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Pubblicato il 28 Novembre 2011
Gli Anni Folli in Italia
La generazione dell'Ottanta
A cura di Annalisa Lo Piccolo
Il rinnovamento della musica italiana nei primi decenni del Novecento ed il suo adeguamento alle
nuove istanze del gusto europeo contemporaneo furono opera d'una generazione di musicisti nata
attorno al 1880: principalmente Franco Alfano, Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco
Malipiero, Alfredo Casella. Il loro compito era particolarmente difficile. È vero che ogni paese europeo
era praticamente impegnato nello stesso fenomeno di rinnovamento dei valori musicali della propria
tradizione per aggiornarli alle conquiste strumentali del Romanticismo tedesco e del dramma
wagneriano; tuttavia l'Italia più di tutti si trovava in perdita rispetto a questo cambiamento: troppo
grande era il passato artistico dal quale bisognava distaccarsi, la gloriosa tradizione del
melodramma ottocentesco. I musicisti dell'Ottanta non poterono che prendere atto delle mutate
condizioni di gusto, di cultura e di abitudini d'ascolto, per cui risultava impossibile continuare a
scrivere opere tradizionali, seppure esse continuassero a suscitare l'entusiasmo delle folle; da qui si spiega l'iniziale
impopolarità che dovettero affrontare. Accanto al recupero della musica di tradizione, i musicisti dell'Ottanta erano animati
dall'entusiasmo della ricerca, dall'ansia e dalla curiosità per il nuovo: essi miravano innanzitutto ad impossessarsi delle più
recenti innovazioni del linguaggio musicale ed a portarle avanti in maniera del tutto originale. Strauss e Debussy furono
dapprima importanti poli di attrazione per l'interesse rinnovatore della nuova generazione di compositori, per la densità
dell'armonia e la complessità della strumentazione.
Ottorino Respighi
Alcuni di loro, come Alfano, Respighi, ed in parte Pizzetti, rimasero radicati alla poetica
impressionista, mentre Malipiero e Casella conservarono un interesse costante per
l'evoluzione musicale contemporanea. Furono toccati entrambi dalla crisi armonica
dell'ambiente viennese postmahleriano, e nella originale poetica di Malipiero si avverte una
certa apertura verso l'Espressionismo mitteleuropeo; Alfredo Casella, invece, si rivolse verso
l'altro polo dell'esperienza contemporanea, ossia il Neoclassicismo elaborato a Parigi nel
primo dopoguerra intorno all'esperienza di Stravinskij, all'insegna della semplificazione, della
chiarezza e dei valori nazionali. Nessuno di questi compositori varcò la soglia dell'atonalità,
ma tutti accettarono l'impiego della tonalità liberamente allargata, seguendo la svolta modale
o politonale dell'armonia, congiunta con il rinato interesse per il contrappunto.
Relativamente al canto popolare italiano, la sua importanza non è paragonabile a quella che
ebbe in Ungheria (con Bartók e Kodály) ed in Spagna (con de Falla); in Italia era troppo
importante la tradizione della musica d'arte perché il canto popolare continuasse ad avere
una propria fisionomia distinta. Malipiero e Pizzetti, ad esempio, si rivolsero al canto
gregoriano, come una sorta di coscienza musicale sepolta nella Nazione, per attingervi le
norme di una nuova melodia, dall'armonia di sapore modale e dal ritmo libero, duttilmente piegato alla pronuncia della
parola. Casella, al contrario, si accostò agli aspetti più innovativi del ritmo motorio, con caratteri di ostinata accentuazione
metrica, che egli derivava dall'esempio di danze popolari, come la tarantella. In conclusione, il rinnovamento musicale
italiano fu animato da due tendenze apparentemente antitetiche, ma di fatto complementari: da un lato l'importazione in Italia
dei moderni valori europei; dall'altro la riscoperta dell'antica civiltà musicale italiana, strumentale e polifonica, antecedente
alle glorie del melodramma ottocentesco. Tra i valori dell'arcaismo nazionale e quelli della modernità europea, la
generazione dell'Ottanta seppe raggiungere un livello assai notevole di integrazione e compenetrazione.
