Disagio psicologico ed insuccesso scolastico

annuncio pubblicitario
Disagio psicologico ed insuccesso scolastico
di Carmelo Sandomenico∗
Abstract
In questo articolo viene esplorata la relazione esistente tra disagio psicologico dei bambini
ed i fenomeni del disadattamento e dell’insuccesso in ambito scolastico.
La cornice di riferimento è costituita dalla teoria psicoanalitica di Sandro Gindro, in
particolare dagli studi di questo autore sulle rappresentazioni mentali del figlio durante il
periodo della gravidanza e sulla loro influenza nello sviluppo di particolari tratti della
personalità infantile.
Vengono quindi presentate le ipotesi preliminari di un progetto sperimentale di ricerca,
relative alle problematiche che l’impatto con l’esperienza scolastica determina in alcune
tipologie di personalità infantile.
Introduzione
L’insuccesso scolastico è un fenomeno complesso e multiforme, di cui è difficile
individuare la genesi e le possibili evoluzioni, se non con un attenta analisi del singoli casi.
Al suo strutturarsi concorre una molteplicità di cause determinanti, il cui peso specifico va
apprezzato di volta in volta, e che hanno a che fare con fattori di ordine individuale,
relazionale, pedagogico, sociale. Rispetto poi alle conseguenze, esse sono assolutamente
differenziate: si va dai casi caratterizzati dalla transitorietà e reversibilità dell’insuccesso,
fino a quelli in cui l’insuccesso rappresenta l’esito finale di un processo che si distende
lungo tutto il percorso scolastico dell’allievo, e che ne determina il definitivo fallimento.
Per una corretta analisi del fenomeno, l’approfondimento degli aspetti didatticopedagogici non può essere disgiunto dalla considerazione della dimensione psicologica,
che attiene alle caratteristiche di personalità del singolo allievo e alla coloritura emotiva
che assumono le interazioni esperite in ambito scolastico.
Se questo è valido in generale, a maggior ragione lo è per quei bambini che si presentano
all’appuntamento scolastico essendo già portatori di specifiche difficoltà psicologiche.
In questi casi, l’esistenza di una diagnosi clinica - già effettuata su iniziativa dei familiari,
o richiesta a gran voce dalla stessa scuola – condiziona pesantemente la diagnosi
psicopedagogia operata dall’insegnante.
L’insegnante si trova continuamente confrontato con la necessità di effettuare diagnosi
dei suoi allievi. La diagnosi, infatti, non riguarda solo la determinazione di un sintomo
patologico operata da un clinico, ma sta anche ad indicare l'analisi di un fatto o di un
fenomeno, non necessariamente di natura morbosa.
La diagnosi, in ambito clinico così come in ambito educativo, è sempre il tentativo di
definire una persona. Il termine "persona" etimologicamente deriva dal greco prosopon,
che indicava il volto umano o, anche, la maschera dell'attore della tragedia.
Nella lettura psicoanalitica elaborata da Sandro Gindro, la maschera non nasconde un
ipotetico nucleo centrale della persona nella sua dimensione più autentica: non si può
togliere una maschera senza trovarne un’altra che sta sotto. Ogni persona è la somma
∗
Psicologo e psicoanalista, dirigente sanitario presso il Servizio Salute Mentale della ASL
di Benevento e socio di Kairos – Centro di Clinica e Ricerca Psicologica.
Si occupa di clinica dell’età evolutiva e problematiche educative, svolgendo attività di
ricerca e formazione. Ha diretto vari progetti di ricerca sull’adolescenza, in particolare su:
stili di vita e culture giovanili, disagio e comportamenti a rischio, insuccesso ed
abbandono scolastico.
delle sue maschere; una somma ogni volta unica ed irripetibile, e propriamente in ciò
consiste la sua originalità.
La stesura di un profilo diagnostico, allora, diviene l’operazione attraverso la quale si
definiscono le maschere che caratterizzano la fisionomia dell’individuo e attraverso le
quali egli si mostra all’ambiente sociale che lo circonda.
