manuale contattologia

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E. Bottegal
...
Contattologia
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.
01/01/2009
Manuale di contattologia
1.
RICHIAMI
ANATOMIA E FISIOLOGIA
DELL’OCCHIO ESTERNO
1. LA CORNEA
Anatomia
È la parte trasparente anteriore esterna del bulbo oculare. Presenta un diametro orizzontale
che oscilla tra 10 e 13 mm; misure maggiori o minori costituiscono un‟eccezione. Il diametro
verticale è sempre inferiore a quello orizzontale.
Gli spessori corneali normali sono di circa 1 mm al limbus e 0,5 mm al centro.
I raggi di curvatura medi sono di 7,80 mm quello esterno e di 6,6 mm quello interno. La
curvatura della faccia anteriore diminuisce dal centro verso la periferia; la costanza di curvatura
si mantiene esclusivamente in una zona coincidente o prossimale al polo anteriore per un area
di circa 3-4 mm di diametro, oltre la curva subisce un appiattimento, mantenendosi sempre di
tipo convesso, fino a 4 mm dal limbus, ove riprende a crescere.
Il raggio di curvatura della sclera è circa 12 mm, pertanto al punto d‟inserzione (raccordo
sclero-corneale) tra cornea e sclera si crea uno scalino, che si presenta più o meno accentuato al
variare della differenza tra le due curvature: corneale e sclerale. La valutazione dell‟entità di tale
raccordo costituisce elemento essenziale in contattologia.
La potenza media della faccia esterna, nella zona centrale, è di +43.00 dt., mentre quella
posteriore è di circa –49.00 dt. Quindi, presa in aria la cornea si presenta come un menisco
negativo di potenza –6.00 dt.
L‟indice di rifrazione del tessuto corneale è di circa 1,377. L‟indice medio è soggetto a
variazione legate al deterioramento dello stato deturgescente.
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E. Bottegal (2009)
Dal punto di vista istologico la cornea è costituita dai seguenti strati
 Epitelio (0,05 mm)
 Limitante esterna (0,015mm)
 Stroma (0,460mm)
 Limitante interna (0,007 mm)
 Endotelio (0,006 mm)
Epitelio. – è lo strato più esterno, su cui scorre il liquido
lacrimale. Esso si continua, pur in maniera meno raffinata, con
l‟epitelio della congiuntiva bulbare.
L‟epitelio consiste di 5 strati, di cui solo tre si evidenziano in
modo netto: il più profondo è formato dalle cellule colonnari
(forma di colonna), di cui una parte si presenta in fase di
cariocinesi. Al disopra delle colonnari si trova uno strato di
cellule più tondeggianti e sopra queste, lo strato più esterno ove
le cellule si presentano fortemente appiattite e ben smussate. Le
cellule piatte dello strato più esterno vanno incontro a continua
esfoliazione, mentre gli strati più interni sono sempre in attività
per garantire i processi di riparazione e sostituzione delle
cellule normalmente esfoliate. Tale continua attività di
riproduzione
cellulare riveste notevole importanza in
1. Cellule piatte; 2. Cellule alate tondeggianti;
3. Cellule basali colonnari; 4. Bowman;
5. Stroma; 6 Microvilli; 7. Nervo
contattologia, in quanto eventuali abrasioni epiteliali, causate dall‟uso di lenti a contatto, vengono
riparate in brevissimo tempo (massimo 12-24 ore per i casi più gravi).
Limitante esterna (membrana di Bowman).- è un sottile strato su cui si appoggia l‟epitelio,
dividendolo dallo stroma. Il legame con l‟epitelio è abbastanza lasso, al punto da permettere,
durante i movimenti oculari, un certo scivolamento dell‟una sull‟altro. Ha un discreto carattere di
robustezza e resistenza alla pressione, ai maltrattamenti e alle infezioni. Per contro una volta
distrutta o alterata non può essere rigenerata.
Stroma.- Occupa i 9/10 dello spessore corneale. È formato dalla sovrapposizione di una cinquantina
di strati di lamelle connettivali. Ogni lamella è formata da fasci di fibre allineate parallelamente e
cementate tra loro da una sostanza mucoide. Le fibre di ogni strato sono allineate in modo da
formare un certo angolo fisso con quelle dello strato precedente. Il valore dell‟angolo dipende dal
raggio di curvatura della superficie esterna; esso aumenta col diminuire del raggio; in cornee molto
curve le fibre possono essere allineate con un angola di 90°.
Limitante interna.- (membrana di Descemet). È una membrana simile alla Bowman, anche se un
po‟ più sottile. È resistente ed elastica, separa lo stroma dal sottostante endotelio.
Endotelio.- è il correlato interno dell‟epitelio. Ha tutte le caratteristiche dei tessuti endoteliali: unico
strato di cellule di forma esagonale. È elemento fondamentale per la regolazione del movimento dei
fluidi all‟interno dello stroma, contribuendo in maniera sostanziale al mantenimento dello stato di
deturgescenza.
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Manuale di contattologia
Fisiologia.
Per svolgere il suo importante ruolo nel processo visivo la cornea deve essere
necessariamente trasparente. Come questa elevatissima trasparenza (nell‟ordine del 90% della luce
incidente) si realizzi è legato ad alcuni fattori:
Fattori anatomici. Assenza di vascolarizzazione: la cornea è sprovvista di vasi sanguigni, questi si arrestano in
prossimità del raccordo sclero-corneale andando a formare un plesso vascolare detto
pericheratico.
 Regolarità delle cellule epiteliali
 Disposizione e misura delle fibre stromali: Esse presentano un diametro di 25 nm e sono
distanziate tra loro di 50 nm. Proprio tale distanza, di gran lunga inferiore alla lunghezza
d‟onda della luce incidente, permette alla cornea di comportarsi come un reticolo di
diffrazione. La perdita della regolarità nella disposizione delle fibre porta ad opacizzazione
di vario livello.
Fattori biochimici.La cornea è un tessuto altamente idrofilo. Può quindi assorbire acqua in misura
elevatissima. Lo stato di massima trasparenza si ottiene quando l‟idrofilia corneale è dell‟80% di
quella totale possibile. Se la quantità d‟acqua presente nella cornea aumenta oltre questo valore si
genera una perdita di trasparenza. Esiste, pertanto, un fenomeno (detto di Deturgescenza) che
consente il mantenimento stabile dell‟idratazione nei valori stabiliti per la miglior trasparenza.
I liquidi entrano nella cornea principalmente per la via dei vasi limbali, dall‟umor acqueo e
dalle lacrime.
Il drenaggio dei liquidi, quando sono in eccesso, si effettua mediante due meccanismi:
 Passivo: Osmosi
 Attivo: Pompa chimica e Pinocitosi
Osmosi.- Le variazioni della pressione osmotica tra liquidi interstiziali e liquido lacrimale
evaporato provocano il flusso di drenaggio dall‟interno verso l‟esterno fino al riequilibrio della
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E. Bottegal (2009)
concentrazione delle soluzioni (precorneale e interstiziale). È un meccanismo passivo in quanto
non necessita di alcun consumo di energia. Condizione fondamentale, affinché il processo osmotico
funzioni bene, è la perfetta integrità della barriera semipermeabile rappresentata dall‟epitelio
corneale. Una qualsiasi alterazione di tale integrità, sia per causa traumatica (ad esempio abrasioni
causate da l.a.c.), sia per causa patologica (infiammazioni) provocano una veloce imbibizione dello
stroma con conseguente processo edematoso.
La pompa chimica e la pinocitosi sono meccanismi che prevedono il trasporto attivo dei fluidi
interstiziali verso l‟esterno. Il funzionamento di tali meccanismi si definisce attivo in quanto
necessità di produzione di energia. L‟energia necessaria a far funzionare il proprio metabolismo, il
corpo umano (e quindi anche la cornea) la ottiene bruciando il glicogeno. Il glicogeno è costituito
da lunghe catene di glucosio , proveniente dall‟alimentazione. La parte che non viene usata al
momento dell‟assunzione, viene immagazzinata per necessità future. L‟energia, sotto forma di
molecole di ATP, è ricavata dalla scissione delle molecole di glucosio; tale processo può verificarsi
sia in ambiente aerobico che anaerobico.
In ambiente aerobico (presenza di ossigeno) viene metabolizzato solo il 15% del glucosio da
cui si ottiene l‟acido piruvico che, proprio per la presenza dell‟ossigeno, viene a sua volta
metabolizzato in: acqua, anidride carbonica e 36 ATP.
GLUCOSIO → Acido Piruvico → ENERGIA (36 ATP) + CO2 + H2O
→ Ciclo di Krebs ←
Mentre in ambiente anaerobico (assenza di ossigeno) si consuma molto più Glucosio (80%) e si
ottiene molta meno Energia. Infatti solo una piccola parte di acido piruvico si trasforma in ATP
mentre la maggior parte si metabolizza in Acido lattico:
GLUCOSIO → Acido Piruvico → ENERGIA (2 ATP) + ACIDO LATTICO
L‟acidosi lattica produce un aumento del gradiente osmotico del liquido interstiziale che per
essere bilanciato (vedi pocesso di osmosi) richiama all‟interno della cornea i liquidi esterni
(precorneale e umor acqueo). Questo progressivo aumento della presenza di liquidi nello stroma
corneale determina il formarsi dell‟edema con conseguente perdita della trasparenza.
Ossigenazione.
La fonte primaria di ossigeno per il metabolismo corneale è l‟atmosfera. Ad occhio aperto la
pressione atmosferica, esercitata sulla cornea, produce lo scioglimento di ossigeno nel film
lacrimale e il conseguente passaggio oltre l‟epitelio. È stato misurato che in presenza di una
pressione atmosferica dell‟aria di circa 760 mm di Hg (pressione media normale al livello del mare)
la tensione che si scarica sulla cornea è di circa 155 mm di Hg. In tali condizioni il flusso dell‟O 2 è
nell‟ambito da 3,2 a 7,2 microlitri/cm2 per ora, con una media di circa 4,8 microlitri. Si è dimostrato
che una cornea normale, per mantenere il proprio metabolismo in ambiente aerobico, necessita
almeno di una tensione di 39 mm di Hg; alcuni autori hanno sostenuto che per avere un adeguato
margine di sicurezza la tensione minima non debba scendere sotto i 76 mm di Hg.
Ad occhio chiuso (durante il sonno) la questione si complica. L‟apporto atmosferico
scompare. Entra in gioco la fonte sussidiaria rappresentata da un lato dall‟umore acqueo, attraverso
la barriera dell‟Endotelio, dall‟altro dalla fitta rete di capillari presenti sulla superficie del tarso
palpebrale che ad occhio chiuso va a ricoprire la cornea. La tensione dell‟ossigeno, in questo
frangente, è di gran lunga inferiore a quella della condizione di occhio aperto: 55 mm di Hg.
Il fenomeno della deturgescenza avviene in condizioni critiche e non in maniera esaustiva. Il
risultato è che dopo una normale notte di sonno, al risveglio, è possibile misurare la presenza di un
modesto edema corneale (fisiologico) che andrà risolvendosi in breve tempo, rimanendo ad occhi
aperti.
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Manuale di contattologia
Allo stesso modo, applicare una lente a contatto sopra una cornea equivale a frapporre una
barriera tra l‟ossigeno atmosferico e il liquido lacrimale, ove esso deve sciogliersi per nutrire la
cornea. Cura del contattologo è far in modo che la barriera causata dalla lente non faccia scendere
la tensione dell‟ossigeno al di sotto della soglia di sicurezza. Ciò può accadere solo se la lente è
bene adattata, a tal punto da permettere che l‟ammiccamento palpebrale consenta un suo adeguato
movimento atto a determinare un sufficiente e frequente ricambio del cuscino di lacrime frapposto
tra lente e cornea. Solo l‟apporto frequente e quantitativamente importante di lacrime fresche
(cariche di ossigeno) sotto la lente applicata può soddisfare i limiti di sopravvivenza dei tessuti
corneali.
Altri due caratteri della fisiologia corneale assumono un particolare interesse nella pratica
contattologia:
 La sensibilità corneale
 La fragilità corneale
Sensibilità.
La cornea è massicciamente innervata dal V° paio di nervi cranici (trigemino). Per questo motivo
essa è indicata come la parte più sensibile del corpo umano. La sensibilità tattile può essere
determinata con l‟uso dell‟estensiometro. Con questo metodo si rileva che:
La sensibilità non è uniforme su tutta la superficie corneale
 La massima sensibilità si ha nella zona dell‟apice
 Procedendo verso la periferia la sensibilità decresce
 Al limbus si presenta un evidente rialzo della sensibilità, senza però eguagliare quella
centrale.
Fragilità.
Come si visto la cornea, nella sua attività metabolica, presenta una continua attività di
esfoliazione delle cellule epiteliali superficiali, che vengono sostituite da cellule nuove. Quando
questa attività di esfoliazione diventa particolarmente marcata, oltre i termini fisiologici, si può
definire la cornea potenzialmente come fragile. Naturalmente se su di una cornea di questo tipo
viene posto un corpo estraneo (ad es. una lac) che eserciti una pur minima attività di sfregamento,
l‟esfoliazione aumenta ancor più di valore (già elevato), producendo delle vere e proprie aree di
abrasione.
Il contattologo può valutare la fragilità della cornea del potenziale utilizzatore di lac seguendo il
seguente procedimento:
 Viene instillata fluoresceina ed osservata al biomicroscopio la superficie corneale. Si
prende nota della presenza di eventuali zone di disepitelizzazione.
 Si applica la lente a contatto del tipo e dei parametri previsti e si attende almeno 15
minuti prima di rimuoverla
 Si ricontrolla la cornea in fluoroscopia

Si annotano i risultati:
1) Se la superficie corneale non presenta alcuna diversità rispetto alla prima
osservazione, significa che non esiste fragilità corneale e si assegna a quella
cornea l‟indice di fragilità “F0”
2) Si notano alcuni punti di disepitelizzazione in più rispetto alla visione iniziale. La
cornea viene valutata “F+” (fragilità media)
3) Si notano numerosi punti od addirittura aree di disepitelizzazione. “F++”
(fragilità elevata)
È naturale che una cornea F++ rappresenta una certa controindicazione all‟uso di lenti a contatto.
Ma è opportuno valutarne l‟idoneità all‟uso associando il parametro della fragilità con quello della
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E. Bottegal (2009)
sensibilità. È ovvio, infatti, che una cornea lievemente fragile associata ad una scarsa sensibilità,
potrebbe fornire al portatore dei segnali di disturbo quando oramai i danni provocati dalle lenti a
contatto possono aver raggiunto livelli troppo gravi. Mentre i casi di elevata sensibilità, associati a
nessun grado di fragilità, possono dare al contattologo la tranquillità di far proseguire
l‟adattammento anche in presenza di iperlacrimazione e frequente ammiccamento.
Tenendo conto delle varie possibilità, si possono incrociare su di un sistema cartesiano i dati di
sensibilità e fragilità ed ottenere una linea guida di massima da seguire nelle applicazioni:
y
Caso
molto
S+
+
Favorevole
S+
Caso
Favorevol
e
Possibil
e
con
controlli regolari
e prove
numeros
e
Possibil
e
Forse
possibile
con lac
morbide
con
controlli frequenti
S0
Possibil
e
controlli
0
F0
con
Con lac morbide
Possibil
e
con
molti
controlli frequenti
F+
NO
F++
x
2. LE PALPEBRE
Sono pieghe cutanee che si spingono sopra il bulbo per proteggerlo.
Partendo dall‟esterno, sono costituite da:
 Tessuto cutaneo
 Tarso: costituisce lo scheletro delle palpebre. Formato da tessuto connettivo di sostegno
con fibre elastiche disposte a rete
 Tessuto muscolare: permette la motilità della palpebra nel senso dell‟apertura (elevatore
palpebrale) e della chiusura (orbicolare)
 Elementi ghiandolari di tipo sebaceo, sudoriparo e lacrimale
 Mucosa di rivestimento interno: Congiuntiva
 Elementi piliferi: Ciglia
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Manuale di contattologia
Particolare importanza riveste, in contattologia, il complesso ghiandolare presente nelle
palpebre e nella congiuntiva. Si differenziano a seconda della funzionalità in:
 Ghiandole sebacee: ghiandole di
Meibomio inserite nel tarso palpebrale e
ghiandole di Zeiss in prossimità della
rima palpebrale
 Ghiandole sudoripare: Ghiandole di
Moll che sboccano nei follicoli delle
ciglia
 Ghiandole
lacrimali
accessorie:
Ghiandole di Ciaccio (Wolfring) e di
Krause,
considerate quasi
una
estensione verso il basso della ghiandola lacrimale principale; disseminate, invece su tutta le
congiuntiva, ma particolarmente concentrate nei fornici, sono le importantissime cellule di
globet
La buona funzionalità di tutto questo apparato consente la riproduzione costante del film lacrimale
nelle sue componenti fondamentali.
La congiuntiva è un tessuto trasparente
di tipo mucoso che ricopre tutta la parte
esterna anteriore del bulbo oculare.
Anatomicamente è divisa in:
 Congiuntiva tarsale. È la parte che
ricopre la porzione del tarso palpebrale
in maniera molto aderente.
 Congiuntiva del fornice. È la parte
meno aderente al tessuto sottostante
che ripiegandosi su se stessa crea la
continuità tra parte tarsale e bulbare,
chiudendo la parte orbitarla interna da
ogni contatto con l‟esterno.
 Congiuntiva bulbare. È la parte che
ricopre la sclera e la cornea. Sulla
cornea
è
fortemente
aderente,
costituendo la parte più esterna
dell‟epitelio corneale. Dal limbus
verso i fornici l‟adesione è molto lassa
e consente di essere spostata con
semplice pressione dei polpastrelli.
Anatomia della palpebre supriore
In contattologia ha discreta importanza l‟ampiezza dell‟apertura palpebrale. Essa si classifica in:
8
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Figura 2 – Apertura palpebrale e sistema di misura
3. IL FILM LACRIMALE
Le lacrime sono prodotte dalle varie ghiandole lacrimali e si stendono sulla congiuntiva bulbare
e sulla cornea sotto forma di uno strato molto sottile (10 µ) che prende il nome di film lacrimale.
Si articola in tre strati ben distinti:



Mucoso (interno). Rende bagnabile l‟epitelio corneale di per se
idrofobo. Funziona infatti da cerniera tra lo strato epiteliale più esterno
a cui si lega con i suoi siti non polari e la parte acquosa del film
lacrimale a cui si lega con i suoi siti polari. È composto di
Glicoproteine (mucina) secreta dalle cellule globet della congiuntiva
Acquoso (intermedio). Provvede al metabolismo corneale, fungendo
da mezzo di trasporto dell‟ossigeno atmosferico che in esso si scioglie.
È composto dal 98% di acqua e per il rimanente 2% da una nutrita
schiera di sostanze minerali: sodio, potassio, calcio, magnesio ecc. e
sostanze organiche quali: glucosio, amminoacidi, proteine, albumine,
lisozima ecc.
Lipidico (esterno). Rallenta l‟evaporazione dello strato acquoso durate l‟intervallo tra gli
ammiccamenti. È costituito da acidi grassi, esteri di colesterolo e fosfolipidi. Secreto dalle
ghiandole di Meibomio e Zeiss
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Manuale di contattologia
La qualità del film lacrimale è controllata dall‟ammiccamento che provvede a ristabilire le
condizioni ideali ogni qualvolta i vari componenti del film iniziano a deteriorarsi.
L‟ammiccamento spontaneo è di norma bilaterale e dovrebbe avere una frequenza almeno di 10
battiti al minuto. Frequenze minori sono facilmente riscontrabili nella pratica clinica, ma possono
costituire parziale intolleranza alle lenti a contatto.
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E. Bottegal (2009)
2.
I MATERIALI
1.
I POLIMERI.
La possibilità di correggere l‟errore rifrattivo dell‟occhio, modificando la potenza del suo
diottro principale era conosciuta fin dai tempi di Leonardo da Vinci. Poterlo fare mediante
sovrapposizione alla cornea di una calotta trasparente otticamente capace di riportare il sistema
all‟emmetropia è invece storia dei nostri giorni. Nel XX secolo la chimica organica e propriamente
quella delle materie plastiche ha permesso di produrre nuove sostanze con caratteristiche di
leggerezza, trasparenza, lavorabilità a bassi spessori, stabilità e biocompatibilità che si sono
dimostrate perfettamente adatte alla costruzione di lenti a contatto. Queste sostanze fanno parte
della grande famiglia dei polimeri.
I polimeri sono composti costituiti da l‟unione di numerose (molte migliaia) unità elementari
chiamate monomeri.
L‟unione di monomeri tutti uguali tra di loro porta alla formazione di omopolimeri, mentre
l‟unione di monomeri di sostanze diverse viene chiamata copolimero.
Il legame tra i vari monomeri che costituiscono il polimero può essere in forma:



lineare
ramificata
crociata
In base al loro comportamento al calore, sono suddivisi in:
 termoplastici
 termoindurenti.
I polimeri termoplastici si ammorbidiscono con il calore e possono essere modellati più volte
con relativa facilità; i termoindurenti non si ammorbidiscono facilmente e possono essere
lavorati una sola volta.
I polimeri lineari in genere hanno caratteristiche meno nobili, sono termoplastici, solubili,
instabili, mentre quelli con legami crociati e trasversali sono inerti, stabili, insolubili nei più comuni
solventi.
Se il numero dei legami trasversali è relativamente basso, il materiale risulta morbido e con
particolare attitudine ad assorbire la soluzione ove viene immerso. All‟aumentare del numero dei
legami crociati aumenta la rigidità del materiale e diminuisce la sua affinità ad assorbire liquidi.
È opportuno passare in rassegna quali debbono essere le principali caratteristiche affinchè un
polimero possa essere selezionato per la costruzione di lenti a contatto.
La permeabilità e la trasmissione di ossigeno.
La cornea è un tessuto avascolare che acquisisce ossigeno, ad occhio aperto, dal film
lacrimale, in cui si diffonde quello atmosferico, e in misura molto minore dall‟umor acqueo e dal
plesso vascolare perilimbare. Ad occhio chiuso dai vasi della congiuntiva tarsale.
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Manuale di contattologia
Qualsiasi lente a contatto applicata sulla cornea agisce come barriera all‟utilizzo
dell‟ossigeno atmosferico. È da terner conto che una deficienza nell‟apporto di ossigeno è fonte
di indebolimento della struttura corneale di cui l‟aspetto più caratteristico è il formarsi
dell‟edema stromale, generato dalla riduzione dell‟efficacia della pompa sodio-potassio atta a
drenare i liquidi interstiziali. L‟edema da ipossia è facilmente diagnosticabile osservando, in
lampada a fessura la sezione corneale ove appaiaono strie e/o neovascolarizzazioni.
Stria stromale
Neovascolarizzazione
In q
ueste situazione viene favarita l‟adesione batterica all‟epitelio con evidenti rischi di infezioni.
Uno studio del 1996 di Ren & Wilson ha dimstrato che sotto una lente a contatto che non
garantisca un‟adeguata ossigenazione corneale si genera un assottigliamento dell‟epitelio,
probabilmente dovuto ad un rallentamento di produzione di nuove cellule basali rispetto al
numero di quelle eliminate per esfoliazione.
Una certa quantità d‟ossigeno può comunque raggiungere la cornea attraverso:
Il pompaggio di liquido lacrimale dietro la lente durante il suo movimento (significativo
nelle lenti RGP)
 Attraverso il materiale della lente
Questa seconda opportunità è fondamentale nelle lenti morbide, ove il grande diametro e lo
scarso movimento non consentono adeguate forme di pompaggio.

