La donna in vetrina

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Monica De Rosa
La donna in vetrina
di Luigi Antonelli
Testi e contesti
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www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, 133 a/b
00173 Roma
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ISBN
978–88–548–2584–0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 2009
Indice
Presentazione ..........................................................
11
Introduzione .............................................................
15
Capitolo I
La vita di Luigi Antonelli. Cenni biografici ..............
21
Capitolo II
La drammaturgia di Antonelli tra fiaba e grottesco ........................................................................
27
Capitolo III
Il germe della riscrittura: La donna in vetrina, pre-testo
teatrale ..................................................................... 43
Capitolo IV
Tra finzione e rappresentazione: dalla novella
alla commedia .........................................................
57
Conclusioni .............................................................. 123
Bibliografia ............................................................. 129
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Presentazione
La donna in vetrina di Luigi Antonelli si prospetta come un testo dalla molteplici valenze interpretative, soprattutto per quel che attiene al rapporto tra scrittura narrativa
e scrittura teatrale nel macrotesto antonelliano. L’opera in
questione, infatti, si presenta dapprima come una novella,
scritta nel 1926 e pubblicata per le pregiatissime Edizioni
d’arte Il Fauno in una raccolta di novelle intitolata
anch’essa La donna in vetrina; successivamente viene riproposta dall’autore nel 1930, ampliata in alcune parti,
come pièce teatrale, testo drammaturgico che riprende e
rielabora i motivi della novella. Rappresentato a Roma il
14 maggio 1930 dalla compagnia di Elsa Merlini e Luigi
Cimara, viene pubblicato sia in rivista, su «Comoedia»,
XII, 9, 15 settembre–15 ottobre 1930, sia in volume, nella
“Collezione del Teatro Comico e Drammatico” diretta da
Cipriano Giachetti, Firenze, Nemi, 1932.
Questo studio ripropone, senza sostanziali modifiche,
l’oggetto di una precedente indagine sulle due opere antonelliane edita qualche anno fa. Si tratta di un’analisi comparativa tra i due testi, esaminati con ampie citazioni, che
pone in evidenza l’interconnessione tematica e simbolica
su cui l’autore costruisce il suo gioco metatestuale.
Il rincorrersi di temi e motivi dal testo narrativo a quello drammaturgico testimonia un’elaborazione testuale ca11
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Presentazione
ratterizzata da un sapiente utilizzo delle tecniche della riscrittura, una sorta di strategia del travestimento e della ripetizione che si manifesta nell’intricato macrotesto dell’autore connotandolo di un’intratastualità, talvolta celata, altre volte più palese, attuata con modalità diversificate nel
tortuoso andirivieni da un’opera all’altra e da un genere
all’altro.
Il complesso testuale dell’opus antonelliano si compone
di cinque raccolte di novelle, circa quaranta commedie, un
numero imprecisato di scritti giornalistici, un progetto di
romanzo, poesie e racconti sparsi. Ulteriormente complicata dai rifacimenti, dalle riedezioni, dalle opere lasciate
inedite e dalle numerose varianti, la strategia compositiva
di Antonelli si rivela estremamente aperta, pluridirezionale, dialogica, nell’intreccio delle diramazioni, dei rinvii,
delle intersezioni o nei semplici passaggi attivati da un
procedere irregolare tra narrativa, drammaturgia e saggistica, e sempre proiettata anche all’esterno per la messa in
funzione di codici culturali diversi, la commistione dei generi e la manipolazione di ogni sorta di modello, letterario
e teatrale. I fondamenti di questa interpretazione dell’opera antonelliana si individuano soprattutto nel volume di
Marilena Giammarco, Luigi Antonelli. La scrittura della
dispersione, edito da Bulzoni nel 2000, a cui lo studio qui
esposto fa riferimento, in special modo per quel che ritiene
alla complessa figura del drammaturgo-scrittore.
