di autovalutazione. Il
ricorso alle metodiche di immagine e ad esami elettrofisiologici dovrebbe essere limitato a quei pazienti in cui il processo diagnostico fa sospettare patologie potenzialmente serie; in tutti gli altri casi, infatti, la correlazione tra risultati
delle indagini strumentali, gravità del dolore cervicale ed outcome è risultata modesta.
MARCO CAZZOLA
Responsabile Degenza Riabilitativa Ortopedica
Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo”
di Busto Arsizio – Presidio di Saronno
[email protected]
numerose patologie, reumatiche e non, che si possono manifestare con dolore al collo. Il dolore cervicale (DC), infatti, può rappresentare uno dei sintomi di
qualsiasi malattia che coinvolga strutture localizzate al
di sopra del cingolo scapolo-omerale, sebbene esso
sia raramente la manifestazione di neoplasie, infezioni o altre patologie occupanti spazio che coinvolgano
il collo e il capo. Il DC può anche essere uno dei
sintomi di sindromi disfunzionali, attualmente definite
come sindromi da sensibilizzazione centrale, quali la
fibromialgia e la sindrome temporo-mandibolare 1.
Numerose malattie reumatiche infiammatorie, infine,
possono coinvolgere il rachide cervicale (spondiloartriti sieronegative, artrite reumatoide, polimialgia
reumatica, ecc.). Numerose indagini diagnostiche,
strumentali e di laboratorio, possono essere utilizzate
per porre una diagnosi differenziale tra queste diverse
condizioni ma, una volta escluse malattie sistemiche o
cause meta-traumatiche alla base del DC, la semeiotica clinica riveste un ruolo ancora oggi importante per
individuarne l’origine e per impostare un adeguato
programma terapeutico.
VALUTAZIONE CLINICA DEL PAZIENTE
AMBULATORIALE
La prima richiesta anamnestica è se c’è stato un trauma. In ambiente di medicina d’urgenza la prima cosa
che si vuole escludere è la presenza di fratture o lussazioni che richiedano un approccio chirurgico. Fratture
ed instabilità vertebrali rappresentano condizioni da
escludere anche in pazienti che non abbiano avuto
traumi ma che siano affetti da altre patologie quali
REUMATOLOGIA
pratica
INTRODUZIONE
La prevalenza e l’incidenza della cervicalgia è particolarmente elevata in due gruppi di pazienti:
1. coloro che hanno subito un trauma, diretto o indiretto, a carico del rachide cervicale;
2. coloro nei quali il dolore cervicale si manifesta in
assenza di cause chiaramente identificabili.
Gli obiettivi della valutazione clinica ed anamnestica, chiaramente, saranno differenti in queste due diverse condizioni. Le cervicalgie post-traumatiche, ad
esempio quelle che insorgono dopo colpi di frusta,
sono solitamente valutate nell’area dell’emergenza,
vuoi per problemi strettamente clinici, vuoi per i risvolti
medico-legali ed assicurativi correlati all’incidente. La
maggior parte dei pazienti che si rivolge al medico di
famiglia per un problema di cervicalgia, al contrario,
non è in grado di identificare un fattore causale preciso alla base dell’insorgenza del dolore; in relazione
alle diverse scuole di pensiero questi pazienti saranno
considerati affetti da cervicalgie non specifiche, posturali, meccaniche e così via. Prima di formulare una
di queste diagnosi, tuttavia, è necessario escludere
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
63
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
neoplasie, malattie reumatiche infiammatorie, malattie
infettive o segni di compromissione neurologica. La
“Bone and Joint Decade 2000-2010 Task Force on
Neck Pain and Its Associated Disorders” ha proposto,
analogamente a quanto è stato fatto per la lombalgia,
delle “red flags” in presenza delle quali è necessario
escludere patologie serie alla base della sintomatologia dolorosa a carico del rachide cervicale in pazienti
che non abbiano subito traumi significativi (Tab. I) 2.
Sebbene l’esame fisico e gli accertamenti strumentali
rappresentino mezzi utili per formulare la diagnosi,
la prognosi e per impostare il trattamento, l’autovalutazione effettuata dal paziente tramite questionari ha
un ruolo importante per comprendere il grado di disabilità, la presenza di fattori prognostici contestuali,
ad esempio psicologici, e quindi per formulare una
prognosi di outcome. I questionari, quindi, rientrano a
buon diritto nell’ambito dei test diagnostici per lo stato
funzionale attuale e per la formulazione prognostica.
Esame obiettivo
La valutazione dell’apparato muscoloscheletrico comprende l’ispezione, la valutazione dell’articolarità e della forza muscolare, la palpazione ed eventuali ulteriori
manovre semeiologiche. Dopo l’esame fisico si ricorre
ad eventuali indagini strumentali e di laboratorio.
Ispezione: la postura del collo e del capo possono
semplicemente indicare la presenza di una contrattura
muscolare ma possono anche essere la conseguenza
di deviazioni scoliotiche del rachide dorso lombare
o di malposizioni a carico delle articolazioni portanti
degli arti inferiori (valgismo del retropiede, eterometrie degli arti inferiori, ecc.) (Fig. 1). L’esame ispettivo,
quindi, non dovrebbe mai essere limitato al rachide
cervicale ma dovrebbe considerare le caratteristiche
dello scheletro assile ed appendicolare nella sua globalità. L’atrofia di uno o più gruppi muscolari può indirizzare verso una lesione neurologica. La variabilità
interosservatore per l’esame ispettivo è tuttavia elevata
(kappa tra 0,32 e 0,81) 2.
Valutazione dell’articolarità: normalmente il rachide
cervicale permette una rotazione di 90°, una lateroflessione di 45°, una flessione di 60° ed un’estensione
di 75°. Si valuta prima la mobilità attiva, visivamente
o con strumenti; indipendentemente dal metodo utilizzato la variabilità intra-osservatore è di circa il 10%
e quell’inter-ossevatore di circa il 20%. Se la mobilità attiva è conservata si passa alla valutazione della
motilità passiva. Anche in questo caso la variabilità
interosservatore è da elevata a moderata. Le patologie che coinvolgono il tratto cervicale superiore (da
C1 a C3) determinano, in particolare, una limitazione
delle rotazioni, mentre la lateroflessione risulta limitata nell’interessamento del tratto cervicale inferiore (da
C4 a C7).
Palpazione: ha lo scopo di individuare le sedi dolorabili ed il grado di contrattura muscolare ed assume un ruolo semeiologico particolarmente importante
nell’ambito della medicina manuale. Secondo la scuola francese di Robert Maigne, infatti, l’individuazione
della mal posizione delle articolazioni interapofisarie
posteriori di uno o più segmenti mobili permette di
porre diagnosi di “disturbo intervertebrale minore”
(DIM), premessa irrinunciabile per attuare il successivo trattamento manipolativo 3. Con la manovra del
pincè-roulè, che consiste nell’arrotolare tra il pollice e
l’indice una piega cutanea, scollandola leggermente
dai piani profondi, si riscontra un’infiltrazione cellulare
sottocutanea (zona cellulo-teno-periostio-mialgica) che
rende dolorosa e difficile da completare la manovra
TABELLA I. Red flags nei pazienti affetti da dolore cervicale.
