numero 52 - Associazione Pordenonese di Astronomia

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PARLIAMO UN PO’ DEI NUMERI PRIMI E DI CRITTOGRAFIA
Oltre che per l’aspetto meramente matematico, sono indispensabili per la sicurezza delle nostre «Carte di Credito»
( Giampaolo Carrozzi)
- 2 parte -
In natura non si trovano solo i numeri di Fibonacci. Il regno animale conosce anche la logica dei numeri
primi. Per esempio esistono due specie di cicale; Magacicada septendecime (fig. a lato)
e Megacida tredicim che spesso vivono nello stesso ambiente. Queste due cicale hanno
cicli di vita di 17 e 13 anni rispettivamente. Per tutti questi anni, tranne l'ultimo rimangono nel terreno alimentandosi con la linfa delle radici degli alberi. Poi, nell'ultimo anno del ciclo, compiono la metamorfosi da ninfe ad adulti e, completamente formati,
emergono in massa dal terreno.
L'evento è straordinario quando ogni 17 anni gli esemplari di Megacicada septendecim si impadroniscono
della foresta in una sola notte. Emettono il loro canto sonoro, si accoppiano, si alimentano, depositano le
uova e dopo sei settimane muoiono. La foresta torna silenziosa per altri 17 anni. Il ciclo si ripete ogni 13
anni per l'altra cicala. Avendo la natura scelto il ciclo di due numeri primi, le circostanze di risveglio si
ripetono una volta ogni 221 anni (13 17).
Se invece il ciclo fosse di due numeri non primi (es. 12 e 18 ) le due specie si troverebbero in sintonia ben
sei volte, cioè quelli composti dagli stessi numeri primi che sono i costituenti elementari sia di 18 sia di
12.
Quindi i numeri primi 13 e 17 evitano alle due specie un eccessiva competizione, ma potrebbe essere anche l'evoluzione di un fungo letale per le cicale che emergeva in simultanea.
Passando ad un ciclo della durata di 17 e 13 anni le cicale si sono garantite la certezza di emergere negli
stessi anni del fungo molto meno spesso di quanto accadrebbe se i loro cicli di vita durassero un numero
non primo di anni.
Anche per generare i numeri di Fibonacci esiste una formula che si basa su un numero speciale chiamato
«rapporto aureo» (phi Φ). Un numero che inizia con 1,61803398874989484…
Così come la diagonale del quadrato, si lega alla radice quadrata di 2, come l’altezza del triangolo equilatero è proporzionale alla radice quadrata di 3, anche per la «Sezione Aurea» esiste una formula che perviene alla sua irrazionalità.
È noto che: (a + b) : a = a : b, cioè che il prodotto dei medi è uguale a quello degli estremi: ab + b2 = a2.
Dividendo il tutto per b2 e ponendo
si avrà: x2 – x – 1 = 0. Risolvendo l’equazione di secondo grado si avranno due soluzioni, ma trattandosi di un rapporto tra lunghezze sarà valido il solo valore positivo:
= 1, 61803398874989484.
Come per il , il rapporto aureo è un numero la cui espansione decimale non ha fine, né manifesta alcuna
regolarità. Però è stato così chiamato perché fissa un proporzione che allieta…la vista. Osservando i quadri di una galleria si potrà scoprire come l’artista molto spesso prediliga un rettangolo i cui lati stanno nella proporzione di 1 a 1,618. Tra l’altro si scoprì sperimentalmente che fra l’altezza di una persona e la distanza che separa i piedi dall’ombelico la natura abbia privilegiato questo rapporto numerico. Fu poi Keplero che nel seicento notò che il rapporto tra due termini consecutivi, tende ad un valore particolare che
coincide con la «Sezione Aurea».
La terza successione fu studiata dal matematico indiano Srinivasa Ramanujan.
Quando nel 1914 arrivò a Cambridge, proveniente dall’India, si trovò a lavorare con due geni della matematica: Goffred Harold Hardy e Jhon Edensor Littlewood. Uno dei motivi per cui si imbarcò per
l’Inghilterra erano i tentavi in atto a Cambridge di produrre finalmente una formula esatta per il calcolo
dei numeri primi. Tra l’altro le idee che Ramanujan elaborò con Hardy avrebbero contribuito non poco ai
tentativi di dimostrare la congettura di Goldbach (ricordiamo che la congettura è una teoria matematica
che deve ancora essere dimostrata): che cioè ogni numero pari è la somma di due numeri primi.