Per l’insegnante, la valutazione degli esiti dell’apprendimento è di per se stessa una
operazione diagnostica. Ma ancora più importante è la definizione delle caratteristiche
distintive del singolo allievo, sia sul piano personale sia in rapporto al contesto; la
definizione, cioè, delle ‘maschere’ che egli assume in ambito scolastico. Se quest’ultimo
processo diagnostico fornisce all’insegnate le coordinate conoscitive entro le quali
strutturare il proprio intervento, comporta tuttavia il rischio di imprigionare l’allievo nella
definizione che se ne dà.
Nei casi caratterizzati da rilevanti difficoltà psicologiche, l’esistenza di una diagnosi clinica
– già effettuata su iniziativa dei familiari, o richiesta a gran voce dalla stessa scuola –
condiziona pesantemente la diagnosi psicopedagogia operata dall’insegnante.
La maschera dell’allievo viene a sovrapporsi quasi completamente con quella del suo
disagio psicologico; ogni altra possibilità sembra preclusa.
Non è certamente possibile analizzare in maniera esaustiva un problema così complesso,
quale quello dell’interzona disagio psicologico/esperienza scolastica. La stessa generica
definizione di ‘disagio psicologico’ mal si presta a delimitare un universo che racchiude
diversi mondi, ciascuno con problematiche e manifestazioni affatto differenziate. 1
Pur nella consapevolezza della complessità del compito, ritengo sia di grande interesse
sviluppare approcci di ricerca che concorrano ad approfondire la comprensione intorno
alle determinanti dell’insuccesso scolastico.
Muovendosi all’interno di un tale obiettivo conoscitivo, l’IPRS sta mettendo a punto un
programma di ricerca che intende focalizzare l’attenzione in particolare sul continuum
esistente tra rappresentazioni mentali dei genitori, sviluppo di particolari tratti di
personalità nei figli, interferenza di tali tratti sull’adattamento scolastico e
sull’apprendimento.
Il presente articolo rappresenta un prima comunicazione, in cui si illustrano innanzitutto i
presupposti teorici della ricerca, basati sul contributo apportato da Sandro Gindro alla
comprensione dell’eziologia di alcune manifestazioni di disagio psicologico in età
evolutiva.
Partendo da tale base teorica, vengono poi avanzate alcune prime ipotesi inerenti le
espressioni di tali disagi in ambito scolastico. Tali ipotesi saranno successivamente
sottoposte a verifica attraverso un apposito disegno sperimentale, attualmente in fase di
programmazione, ed i cui esiti saranno oggetto di successive comunicazioni.
Disagi infantili
Gindro ci ha fornito una chiave di lettura di alcune problematiche ricorrenti nel lavoro
clinico con i bambini e gli adolescenti, a partire da un’originale ipotesi eziologia, che le
collega alle primissime vicissitudini del rapporto madre-bambino.
1
In aggiunta, il problema specifico rappresentato dalla capacità di accogliere in ambito scolastico il
disagio psicologico, presenta alcuni elementi di contatto con quello, più generale, dell’integrazione
dei disabili. Ciò che accomuna il caso specifico con quello generale, è il rischio di una accoglienza ed
integrazione solo apparente, in cui la permanenza a scuola non va nel senso di sostenere e
potenziare le ‘parti sane’ – le capacità e gli interessi dell’allievo - ma viene vista come la possibilità
di perseguire obiettivi residuali, quali quelli che hanno a che fare con la dimensione socializzante
dell’esperienza scolastica. L’enfasi posta su quest’ultima dimensione, ha forse determinato una
sottovalutazione degli effetti dell’esperienza scolastica sulla costruzione dell’immagine di sé del
bambino e dell’adolescente. L’inevitabile confronto con le proprie difficoltà e con i propri fallimenti
nell’assunzione del ruolo di studente, concorre a rafforzare un’immagine svalutata di se stessi; allo
stesso tempo, qualifica l’esperienza scolastica come fonte di frustrazione e di stress, dalla quale
difendersi attraverso il disinvestimento emotivo e cognitivo.
In particolare, Gindro ha studiato le connessioni esistenti tra le rappresentazioni mentali
del figlio durante la gravidanza e caratteristiche di personalità del bambino.2 L’attività di
ricerca ha riguardato le costellazioni psicologiche che caratterizzano la madre durante il
periodo della gestazione, e che determinano le interazioni che si vengono ad instaurare
con il figlio fantasticato, così come con quello reale.