%&'*/*;*0/&
Traumi
Traumi minori o assenza di traumi in pazienti osteoporotici
Neoplasie
Anamnesi per neoplasie, calo ponderale ingiustificato, assenza di miglioramento
dopo un mese di trattamento
Compressione midollare
Mielopatia cervicale (dolore agli arti superiori, paraparesi, incontinenza)
Malattie sistemiche
Spondilite anchilosante ed altre artropatie infiammatorie
Infezioni
Abuso di droghe per via endovenosa, infezioni cutanee o genito-urinarie
Dolore
Dolore intrattabile, dolorabilità sui corpi vertebrali
Altre
Pregressi interventi chirurgici al collo
REUMATOLOGIA
pratica
64
3&%'-"(4
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
CON DOLORE CERVICALE NON SPECIFICO
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
A. ANTERO-POSTERIORE
1. Retropulsione ed elevazione della spalla
2. Elevazione, adduzione e rotazione interna della
scapola
3. Orizzontalizzazione del sacro
4. Ginocchio valgo
5. Lateroflessione e rotazione del rachide cervicale
6. Scoliosi cervicale dx-convessa
7. Scoliosi dorsale sx-convessa
8. Scoliosi lombare dx-convessa
9. Proiezione del bacino in dentro
10. Antiversione, rotazione interna e lateroversione
esterna dell’ala iliaca
11. Intrarotazione della coscia
12. Medializzazione della rotula
13. Intrarotazione della gamba
14. Rotazione interna del cuboide
B.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
LATERO-LATERALE
Ipercifosi
Iperlordosi cervicale
Retropulsione del tronco
Iperlordosi lombare
Anteropulsione del bacino
Ginocchio flesso
Rotula alta
FIGURA 1. Conseguenze del retropiede valgo.
M. CAZZOLA
La palpazione dei muscoli paravertebrali rappresenta,
inoltre, la manovra semeiologica indispensabile per
individuare la presenza di eventuali “Trigger Points”
(TRp) delle sindromi miofasciali. La palpazione può
essere eseguita “a piatto” con i polpastrelli delle dita,
cercando di far scorrere la cute sulle fibre muscolari,
oppure “a pizzico”, qualora sia possibile pinzare tra
il pollice e le altre dita il ventre muscolare, ad esempio
lo sterno-cleido-mastoideo (Fig. 3). La sensazione che
si avverte, nelle sindromi miofasciali, è quella di un
cordoncino contratto, di 1-4 mm di diametro, definito
“bandelletta palpabile” nel cui contesto è localizzato
il TRp (Fig. 4). La palpazione di tale area determina l’insorgenza di un dolore, locale e proiettato a
distanza, che riproduce, in termini di caratteristiche
e distribuzione, quello riferito anamnesticamente dal
paziente (Fig. 5); talora, inoltre, determina una contrazione muscolare rapida e localizzata (local twitchresponse) che può essere avvertita come un fremito
percepibile dalle dita dell’esaminatore. I Tender Points
(TPs) (Fig. 6) che caratterizzano alcune sindromi al-
REUMATOLOGIA
pratica
(Fig. 2). Il pincè-roulè risulta positivo in sedi diverse
in relazione al segmento mobile interessato ed alla
distribuzione dei rami posteriori dei nervi spinali coinvolti; unitamente all’individuazione del DIM, quindi,
assume valore diagnostico. Il DIM C2-C3 è particolarmente frequente per le caratteristiche funzionali di
questo segmento del rachide cervicale; si tratta, infatti, della prima articolazione intervertebrale completa, dal punto di vista anatomico e funzionale, sotto il
blocco formato da C1 e C2 ed è esposta a tutte le
sollecitazioni improvvise (traumi, movimenti bruschi),
durature (posizioni anomale della testa) e permanenti
(disturbi della statica del rachide sottostante). Il DIM
C2-C3 rappresenta una possibile causa di cefalea
cervicale, determinata dall’irritazione del ramo posteriore del terzo nervo cervicale che innerva una parte
dell’occipite, la mastoide e l’angolo mandibolare; ne
consegue la contrattura muscolare dell’inserzione occipitale del trapezio e del semispinale del capo ed il
pincè-roulè sarà positivo al sopracciglio ed a livello
temporo-mandibolare omolateralmente.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
65
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
Bandeletta contratta
QBMQBCJMF
OFMNVTDPMP
Bandelette
contratte
'ibre
muscolari
rilassate
FIGURA 4. La localizzazione del trigger point nell’am-
bito delle bandelette contratte (da Cassisi, 2009) 4.
FIGURA 2. La manovra del “pincè-roulè”.
A
B
FIGURA 3. Individuazione di un trigger point con la
palpazione “a piatto”, facendo scorrere la cute sulle
fibre muscolari sottostanti con i polpastrelli delle dita e
“a pizzico” pinzando il ventre muscolare tra il pollice
e le altre dita (da Cassisi, 2009) 4.
godisfunzionali, come la fibromialgia, si differenzierebbero dai TRp delle sindromi miofasciali poiché la
REUMATOLOGIA
pratica
66
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
stimolazione pressoria determina dolore solo locale
e non proiettato; in realtà l’individuazione tramite la
palpazione digitale dei TRp piuttosto che dei TPs ha
una variabilità interosservatore elevata. L’utilizzo di un
algometro a pressione migliora la variabilità, sia intra- sia interosservatore, nell’individuazione dei punti
dolenti, ma non aggiunge nulla alla specificità diagnostica; spesso, infatti, TRp e TPs sono confusi anche
da esaminatori esperti 1. Il numero e la distribuzione
dei TRp, infine, non permette di differenziare i pazienti che hanno solo DC e/o sindromi miofasciali da
quelli con associata radicolopatia da ernia discale
(Fig. 5).
Esame neurologico
Dovrebbe sempre essere effettuato nei pazienti che lamentano sintomi radicolari e dovrebbe comprendere
la valutazione della forza e del tono muscolare, dei
riflessi osteo-tendinei e delle caratteristiche del cammino. In relazione alla distribuzione dermatomerica del
dolore, al/ai gruppi muscolari coinvolti ed al deficit
del/dei riflessi osteotendinei è possibile ipotizzare
quale/i radici siano coinvolte (Tab. II). L’obiettività
neurologica, tuttavia, è scarsamente specifica; quando è negativa, solitamente, è possibile escludere una
radicolopatia ma non è detto che al riscontro di uno o
più segni neurologici corrisponda una reale compressione radicolare.
Test di provocazione: hanno lo scopo di elicitare il dolore nel territorio di distribuzione di una o
più radici nervose in caso di cervicobrachialgia. Il
test di Roger-Bikelos-DeSeze consiste nell’abdurre
il braccio fino al piano orizzontale, nell’estendere
l’avambraccio e nell’inclinare contemporaneamente
il capo controlateralmente. Con questa manovra si
LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
CON DOLORE CERVICALE NON SPECIFICO
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
nazione laterale del capo. Entrambi
questi test hanno dimostrato un’alta
specificità diagnostica 6.
Esami strumentali
Esami elettrodiagnostici: comprendono l’elettromiografia (EMG) ad ago,
la risposta F, la velocità di conduzione motoria e sensitiva, l’elettromiografia di superficie ed i potenziali
evocati motori e somatosensoriali.
FIGURA 5. Confronto tra il territorio di irradiazione del dolore da trigger Ad eccezione del riscontro di segni
points (X) del muscolo elevatore della scapola ed i territori di innervazio- elettromiografici di denervazione gli
altri test elettrodiagnostici e l’EMG di
ne delle radici spinali cervicali (da Cassisi, 2009) 4.
superficie hanno mostrato una scarsa sensibilità e specificità nello studio
delle cervicobrachialgie 2 7.
determina lo stiramento radicolare e si riproducono
Esami radiografici: la valutazione della cifosi e della
i sintomi lamentati dal paziente (dolore e parestesie)
lordosi cervicale non sono risultate statisticamente diffenel territorio di distribuzione della radice interessata.
renti tra pazienti con DC e controlli 8. La tomografia asSignificato analogo riveste la manovra di Spurling,
siale computerizzata (TAC) ha dimostrato di essere utile
che consiste nell’estensione e contemporanea inclinella valutazione della stenosi del canale vertebrale 2.