Con un occhio attento anche ai legami con le correnti di
pensiero più avanzate dell’epoca e con il Teatro del Grottesco; ai rapporti con il mondo letterario e teatrale; alla
conoscenza delle tecniche dello spettacolo e all’importanza che esse rivestivano nella ideazione drammaturgica e
scenica dell’autore, il presente volume intende proporre
agli studenti un agile strumento per cominciare a penetrare
l’universo della scrittura antonelliana e delle sue modalità
Presentazione
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dialogiche, muovendo da un testo di sconcertante modernità. La duplice redazione della Donna in vetrina, infatti,
oltre che fornire spiragli sulle modalità delle pratiche intertestuali di Antonelli, offre anche spunti di inattesa attualità legati al motivo della donna–oggetto esibita nella vetrina del mondo, illusorio palcoscenico del quotidiano; un
modo per meditare sull’incedere di una percezione mediata e riflessa del reale che si manifesterà pienamente nei
decenni successivi, sino a divenire condizione percettiva
della contemporaneità.
Tutte le citazioni presenti nel libro sono tratte dalle seguenti opere di Antonelli: La donna in vetrina, Roma, Edizioni d’arte Il Fauno, 1926 e La donna in vetrina, Firenze, Nemi, 1932; un ringraziamento doveroso e sincero va a
Marilena Giammarco, la cui visione scientifica ha permesso l’ideazione di questo lavoro.
Il sistema di citazione–analisi, su cui si sviluppa la tessitura del volume, intende fornire i primi rudimentali elementi di un approccio metodologico che guidi gli studenti,
e i lettori, all’interno dell’articolato sistema antonelliano,
giungendo a penetrare quel vasto progetto intratestuale che
ingloba modelli e codici disparati e, con sorprendente attualità, s’interroga sul destino dell’uomo.
Introduzione
Nel panorama stagnante del teatro borghese del primo
Novecento, l’architettura narrativa del testo drammaturgico risultava secondaria rispetto al contesto fisico della
rappresentazione; di fronte al ruolo sociale di rito serale
che il teatro aveva assunto, la storia rappresentata rivestiva
un rilievo e una funzione marginali: era sempre gradita
purché generica, logica, congruente, rispondente all’ideologia del reale che il pubblico aveva fatta propria. Tra i
tentativi di riformare e rinnovare questo scenario desolante, accanto alle iconoclaste strategie futuriste si collocano
anche quegli esperimenti che, attraverso la novità dei temi
o del registro stilistico, si muovevano nella direzione di
una revisione interna al canone, attraverso la riproposta di
forme classiche — come il teatro di poesia di D’Annunzio
(cui pure Antonelli, per altri versi, fu vicino, curando una
rappresentazione dialettale della Figlia di Iorio in occasione della “settimana abruzzese”) —, o scegliendo una risposta che si orientava verso i modi di quello che è stato
definito il Teatro del Grottesco. Alla peculiare poetica dei
grotteschi si fa risalire la deformazione del dato reale in
una figurazione in bilico tra l’onirico, il magico e il surreale; il grottesco pare svelare un altro mondo, l’altra struttura
della vita. Questa modalità drammaturgica e letteraria condusse all’accentuarsi burattinesco dei personaggi, ad una
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Introduzione
forma marionettistica che rappresentava il modo di avvicinarsi alle “bambole” teatrali dei futuristi, o alle super marionette espressioniste, ma senza l’essenziale forza rivoluzionaria del linguaggio.
Nell’attacco operato da più parti nei confronti della
drammaturgia imperante e di un pubblico ormai assopito
ai dettami della ragione e alla convenzionalità del gusto,
Antonelli si muove tra coloro che sono impegnati a spargere sulla scena la loro ironia amara. La sua lotta al realismo borghese pare muoversi più sul binario dell’eccentricità che non sulla linea di una presa di coscienza della
dissoluzione di quel mondo utilizzato per rappresentare
l’inadeguatezza della vita. Il grottesco di Antonelli può essere letto, dunque, in direzione di una visione moderna e
neoromantica, che includerebbe anche espressionisti e surrealisti la cui appartenenza al grottesco potrebbe individuarsi proprio in un’apertura al fiabesco e al magico nella
dimensione fantastica.