Uno dei più conosciuti aneddoti della storia della matematica moderna narra che nel 1918 Hardy, recatosi
a trovare Ramanujan in sanatorio, notò il numero del taxi - 1729 - che lo aveva trasportato dalla stazione
di Londra al sobborgo di Putney. E meditando su quel numero, tanto per dire qualcosa, quando entrò nella stanza osservò che gli sembrava un «numero, il 1729 piuttosto insulso». Al ché Ramanujan rispose
immediatamente :«Ma no Hardy, è un numero estremamente interessante: è il più piccolo numero esprimibile, come somma di due cubi, in due modi».
Mentre era facile trovare due numeri somma di due cubi, p.e. 35 = 23 + 33, non era possibile trovare altri
due numeri che levati al cubo dessero 35.
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Provando e riprovando non si riusciva trovare la soluzione, sino a che si giunse al 1729 che era uguale a
123 +13 ma anche 93 + 103. Ramanujan si ricordò questo particolare matematico che aveva a suo tempo
annotato su un quaderno di appunti!
Là dove Ramanujan sosteneva di avere trovato una formula per i numeri primi affermava anche di avere
compreso come generare un’altra sequenza rimasta sino ad allora misteriosa: quella della partizione di un
numero intero.
Per esempio (fig. a lato): quanti modi diversi ci sono per dividere cinque
pietre in pile distinte?
Il numero varia da un massimo di cinque pile composte da una sola pietra
ad una sola pila composta da cinque pietre, oltre naturalmente varie possibilità intermedie.
Queste distinte possibilità sono chiamate le partizioni del numero cinque.
Come appare in figura esistono sette partizioni per il numero cinque.
per i numeri da 1 15 questo lo specchio delle partizioni:
Numero
1 2 3 4 5 6
7
8
9
Parti1 2 3 5 7 1
zioni
1
Ed è questa la terza sequenza trattata all’inizio del capitolo.
1
5
2
2
3
0
1
0
4
2
1
1
5
6
1
2
7
7
13
14
15
10
1
13
5
17
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LA CRITTOGRAFIA
Quanto sopra ci consente ora di comprendere meglio come si è giunti ad elaborare un sistema crittografico che presentasse le caratteristiche fondamentali di sicurezza e di semplicità tali da permettere quello che
oggi è noto come ECommercio, praticamente là dove vengono usate le carte di credito.
Sin dall’antichità si sentiva la necessità di poter comunicare messaggi che fossero compresi solo da chi si
desiderava, ma non da tutti. Uno dei metodi più antichi a noi
noto fu quello ideato dagli strateghi spartani più di duemilacinquecento anni fa. Il mittente ed il destinatario dei messaggi disponevano ciascuno di un sottile cilindro di legno di dimensioni perfettamente identiche: lo sciatale. (fig. a sin.)
Il mittente cifrava il messaggio avvolgendo una sottile striscia
di pergamena attorno allo sciatale ed iniziava a scrivere nel
senso della lunghezza. Terminata la scrittura svolgeva la pergamena, che presentava solo un insieme di
caratteri alla rinfusa e veniva inviata al mittente. Questi riavvolgeva la striscia sul suo sciatale ed era
quindi in condizione di ricomporre i caratteri.
Nei secoli l’umanità si è sbizzarrita alla ricerca di metodi sempre più sofisticati e sicuri per colloquiare a
distanza in maniera segreta.
L’ultimo e più raffinato meccanismo inventato dai crittografi fu la macchina «Enigma» (immagine a lato) usata dalle forza armate tedesche durante
la Seconda guerra mondiale. Macchina impiegata per parecchio tempo
specialmente per dirigere le operazioni dei sottomarini nella caccia ai convogli.
Gli Inglesi in particolare, consci dell’importanza di poter pervenire alla intercettazione di messaggi, concentrarono un gruppo di cervelloni matematici in una località supersegreta nota come Bletchley Park con il compito di
decifrare Enigma. In questo gruppo spiccava la personalità di Alan Mathison Turing, che sviluppò ricerche già svolte dall'Ufficio Cifra polacco con
la macchina Bomba, progettata in Polonia da Marian Rejewski nel 1932 ed
ultimata nel 1938.
