Mass Media e Devianza di Chiara Camerani

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N° 100 Settembre 2008
Mass Media e Devianza di Chiara Camerani
In contrasto con le teorie dominanti che consideravano l’apprendimento una funzione
dell’esperienza diretta, Bandura, nel 1977, introduce il concetto di “rinforzo vicariante”. Ciò
significa che noi possiamo apprendere anche dalla semplice osservazione di un modello;
l’osservatore sarà spinto ad imitare o meno il modello in funzione delle ricompense o delle
punizioni che riceverà per il comportamento messo in atto. Un discorso del genere diventa
quanto mai attuale in un periodo che vede il fiorire di modelli negativi.
Il cinema e la letteratura celebrano l'antieroe (si pensi a film quali: “Arancia
meccanica”, “Fight club”, “Natural born killers”, “Cose molto cattive”…) soggetti privi di
rimorsi, dichiaratamente antisociali, sessualmente perversi o aggressivi.
Ciò che in epoche antiche era una rappresentazione di violenza che non aveva niente da
invidiare alla attuale filmografia, veniva mitigato da un epilogo catastrofico in cui il cattivo
era vinto e subiva la giusta punizione.
Il significato catartico e educativo è evidente; queste rappresentazioni teatrali, letterarie
finivano in tragedia per far sì che il soggetto venisse ammonito riguardo alle insidie di tali
comportamenti (si pensi alle tragedie).
I temi violenti, aggressivi vengono trasformati, stravolti; diventano leggeri, perdono di
serietà. Il cattivo suscita simpatia e viene gratificato per il suo comportamento. Ciò
contribuisce ad oggettivare, a mettere distanza tra sé e il dramma, a desensibilizzare il
soggetto verso la violenza o la perversione rendendole quasi accettabili, parte della
quotidianità. Ne deriva che comportamenti un tempo considerati impensabili, inaccettabili
e degni di biasimo vengono ora tollerati, accettati ed espressi fornendo un pretesto, un
prologo per la loro realizzazione futura.
L ‘UOMO E LA REALTA’
L’uomo è un organismo attivo rispetto all’esperienza, alle informazioni acquisite ed alle
conseguenti scelte effettuate.
I processi cognitivi elaborano le informazioni e le mettono in relazione con la realtà, in un
continuo circolo di apprendimenti e interazioni che consentono all’individuo di
autoregolarsi in funzione di ciò che lo circonda, di apprendere e di interagire influenzando
anche il suo rapporto con il mondo, la società. Ne deriva che, anche in ambito sociale,
ogni distorsione nel processo di elaborazione dell’informazione conduce a problemi, a
comportamenti devianti o aggressivi, a condizioni di isolamento e rifiuto sociale.
IL COMPORTAMENTO ANTISOCIALE
Il comportamento antisociale deriva da cause multiple; una di esse sembra essere il
temperamento. Il temperamento aggressivo emerge nei primi anni di vita (Kagan, 1988)
divenendo stabile e predittivo di una probabile condotta antisociale adulta intorno agli 8
anni.
I fattori predisponenti (livello di attivazione, impulsività, irritabilità) possono venire
esacerbati o moderati dall’esperienza infantile (famiglia, coetanei, ambiente culturale),
confluendo in modelli comportamentali che, una volta appresi, sono molto difficili da
cambiare.
Partendo dal presupposto che il comportamento è in gran parte appreso dalle interazioni
precoci con l’ambiente; se questo è deprivante, frustrante e provocatorio, l’individuo verrà
sottoposto ad una continua stimolazione all’aggressività. Ciò spiega gli alti riscontri di
condotte violente in individui esposti alla violenza o provenienti da ghetti urbani o periferie,
luoghi in cui questo tipo di situazione si presenta con maggiore frequenza.
PERCHÉ L’ESPOSIZIONE ALLA VIOLENZA È CORRELATA AL
COMPORTAMENTO AGGRESSIVO: IL CONTRIBUTO DI BANDURA
Come evidenziato da molte teorie (Bandura, 1986; prospettiva associazionista di
Berkowitz; 1984-88, teoria dell’informazione di Huesmann, 1982-88; Dodge, 1994) le
cognizioni apprese hanno un ruolo fondamentale nel modulare determinati comportamenti.