L’autore stesso, d’altronde, in un’intervista a «Comoedia» del 25 agosto 1920, dichiarava di imporre al
proprio repertorio un solo rispetto: quello della contemporaneità, mostrando anche una lucida coscienza metateatrale, una consapevolezza profonda e sensibile dei
problemi della scena e del linguaggio adatto a rappresentarli, una coscienza che si rifletteva proprio sullo statuto del personaggio, del linguaggio e della rappresentatività. Irriducibile assertore dell’istinto e della tecnica
teatrale, considerati condizioni indispensabili, Antonelli
conferiva al momento della rappresentazione e agli elementi costitutivi della messa in scena una notevole importanza. Il mondo delle compagnie dà corpo alla rappresentazione e, con essa, ai fantasmi letterari dell’autore: attraverso la scena passa l’affermazione della propria
esistenza artistica.
Introduzione
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Nel caso specifico della Donna in vetrina, pare proprio
che sia la scrittura letteraria ad offrire lo spunto, il pretesto per la realizzazione drammaturgica della vicenda:
l’esperienza della scrittura della novella pare ricercare la
dimensione drammatica, quasi che la storia, in fieri nella
novella, venga trasformata in azione drammatica per una
più congeniale riuscita, quasi un volerne ampliare il respiro per andare oltre la storia e sottrarre l’opera all’influsso
della trama. La novella, svolta essenzialmente in forma
dialogica, nella parte centrale si presenta come monologo
del protagonista che narra la sua strana storia ad un amico.
La durata breve dello scritto ne rivela la natura di bozzetto, i cui spunti saranno in seguito sviluppati in senso
drammatico: la pièce riproporrà l’evolversi di motivi già
accennati e condurrà il lettore–spettatore all’interno della
vicenda stessa, quasi indietro nel tempo, appalesando nella
rappresentazione l’antecedente del racconto, ciò che al
momento della narrazione era già avvenuto.
Un percorso complesso di scrittura e di riscrittura che,
cifra tipica della creazione antonelliana, si rivela nel metatesto della Donna in vetrina attraverso una coerenza che
poggia prevalentemente sulle proprietà dei simboli e la
connessione tra reale e immaginario; tale coesione interna
alle due opere è ravvisabile ancor di più nel passaggio dalla novella alla commedia, dove proprio la riconfermata
dimensione simbolica della vetrina, della donna –– e
dell’uomo –– reificati costituisce il fil–rouge per il discorso drammatico, anzi, si può dire che proprio il motivo della donna in vetrina sia stato l’elemento scatenante per la
realizzazione della pièce teatrale: sulle tavole del proscenio la donna–oggetto ha trovato ben altro spessore e realizzato la sua epifania.
Nel mutato paesaggio artistico ed ideale del Novecento,
che vede il sopravvento della macchina nell’immaginario
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Introduzione
collettivo, la rappresentazione del femminile viene gradualmente modificandosi. Se Marinetti, con il suo Elettricità sessuale, segna l’ingresso nella letteratura drammatica
italiana del tema dello sdoppiamento della personalità
all’ombra del problema della macchina, nell’opera che
stiamo analizzando paiono riassumersi i temi maturati
nell’arco del ventennio avanguardistico: una nuova rappresentazione del femminile e della sessualità individuati
nella reificazione e nello statuto meccanico, cui si affianca
la riproposizione dello sdoppiamento, tematica meglio esercitata in ben altre opere dello scrittore –– basti pensare
per tutte all’Uomo che incontrò se stesso –– ma che qui
pur acquista una valenza significativa, legandosi ai temi
del ritorno del passato e del ricordo.