Sull'esperienza dell'Impressionismo si è sviluppata l'arte di Franco Alfano (1876-1954), dopo gli esordi in ambito verista. La
raffinatezza francesizzante è impreziosita attraverso la luminosa ricchezza di colori, l'energia e la vitalità di uomo meridionale,
unita ad un'esuberante cordialità. Esemplare l'accostamento alla delicata poesia indiana di Tagore nell'opera La leggenda di
Sakuntala (1921): il languore suggestivo e pudicamente velato è acceso dalla sensualità del suo temperamento
mediterranea, attraverso un'orchestrazione policroma, multiforme e sfaccettata.
Strauss e Debussy sono i modelli per l'arte di Ottorino Respighi (1879-1936): il primo per la magnificenza orchestrale, il
secondo per la capacità di evocare suggestive atmosfere armoniche e timbriche. R. creò una personale accezione di poema
sinfonico, non descrittivo ma evocativo, impreziosito da un'estetizzante sensualità dannunziana. Le fontane di Roma (1916) è
l'esempio più interessante del sapiente utilizzo del colorito orchestrale, di una tendenza all'arcaismo spoglia ed essenziale,
dell'impiego di gregorianismi nella melodia, di antiche sonorità e di cadenze arcaiche. Tra i musicisti della generazione
dell'Ottanta, Respighi fu quello che, indubbiamente, riscosse il maggior successo di pubblico.
Idebrando Pizzetti
Il ricorso alla salmodia gregoriana fu per Ildebrando Pizzetti (1880-1968) molto più di una
semplice particolarità linguistica: diede una fisionomia definita alla sua concezione eticoestetica del dramma concepito come conflitto in una visione religiosa della vita e dell'arte.
Estranea agli sviluppi del cromatismo wagneriano e di ogni forma di dissoluzione tonale, la
produzione teatrale e strumentale di Pizzetti è pervasa da una vocalità intensamente
declamata. Vocalità essenziale che talvolta allontana le esigenze costruttive, come in Rondò
Veneziano (1929), fino ad imprudenti abbandoni melodici quasi mascagnani (Canti della
stagione alta per pianoforte -1933-). Il Concerto dell'Estate è un concentrato di caldi timbri
orchestrali impressionistici, liberamente sentiti. Dal 1908 fu legato ad una profonda amicizia
con Gabriele D'Annunzio, che per lui adattò il testo della sua tragedia Fedra (1915); tra i
drammi pizzettiani si ricordano La sacra rappresentazione di Ab ramo e Isacco (1931),
Orsèolo (1935) e La figlia di Iorio (1954), ancora su libretto dannunziano.
Per Gian Francesco Malipiero (1882-1973) il 1913 costituì una fondamentale svolta
nell'esperienza di uomo e di artista: a Parigi incontrò Casella, D'Annunzio e Ravel, e fu
presente alla prima rappresentazione de La sagra della primavera di Stravinskij; da quel
momento, dopo un esordio di netto stampo romantico e soprannaturale, la sua produzione fu caratterizzata da un
antiromanticismo essenzialmente vocalistico, anche nel trattamento strumentale. Essa si trova le sue basi nel canto
gregoriano e nella monodia italiana del Cinque-Seicento, pur essendo inizialmente sensibile alle grandi innovazioni formali
ed espressive d'inizio Novecento; è caratterizzata dalla libertà ritmica strutturale, dall'articolazione in episodi, dall'assenza
quasi completa di sviluppi tematici, dal fluire rapsodico del discorso. In particolare, il teatro di Malipiero si basa su una
giustapposizione statica di scene drammatiche, secondo una tecnica che fu definita “a pannelli”; il primo impiego si attesta in
Sette canzoni (1918) e nella trilogia dell'Orfeide (1923), successivamente in Torneo notturno (1929), il suo capolavoro. Nella
musica strumentale si ricordano Pause del silenzio (1917-26), Ricercari (1925), Ritrovari (1926), accomunati dal colorismo
orchestrale, dalla vitalità ritmica e dall'inesauribile fantasia. La fase matura della produzione di Malipiero fu poi caratterizzata
dalla ricerca della perfezione formale, della bellezza classicamente intesa, ricercata nella tradizione italica; essa si rintraccia
soprattutto nelle composizioni strumentali e sacre (La Passione -1935-, Sinfonia -1934-). Strettamente connessa alla sua
attività di compositore fu quella di trascrizione e studio di musiche italiane tra il sec. XVI ed il XVIII: curò l'edizione dell'opera
omnia di Monteverdi e fu, dal 1947, direttore dell'Istituto italiano per la pubblicazione e la diffusione dell'opera di Vivaldi.