In particolare, il modello interpretativo elaborato da Gindro individua quattro tipologie di
rapporto diadico madre-figlio/a, cui si collegano altrettante potenziali aree problematiche
nello sviluppo psicologico del bambino.
Di seguito illustriamo in estrema sintesi le principali caratteristiche di ciascuna tipologia.
Il primo tipo è definito da Gindro quello del «bambino troppo voluto» . Quando il bambino è
intensamente voluto dalla madre e dal gruppo famigliare circostante, si manifesta durante
l’attesa un eccesso di ansietà che finisce per avere i suoi effetti: “Il bambino che verrà alla luce
ostenterà una sicurezza solo apparente, ed una tendenza alla tracotanza dominatrice
sull'ambiente famigliare e sui genitori soprattutto, ma nei confronti del mondo esterno sarà
piuttosto vile ed inetto. La sua imperiosità nei confronti dei genitori lo spingerà fino ad imporre
la sua presenza nel loro letto; manifesterà una tendenza a piangere troppo.” (S. Gindro,
Psicoanalisi della gestazione, Psicoanalisi Contro – Nuova Serie, Anno 12 n° 6, 1995)
Il secondo tipo di relazione è quello che si stabilisce con il «bambino poco voluto»: “Sono questi
bambini che nascono in una situazione di grande violenza, aggressività, ansia o depressione.
Fanno molta pena; sono insicuri; entrano nel letto dei genitori per avere la rassicurazione di
essere al mondo; desiderano sentire la presenza fisica dei due genitori; sono bambini caratterizzati da grandi pianti difficili da consolare.” (ivi)
Il terzo tipo è quello del «bambino troppo pensato». In questo caso, il nascituro viene sin da
subito caricato di un eccesso di aspettative: si immagina il suo aspetto, il suo futuro, si
sceglie persino la sua professione. Sarà questo un bambino profondamente insicuro,
incapace di concludere i suoi progetti, annoiato, poco in grado di gestire il proprio
corpo, sempre a disagio; esibizionista, cercherà di intrufolarsi nel letto dei genitori per
guardare ed essere guardato. Avrà un grande compiacimento nell'esibirsi in pianti teatrali e
capricci clamorosi.
Il quarto tipo è quello del «bambino poco pensato». La madre durante la gravidanza non nutre
fantasie sul suo conto, non lo coccola col pensiero, non gli rivolge attenzione , riservandosi magari
di amarlo quando sarà venuto alla luce. “Sono bambini per i quali si annuncia un
atteggiamento negativo, con rischio di autismo; comunque appaiono depressi, hanno
difficoltà nella vita di relazione; sono svogliati, con problemi psicosomatici e di deperimento
organico. Non manifestano particolare desiderio di entrare nel letto dei genitori. Sembrano
quieti; piangono troppo poco; stanno soli al buio nella loro camera senza lamentarsi e
richiamare la presenza dei genitori; piangono sommessamente, sono troppo silenziosi, possono
rischiare situazioni di disagio psichico.” (ivi)
Le quattro tipologie appena presentate si dispiegano lungo l’asse desiderio/pensiero. Nella
metapsicologia gindriana, queste due dimensioni sono indissolubilmente legate, in quanto
espressioni di quello slancio erotico che è il movente primo dell’agire umano.
L’essere umano nasce nel desiderio, che è immediatamente: desiderio dell’Altro.
La condizione che caratterizza la venuta al mondo è quella dell’apertura: la tensione
desiderante si dispiega verso il fuori di sé, verso la realtà esterna. Gindro ribalta
l’interpretazione freudiana del narcisismo come condizione originaria di chiusura verso il
mondo esterno; il narcisismo è, sin da subito, ‘secondario’, ossia difesa che nasce dalle
inevitabili frustrazioni che l’originario ‘dirigersi verso’ sperimenta nella concretezza
dell’incontro con il fuori di sé.
Nello spazio che si distende tra il desiderio e la sua soddisfazione - lo spazio dell’attesa nasce il pensiero come rappresentazione anticipata di questa soddisfazione.