Nel teatro di Antonelli acquistano centralità i motivi ricorrenti della contraddittorietà del destino umano, della
breve durata del sogno, della fragilità delle illusioni e della
necessità di sottomettersi alle ferree leggi della vita; a questi, si accompagna la scontentezza di esser vissuti in un
determinato modo e l’impossibilità di trovare soluzioni diverse e alternative, oltre all’illusione di poter essere artefici della felicità altrui e della propria. In questo particolare
contesto, la vetrina diviene un significativo simbolo delle
problematiche connesse alla vita e alla modernità, prospettandosi anche come l’emblema della reificazione della
donna–oggetto mercificata, tema forse oggi consueto, ma
che sicuramente nei primi decenni del Novecento mostrava una penetrante forza innovativa, mentre il momento del
ritorno in vetrina della donna segna, sia nella novella che
nella commedia, la paradigmatica vittoria di Thanatos: una
morte alla vita per una vita reificata.
Il tema della reificazione, infatti, è pienamente rappresentato dalla vicenda della “donna in vetrina”, con la sua
doppia versione narrativa e teatrale, il cui spunto proviene
Introduzione
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con molta probabilità da una vicenda autobiografica che si
trova narrata in Maschera nuda di Pirandello: l’episodio
relativo alla “scoperta” della giovane Marta Abba. Come
in un molteplice gioco di specchi, il motivo dominante
delle due opere antonelliane trova la sua scaturigine in un
avvenimento della vita reale, quella stessa vita che si riversa nella letteratura e nel teatro, dove personaggi dimidiati o reificati ne osservano e ne ripropongono incessantemente la replicante ambiguità.
Capitolo I
La vita di Luigi Antonelli. Cenni biografici
Luigi Antonelli nasce a Castilenti, in provincia di Teramo, il 22 gennaio 1877 e nel Convitto nazionale “Melchiorre Delfico” di Teramo compie i primi studi e le prime
esperienze teatrali, recitando con convinzione nella filodrammatica della scuola. Nel 1900 è a Firenze, dove frequenta la Facoltà di Lettere, dopo aver abbandonato gli
studi di Medicina intrapresi per i primi due anni del suo
periodo universitario.
Negli anni immediatamente seguenti fonda l’Illustrazione abruzzese, con Basilio Cascella, entrando in contatto
con i più noti letterati del momento e avvicinandosi al teatro. Nel 1909 compone, infatti, la sua prima commedia in
un atto, Il gioco della morte, che viene rappresentata a
Roma, nell’aprile dello stesso anno, dalla Compagnia
Drammatica di Roma, mentre la Compagnia di Ermete
Zacconi porta sulle scene, il 20 aprile del 1910 al Teatro
Carignano di Torino, il dramma in un atto La casa dei fanciulli. Nello stesso anno nasce Edoardo, il primo figlio di
Antonelli con Lucilla Calfus, una scrittrice di novelle e
racconti per ragazzi.
La corrispondenza dall’Italia per «La patria degli italiani», una testata straniera, faciliterà un suo viaggio in Argentina, il 15 dicembre del 1911, che diverrà un prolungato soggiorno quando anche la moglie e il figlio lo raggiun21
22
Capitolo I
geranno nell’aprile del 1912. Laggiù resterà per alcuni anni esercitando la professione di giornalista, dirigendo «La
patria degli italiani», mantenendo i rapporti con l’Italia e
soprattutto i suoi interessi teatrali. Nel frattempo in Italia
vanno in scena le sue opere: le commedie in tre atti Il convegno (Bernardo l’eremita), nel 1914 al Teatro Stabile di
Roma, e L’ombra, nel 1915 sempre a Roma, il prologo in
due atti Il giardino dei miracoli, nel 1916 a Milano e Il
cenno, un atto ispirato ad una novella di Guy de Maupassant, a Roma.