A, Occipite: bilaterale, all’inserzione del muscolo suboccipitale
B, Cervicale: bilaterale, superficie anteriore dei legamenti intertrasversari C5-C7
C, Trapezio: bilaterale, al punto medio del bordo superiore
D, Sovraspinato: bilaterale, all’origine del muscolo sovraspinato, al di sopra della spina della scapolare, in
prossimità del bordo mediale della scapola
E, Seconda Costa: bilaterale, a livello della seconda
articolazione costo-condrale
F, Epicondilo laterale: bilaterale, 2 cm distalmente all’epicondilo
G, Gluteo: bilaterale, sul quadrante supero-esterno del
grande gluteo
H, Grande trocantere: bilaterale, posteriormente alla
prominenza trocanterica
I, Ginocchio: bilaterale, a livello del cuscinetto adiposo
mediale, prossimalmente all’interlinea articolare
FIGURA 6. Mappa dei tender point della fibromialgia (American College of Rheumatology 1990) (da Sarzi
Puttini e Cazzola, 1991) 5.
REUMATOLOGIA
pratica
M. CAZZOLA
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
67
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
TABELLA II. Esame neurologico.
%*4$0
.&5".&30 3*'-&440
.64$0-*
4&/4*#*-*5®/&370
C4-C5
C5
Bicipitale
Romboide
Deltoide
Bicipite
Infraspinato
Braccio laterale, nervo ascellare
C5-C6
C6
Brachioradiale
(bicipitale)
Estensori del carpo - bicipite
Avambraccio laterale, n. muscolo
cutaneo
C6-C7
C7
Tricipitale
Flessori, estensori
delle dita - tricipite
Lato mediale delle dita
C7-T1
C8
Flessori delle dita
Opponente del pollice
Avambraccio mediale
T1-T2
T1
Muscoli intrinseci della mano
Braccio mediale
La discografia è stata utilizzata per individuare i casi
di DC a genesi primitivamente discale; i risultati degli
studi controllati, tuttavia, non hanno mostrato differenze significative nell’elicitazione del dolore tra pazienti
e controlli sani 9. Non ci sono prove, inoltre, che la
discografia migliori l’outcome clinico in pazienti deputati ad effettuare interventi chirurgici di discectomia o
stabilizzazione vertebrale 10.
La risonanza magnetica nucleare (RMN) ha mostrato una notevole variabilità inter- ed intra-osservatore
quando utilizzata per studiare alterazioni degenerative, ossee e discali, nei pazienti con DC. Quando i
risultati della RMN nei pazienti sottoposti a chirurgia
per ernia discale sono stati confrontati con i reperti
operatori, la sensibilità della metodica è risultata assai
variabile nei diversi studi (dal 42 al 96%) così come la
specificità (dal 27 al 93%) 2. Problemi metodologici
relativi agli studi pubblicati rendono difficile esprimere
pareri definitivi su sensibilità e specificità della RMN
nella valutazione i pazienti con ernia cervicale.
Alterazioni alla RMN sono state riscontrate frequentemente in soggetti asintomatici; la frequenza delle
alterazioni degenerative, sia ossee sia discali, aumenta esponenzialmente con l’età. Nella popolazione oltre i 40 anni, asintomatica per DC, sono state
riscontrate alterazioni (bulging discale, protrusioni
discali anteriori o posteriori, riduzione di altezza
dei dischi intervertebrali, riduzione di ampiezza dei
fori di coniugazione, impronte sullo spazio durale)
in una percentuale compresa tra il 37 ed il 57%; tali
percentuali aumentano fino all’86-89% negli ultrasessantenni 11. Da questi dati risulta evidente come
il riscontro di alterazioni alla RMN non possa essere
acriticamente considerato causale nella genesi del
REUMATOLOGIA
pratica
68
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
DC se non si associa a chiari segni clinici di radicolopatia 12.
Quando effettuata in pazienti che hanno subito un colpo di frusta la RMN non ha evidenziato alterazioni
specifiche dei tessuti molli rispetto ai controlli.
Anche nei pazienti con cefalea considerata di origine
cervicale la RMN non ha permesso di riscontrare alterazioni specifiche rispetto ai controlli.
Tecniche infiltrative: sono state utilizzate sia per riprodurre il dolore lamentato dal paziente, e quindi individuarne l’origine, sia per eliminarlo. Nel primo caso si
utilizza soluzione fisiologica, nel secondo anestetici.
L’infiltrazione con anestetici delle faccette articolari ha
determinato una riduzione del dolore in percentuale
compresa tra il 71 ed il 73%, dopo la prima iniezione, rispetto ad una riduzione del 26% nel gruppo
trattato con placebo 14. La risposta alla seconda infiltrazione, tuttavia, è minore, anche nei pazienti che
avevano avuto una remissione quasi totale del dolore
dopo la prima iniezione 15. Questi dati non permettono di concludere che l’origine del DC sia ascrivibile
solo alle faccette articolari.
Questionari autosomministrati: sono utili non solo per
valutare l’intensità e le caratteristiche del dolore e della disabilità che ne consegue, ma anche per scegliere
le strategie terapeutiche più idonee per il singolo paziente e per monitorare l’evoluzione del trattamento.
Per la valutazione del dolore la scala analogica visiva
(VAS) è quella più utilizzata. Il Neck Disability Index è
considerato il gold standard di riferimento per tutti gli
altri questionari 16. In Italia esiste la versione validata
del Neck Pain Questionnaire 13 (Fig. 7).
LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
CON DOLORE CERVICALE NON SPECIFICO
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
Neck Pain Questionnaire
Questo questionario le viene proposto per informarci di come il dolore cervicale la limita nelle attività della sua vita quotidiana.
La preghiamo di rispondere ad ogni sezione collocando una crocetta in corrispondenza di una sola voce. Comprendiamo che
talvolta potrebbe individuare anche due o più voci. In tal caso metta la crocetta sulla peggiore
Ricordi di segnare soltanto una voce per sezione
1. */5&/4*5®%&-%0-03&$&37*$"-&
in
in
in
in
in
questo
questo
questo
questo
questo
momento
momento
momento
momento
momento
non ho dolore
il dolore è lieve
il dolore è medio
il dolore è grave
il dolore è il peggiore immaginabile
q
q
q
q
q
%0-03&$&37*$"-&&40//0
il dolore cervicale non ha mai disturbato il mio sonno
il dolore cervicale occasionalmente mi disturba il sonno
il dolore cervicale regolarmente mi disturba il sonno
per colpa del dolore cervicale dormo meno di 5 ore per notte
per colpa del dolore cervicale dormo in tutto meno di 2 ore per notte
q
q
q
q
q
'03.*$0-*00*/%0-&/;*.&/50"--&#3"$$*"%*/055&
di notte non ho mai formicolio o indolenzimento alle braccia
di notte ho occasionalmente formicolio o indolenzimento alle braccia
il mio sonno è regolarmente disturbato da formicolio o indolenzimento
a causa del formicolio o indolenzimento dormo in tutto meno di 5 ore per notte
a causa del formicolio o indolenzimento dormo in tutto meno di 2 ore per notte
q
q
q
q
q
%63"5"%&*4*/50.*
durante il giorno braccia e collo non hanno problemi
quando cammino ho sintomi al collo e alle braccia che durano meno di 1 ora
i sintomi vanno e vengono per un totale di 1-4 ore al giorno
i sintomi vanno e vengono per più di 4 ore al giorno
i sintomi sono continui per tutto il giorno
q
q
q
q
q
53"41035"3&1&4*
posso portare oggetti pesanti senza che aumenti il dolore
posso portare oggetti pesanti, ma questo mi fa aumentare il dolore
il dolore mi impedisce di portare oggetti pesanti, ma non pesi medi
posso sollevare solamente oggetti leggeri
non posso sollevare assolutamente nulla
q
q
q
q
q
(continua)
M. CAZZOLA
.