Basandosi su tali esperienze Turing realizzò una nuova versione, molto più
efficace, della bomba di Rejewski. Fu sul concetto di macchina di Turing
che nel 1942 il matematico di Bletchley Park, Max Newman progettò una macchina chiamata Colossus lontana antesignana dei computer - che decifrava in modo veloce ed efficiente i codici tedeschi creati con
la cifratrice Lorenz SZ40/42, perfezionamento della cifratrice Enigma.
Sino al 1977, i vari sistemi crittografici si basavano su questi principi.
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Chiunque volesse inviare un messaggio segreto si trovava davanti al problema fondamentale: prima di
trasmettere il messaggio era indispensabile che mittente e ricevente si accordassero su quale cifra e quale metodo di codifica dovesse esser adottato. Così come i generali spartani dovevano concordare preventivamente la dimensione dello sciatale, così con Enigma era necessario che i riceventi disponessero dei
libri di decodifica, la cosiddetta chiave e che, comunque, doveva essere tenuta segreta. Le varie chiavi
venivano recapitate ai riceventi a mezzo di agenti segreti, con difficoltà logistiche sempre crescenti a mano a mano che il ricevente si allontanava dal mittente e quindi con il continuo pericolo di intercettazione
da parte del nemico. Cosa che in effetti poi avvenne. Ma all’inizio i danni inferti ai tedeschi furono relativi perché questi modificavano continuamente le chiavi e sarà solo con gli sviluppi matematici che i britannici poterono pervenire alla completa decodifica del metodo.
Ma oggi il traffico in Internet sarebbe impossibile se si dovesse continuamente aggiornare il codice di decodifica per ogni utente. Si rende quindi necessario sviluppare un sistema crittografico adatto a queste
nuove esigenze.
La soluzione, così come fecero i matematici di Bletchley Park, fu trovata ancora dai matematici.
La base di partenza si trova là dove i greci già duemila anni fa avevano dimostrato che ogni numero intero
può essere scritto come prodotto di numeri primi. Purtroppo però da allora un metodo rapido ed efficiente che consenta di individuare i numeri primi con cui vengono costruiti gli altri numeri non è stato ancora
individuato. Ma i matematici avevano intuito che il metodo per sviluppare un programma di crittografia
utilizzabile senza cambiare continuamente la chiave, era avvalersi della scomposizione di un numero in
numeri primi, collegando quindi i codici al difficile problema della fattorizzazione. Sono appunto questi
codici matematici che hanno favorito quella che oggi è nota come «crittografia a chiave pubblica».
Con questo sistema è come avere una porta con due chiavi distinte: la chiave A chiude la porta, ma sarà
una chiave differente B che servirà per aprirla.
Scompare quindi la necessità di mantenere segreto il codice della prima chiave: infatti il possesso della
chiave A non comprometterà mai la sicurezza. Tutti possono avere la chiave A per potere entrare e quindi
chiudere la porta (per esempio il numero della propria carta di credito), ma una volta codificato il messaggio e non disponendo della chiave B per potere aprire, nessuno sarà più in grado decodificarlo, se non
chi disporrà appunto della chiave B.
Di fatto una volta che i dati sono codificati solo il gestore del sito che possiede la chiave B potrà riaprire
la porta e leggere i numeri della carta di credito.
La crittografia pubblica fu proposta per la prima volta nel 1976 da due matematici della Staford
University, in California: Whit Diffie e Martin Hellman, che pubblicarono la loro idea su una rivista
scientifica. Ma l’argomento venne acquisito da alcune agenzie governative preposte alla sicurezza che lo
nascosero con la scritta «Top Secret». Ma l’articolo venne letto e metabolizzato da un matematico del
Massachusetts Institute of Tecnology: Ron Rivest.
Questi nel 1978, mentre stava lavorando alla ricerca di una soluzione per la fattorizzazione dei numeri,
coinvolse altri due colleghi: il crittografo Adi Shamir e il matematico Leonard Max Adleman.
Dice Rivest:
«Il problema della fattorizzazione era una forma d’arte oscura a quel tempo. La letteratura al riguardo
era scarsa. Era difficile ottenere delle buone stime del tempo che ci avrebbero impiegato gli algoritmi
che erano già stati sviluppati».
Insieme produssero quindi un sistema di crittografia che ritenevano più che sicuro e lo battezzarono con
la sigla RSA, le iniziali dei loro nomi.