Nel 1917 partecipa alla guerra con i gradi di ufficiale
nella città di Milano, la stessa in cui si stabilirà e da dove,
nel 1918, con L’uomo che incontrò se stesso, commedia
fantastica in tre atti, inaugura un filone teatrale che sperimenta la rottura con la tradizione e sancisce l’ingresso di
Antonelli tra gli autori di successo. La commedia sarà rappresentata il 23 maggio al Teatro Olimpya di Milano.
Negli anni seguenti vengono rappresentate al Teatro
Carignano di Torino un’altra avventura fantastica, La fiaba dei tre maghi, e il rifacimento del Convegno, con il titolo di Bernardo l’eremita, rispettivamente il 12 aprile e il
5 dicembre del 1919, mentre nel 1920 la compagnia di
Virgilio Talli porta in scena a Milano I diavoli nella foresta, fiaba in un atto. Nel corso dello stesso anno viene
pubblicato C’è qualcuno al cancello –– rifacimento di
Chiaro di luna del 1914 –– e i suoi testi cominciano ad uscire regolarmente su «La lettura», «Il Dramma», «Comoedia», importanti riviste del settore intorno alle quali andrà
anche sviluppandosi il dibattito sul rinnovamento del teatro italiano, di cui Antonelli sarà uno di fautori più determinati. Si dedica anche alla poesia e al giornalismo contribuendo a far circolare temi e forme del nuovo teatro e nel
1921 fonda “La Compagnia del Teatro Moderno”, la quale
si propone scelte nuove e più coraggiose sul fronte della
Cenni biografici
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contemporaneità nel tentativo di rinnovare contenuti e
modi della produzione teatrale, sperimentando un maggiore accostamento alla sensibilità moderna, un po’ malata
d’inquietudine, e al desiderio inaccessibile di capire
l’uomo, come Antonelli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a «Comoedia» il 25 agosto del 1920.
Le sue opere continuano ad essere rappresentate incessantemente, seguendo il crescente successo di un autore
che sviluppa contemporaneamente su più registri la sua ricerca teatrale: rientrano nel suo repertorio il teatro fantastico, il surreale, la commedia. Il 14 aprile 1922 al Teatro
Carignano di Torino, la compagnia di Virgilio Talli porta
in scena la favola in tre atti L’isola delle scimmie, e nello
stesso aprile, a Milano, la farsa in tre atti intitolata Il basso
in fa è inscenata da Antonio Gandusio.
Nel 1923, Antonelli sposa in seconde nozze Maria Cascella e nell’agosto dello stesso anno cura la realizzazione
dialettale della Figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio
nell’ambito della “Settimana abruzzese”. Nel 1924, a Pescara, nasce la sua seconda figlia, Grazia; intanto, il 16
settembre a Milano, viene rappresentata al Teatro Olimpya
la commedia La casa a tre piani.
L’anno successivo lo scrittore di Castilenti si trasferisce
a Roma, dove il dibattito intorno alle nuove forme teatrali
è più vivace, e pubblica su «Il Dramma» un nuovo testo
teatrale: Il dramma, la commedia, la farsa che viene rappresentato a Brescia dalla Compagnia D’Arte “G. Rovetta” nel 1926. Un testo che tende ad ironizzare da un lato il
classico triangolo borghese del teatro ottocentesco, dall’altro lo sconcerto delle finte improvvisazioni di attori ed autori alla ricerca della forma più adatta per la rappresentazione. Una finzione in cui anche il pubblico è coinvolto e
che vedrà lo stesso Antonelli nella parte di se stesso —
l’Autore — calcare le tavole del palcoscenico nel debutto
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Capitolo I
della commedia al teatro Quirino di Roma, sul finire
dell’anno.