13
REUMATOLOGIA
pratica
FIGURA 7. Neck Pain Questionnaire (Hain et al., 1998, mod.)
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
69
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
(Figura 7 - segue)
LEGGERE E GUARDARE LA TV
posso farlo per tutto il tempo che voglio senza avere problemi
posso farlo tutto il tempo che voglio se sono in una posizione comoda
posso farlo tutto il tempo che voglio, ma ciò mi fa aumentare il dolore
il dolore mi costringe a smettere prima di quanto vorrei
il dolore mi impedisce di farlo
q
q
q
q
q
-"703"3&-"703*%0.&45*$*&$$
svolgo la mia abituale occupazione senza che aumenti il dolore
svolgo la mia abituale occupazione, ma ciò mi fa aumentare il dolore
il dolore mi impedisce di svolgere il mio lavoro per più di metà del solito tempo
il dolore mi impedisce di svolgere il mio lavoro per più di un quarto del solito tempo
il dolore mi impedisce completamente di lavorare
"55*7*5®40$*"-*
la mia vita sociale è normale e non mi fa aumentare il dolore
la mia vita sociale è normale, ma mi fa aumentare il dolore
il dolore ha limitato la mia vita sociale, ma sono ancora in grado di uscire
il dolore ha limitato la mia vita sociale in casa
a causa del dolore non ho più vita sociale
9.
q
q
q
q
q
q
q
q
q
q
(6*%"3&0.&55&3&4&/0/(6*%"7"/&1163&26"/%045"7"#&/&
posso guidare senza disagio quando necessario
posso guidare quando necessario, ma con disagio
dolore cervicale e rigidità occasionalmente limitano la guida
dolore cervicale e rigidità limitano la guida
a causa dei sintomi cervicali non posso guidare
q
q
q
q
q
10. */$0/'30/50"--6-5*."70-5"*/$6*)"$0.1*-"50*-26&45*0/"3*0*-%0-03&
"-$0--0µ
molto migliorato
leggermente migliorato
lo stesso
lievemente peggiorato
molto peggiorato
CONCLUSIONI
Nella pratica clinica quotidiana ai pazienti con DC
non specifico sono prescritti, spesso in modo improprio, svariati accertamenti diagnostici strumen-
REUMATOLOGIA
pratica
70
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
q
q
q
q
q
tali, talora di utilità non documentata. L’anamnesi e
l’esame obiettivo, in realtà, rivestono ancora oggi i
capisaldi per l’orientamento diagnostico-terapeutico
(Tab. III).
LA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE
CON DOLORE CERVICALE NON SPECIFICO
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
La stessa modalità classificativa delle cervicalgie,
basata tradizionalmente sull’ipotetico fattore causale
o sull’evento precipitante è ormai superata; questo
modello concettuale, in una condizione clinica in cui
i fattori prognostici sono assai eterogenei, ha infatti
mostrato i suoi limiti. È quindi stato proposto, dalla
Neck Pain Task-Force 17, un sistema di classificazione in 4 gradi che considera sia i segni obiettivi sia
le caratteristiche del dolore, in termini di intensità ed
interferenza con le normali attività, sulla cui base dovrebbe essere programmato il successivo iter diagnostico-terapeutico (Tab. IV) (Fig. 8). Quasi tutte le indagini diagnostiche strumentali, infatti, hanno mostrato
una scarsa correlazione con la presenza e la gravità
del DC; il riscontro di anomalie morfologiche, quindi, non dovrebbe rappresentare il solo criterio su cui
impostare il trattamento.
TABELLA III. La valutazione del paziente con dolore cervicale in base all’evidenza scientifica.
'035&&7*%&/;"$*3$"-65*-*5®
t dei protocolli di screening nei soggetti con traumi a basso rischio
t della TAC come prima indagine nei soggetti con traumi ad alto rischio
t delle manovre semeiologiche di provocazione (test di Roger) nelle cervicobrachialgie
t della combinazione tra anamnesi, esame obiettivo muscoloscheletrico e neurologico, RMN ed EMG ad ago per diagnosticare il livello delle radicolopatie
t dei questionari autocompilati per la valutazione del dolore, della disabilità e dello stato psicologico
'035&&7*%&/;"$*3$"-*/65*-*5®1&3*$0-04*5®
t esame radiografico in proiezioni dinamiche in condizioni acute post-traumatiche
."/$"/;"%*%"5*$)&4611035*/0-"7"-*%*5®%*"(/045*$"0-65*-*5®
t test di provocazione per individuare la struttura/e da cui origina il dolore (discografia, infiltrazione con soluzione salina delle
faccette articolari)
t blocco anestetico delle faccette articolari
t EMG di superficie e potenziali evocati somatosensoriali per porre diagnosi di radicolopatia
TAC: tomografia assiale computerizzata; RMN: risonanza magnetica nucleare; EMG: elettromiografia.
TABELLA IV. Classificazione delle cervicalgie della /FDL1BJO5BTL'PSDF.
Grado I: nessun segno o sintomo indicativo di un danno strutturale ed interferenza nulla o minima con le attività di vita quotidiana. La sintomatologia dovrebbe rispondere a misure terapeutiche minime, quali la rassicurazione del paziente ed il controllo del
dolore; non sono necessari accertamenti diagnostici strumentali particolari
Grado II: nessun segno o sintomo indicativo di un danno strutturale ma interferenza significativa con le attività di vita quotidiana.
È necessario intervenire con tutti gli strumenti disponibili per ridurre il dolore e per prevenire la disabilità a lungo termine
Grado III: nessun segno o sintomo di un danno strutturale ma presenza di segni neurologici quali debolezza muscolare, deficit
dei riflessi ed alterazioni della sensibilità; possono essere necessarie indagini strumentali e trattamenti invasivi
Grado IV: segni o sintomi di danni strutturali maggiori, quali fratture vertebrali, mielopatia cervicale, neoplasie o malattie sistemiche; sono necessari accertamenti strumentali immediati e trattamento mirato
REUMATOLOGIA
pratica
M. CAZZOLA
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
71
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
DOLORE CERVICALE
Questionari autocompilati
sull’interferenza del dolore
con le normali attività
Anamnesi: red flags?
Esame obiettivo generale,
articolare e neurologico
TIPOLOGIA E SEVERITÀ
DEL DOLORE
Grado I
Grado II
Grado III
tNessun accertamento
tRassicurare
tAutotrattamento
tValutare i fattori che determinano l’interferenza con
le normale attività
tValutare insieme al paziente
le diverse opzioni terapeutiche per ridurre i sintomi in
breve tempo
tValutare se i deficit osservati sono minori e stabili
tConsiderare l’esecuzione
della RMN e la richiesta
di consulti se i deficit osservati sono maggiori o in
evoluzione
tL’esame EMG può essere
utile
Grado IV
tAccertamenti in
relazione all’ipotesi diagnostica
FIGURA 8. Valutazione e management del dolore cervicale.