Oggi il sistema di cifratura RSA protegge la gran parte delle transazioni che avvengo su Internet. Ma ciò
che più stupisce è il fatto che la matematica che rende possibile questo sistema di crittografia a “chiave
pubblica” si rifà ai calcolatori a orologio di Gauss ed a un teorema dimostrato da Pierre de Fermat: il piccolo teorema di Fermat.
Calcolatori a orologio di Gauss
Sviluppando ed approfondendo quanto già elaborato da Fermat prima e da Eulero dopo Carl Friederich
Gauss (1777 - 1855) pervenne all’invenzione del «calcolatore a orologio». Non si tratta di una macchina
materiale ma di una idea che permetteva di effettuare operazioni anche con numeri grandissimi.
La somma sui calcolatori a orologio si basa sull’identico principio di funzionamento di un normale orologio analogico con 12 ore sul quadrante.
Se l’orologio segna le ore 9 è evidente che quattro ore dopo le nove, saranno le tredici, cioè l’una.
Allo stesso modo dovendo sommare 9 + 4 si otterrà 13 cioè l’una.
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Questa la esatta notazione usata da Gauss circa duecento anni fa: 4 + 9 = 1 (modulo 12 in quanto la divisione del quadrante è in 12 ore).
Volendo per altro eseguire operazioni più complicate per esempio 7 7 Gauss, impiegando il suo calcolatore, avrebbe ricavato il resto che si ottiene dividendo 49(7 7) per 12. Il risultato è nuovamente 1.
Ma Gauss scoprì la velocità del procedimento quando voleva calcolare 7 7 7.
Invece di moltiplicare 49 7 poteva limitarsi a moltiplicare per 7 l’ultimo risultato ottenuto: 1.
La risposta era 7.
Così senza dover moltiplicare un’altra volta 49 per 7 (343), egli sapeva con poca fatica che quel risultato
diviso per 12 dava resto 7. Ma il suo calcolatore cominciò a rivelare tutta la sua potenzialità quando cominciava a trattare grandi numeri il cui calcolo diventava proibitivo.
Pur non avendo idea di quanto facesse 790, il suo calcolatore a orologio gli diceva che quel numero diviso
per 12 avrebbe dato come resto 7. La moltiplicazione o l’elevamento a potenza funzionano allo stesso
modo: si calcola il risultato su un calcolatore convenzionale lo si divide per 12 e si prende il resto della
divisione.
Gauss rendendosi conto che non c’era nulla di speciale negli orologi con 12 ore sul quadrante, introdusse
l’idea di un matematica dell’orologio (o matematica modulare) basata su orologi con un numero qualsiasi di ore.
Per esempio inserendo il numero 11 in un calcolatore a orologio diviso in 4 ore si otterrà 3, dato che 11
diviso 4 da come resto 3.
Prima che Gauss formulasse esplicitamente il suo concetto di aritmetica dell’orologio Pierre de Fermat
(1601 - 1665) nel 1636-1640 sviluppò il cosiddetto «Piccolo teorema di Fermat» che dice:
«Dato un numero primo p e un numero qualsiasi a (primo rispetto a p), l’espressione ap-1 è divisibile per
p».
Rifacendosi al calcolatore a orologio con un numero primo di ore (p) sul quadrante se si prende un numero x sullo stesso e lo si eleva alla potenza di p si ottiene sempre il numero da cui si è partiti.
P.e.: su un calcolatore a orologio con 5 ore (numero primo) sul quadrante e si moltiplica 2 per se stesso
per 5 volte (25) si otterrà 32 cui corrisponde di nuovo 2 sull’orologio a 5 ore (32 : 5 = 6 con resto 2).
In realtà Fermat aveva elaborato una formula ma senza darne la dimostrazione (come per il classico suo
Teorema, anche per questo Fermat affermava di avere trovato la dimostrazione che in realtà non è mai
stata trovata) .
Operando con vari esponenti Fermat pervenne alla seguente sequenza:
Potenze di 2
21 22 23 24 25 26 27
28
29
210
Su un calcolatore
2 4 8 16 32 64 128 256 512 1.024
convenzionale
Su un calcolatore
2 4 3 1 2 4 3
1
2
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a orologio di 5 ore
Prendendo un orologio con tredici ore sul quadrante e ripetendo il procedimento con le potenze di 3, da
31, 32,…sino a 313 si ottiene: 3, 9, 1, 3, 9, 1, 3, 9, 1, 3, 9, 1, 3. La lancetta non si ferma su tutte le ore, ma
produce un andamento ripetitivo che la riporta sulle 3 dopo che è stato moltiplicato per se stesso 13 volte.