La rappresentazione anticipata del soddisfacimento, ed il pensiero che su questa
rappresentazione si struttura e prende forma, sono dimensioni non separabili da quella
2
Questo studio, portato avanti durante gli anni novanta, si inserisce all’interno dell’originale lavoro
di Gindro sulla psicoanalisi della gestazione.
del piacere. Nello spazio dell’attesa, è la rappresentazione stessa ad essere investita dal
piacere: il piacere del desiderio.
La psicoanalisi della gestazione - o anche: psicoanalisi dell’attesa dell’Altro - ci restituisce
situazioni in cui la dimensione dell’attesa sembra aver perso la sua caratteristica di
tensione desiderante .
Il ‘bambino poco desiderato’: un’attesa senza desiderio, quindi negazione della stessa
condizione di attesa, per sua natura inscindibilmente legata al desiderio. Castrazione
originaria della dimensione del piacere, attraverso una doppia negazione: negazione del
piacere derivante dall’incontro con l’altro, fantasticato e reale; negazione del piacere
insito nell’attesa (piacere del desiderio).
Il ‘bambino troppo desiderato’: il desiderio non è “in attesa” dell’Altro, ma è
primariamente desiderio narcisistico: l’altro è lo strumento del proprio soddisfacimento.
ll ‘bambino poco pensato’: il desiderio viene procrastinato (“lo penserò dopo che sarà
nato…”) , a venir meno è la tensione desiderante dell’attesa: il piacere del desiderio.
Un’attesa senza il piacere connesso alla rappresentazione e al pensiero dell’Altro. L’eredità
che ci consegna è un pensiero senza piacere, un disinvestimento erotico del pensiero.
Il ‘bambino troppo pensato’: una condizione satura di “piacere dell’attesa”. Il piacere
sembra qui tutto concentrato sulla rappresentazione anticipatoria. Un pensiero saturo di
piacere, di un piacere conchiuso in sé stesso. Non resta spazio mentale all’incontro con
l’Altro reale, che deve essere inglobato in questa rappresentazione anticipatoria.
L’eredità è quella di un pensiero senza l’altro, conchiuso in se stesso.
L’impatto con l’esperienza scolastica
Come si può facilmente intuire, ciascuna di queste particolari tipologie infantili può dar
luogo a peculiari modalità di espressione non solo nel rapporto con i genitori, ma anche in
ambito scolastico. Infatti negli atteggiamenti, comportamenti ed emozioni che
accompagneranno l’esperienza scolastica, è possibile rinvenire un duplice rapporto con la
storia di attaccamento primario che ha condizionato l’evoluzione dello psichismo infantile.
In primo luogo il bambino, una volta fatto il suo ingresso a scuola, tenderà ad estendere a
tale contesto le particolari modalità di rapportarsi all’adulto e ai coetanei che è venuto fino
ad allora strutturando in ambito familiare.
In secondo luogo, le particolari problematiche psicologiche innescatesi a partire dalle
modalità di attaccamento primario, potranno manifestare i loro effetti a scuola
interferendo con l’esecuzione
dei nuovi compiti evolutivi sollecitati dall’esperienza
scolastica, legati sia al processo di socializzazione sia all’apprendimento.
Riteniamo che il modello proposto da Gindro apra delle interessanti ed innovative
prospettive alla ricerca psicopedagogia. Tale modello consente di evidenziare quelle aree
della personalità infantile che risultano particolarmente vulnerabili nel confronto con le
richieste poste dalla scuola.
Di seguito, formuliamo alcune ipotesi relative alle specifiche aree di vulnerabilità di
ciascuna delle tipologie infantili prima presentate, nonché alle peculiari modalità di
elaborare gli scacchi scolastici.
La tonalità emotiva prevalente con cui il bambino poco pensato si presenta all’incontro
con la scuola, è di tipo depressivo. Assume spesso una peculiare ‘maschera’ in ambito
scolastico: appare distratto, svogliato, lontano da tutto ciò che li circonda. Per lui, si
prospetta un percorso segnato non di rado da difficoltà negli apprendimenti, difficoltà che
derivano in primo luogo dalla sua incapacità di investire ‘eroticamente’ il pensiero.