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pratica
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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
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REUMATOLOGIA
pratica
13
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
73
SETTEMBRE 2010 VOLUME 5 PAGINE 74-76
COSA FARE
DI FRONTE A UNA
SOSPETTA ARTRITE
INIZIALE?
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria
sistemica che colpisce prevalentemente le articolazioni diartrodiali. Tale patologia colpisce circa l’1% della
popolazione e risulta altamente invalidante, determinando una significativa modificazione della qualità
della vita con compromissione delle capacità lavorative entro 10 anni dall’esordio dei primi sintomi in oltre
il 50% dei pazienti 1.
Il concetto di artrite precoce, o Early Arthritis (EA), si è
sviluppato in tempi relativamente recenti, soprattutto a
causa della consapevolezza dell’oramai comprovata
precocità nella maggioranza dei pazienti dei danni
articolari irreversibili tipici dell’AR 2. Inoltre, l’evidenza
che un approccio terapeutico precoce dei reumatismi
infiammatori cronici risulti in grado di modificare, anche in maniera sostanziale, l’evoluzione e il decorso
di queste malattie, ha contribuito a creare l’idea che
esista un periodo “iniziale” di malattia particolarmente
sensibile alla terapia 3. Tale periodo iniziale rappresenta quindi una vera e propria window of opportunity per il clinico, in quanto durante tale periodo
sembra possibile incidere in maniera più significativa
sulla progressione della malattia 4. Si parla, quindi, di
artrite all’esordio o EA 5.
Per definire le fasi iniziali di un processo infiammatorio
articolare cronico sono state utilizzate numerose definizioni: early arthritis, early inflammatory poliarthritis,
early rheumatoid arthritis. In quest’ultimo caso l’aggettivo “reumatoide” riveste notevole significato in quanto
implica una ben precisa connotazione patologica.
Attualmente non è possibile definire l’EA basandosi
su criteri biologici o sui meccanismi patogenetici che
sottendono l’instaurarsi dei danni articolari, perciò si
utilizza una definizione basata sul tempo intercorso
dall’esordio dei sintomi; tale definizione è stata ottenuta da studi su ampie casistiche, ma ovviamente
non sempre è applicabile al singolo paziente. L’iniziale limite temporale di 3 mesi per definire un’artrite
in fase iniziale si è progressivamente dilatato a 6,
anche se, secondo alcuni autori, può estendersi a
12 mesi.
REUMATOLOGIA
pratica
74
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
In Tabella I sono elencati i criteri proposti da Emery et
al. nel 2002 per la diagnosi di EA da utilizzare nella
pratica clinica 6.
Il clinico che si trova a fronteggiare una condizione di
EA deve considerare la possibilità che si possa trattare
di condizioni morbose diverse dall’artrite reumatoide
(Tab. II). Alcune forme, come ad esempio le artriti postvirali (es. parvovirus B19), possono mimare un quadro
poliartritico simmetrico del tutto simile a quello osservabile nell’artrite reumatoide, e addirittura soddisfare gli
ormai obsoleti criteri classificativi del 1987 dell’American College of Rheumatology (Tab. III). In tali situazioni,
solamente la cronicità del processo risulta dirimente.
È importante tenere anche in considerazione, soprattutto in soggetti giovani di sesso femminile, un possibile esordio poliarticolare di una connettivite sistemica.
Nel percorso diagnostico di una EA giocano un ruolo
fondamentale anche le metodiche di imaging.
La radiologia convenzionale rimane a tutt’oggi il gold
standard di riferimento per la quantificazione del danno articolare e per la valutazione della sua eventuale
progressione nel tempo. Va tenuto presente che nelle
fasi iniziali della malattia la radiologia convenzionale
risulta spesso negativa, ma può essere utile per escludere patologie non di pertinenza reumatologica.
L’ecografia articolare, soprattutto se eseguita con il
Power-Doppler, è una metodica ottimale nell’individuazione precoce delle erosioni, anche non rilevabili
con la radiologia convenzionale, e per ottenere informazioni sullo stato flogistico delle articolazioni 7.
La risonanza magnetica nucleare, soprattutto se eseguita con mezzo di contrasto, infine, fornisce informazioni con elevata risoluzione spaziale e alta ri-
MATTEO COLINA, FRANCESCO TROTTA
U.O. Reumatologia, Azienda OspedalieroUniversitaria “Sant’Anna”, Ferrara
Matteo Colina
[email protected]
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
TABELLA I. Segni e sintomi precoci patognomici
per la diagnosi di artrite reumatoide (da Emery,
2002, mod.) 6.
≥ 3 articolazioni tumefatte
Coinvolgimento delle articolazioni MCF e MTF (segno della
gronda positivo o Squeeze Test positivo)
Rigidità mattutina ≥ 30 minuti
Buona risposta ai FANS
MCF: articolazioni metacarpofalangee; MTF: articolazioni metatarsofalangee; FANS: farmaci antinfiammatori non steroidei.
soluzione di contrasto di tutte le strutture articolari e
periarticolari 8. Tale metodica, pur essendo ancora
scarsamente accessibile e di difficile interpretazione,
deve però essere considerata indispensabile nella valutazione di un paziente con EA.
Le early inflammatory poliarthritis possono evolvere
secondo differenti modalità: in particolare, possono
rimanere forme cosiddette indifferenziate nel 50% circa dei casi, divenire vere e proprie artriti reumatoidi
in una percentuale variabile dal 15 al 25% dei casi,
mentre nel 25-35% la diagnosi può essere differente.
Le poliartriti indifferenziate possono poi, a loro volta,
risolversi spontaneamente oppure persistere, con la
presenza o meno di caratteristiche erosive del tutto
analoghe a quelle osservabili nelle artriti reumatoidi
conclamate. Da quanto detto risulta evidente che il
concetto stesso di diagnosi viene soppiantato da quello più importante di prognosi.
I parametri maggiormente connessi alla persistenza di
malattia sembrano essere la durata stessa superiore
a 6 mesi e la positività del fattore reumatoide (FR) e
degli anticorpi anti peptidi ciclici citrullinati (anti-CCP).
Sembrano altresì importanti anche il sesso femminile,
l’aumento degli indici aspecifici di flogosi e il numero
delle articolazioni dolenti e/o tumefatte 4 9.
Il principale fattore predisponente allo sviluppo di erosioni articolari, invece, è rappresentato dalla presenza, al momento della diagnosi, di almeno un’erosione. Tale fattore, pur essendo altamente sensibile nella
stratificazione prognostica dell’EA, non dovrebbe tuttavia essere incluso in quanto una corretta diagnosi
andrebbe idealmente formulata prima di tale evenienza. Nel 2002 Visser et al. hanno condotto uno studio
considerando 22 variabili, e hanno dimostrato che i
fattori in grado di predire la persistenza e l’erosività
dell’EA sono la durata di malattia ≥ 6 mesi, la flogosi
di almeno 3 articolazioni, la positività del segno della
gronda alle articolazioni metatarso-falangee, una rigidità mattutina ≥ 30 minuti e la positività del FR e degli
anti-CCP (Tab. IV) 10.
L’applicazione di tale modello potrebbe consentire di
calcolare la probabilità nel paziente di una determi-
TABELLA II. Diagnosi differenziale di early arthritis.