Il valore della permeabilità dell‟ossigeno in un certo materiale è funzione della:

Velocità con cui le molecole di ossigeno riescono a passare attraverso il materiale
(Diffusione)
 Facilità con cui l‟ossigeno si dissolve nel materiale (Solubilità)
Il prodotto di questi due coefficienti: Diffusione (D) x Solubilità (k) è sempre un valore molto
piccolo, tale che per comodità viene espresso come x10-11 .
Il Dk (x10-11) è una caratteristica del materiale in quanto ne esprime la gaspermeabilità
Quando con un dato materiale viene costruita una lente a contatto entra in gioco un altro fattore
fondamentale: lo spessore della lente (t).
Poiché, in questo caso, il valore di trasmissibilità di ossigeno viene ottenuto facendo il rapporto tra
il Dk del materiale e lo spessore (t) della lente, viene usata l‟espressione Dk/t che in valore è
espressa da un numero x 10-9.
I valori di Dk/t pubblicati dai costruttori sono per convenzione riferiti allo spessore centrale di una
lente da -3,00 D. E‟ chiaro che tali valori sono sicuramente fuorvianti quando ci si accinga ad
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E. Bottegal (2009)
applicare un lente che per potere ovvero per caratteristiche geometriche si allontani dallo spessore
di una normale -3,00 (ad es. nei poteri negativi elevati e in tutti i poteri positivi.
Come di può notare dalla figura accanto, nella
lente con potere negativo (-3,00) il valote di
Dk/t si riduce ad un terzo rispetto ad una lente
di potere positivo +6,00 D. Naturalmente la
scelta del potere -3,00 D per identificare la
capacità di trasmissine di una lente a contatto
trova la sua giustificazione nel fatto che
all‟intorno di questo potere si trova la fascia di
maggior consumo mondiale di lenti a contatto.
Si è visto comunque che entro un certo limite di riduzione di apporto di ossigeno la cornea
umana è in grado di rallentare i propri processi metabolici ed evitare alterazioni significative della
sua deturgescenza; se tale limite viene superato l‟edema stromale travalica i confini fisiologici e la
richiesta di ossigeno, per combattere l‟anossia, si rivolge ai capillari del plesso perilimbare che
aumentano di volume e si spingono fin oltre il limbus per conferire l‟ossigeno richiesto dagli esausti
tessuti corneali. Risultato: OCCHIO ROSSO.
Risultato dopo 7 gg d’uso di lac ad levato Dk/t
Iniezione bulbare con utilizzo di lac a medio Dk/t
Nel 1984 Holden e Mertz stabilirono che l‟ispessimento della cornea (edema) indotto dal porto di
lenti a contatto non doveva superare il 4% e che i Dk/t utili a non superare tale limite sono:


24 x10-9 per il porto diurno
87x10-9 per il porto notturno
Porto notturno
Dk/t
150
100
Serie1
50
0
0
5
10
15
20
25
30
Edem a Corneale
Fig.1- Distribuzione dell’edema cornele al variare del D k/ nel porto notturno (Holden e Mertz)
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Manuale di contattologia
Nel 1999 Harwitt e Bonanno hanno adottato un modo differente per definire la soglia
minima di Dk/t da attribuire alle lenti a contatto da poter utilizzare a porto continuato. Essi
misurarono quanto ossigeno si rendeva disponibile sotto una lente a contatto e quanto di questo
veniva effettivamente utilizato dalla cornea. Usarono pigmenti fluorescenti sensibii all‟ossigeno che
permettevano una sufficiente osservazione e misurazione dell‟assorbimento. Fornendo inzialmente
alla cornea un certa quantità di ossigeno se ne ricava la quantità percentuale assorbita che consente
di tracciare una curva di taratura definita Percentuale di osssigeno equivalente (EOP), quindi si
ripete l‟eperienza con lente a contatto applicata e si confrontano i dati con la precedente taratura.
Questo studio ha condotto a definire il Dk/t minimo per il porto continuato in 125x10-9
La necessità di produrre lenti con alto Dk/t fu compreso dai costruttori come obiettivo da
raggiungere ancora prima degli studi di Holden e Metz e l‟attenzione fu subito posta al contenuto
d‟acqua raggiungibile dalla lente, requisito fondamentale per aumentare la gas-permeabiltà.
Il rapporto acqua/polimero
Gli idrogel sono polimeri che hanno un rapporto privilegiato con l‟acqua, nel senso che,
dopo la produzione allo stato secco, nel momento che vengono immersi in soluzione acquosa
tendono ad assorbire una certa quantità di liquido, aumentando di peso e di volume. La
variazione di peso dallo stato secco a quello idrato esprime il tasso d‟idratazione del materiale.
In effetti però solo una parte del tasso di idratazione è costituita da acqua elettrostaticamente
legata ai siti polari del materiale; un‟altra parte, a volte anche rilevante, è determinata dall‟effetto
di riempimento dei pori del polimero stesso senza però legami chimici (acqua libera).
Nel caso l‟idrogel venga rimosso dallo stato di immersione e posizionato in ambiente secco
l‟acqua libera tende ad evaporare rapidamente mentre la porzione legata permane molto più a
lungo all‟interno del materiale.
In modo analogo, si possono osservare stati di disidratazione di lenti idrofile quando siano
applicate in occhi tendenzialmente secchi. Lo strato acquoso del film lacrimale evapora
nell‟intervallo di tempo compreso tra due ammiccamenti. Se il film è instabile si generano aree
più o meno diffuse di secchezza che tendono ad essere risolte richiamando acqua dall‟interno
della lente applicata. Si genera, quindi, una disidratazione primariamente a carico dell‟acqua
libera presente nella lente che è tanto più veloce, quanto maggiore è la sua idrofilia.
Particolare interesse può rivestire la conoscenza del gradiente osmotico del film lacrimale
per poterlo paragonare a quello della soluzione acquosa interna della lente a contatto. In questo
modo si dispone di un parametro in più per la scelta della miglior lente applicabile ove il buon
bilanciamento tra i due valori di gradiente contrasta o rallenta la possibile disidratazione della
lente. La strumentazione necessaria per effettuare tali rilevazioni è al momento alquanto costosa,
non solo in termini d‟impianto, ma anche nel materiale di consumo; pertanto risulta poco
proponibile per la quotidianità lavorative degli studi di contattologia.
La caratteristica della componente acquosa di funzionare da mezzo di trasmissione
dell‟ossigeno atmosferico dall‟aria alla cornea ha spesso fatto perdere di vista un‟altra sua
caratteristica non meno importante. Si deve ricordare, infatti che il torrente acquoso che si
instaura tra film lacrimale e lente a contatto idrofila risulta essere il primo regolatore del corretto
flusso delle sostanze di nutrimento (metaboliti) e di quelle di rifiuto (cataboliti). Quando la lente
rimane perfettamente idratata, secondo le sue caratteristiche di base, essa, oltre a concorrere al
nutrimento della cornea è in grado di mantenersi pulita e trasparente. In caso di disidratazione
14
E. Bottegal (2009)
invece la lente si presenterà spesso sporca ed opaca per il deposito delle sostanze di rifiuto che
non trovano la giusta via di eliminazione.
Gli effetti derivati dalla disidratazione sono:

Diminuzione del BOZR

Diminuzione del Dk/t

Aumento dell‟indice di rifrazione

Diminuzione dello spessore

Diminuzione del diametro totale (TD)

Cambiamento del potere
Risulta evidente che conoscere il rapporto esistente tra acqua libera e acqua legata consente
di conoscere la velocità di disidratazione di una certa lente a contatto in condizioni di secchezza
oculare.
La carica elettrica
Un‟altra caratteristica di estrema importanza nella valutazione degli hydrogel è il tipo di
carica elettrica di superficie in essi presente.
Infatti per effetto della ionizzazione alcuni materiali possono presentare una carica di
superficie negativa, mentre altri tendono alla neutralità.
Tenendo conto che le mucoproteine del film lacrimale sono caricate positivamente in
superficie, a seconda della carica presente nel materiale questo sarà più o meno predisposto alla
formazione di depositi.
In questo contesto gli hydrogel vengono distinti in:

ionici (hanno carica negativa)

non-ionici (non hanno carica)
La classificazione secondo l’FDA
Riconoscendo come primarie le caratteristiche di idratazione e ionicità dei materiali per lenti a
contatto in relazione al loro comportamento in vivo, l‟FDA ha stabilito la seguente
classificazione in quattro gruppi:
GRUPPO 1
GRUPPO 2
H2O<50% non-ionico H2O>50% non-ionico
GRUPPO 3
GRUPPO 4
H2O<50% ionico
H2O>50% ionico
Tefilcon (38%)
Lidofilcon B (79%)
Bufilcon (45%)
Bufilcon A (55%)
Tetrafilcon A (43%)
Surfilcon (74%)
Deltafilcon A (43%) Perfilcon (71%)
Crofilcon A (38%)
Lidofilcon A (70%)
Droxifilcon A (47%) Etafilcon A (55%)
Hefilcon AeB (45%)
Netrafilcon A (65%)
Phemfilcon A (38%) Focofilcon A (55%)
Isofilcon (36%)
Hefilcon C (57%)
Ocufilcon (44%)
Mafilcon (33%)
Alfafilcon A (66%)
Ocufilcon C (55%)
Polymacon (38%)
Omafilcon A (59%)
Phemfilcon A (55%)
Vasurfilcon A (74%)
Methafilcon A (55%)
Hioxifilcon (59%)
Methafilcon B (55%)
Ocufilcon B (53%)
15
Manuale di contattologia
Vifilcon A (55%)
2. L’EVOLUZIONE DEI MATERIALI
A seconda della famiglia di appartenenza del materiale, le lenti a contatto di dividono in:
 Lenti Rigide
 Lenti Morbide
Materiali per Lenti rigide.
Sono costruite con polimeri di tipo vetroso classificati in 4 gruppi in relazione al valore di
Dk espresso.
Gruppo 1: PMMA (poli-metilmetacrilato).
Dk=0.
È il primo materiale plastico utilizzato per la
fabbricazione di lenti a contatto. Ha ottime
caratteristiche di stabilità, riproducibilità,
qualità ottica, facilità di lavorazione. Si noti
nella struttura l‟assenza di gruppi polari che ne
impedisce l‟assorbimento dell‟acqua e di
conseguenza la scarsa compatibilità con le
strutture figurate del film lacrimale.
Gruppo 2: CAB (Acetato Butirrato
di cellulosa) Dk=4.
E‟ il primo materiale gas permeabile
rigido utilizzato (1973) Deriva
dall‟eterificazione della cellulosa,
che contiene numerosi gruppo OH.
Nella produzione alcuni di questi ossidrili vengono rimpiazzati dall‟acetato (acido acetico) e dal
butirrile (acido butirrico derivato da gas naturali). I rimanenti gruppi OH conferiscono al materiale
una buona bagnabilità e un‟idrofilia del 2-3%. Nella sua versione originaria presenta alcuni
inconvenienti quali la bassa resistenza all‟abrasione e la ridotta stabilità dimensionale, in termini di
costanza del BZOR. Maggior successo ha avuto la sua co-polimerizzazione con l‟Etilene acetato di
vinile (EVA), che ne migliora la bagnabilità e la stabilità.
Gruppo 3: Silossano-Metacrilato
(pMMA+Silossano)
Dk>6.
Questi copolimeri sono frutto di miscele
monometriche che contengono 4 componenti
principali giocati i proporzioni differenti:
 Monomero di silossano metacrilato. non
contiene in effetti silicone puro, ma
derivati del metacrilato caratterizzati da
legami silossanici (Silicone-Ossigeno
16
E. Bottegal (2009)



Si-O-Si) nella struttura finale della
catena. Siccome questi legami sono per loro natura ampi e flessibili consentono all‟ossigeno
di muoversi liberamente entro il materiale.
p-MMA (Metilmetacrilato). Conferisce al materiale tutte le qualità del plexiglass: stabilità,
lavorabilità, durezza.
EGDMA (Etileneglicoldimetacrilato): connette le catene polimeriche e le rende più stabili
(crosslincante)
MAA (Acido metacrilico) Conferisce ottima bagnabilità (Umettante)
I principali svantaggi legati a questi materiali sono:
 facilità a sviluppare depositi proteici derivati dal film lacrimale
 Fragilità
 Alta incidenza di colorazione corneale ore 3 e 9
Le più comuni denominazioni commerciali di questi materiali sono le seguenti:
Materiale
Dk
Polycon II
12
Boston II
15
Paraperm O2
15
Boston IV
26,7
Dk43
43
Paraperm EW
56
Gruppo 5: Fluoroacrilati
Si ottengono addizionando dei
componenti fluorati ai
copolimeri di silossano-acrilato.
I risultati sono notevoli:
 Notevole aumento della gas-permeabiltà
 Aumento della durezza che può arrivare ai livelli del p-MMA
 Riduzione del coefficiente di attrito (lente- palpebra)
 Aumento resistenza alla formazione di depositi
Le più comuni denominazioni commerciali di questi materiali sono le seguenti:
Materiale
Dk
Fluoroperm 30
30
Boston ES
31
Equalens
71
Fluoroperm 90
90
Quantum
92
Boston 7
73
Equalens 125
125
Fluoroperm 151
151
Optacryl F
160
Materiali per lenti morbide.
17
Manuale di contattologia
Gli hydrogel
Con il termine “lenti morbide” viene usualmente indicata tutta quella famiglia di lenti a
contatto costruite con materiale denominato hydrogel, le cui caratteristiche chimico-fisiche
conducono ad un prodotto sostanzialmente diverso rispetto alle tradizionali rigide.
La principale caratteristica di queste lenti è la grande flessibilità, legata all‟idrofilia del polimero.
L‟hydrogel viene prodotto allo stato secco. A questo stadio si presenta rigido e alquanto fragile;
quindi se viene immerso in una soluzione liquida qualsiasi (acqua, acqua distillata, soluzione
fisiologica, acqua di mare ecc.) si comporta come una spugna. Assorbe una certa quantità del
liquido in cui è immerso. La quantità di liquido assorbita varia a seconda della qualità del liquido
stesso e dalla temperatura, oltre che dalle caratteristiche intrinseche dell‟hydrogel. Dopo un certo
tempo d‟immersione, l‟assorbimento raggiunge la saturazione.
L‟assorbimento di liquido genera delle modifiche sostanziali nella dimensionalità del prodotto
realizzato in hydrogel:
 Aumento di volume
 Aumento del peso
 Variazione significativa dei parametri lineari
Immaginiamo ora una lente a contatto realizzata con questo materiale. Lavorata allo stato secco
presenterà un certo diametro, raggio di curvatura e spessore. Una volta idratata, tutti questi
parametri saranno stravolti e si manterranno tali solo fintanto che lo stato idrato permane identico,
mentre si modificheranno di poco o di molto se tale stato viene compromesso.
Pertanto ogni hydrogel viene contraddistinto da un proprio tasso di idrofilia, derivante dal rapporto
percentuale del peso allo stato secco rispetto al peso allo stato di massima idratazione.
L‟industria delle lenti a contatto morbide propone prodotti in hydrogel con tasso d‟idrofilia
variabile dal 38% all‟80%.
Le prime lenti a contatto morbide nascono nel 1962 in Cecoslovacchia. Lim e Wichterle,
due ricercatori dell‟istituto di chimica macromolecolare di Praga, attraverso la polimerizzazione
di monomeri di idrossietilmetacrilato legato in forma crociata con una bassa quantità (meno del
3%) di glicoletilenedimetacrilato (EGDMA)
ottengono
lenti
a
contatto
in
Polidrossietilmetacricato (p-HEMA) che presenta un contenuto d‟acqua del 38%.
Struttura momomerica e polimerica dell’HEMA. Si noti la presenza del gruppo polare ossidrlile deputato a legare l’acqua
L‟HEMA si dimostra subito un ottimo materiale per la costruzione di lenti a contatto per la
buona stabilità, nessuna carica di superficie, robustezza. Unico neo il Dk pari a 9x10-11 .
Ottenere un valore di trasmissione minimo sufficiente per un uso diurno (24x10-9) obbliga alla
costruzione di spessori troppo bassi, non proponibili per la tecnologia dell‟epoca. Per ovviare a
questo inconveniente le prime lenti in HEMA commercializzate, a partire dai primi anni ‟70,
18
E. Bottegal (2009)
presentavano diametri estremamente piccoli (12,5mm / 13,00mm) al fine di sfruttare per
l‟ossigenazione corneale anche l‟effetto pompa sotto la lente durante l‟ammiccamento.
L‟utilizzo di diametri piccoli richiede, in sede applicativa, una scelta accurata del r.b. e
quindi la necessità di avere a disposizione una gamma molto vasta di tali parametri.
Per standardizzare maggiormente la produzione riducendo significativamente il numero dei r.b.
disponibili, era necessario costruire diametri più grandi (13,50, 14,00, 15,00) ma
conseguentemente aumentare il Dk/t delle lenti attraverso l‟aumento dell‟idratazione del
materiale.
Tale risultato fu ottenuto attraverso la copolimerizzazione dell‟HEMA con altri monomeri.
I principali monomeri usati in questa fase sono l‟acido metacrilico e l‟Nvinilpirrolidone
La copolimerizzazione con acido metacrilico (MAA) permise di ottenere un‟idratazione variabile
tra il 50% e il 65% a seconda della concentrazione acida.
L‟aggiunta di questo acido però modifica lo stato di neutralità superficiale dell‟HEMA
rendendolo elettrochimicamente negativo (materiale ionico) e quindi con grande affinità di
legame, sia con le componenti figurate del film lacrimale, sia con i disinfettanti contenuti nelle
soluzioni di manutenzione.
L‟utilizzo del Nvinilpirrolidone (NVP), per la presenza del lattato che va a sostituire il
gruppo acido introdotto dall‟uso del MAA, permette di ottenere idratazioni molto elevate (fino al
75%) e mantenere relativamente neutra la carica di superficie.
Copolimeri senza Hema
Con lo stesso scopo vennero introdotti sul mercato nuove copolimerizzazioni senza HEMA
che, oltre ad aumentare il contenuto idrico, mantenessero la neutralità di carica.
Negli esempi più diffusi l‟HEMA viene sostituito dal metilmetacrilato (MMA).
Quest‟ultimo lo si trova copolimerizzato con:
 il Glicerolo (MMA+GMA)
 NVinilpirrolidone (MMA+NVP)
La prima sintesi (MMA/GMA ) portò alla realizzazione e commercializzazione del
Crofilcon A, un materiale che per la prima volta dimostrava un‟efficacissima resistenza alla
formazione di depositi, tale che fu acclamato come l‟unico prodotto adatto ad ottenere un‟effettiva
prevenzione nei casi di congiuntivite papillare gigante.
Nonostante le premesse il Crofilcon A non ebbe il successo che poteva meritare a causa del suo
contenuto idrico (38%) che come Dk lo equipara al classico HEMA e quindi non lo rendeva
idoneo all‟uso prolungato se non addirittura permanente che già all‟ora, come del resto oggi,
rappresentava per i produttori di lenti il punto d‟arrivo per la conquista del mercato.
MMA/NVP ha avuto più successo del precedente, in quanto consente di ottenere hydrogel
non-ionico ad elevato contenuto idrico (70%) quindi con Dk elevato che si accoppia ad una buona
resistenza meccanica.
Tutte queste nuove polimerizzazioni (sia quelle con HEMA che quelle senza) presentarono
subito (al contrario di quelli ionici) una notevole rapidità di disidratazione e una relativa lentezza
nel reidratarsi. Difatti il loro utilizzo in ambiente poco idratato (es. l‟occhio secco) ne provoca una
veloce perdita d‟acqua con evidente modificazione dei parametri costruttivi (r.b., potere, ecc.) che
in aggiunta alla loro particolare lentezza nel reidratarsi li rende relativamente poco sensibili
all‟uso di lacrime artificiali (necessità di frequenti instillazioni).
La manifesta impossibilità all‟ottenere il materiale ideale ( privo di carica di superficie, di
idratazione medio alta, veloce ad idratarsi e lento a disidratarsi) spinse alcuni a pensare che le
19
Manuale di contattologia
lente costruibile il più vicino possibile alle condizioni ideali dovesse avere un Dk/t
sufficientemente elevato per il porto anche prolungato, ottenuto con una media idratazione
accoppiata ad un basso spessore (max 0,08 mm), costruita in materiale ionico per garantire il
mantenimento dell‟idratazione anche i presenza di secchezza e che venisse sostituita prima che si
verificasse la deneturazione dei depositi proteici.
Alla fine degli anni „80, un‟azienda americana che i più conoscevano solo come produttrice
di shampoo per capelli, per altro anche di dubbia qualità, acquisisce ACUVUE, una piccola realtà
produttiva di lenti a contatto, e si affaccia sul mercato proponendo la prima lente disposable.
Si può certo dire che da questo momento in poi il mondo della contattologia è radicalmente
cambiato.
Etafilcon A, copolimero HEMA/MAA, 58% d‟idratazione, ionico, Dk 28, non è certamente
nulla di nuovo, ma utilizzato per produrre lenti di basso spessore (0,07mm Dk/t 40x10-9) da usare
per 7 gg a porto continuo o 15 gg ad uso giornaliero ha rappresentato la più grande idea
commerciale nel mondo della contattologia moderna, con la quale ancor oggi è necessario
continuamente confrontarsi.
Da un punto di vista tecnico scientifico Acuvue non rappresenta certo una novità e tanto
meno un progresso. Il materiale non ha nulla di innovativo. Il vero punto di forza fu il coraggio di
proporre per primi al mondo un programma di sostituzione rapida assolutamente rivoluzionario
per le abitudini dei consumatori e degli applicatori dell‟epoca.
La sostituzione frequente consente infatti di utilizzare spessori di lente molto bassi con
relativo evidente aumento del Dk/t, atto a consentire un certo porto prolungato, e cosa non
indifferente permette di sfruttare la deposizione proteica solo nel periodo di attività biologica
positiva. Saks et altri hanno riportato che il lisozima legato a materiali ionici mantiene il 90 %
della sua attività positiva, mentre quando si lega a materiali non-ionici diventa in gran parte
inattivo.
D‟altro lato, lo spessore ridotto dimostrò un grosso limite. Infatti, Acuvue se applicate su
occhi dalle condizioni lacrimali precarie o se usate in ambienti poco idonei come ad es. aria
condizionata o uso di VTC, in presenza di una pur lieve evaporazione, producono fenomeni di
adesione corneale tali da obbligare l‟abbandono dell‟utilizzo. Inoltre, in uno studio del 1992 Natan
Efron afferma che il 75% delle lenti Acuvue mai usate mostra difetti di costruzione che possono
essere causa di microtraumi epiteliali.
A questo punto risulta chiaro che le lente a contatto ideale dovrebbe possedere:
 un‟idratazione medio-alta per consentire un buon rispetto del metabolismo corneale, sia
sotto l‟aspetto dell‟ossigenazione sia sotto quello dello scambio di metaboliti e cataboliti.
 Una scarsa predisposizione alla disidratazione anche se esposta ad ambiente relativamente
secco (maggior incidenza di acqua legata rispetto a quella libera).
 Scarsa affinità ai depositi al fine di minimizzare i pericoli di fenomeni allergizzanti e
infiammatori.
 Uno spessore adeguato a non favorire fenomeni di adesione e che ne consenta la produzione
di lenti di diversa durata
La sindrome dell’occhio secco
Il successo commerciale di ACUVUE, provocò una drastica e veloce riconversione del
mercato delle lenti morbide verso prodotti a ricambio frequente, ove la durata maggiore è
rappresentata dalle lenti mensili. I vantaggi furono abbastanza presto evidenti, in forma di evidente
riduzione delle forme di congiuntivite e cheratite indotte dalle lenti.
20
E. Bottegal (2009)
Ciò, invece, che rimaneva irrisolto erano gli insuccessi applicativi dovuti alla disidratazione
più o meno veloce della lente in presenza di ambiente secco. I fenomeni di ipossia e di adesività
corneale continuavano ad alimentare un abbandono dell‟uso delle lenti a contatto talmente elevato
da pareggiare il numero di nuovi portatori, con conseguente appiattimento del mercato. Le
statistiche sviluppate negli anni ‟80 dai produttori , confermate anche dalla comunità scientifica,
attestavano al 15% dei portatori coloro che erano costretti ad abbandonare l‟uso delle lenti ed
inoltre riconoscevano che almeno oltre un terzo dei portatori soffrivano di problemi legati a
fenomeni di secchezza lacrimale.
L‟obiettivo di ridurre, se non proprio di azzerare, tali inconvenienti è stato affrontato in due
maniere diverse:
a) Ricercare nuove sostanze, diverse da quelle finora impiegate (MAA, PVP), che fossero in
grado di mantenere un‟idratazione della lente significativamente elevata anche in presenza
di ambiente secco e che nel contempo garantissero l‟integrità del film lacrimale in tutte le
sue componenti.
b) Rivolgere l‟attenzione a nuovi materiali che collegati ad una base di idrogel tradizionale
potessero conferire alla lente elevati gradi di trasmissibilità dell‟ossigeno, prescindendo
dalla presenza di elevate idratazioni.
I risultati di questa doppia ricerca hanno condotto verso la fine del secolo scorso alla nascita di due
classi di nuovi prodotti:
a) I materiali biomimetici
b) I materiali siliconici
Matriali biomimetici
La ricerca biomimetica conduce alla produzione di materiali che da un lato abbiano grande
affinità di superficie con i tessuti corneali e con le strutture del film lacrimale e dall‟altro
un‟elevata polarità che consenta un privilegiato legame con l‟acqua. Tali sostanze sono tutte di
origine naturale e normalmente presenti nei tessuti animali.
Le formulazioni di questo tipo che hanno avuto significativi successi nel mondo delle lenti a
contatto sono le seguenti:
ProClear (PC). Facendo tesoro delle ricerche effettuate in cardiochirurgia sull‟utilizzo di un
fosfolipide, la fosforilcolina, nella produzione delle sonde cardiache, onde ridurre gli effetti del
rigetto, si ritenne che una lente in hydrogel addizionata con questa sostanza poteva dare i risultati
voluti. In effetti la fosforilcolina è un componente fondamentale della membrana cellulare del corpo
umano. Essa ha la principale funzione di trattenere (legare) l‟acqua utile alla cellula per la sua
replicazione.
Fu creato un nuovo materiale (Omafilcon A), 60% di idratazione, che per merito della fosforilcolina
in esso contenuta conferisce alla lente:
1. Elevata affinità con l‟acqua con scarsa propensione alla disidratazione.
2. Elevata biocompatibilità con i tessuti oculari.
3. Scarsa affinità alla formazione di depositi.
Benz. Perseguendo gli stessi scopi, altri ricercatori s‟indirizzarono verso le componenti della
struttura del film lacrimale. Furono ripresi gli studi degli anni ‟80 che avevano condotto, come si
ricorderà, alla produzione di un polimero senza HEMA: Crofilcon A. La sostanza utilizzata è il
glicerolo, componente fondamentale delle glicoproteine che sono l‟ossatura dello strato mucoproteico del film lacrimale.
21
Manuale di contattologia
Si ricorderà che la funzionalità e la compattezza dello strato muco-proteico sono condizione
essenziale sia della corretta bagnabilità dell‟epitelio corneale sia della corretta integrazione tra lac e
cornea. I materiali a base di glicerolo s‟integrano in modo molto intimo con questo strato riuscendo
anche a sopperire ad eventuali sue alterazioni.
Il nuovo materiale (Hioxifilcon) si ottiene copolimerizzando l‟HEMA con il Glicerol-metacrilato
(GMA). Esso si distingue dal capostipite (Crofilcon A) proprio per la sostituzione del
Metilmetacrilato (MMA) con l‟idrossietilmetacrilato (HEMA); ciò consente di ottenere la presenza
di 5 gruppi funzionali di legame con l‟acqua (3 alcolici e 2 esterei) contro solo 4 del vecchio
Crofilcon. L‟aumento dell‟idrofilia è consistente: si passa dal 38% al 58% con possibilità di
arrivare anche al 70%. Il bilanciamento idrico presenta valori di disidratazione in vivo vicini allo
0%, la stabilità al variare del PH è migliore di qualsiasi altro concorrente. La resistenza alla
formazione di depositi organici è elevatissima: in 2 settimane d‟uso il GMA/HEMA raccoglie 2,8
microgrammi di proteine, un materiale ionico di pari idratazione (Etafilcon A) 338 microgrammi.
Safe-gel. Questo nuovo materiale è composto da un polimero di sintesi della famiglia degli
idrogel, il Filcon 1b, a cui viene addizionato un biopolimero naturale lo jaluronate gel (acido
ialuronico).
L‟acido ialuronico è un dei componenti fondamentali dei tessuti connettivi dei mammiferi.
Chimicamente è definibile come un glicoaminoglicano con la catena polisaccaridica non ramificata
che si organizza sottoforma di spirale casuale. La presenza nella molecola di un elevato numero di
gruppi carbossilici totalmente ionizzati conferisce un‟elevata polarità e di conseguenza una forte
solubilità in acqua. Grazie a ciò l‟acido ialuronico è in grado di fissare un elevato numero di
molecole di acqua, raggiungendo un elevato grado d‟idratazione. È anche dotato di proprietà
viscoelastiche. È infatti in grado di agire come sostanza cementante e come molecola anti-urto
nonché come efficiente lubrificante, prevenendo il danneggiamento delle cellule del tessuto da
stress fisici. Questo comportamento viscoelastico di tipo non-newtoniano1 lo si ritrova in forma
analoga nello strato mucinico del film lacrimale. Infatti se si portano a cristallizzazione, entrambe
le sostanze, acido ialuronico e lacrima, presentano un‟identica struttura felciforme. Si stabilisce
perciò la caratteristica dell‟acido ialuronico ad essere muco mimetico, con capacità di mantenere ed
anche di ripristinare il volume mucinico del film lacrimale.
Risulta particolarmente interessante l‟aspetto del rilascio progressivo della sostanza
ialuronica al film lacrimale, con il risultato di ricostruzione della componente mucinica, alterata sia
dall‟azione meccanica della lente a contatto, ma anche dalla presenza di una sindrome di occhio
secco. A questa azione di rilascio del gel-ialuronico dalla lente alla cornea concorrono almeno due
fattori:
1. La compressione sulla lente esercitata dalla palpebra superiore durante gli ammiccamenti
2. La variazione di viscosità del gel-ialuronico in presenza della temperatura corneale (c.a 35°)
La compressione palpebrale deforma la lente facendo uscire una parte di gel- ialuronico che,
essendo maggiormente fluidificato per effetto della temperatura, si rende facilmente disponibile ad
essere integrato nella struttura mucinica delle lacrime, ricostruendola in spessore e stabilità.
Ricordando poi, che la buona stabilità/integrità dello strato mucinico è funzione della corretta
bagnabilità dell‟epitelio, si comprende come questo materiale sia in grado di mantenere ad un buon
livello di comfort l‟utilizzo giornaliero delle lenti a contatto anche in presenza di scarsa
quantità/qualità del film lacrimale.
1
Il comportamento non-newtoniano riguarda la capacità di alcune sostanze viscoelastiche di lasciarsi comprimere da
una forza esterna, ma di ritornare alla forma originaria appena la forza di compressione viene eliminata.
22
E. Bottegal (2009)
Naturalmente, se il buon funzionamento delle lenti è legato alla funzione di rilascio del gelialuronico, si comprende che i tempi di ricambio di queste lenti sono legati a quelli di esaurimento
della sostanza ialuronica all‟interno della lente. Infatti le lenti Safe-gel sono apparse nel mercato
nelle versioni 1-day e a sostituzione settimanale. Solo più tardi si è commercializzata una lente
mensile che per mantenere valide tutte le sue caratteristiche per il periodo indicato, necessita, a
scopo di parziale ricarica, dell‟immersione quotidiana (notturna) in una soluzione a base di gelialuronico.
I dati tecnici riassuntivi delle lenti safe-gel comunicati dal costruttore sono i seguenti:
LENTE GIORNALIERA
LENTE SETTIMANALE
Filcon IV Jaluronate gel
Filcon 1B Jaluronate gel
IDRATAZIONE
60%
57%
IND. RIFRAZIONE
1.42
1.42
40 (-3)
32 (-3)
COLORE
Light blue
Light blue
UV
Protezione
Protezione
CURVA BASE
8.60mm
8.60mm
CURVA ESTERNA
Asferica
Asferica
14.10/13.80
14.00mm
0.05mm
0.06mm
Da +7.00 a -12.50
Da +4.00 a -10.00
30 pack
6 pack
MATERIALE
DK/T A 35°
DIAMETRO
SPESSORE CENTR.
POTERI
CONFEZIONE
I Materiali Siliconici.
La possibilità di ottenere la correzione del proprio difetto visivo in modo permanente e non
legato all‟infilare od applicare quotidianamente il mezzo correttivo rappresenta da sempre il sogno
di tutti gli ametropi.
L‟introduzione della chirurgia rifrattiva in un primo tempo ha fatto molto sperare, ma i
risultati dei primi dieci anni di fotoablazioni hanno raffreddato molti entusiasmi e se non altro
hanno messo in chiaro i limiti di una terapia che era stata spacciata come “il grande miracolo” per
tutti gli ametropi.
Nuovo impulso ha quindi ottenuto la ricerca per la realizzazione di lenti a contatto ad
altissimo Dk/t tale da consentire l‟uso permanente.
Durante tutti gli anni 70 il concetto di alto Dk è rimasto legato a quello di alta idrofilia con i
limiti già precedentemente esposti:



Elevata predisposizione all‟accumulo di depositi organici (materiali ionici)
Rapidità di disidratazione e lentezza nell‟idratazione (materiali non ionici)
Limite (pur elevato) del Dk al valore di quello dell‟acqua (90x10-11)
23
Manuale di contattologia
Basandosi sugli studi pubblicati da Fatt nel 1971 riguardo l‟elevata gaspermeabilità della
gomma siliconica, l‟FDA americana approvò l‟utilizzo continuato di lenti a contatto costruite in
puro elastomero di silicone.
L‟assoluta idrofobia del silicone veniva superata rendendo idrofilo un strato di circa 2  di
spessore sulle due superfici delle lenti mediante bombardamento molecolare sotto vuoto.
Studi clinici dimostrarono che l‟applicazione di queste lenti poteva essere effettuata con discreto
successo.
Incredibilmente la grandissima permeabilità ai gas di questo materiale ne ha anche decretato
il suo parziale insuccesso. Infatti se da un lato l‟alto Dk permette un notevole flusso dell‟ossigeno
dalla faccia esterna della lente verso i tessuti corneali sottostanti, parimenti la lente non rappresenta
più una valida barriera contro l‟evaporazione del liquido corneale sotto di essa; ciò determina un
assottigliamento del film lacrimale che aiutato dall‟elevata elasticità della gomma produce, dopo
alcune ore d‟uso, l‟adesione della lente all‟occhio caratterizzata da iperemia acuta, infiltrati corneali
e dolore.
Questi motivi in aggiunta alla non infrequente fragilità dello strato idrofilo di superficie
hanno limitato l‟uso di queste lenti al campo terapeutico.
Si intuì subito che per sfruttare appieno la possibilità di gaspermeabilità del silicone senza subirne
gli indesiderati effetti collaterali, bisognava riuscire a copolimerizzarlo con il tradizionale idrogel
per ottenere un nuovo copolimerico bifasico che associasse le qualità idrofile dell‟idrogel a quelle
idrofobiche del silicone.
Normalmente due materiali che si trovano in diverse fasi hanno diversi indici di rifrazione.
La scoperta chiave fu di creare una regione interfasica fra le due, idrofoba e idrofila, in modo da
rendere continua la rifrattività e quindi assicurare la visione nitida.
Il fatto che siano trascorsi vent‟anni prima di arrivare a questo risultato dimostra che esistono
problemi molto più complessi di quello che si pensi.
Nel marzo del 1999 Bausch & Lomb introduce sul mercato PureVision la prima lente siliconeidrogel.
Il materiale Balafilcon A è una miscela di silicone e un composto idrogenato (NVinilpirrolidone) con un contenuto d‟acqua del 35%, una permeabilità (Dk) di 99x10-11 unità e una
trasmissibilità (Dk/t) pari a 110x10-9 unità.
La matrice in silicone favorisce il naturale trasporto di O2 alla cornea; la matrice in idrogel
regola la dinamica dell‟idratazione, l‟elasticità facilita il trasporto dei fluidi. Il contenuto del 17% di
acqua legata abbassa notevolmente il rischio di disidratazione assicurando un confort e un
movimento della lente eccellenti.
Alla fine del 1999 CibaVision presenta sul mercato Night&Day con materiale Lotrafilcon A,
un polimero bifasico in cui la fase idrofoba è rappresentata dal fluorosilossano e conferisce
la metà della permeabilità totale.
24
E. Bottegal (2009)
La fase idrofila è fornita dal dimetilacrilamide
con un‟idrofilia del 24%. Il Dk è pari a 140
unità e il Dk/t a 175. Questi nuovi prodotti
hanno abbastanza rapidamente riscosso un
evidente successo nella comunità degli
applicatori che hanno trovato utile il loro
impiego, non solo per il porto prolungato, ma
anche per quello giornaliero. Specificatamente
nei casi in cui venga richiesto un numero d‟ore
d‟uso particolarmente elevato. Difatti anche
dopo diverse ore di inserimento le lenti
silicone/hydrogel mantengono a buon livello la
loro idratazione e non presentano forme di
imbrattamento.
La resistenza ai depositi è in vero molto
accentuata.
Nonostante il miglioramento della funzione
metabolica ottenuto con questi mater in molti
portatori si è manifestata una certa intolleranza
meccanica a questo tipo di lenti. In effetti la
preponderanza della quota siliconica conferisce
alla lente finita una consistenza gommosa che
per chi abituato all‟uso dell‟idrogel tradizionale,
sottile e vellutato, rappresenta una non
trascurabile sensazione di corpo estraneo.
Inoltre la bassa idratazione, pur mantenendosi
abbastanza costante durante le ore di porto, non
consente una costante e sufficiente dinamica di
mataboliti e cataboliti.
Per ovviare a questi inconvenienti, in momenti
successivi sono state introdotte sul mercato lenti
In cui la componente siliconica è ridotta rispetto alle prime formulazioni, a vantaggio della quota
idrogel. Si ripristina, in questa maniera, una buona tollerabilità, anche se viene a scadere il valore di
Dk/t. Molti di questi prodotti (Optix O2, Advance) non sono approvati per il porto continuato.
25
Manuale di contattologia
3.
L’APPLICAZIONE
L’ESAME PRELIMINARE
Premessa.
La completa e corretta conduzione dell‟esame preliminare è condizione fondamentale per la
più efficace scelta delle lenti con cui iniziare il cammino applicativo.
Una scelta iniziale che dovesse, durante l‟adattamento, rivelarsi inadatta alle condizioni oculari del
cliente, oltre a rivelarsi perdita di tempo e aumento dei costi, trasmette un‟immagine di insicurezza
professionale dell‟applicatore.
1. PROCEDURA CLINICA.
L‟esame preliminare consiste in:
 Anamnesi
 Esame refrattivo
 L‟esame del Segmento esterno
 Test Lacrimali
 Misure pre-applicative
Anamnesi:
Oltre alla storia dell‟ametropia è importante conoscere le motivazioni del cliente, ciò che si
aspetta dalle lenti a contatto, il suo stile di vita, gli hobbies, eventuali esperienze passate di lenti a
contatto. Importante è conoscere lo stato di salute generale, l‟eventuale assunzione abituale di
farmaci, la presenza di allergie.
Esame rifrattivo.
È da evitare di considerare questa parte dei preliminari poco importante, pensando che alla
fine il potere delle lenti risulterà dalla sovrarefrazione di quelle usate per prova. L‟esame refrattivo
dovrà essere accurato, completo e condotto con le tecniche usuali a quelle della prescrizione di lenti
per occhiali. Solo così otterremo le migliori informazioni su:




Acuità visiva
Rapporto tra astigmatismo corneale e refrattivo
Convergenza ed accomodazione
Stato eteroforico
La conoscenza della massima acuità visiva ci fornisce il limite minimo a cui dovremmo giungere
con l‟uso di lac; il rapporto tra gli astigmatismi ci consente di prevedere scelte opportune nella
scelta della lente di partenza; l‟impegno di accomodazione e convergenza e l‟eventuale presenza di
stati astenopici ci aiuta a comprendere le reazioni iniziali del paziente dopo i primi giorni d‟uso
delle lenti. È da tener conto che nel miope corretto con lac viene a mancare l‟effetto prismatico base
26
E. Bottegal (2009)
interna indotto dalle lenti da occhiali, quindi corretto con lac dovrà convergere e accomodare di più;
nell‟ipermetrope avviene l‟inverso.
L’esame del segmento esterno.
Si effettua mediante l‟uso del Biomicroscopio (lampada a fessura). Lo strumento è composto
da una lampada a basso voltaggio che mediante l‟interposizione di un condensatore ottico concentra
l‟energia raggiante in forma di fessura di cui è possibile variare l‟altezza e la larghezza. La fessura
può essere focalizzata su diversi piani corrispondenti alla zona da osservare. Essa viene osservata
dall‟esaminatore tramite un microscopio binoculare il cui ingrandimento varia da 10x a 40x.
Usando bassi ingrandimenti si ottiene la massima profondità di campo osservato, cioè dire che
appaiono a fuoco anche tessuti posti su piani diversi. Mentre più si aumenta l‟ingrandimento più la
precisione della messa a fuoco dev‟essere accurata. In questo caso apparirà nitido solo il piano di
fuoco, tutti gli altri saranno sfocati.
Per ottenere un‟adeguata diagnosi dei tessuti osservati è necessario conoscere ed applicare diverse
tecniche di illuminazione:
 Diretta. – Si osserva con il microscopio ciò che la fessura sta illuminando. Entrambe le
componenti sono focalizzate sullo stesso punto
 Indiretta. – Il fascio di radiazioni è diretto verso la pupilla e il microscopio è focalizzato
sulla cornea. In questo modo quest‟ultima sarà invisibile se assente da alterazioni di
trasparenza. Mentre in caso di alterazioni esse diffonderanno la luce, rendendosi
perfettamente visibili
 Retro illuminazione. – Il microscopio si mette a fuoco sulla porzione di cornea da osservare,
mentre l‟illuminazione arriva per riflessione e diffusione dall‟iride retrostante
 Diffusione sclerale. – Si focalizza la luce (meglio in forma circolare) sul limbus, mentre il
microscopio è a fuoco sul centro della cornea. Il fascio di luce si diffonde, per riflessione
interna, su tutto il corpo della cornea, evidenziando ogni anomalia che altera la trasparenza
su tutta la sua estensione.
 Riflessione speculare. – Il microscopio viene posto lungo il cammino dei raggi riflessi dal
punto di focalizzazione.
La Biomicoscropia dell‟occhio esterno riguarda:
27
Manuale di contattologia
L‟esame della congiuntiva nelle sue parti anatomiche (palpebrale, bulbare, del fornice)(710X), sono da rilevare la perdita di trasparenza, l‟iperemia, l‟ipertrofia papillare. Per l‟esame
della congiuntiva palpebrale inferiore basta tirare leggermente la palpebra inferiore verso il
basso. Per quella superiore occorre rovesciare la palpebra. Il tipo più adatto di illuminazione
è quella diretta e diffusa (fessura larga). L‟ingrandimento è basso (max 10x). La congiuntiva
bulbare va esaminata con la stessa illuminazione e ingrandimento di quella palpebrale. Va
distinta la vascolarizzzazione della congiuntiva da quella della sclera sottostante mediante la
pressione dei polpastrelli che consente il scivolamento della congiuntiva sul tessuto
sottostante
 L‟esame della cornea. È da rilevare la lucentezza dell‟epitelio, la presenza di edema
(punteggiatura), di abrasioni o disepitelizzazioni, neovascolarizzazioni. Si utilizza un
illuminazione diretta con fessura di spessore max di 2 mm. Il fascio luminoso è inclinato da
30° a 45° rispetto al microscopio, in modo da ottenere una sezione prismatica della porzione
di cornea osservata. Si formano, in questo modo, due linee di profilo: quella esterna
coincidente con il primo strato dell‟epitelio, quella interna che coincide con la limitante
interna. Tra le due linee appare uno spazio vuoto quando non sono presenti alterazioni
stromali.
 L‟esame del limbus: da rilevare eventuali variazioni della normalità vascolare, la formazione
di neoformazioni paralimbali quali pterigio e pinguecola.
Per agevolmente comprendere se il quadro che si presenta all‟esame biomicroscopico sia normale
ovvero affetto da situazioni patologiche è opportuno poterlo confrontare con immagini predefinite a
disposizione dell‟esaminatore. A questo riguardo si è diffusa, nella pratica recente, l‟utilizzo della
scala di Efron (Efron grading scales), che riporta una serie di immagini a grado crescente di stato
patologico per ogni tessuto oggetto di valutazione. Il risultato di questo confronto dovrà essere
annotato nella scheda relativa al cliente esaminato, in modo che dopo aver applicato lenti a contatto
sarà possibile stabilire se lo stato iniziale si sia mantenuto o modificato.