Sempre nello stesso anno vengono messe in scena a
Milano La testa sulle spalle e Storia di burattini, entrambe
in un atto, mentre nel 1927 Antonelli compone una nuova
avventura fantastica, La bottega dei sogni, che verrà rappresentata il 2 aprile a Roma; nella stessa città, nel 1928,
sarà portata in scena La rosa dei venti, un dramma in tre
atti che completa una trilogia del fantastico: un trittico
drammatico che comprende anche L’uomo che incontrò se
stesso e La bottega dei sogni. Al teatro Valle di Roma,
nello stesso anno va in scena Il barone di Corbò, una
commedia brillante che conferma la capacità di Antonelli
di cogliere i gusti e le attitudini del pubblico. In questo periodo romano vengono inoltre portate sulle scene la commedia in tra atti Darei la mia vita, il 25 ottobre del 1929, e
La donna in vetrina, il 14 maggio del 1930; su «L’Italia
letteraria» viene pubblicata una nuova commedia in un atto: Incontro sentimentale.
Dal 1931 è anche critico teatrale presso il «Giornale
d’Italia», e nello stesso anno pubblica su «Il Dramma»
un’altra commedia in un atto intitolata Bisogna non perdere il treno. È il 1932 quando costituisce a Roma un Circolo del Teatro denominato “La baracca e i burattini”,
un’associazione che nasce con l’intento di reagire alla perenne crisi del Teatro italiano, proponendo un’interessante
idea di svecchiamento delle strutture e del sistema della
scena italiana. L’originalità delle tesi proposte e delle formule teatrali in esse contenute trovava riscontro nella coraggiosa vena ironica e nella coscienza laica che caratterizzava l’associazione distanziandola dal coro unanime
dell’adesione formale al trionfante regime fascista. Nel
1933 nasce Antonello, il suo terzo figlio e il 18 aprile viene messa in scena a Roma una nuova commedia brillante,
Cenni biografici
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Avventura sulla spiaggia, per la quale Antonelli cederà al
vezzo di essere critico di se stesso, sul «Giornale d’Italia»,
con una garbata stroncatura della commedia, che salverà
solo gli interpreti smontando a priori le eventuali contestazioni critiche di altri. Nel corso dello stesso anno si assiste
alla rappresentazione di un’altra commedia paradossale,
L’uomo che vendette la propria testa tenuta a Lugano; in
dicembre va in scena a Roma una riduzione in otto quadri
del Pinocchio di Collodi e a compimento di un periodo così riuscito viene rappresentata a Roma, proprio sul finire
dell’anno, con la prestigiosa regia di Luigi Pirandello e
l’interpretazione di Marta Abba, Il Maestro, una singolare
commedia di impianto naturalistico ma che in realtà gioca
sull’ambiguità di rappresentazione del “teatro nel teatro”.
Ed è proprio questa rappresentazione a suggellare
l’istituzionalità di Antonelli come drammaturgo. Negli anni che seguono, fino al 1939, si assiste alla pubblicazione
dell’atto unico Eternità di Eva su «Quadrivio» nel 1934, la
messa in scena di una nuova commedia brillante, Mio figlio ecco il guaio, a San Remo nel 1935, della commedia
Bellerofonte a Roma nel 1936 e di Amore sportivo, commedia in un atto, a Milano il 22 ottobre del 1937 e che,
come altre commedie rappresentate, resterà inedita.
Nel 1939 Antonelli compone L’amore deve nascere,
che sarà rappresentata postuma a Milano dalla compagnia
dell’ E. T. I il 26 giugno 1944. Quello stesso anno si ammala e quelli che seguono saranno gli anni della malattia e
del ritiro in Abruzzo, a Pescara. Manterrà sempre i contatti
con il «Giornale d’Italia» corrispondendovi fino alla fine
attraverso la rubrica Piccolo diario estivo, ed in quest’ultimo periodo ripiega nella scrittura letteraria, abbandonando l’amore per il teatro rappresentato che aveva caratterizzato tutta la sua vita.
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Capitolo I
Antonelli muore il 21 novembre 1942 a Pescara, lasciandosi seppellire nel cimitero di San Silvestro, da dove
poter udire il rumore del treno che passa vicino e la voce
del mare e della pineta, per sempre, «perché non è vero
che i morti non sentono».
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