"353*5**/'*".."503*&
"353*5*/0/*/'*".."503*&
Artrite reumatoide
Artrosi generalizzata
Artriti post-virali (parvo-virus, rosolia)
Fibromialgia
Artrite psoriasica
Artrite reattiva (Reiter)
Connettivopatie
Lupus sistemico eritematoso
Spondilite anchilosante
Sclerodermia
Artrite da enteropatia
Behçet
Polimialgia reumatica
Panarterite nodosa
Connettivite indifferenziata
Artrite da sarcoidosi
Gotta poliarticolare/pseudogotta
Artrite settica
Altre
M. COLINA, F. TROTTA
Sindromi paraneoplastiche
REUMATOLOGIA
pratica
Encocardite batterica sub-acuta
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
75
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
TABELLA III. Criteri classificativi ACR (1987) (da
Arnett et al., 1988, mod.) 11.
TABELLA IV. Criteri di Visser (da Visser et al.,
2002, mod.) 10.
1. Rigidità mattutina (≥ 1 ora)
Durata dei sintomi alla prima visita (≥ 6 settimane < 6 mesi)
2. Artrite ≥ 3 articolazioni (MCF, IFP, polsi, gomiti, caviglie,
MTF)
Rigidità mattutina
Artrite ≥ 3 articolazioni “gronda” positiva alla MTF
3. Artrite di almeno 1 articolazione della mano (polso, MCF,
IFP)
Fattore reumatoide (IgM) positivo
Anticorpi anti-citrullina positivi
4. Artrite simmetrica (bilaterale a carico della medesima area
particolare)
Erosioni mani e piedi
MTF: articolazioni metatarsofalangee.
5. Nodulari reumatoidi
6. Positività del fattore reumatoide (con metodo risultante positivo in < 5% dei controlli normali)
7. Modifiche radiologiche (erosioni)
MCF: articolazioni metacarpofalangee; MTF: articolazioni metatarsofalangee; IFP: articolazioni interfalangee prossimali.
N.B. Criteri 1, 2, 3, 4 presenti per almeno 6 settimane.
nata evoluzione in artrite autolimitante, artrite persistente non erosiva o artrite persistente erosiva, condizionando fortemente l’atteggiamento terapeutico più
corretto.
In conclusione, l’EA rappresenta un notevole progresso in termini diagnostici, anche se la sua corretta interpretazione e gestione dovrebbero essere affidate a
centri reumatologici altamente specializzati.
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COSA FARE DI FRONTE A UNA SOSPETTA ARTRITE INIZIALE?
PROBLEMATICHE
RELATIVE ALLA
VACCINAZIONE
IN SOGGETTI AFFETTI
DA ARTRITE
SETTEMBRE 2010 VOLUME 5 PAGINE 77-81
PAROLE CHIAVE
"SUSJUFt7BDDJOB[JPOFt'BSNBDJEJGPOEPt
Farmaci biologici
RIASSUNTO
I pazienti affetti da artropatie infiammatorie croniche in terapia con farmaci immunosoppressori, in particolare quelli
affetti da artrite reumatoide, hanno un rischio di contrarre infezioni più elevato rispetto a quello della popolazione
generale. In questo gruppo di pazienti è pertanto consigliata la vaccinazione sistematica, in particolare la vaccinazione annuale anti-influenzale e quell’anti-pneumococcica. I vaccini con germi vivi attenuati sono invece controindicati
nei pazienti con artrite trattati con i farmaci biologici e con i farmaci di fondo ad azione immunosoppressiva, quali
il methotrexate e la leflunomide. Sono stati eseguiti alcuni studi su piccoli gruppi di pazienti per valutare la safety
e l’efficacia dei vaccini nei pazienti con artrite. I risultati di tali studi hanno dimostrato che questi pazienti riescono
ad ottenere spesso una sieroconversione soddisfacente e quindi un’adeguata protezione dalle infezioni, sebbene
sia stata talora osservata una riduzione della risposta al vaccino rispetto ai controlli sani, specialmente nei pazienti
trattati con methotrexate. La somministrazione dei vaccini a pazienti con attività di malattia stabile non porta ad una
riacutizzazione della malattia di base.
ILARIA CHIAROLANZA, NICOLÒ PIPITONE
Unità Operativa di Reumatologia,
Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia
Ilaria Chiarolanza
[email protected]
su una disamina aggiornata della letteratura e delle
raccomandazioni delle Società Europee e Nordamericane.
VACCINAZIONE ANTI-PNEUMOCOCCICA
E ANTI-INFLUENZALE
Sono attualmente in commercio due vaccini anti-pneumococco: il vaccino “coniugato” eptavalente (protettivo nei confronti di 7 sottotipi, responsabili della quasi
totalità dei casi di meningite e sepsi da pneumococco), il vaccino più indicato nell’infanzia, e il vaccino
23-valente, raccomandato in pazienti di età superiore
a 65 anni, in pazienti con asplenia e con malattie
croniche 1.
I vaccini usati sono di regola costituiti da virus inattivati
senza adiuvanti. La risposta al vaccino anti-influenzale
si saggia mediante il test di inibizione della emoagglutinazione; si considera una risposta soddisfacente
un incremento delle IgG specifiche ≥ 4 volte il titolo
misurato prima della immunizzazione. La risposta al
vaccino anti-pneumococcico è definita come un incremento del titolo anticorpale IgG-specifico rispetto al
basale maggiore di due volte misurato in EIA o ELISA
su 7-12 sierotipi 1.
Le vaccinazioni sembrano essere per lo più efficaci
nei pazienti con artrite. Alcuni, ma non tutti gli studi
pubblicati, suggeriscono che taluni farmaci possano
REUMATOLOGIA
pratica
PREMESSA
I pazienti affetti da malattie infiammatorie articolari
croniche hanno un rischio di contrarre infezioni maggiore rispetto a quello della popolazione generale.
Tale rischio è legato alle alterazioni del sistema immune correlate alla malattia di base, ma anche all’uso
di farmaci immunosoppressori, tra cui rientrano in particolare alcuni farmaci di fondo quali il methotrexate,
la leflunomide e i farmaci biologici. Al fine di ridurre
il rischio di infezioni, che in questi soggetti immunodepressi sono non di rado gravate da complicanze più
gravi inclusa una aumentata mortalità, è consigliabile
vaccinare sistematicamente tali pazienti, in particolare con il vaccino anti-influenzale ed il vaccino antipneumococcico. Numerosi studi, anche se su piccoli gruppi di casi, sono stati eseguiti per valutare in
questo gruppo di pazienti l’efficacia e la “safety” dei
vaccini. Nel seguito si offrono delle raccomandazioni
sull’impiego dei vaccini nei pazienti con artrite basate
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
77
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
ridurre la risposta alle vaccinazioni, senza però inficiarle completamente 1. Dati concordanti attestano
invece la safety di tali vaccinazioni.
Vaccinazione anti-pneumococcica
La vaccinazione anti-pneumococcica sembra essere
per lo più efficace ed esente da rischi nei pazienti
con artrite.
Diversi studi sono hanno valutato l’immunogenicità e
la sicurezza del vaccino anti-pneumococcico in pazienti con artrite. In tutti gli studi è stato utilizzato il vaccino 23-valente (Pneumovax®), indicato per i soggetti
adulti. In pazienti con malattia ostruttiva polmonare
in terapia cronica con glucocorticoidi la risposta al
vaccino non era inficiata 2. Dengler et al. nel 1998 3
mostrarono che l’uso della ciclosporina in pazienti trapiantati non inibiva la risposta anticorpale al vaccino
anti-pneumococcico.
Kapetanovich et al. 4 hanno studiato 4 gruppi di pazienti affetti da artrite reumatoide: il primo era costituito da pazienti in terapia con anti-TNF in associazione
a methotrexate, il secondo da pazienti in terapia con
anti-TNF in monoterapia o in associazione a farmaci
di fondo diversi dal methotrexate, il terzo da pazienti
in terapia con methotrexate in monoterapia ed il quarto gruppo, di controllo, era costituito da pazienti in
terapia con farmaci di fondo diversi dal methotrexate.