Gli esperimenti di Doob & Wood, (1972) ; Huesmann, (1991) ; Viemero & Paajanen,
(1992) evidenziano tramite il seguente esperimento, che l’osservazione della violenza e
l’attuazione del comportamento aggressivo (acting-out) sono positivamente correlati; ad un
campione di bambini selezionati casualmente vengono mostrati due brevi film (uno
violento e l’altro no) Successivamente, vengono osservati mentre giocano fra loro o con le
bambole. I risultati mostrano che i soggetti esposti a contenuti violenti manifestano
nell’immediato un comportamento aggressivo.
In molti paesi si riscontra che bambini aggressivi guardano più televisione e preferiscono
programmi violenti, si identificano con personaggi violenti e percepiscono la violenza
televisiva come più reale che non i bambini con un livello minore di aggressività.
Nello spiegare tutto ciò utilizzeremo la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, il
quale enfatizza il ruolo degli stimoli ambientali nell’espressione del comportamento
aggressivo. L'autore elabora il concetto di già citato apprendimento vicario intendendo con
esso una acquisizione, un apprendimento che avviene tramite l’osservazione di un
modello.
L’interesse per cui il modello violento viene imitato dipende dal rinforzo attuato tramite il
modello stesso; se questo viene “premiato” per la condotta aggressiva, è più probabile che
il bambino ripeta tale comportamento.
I due fattori: osservazione del comportamento aggressivo e conseguente rinforzo
sarebbero fattori essenziali per comprendere l’insorgere dell’aggressività, ad essi si
aggiunge la valutazione cognitiva che l’ambiente di appartenenza del bambino attribuisce
agli eventi influenzando la competenza del soggetto nell’affrontare lo stimolo aggressivo e
nello scegliere la risposta adeguata. Ciò significa che gli agenti socializzanti (famiglia,
insegnanti, coetanei, mass-media) che circondano il bambino possono avere rilevanti
conseguenze sul controllo e l’acquisizione di modelli comportamentali aggressivi.
Tramite l’apprendimento osservativo ed il rinforzo vicario il bambino sviluppa modelli
radicati di comportamento, acquisisce programmi comportamentali, standard di
autoregolazione interna, tendenze all’attribuzione che supportano o inibiscono
l’aggressione. Si noti, a questo proposito, che persone abusate o maltrattate tendono ad
essere più sospettose e si aspettano di più di venire coinvolte in episodi violenti (Gerbner
& Gross, 1974-80).
Sembra subentrare, inoltre, una desensibilizzazione verso la condotta in questione;
individui esposti ad ambienti violenti hanno una attitudine più positiva verso l’aggressività
in quanto la percepiscono come normale.
Ne deriva che, a seguito di una frequente esposizione alla violenza, il soggetto svilupperà
una maggiore accettazione ed una minore risposta emotiva alla stessa.
Un altro elemento degno di nota riguarda il rapporto fra l’eccitamento generico e la
maggiore probabilità di emissione di un comportamento aggressivo. 3 Zillmann (1984)
asserisce che l’attivazione fisiologica causata da stimoli sessuali o di altro tipo, può
predisporre nell’immediato, ad acting-out aggressivi.
La spiegazione di ciò sta nel fatto che in presenza di stimoli provenienti da fonti differenti, il
soggetto non è in grado di individuare la causa dell’eccitazione la quale va a sommarsi o
ad intensificare un’emozione presente (quale la rabbia). Questa teoria, comunque, è
inadatta a spiegare gli effetti a lungo termine di una tale esposizione in quanto la durata
dell’eccitazione è breve.
GLI
EFFETTI
DELLA
VIOLENZA
COMPORTAMENTO ANTISOCIALE
TELEVISIVA
SULLO
SVILUPPO
DEL
Negli ultimi decenni si è sviluppato un considerevole interesse verso gli effetti dei media
sul comportamento e la cognizione.
Huesmann, Moise e Podolsky (1998) denunciano, a partire dagli anni ’40, l’aumento di
violenza giovanile e con essa un aumento nell’esposizione dei giovani ai mass-media (in
modo particolare alla televisione).