L’esperienza mentale prevalente è quelle del ‘vuoto’: mentre il bambino psicotico
compensa questo vuoto con una propria ‘ricostruzione’ della realtà – un tentativo di
riempire il ‘buco’ causato dal crollo psicotico – , questa tipologia di bambino non riesce
realmente a riempire la mente di contenuti di pensiero. L’esperienza soggettiva
prevalente è quella di un torpore, che investe sia la vita emotiva – da cui la coloritura in
senso ‘depressivo’ – sia la dimensione cognitiva. Da qui la possibilità di errore
diagnostico: dietro
molti casi segnalati come ‘borderline cognitivo’, o ‘pseudoinsufficienza mentale’, in realtà si nasconde questo tipo di torpore psichico.
Una situazione opposta presenterà il bambino toppo pensato.
La sua tendenza all’esibizionismo, lo porta a non relazionarsi correttamente agli altri,
quanto piuttosto ad utilizzarli come ‘spettatori’.In ambito scolastico, ciò si manifesterà
sotto forma di un eccesso di presenza. Il desiderio di essere al centro dell’attenzione lo
porterà a compiaciute esibizioni teatrali di se stesso, ed una capricciosità che esprime ad
un tempo l’intolleranza verso le regole e la volontà di distogliere l’attenzione dagli altri.
Sul piano dell’apprendimento, si manifesta una spiccata difficoltà a mantenere l’attenzione
sull’esecuzione di un compito, che lo porta a distrarsi facilmente. Inoltre, le sue
prestazioni scolastiche sono accompagnate da una profonda insicurezza ed uno scarso
senso di auto-efficacia; facilmente può entusiasmarsi ad un nuovo compito, ma alla prima
difficoltà desisterà, volgendo lo sguardo altrove.
Queste peculiarità nel modo di affrontare l’esperienza scolastica, quando particolarmente
accentuate, possono sfociare nello sviluppo di un vero e proprio disturbo di attenzione con
iperattività.
L’insicurezza di fondo che caratterizza questi bambini, è determinata dal continuo
confronto con le elevate attese dei genitori nei loro confronti. Lo sforzo di corrispondere a
tali attese può determinare un iperinvestimento dell’apprendimento; tuttavia, le
frustrazioni subite in tale sforzo concorrono alla strutturazione di un’immagine negativa di
se stessi, in quanto non in grado di corrispondere alle attese genitoriali.
Se, come abbiamo visto, la coloritura depressiva che caratterizza il bambino poco
pensato si manifesta soprattutto sotto forma di torpore psichico, nel caso del bambino
poco desiderato essa si manifesta sotto forma di inibizione; una inibizione che riguarda
sia l’aspetto relazionale, che ostacola l’inserimento del bambino all’interno del gruppoclasse, sia quello intellettivo, ove da luogo a disturbi specifici di apprendimento.
Un altro elemento che differenzia queste due tipologie – peraltro accomunate dal registro
depressivo - sta nell’atteggiamento che il bambino assume nei confronti dei propri
problemi in ambito scolastico. Il bambino poco pensato tende a prendere le distanze non
solo dal mondo esterno, ma anche dai contenuti del proprio mondo interno: una difficoltà
a ‘pensare se stesso’, che può manifestarsi in una sorta di apparente anaffettività.
All’opposto, il bambino poco desiderato percepisce in maniera acuta le proprie difficoltà ,
e questa percezione diviene fonte di dolore interiore e di profonda insicurezza nei rapporti
con l’esterno. Questa insicurezza lo porta a ritrarsi dal confronto con i coetanei, ma a
ricercare attivamente il contatto e la rassicurazione dell’insegnante.
Il bambino troppo voluto rappresenta una tipologia con cui gli insegnanti si devono
confrontare sempre più frequentemente.
Le problematiche che egli presenta si inscrivono essenzialmente nel registro narcisisitico.
La proiezione su di lui del narcisismo dei genitori, determina una ipertrofia dell’Io di questi
bambini cui fa da riscontro una debolezza della struttura di fondo della personalità,
ostacolata nel suo processo evolutivo e caratterizzata da una profonda immaturità.
L’impatto con l’ambiente scolastico di questa tipologia di bambino, può avere due esiti
diversi.