Fu osservata una riduzione della risposta anticorpale
nel gruppo di pazienti che assumevano methotrexate,
sia da solo che in associazione ad altri farmaci di
fondo o agli anti-TNF. Tale dato è stato confermato
da uno studio randomizzato controllato di Kaine et
al. 5 nel quale il vaccino 23-valente fu somministrato
a novantanove pazienti in terapia con l’inibitore del
TNF-B adalimumab e 109 controlli che assumevano
solo farmaco di fondo e terapia con glucocorticoidi.
I pazienti che assumevano adalimumab e methotrexate o altri farmaci di fondo avevano una risposta al
vaccino inferiore rispetto ai pazienti che assumevano
l’anti-TNF in monoterapia. L’efficacia del vaccino si è
dimostrata comparabile a quella ottenuta nei soggetti
sani: il limite di questo studio era però costituito dal
fatto che i pazienti esaminati erano stati sottoposti ad
una singola somministrazione del farmaco anti-TNF.
Nel 2004 Mease et al. 6 studiarono 184 pazienti
affetti da artrite psoriasica stratificati in base all’uso
di methotrexate, randomizzati a ricevere etanercept
o placebo. I pazienti furono vaccinati e fu testata la
risposta anticorpale contro 5 dei 23 antigeni pneumococcici; anche in questo studio il methotrexate risulta-
REUMATOLOGIA
pratica
78
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
va essere un fattore di rischio per una scarsa risposta
al vaccino. L’aggiunta di etanercept al methotrexate
non peggiorava la risposta.
In un sottostudio dell’ASPIRE furono arruolati 90 pazienti affetti da artrite reumatoide per valutarne la capacità di rispondere al vaccino anti-pneumococcico
in corso di terapia con methotrexate, da solo o in
combinazione con un anti-TNF. L’80-85% dei pazienti
rispondeva ad al meno uno dei sierotipi testati, mentre
il 20-25% rispondeva a sei o più sierotipi; l’utilizzo
degli anti-TNF non peggiorava questa risposta 7.
Elkayam et al. 8 mostrarono in uno studio controllato su
16 pazienti consecutivi (11 con artrite reumatoide e
5 con spondilite anchilosante) trattati con infliximab o
etanercept e 17 pazienti affetti da artrite reumatoide
che assumevano solo farmaci di fondo appaiati per
età, vaccinati con il vaccino 23-valente, che l’uso dei
farmaci anti-TNF consentiva una risposta umorale statisticamente significativa definita come media geometrica della concentrazione di IgG specifiche; tuttavia,
nel gruppo dei pazienti trattati con anti-TNF, le percentuali di risposta al vaccino erano inferiori.
Per quanto riguarda l’abatacept, è stato eseguito uno
studio randomizzato in aperto su un gruppo di soggetti sani cui è stata somministrata una singola dose
di abatacept e che sono stati vaccinati con il vaccino 23-valente in periodi diversi (2 settimane prima,
2 settimane dopo, 8 settimane dopo l’infusione con
abatacept) più un gruppo di controllo; un incremento
delle IgG specifiche per almeno 3 sierotipi fu osservato in più del 70%; il 25% circa dei pazienti mostrò un
incremento significativo per più di 6 sierotipi 9.
Nel 2002 Elkayan et al. 10 condussero uno studio su
42 pazienti consecutivi affetti da artrite reumatoide,
vaccinati con vaccino 23-valente: tali pazienti furono
valutati il giorno del vaccino e due mesi più tardi. Non
fu osservato peggioramento dell’attività di malattia nel
gruppo di pazienti con artrite reumatoide; in tali pazienti fu osservato un incremento medio di IgG polisaccaride specifiche simile al gruppo di controllo, anche
se 14 dei 42 pazienti con artrite reumatoide avevano
risposto ad uno o nessuno dei sette antigeni testati.
Per quanto riguarda il rituximab, in uno studio randomizzato controllato sono stati studiati 103 pazienti affetti da artrite reumatoide trattati con rituximab cui veniva stato somministrato il vaccino 23-valente; i pazienti
erano suddivisi in due gruppi, quelli in trattamento con il
rituximab in associazione al methotrexate e quelli trattati
con il methotrexate da solo. Il titolo di IgG specifiche
era misurato prima ed a 4 settimane dalla somministraPROBLEMATICHE RELATIVE ALLA VACCINAZIONE
IN SOGGETTI AFFETTI DA ARTRITE
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
Vaccinazione anti-influenzale
Anche la vaccinazione anti-influenzale, analogamente a quella anti-pneumococcica, sembra essere per
lo più efficace e caratterizzata da safety nei pazienti
con artrite.
Vi sono pochissimi dati sull’effetto del trattamento con
glucocorticoidi sulla risposta a tale vaccinazione nei
soggetti artritici. In uno studio comparativo condotto
su 32 volontari sani confrontati con 62 pazienti con
svariate reumopatie tra cui l’artrite reumatoide, la risposta anticorpale a uno dei due sottotipi utilizzati nella vaccinazione risultava significativamente più ridotta
nei soggetti che assumevano glucocorticoidi rispetto
a quelli che non assumevano tali farmaci. Tuttavia, la
maggior parte dei pazienti conseguiva una sieroconversione sufficiente e non si registravano riesacerbazioni di attività di malattia 15.
Vi sono pochi dati disponibili sull’effetto del trattamento del methotrexate sulla risposta alla vaccinazione
anti-influenzale nei pazienti con artrite reumatoide; tali
dati sembrano indicare che il methotrexate, da solo,
non influisca significativamente sulla capacità dei pazienti di produrre una efficace risposta al vaccino 1.
I. CHIAROLANZA, N. PIPITONE
Sono, invece, disponibili maggiori dati su pazienti
con artrite trattati con farmaci biologici.
In uno studio di Gelinck et al. 16 furono studiati prospetticamente 112 pazienti trattati con anti-TNF e farmaci
di fondo tradizionali e 18 controlli sani. Fu trovato
un adeguato tasso di protezione (titolo di inibizione
dell’emoagglutinazione ≥ 40) in entrambi i gruppi
di pazienti, anche se la media geometrica delle IgG
specifiche nei pazienti in terapia con anti-TNF era significativamente ridotta. Non furono osservati effetti
collaterali al vaccino né riattivazioni significative della
malattia.
Elkayam et al. 17 studiarono 38 pazienti, 20 affetti
da artrite reumatoide e 18 pazienti affetti da spondilite anchilosante trattati con infliximab ad un dosaggio medio di 3 mg/kg e 23 controlli affetti da artrite
reumatoide trattati con farmaci di fondo tradizionali. I pazienti trattati con infliximab furono suddivisi in
due gruppi; il primo era vaccinato contro la influenza il giorno dell’infusione, il secondo a tre settimane
dall’infusione. Lo studio dimostrò una buona risposta
umorale in tutti i gruppi, fatta eccezione per il gruppo
vaccinato a 3 settimane dall’infusione con infliximab.
Altri studi hanno mostrato una riduzione della risposta anticorpale al vaccino anti-influenzale rispetto a
quella ottenuta in pazienti in terapia con farmaci di
fondo 18 19. Uno studio tuttavia dimostrava che, comunque, in questi pazienti la ripetizione annuale del
vaccino portava, negli anni seguenti, ad un titolo
anticorpale pre-vaccino maggiore 19. In pazienti da
trattare con rituximab, la somministrazione del vaccino anti-influenzale andrebbe tuttavia effettuata prima
di iniziare la terapia con rituximab. La vaccinazione
anti-influenzale in corso di trattamento con rituximab
è effettuabile, ma la risposta può essere ridotta 12. In
alternativa, si può ipotizzare di effettuare una vaccinazione a distanza debita (circa 6 mesi) dopo l’ultima
somministrazione di rituximab prima della risomministrazione del farmaco.