Prima di Gauss, Fermat aveva scoperto che, come nella notazione poi usata da Gauss per l’aritmetica
dell’orologio ( o aritmetica modulare), per ogni numero primo p e per ogni valore x sull’orologio con p
ore su quadrante risultava xp = x (modulo p).
Sarà poi Leonard Eulero (1707 - 1783) a scoprire la dimostrazione del perché sugli orologi a numeri primi
di Fermat la lancetta torna sempre al punto di partenza dopo che è stata moltiplicata per se stessa un numero primo di volte. Riuscì anche ad estendere la scoperta di Fermat agli orologi con N ore sul quadrante,
dove N = p q è il prodotto di due numeri primo p e q.
Eulero scoprì inoltre che su un tale orologio l’andamento cominciava a ripetersi dopo (p–1) (q–1)+1 passaggi.
Furono proprio la scoperta di Fermat sulla magia dei numeri primi e la generalizzazione di Eulero che ispirarono Rivest mentre era impegnato nella ricerca di un sistema di crittografia a chiave pubblica. Intuì
che poteva utilizzare il piccolo teorema di Fermat come chiave per realizzare un codice matematico in
grado di fare sparire il numero di una carta di credito per poi farlo riapparire come per magia!
Quando viene piazzato un ordine sul sito il computer prende il numero della carta di credito e su di esso
esegue un calcolo. Tale calcolo è facile da farsi, ma quasi impossibile da disfare se non si conosce la
chiave segreta.
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Questo perché il calcolo non viene compiuto su un calcolatore convenzionale ma su uno dei calcolatori a
orologio di Gauss: l’azienda gestore gli comunica quante ore usare sul calcolatore a orologio.
Per scegliere questo numero il gestore prende due grandi numeri primi p e q, ciascuno composto da circa
60 cifre e li moltiplica per ottenere un terzo numero N = p q. Il numero di ore dell’orologio risulterà
perciò enorme, sino ad un massimo di 120 cifre. Ogni utente userà lo stesso orologio per cifrare il proprio
numero di carta di credito. Grazie alla sicurezza del sistema l’aziende potrà utilizzare lo stesso orologio
per mesi prima di considerare l’opportunità di modificare il numero di ore sul suo quadrante. Da qui la
scadenza della validità della carta e la necessità di provvedere quindi alla sua sostituzione.
La selezione del numero di ore sul quadrante del calcolatore a orologio del sito web è il primo passo della
scelta di una chiave pubblica.
Nonostante il numero N sia pubblico, i due numeri p e q sono segreti e sono i due ingredienti della chiave
che verrà usata per decodificare il numero cifrato della carta di credito.
Ogni cliente riceverà un secondo numero E chiamato il numero di codifica. Questo numero è pubblico ed
è lo stesso per tutti, come lo è N che è il numero delle ore sul quadrante del calcolatore a orologio. Per cifrare il proprio numero di carta di credito C, il cliente lo eleva alla potenza E sul calcolatore a orologio reso pubblico sul sito web. Il risultato, nella notazione di Gauss, è: CE (modulo N). Ma cosa è che rende tanto sicura la procedura? Sembrerebbe che qualsiasi hacker possa vedere il numero cifrato della carta di
credito mentre viaggia nel cyberspazio, e cercare quindi la chiave pubblica del gestore ovvero il calcolatore a orologio con N ore e l’istruzione di elevare il numero della carta di credito alla E. Tutto quello che
deve fare per decifrare questo codice è trovare un numero che, moltiplicato E volte per se stesso sul calcolatore a orologio di N ore fornisce il numero cifrato della carta di credito. Ma questo è difficilissimo, praticamente impossibile, anche perché una ulteriore complicazione gli deriva dal modo in cui vengono calcolate le potenze su un calcolatore a orologio. Su un calcolatore convenzionale il risultato dell’operazione
aumenta costantemente ad ogni nuova moltiplicazione del numero della carta di credito per se stesso ma
lo stesso non accade sul calcolatore a orologio. Qui il punto di partenza si perde di vista molto rapidamente dato che le dimensioni del risultato non hanno alcun rapporto con la posizione da cui si è partiti. Dopo
il mescolamento dei numeri per E volte l’hacker è completamente perso.