Test Lacrimali.
Come è noto, il successo di un‟applicazione di lenti a contatto dipende dall‟esperienza e capacità
dell‟applicatore, ma è sicuramente molto più vero che una buona funzionalità lacrimale consente
anche ai non esperti di far una buona figura, mentre un occhio tendenzialmente secco è una grossa
gatta da pelare anche per i migliori professionisti.
Va da sé quindi che la preventiva conoscenza della funzionalità lacrimale degli occhi sui quali ci
apprestiamo a lavorare rappresenta forse il dato più importante di tutto l‟esame preliminare.
L‟importanza riconosciuta all‟attendibilità e alla ripetibilità di questa prova ha indotto molti
ricercatori a raffinare i due test storici della funzionalità lacrimale, Shirmer e B.U.T., in varianti
meno invasive al fine di ottenere risultati sempre più vicini alla realtà.
Riteniamo comunque sia eccessivo cancellare dalle nostre esperienze quotidiane Shirmer e B.U.T.
tradizionali, salvo che non si abbiano a disposizione strumentazioni adeguate per una seria
valutazione dei risultati dei test non invasivi (tearscope, oculare millimetrato, cheratometro a mire
interne ecc.).
28
E. Bottegal (2009)
Utilizzando i due test classici teniamo presente che:
 Lo Schirmer test, per il quale la pratica clinica prevede un tempo di 5 min. in ambo gli
occhi, può essere adeguatamente indicativo anche per un tempo di 1 minuto; in questo caso
la normalità è da considerarsi tra i 3 e i 10 mm di cartina bagnata.
 Un B.U.T. di poco superiore a 10 sec. cui consente di pensare ancora ad un buon successo
applicativo se porremo un po‟ di attenzione alla scelta dei materiali.
 Solo la presenza di un occhio secco conclamato rappresenta una controindicazione all‟uso di
lac.
29
Manuale di contattologia
B.U.T.
Rotture del film lacrimale
messe in evidenza dopo aver
instillato fluorescina sodica
Shirmer Test.
Si noti la porzione di carta
bibula bagnata dalle lacrime,
indice di buona lacrimazione.
La valutazione del volume delle lacrime rilevata mediante lo Shirmer test è sicuramente influenzata
dall‟impatto meccanico della carta bibula inserita nel fornice inferiore. La quantità lacrimale
misurata con questa metodica risulta essere la somma tra la porzione basale (che è il dato che
interessa al contattologo) e la porzione riflessa, indotta dallo stimolo meccanico. Utilizzare, al posto
della carta bibula, un sottile filo di cotone, meglio se imbevuto di fluoresceina, rappresenta un buon
tentativo di ridurre la componente riflessa di lacrimazione.
Un test semplice che ha dimostrato un elevato grado di ripetibilità e una bassissima invasività, tanto
da potersi considerare sostitutivo allo Shirmer è la Misura dell’altezza del menisco lacrimale
marginale inferiore.
Il 90% del volume lacrimale presente sul segmento esterno si trova concentrato nei menischi
lacrimali adiacenti ai due margini palpebrali (superiore e inferiore). I menischi si possono osservare
al biomicroscopio riducendo l‟ampiezza della fessura luminosa e ponendola in posizione
orizzontale. Il menisco inferiore risulta essere di più agevole osservazione.
Ciò che è necessario valutare è:
 L‟altezza del menisco
 La regolarità del suo margine
L‟altezza approssimata di un menisco normale
si aggira tra 0,2 e 0,4 mm. Un valore inferiore è
indice di un occhio tendenzialmente secco
La regolarità del margine è indice di una buona
capacità di distribuzione della lacrima sulla
superficie corneale
Misure pre-applicative.
Rappresentano la fase finale dell‟esame preliminare e vengono effettuate quando non sussistano
controindicazioni all‟applicazione di lac e hanno lo scopo di fornire i parametri basilari delle lenti di
prova. Consistono in:
 Misura della curvatura corneale
30
E. Bottegal (2009)



Diametro dell‟iride visibile
Diametro pupillare
Misura dell‟apertura palpebrale
La misura della curvatura corneale può essere effettuata con strumenti diversi. Quello, ancora oggi,
più tradizionalmente utilizzato è l‟Oftalmometro (Cheratometro). Lo strumento consente di
misurare i raggi di curvatura di una piccola area di cornea (max. 4mm2). Il funzionamento si basa
sulla legge della riflessione sugli specchi sferici, ove la cornea è assimilata ad uno specchio
convesso.
A e B: mire luminose dell’oftalmometro; h: distanza tra le due mire
A’e B’: immagine virtuale delle due mire; h’: distanza tra le due immagini
X: distanza tra il piano delle mire e la loro immagine
R: raggio di curvatura della cornea (specchio);
Dalla formula precedente osserviamo che se due delle grandezze presenti le riteniamo costanti (x e
h‟) possiamo calcolare il raggio di curvatura (R) solo in funzione della terza grandezza mantenuta
variabile (h). Quindi, operativamente, usando lo strumento l‟operatore farà variare la distanza “h”
tra le due mire fino ad ottenere sempre lo stesso valore di (h‟) che deve essere costante. La quantità
di cui sarà necessario variare „h”, per ottenere questo risultato, dipenderà esclusivamente dal raggio
di curvatura della cornea (specchio). Completata l‟operazione di posizionamento delle mire, sarà
possibile leggere su di un‟apposita scala dello strumento il raggio di curvatura (R) risultante.
Oftalmometro secondo Javal.
Parti essenziali:
2: piano scorrevole di messa a fuoco delle mire
3: manopole per lo scorrimento icrometrico del piano di
messa a fuoco.
5: regolatore verticale delle mire
11: manopola regolatrice della distanza (h) tra le mire
10: oculare di osservazione
8: scala sessagesimale dell‟asse del meridiano misurato
9: scala dei valori del raggio di curvatura corneale (R)
31
Manuale di contattologia
Oftalmometro secondo Javal visto di fronte.
Sono visibili le due mire luminose di forma e
colore diverso montate su una cremagliera
semicircolare ove vengono fatte scorrere operando
sulla manopola 11
Immagini delle mire percepite dall‟esaminatore
attraverso l‟oculare (10) quando l‟operazione di
misura è stata completata correttamente.
Le due mire centrali devono essere rese tra di loro
tangenti ed avere i rispettivi assi di simmetria
perfettamente contigui.
La manopola 11, oltre a far scorrere le due mire per poterle posizionare tra loro tangenti, consente
anche di ruotare tutto il sistema nelle posizioni di tutti gli assi, allo scopo di misurare la differenza
di curvatura tra i vari meridiani nei casi di astigmatismo.
Quando la cornea in esame dovesse essere affetta da astigmatismo, essa dovrà essere identificata
non da uno ma da due valori di curvatura, corrispondenti ai due meridiani principali.
L‟oftalmometro consente, oltre a valorizzare i due meridiani, di identificare la posizione (l‟asse) dei
due meridiani principali.
A
B
C
A: Perdita della tangenza delle mire, ma non della contiguità degli assi. Condizione che si verifica
quando, dopo aver correttamente misurato ilo meridiano orizzontale (180°) si ruota il sistema per
misurare quello ortogonale (90°). Essendo presente un astigmatismo corneale secondo regola di
circa 2dt. si verifica la sovrapposizione delle mire. Per misurare correttamente il valore del raggio di
curvatura del meridiano verticale bisognerà ripristinare la tangenza.
B: C‟e tangenza, ma non contiguità degli assi di simmetria delle mire. Significa che lo strumento
non è posizionato lungo uno dei due meridiani principali della cornea astigmatica. In questo caso
bisognerà ruotare il sistema (Fig. C) fino ad ottenere l‟allineamento degli assi, senza perdere la
tangenza.
32
E. Bottegal (2009)
La misura del diametro dell‟iride visibile e del diametro pupillare.
Misura del diametro dell’Iride Visibile
Misura del diametro pupillare
L‟operazione si effettua con l‟uso di un semplice righello millimetrato. Esistono in commercio
anche dei righelli che mimano la circolarità delle parti da misurare.
Misura dell‟apertura palpebrale.
(vedi pag. 12)
Conclusione.
A questo punto siamo in possesso di tutti i dati necessari per proporre al nostro cliente una o
più scelte applicative adatte alla sua situazione oculare, a questo proposito è opportuno non
trascurare, se possibile, anche le possibili soluzioni economiche maggiormente vantaggiose per il
cliente, che apprezzerà ovviamente le nostre indicazioni, riconoscendo in noi un professionista serio
ed affidabile.
33
Manuale di contattologia
4.
L’APPLICAZIONE
LE LENTI RIGIDE
ASSOSIMMETRICHE
Premessa
La lente a contatto rigida è una lente il cui raggio di curvatura delle superfici non cambia
quando viene posta sull‟occhio. Pertanto applicare una lente rigida significa generare delle
condizioni modificative dello stato rifrattivo dell‟occhio, non solo legate alla costruzione ottica
delle superfici attive della lac, ma dall‟interazione che queste superfici attive attuano con la
curvatura della cornea sottostante.
1. Eccentricità corneale
Dall‟anatomia conosciamo che la cornea non ha una curvatura unica, ma che partendo dall‟apice
e andando verso il limbus, dopo un breve tratto di regolarità, la curva subisce prima un
appiattimento e quindi un nuovo incurvamento, presentando comunque raggi di curvatura sempre
più lunghi di quello para apicale.
Utilizzando come esempio una cornea che presenti un raggio apicale medio di 7,85mm possiamo
costruire la seguente tabella di appiattimento di tale raggio man mano che ci si allontana dal centro:
Distanza dall‟apice in
Varianza del raggio
mm
in mm
0,0
7,85
3,5
7,85
5,4
7,95
6,6
8,35
7,9
9,15
9,0
10,60
Supponiamo ora di applicare su questa cornea delle lenti a contatto rigide sferiche monocurve con
raggi di curvatura posteriori (BOZR) diversi e valutiamo quali saranno le implicazioni realtive al
metabolismo corneale, alla sensibilità corneale e all‟aspetto correttivo.
34
E. Bottegal (2009)
BOZR < 7,85
Nella zona centrale, fra lente e cornea, c‟è uno spazio riempito
dalle lacrime. In periferia, ove la cornea si appiattisce, la lente si
avvicina alla cornea fino ad entrare in contatto con essa.
Metabolismo: la periferia della lente costituisce un ostacolo di
blocco al ricambio lacrimale
Sensibilità: la lente si muove durante l‟ammiccamento e con la
periferia va a sfregare sull‟epitelio corneale
Aspetto correttivo: al centro si crea un menisco lacrimale
convergente che andrà ad aggiungere un eccesso di positivo alla
correzione in gioco.
BOZR = 7,85
Nella zona centrale la lente e la cornea sono allineate. In periferia
la cornea si appiattisce quindi la lente tende ad avvicinarsi alla
cornea, creando una leggere indentazione.
Metabolismo: lieve blocco della circolazione lacrimale.
Sensibilità: si genera un lieve sfregamento periferico durante
l‟ammiccamento.
Aspetto correttivo: l‟allineamento centrale genera un menisco
lacrimale neutro e quindi nessuna variazione rifrattiva.
BOZR > 7,85
Nella zona centrale la lente si avvicina all‟apice corneale. In
periferia la lente si allontana dal profilo corneale e crea un
serbatoio di lacrime.
Metabolismo: buono
Sensibilità: si genera un contatto apicale della lente tanto marcato
quanto maggiore è lo scostamento di Ro rispetto al raggio
corneale. In periferia la palpebra incontra uno scalino pìù evidente.
Aspetto correttivo: si genera un menisco lacrimale negativo che
andrà a sommarsi algebricamente alla correzione della lente.
La conclusione è che nessuna lente rigida monocurva rispetta totalmente le condizioni
richieste dall‟eccentricità corneale. Pertanto verso la periferia dovrà presentare delle variazioni di
curva atte a disimpegnarsi dalla cornea.
Esistono almeno due modelli costruttivi che tentano di risolvere il problema.
35
Manuale di contattologia
2. Lente con flange
Consiste in una calotta sferica centrale di sufficiente diametro
per consentire una visione senza disturbi in su tutta
l‟escursione del diametro pupillare e da uno o più anelli
concentrici di calotte sferiche che la circondano, aventi raggi
di curvatura man mano crescenti.
La figura a lato riproduce in sezione tale costruzione. La
calotta sferica centrale viene costruita con un raggio
posteriore il più possibile corneo conforme a quello apicale
della cornea, o al massimo lievemente più lungo. Tale raggio
viene mantenuto fino al punto “A”, dove un ulteriore aumento
del diametro, senza modificare la curva, avrebbe procurato un
eccessivo avvicinamento della lente alla cornea. Quindi il
restante diametro tra A e C viene coperto da due zone di
disimpegno a curva sferica crescente.
3. Lenti asferiche.
È possibile ottenere lo stesso risultato ricorrendo applicando
alla curva interna, non più una forma sferica, ma una forma
asferica (parabola, ellisse ecc.). ciò consente di eliminare i
raccordi necessari per mettere insieme più curve sferiche,
mentre il rispetto della forma della cornea si ottiene
conferendo alla curva asferica una varianza di raggio il più
vicino possibile all‟eccentricità corneale.
La figura a lato dimostra come l‟appiattimento della curva sia
continuo dal centro alla periferia.
4. Nomenclatura
A seconda della soluzione adottata si rende necessario stilare una nomenclatura, utile sia ad
ordinare la lente al costruttore, sia a registrare il modello costruttivo sulla scheda del cliente, al fine
di poter fornire nel tempo ricambi sempre uguali.
Lente con flange
Lente asferica
TD = Diametro Totale della lente
TD = Diametro Totale della lente
BOZD = Diametro della zona ottica
e = Eccentricità della curva interna
interna
BOZD = Diametro della zona ottica
BOZR = Raggio della zona ottica
interna
BPR1 = Raggio della 1° flangia
φ = Potere della lente in diottrie
BPR2 = Raggio della 2° flangia
φ = Potere della lente in diottrie
36
E. Bottegal (2009)
5. Tecniche di applicazione.
Applicare una lente a contatto significa creare uno stretto rapporto tra il raggio apicale della cornea
(K) e quello della superficie posteriore della lente (BOZR). La ricerca della miglior soluzione
applicativa in termini non solo di acuità visiva, ma soprattutto di rispetto della fisiologia corneale ha
generato diverse filosofie applicative, tra loro molto diverse.
Applicazione con spazio (TLT) apicale (infrapalpebrale)
Questa tecnica, sviluppata da Bayshore, non può non essere definita quanto meno originale. Ha
trovato, nel mondo degli applicatori, una discreta diffusione senza mai però approdare ad un
consistente successo.
Le caratteristiche applicative salienti di questa tecnica sono:
 TD. Sufficientemente piccolo da permettere che la lente non venga coperta dalle palpebre
 BOZR. Sempre significativamente più corto del K più piatto della cornea
 BPR1. Allineato al K corneale piatto. Ampiezza elevata per consentire al stabilizzazione
della lente
 BOZD. 0,20 mm maggiore del diametro pupillare in media luminanza
Tecnica Bayshore
L‟applicazione prevede una lente con un movimento verticale praticamente assente, ove il ricambio
del liquido lacrimale sotto la lente è garantito da un effetto a pompa generato dalla pressione della
palpebra superiore durante l‟ammiccamento che genera un movimento avanti-dietro della lente. La
pressione, alla chiusura, produce l‟espulsione del liquido lacrimale da sotto lente, il rilascio della
pressione, alla riapertura della palpebra, genera il risucchio di lacrime fresche ossigenate.
Applicazione con allineamento apicale (Contour).
Rappresenta la tecnica più frequentemente usata nell‟applicazione di lenti dure. Prende le mosse
dalla volontà di creare il miglior parallelismo possibile tra la lente e la zona ottica della cornea,
mentre nella periferia la lente si allontana dalla cornea, mediante l‟allungamento del BOZR, con il
fine di:
a. Evitare l‟indentazione con il tessuto sottostante
b. Favorire la formazione di un serbatoio di lacrime lungo tutta la periferia della lente
c. Rispettare al massimo il decorso del profilo corneale nel suo procedere concoidale
La tecnica contour moderna prevede l‟utilizzo di lenti a più flangie, con maggior diffusione nella
versione tricurva (Curva base+2 flangie di disimpegno). Le lenti così applicate hanno necessità di
muoversi verticalmente ad ogni ammiccamento almeno di 2-3 mm in modo di favorire il ricambio
delle lacrime sotto di esse.
Il set di prova
In funzione delle caratteristiche dell‟occhio in esame rilevate durante l‟esame preliminare (R 1 – R2,
Ф corneale, apertura palpebrale, tono palpebrale, ametropia), si seleziona una lente a contatto da un
set di prova.
Il set di prova a disposizione del contattologo è opportuno che contenga, riguardo alla geometria,
due sequenze di lenti: una con geometria sferica associata ad due diametri: 9,10 e 9.40 mm, e
37
Manuale di contattologia
un‟altra con geometria asferica associata a 9,60 e 9,90 mm di diametro (ovviamente queste misure
sono indicative e non assolute).
Riguardo ai raggi di curvatura, la sequenza sferica è bene si estenda da 7,10 mm a 8,40 mm, quella
asferica da 7,60 mm a 8,60 mm. È sufficiente lo step di 0,10 mm.
La scelta del diametro
Il diametro della lente viene scelto in base a diverse considerazioni:
a) le dimensioni della cornea
b) i raggi di curvatura della cornea
c) le caratteristiche palpebrali
d) il valore dell‟ametropia
Le dimensioni della cornea hanno ovviamente priorità nella scelta in quanto un diametro così
scelto consente un giusto allineamento della zona ottica con la pupilla dell‟occhio in ogni
condizione di luce. È dimostrato che per ottenere tale buon allineamento la lac applicata deve avere
un diametro di 2 mm inferiore a quello corneale. Quindi:
Diametro orizzontale della
cornea
11
11,5
12
>12
Diametro totale della lente
9
9,30
9,60
9,90/10,20
I raggi di curvatura corneali giocano anch‟essi un ruolo importante nella scelta del TD. Si noti
infatti che a parità di altre caratteristiche, in presenza di due cornee con K medi molto diversi (ad es.
7,20 e 8,30), se applichiamo una lente di ugual diametro, otteniamo due effetti di centraggio
totalmente diversi. Infatti come descritto nella figura sottostante
distribuzione del baricentro della lac in
funzione del K medio corneale
Si capisce che, a
parità di diametro, la lente
applicata su una cornea stretta mantiene una stabilità di gran lunga maggiore di quella applicata su
una cornea piatta.
Le caratteristiche palpebrali influenzano la scelta del diametro in ragione di diversi fattori:
La dimensione dell‟apertura palpebrale.
Il diametro varia nello stesso senso del variare della dimensione della fessura:
38
E. Bottegal (2009)
Diametro corneale
11,00 – 11,50
12,00
12,50 – 13,00
Apertura Palpebrale
Media
Piccola
Media
Piccola
Media
Piccola
Diametro della lente
9,00 – 9,50
8,80 – 9,20
9,60 -9,80
9,30- 9,50
9,90 – 10,20
9,60 – 9,90
Anche il tono palpebrale influenza il centraggio della lente sulla cornea e quindi la scelta del
diametro. Rispetto a quanto indicato nella tabella precedente, un tono elevato richiede un aumento
di diametro; un tono lasso una diminuzione.
Il valore dell’ametropia entra in gioco in relazione allo spessore al bordo della lente. È infatti
assodato che le palpebre non sono in grado di sopportare, durante l‟ammiccamento, spessori del
bordo della lente superiori a 0,15 mm. Pertanto in presenza di un elevato grado di ametropia, specie
se miopica, le lenti a contatto devono essere costruite lenticolari. Questa costruzione determina un
evidente riduzione della zona ottica. Ne consegue che, per evitare fastidiosi disturbi visivi per
effetto anche di lievi decentramenti, in presenza di ametropie elevate sarà necessario utilizzare
diametri più grandi rispetto alla media. Il problema ovviamente non si pone con le medie e basse
ametropie.
La scelta del raggio base di curvatura (BOZR).
Non è possibile fornire una regola di selezione. Le variabili in gioco sono troppe; anche il
mutare della geometria interna può produrre differenze di scelta marcate. Si possono tuttavia
tracciare dei caratteri generali, che ogni applicatore potrà utilizzare come prova iniziale, da cui poi
trarre le quasi certe modifiche che si dovranno attuare.
 Con lenti di diametro medio, compreso tra 9.20 e 9.40, il raggio di curvatura della prima
lente da provare oscilla tra il K e K+0,05 (K= meridiano corneale più piatto)
 Con lenti di diametro superiore al 9,60 Ro= K+0,10
 Con lenti di piccolo diametro (minore di 9.00) Ro= (K+K1) / 2
5.3 Applicazione con appoggio apicale (aggancio palpebrale)
Secondo questa tecnica, la miglior lente è quella
che simula il movimento del film lacrimale.
Dato che esso dipende dall‟azione della
palpebra superiore, al punto che il film
lacrimale può essere considerarato attaccato al
tarso palpebrale. Quindi per soddisfare la
considerazione iniziale, la lente ideale dovrà
essere attaccata alla palpebra superiore, quasi a
formarne un ideale prolungamento.
In tali condizioni la lente risulta immobile quando l‟occhio rimane aperto, e si muoverà solo
durante l‟ammiccamento.
Come si vede la lente appare sempre decentrata verso l‟alto. S‟impone pertanto che il suo BOZR sia
allineato, non all‟apice , ma alla zona negativa della cornea. Ciò impone BOZR allungati di circa
39
Manuale di contattologia
0,2 – 0,4 mm rispetto al K della cornea. L‟aspetto applicativo osservato è quello di una lente
decisamente piatta con elevato TLT periferico.
6. I controlli dell’adattamento
Si noterà, soprattutto se si tratta di prime applicazioni, che l‟inserimento di lenti rigide
provoca un‟evidente reazione di rigetto, più o meno marcata a seconda della sensibilità corneale in
gioco. L‟aspetto più eclatante di tale reazione è l‟abbondante epifora, l‟incapacità di muovere gli
occhi in tutte le normali posizioni di sguardo ecc.
Prima di procedere alle metodiche di controllo è opportuno attendere tutto il tempo necessario,
affinché tale reazione sia rientrata in valori minimi e soprattutto che la lacrimazione sia
sensibilmente diminuita. I tempi di attesa sono diversi, come si è detto, per le diversità di sensibilità.
È coadiuvante, in questi casi, consigliare il cliente di mantenere lo sguardo verso il basso, con il
capo appoggiato al poggiatesta della poltrona. Tale posizione permette la stabilizzazione delle lenti,
in modo che vengano percepite meno.
Dinamica e centratura
La lente non deve risultare bloccata sulla cornea, ma bensì effettuare, ad ogni
ammiccamento, un leggero movimento alto-basso compreso tra 2 e 1 mm. Una volta completato
l‟ammiccamento la lente si deve posizionare centrata rispetto alla pupilla e non continuare a
scivolare in basso. Il movimento di ricupero dall‟alto deve compiersi lungo il meridiano verticale,
movimenti di discesa ad arco sono indice di lenti troppo piccole o troppo piatte di BOZR.
Quindi gli elementi che influenzano la dinamica e il buon centraggio della lente sono il raggio base
(BOZR) e il diametro totale:
 Aumentando il raggio base e/o diminuendo il diametro si aumenta il movimento
 Diminuendo il raggio e/o aumentando il diametro si riduce il movimento
Fluoroscopia
È la metodica più efficace per valutare se l‟interazione tra lente e cornea è rispettosa del
metabolismo di questa ultima.
Mediante l‟instillazione di fluoresceina e l‟irraggiamento con luce cobalto si possono agevolmente
distinguere le zone ove la lente si avvicina maggiormente alla cornea (aree scure) da quelle che di
più si discostano da essa (aree verdi).
La corretta interpretazione della fluoroscopia è legata all‟esperienza dell‟applicatore ed è materia
che non può essere riassunta in testo scritto. Per il neofita è bene si faccia riferimento a delle
riproduzioni standard delle immagine fluoroscopiche più classiche, verso le quali si imparerà a far
confluire quelle, molto più cangianti, dell‟osservazione diretta.
40
E. Bottegal (2009)
IMMAGINI FLUOROSCOPICHE DI LENTI CORNEALI SFERICHE A FLANGE
Lac con giusto adattamento
su cornea sferica
Lac troppo curva su cornea
sferica
Giusto adattamento su
cornea molto torica (>3dt)
Lac troppo curva si cornea
molto astigmatica
Giusto
cornea
torica
Lac troppo curva su cornea
lievemente torica
Lac troppo curva
decentrata in alto
Lac piatta su cornea torica
adattamento su
moderatamente
Lac piatta su cornea sferica
Sovrarefrazione
L‟ultimo dei controlli di adattamento consiste nella determinazione del potere diottrico correttivo da
attribuire alle lac. Tale procedura è bene che sia lasciata alla fine, perché la presenza di un‟eccessiva
lacrimazione riflessa potrebbe falsare, anche significativamente, il risultato. Alcuni applicatori
preferiscono rimandare ad una seconda seduta di prova l‟esecuzione di questa metodica, altri ancora
tendono a consegnare al cliente, per la prima settimana d‟uso, delle lenti di prova, di gradazione
approssimativa, e determinare la gradazione definitiva quando ormai il processo di adattamento è ad
un buono stadio. Personalmente ho riscontrato che un buon adattamento all‟uso di lenti a contatto
rigide passa attraverso una forte motivazione psicologica del portatore, che, proprio durante la
prima settimana d‟uso si viene messa a dura prova. Se durante questo primo periodo, oltre alle
difficoltà di adattamento, vengono apprezzati anche dei vantaggi, come può essere un visus
migliore di quello abituale, le spinte psicologiche negative vengono di molto attenuate. Pertanto
nella pratica quotidiana, preferisco eseguire la sovrarefrazione al termine della prima seduta di
prova e consegnare sin dall‟inizio delle lenti con potere diottrico esatto.
La sovrarefrazione è condotta secondo le metodiche a ciascuno usuali. Ci sono, comunque, alcuni
elementi procedurali che devono essere conosciuti per raggiungere il risultato ottimale.
41
Manuale di contattologia
a) La compensazione della distanza apice corneale-lente.
b) La compensazione dell‟ astigmatismo
c) Le variazioni di potere introdotte da modifiche dei parametri della lente
La compensazione della distanza apice corneale-lente si calcola con la seguente:
La compensazione è significativa a partire da valori diottrici oltre il 3.75.
La compensazione dell‟astigmatismo corneale, nei casi di valori medio/bassi, si può affermare che
avvenga in maniera pressoché totale (8/9) con l‟applicazione di lenti rigide sferiche. In effetti sotto
la lente a contatto si forma un menisco lacrimale che assume maggior spessore nelle aree ove la
lente maggiormente si discosta dalla curva corneale, e minor spessore ove la lente segue più
intimamente la stessa curva. Si viene quindi a generare un menisco lacrimale torico di valore
uguale, ma segno opposto a quello corneale. Il residuo di 1/9, non corretto, dipende dalla differenza
tra l‟indice di rifrazione della lente e quello delle lacrime. Tale valore residuo rimane trascurabile
(meno di 0,25 dt) in presenza di astigmatismi fino a 2 dt., mentre diventa apprezzabile su
astigmatismi oltre le 2,50 dt. Permane tuttavia presente il problema dell‟astigmatismo interno che,
pur non raggiungendo valori elevati, una volta eliminata l‟azione di quello corneale che lo controbilanciava, può deprimere la performance visiva. Queste situazioni troveranno una più facile
soluzione con l‟applicazione di lac rigide toriche.
Alle volte, in ragione della limitatezza dei set di prova, l‟applicatore si può trovare nella condizione
di fare tutte le valutazioni del caso avendo applicato delle lenti che ritiene di dover modificare in
uno o più dei suoi parametri al momento dell‟ordinazione. In questo caso diventa necessario saper
modificare il potere totale della lente trovato in sovrarefrazione, in ragione delle modifiche ai
parametri che si vuol operare.
Più praticamente, ogni qualvolta, in sede di ordinazione, si opera un appiattimento della curva base
della lente, rispetto a quella utilizzata per la prova, i poteri negativi vanno diminuiti e quelli positivi
aumentati. Viceversa quando si opera un aumento della curva base.
Ad esempio: nella prova ho utilizzato un Ro 7,85 e su di esso ho ottenuto una sovrarefrazione di
sf.-3.00. Se ritengo che possa funzionare meglio, senza provarlo, un Ro da 7,90 ordinerò una lente
con potere sf.-2.75; se invece la scelta finale dovesse essere un raggio base 7,80, il potere da
accoppiare sarà sf.-3,25.
Analogamente si può presentare la necessità di utilizzare un diametro totale non presente nel set di
prova.
Ad esempio: si valuta che, in presenza di una cornea particolarmente grande, sia necessario usare un
diametro totale 9,80mm. Il set di prova a disposizione contiene lenti con diametro massimo di
9,50mm. Alla fine della prova, la miglior lente risulta essere:
Ro 8.00, potere sf.-2.00, diam.tot. 9.50mm
42
E. Bottegal (2009)
Se si vuol ordinare una lente che corrisponda in pieno alle prove fatte, ma in diametro 9,80 sarà
necessario richiedere:
Ro 8,05/ sf.-1,75/ diam tot. 9.80
Facciamo ora un esempio contrario. Ammettiamo di voler ordinare la nostra lente in diam.tot.
9,20mm (senza poterlo provare)
L‟ordinazione sarà:
Ro 7,95/ sf.-2.25/ diam.tot. 9.20
Possiamo quindi assumere la seguente regola: ad ogni variazione di 0,05mm del raggio base della
lente corrisponde una varianza del potere diottrico di 0,25 dt. Ad ogni variazione di 0,30-0,20 mm
di diametro totale corrisponde una variazione di 0,05 mm nel raggio base.
Rimozione e controllo corneale.
Per concludere la procedura dei controlli di adattamento, si rimuovono le lenti applicate, si instilla
nuovamente fluoresceina in ogni occhio e si procede all‟ispezione, in luce cobalto, dell‟epitelio
corneale.
Se nelle operazioni di controllo e rimozione non sono stati commessi errori di manipolazione, la
cornea deve apparire perfettamente integra. Se, al contrario, si notano segni di disepitelizzazione
conseguente all‟applicazione della lente a contatto, è probabile che ci si trovi di fronte ad un caso di
fragilità epiteliale. In questo caso, è bene proseguire egualmente nell‟adattamento, ma prestando,
nei controlli successivi, moltissima attenzione al problema evidenziato, in modo da essere in grado
di interrompere l‟uso o limitarlo entro un certo numero di ore.
Trauma da inserimento e/o
rimozione. Corpo estraneo
Colorazione moderata
Colorazione accentuata
7. La consegna
La prima seduta ha consentito di determinare tutti i parametri delle lenti a contatto necessarie. Si
procede quindi all‟ordine presso il fornitore di riferimento. All‟arrivo di quanto ordinato si
controllerà la corrispondenza ai parametri richiesti. Con il frontifocometro si controlla il potere, con
l‟oftalmometro il raggio di curvatura, per confronto con un campione del set si controlla il diametro.
Se tutto corrisponde si convoca il cliente per la seduta di consegna ed istruzione.
Al cliente saranno affidate le lenti per l‟assuefazione solo se:
a) Sarà riuscito a metterle e a toglierle da solo in nostra presenza
b) Avrà appreso chiaramente la procedura di adattamento in termini di tempi d‟uso
c) Avrà appreso correttamente la procedura di manutenzione
d) Avrà dato sicura disponibilità di poter venire ai successivi controlli secondo le scadenze
stabilite.
43
Manuale di contattologia
Istruzioni al portatore
Per l‟inserimento;
 La lente viene appoggiata sulla punta del dito indice della mano omologa all‟occhio
trattato
 Il polpastrello del dito medio della stessa mano si appoggia sulla rima palpebrale
inferiore (a livello dell‟inserzione delle ciglia) e abbassa leggermente la palpebra
 Il polpastrello del dito medio della mano opposta scende da sopra la fronte si
appoggia sulla rima palpebrale superiore e trattiene saldamente la palpebra.
 La lente va appoggiata direttamente sulla cornea.
 Il corretto inserimento va verificato guardandosi in uno specchio
Per la rimozione:
 Gli occhi devono assumere una posizione di media convergenza (si fa osservare un punto di
riferimento posto a 15 cm dagli occhi)
 Si appoggia la punta del dito indice della mano omologa all‟occhio sulla congiunzione
palpebrale esterna.
 Si deforma la cute palpebrale stirandola verso l‟esterno fino ad ottenere, per effetto della
tensione, la chiusura delle palpebre
Va indicata al portatore (meglio se in forma scritta) la durata quotidiana di utilizzo progressivo delle
lac, raccomandando più volte la necessità di rispettare con precisione i tempi indicati.
Il miglior adattamento si consegue con l‟utilizzo giornaliero in due turni spezzati, come da tabella
seguente:
GIORNI
Primo
Secondo
Terzo
Quarto
Quinto
Sesto
Settimo
44
I° Turno
1
1,30
2
2,30
3
3,30
4
USO ORARIO
Intervallo
4
4
3
3
2
2
2
II° Turno
1
1,30
2
2,30
3
3,30
4
E. Bottegal (2009)
Come si può notare l‟utilizzo inizia con 2 ore totali il primo giorno e si incrementa di un‟ora ogni
giorno che passa. Se per motivata causa, non fosse possibile effettuare la doppia applicazione
giornaliera, si procederà con un‟unica applicazione, partendo da 1 ora il primo giorno e attuando
incrementi di 1 ora per ogni giorno successivo.
8. Le sedute di controllo
Il settimo giorno il portatore va rivisto, con le lenti inserite, alla fine del turno d‟uso. Va rilevato e
trascritto in scheda l‟andamento applicativo a livello di sintomi, sensazioni ed esperienze riferite dal
cliente.
Quindi vanno effettuati i seguenti controlli oggettivi, nell‟ordine indicato:
a) Controllo della massima acuità visiva monoculare e binoculare
b) Controllo al biomicroscopio della dinamica e centraggio della lente (illuminazione diffusa e
basso ingrandimento)
c) Controllo al biomicroscopio dell‟allineamento lente/cornea, mediante instillazione di
fluoreiscina (medio/basso ingrandimento, luce cobalto diffusa).
d) Rimozione delle lenti, controllo e registrazione dello stato della cornea, della congiuntiva, e
del sistema vascolare. Le annotazioni dovranno rapportarsi ad un sistema di riferimento
(scala di Efron).
e) Se possibile evidenziare eventuali variazione della sensibilità al contrasto.
A questo punto possono presentarsi due strade.
a) Soggettivamente permane ancora una sensibile sensazione di corpo estraneo.
Oggettivamente tutti i parametri sono nella norma
b) Soggettivamente permane ancora una sensibile sensazione di corpo estraneo.
Oggettivamente si notano alcune difformità che fanno propendere per una possibile
variazione dei parametri della lente (in termini Ro, diametro, potere)
c) I sintomi soggettivi da corpo estraneo sono cresciuti, man mano che aumentava il tempo
d‟uso; viene riferita una marcata difficoltà a tenere le lenti per tutte le ore previste.
Oggettivamente possono anche non essere presenti difformità applicative.
Nel caso “a” si invita il cliente a continuare la scala tempi d‟uso, con lo stesso trend, fino a
raggiungere le 12 ore (ormai senza intervallo) e lo si invita a presentarsi ad un secondo controllo
dopo 15 gg (sempre con le lenti inserite da più ore possibili).
Nel caso “b” si annotano le possibile modifiche e salvo che non vi siano marcate alterazioni dei
tessuti coinvolti si fa procedere l‟adattamento con l‟usuale aumento. Si invita il cliente ad un
secondo controllo dopo 7 giorni. Solo allora, dopo aver controllato che le osservazioni fatte in
precedenza siano ancora valide, si opererà la sostituzione della lente. Nel periodo di attesa
dell‟arrivo della nuova lente, se possibile, far continuare al cliente l‟uso delle vecchie; farlo
rimanere senza nulla per 5 o 6 giorni fa perdere tutto l‟adattamento conquistato.
Nel caso “c” se non sono presenti anomalie applicative tipo: Ro troppo stretto, diametro errato,
lente decentrata, eccesso di movimento ecc. significa che siamo in presenza ad una intolleranza
essenziale al corpo estraneo. Pertanto è opportuno abbandonare l‟utilizzo o quando sia possibile
tentare la strada delle lenti morbide.
Se invece sono presenti evidenti difformità applicative, si fa interrompere l‟uso delle lenti attuali fin
tanto che non saranno disponibili le nuove modificate. Quindi l‟adattamento dovrà iniziare daccapo.
L‟applicazione si può ritenere felicemente conclusa quando all‟ultimo controllo (non prima di un
mese d‟uso) tutti i seguenti parametri sono verificati:
 L‟acuità visiva è uguale o superiore a quella pre-applicazione.
 La sensazione soggettiva di corpo estraneo è totalmente scomparsa
45
Manuale di contattologia