Anche nei pazienti con artrite reumatoide trattati con
abatacept si può avere una ridotta risposta alla vaccinazione anti-influenzale 12. La risposta alle vaccinazioni e in
particolare ala vaccinazione anti-influenzale è invece in
genere efficace nei pazienti trattati con tocilizumab 12.
Sulla base di quanto su riportato, riteniamo pertanto di
poter concludere che: i pazienti con artrite, in particolare
quelli con artrite reumatoide e quelli in trattamento con
farmaci immunosoppressori e biologici, dovrebbero essere vaccinati annualmente con il vaccino anti-influenzale
e prima del trattamento con quello anti-pneumococcico.
REUMATOLOGIA
pratica
zione del vaccino. Un aumento delle IgG specifiche si
osservava nel 57% dei pazienti trattati con il rituximab
contro l’82% dei pazienti trattati con il methotrexate,
mostrando dunque una ridotta risposta al vaccino 11.
Questi dati suggeriscono che la somministrazione del
vaccino anti-pneumococcico vada effettuata prima di
iniziare la terapia con rituximab. In alternativa, si può
ipotizzare di effettuare una vaccinazione anti-pneumococcica a distanza debita (circa 6 mesi) dopo l’ultima
somministrazione di rituximab e prima della risomministrazione del farmaco stesso.
Infine, nei pazienti con artrite reumatoide trattati con
abatacept si può avere una ridotta risposta alla vaccinazione anti-pneumococcica 12.
In conclusione, sebbene la risposta anticorpale al vaccino 23-valente possa essere ridotta nei pazienti con
artrite in terapia con immunosoppressori e farmaci biologici, è comunque indicato vaccinare questo subset di
pazienti. La mancata somministrazione del vaccino può
sfociare in una aumentata possibilità di andare incontro
ad infezioni delle vie respiratorie che possono peggiorare il quadro clinico di base 13; viceversa, i pazienti
in trattamento con farmaci immunosoppressori possono
conseguire, dopo la somministrazione del vaccino, risposte anticorpali soddisfacenti anche se inferiori rispetto a quelle rilevate nella popolazione generale 14.
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
79
SETTEMBRE 2010 NUMERO 3
SAFETY DELLE VACCINAZIONI ANTI-INFLUENZALE
E ANTI-PNEUMOCOCCICA
La maggior parte degli autori suggeriscono che sia
opportuno somministrare i vaccini in pazienti con artrite in situazione clinica stabile. La definizione di stabilità è variabile, ma in generale si riferisce a pazienti
che non abbiano avuto bisogno di un incremento terapeutico da almeno sei mesi; in questi casi la safety del
vaccino, riferita alla possibilità di indurre una riacutizzazione della patologia appare essere migliore 20. In
accordo con questo punto, Francioni et al. 21 hanno
mostrato in un campione di 40 pazienti affetti da artrite reumatoide che l’incidenza degli effetti collaterali
immediati e successivi alla vaccinazione anti-influenzale era sovrapponibile a quella riscontrata nella popolazione generale; inoltre non si evidenziava alcuna
relazione tra lo sviluppo della risposta anticorpale al
vaccino e il decorso della attività di malattia.
RACCOMANDAZIONI DELL’AMERICAN COLLEGE
OF RHEUMATOLOGY SULLA EFFETTUAZIONE
DELLE VACCINAZIONI ANTI-INFLUENZALE E ANTIPNEUMOCOCCICA NEI PAZIENTI CON ARTRITE
L’American College of Rheumatology (ACR) ha stabilito delle raccomandazioni sull’esecuzione di vaccinazioni anti-influenzale e anti-pneumococcica in pazienti
con artrite.
L’ACR raccomanda che la vaccinazione anti-influenzale venga somministrata a tutti i pazienti con artrite
reumatoide prima di iniziare un trattamento con farmaci di fondo non biologici e che la vaccinazione antipneumococcica venga somministrata a tutti i pazienti
con artrite reumatoide prima di iniziare trattamento
con leflunomide, methotrexate o sulfasalazina. L’ACR
raccomanda altresì che la vaccinazione anti-influenzale venga somministrata annualmente e quella antipneumococcica periodicamente a tutti i pazienti con
artrite reumatoide prima di iniziare il trattamento con
farmaci di fondo biologici e nel prosieguo 22.
VACCINAZIONE ANTI-VIRUS DELL’EPATITE B (HBV)
La vaccinazione anti-HBV è consigliabile nei pazienti
con fattori rischio per tale infezione, quali gli operatori sanitari. La vaccinazione anti-HBV non comporta
un rischio di riattivazione dell’artrite 23. Una riduzione
della risposta è stata segnalata con etanercept, da
solo o in associazione al methotrexate 1.
REUMATOLOGIA
pratica
80
PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI
VACCINAZIONE CON VACCINI A BASE
DI GERMI VIVI (INCLUSA FEBBRE GIALLA,
PAROTITE, ROSOLIA, MORBILLO, VARICELLA)
I pazienti trattati con azatioprina, methotrexate, leflunomide, ciclosporina, micofenolato e con farmaci biologici non devono essere vaccinati con vaccini a base
di germi vivi. Ove ritenuto necessario, si può somministrare il vaccino antipolio inattivo, anche se la risposta
può essere subottimale. In pazienti esposti a varicella
o herpes zoster, è consigliabile attuare un’immunizzazione passiva con immunoglobuline endovena contro
il virus della varicella zoster 12 24.
CONCLUSIONI
I pazienti affetti da artropatie infiammatorie croniche in
terapia con farmaci immunosoppressori, e in particolare
quelli affetti da artrite reumatoide, hanno un rischio di
contrarre infezioni più elevato rispetto a quello della popolazione generale. In questi pazienti le infezioni sono
non solo più frequenti, ma anche, non di rado, caratterizzate da un decorso più grave. Pertanto, in questi pazienti è altamente indicata la vaccinazione anti-pneumococcica e anti-influenzale prima di intraprendere terapia
con farmaci ad azione immunosoppressiva, nonché la
successiva somministrazione con cadenza annuale della
vaccinazione anti-influenzale. Una attenuazione della
risposta può essere indotta da alcuni farmaci, quali il
methotrexate e (specialmente nel caso del vaccino antipneumococcico) il rituximab, senza però portare necessariamente ad una abrogazione completa della risposta.
Empiricamente, si può consigliare, qualora fosse indicato praticare una vaccinazione in corso di trattamento con
il rituximab, di effettuare una vaccinazione a distanza
debita (circa 6 mesi) dopo l’ultima somministrazione di
rituximab e prima della risomministrazione del farmaco
stesso. I vaccini con germi vivi attenuati sono invece controindicati nei pazienti con artrite trattati con i farmaci
biologici e con farmaci di fondo immunosoppressori
quali il methotrexate e la leflunomide.
Per quanto concerne la safety, gli studi condotti provano come la somministrazione dei vaccini a pazienti
con attività di malattia stabile non determini una riacutizzazione della malattia di base. I dati pubblicati
consentono, in ultima analisi, di sfatare il mito che le
vaccinazioni siano “pericolose” in pazienti con artrite,
e viceversa suggeriscono che sia pericoloso non vaccinare questi pazienti.
PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA VACCINAZIONE
IN SOGGETTI AFFETTI DA ARTRITE
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