In base alla teoria catartica di Freud (1933), sarebbe ragionevole supporre che il guardare
in televisione atti violenti abbia un’azione “purgante” delle tendenze o degli impulsi
aggressivi, ma i dati (e le teorie di Bandura) mostrano l’esatto contrario.
L’ipotesi suggerita dagli autori è che l’esposizione prolungata ai mass-media visivi
potrebbe aver determinato un aumento di violenza nella società. Le relazioni non sono
statisticamente forti, ma ripetibili ed ampie abbastanza da suscitare inquietudine ed
interesse sociale.
I video musicali mostrano atti violenti accompagnati da ritmi ripetitivi; la televisione e il
videoregistratore permettono un accesso illimitato a programmi e film violenti, i video
games forniscono un’esposizione grafico-visiva della violenza, lasciandola al controllo del
giocatore.
In base a quanto finora osservato, il potenziale dei mass-media nell’influenzare il
comportamento (in peggio o in meglio) sembra essere più grande che mai.
E’ stato stimato che bambini americani di età compresa tra i 10 e gli 11 anni guardano
approssimativamente 28 ore di televisione a settimana, mentre i teenagers 23,5
(Comstock & Paik, 1991).
Tangney & Feshbach (1988) riportano un dato interessante: americani, africani ed ispanici
spendono più tempo degli altri davanti allo schermo; Kubey & Csikszentmihaly (1990)
supportano quest’affermazione, rimarcando che, persone con basso status socioeconomico, sono spesso grossi consumatori di programmi televisivi.
Un altro dato importante è l’aumento, dagli anni ’40 ad oggi, di programmi violenti; nel
periodo che va dal 1986 al 1990 si è osservata, una media di circa 6 atti violenti l’ora
durante la prima programmazione, e di 20 a 25 nei programmi dedicati ai bambini della
domenica mattina.
Le indagini più recenti e dettagliate svolte in America (Mediascope, 1996) informano che il
57% della programmazione televisiva contiene violenza generica ed il 33% di essa è
classificata come molto violenta.
I video musicali risultano contenere almeno un richiamo violento (Huston e altri, 1992),
resta comunque da verificare se l’ammontare della violenza rappresentata è comparabile
con quella dei film e della televisione.
E' indubbio che l’aggressività infantile sia frutto di cause multiple e che il comportamento
aggressivo scaturisca dalla convergenza di molte di esse, a questo proposito, non va
comunque trascurato il fatto che nell’esposizione alla violenza televisiva, i bambini sono
maggiormente a rischio a causa della loro impressionabilità e delle strutture cognitive
meno mature.
Il rischio maggiore è corso da soggetti che già vivono in ambienti sfavorevoli, esposti ad
una cultura di violenza nella quale le norme riguardo al comportamento aggressivo sono
scarse.
Conclusioni
Dalla psicologia dello sviluppo come anche dalla fisiologia, non appaiono fattori specifici
che spiegano, in assenza di altri, il comportamento violento.
Un approccio integrato potrebbe considerare l’interazione fra unità elementari di
classificazione usate in psicopatologia quali: impulsività, depressione, forza dell’Io,
dimensioni presenti in misura diversa in ogni individuo, unitamente all’intervento dei fattori
amplificanti e moderanti.
Blum (1997) indica come fattore protettivo nello sviluppo adolescenziale la
“connessione” familiare e scolastica, intendendo con la prima la percezione di essere
amato, desiderato e curato all’interno di una relazione armonica fra i genitori e con la
seconda, la presenza di un rapporto di collaborazione ed imparzialità con l’insegnante, la
sensazione di essere parte della scuola e la complicità con i compagni. Adolescenti che
percepiscono questa “connessione” sono meno propensi ad indugiare in comportamenti
rischiosi ed aggressivi in quanto sono riusciti a costruire un solido senso di autoefficacia
cioè la capacità di fronteggiare la realtà quotidiana e di scegliere la risposta adatta alla
situazione.
Questa lettura ci pone davanti ad un bivio fornisce una doppia possibilità: prevenire e
moderare gli stimoli aggressivi ambientali oppure lasciare il bambino nella condizione di
passivo osservatore di cattivi modelli, trascurando il valore di un entità essere.
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