E se provasse a passare in rassegna ogni possibile ora sul calcolatore a orologio? Nulla da fare.
Oggi i crittografi usano orologi sui quali N, il numero di ore, ha più di cento cifre. In altre parole ci sono
più ore sul quadrante del calcolatore a orologio che atomi nell’universo. (invece il numero di codifica E è
in generale piuttosto piccolo). Ma se risolvere questo problema è impossibile, come fa l’azienda a ricuperare il numero di carta di credito del cliente? Rivest sapeva che il piccolo teorema di Fermat garantiva
l’esistenza di un numero magico di decodifica D. Quando l’azienda che opera su Internet moltiplica il
numero cifrato della carta di credito per se stesso D volte, il numero originale della carta di credito riappare. Rivest usò la generalizzazione del piccolo teorema di Fermat scoperta da Eulero e che funziona su calcolatori a orologio costituiti da due numeri primi p e q invece che da uno solo. Come detto sopra Eulero
aveva dimostrato che su uno di tali orologi l’andamento si ripete dopo (p – 1) (q – 1) + 1 passaggi. Perciò per sapere quanto bisognerà aspettare per vedere la sequenza ricominciare su un orologio con N = p
q ore vi sarà solo un modo: conoscere i numeri primi p e q. È questa la chiave per accedere ai segreti della
cifratura RSA. Tuttavia sebbene i due numeri p e q siano stati tenuti segreti, il loro prodotto N = p q è
pubblico. La sicurezza della cifratura RSA si basa perciò sulla enorme difficoltà di fattorizzare N.
Praticamente l’unico sistema per rimetterci soldi è quello di farsi clonare la carta di credito nel momento
in cui si digita il codice segreto o quando al supermarket viene letta alla cassa. Perciò non prendersela con
la matematica, ma fare attenzione!!!
BIBLIOGRAFIA
- Carl B. Boyer: Storia della matematica – Mondadori
- Marcus Du Sautoy: L’enigma dei numeri primi – Rizzoli
- John Derbyshire: L’ossessione dei numeri primi – Mondadori (La biblioteca della Scienze)
- Umberto Bottazzini: Il calcolo sublime. Storia dell’analisi matematica daEuler a Weierstrass – Boringhieri
- Robert Kanigel: L’uomo che vide l’infinito. Vita di Srinivasa Ramanujan - Rizzoli
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UN PICCOLO DIZIONARIETO DEI PRINCIPALI TERMINI ASTRONOMICI
(2a parte)
ELEMENTI ORBITALI: per definire l’orbita di un pianeta, di un satellite, ecc. è necessario definire
gli elementi dell’orbita, che sono 6.
1. L’inclinazione i
dell’orbita rispetto ad
un piano di riferimento, che per i pianeti è
l’eclittica, per i satelliti il piano equatoriale
del rispettivo pianeta.
2. La longitudine (celeste) Ω del nodo ascendente,
misurata
sull’ eclittica a partire
dal primo punto di Ariete (γ)
3. La distanza ω del
perielio (P) dal nodo
ascendente, misurata
sul piano dell’orbita
del corpo in esame. A volte si considera anche la longitudine π del perielio, uguale alla soma Ω + ω
4. Il semiasse maggiore a dell’orbita
5. L’eccentricità numerica e, data da
A volte si usa anche l’eccentricità angolare φ, legata a e dalla relazione sen φ = e. Specie per le comete
si usa considerare la distanza q al perielio e la distanza Q all’afelio in Unità Astronomiche. Si ha:
q = a (1 – e)
Q = a(1 + e)
6. L’epoca del passaggio al perielio.
Per la Luna e per i satelliti artificiali della Terra, in luogo dei termini perielio, longitudine del perielio ecc.
si usano i termini equivalenti perigeo, longitudine del perigeo ecc.
Mediante il calcolo delle orbite si determinano gli elementi orbitali dei pianeti e degli altri corpi celesti.
Per ottenere un’orbita provvisoria, occorrono almeno tre osservazioni di posizione, non troppo vicine fra
loro nel tempo, sia in ascensione retta e in declinazione, sia in latitudine e longitudine celeste, avendo così
a disposizione 6 dati per il calcolo dei 6 elementi orbitali.