46
All‟esame oggettivo i tessuti oculari coinvolti non presentano differenze rispetto allo stato
preapplicativo.
E. Bottegal (2009)
5.
L’APPLICAZIONE
LE LENTI RIGIDE TORICHE
Premessa
Le lenti a contatto rigide assosimmetriche non
possono essere in grado di risolvere i problemi di
astigmatismo corneale di grado elevato. Un unico
raggio di curvatura per la zona ottica allineato sul K
piatto della cornea, in presenza di toricità corneale
superiore alle 3 dt, determina una grande instabilità
della lente sul meridiano più curvo, cui consegue facilità
di decentramento, visione fluttuante, formazione di
increspature epiteliali generate da bolle d‟aria
intrappolate tra lente e cornea.
Increspature epiteliali e colorazione ad arco sulla
congiuntiva bulbare indotta dalla pressione del bordo della
lente
Tentativi di risolvere il problema possono essere fatti
aumentando il diametro totale e/o diminuendo il raggio
base. Ciò riconduce la lente assosimmetrica ad una maggiore stabilità e centraggio, ma porta
appresso serraggi periferici che bloccano un adeguato ricambio lacrimale sotto la lente, con
conseguente formazione di edema e disepitelizzazioni.
La soluzione non può essere che utilizzare delle lenti che nella loro parte interna mimino il
procedere torico della cornea. In questo senso la possibilità applicativa è duplice:
a) Lente a flange toriche
b) Lente torica interna
1. Lente a flangie toriche
Questo tipo di soluzione prevede l‟uso di una lente con zona ottica sferica e zona di disimpegno
a curva torica. È adottabile per cornee che presentino una toricità compresa tra le 2 dt. e le 3 dt.
Il raggio base interno viene scelto con lo stesso criterio di un‟applicazione di lente sferica, quindi
lievemente più curvo del K piatto (mediamente K-0,10mm).
La toricità delle flangie oscilla tra i ⅔ e i ¾ della toricità corneale. Una toricità così bassa è
necessaria per evitare serraggi in periferia e al contempo promuove un discreto ingrandimento della
47
Manuale di contattologia
zona ottica sferica che assume forma ellittica. La lente si stabilizza con l‟asse maggiore della zona
ottica (ellittica) allineato con il meridiano più piatto della cornea.
Astigmatismo secondo regola
Astigmatismo contro regola
Così disposta la lente dà elevate performance nei casi di astigmatismi secondo regola, ma altrettanto
scadenti negli astigmatismi contro regola, ove la normale dinamica verticale della lente provoca
l‟invasione del bordo entro l‟area pupillare.
2. Lente torica interna.
È una lente in cui tutta la faccia interna, flangie e zona ottica, è torica
L‟adattamento di una lente di questo tipo prevede, pertanto, la scelta di due Ro che si allineino al
meglio con quelli corneali.
2. 1 La scelta dei raggi interni
Per la determinazione delle due curve interne si può utilizzare:
a) Il normale set di lenti sferiche
b) Il set di lenti toriche
In entrambi i casi è bene conoscere alcune regole teorico-pratiche, che conducono ad una
prescrizione il più adatta possibile della toricità da assegnare alla faccia interna della lente.
Il concetto di corneoconformità ci porta a pensare che la soluzione più corretta dovrebbe
essere quella di scegliere i due raggi base della lente identici al valore di toricità della cornea. Ad
esempio:
Cheratometria: 8.00/7,30 (astigmatismo corneale da correggere 3,50 dt)
Ro della lac: r1= 8.00, r2= 7,30.
Questo modo di procedere sarebbe, almeno dal punto di vista compensatorio, corretto se gli
indici di rifrazione in gioco (materiale della lac, film lacrimale, cornea) fossero molto simili tra loro.
In pratica ciò non accede, in quanto i moderni materiali per lenti RGP, al fine di rendere le lac più
sottili e sopportabili, presentano indici di rifrazione abbastanza alti rispetto a quello corneale.
Pertanto il risultato finale, così facendo, risulta essere di un valore cilindrico eccessivo rispetto a
quello corneale da correggere.
Infatti, per proseguire nel nostro esempio, se ipotizziamo di utilizzare una lac costruita con un
materiale avente un n di 1,48, possiamo calcolare il potere correttivo di entrambi i raggi base
applicando per ciascuno la seguente:
φ = n-1 / r (in metri)
In questo modo, dopo gli opportuni calcoli, si otterranno i seguenti poteri diottrici:
r1 60 dt
r2 65,30 dt
48
E. Bottegal (2009)
Quindi il potere cilindrico della lente sarà:
65,30 – 60 = 5,30 dt
Il risultato è eccessivo per poco meno di 2 dt rispetto all‟astigmatismo espresso dalle cornea (3,50
dt).
Volendo continuare con questo tipo di applicazione ed ottenere la giusta compensazione
cilindrica ed un visus accettabile, bisogna far costruire torica anche la superficie anteriore della lac,
con un valore di potere uguale e contrario all‟eccesso correttivo generato, nel nostro caso di 1,75 dt.
Una lente di questo tipo (bitorica) oltre ad essere decisamente più costosa e di più difficile
costruzione, avrà una dinamica molto scarsa, con l‟effetto di introdurre notevoli problemi
metabolici (scarso ricambio di lacrime sotto la lente).
È meglio, pertanto, abbandonare parzialmente il concetto di assoluta corneoconformità e
produrre due misure dei raggi interni che per differenza correggano l‟esatto astigmatismo corneale.
In primo luogo, solo r1 (il raggio più lungo della lente) dovrà essere corneoconforme al meridiano
omologo; quindi nel nostro esempio si sceglierà una raggio pari a 8,00 mm, di cui, nei calcoli
precedenti, abbiamo già definito il rispettivo potere in 60 dt. Per somma calcoliamo il potere che
devrà avere r2 (il raggio più curvo):
60 + 3,50 (ast.corneale) = 63,50 dt
Ricaviamo, con la formula sopraccitata, il raggio di curvatura in mm:
r2 = n-1 / φ2 → r2 = 1,48 – 1 / 63,50 → 0,48 / 63,50 → 0,00755 m = 7,55 mm
La lente di partenza avrà quindi i seguenti raggi di curvatura interni:
8,00 / 7,55
La definizione del potere.
Avendo già sistemato al parte cilindrica della correzione, non resta che definire la porzione sferica.
Se r1 viene scelto uguale al k piatto della cornea, il potere sferico da attribuire alla lente dovrà essere
uguale a quello ricavato dalla refrazione preapplicativa (opportunamente riportato sul piano della
cornea se superiore a 3,75 dt). Se r1 si discosta dal k piatto della cornea, si applica la solita regola,
per la quale ad ogni variazione del raggio di 0,05 mm deve corrispondere una variazione di 0,25 dt
nel potere.
La scelta del diametro
Pur rimanendo valide tutte le considerazioni fatte per le lenti assosimmetriche, è opportuno ridurre
lievemente (0,20 mm) il diametro totale della lente. Pertanto se in base al diametro corneale,
l‟apertura palpebrale ecc., il diametro ideale dovesse essere, ad esempio, di 9,40 mm, in caso di
applicazione di lente torica interna si adotterà un diametro di 9,20 mm.
Fluoroscopia
Il pattern fluorescinico sarà quello tipico di una lente sferica ben applicata su una cornea
moderatamente torica: perfetto allineamento sulla direzione del meridiano più piatto e moderato
sollevamento in periferia lungo il meridiano più curvo.
Operando con un set di lenti sferiche si dovrà selezionare la lente con raggio che meglio si allinea
con il k piatto della cornea e da qui dedurre con i relativi calcoli sia r2, sia il potere sferico finale.
Solo dopo aver ricevuto dal costruttore la lente, così ordinata, sarà possibile controllare il pattern
fluorescinico e stabilire eventuali modifiche da apportare.
Avendo a disposizione un set di lenti toriche preconfezionate con vari step di toricità, non ci si
discosta dal sistema di operare precedente solo che è possibile verificare prima dell‟ordine la figura
fluioroscopica della scelta fatta. In caso di leggere difformità di adattamento si possono modificare
separatamente i parametri principali fin ad ottenere il miglior risultato.
Anche la definizione del potere in questa seconda metodica risulta più agevole e precisa, in quanto
può essere perfettamente ottenuta con una semplice sovrarefrazione sulla lente di prova.
49
Manuale di contattologia
Una complicanza visiva abbastanza frequente riscontrabile in un‟applicazione di lenti toriche
interne deriva dal menisco di lacrime che si forma tra cornea e lente. Esso introduce un valore di
astigmatismo inverso che va a sommarsi a quello del cristallino. Per fortuna, nella maggioranza dei
casi (ma non sempre) tale fenomeno non è tale da influenzare seriamente i risultati correttivi
ottenuti nell‟applicazione.
Se fosse necessario, per risolvere il problema non resta che correggere l‟astigmatismo inverso
rendendo torica ( per il valore residuo) la superficie esterna della lente. Si crea così una lente
bitorica.
50
E. Bottegal (2009)
6.
L’APPLICAZIONE
LENTI MORBIDE
ASSOSIMMETRICHE
1. La geometria delle lenti morbide.
Sotto l‟aspetto geometrico le lenti morbide si differenziano in:
a) Semisclerali
b) Limbari
Le semisclerali appoggiano sul centro della cornea, sorvolano il limbus e vanno ad appoggiarsi sulla
congiuntiva bulbare.
Le limbari coprono totalmente la cornea e trovano appoggio appena oltre il limbus.
In entrambi i casi, si comprende che il diametro totale delle lenti morbide è decisamente maggiore
rispetto alle sorelle rigide e che di conseguenza i raggi di curvatura medi dovranno essere
decisamente maggiori del K corneale.
La superficie posteriore può essere:
 Sferica: monocurva o bicurva
 Asferica
Il valore dei raggi di curavatura oscilla tra 7,70 e 9,20 mm
Lo spessore al centro è variabile da 0,03 a 0,15.
In base allo spessore si classificano in:
 Standard (sup. a 0,1mm)
 Sottili (0,08-0,09mm)
 Ultrasottili (0,05-0,07mm)
 Ipersottiili (inf. A 0,05mm)
Il grande diametro preclude il facile ricambio del film lacrimale sotto la lente. Pertanto, il
metabolismo corneale è affidato alla permeabilità ai gas del materiale. Il valore di permeabilità è
influenzato dal contenuto d‟acqua del polimero e dallo spessore della lente.
La porzione acquosa della lente consente il trasporto dell‟O2, mentre il polimero è di per se non
permeabile. Maggiore è l‟idrofilia, maggiore sarà la gaspermeabilità delle lenti a contatto.
Lo spessore rappresenta una barriera agli scambi di O2. Uno spessore ridotto consente una maggior
gaspermeabilità.
51
Manuale di contattologia
2. L’adattamento.
Gli elementi che concorrono alla scelta dei parametri della lente di prova sono:
a) Il diametro dell‟iride visibile (DIV)
b) I raggi corneali
c) Il valore dell‟ametropia
L‟utilizzo di lenti semisclerali o limbali, l‟idrofilia del materiale e lo spessore della lente
condizionano ulteriormente la scelta dei parametri.
La seguente tabella determina la scelta del diametro totale in ordine al DIV:
DIV mm
11 – 11,50
12
> 12 mm
Diametro totale mm
12,50
13,00
14,00-15,00
Si osservi che in presenza di DIV medio piccoli si preferiscono lenti limbari, mentre per
cornee medio grandi si usano lenti semisclerali.
Tale metodica è valida solo quando si utilizzano lenti di bassa/media idrofilia. Infatti, solo con
materiali che non superino il 45% di contenuto idrico è possibile realizzare lenti limbari. Con
idratazioni più alte l‟aumento del peso della lente e la facile alterazione dei raggi di curvatura
possono facilmente introdurre decentramenti che l‟applicazione di tipo limbare non può sopportare.
Nell‟applicazione limbare si ottengono migliori condizioni di interscambio di lacrime sotto la lente,
ma il calcolo e il mantenimento del raggio di curvatura deve essere rigoroso. Infatti, andando ad
interessare col bordo della lente la zona del limbus, è necessario che non si verifichino compressioni
o serraggi che condurrebbero ad una stasi circolatoria.
Con idratazioni medio alte vengono pertanto prodotte sole lenti a contatto semisclerali.
La scelta della curava base è funzione dei raggi corneali e del diametro totale scelto e dello
spessore della lente.
La seguente tabella fornisce i coefficienti di appiattimento rispetto al K medio corneale in
caso di lenti a contatto di spessore standard:
Lenti limbari
K medio
Minore di 7,50 mm
7,50 – 8,10 mm
> 8,10 mm
Lenti Semisclerali
Minore di 7,50 mm
7,50 – 8,10 mm
> 8,10 mm
Appiattimento
0,80
0,60
0,40
1,00
0,80
0,60
Con lenti ad elevato contenuto d‟acqua, per la loro peggiore stabilità, è opportuno utilizzare
coefficienti di appiattimento più ridotti (da 0,10 a 0,20 in meno rispetto alla tabella). Da notare
come in queste lenti l‟intervallo tra i raggi disponibili tenda ad aumentare rispetto a quelle di bassa
idrofilia. La ragione sta nel fatto che nemmeno il produttore può garantire che, una volta idratata, la
lente ad alta idrofilia mantenga il raggio con cui è stata nominalmente costruita. Variazioni di
52
E. Bottegal (2009)
0,15/0,20 mm sono nella norma. Pertanto per non dichiarare cose non vere si preferisce usare
intervalli tra i raggi disponibili superiori a 0,30 mm.
Con lenti ultrasottili il rigore di scelta dei parametri è molto minore. Addirittura si può dire
che non esista nessuna relazione significativa tra raggi di curva base e valori corneali.
Ciò spiega come la totalità delle lenti monouso in commercio, caratterizzate da spessori ridottissimi,
vengano prodotte con un unico raggio base.
3. Il controllo dell’applicazione
Il bassissimo impatto meccanico procurato dall‟inserimento delle lenti morbide consente un
ricupero delle condizioni di normalità di secrezione lacrimale in tempi estremamente brevi. Dopo
10-15 minuti dalla prima applicazione è gia possibile effettuare un attendibile controllo
dell‟adattamento.
Saranno valutati nell‟ordine:
a) Centratura e Dinamica. In posizione primaria di sguardo, le lenti devono apparire centrate.
La dinamica verticale, all‟ammiccamento deve essere tra 1 e 2 mm con lenti limbari e 2-3
mm con lenti semisclerali
b) Il test della spinta. Quando, a causa ad esempio di aperture palpebrali piccole, fosse
difficoltoso apprezzare la dinamica della lente, si può procedere con questa metodica che
consiste nello spingere, premendo con il polpastrello del pollice sulla rima palpebrale
inferiore, la lente verso l‟alto ed osservare il conseguente movimento di discesa. Esso deve
essere lento, verticale e arrestarsi con il buon centraggio della lente.
c) La schiascopia. Oltre a fornire conferme sull‟esattezza della compensazione offerta dalla
lente a contatto, permette di valutare che la lente applicata non si deformi irregolarmente.
Un riflesso di buona qualità e una facilità nel definire il punto neutro sono indice di un
perfetto mantenimento della forma delle superfici della lente.
d) Oftalmometria.
Due sono gli aspetti che interessa valutare con questa metodica:
1. il raffronto tra l‟astigmatismo corneale e quello della faccia anteriore della lente
2. l‟aspetto e il comportamento delle mire riflesse dalla faccia anteriore della lente.
Sappiamo che in presenza di toricità corneale la lente morbida tende ad adagiarsi sul profilo
corneale e a ripetere in parte l‟astigmatismo sottostante. Se le letture oftalmometriche sulla lente
daranno un astigmatismo massimo uguale o minore di quello corneale, siamo in presenza di una
buona possibilità di mantenimento a buoni livelli dell‟acuità visiva. Se invece l‟astigmatismo
dovesse rivelarsi superiore a quello corneale, perché influenzato da toricità periferiche della cornea
o della sclera, il visus sarà scarso e dovremmo ricorrere all‟uso di lenti toriche.
La qualità del riflesso deve essere valutata dopo l‟ammiccamento:
a) le mire, che prima dell‟ammiccamento erano tra loro tangenti, dopo l‟ammiccamento si
spostano l‟una dall‟altra e quasi immediatamente, dopo una brevissima frazione di tempo,
tornano alla tangenza.
b) Il ritorno alla tangenza avviene dopo 2-4 secondi dopo l‟ammiccamento
c) Dopo l‟ammiccamento le mire appaiono distorte e con mobilità verticale
Nel caso a) la lente può essere considerata ben adattata
Nel caso b) la lente ha probabilità di essere troppo curva
Nel caso c) le lente è tendenzialmente piatta
53
Manuale di contattologia
Se tutti i test finora elencati danno risultati positivi, possiamo nutrire buone speranze su una
soddisfacente scelta della lente applicata solo se si tratta di materiali a bassa idrofilia. Nel caso si
siano applicate lenti di idrofilia medio-alta o alta, prima di essere soddisfatti dovremmo attendere di
poter effettuare nuovamente gli stessi controlli minimo dopo 4 ore dall‟inserimento.
Infatti è necessario tener conto del fatto che la lente, contenendo acqua, per svariate cause può
andare incontro, col passare delle ore, al fenomeno della disidratazione, con la conseguenza di
variare sostanzialmente i suoi parametri originari. Sarà pertanto importante poter paragonare i
risultati dei due controlli.
La disidratazione, quando supera i valori di guardia, conduce ad una riduzione del raggio di
curvatura anteriore di almeno 0,2 mm a cui consegue una riduzione della dinamica e della capacità
visiva.
In questi casi è opportuno capire le cause della disidratazione e trovarne la soluzione. Alle
volte può essere necessario prescrivere l‟uso di umettanti, in altre la soluzione può passare
attraverso l‟utilizzo di un materiale a più bassa idratazione, associato, se possibile ad una riduzione
del diametro totale.
Nel caso in cui i risultati dei test di controllo dopo 4 ore siano simili a quelli di postapplicazione, significa che l‟adattamento è corretto e la lente può essere confermata come
definitiva.
4. Le lenti ultrasottili
La grande diffusione commerciale delle lenti morbide monouso (Oneday) che sta
contraddistinguendo il mercato di questi ultimi anni conduce alla necessità di fare alcune
considerazioni importanti sull‟adattamento di queste lenti.
In effetti si nota sia da parte dei clienti che da quella degli ottici una evidente banalizzazione di
questo tipo di prodotto. Al punto che si è diffusa l‟idea che la vendita di tale prodotto possa essere
svincolata da ogni necessità di attività professionale di controllo, lasciando alla sensibilità del
cliente definire se l‟uso funzioni bene o meno.
54
E. Bottegal (2009)
È bene ricordare che queste lenti appartengono alla famiglia delle ultrasottili, con uno
spessore inferiore a 0,6 mm. Lo spessore è tale da svincolare la lente dall‟influenza delle palpebre,
riducendo la componente dinamica ad esse associata durante l‟ammiccamento. Ma una ridotta
dinamica, rallenta di molto il ricambio lacrimale sotto la lente con un aumento della viscosità delle
lacrime ove la lente è immersa, che provoca un ulteriore diminuzione del movimento della lente. Il
risultato è che dopo un paio d‟ore dall‟inserimento le lenti aderiscono alla cornea, con un effetto di
serraggio al limbus, che abbiamo visto è una delle condizioni da evitare in ogni applicazione di lenti
a contatto.
È pertanto più che opportuno effettuare in questi casi tutti i controlli precedentemente
elencati e nei casi in cui si riscontrino le condizioni di cui sopra, consigliare il cliente ad utilizzare
altri tipi di lenti.
55
Manuale di contattologia
7.
L’APPLICAZIONE
LE LENTI MORBIDE TORICHE
1. L’astigmatismo residuo
Ogni qualvolta, dopo l‟applicazione di una lente morbida assosimmetrica, alla sovrarefrazione si
rilevi la presenza di un astigmatismo residuo di valore tale da compromettere in modo significativo
il visus, diventa necessario prendere in esame la possibilità di applicare una lente morbida torica che
possa risolvere il problema visivo.
L‟astigmatismo residuo può essere indotto da due fattori differenti:
a) Dalla presenza di astigmatismo sulla zona centrale della cornea. Tale condizione viene
misurata al momento dell‟esame oftalmometrico e quindi assolutamente prevedibile.
b) Dalla toricità della cornea in periferia e dalla toricità della sclera in prossimità del limbus
2. La stabilizzazione
Le lenti toriche devono assumere una posizione stabile davanti all‟occhio ed essere assenti di
rotazioni. Tale effetto si ottiene con specifiche costruzioni geometriche di cui le più diffuse sono:
a) Prisma ballast
b) Alleggerimento lenticolare
c) Troncatura
Nelle lenti con prisma di Ballast la lente è costruita con un ispessimento prismatico con base a
270°. Quando la lente viene applicata la parte più sottile si posiziona autonomamente sotto la
palpebra superiore, mantenendo quella più spessa a contatto di quella inferiore.
Questa soluzione si dimostra la migliore nella qualità visiva dopo l‟ammiccamento. Mentre dal
punto di vista meccanico l‟ispessimento inferiore può generare disturbi di sopportazione, tanto che
si usa assottigliare il prisma nella parte più prossima al bordo ove avviene il contatto con la
palpebra inferiore.
Prisma di Ballast assotigliato al bordo
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Alleggerimento lenticolare
E. Bottegal (2009)
Con il sistema dell‟alleggerimento lenticolare sia la parte bassa che quella alta della lente
vengono assottigliate in modo che siano la palpebre a mantenere la lente nella posizione esatta.
Con questa soluzione il confort è molto elevato. Risulta più stabile di quelle con prisma negli
astigmatismi contro regola e meno stabile in quelli secondo regola.
La troncatura da un lato rappresenta la lente più stabile in assoluto, ma da un altro anche la più
invasiva. Al punto che se solo uno degli occhi necessitasse di correzione torica, risulta necessario
produrre tronca anche la lente sferica controlaterale, affinché l‟effetto prismatico caricato su un solo
occhio non introduca anisoforia verticale. Per questo motivo ed anche per la maggior difficoltà di
costruzione tale soluzione oggi risulta molto limitata.
3. La superficie torica
A seconda della superficie scelta per la correzione torica la lente può essere:
 Torica interna
 Torica esterna
La prima è adatta principalmente per la correzione degli astigmatismi corneali.
La seconda è adatta sia per gli astigmatismi corneali che per quelli interni.
4. Segni di riferimento
Può capitare che, dopo aver applicato delle lenti toriche morbide, il risultato visivo non sia
soddisfacente, anzi possa essere peggiore di quello ottenuto con la lente assosimmetrica. Nella
maggior parte di questi casi si tratta di un problema di rotazione della lente, che pertanto non
mantiene la correzione cilindrica lungo il giusto asse.
Per poter valutare preventivamente tale fenomeno i costruttori di lenti a contatto usano praticare
delle marcature in prossimità del bordo delle lenti. Una volta che la lente si sia stabilizzata ed
integrata con il film lacrimale sottostante, osservando la posizione che le tacche assumono tra un
ammiccamento e un altro, si può stabilire se la direzione dell‟asse della componente cilindrica sia
corretta.
Di seguito nella figura sono riprodotte i più usuali sistemi di marcatura.
È possibile stabilire con discreta precisione il valore in gradi degli eventuali scostamenti
regolando la fessura del biomicroscopio in forma molto sottile e sovrapponendola in modo parallelo
alla tacca di riferimento principale. Si potrà quindi leggere sulla scala graduata della fessura il
valore dell‟angolo di rotazione.
57
Manuale di contattologia
5. L’adattamento
I criteri applicativi, per quanto riguarda dinamica, centraggio ecc., sono gli stessi di una normale
lente morbida assosimmetrica. Unica differenza, non trascurabile, sta nella necessità di stabilire se
la lente selezionata con i soliti criteri, una volta costruita con la toricità richiesta, sarà soggetta o
meno a rotazione. Per questo motivo è necessario poter provare delle lenti che, anche nei poteri,
presentino già la costruzione torica prevista, completa di tacche di riferimento.
Oggi il mercato delle lenti a ricambio frequente si è notevolmente arricchito di prodotti per la
correzione dell‟astigmatismo. I produttori forniscono gratuitamente e con velocità adeguata
campioni di prova di tali prodotti, consentendo all‟applicatore di compiere tutte le prove necessarie
e di formulare un‟ordinazione finale estremamente corretta.
Una volta applicati i campioni di prova vanno eseguiti tutti i classici controlli già esposti nella
sezione delle lenti assosimmetriche, inoltre anche i seguenti controlli specifici delle lenti toriche:
a) Valutazione della posizione delle tacche di riferimento
b) Valutazione del visus ed eventuale sovrarefrazione
Se all‟esame biomicroscopico le tacche di riferimento sono perfettamente allineate, la lente
finale sarà ordinata con l‟asse uguale a quella dell‟occhiale. Se invece è presente una rotazione si
dovrà
a) Determinare i gradi di rotazione
b) Stabilire se si tratta di rotazione in senso orario o antiorario
Fatto ciò, in caso di rotazione in senso orario si addizioneranno i gradi di scostamento al valore
dell‟asse della correzione cilindrica primaria; in caso di rotazione antioraria i gradi di scostamento
andranno sottratti.
Rotazione nasale di ogni lente di 10°. Se l’asse del cilindro correttore è 160° in OO. Applicando la regola l’asse della lente a contatto dell’O.D.
deve essere uguale a 160°- 10°= 150°. Quella dell’O.S. deve essere 160°+10°=170°
Se, dopo aver correttamente allineato l‟asse della lente, e stabilita la miglior sovrarefrazione
sferica, il visus dovesse rimanere su valori significativamente lontani dal previsto sarà opportuno
effettuare una sovrarefrazione sfero-cilindrica, che quasi sicuramente condurrà agli usuali valori di
visus. A questo punto:
a) si inserisce sull‟occhialino di prova il cilindro della lente a contatto con la sua asse e, sopra,
il cilindro della sovrarefrazione con la sua asse (che sarà diversa da quella della lente a
contatto)
b) si pone l‟occhialino sotto il frontifocometro e si annota il risultato sfero-cilindrico che ne
esce
58
E. Bottegal (2009)
Ora si dispone di tre misure:
a) il potere sfero-cilindrico della lente a contatto
b) il potere sfero-cilindrico della sovrarefrazione
c) la lettura sfero-cilindrica fornitaci dal frontifocometro (come sopra descritto)
Il potere finale della lente dovrà essere:
a) la sfera risulterà dalla somma algebrica di tutti e tre i valori sferici delle misure a
disposizione.
b) il cilindro sarà quello misurato al frontifocometro con la sua asse.
6. Le sedute di controllo
La procedura è comune a tutte le applicazioni di lenti morbide, sia assosimmetriche che toriche.
Il cliente va visto,con le lenti a contatto inserite sempre da almeno 4 ore, dopo la prima settimana
d‟uso e se non intervengono modifiche, una seconda e ultima volta alla fine della terza settimana.
Le lenti per diventare definitive devono fornire costanza di risultati almeno per due settimane
continuate d‟uso.
Durante la seduta di controllo vanno eseguiti i seguenti controlli nell‟ordine indicato:
 Visus monoculare e binoculare
 Dinamica e centraggio (allineamento delle tacche dell‟asse) al biomicroscopio
 Valutazione dello stato dei tessuti oculari annessi: Congiuntiva bulbare, Tarso superiore,
Formazione di neovasi, Stasi pericheratica. Il tutto va annotato secondo la scala di
riferimento (Efron) e paragonato con gli stessi rilevamenti preapplicativi.
Integrità dell‟epitelio corneale in fluoroscopia, dopo aver rimosso le lenti a contatto
59
Manuale di contattologia
8.
LA CORREZIONE
DELLA PRESBIOPIA
Premessa.
La diffusione, negli ultimi 50 anni, dell‟utilizzo di lenti a contatto per la correzione delle
ametropie, ha prodotto una crescente generazione di nuovi ametropi presbiti che accettano mal
volentieri la necessità di dover utilizzare un occhiale in abbinamento alle loro lenti a contatto per
correggere la presbiopia. Costoro, nel momento in cui il problema visivo da vicino si fa
consistente, si rivolgono ad ottici ed oculisti chiedendo una soluzione che passi ancora e solo
attraverso l‟uso di lenti a contatto. Ciò ha condotto i maggiori produttori del settore ad elaborare
prodotti capaci di riprodurre a contatto le funzioni delle lenti bifocali e multifocali normalmente in
uso in ottica oftalmica.
Naturalmente il problema non è di facile soluzione. Se nelle correzioni con occhiali la
facilità di utilizzo di zone a potere variabile è ottenuto da opportuni movimenti degli occhi e del
capo, tutto ciò è inutile in una correzione a contatto ove qualsiasi movimento degli occhi porta con
se anche quello delle lenti che vi sono applicate.
Per questo motivo le prime generazioni di lenti a contatto adatte alla correzione della
presbiopia non hanno ottenuto grandi successi. Le performance lontano/intermedio/vicino si sono
dimostrate accettabili solo in una gamma abbastanza ristretta di casi, al punto di far allontanare gli
stessi applicatori dal consigliare soluzioni di questo tipo.
In questo ambiente di diffuso scetticismo, ha trovato migliori riscontri una tecnica correttiva
basata sull‟utilizzo di lenti a contatto monofocali di diverso potere: La monovisione.
1. MONOVISIONE.
Se si osserva il comportamento visivo di soggetti affetti da una lieve miopia monolaterale
(0,75/1.00 solo in un occhio), si può, nella maggioranza dei casi, osservare che costoro riescono a
non utilizzare alcuna correzione per la quasi totalità della loro vita. Infatti la buona visione lontana è
loro garantita dall‟immagine fornita dall‟occhio emmetrope, mentre l‟eventuale presbiopia è
agevolmente compensata dall‟occhio miope. Inoltre è quasi la regola non riscontrare in questi
soggetti evidenti alterazioni della binocularità.
Basandosi su quanto appena osservato, è possibile risolvere i problemi visivi di una
ametrope presbite, portatore di lenti a contatto, inducendo intenzionalmente un‟anisometropia.
La tecnica consiste nel mantenere su un occhio l‟abituale lente a contatto con la gradazione
per lontano e nell‟altro applicare una lente che consenta visione nitida a distanza vicina (più leggera
nel miope, più potente nell‟ipermetrope). In monovisione, pertanto, l‟immagine nitida di un occhio
viene percepita simultaneamente all‟immagine sfuocata dell‟altro. A livello corticale l‟immagine
nitida viene esaltata e quella sfuocata viene depressa. Naturalmente è bene far utilizzare per vicino
l‟occhio non dominante. Quando ciò non fosse possibile, è necessario preventivamente testare le
reazioni del soggetto in presenza della penalizzazione dell‟occhio dominante; in casi di radicata e
profonda dominanza la monovisione potrebbe non essere accettata. Concordamente all‟esempio
60
E. Bottegal (2009)
fornito in apertura, la tecnica della monovisione risulta proponibile con addizioni, sull‟occhio
utilizzato per vicino, non molto superiori ad 1 diottria (max.1,50 dt)
Alterazioni del sistema visivo in monovisione
È normale che ci si chieda se l‟introduzione di una forma artificiale di anisometropia sia
clinicamente corretta. Valutiamo, in questo contesto, quali sono i punti più controversi.
 Stereopsi: è largamente dimostrato che in presenza di anisometropia si generi una forma
ridotta di stereopsi. Sicuramente ciò accade anche in monovisione, ma è altresì dimostrato
che tale effetto è minore in confronto a quello presente in un soggetto anisometrope corretto
con occhiali. Rimane assodato che questa tecnica non deve essere utilizzata in tutti quei
soggetti che svolgano lavori da vicino ove una scorretta interpretazione stereoscopica possa
comportare rischi alla salute e all‟integrità fisica (es. tutti coloro che lavorano su macchine
utensili).
 Sensibilità al contrasto: risulta sensibilmente compromessa per valori di addizione superiori
a 1,50. Per valori inferiori, la sensibilità risulta migliore in monovisione che con qualsiasi
altro tipo di soluzione attuata con lenti a contatto bifocali o multifocali.
 Visione periferica: La monovisione non riduce l‟estensione del campo visivo e l‟acuità
periferica.
 La guida di autoveicoli: una prolungata analisi degli incidenti stradali non ha evidenziato
incrementi negli utilizzatori di monovisione. Durante la guida notturna possono sussistere
delle possibilità di maggiore difficoltà nel deprimere l‟immagine non a fuoco, con
conseguente possibile confusione visiva. Comunque anche in questo caso le soluzioni
correttive con lenti a contatto multifocali sono peggiorative.
 Le performance lavorative: si mantengono su standard normali tutte le attività che non
richiedono raffinate condizioni di stereopsi o necessità di alte addizioni. Infatti solo in
queste condizioni particolari si può notare una calo del rendimento del 3-4%.
Rimane comunque sempre possibile la prescrizione di un occhiale che ripristini la buona visione per
lontano dell‟occhio sottocorretto da usarsi solo nelle condizioni di maggior disagio (es. guida
notturna).
Il dato più significativo risiede nel fatto che, nei casi in cui la tecnica sia stata applicata con i
giusti criteri di selezione, i soggetti trattati hanno potuto svolgere agevolmente il loro lavoro in
totale assenza di fenomi astenopici. In relazione alla quantità di addizione possibile da gestire, si
possono mantenere buone performance visive da vicino fino ad un‟età compresa tra 55/57 anni.
2. LENTI PLURIFOCALI.
All‟interno di tutte le diverse soluzioni prodotte, le lenti a contatto a più focali sono
catalogabili in:
 Lenti a visione alternata
 Lenti a visione simultanea
Lenti a visione alternata.
Sono caratterizzate da due zone distinte (lenti bifocali), una per lontano e l‟altra per vicino
61
Manuale di contattologia
Condizione essenziale affinché queste lenti funzionino è il perfetto centraggio della zona giusta
(lontano o vicino) davanti alla pupilla. Se durante la visione vicina dovesse entrare nel campo di
visione, anche pur in modo parziale, la zona per lontano la visione risulterebbe notevolmente
disturbata. Tale fenomeno conduce alla necessità che alla diversa posizione degli occhi nelle diverse
posizioni di sguardo la lente goda di una elevata mobilità per potersi posizionare con la zona adatta.
Per questo motivo le uniche lenti che con questa filosofia costruttiva possono dare delle
performance visive adeguate ( a volte anche eccellenti) sono le lenti RGP, che, se applicate con un
allineamento un pochino più aperto rispetto allo standard, sono in grado di effettuare sulla cornea le
necessarie traslazioni.
Tra le varie geometrie proposte (v. figura), attualmente vengono prodotte quasi
esclusivamente i tipi a segmento che somigliano a quelle utilizzate nelle lenti da occhiali.
Naturalmente è necessario che la lente di questa geometria rimanga stabilizzata in modo da avere
sempre in alto la zona del lontano e in basso quella del vicino. Ciò si ottiene mediante uno spessore
differenziato (prisma di bilanciamento) e troncatura nella zona di maggior spessore. Non avendo
generalmente a che fare con correzioni toriche (le lenti a contatto RGP sferiche correggono
agevolmente la maggior parte degli astigmatismi corneali) è ammessa una certa rotazione della
lente: circa 30° dal lato nasale e 10° dal lato tempiale.
Lenti a visione simultanea.
Le soluzioni proposte sono realizzate da un‟alternanza tra zone di diverso potere ove la zona
centrale può essere sia quella da lontano che quella da vicino a seconda del primario interesse
visivo. Le geometrie normalmente usate sono:
 A zone concentriche sferiche (fig. a,b)
 A zone asferiche (fig. d,e)
 A zone concentriche sferiche-asferiche (fig.c)
 Diffrative (fig. f)
62
E. Bottegal (2009)
Bifocali a zone concentriche sferiche.
Le due zone concentriche (lontano/vicino o vicino/lontano) devono essere entrambe presenti
nel campo pupillare in modo che l‟energia luminosa che irradia la retina provenga da entrambe.
Ognuna delle due zone fornisce dello stesso oggetto un‟immagine nitida e una sfuocata. La scelta a
livello corticale dell‟immagine da utilizzare dipende da quale delle due zone fornisce alla retina la
maggior quantità di energia luminosa. Ad esempio se, a causa del variare del diametro pupillare o
dal movimento della lente, l‟80% dell‟energia luminosa che arriva sulla retina passa attraverso la
zona del lontano e solo il 20% da quella del vicino, l‟utilizzatore avrà visione nitida solo quando
guarda lontano e il lavoro prossimale sarà incerto.
La possibilità di ottenere una buona utilizzazione di entrambe le immagini nitide fornite,
dipende da quanto più si riesce a bilanciare la quantità di energia luminosa fornita dalle due zone,
ove la condizione 50≡50 rappresenta l‟ideale. Va da se che tutte queste lenti necessitano di
mantenere una posizione sempre il più possibile centrata ove il movimento all‟ammicamento deve
essere il più contenuto possibile. Questo tipo di risultato è maggiormente ottenibile con lenti a
contatto di tipo morbido, meglio se costruite con materiali ad alto Dk/t.
Con questa geometria la scelta della zona centrale è preferibile con potere da vicino in quanto:
 Durante il lavoro prossimale la pupilla è frequentemente i miosi e comunque è facile
aumentare l‟illuminazione per ottenere meglio questo risultato
 A bassa luminanza in cui sia necessario una buona visione lontana (guida notturna) la
midriasi presente fa aumentare la porzione di potere da lontano presente sulla retina. In caso
di necessità da lontano in elevata luminanza l‟uso di occhiali filtranti consente di ripristinare
una adeguato diametro pupillare.
Progressive: geometria asferica con centro da lontano
Con le versioni asferiche la lente acquista carattere progressivo ove la porzione paracentrale
è utilizzata per la visione dell‟intermedio. La superficie posteriore si appiattisce dal centro alla
periferia con incremento del potere positivo o decremento del negativo. Il valore dell‟addizione
dipende da:
 L‟eccentricità: quando è elevata lo è anche l‟addizione
 Il diametro pupillare: tanto è maggiore tanto lo è l‟addizione
 La posizione della lente: in presenza di decentramento l‟addizione aumenta
63
Manuale di contattologia
Con centro da vicino
È asferica la superficie anteriore, che si
appiattisce dal centro verso la periferia. Il suo
effetto visivo è stato attribuito alla riduzione
dell‟aberrazione sferica dell‟occhio che
permette un aumento sia della profondità di
fuoco sia dell‟intensità luminosa centrale.
La procedura d‟uso per la determinazione del
potere di queste lenti è:
 Determinare la correzione del lontano
con le lenti a contatto
 Sommare al potere da lontano metà
dell‟addizione
Se l‟acuità visiva non è soddisfacente,
addizionare un -0,25 sull‟occhio dominante o un
+0,25 sul non-dominante.
La geometria progressiva asferica consente:
 Assenza di salto d‟immagine
 Visione indipendente dalla direzione di sguardo
Il diametro pupillare
Il problema più consistente con le lenti a visione simultanea è il diametro pupillare che
rappresenta il regolatore della quantità di energia che raggiunge la retina. Condizioni anomale sia di
miosi che di midriasi provocano decadimenti di visus a seconda si usi il centro come lontano ovvero
come vicino. Più precisamente con il centro della lente utilizzato da lontano, una condizione di
spiccata miosi consente visione nitida solo da lontano, l‟inverso se si è utilizzato il centro come
vicino. È pertanto importante la valutazione pre-applicazione della possibile escursione pupillare
del potenziale utilizzatore per poter valutare l‟idoneità all‟utilizzo di lenti plurifocali.
Lenti difrattive
Sulla superficie posteriore delle lenti (morbide)
e per un‟estensione che oscilla tra i 4 e i 5
millimetri vengono praticate delle incisioni
concentriche. Queste incisioni si riempiono di
liquido lacrimale generando un serie di anelli
concentrici ove l‟indice di rifrazione è diverso
da quello del resto della lente.
64
E. Bottegal (2009)
Il valore dell‟addizione dipende da:
 Il diametro delle incisioni
 Il numero delle incisioni
 La spaziatura tra le incisioni
L‟energia luminosa incidente viene divisa in due fuochi corrispondenti ai due diversi indici di
rifrazione, ove uno, ovviamente corrisponde al potere da lontano e l‟altro alla necessità per vicino.
Il sistema corticale esalta l‟una o l‟altra delle due immagini a seconda di ciò che si sta fissando.
Il punto debole di queste lenti sta nella perdita di energia utilizzabile visivamente che
ammonta a circa il 20% del totale. Ciò comporta una non trascurabile perdita di contrasto che in
visione vicina a bassa luminanza rende difficoltosi il lavoro e/o la lettura.
65
Manuale di contattologia
9.
I DEPOSITI
1. Generalità
È stimato che l‟80% di tutti i problemi clinici legati all‟uso di lac morbide è attribuibile alla
formazione di depositi.
Essi comportano:



Riduzione dell‟acuità visiva
Riduzione della bagnabilità del materiale
Aumento delle complicanze infettive e infiammatorie
Le analisi chimiche e morfologiche dei depositi hanno condotto ad evidenziarli come segue:
ORGANICI
INORGANICI
PROTEICI
LIPIDICI
Carbonato di calcio
Lizozima
Fosfolipidi
Fosfati di calcio
Albumine
Trigliceeridi
Ferro
Globulina
Est. di colesterolo
Mucine
MICRORGANISMI
Batteri
Funghi
Virus
I depositi possono interessare la sola superficie della lente (adsorbimento) oppure possono
penetrare all‟interno di essa e legarsi alla matrice (assorbimento)
È chiaro che in caso di adsorbimento la rimozione dei depositi risulta sicuramente più
semplice. Infatti con un semplice sfregamento con dei detergenti o con l‟immersione in soluzioni
contenenti enzimi l‟eliminazione del materiale estraneo è assicurata.
Nel caso dell‟assorbimento, che può in certi casi essere una fase successiva
all‟adsorbimento, la rimozione è difficoltosa e molto spesso inattuabile.
Le lenti dure sono più frequentemente interessate da problemi di depositi di superficie, salvo
alcuni materiali particolarmente gaspermeabili ove il legame inscindibile (assorbimento) di sostanze
proteiche con la matrice del polimero è verificabile.
Gli idrogel sono caratterizzati da entrambe le modalità. Le lenti a bassa idratazione sono
maggiormente interessate da depositi di superficie, mentre quelle ad alta idratazione, in funzione
della maggior larghezza dei pori del polimero che consente il trasporto acqua, sono più facilmente e
rapidamente penetrabili sia dai materiali organici che inorganici.
Risulta quindi evidente che la qualità e la quantità dei depositi e la velocità di formazione
sono strettamente influenzate da:


66
Le caratteristiche fisico-chimiche e geometriche delle lenti
La qualità del film lacrimale
E. Bottegal (2009)



L‟ammiccamento
La frequenza di sostituzione
Il sistema di pulizia
Le caratteristiche fisico-chimiche si riferiscono in massima parte all‟idratazione e alla ionicita
dell‟idrogel.
Allo stesso modo sono importanti le caratteristiche sia quantitative che qualitative del film
lacrimale che è il mezzo attraverso il quale il materiale delle lac interagisce con le strutture corneali
sottostanti. Inoltre il film lacrimale determina la dinamica dei fluidi all‟interno del polimero, infatti
le variazioni della sua osmolarità, nel senso dell‟aumento o della diminuzione, determinano nel
primo caso richiamo di acqua dalla lente verso il film (disidratazione), nel secondo cessione di
liquidi dal film alla lente (mantenimento corretto dell‟idratazione).
Non dobbiamo dimenticare, per finire, l‟importante ruolo svolto dall‟ammiccamento nella
formazione dei depositi. Un ammiccamento infrequente e in qualche modo scorretto induce
alterazioni del film lacrimale e della sua adeguata distribuzione, creando problemi di bagnabilità e
disidratazione.
2. I Depositi organici
I muco-proteici.
Qualsiasi polimero posto a contatto con il film lacrimale viene ricoperto in tempi molto
rapidi da uno strato di muco proteine secreto dalle cellule mucipare della congiuntiva.
Questa pellicola proteica ha, inizialmente, lo spessore di circa 1 e svolge un ruolo molto
importante nel processo d‟integrazione lente-cornea, infatti rende idrofila (bagnabile) la superficie
delle lac aumentando la biocompatibilità del materiale.
Il film mucoproteico raggiunge il massimo di copertura della lente in tempi diversi a
seconda del tipo di materiale di cui è costituita la lente. Su lac a bassa idrofilia la prima pellicola si
forma dopo circa 2 ore dall‟inserimento, su lenti ad alta idrofilia ioniche basta anche un solo
minuto.
Mano a mano che le lenti vengono usate la pellicola mucoproteica aumenta di spessore
(coating) fino a raggiungere un plateau che rimane quantitativamente inalterato; a questo punto le
proteine iniziano a denaturare diventando veicolo preferenziale di adesività batterica, e di fenomeni
di sensibilizzazione allergica del tarso congiuntivele con conseguente predisposizione all‟instaurarsi
di forme di congiuntivite papillare gigante e infezione corneale.
Risulta evidente che il tipo di materiale utilizzato e il tempo di sostituzione delle lenti
possono enormemente influenzare la formazione dei depositi proteici e la conseguente qualità
d‟utilizzo delle lac stesse.
A conferma di ciò è opportuno osservare i risultati di uno studio effettuato nel 1998 su 3 tipi
di lenti prodotte con materiali diversi per carica ionica e tempo di sostituzione indicato dal
produttore e simili per idratazione.
67
Manuale di contattologia
Le tre lac testate erano:
PRODUTTORE
NOME
COMMERCIALE
TEMPO DI
SOSTITUZIONE
MATERIALE
GRUPPO FDA
Cibavision
Gentle Touch
Netrafilcon A
Trimestrale
II° Gruppo
Cibavision
Focus Mounthly
Vifilcon A
Mensile
IV° Gruppo
Vistakon
Acuvue
Etafilcon A
Quindicinale
IV° Gruppo
La modalità di porto per tutte le lac era su base giornaliera ed è stato usato lo stesso sistema
di pulizia (Renu).
Alla fine del normale periodo d‟uso previsto per ogni lente il rilevamento dello spessore del
deposito mucoproteico è risultato di gran lunga superiore sulle lenti del IV° gruppo (materiale
ionico) rispetto a quelle del II° gruppo (non ioniche)
Inoltre se si forza il tempo di sostituzione raddoppiandolo, si riscontra un aumento evidente dei
depositi sulle lenti del IV° gruppo contro nessuna variazione su quelle del II° gruppo (fig.2).
I depositi proteici
700
microgrammi
600
500
Acuvue
Focus
Gentle T.
400
300
200
100
24
22
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
0
settimane d'uso
fig 2.- Deposizione mucoproteica su materiali del II° Gruppo (Netrafilcon A) e del IV° Gruppo
(Etafilcon A, Vifilcon A) relativa al tempo di utilizzo.
La differenza di comportamento tra Etafilcon A e Vifilcon A entrambi del IV° gruppo mette
in evidenza l‟influenza della composizione chimica del materiale sulla predisposizione
all‟adsorbimento muco proteico.
Più propriamente è la percentuale di presenza di gruppi acidi derivati dall‟MAA (acido
metacrilico) ad aumentare sensibilmente tale predisposizione che viene, invece, inibita dalla
presenza di gruppi lattamici (acido lattico) derivati dall‟ Nvinilpirrolidone (NVP).
Etafilcon A è materiale derivato dalla copolimerizzazione di HEMA-MAA, mentre Vifilcon
A è una tricopolimerizzazione (HEMA-MAA-NVP) in cui l‟acido metacrilico è presente in minor
concentrazione.
68
E. Bottegal (2009)
L‟andamento della distribuzione proteica nei tre materiali trattati indica, inoltre,
l‟importanza del rispetto dei tempi di sostituzione programmati in special modo per gli utilizzatori
di lenti disposable, che, al contrario, secondo le statistiche, sembrano essere in questo campo i più
disordinati.
Come si è visto la presenza delle sostanze muco-proteiche sulla lente assume notevoli
differenze di giudizio e valutazione a seconda del tempo in cui viene valutata, tanto che vien
spontaneo affermare che in questo argomento è vero tutto e il contrario di tutto. Pertanto in chiusura
dell‟argomento tentiamo una sintesi:
I depositi proteici denaturati sulle superfici delle lenti, a causa dello sfregamento meccanico
sul tarso congiuntivale e per l‟innesco di fattori immunologici da contatto, sono considerati la
causa dell‟insorgenza di: cheratocongiuntivite limbare superiore, congiuntivite papillare e
iperemia congiuntivale acuta.
I livelli di rapidità (tempo) e di quantità dell‟adesione muco-proteica è riconosciuta
maggiore nei materiali ionici, e in quelli ad alta idratazione.
Per quel che riguarda l‟insorgenza di infezione corneale da microrganismi
patogeni(Pseudomonas aeruginosa) non è dimostrato che possa correlarsi maggiormente a lenti ad
uso prolungato. Infatti se da un lato le catene glicoproteiche dei depositi denaturati rappresentano
un ottimo terreno di crescita di tali microrganismi, dall‟altro alcuni studi hanno registrato una
maggiore incidenza di infezioni corneali con l‟uso di lenti a ricambio frequente rispetto a quelle
ad uso prolungato. Tale risultato trova giustificazione nella banalizzazione del prodotto usa e getta
indotta nell‟utente sia dalla pubblicità sia dagli stessi venditori. La mancanza di una corretta
manutenzione preservante può esserne sicuramente la causa.
Le proteine presenti nel film lacrimale fin tanto che mantengono il loro stato attivo hanno
un elevato grado di biocompatibilità e svolgono una notevole funzione batteriolitica (lisozima) e
batteriostatica. Solo dopo il processo di denaturazione perdono queste loro proprietà. È accertato
che dopo il deposito sulle lac le proteine mantengono il loro stato attivo originario da 2 fino a 8
settimane rendendo la lente maggiormente biocompatibile e probabilmente più difficilmente
attaccabile dai microrganismi. Il lisozima legato a lenti ioniche mantiene per lo stesso tempo il
90% della propria attività, il che non avviene quando si deposita su materiali non ionici.
Figura 1 Deposito Proteico a superficie estesa, 6X
Figura 2 Deposito Proteico retiforme, 6X
69
Manuale di contattologia
I Lipidi.
L‟interazione lipidi-lac si comporta in modo opposto a quella proteica. Tutti gli studi
condotti sull‟adsorbimento lipidico da parte dei materiali per lac hanno dimostrato che gli idrogel
non ionici (I° e II° Gruppo) attraggono più lipidi dei materiali ionici del III° e IV° Gruppo. Ancora
una volta, la differenza la fa la presenza del monomero NVP che in questo caso presenta una
notevole affinità a legarsi con i lipidi.
Un‟altra differenza sta nel fatto che l‟aumento della durata del porto conduce ad un costante
aumento della presenza lipidica sulla superficie delle lac, mentre la deposizione proteica, una volta
raggiunto il plateau tende a mantenersi quantitativamente uguale.
I lipidi presentano sulla superficie della lente un comportamento di tipo oleoso, che ne
produce un cattivo umettamento. Si accumulano in aree circoscritte o si presentano sottoforma di
gocce; possono facilmente derivare da cattiva igiene delle mani al momento dell‟inserimento, o da
tracce di trucco raccolte dalle ciglia, ma molto spesso da disfunzioni nella produzione del liquido
lacrimale, che per cause d‟ordine organico generale, può in certi periodi presentare un eccesso di
concentrazione di esteri di colesterolo.
3. I depositi Inorganici.
Sono essenzialmente sali di calcio: Fosfato di calcio e carbonato di calcio; in misura meno
evidente l‟ossido di ferro.
CaCO3.
Il carbonato di calcio è sicuramente l‟elemento dominante di questa serie. Si presenta in
formazioni cristalline aventi aspetto aghiforme.
Possono insorgere per cattiva manutenzione come ad es. l‟uso di acqua di rubinetto per il
risciacquo o la conservazione, ma più spesso per occasionali variazioni del ph delle lacrime in
seguito ad assunzione di medicinali o variazioni evidenti del comportamento alimentare..
Col tempo, se le lenti non vengono sostituite, l‟elevata concentrazione di calcio sulle
superfici favorisce la trasformazione in calcio fosfato assolutamente insolubile che, mescolandosi
con proteine e lipidi tende a precipitare dando origine a calcoli.
Alcuni portatori sono particolarmente soggetti all‟accumulo di calcoli per la particolare
composizione chimica delle loro lacrime. In questi casi la calcolosi della lente può assumere, anche
in tempi brevi (15-20 gg) aspetti di grande invasività. Se da un lato, il fenomeno è favorito
dall‟invecchiamento della lente, in casi di soggetti predisposti può presentarsi anche su lenti da
poco sostituite.
Sono fortemente più a rischio i materiali ad elevata idratazione, indipendentemente dalla
loro ionicità, dove un maggiore diametro dei pori nella struttura della lente favorisce l‟inclusione e
il deposito del calcio.
La formazione di calcoli può essere, alle volte, un evento occasionale legato, come si è
detto, ad un passeggero momento di disagio organico generale.
In soggetti che presentino un‟evidente e continua predisposizione al fenomeno è opportuno
l‟utilizzo di materiali del I° o del III° gruppo, e quando ciò non fosse sufficiente si consiglia il
passaggio a lenti disposable.
70
E. Bottegal (2009)
FeO.
Il ferro come deposito su lenti a contatto è essenzialmente di derivazione esogena. Non
sembra esistano particolari affinità elettive tra questi depositi e il materiale delle lenti.
Si presenta sottoforma di piccoli accumuli molto concentrati di colore rossastro, assolutamente
asintomatici per il portatore.
Il riscontrarli, durante una visita di controllo, deve far supporre che l‟utilizzatore frequenti
aree ad elevata concentrazione di polveri ferrose ( Stazioni ferroviarie, siti siderurgici, officine
meccaniche ecc.). La presenza di tracce di ossido di ferro se in misura limitata non rappresenta
condizione limitante all‟uso delle lac. Solo in caso di una presenza molto marcata di tali depositi è
opportuno consigliare la sostituzione delle lenti.
4. I Microrganismi
I Batteri.
L‟adesione batterica alle lenti a contatto è identificata come un importante fattore nell‟eziologia
di tre manifestazioni patologiche:



La cheratite batterica
“l‟occhio rosso acuto”
le ulcere periferiche
Nella cheratite batterica l‟agente patogeno principale è la Pseudomonas Auroginosa che provoca
l‟infezione della cornea. Fortunatamente, visti gli esiti spesso infausti, l‟incidenza è abbastanza
bassa (20/00) tra i portatori di lenti a lunga durata.
Nell‟”occhio rosso acuto” (Clare) i responsabili sono molti batteri della famiglia dei Gram
negativi; l‟incidenza tra i portatori di lac è superiore alla precedente e si attesta intorno al 7%.
Un‟efficace barriera contro le infezioni batteriche viene svolta dai depositi proteici nella fase
precedente alla denaturazione. Infatti nel coating iniziale sono presenti in elevata percentuale il
lizozima e ll lattoferrina che svolgono un‟efficacissima azione batteristatica e batteriolitica.
I rischi aumentano quando si passa alla fase denaturata di queste proteine, che diventano buon
terreno di coltura batterica.
I Miceti.
Altri microrganismi in grado di procurare problemi alle lenti sono i funghi. Ricavano la loro
forza vitale dal catabolismo dei depositi organici. Tra i saccaromiceti predomina la candida
albicans, tra i mucomiceti l‟Aspergillus niger e il Penicillum. L‟invasione micotica è favorita dai
depositi proteici e il danneggiamento della lente è irreversibile, anche con trattamenti enzimatici
non si riesce a rimuoverli in modo definitivo.
5. L’osservazione dei depositi
In funzione dei supporti tecnici a disposizione, esistono varie tecniche per effettuare l‟analisi
dei depositi presenti su una lente a contatto.
Anche la semplice osservazione ad occhio nudo di una lac tenuta di fronte ad una fonte
luminosa può evidenziare la presenza di depositi specialmente se di notevole entità.
71
Manuale di contattologia
La tecnica che prevede l‟uso della lampada a fessura rappresenta, comunque, il sistema più a
portata di mano per chiunque operi in contattologia.
In questo caso la lente, se indossata, va rimossa e accuratamente risciacquata con soluzione
salina, quindi trattenuta da una pinzetta va posizionata in modo che sia perfettamente illuminata dal
fascio della lampada, tenuto a piena apertura, posto con una inclinazione di 45°. Regolato
l‟ingrandimento tra i 7X e i 10X, si inizia a muovere la lente avanti e indietro fino ad ottenere il
massimo della focalizzazione sia della superficie anteriore e, di seguito, di quella posteriore. È
anche utile orientare la parte concava verso la sorgente ed osservarla su sfondo scuro (ambiente
buio).
72
E. Bottegal (2009)
10.
LA MANUTENZIONE
1. Generalità.
A fronte dei fenomeni di contaminazione precedentemente esposti, si deve dedurre che la
manutenzione delle lenti a contatto ha lo scopo di garantirne un porto sicuro e confortevole e di
impedire il più possibile l‟accumulo di depositi e di microrganismi patogeni
Una qualsiasi linea di manutenzione deve soddisfare:
 la disinfezione
 la conservazione
 il risciacquo
 l‟umettamento
delle lenti a contatto in uso.
La vasta gamma di prodotti per la manutenzione oggi presenti sul mercato può
rappresentare uno stimolo per il contattologo ad imparare a differenziare i trattamenti a seconda del
materiale usato e del tipo di film lacrimale presente; ma spesso crea nei confronti del consumatore,
male o per nulla guidato, una stato di assoluta confusione che porta alla banalizzazione dei prodotti
disponibili (mi dia una soluzione per lenti morbide; una qualunque! Tanto sono tutte uguali).
2. Le soluzioni Uniche.
Il successo delle lenti usa getta (disposable) è stato decretato dal messaggio di facilità,
versatilità e universalità (banalizzazione?) che ne ha accompagnato il lancio sul mercato.
Ovviamente continuare a proporre i tradizionali sistemi di pulizia, basati sull‟utilizzo minimo di tre
soluzioni, avrebbe tradito tale messaggio.
Nasce così la manutenzione basata su un solo prodotto (Soluzione Unica) che consente di:
strofinare
 disinfettare
 conservare
 risciacquare
le proprie lenti a contatto usa e getta.

Pertanto tali soluzioni devono contenere:




un agente antimicrobico per la disinfezione e conservazione
un tensioattivo per la detersione
un agente chelante
sali tampone
73
Manuale di contattologia
3. I Disinfettanti
La scelta delle sostanze disinfettanti e la loro influenza sulla salute corneale ha cominciato
ad essere un problema importante con l‟avvento delle lenti morbide. Nel mondo della contattologia
rigida l‟utilizzo di materiali privi o quasi di capacità di assorbimento delle sostanze di
mantenimento, consentiva di utilizzare disinfettanti a basso peso molecolare con elevato potere
battericida e batteriostatico (clorexidina, cloruro di benzalconio, acido sorbico, e thimerosal). Infatti
la lente in PMMA opportunamente sciacquata con soluzione fisiologica ( spesso anche con altri
metodi meno ortodossi) prima di indossarla, è garanzia sufficiente ad eliminare dalle superfici ogni
traccia del disinfettante presente nelle soluzioni di mantenimento. L‟avvento delle lenti morbide e
delle RGP ha modificato il rapporto tra la lente e la soluzione nella quale veniva immersa per la
conserv mazione.
All‟inizio il problema fu sottovalutato. Si continuò a produrre, anche per questi nuovi
materiali, delle soluzioni conservati che contenevano i vecchi tradizionali disinfettanti a basso peso
molecolare, al massimo in concentrazione differente.
Nel tempo si cominciarono ad osservare in numero crescente, a carico dell‟epitelio corneale,
delle reazioni patologiche, in alcun i casi anche di grado severo. In forma più frequente si potevano
osservare formazione di infiltrati, cheratocongiuntiviti limbari superiori, pseudodentriti e diffusa
colorazione corneale (staining). Ciò si verificava perché il materiale delle lenti assorbiva in modo
selettivo le sostanze presenti nel conservante e quindi le rilasciava durante il periodo d‟uso delle
lenti stesse.
Naturalmente, quando il problema divenne evidente, gli organi preposti alla pubblica sanità
proibirono l‟utilizzo dei conservanti incriminati nella produzione delle soluzioni conservanti. I
produttori furono indotti ad utilizzare nuove sostanze disinfettanti ad elevato peso molecolare, attive
anche a basse concentrazioni. Oggi milioni di portatori nel mondo usano in maniera soddisfacente
le moderne soluzioni uniche, attualmente anche in versione “no rub”, che contengono i seguenti
principi antibatterici:




Perossido d‟idrogeno (H2O2)
Poliexametilene biguanide (PHMB)
Poliquaternum-1 (Polyquad)
Miridistaminopropildimetilamina (Aldox)
Nonostante casi di staining corneale di origine tossica si possano ancora osservare con l‟utilizzo
di soluzioni a base di PHMB in associazione con lenti in materiale non ionico ad alto contenuto
d‟acqua (II gruppo FDA) contenenti N-vinilpirrolidone, possiamo tranquillamente osservare che il
problema della tossicità indotto da disinfettanti nei portatori di lenti in Hydrogel sia risolto.
Uno studio del 2001 effettuato sulla capacità di disinfezione delle più diffuse soluzioni uniche
in commercio nei confronti dei più comuni ceppi infettanti ha prodotto i seguenti risultati:
74
E. Bottegal (2009)
Stafilococco Pseudomonas Serratia
Candida Fusarium
Totale
.Aureus
aeruginosa
marcescens albicans solani
Prodotto
Tempo
Renu
Multiplus
4h
4,7
4,7
4,8
3,6
2,8
20,6
Optifree
Express
6h
3,1
4,8
3,1
3,9
4,2
19 ,1
6h
3,4
4,8
3,7
3,1
2,2
17,2
4h
4,8
4,8
4,7
0,5
0,7
15,5
4h
4,7
4,7
4,8
0,3
0,8
15,3
Aosept
Solo-Care
Complete
com.Plus
La rimozione passiva proteica si dimostra abbastanza simile per tutte le soluzioni e oscilla intorno
ad una media del 30%.
Nella più recente formulazione la maggior parte di queste soluzioni viene fornita con
l‟addizione del principio “no rub”, che consente di non effettuare sulla lente la fase di sfregamento,
prima di essere riposta nel contenitore.
Per quanto riguarda i nuovi materiali a base di silicone Hydrogel, fino a poco tempo fa casi di
staining tossicologico descritti erano sporadici. Ma più recentemente studi ben controllati e con
criterio di scelta casuale hanno rilevato che certi sistemi di manutenzione, quando utilizzati in
abbinamento con lenti in silicone hydrogel ad uso diurno, possono indurre staining corneale
asintomatico2.
Amos et altri hanno selezionato tre gruppi di portatori di lenti Silicone hydrogel ad uso diurno.
Ciascuno di essi ha utilizzato alternativamente per periodi successivi di un mese ciascuno una
coppia di sistemi di manutenzione diversi:
I° gruppo: Poliquaternum-1 (Opti Free Express) vs PHMB (Renu Multiplus)
II° gruppo: Perossido d‟idrogeno (AO Sept) vs Poliquaternum-1 (Opti Free Express)
 III° gruppo: Perossido d‟idrogeno (AO SEpt) vs PHMB (Renu Multiplus)
I risultati sono esposti nella seguente tabella:


Percentuale di staining anomalo su silicone hydrogel ad uso diurno
2
PEROSSIDO
POLYQUAD
PHMB
PUREVISION
0%
2%
40%
NIGHT & DAY
0%
8%
23%
L. Jones, su Contact Lens Spectrum, luglio 2004
75
Manuale di contattologia
Interpretazione dei risultati:
Le soluzioni a base di PHMB sono risultate meno idonee
all‟interazione con il silicone hydrogel. Naturalmente va
considerato che molti portatori non hanno sviluppato alcuna
reazione con qualsiasi sistema di manutenzione, altri hanno
dimostrato reazioni lievi, altri ancora reazioni severe. Ciò
significa che quando un portatore di lac morbide tradizionali
passa all‟uso di lac in silicone hydrogel in modo diurno va
tenuto in debita considerazione quanto il suo abituale sistema di
manutenzione sia compatibile con le nuove lenti. Inoltre gli studi
hanno dimostrato che la severità dello staining corneale aumenta
nell‟arco di 4 settimane, che è più evidente quando il portatore
indossa le lenti da circa 2 ore, mentre si riduce col passare del
tempo e raggiunge il suo livello minimo a 6 ore di porto. È bene
quindi che, diversamente dalla pratica usuale, questi portatori
vengano controllati in fluoroscopia corneale dopo 2 ore
dall‟inserimento delle lenti. La miglior sicurezza si ottiene con
l‟uso del Perossido, che peraltro negli ultimi periodi ha avuto un
evidente declino sul mercato a favore di soluzioni all‟apparenza
più semplici
nell‟utilizzo. Allo scopo di una sua rivalutazione ne esponiamo le caratteristiche fondamentali:
H2O2
Il perossido d‟idrogeno rappresenta senza ombra di dubbio la miglior opzione per ottenere
una reale ed efficace disinfezione delle lenti a contatto con l‟assoluta assenza di conservanti.
Se vengono rispettati i termini di tempo di contatto e di concentrazione adeguata, le soluzioni al
perossido sono le sole che garantiscono il completo spettro d‟azione contro tutti i microrganismi,
Acanthamoeba compresa.
Non vi è alcuna controindicazione all‟uso su polimeri di qualsiasi tipo, ha il vantaggio di
non impiegare disinfettanti chimici, basandosi sulle proprietà dell‟ossigeno, il quale oltre ad avere
azione batteriostatica e battericida ha anche i potere di prevenire l‟ingiallimento della lente. Tale
funzione schiarente lo rende particolarmente attivo nei confronti della nicotina e della melanina.
L‟efficacia del prodotto è relativa all‟azione di liberare ossigeno, cha va ad ossidare la proteina
bruciandola:
O2 + CNHXOY = CO2 + H2O
IL perossido rimanente dopo l‟azione di disinfezione viene eliminato dal catalizzatore secondo la
seguente:
2H2O2 + Perossidasi = 2H2O + O2
Le condizioni in gioco sono:



76
La concentrazione.
Il tempo di contatto.
La neutralizzazione
E. Bottegal (2009)
La concentrazione deve essere al 3%. Concentrazioni inferiori (es. 0,03%) non garantiscono pari
efficacia anche con l‟aumento dei tempi di contatto.
Il tempo di contatto, prima dell‟inizio della neutralizzazione, non deve essere inferiore ai 10
minuti.
La neutralizzazione deve garantire la conversione in acqua nella maniera più completa possibile.
Il limite del 20% come residuo al di sotto del quale non esiste attività tossica non è da considerarsi
comunque ottimale per un utilizzo molto protratto nel tempo.
Soluzioni al perossido d‟idrogeno che non rispettino anche una sola di queste condizioni
producono una performance inferiore alle tradizionali soluzioni uniche.
I sistemi al perossido d‟idrogeno possono essere:
Bifasici
Monofasici
Il sistema bifasico è il più datato. Consiste nell‟utilizzo separato dei due prodotti fondamentali:
il disinfettante e il neutralizzante. I limiti di questa sistema sono rappresentati dal fatto che i tempi
di contatto e di neutralizzazione sono gestiti dall‟utente che non sempre è attento o opportunamente
informato, dalla minore praticità rappresentata dalla doppia fase ed infine dalla scarsa compatibilità
con lenti del IV° gruppo che vanno incontro a marcate variazioni d‟idratazione.


I sistemi monofasici sono stati introdotti per superare i limiti di quelli bifasici, mantenendo
inalterate le qualità disinfettanti. Sono commercializzati in due tipologie relative alla
neutralizzazione:
Il sistema Septicon
 Il sistema Catalasi.
Il sistema neutralizzante Septicon consiste nell‟utilizzo di un disco di platino posizionato sul fondo
del porta lenti che va immediatamente a contatto della soluzione al 3% di perossido. La
neutralizzazione, quindi, inizia immediatamente, tale che dopo 2 minuti d‟immersione la
concentrazione del perossido è passata dal nominale 3% allo 0,9%. Inoltre, man mano che aumenta
il numero delle neutralizzazioni, l‟efficacia del disco risulta ridotta con la conseguente necessità
dell‟aumento del tempo di deposizione. Per questo motivo il sistema necessita della sostituzione
periodica del disco.

Il limiti di questo sistema risultano essere:


Non viene rispettato l‟adeguato tempo di contatto con il disinfettante a piena concentrazione
Ridotta efficacia della neutralizzazione. A disco nuovo si raggiunge dopo 6 ore una
concentrazione del 15% che con l‟invecchiamento può sconfinare oltre il limite di
tolleranza.
Nel sistema alternativo come agente neutralizzante viene usato un enzima di origine animale: la
Catalasi presente con una concentrazione di 0,1 mg in una pastiglia ricoperta da 6 mg di
Idrossipropilmetilcellulosa. La sostanza coprente impiega circa 20 minuti prima di sciogliersi
completamente e permettere alla catalasi di andare a contatto con il perossido. Il tempo di
immersione richiesto è di 6 ore, passate le quali la concentrazione di perossido risulta essere del 1%.
77
Manuale di contattologia
Il sistema fornisce un‟assoluta garanzia in quanto assolve tutte le condizioni richieste. In più, a
neutralizzazione completata, nella soluzione acquosa rimane disciolta l‟idrossipropilmetilcellulosa
di copertura che essendo uno dei migliori umettanti disponibili nel confezionamento delle lacrime
artificiali, rende il confort delle lenti appena inserite molto elevato.
4. I Tensioattivi
Anche nella scelta dei tensioattivi si è optato per composti ad alto peso molecolare e
scarsamente irritanti; i più comunemente usati sono la poloxamina o il polossamero.
EDTA
L‟ acido etildiamminotetracetico (EDTA) funziona da sequestrante nei confronti dei depositi di
calcio e delle proteine depositate in superficie. Inoltre la sua pur debole carica acida svolge una
buona azione preservante.
5. Gli Enzimi Proteolitci.
Il trattamento enzimatico a fini proteolitici sta conoscendo, con l‟avvento delle lenti
diposable, una fase d‟inevitabile regressione di consumo.
L‟uso di soluzioni uniche ad azione proteolitica e la sostituzione frequente delle lenti ne rende
infatti superfluo l‟uso. Rimane infatti un passaggio obbligato per gli utilizzatori di lac a sostituzione
superiore a tre mesi.
È necessario ricordare che i trattamenti enzimatici non hanno alcun effetto disinfettante sulle
lenti e quindi non costituiscono alternativa al processo di disinfezione che deve essere comunque
effettuato.
Affinché si possa prevenire l‟accumulo proteico è necessario che i trattamenti enzimatici
vengano eseguiti a scadenze programmate che oscillano tra i 7 e i 10 giorni, che è stimato come
tempo minimo prima dell‟inizio del processo di denaturazione.
Altra attenzione da porre in questi trattamenti è che essendo gli enzimi stessi delle proteine è
necessario che non permangano sulla lente dopo il trattamento, perché potrebbero ingenerare dei
processi di sensibilizzazione identici a quelli delle sostanza che si tenta di rimuovere; è quindi
fondamentale un approfondito risciacquo con soluzione fisiologica una volta terminato il ciclo.
I trattameti enzimatici proteolitici non sono ad esclusivo appannaggio delle lac in idrogel,
ma rappresentano anche un importante aiuto nel buon mantenimento delle lenti RGP che pur con
tempi più lunghi sono ugualmente alterate dalla denutarazione proteica.
Gli enzimi più utilizzati sono:




La papaina
La pancreatina
La subtilisina
La pronasi
La papaina è sicuramente il più usato. ha la facoltà di frammentare le molecole proteiche in
piccole sequenze amminoacide che vengono asportate con i successivo risciacquo.
78
E. Bottegal (2009)
La pancreatina, di più recente introduzione, ha una funzionalità più complessa in quanto ha una
formulazione multienzimatica composta da proteasi, lipasi e amilasi. Agisce in modo più completo
ed ha meno necessità dello strofinamento per il definitivo rilascio degli amminoacidi.
Pronasi e subtilisina sono stati selezionati per essere utilizzati come trattamenti preferenziali in
concomitanza con il perossido d‟idrogeno.
Infatti la papaina e in misura minore la pancreatina se disciolte in acqua ossigenata ne invalidano
l‟azione disinfettante.
6. Gli Umettanti
Al contrario degli enzimi, i prodotti umettanti stanno conoscendo una stagione di gradissimo
successo commerciale, tale da spingere le case farmaceutiche produttrici ad investire sempre più
massicciamente nella formulazione di nuovi prodotti sempre più efficaci.
Il motore di questo fenomeno sta nel moltiplicarsi dei fattori ambientali predisponenti alla
secchezza oculare, non ultimo il massiccio diffondersi dei sitemi di termoregolazione forzata degli
ambienti di lavoro e l‟utilizzo sempre più ampio dei videoterminali.
Lo scopo di una soluzione umettante è aumentare le qualità idrofile della superficie delle
lenti a contatto in modo che il liquido lacrimale vi si possa stendere uniformemente, quindi
organizzarsi sulla superficie in modo da formare un cuscinetto protettivo dall‟adesione dei lipidi.
Gli umettanti normalmente in commerciano utilizzano gli stessi agenti presenti nei presidi
farmaceutici relativi al trattamento farmacologico dell‟occhio secco.
Gli esteri della cellulosa e la meticellulosa e i derivati dell‟acido ialuronico sono pertanto gli agenti
principalmente usati.
Il confezionamento in monodose è preferibile a quello multidose per evitare la presenza di
conservanti.
Ci sentiamo di dover rilevare che se i criteri di scelta delle sostanze umettanti da prescrivere
dovrebbero essere determinati da un‟adeguata conoscenza dello stato del film lacrimale sul quale
devono andare ad agire, la scarsa sensibilità della maggioranza degli applicatori verso un‟indagine
seria dell‟aspetto qualitativo delle varie componenti del film lacrimale determina una
somministrazione di sostanze umettanti che risponde più ad una esigenza di tipo commerciale
piuttosto che a criteri di ordine scientifico.
7. Soluzioni Fisiologiche e Soluzioni Saline.
Le soluzioni fisiologiche e saline sono rappresentate da sodio cloruro alla concentrazione
dello 0,9%. Il loro utilizzo è essenzialmente rivolto al risciacquo delle lenti a contatto.
Con il termine “Fisiologica” si deve intendere una soluzione senza nessun additivo, mentre con il
termine “Salina” ci si riferisce ad una soluzione che contiene preservanti o addirittura conservanti.
Queste soluzioni vengono indifferentemente usate principalmente per il risciacquo delle lenti a
contatto.
Generalmente le soluzioni confezionate in forma monodose od aerosol sono soluzioni fisiologiche
(senza preservanti e conservanti) ed oltre alla funzione di risciacquo delle lenti possono essere usate
per risciacqui e bagni oculari. Quelle flaconate, per mantenere la necessaria sterilità dopo l‟apertura,
devono contenere dei preservanti anche a concentrazione molto piccole.
Il preservante più comunemente usato è l‟ EDTA, associato ad acido sorbico o a potassio sorbato.
79
Manuale di contattologia
11.
MONOUSO,
RICAMBIO FREQUENTE,
RICAMBIO PROLUNGATO
vantaggi e svantaggi
Premessa
Come si è detto, l‟avvento sul mercato delle lenti Acuvue ha condizionato l‟intera gestione della
contattologia, al punto che oggi, parlando di lenti morbide, la prima e a volte l‟unica classificazione
che gli applicatori propongono ai potenziali portatori consiste nel valutare il tempo di durata
dell‟utilizzo delle lenti. Si usa quindi suddividere le lenti a contatto in:
Monouso: Tutte le lenti che si usano una sola volta, che una volta rimosse dall‟occhio
vengono eliminate. In questa categoria rientrano sia le classiche oneday, sia le lenti a porto
continuo.
 Ricambio frequente: durata da una settimana a un mese
 Ricambio prolungato: durata da 3 mesi a 1 anno
Alla luce di quanto già esposto nella parte relativa ai materiali e ai depositi, risulta assai
difficoltoso pensare che si possa oggi coscienziosamente consigliare l‟uso di qualsiasi lente morbida
per periodi superiori all‟anno.

Per ogni categoria sopraesposta , tra gli addetti ai lavori, si sono formate delle correnti di
pensiero che tendono a esaltare l‟una e a demonizzare le altre. È pertanto opportuno fare
un‟obiettiva analisi dei vantaggi e degli svantaggi di ciascuna rispetto alle altre
1. Lenti a ricambio frequente vs lenti a ricambio prolungato.
Vantaggi.
a) Ridotto accumulo dei depositi
I depositi proteici sono riconosciuti essere la causa di reazioni oculari quali :



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La congiuntivite papillare. È ricondotta a fattori meccanici derivanti dallo
sfregamento delle proteine denaturate, depositate sul bordo della lente, sull‟epitelio
della congiuntiva tarsale superiore ed anche da reazioni immunologiche da contatto
delle proteine denaturate colonizzate da microrganismi. I casi di congiuntivite
papillare risultano essere drasticamente ridotti con l‟uso di lenti a ricambio frequente
che nel breve periodo in cui vengono utilizzate risultano meno invase da depositi
proteici rispetto alle concorrenti lenti a ricambio prolungato.
L‟iperemia bulbare acuta. L‟incidenza di tale condizione, presente nel 15% dei
portatori di lenti a contatto a ricambio prolungato, si riduce al 2% negli utilizzatori di
lenti a contatto a ricambio frequente.
La cheratocongiuntivite limbare superiore. Negli stessi termini dei casi precedenti.
E. Bottegal (2009)


Qualità della visione. La progressiva formazione di depositi sulle superfici delle lenti
a contatto provoca un progressivo aumento dei fenomeni di diffusione della luce
incidente responsabili di perdita di trasparenza e conseguente riduzioni delle
performance visive. Risulta ovvio che gli stadi più preoccupanti si raggiungono solo
dopo periodi d‟utilizzo relativamente lunghi, e mai per tempi inferiori al primo mese.
Rischi di infezioni corneali. Le infezioni corneali prendono le mosse dalla presenza
di colonie batteriche che per la loro crescita prediligono le catene di carboidrati delle
glicoproteine denaturate depositate sulle lenti a contatto. Si ritiene che nelle lenti a
contatto a ricambio prolungato il rischio di contaminazione sia più elevato, sia per la
presenza di maggior quantità di depositi, sia per il maggior tempo di esposizione al
rischio di contagio. Esistono, per la verità, una serie di studi che dimostrano il
contrario: cioè una maggiore incidenza delle infezioni corneali negli utilizzatori di
lenti a contatto a ricambio frequente. Ciò viene motivato dalla maggior trascuratezza
che questi utilizzatori generalmente pongono nella manutenzione delle loro lenti.
Effettivamente gli stessi applicatori consigliano sistemi di manutenzione ridotti sia
nelle funzioni che nell‟efficacia: a) raramente viene utilizzato un detergente; b) si
trascura spesso lo sfregamento ed il risciacquo; c) i principi attivi disinfettanti delle
soluzioni di mantenimento sono spesso di bassa efficacia; d) gli utilizzatori di lenti di
questo tipo sono molto meno controllati da parte degli applicatori, rispetto a chi
utilizza prodotti di lunga durata. (scarsa compliance).
b) Facilità di reperimento sul mercato.
Non è infrequente che una lente a ricambio prolungato non sia sempre immediatamente
disponibile presso i punti vendita. Trattasi infatti di lenti particolari, spesso di costruzione. Nei casi
di danneggiamento di una lente prima del periodo di scadenza, la non disponibilità immediata della
sostituzione può spingere il portatore a continuare ad utilizzare la lente rovinata ( se il danno lo
consente) fino all‟arrivo della nuova in sostituzione. Si sono osservate spesso casi alterazioni
corneali anche serie per comportamenti di questo tipo.
Le lenti a sostituzione frequente, oltre ad essere vendute in confezione multipla, sono comunque
presenti in assortimento abbastanza vasto nei negozi degli ottici applicatori. Ciò consente una facile
reperibilità del prodotto anche in luoghi distanti dall‟abituale fornitore di riferimento.
c) Manutenzione più semplice
Posto che una manutenzione trascurata ha serie possibilità di produrre gravi danni ai portatori di
qualsiasi tipo di lenti a contatto, è fuor di dubbio che nel primo mese di vita qualsiasi lente a
contatto necessita di un trattamento abbastanza semplice specialmente se paragonato agli interventi
di manutenzione obbligatori su una lente maggiormente datata.
Svantaggi
a) Parametrizzazione ancora limitata
Un prodotto ad alta rotazione di consumo come le lenti a ricambio frequente deve gioco
forza non superare livelli abbastanza bassi di prezzo. Ciò conduce l‟industria produttrice a
concentrare la sua produzione entro i valori di parametrizzazione più diffusi, trascurando tutte le
condizioni oculari poco diffuse. Ecco che ad esempio poteri elevati sia di miopia che di
ipermetropia non trovano soluzione con lenti di questo tipo; oppure la compensazione
dell‟astigmatismo è affidata ancora a delle scelte più di compromesso che di esattezza.
81
Manuale di contattologia
b) Banalizzazione del prodotto
Come si è accennato più volte, gli stessi applicatori hanno contribuito a diffondere un‟idea
di banalizzazione sia delle lenti a ricambio frequente che della manutenzione ad esse associata.
Sempre più si nota la tendenza a vendere “la scatoletta” trascurando totalmente qualsiasi esame
preliminare e basandosi solo sulla prescrizione degli occhiali per la definizione del potere. I
controlli periodici vengono generalmente eliminati, perché ritenuti meno validi. Alla fine l‟utente
viene visto solo quando “ha un problema”, molto spesso quando ormai i danni sono stati fatti.
Naturalmente questo atteggiamento degli addetti ai lavori, viene immediatamente percepito ed
amplificato dagli utilizzatori che tendono a “fare da se”. Gli effetti di questo atteggiamento
conducono a:



Non rispetto dei tempi di sostituzione delle lenti a contatto (molto spesso una lente viene
usata anche per il doppio del suo tempo di durata)
Turn over casuale dei sistemi di manutenzione (“tanto sono tutti uguali”)
Utilizzo di lenti diverse da quelle prescritte inizialmente
c) Difetti di produzione
In una delle prime ricerche di laboratorio eseguite nel 1992 Efron e Veys hanno trovato che lenti
imperfette potevano essere addirittura 3 su 4. In tempi più recenti lo stesso Efron, analizzando i
prodotti monouso ha riscontrato imperfezioni sul 10% dei campioni osservati.
d) Costo economico sul lungo periodo più elevato
Se usate giornalmente (non saltuariamente) le lenti a ricambio frequente risultano essere
sensibilmente più costose di quelle a sostituzione prolungata; mentre la riduzione di costi legata ad
una manutenzione meno complessa solo parzialmente compensa il predetto maggior esborso.
2. Ricambio frequente vs Monouso giornaliere
Vantaggi.
a) Miglior sfruttamento della biocompatibilità proteica.
Come si è visto le deposizione proteica, fino al momento della denaturazione, esercita un
notevole effetto benefico, rendendo estremamente biocompatibile con l‟occhio il materiale delle
lenti a contatto. La lente monouso, rimanendo nell‟occhio per un solo turno d‟uso non riesce a
godere appieno di questo vantaggio.
b) Minor costo delle lenti
Anche in questo casso si verifica la regola per cui più breve è il turn over delle lenti, maggiore
è, nel lungo periodo, il costo sostenuto dall‟utente.
Svantaggi.
a) Necessità di manutenzione
Le lenti a ricambio frequente necessitiano comunque di una manutenzione quotidiana costituita
dall‟uso di un conservante, una soluzione di risciacquo ed eventualmente un umettante. La lente
monouso può al massimo aver necessità dell‟so di un umettante.
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E. Bottegal (2009)
b) Minor sicurezza igenica
La lente monouso non è soggetta ad essere più volte manipolata, non risente dell‟utilizzo di
alcun contenitore. Pertanto gode di un minor rischio di contaminazione rispetto alle concorrenti a
sostituzione frequente.
c) Scarsa economicità nell’uso saltuario
Anche se utilizzata in modo saltuario, la data di sostituzione del prodotto delle lenti a ricambio
frequente non cambia. Pertanto in questi casi il costo del prodotto risulta sproporzionato all‟utilizzo
che se ne fa. Questo tipo di portatori sono meglio serviti da un prodotto monouso, che tra l‟altro
consente loro di non conservare in casa per tempi troppo lunghi soluzioni di manutenzione che,
oltre ad essere soggette a scadenza, possono comunque alterarsi.
Conclusioni.
A chiusura di questo capitolo è necessario precisare che tutte le lenti appartenenti alla tre
tipologie d‟uso considerate sono in massima parte costruite con gli stessi polimeri e con le
medesime geometrie. Pertanto nessuna di esse rappresenta una reale alternativa alle altre nei
confronti di problematiche inerenti il metabolismo corneale. La suddivisione ha quindi solo un
valore terminologico, legato eventualmente al massimo ad una differenza di spessore che può
sottendere una diversità di durata nel tempo.
La grande positività che questa differenziazione ha introdotto è, invece, da ricercare
nell‟aver finalmente promosso una nuova cultura sia negli utenti, ma anche in parte negli
applicatori. Si è finalmente capito che un polimero hydrogel utilizzato quotidianamente ha un tempo
ben definito di biocompatibilità e di sano uso, superato il quale i danni che esso può provocare alla
vita della cornea possono essere realmente enormi. L‟aver messo a disposizione del consumatore
prodotti anche di bassissimo costo “obbligandolo” a sostituzioni sempre più frequenti ha consentito
a riportare nell‟alveo delle lenti a contatto moltissimi ametropi, che stante le vecchie abitudini
avevano dovuto giocoforza tornare all‟esclusivo uso degli occhiali.
Cosa totalmente diversa è rappresentata dall‟avvento sul mercato delle lenti in siliconehydrogel. Queste ultime rappresentano una vera novità nell‟ambito dei materiali. Esse sono la
nuova frontiera della contattologia moderna che ha cambiato radicalmente il modo di pensare il
rapporto ametropia-visione.
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Manuale di contattologia
TAVOLE DI CONVERSIONE
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E. Bottegal (2009)
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Manuale di contattologia
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