Con Alfredo Casella (1883-1947) la musica italiana entrò profondamente in contatto con le
esperienze europee. Dal 1896 al 1915 Casella visse a Parigi; studiò pianoforte e
composizione al Conservatorio con Gabriel Fauré, che insieme a Debussy, Mahler e Strauss
esercitò un notevole influsso sulle sue prime opere.
Alfredo Casella
Qui conobbe più tardi anche Ravel e Stravinskij, e venne in contatto con la musica di
Schönberg, ricevendone suggestioni assai varie e complesse. Da una parte l'invito al “dubbio
tonale”, che determinò la sua produzione tra il 1914 ed il 1918 attraverso l'uso della
“poliarmonia”, che prevede l'uso delle dissonanze in funzione d'urto (9 pezzi pianistici op. 24 ,
Pagine di guerra per pianoforte a quattro mani ). La scrittura di questo periodo è articolata in
linee melodiche sovrapposte, con levigatezze di timbri volte a realizzare atmosfere preziose.
Dall'altra la spinta al neoclassicismo ed alla creazione di una musica nazionale italiana,
attraverso l'interesse per le forme della tradizione musicale italiana preottocentesca, orientata
in particolar modo verso il Settecento strumentale: da Vivaldi a Scarlatti fino a Rossini, sulle
tracce di una musica vigorosa e movimentata, melodicamente ben definita ed animata da un
energico dinamismo ritmico. Tale tendenza caratterizzò la fase successiva della produzione di
Casella, dal 1920, orientata ad una modernità razionale, ad un ordine architettonico di stampo contrappuntistico, ad una
costante attenzione per il fattore ritmico. Inoltre, nei ritmi dell'Italia meridionale (tarantella, siciliana, ecc.) Casella trovò i modi
espressivi di quell'inclinazione tragica e di quella robusta energia ritmica che costituiscono i poli del suo temperamento. Tra
le opere di questo periodo si citano La giara (su testo di Pirandello, popolareggiante), Partita op. 42 per pianoforte e
orches tra, Concerto Romano op. 43 per organo, ottoni, timpani ed archi, basate su forme classiche. Alla soglia dei
cinquant'anni Casella si accostò all'opera, dapprima pesantemente osteggiata; nella fiaba La donna serpente (1930) rifiuta
le suggestioni dell'impressionismo in nome del richiamo alla tradizione comica dell'opera seicentesca. Nell'ultimo decennio
di vita, Casella sviluppò gli aspetti più aulici della sua musica, orientandosi verso un neoclassicismo monumentale, barocco
e controriformista; una concessione più o meno consapevole al nazionalismo artistico promosso dal regime fascista. Ciò
tuttavia non gli leva il merito dell'importante operazione di sprovincializzazione della musica italiana per il suo inserimento in
un contesto europeo, che fa di Casella un punto di riferimento obbligato per la storia dell'evoluzione musicale degli ultimi
cinquant'anni.
Nella miniatura: Gian Francesco Malipiero
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