ELIOCENTRICO – SISTEMA DI COORDINATE: Un sistema di coordinate che abbia per centro il Sole. Viene impiegato per il calcolo delle orbite.
La posizione di un oggetto lungo l’orbita si può esprimere in
diversi sistemi di coordinate:
- Coordinate cartesiane: x e y
- Coordinate polari: r e v (anomalia vera)
In entrambi i casi il Sole è il centro del sistema di riferimento e
l’asse principale è diretto verso il perielio.
- In coordinate polari r ed E (anomalia eccentrica) che è
l’angolo misurato al centro dell’ellisse tra il perielio e la proiezione sul cerchio ausiliario del punto in cui si trova
l’oggetto.
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EQUINOZI: I due punti della sfera celeste che rappresentano l’intersezione dell’eclittica con l’equatore celeste.
Sono quindi i nodi dell’eclittica. Per il nodo ascendente il Sole transita attorno al 21 marzo. Tale punto è chiamato
anche equinozio di primavera o punto γ; il nodo discendente o equinozio d’autunno , o punto Ω (Libra), cade attorno al 23 settembre. Agli equinozi la durata del dì è esattamente uguale a quella della notte per ogni località della Terra, trovandosi il Sole a declinazione 0(zero), cioè sull’equatore.
EVENTI – ORIZZONTE DEGLI EVENTI: Ė la superficie sferica che circonda un buco nero al di fuori del
quale è impossibile che filtri qualsiasi informazione relativa alle regioni interne. Più tecnicamente è la sfera che ha
per raggio (R) il valore della distanza dal buco nero nella quale la velocità di fuga diventa uguale alla velocità
della luce (c).
, dove G è la costante di gravitazione universale e M la massa del buco nero.
FINESTRA ATMOSFERICA: Viene indicato con questo termine un intervallo di lunghezze d’onda nello spettro
elettromagnetico all’interno del quale la radiazione degli astri
non subisce apprezzabile riflessione o assorbimento da parte
dell’atmosfera terrestre e pertanto può giungere sino al suolo.
Vi sono diverse finestre, tra le altre:
1. ottica: comprende tutto lo spettro nel visibile con piccole
estensioni nell’infrarosso e nell’ultravioletto vicino.
2. radio: si estende da pochi mm a poche decine di metri.
Nell’infrarosso, a causa dell’assorbimento del vapore acqueo
e dell’anidride carbonica le finestre sono molto strette, mentre
non ne esistono nell’ultravioletto.
La finestra atmosferica
Lo spettro elettromagnetico e la radiazione cosmica
La finestra nell’ottico
Note:
Å (Angstrom) = 1 10-10 metri
μm (micron) = milionesimo di metro o millesimo di millimetro
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FOTOMETRO: Strumento usato per misurare il flusso luminoso proveniente dai corpi celesti. Un tempo i fotometri erano visuali, erano cioè strumenti che semplicemente aiutavano l'astronomo a paragonare
la luminosità di una stella con quella di una stella di magnitudine nota, scelta come confronto, oppure a
quella di una sorgente artificiale di luminosità variabile; però in ogni caso, il ricettore era l'occhio umano. Successivamente sono subentrati i fotometri fotografici: dapprima vien fatta impressionare la lastra
da una stella di confronto di magnitudine nota, quindi si paragona il grado di annerimento prodotto sulla
stessa lastra da altre stelle. Dopo aver operato le opportune calibrazioni, si può così risalire ai flussi luminosi incogniti. Oggi il ricettore maggiormente usato è il fotometro fotoelettrico, dove l'elemento sensibile alla radiazione è una cellula fotoelettrica che, accoppiata ad un fotomoltiplicatore, produce un segnale elettrico proporzionale al flusso luminoso incidente. Con questi ultimi dispositivi la precisione delle misure è considerevolmente aumentata, c cosi pure la sensibilità ai flussi deboli. L'errore tipico è
dell'ordine di 1/100 di magnitudine.