Una prima possibilità consiste nella riproposizione delle stesse modalità ‘tiranniche’ messe
in atto in ambito familiare, nelle quali trova espressione l’ipetrofia dell’Io. La non
accettazione delle regole scolastiche è qui da vedere non come una forma di ribellione,
ma come la diretta conseguenza di un difetto originario nel processo di socializzazione
normativa: l’impossibilità per questi bambini di accedere ad alcune regola che non sia il
frutto di una ‘negoziazione al rialzo’ con l’adulto.
Un esito alternativo è rappresentato da quei bambini che mostrano un sostanziale
mutamento del registro affettivo-comportamentale nel passaggio dalla famiglia alla
scuola.
L’inserimento in un contesto allargato come quello scolastico, fatto di relazioni con una
moltitudine di adulti e di pari, e dunque poco controllabile, determina un quadro di
inibizione, che si manifesta sia sul piano dell’apprendimento sia su quello relazionale.
L’inibizione è da vedere, in questo caso, come una modo di ritrarsi del bambino da un
contesto percepito come non controllabile e, quindi, potenzialmente minaccioso per un Io
non grado di tollerare la benché minima frustrazione.
Le suddette problematiche suscitate dall’impatto con le richieste della scuola, se non
attentamente considerate nella relazione didattica con il bambino, possono comportare il
rischio di insuccesso scolastico. Un insuccesso che può rivelarsi difficilmente sostenibile
per bambini che già presentano una fragilità psicologica di base.
Nel caso dei bambini che si presentano all’appuntamento scolastico con un’immagine
svalutata di se stessi, l’insuccesso
apporta un ulteriore conferma a questa autosvalutazione, innescando così un circolo vizioso che pregiudica il prosieguo del percorso
scolastico.
Il bambino poco desiderato tenderà progressivamente a ritirarsi da un’esperienza
scolastica frustrante, che mina definitivamente la sua già scarsa autostima. L’insuccesso
concorrerà a rafforzare l’auto-attribuzione di responsabilità per il rifiuto percepito, la sua
convinzione cioè di essere ‘non desiderabile’.
Per il bambino poco pensato gli insuccessi sperimentati accentuano ulteriormente quella
sua particolare posizione di distanza nei confronti dell’esperienza scolastica.
I bambini che presentano una ipertrofia del proprio Io, investito da un’attesa desiderante
che lo rende soggetto/oggetto del desiderio dei genitori, si trovano ad essere portatori di
un’assoluta intolleranza alle frustrazioni.
Il bambino troppo desiderato non consente all’insuccesso di minare quel potere che gli
deriva dall’essere oggetto del desiderio dei genitori; la sua fragilità narcisistica impedisce
l’elaborazione dell’evento frustrante. Una mancata elaborazione che
preclude la
possibilità di
accedere alla condizione di chi, esercitando la capacità di ‘imparare
dall’esperienza’, riesce a raggiungere un adattamento proficuo alle richieste della scuola.
Nel caso del bambino troppo pensato l’insuccesso mina definitivamente la sua fiducia di
poter assurgere alla condizione di ‘oggetto del desiderio’ dei suoi genitori, in quanto
conferma la sua incapacità di corrispondere al ‘figlio fantasticato’ dai genitori; ciò rafforza
ulteriormente la sua insicurezza di fondo.
Egli non allontana da sé il proprio insuccesso, come fa il bambino troppo desiderato; anzi,
per così dire, identifica se stesso all’insuccesso. Dunque anche per lui - seppur per
opposte motivazioni di quelle che si riscontrano nel bambino troppo desiderato - non
risulterà possibile l’integrazione mentale dell’insuccesso, e quindi una utilizzazione
proficua dell’esperienza frustrante.
BIBLIOGRAFIA
Gindro S., La diagnosi e la persona, Psicoanalisi Contro – Nuova serie, Anno 10, n° 1,
1993
Gindro S., Psicoanalisi della gestazione, Psicoanalisi Contro – Nuova serie, Anno 12 n° 6,
1995
Liverta Sempio O., Gonfalonieri E., Scaratti G. (a cura di), L’abbandono scolastico. Aspetti
culturali, cognitivi, affettivi, Raffello Cortina Editore, Milano, 1999
Maggiolini A., Mal di scuola – Ragioni affettive dell’insuccesso scolastico, Edizioni Uniclopi,
1994
Villa A., Il bambino adulterato, Franco Angeli, 2008
Scarica