FOTOSFERA: Regione di confine tra l'interno dei Sole e la sua atmosfera, caratterizzata da un'inversione della proprietà di opacità della materia solare. Sotto la fotosfera la materia è opaca alla radiazione; sopra diviene trasparente. Si può così affermare che la luce che ci proviene dal Sole e dalle altre stelle è prodotta nella loro fotosfera. Nel Sole lo spessore della fotosfera è piccolissimo, circa 300 km;
lo spettro è continuo, tipico di un corpo alla temperatura di circa 5750 K, dentro il quale si osservano
numerosissime righe di assorbimento, dette di Fraunhofer. Osservata ad alto ingrandimento mostra una
superficie "a grani di riso" ribollenti, strutture che si formano e si distruggono in breve tempo, probabilmente legate allo sbocco in superficie di materia risalente dall’interno per effetto di moti convettivi. La
temperatura fotosferica diminuisce alle alte quote, ciò che rende ragione del fenomeno dell'oscuramento
al bordo del Sole. Infatti, mentre l'osservazione delle zone centrali del disco consente di vedere zone più
profonde e più calde. l'osservazione del bordo solare mostra le zone più esterne e più fredde; per contrasto, queste appaiono più scure. È nella fotosfera che si verificano i più vistosi fenomeni dell'attività del
Sole, come le macchie solari.
FRAUNHOFER, righe di: Le numerose righe di assorbimento presenti nello spettro solare hanno preso
il nome del fisico tedesco G. Fraunhofer che le scoprì nel 1814. Sono prodotte dagli elementi presenti
nell'atmosfera solare che assorbono selettivamente lo spettro continuo prodotto nella fotosfera.
GALASSIE: Sistemi composti da miliardi di stelle, oltre che da nubi di gas e polveri, dei tutto simili alla
nostra Galassia. AI telescopio appaiono come deboli oggetti nebulari per via della grande distanza reciproca che è dell'ordine dei milioni di anni luce. Normalmente sono associate in gruppi, più o meno numerosi, in ammassi e in superammassi. Le galassie vengono classificate per la forma in tre grandi categorie: spirali, ellittiche e irregolari. Tra le normali e abbastanza brillanti, predominano le spirali sulle
ellittiche e le irregolari seguono a grande distanza; il rapporto tra ellittiche e spirali invece si ribalta
quando si considerino anche i sistemi più deboli, cioè le cosiddette galassie nane. I componenti dellegalassie possono essere osservati in dettaglio solo per i sistemi più vicini e si verifica che sono pressoché
gli stessi per natura, dimensione e distribuzione degli analoghi della Galassia. In particolare, assume notevole importanza osservare singole stelle, come le Cefeidi o le novae che, per la grande magnitudine assoluta possono fornire dal confronto con la loro magnitudine apparente una stima della distanza della
galassia ala quale appartengono. Negli anni Venti del nostro secolo E. Hubble scoprì che le galassie si
allontanano reciprocamente con velocità che sono proporzionali alla distanza reciproca. Questa relazione è la base di ogni teoria cosmologica moderna e rappresenta il dato osservativo su cui si basa l'idea
dell'espansione dell'Universo. La questione su come siano nate le galassie è tuttora aperta con due indirizzi principali di pensiero che si fronteggiano. In un'ipotesi si valuta che le singole galassie si siano formate a partire da piccole fluttuazioni di densità che hanno portato al collasso di frammenti del gas universale. Aggregandosi, tali frammenti avrebbero dato vita ai sistemi galattici e successivamente l'attrazione gravitazionale reciproca avrebbe portato alla formazione degli ammassi e dei superammassi. L'altra scuola propone invece un processo inverso. Il collasso avrebbe interessato inizialmente regioni molto
vaste. dove si sarebbero formati i superammassi; collassi su scale minori avrebbero poi originato gli
ammassi e le singole galassie.
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ENERGIA NUCLEARE OGGI
È quanto mai di attualità il dibatto sulla ripresa dello sfruttamento dell’energia nucleare in Italia, al fine di alleggerire il peso del costo dell’energia sulla comunità. Anche alla luce della recente presa di posizione di un gruppo di
eminenti scienziati che, con argomentazioni non falsate dall’ideologia o dall’emotività, hanno ben argomentato le
motivazioni favorevoli alla reintroduzione delle fonti nucleari, mi sembrava opportuno presentare ai lettori del nostro notiziario la copia integrale dell’intervento del prof. Giovanni Ricco apparso sulla prestigiosa rivista scientifica
«Asimmetrie» dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Un ringraziamento al direttore editoriale della rivista Andrea Vacchi che mi autorizzato la pubblicazione. I numeri della rivista possono essere letti on line al sito:
www.asimmetrie.it.
Giampaolo Carrozzi.
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