Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, CN/BO Antonio Forcione Sketches of Africa Veronica Sbergia & Max de bernardi MArcus eaton Madame Guitar Music is love tecnica Stefan Grossman Peter Finger Dino Fiorenza Daniele Bazzani Strumenti: Peavey Composer Parlor, Martin DRS 1, Gold Tone mic e preamp Un Suono Magico Aramini Strumenti Musicali S.r.l. Via XXV Aprile, 36 • Granarolo Emilia - BO - • 40057 Telephone 051 60 200 11• Fax 051 60 200 66 www.aramini.net • [email protected] www.lakewoodguitars.com • [email protected] ed editoriale Chitarra Acustica Winter In questo numero ‘festeggiamo’, si fa per dire, la fine della bella stagione dei festival di chitarra acustica, con un ampio servizio dedicato alla settima edizione di Madame Guitar, che si è tenuta alla fine del mese di settembre. Ma non per questo, adesso, il popolo della chitarra acustica se ne starà con le mani in mano ad aspettare il ritorno della primavera. Si annunciano già degli eventi importanti. A partire dal 16 novembre, con un concerto di Gaspare Bonafede e di François Sciortino, prende il via “Acoustic Franciacorta in Castello”, una rassegna di sette concerti a cadenza mensile, che andrà avanti fino al mese di maggio per tenere accesa la fiammella. Il 4 dicembre ci sarà poi a Milano una serata in onore di Michael Hedges a quindici anni dalla sua morte, organizzata da Ezio Guaitamacchi, uno dei pionieri della promozione della musica acustica nel nostro paese. Durante il mese di dicembre si svolgeranno inoltre le tournée italiane di Michael Manring e di Bob Brozman. D’altra parte è già iniziato il conto alla rovescia in attesa del prossimo Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, che si terrà dal 22 al 26 maggio del 2013: sono aperte infatti le selezioni per il concorso New Sounds of Acoustic Music – Premio Carisch (In memoria di Stefano Rosso), alle quali partecipano anche fingerpicking.net e Chitarra Acustica, e che porteranno alla finale del 23 maggio sei chitarristi solisti e quattro cantautori-chitarristi. La scorpacciata di musica che ci siamo fatti tra maggio e settembre, inoltre, è stata l’occasione per raccogliere molto materiale che dobbiamo ancora gustare. In questo numero pubblichiamo innanzitutto un’intervista ad Antonio Forcione, che abbiamo incontrato ad Acoustic Franciacorta, e un suo spartito molto accurato. Antonio ha presentato ad agosto il suo nuovo bellissimo disco Sketches of Africa, che è stato indicato come disco del mese nel numero di novembre della rivista Guitar Techniques in Inghilterra, paese dove vive da anni. Noi abbiamo voluto dargli la copertina, perché ci piacerebbe che fosse conosciuto di più e che avesse tutto il successo che merita anche nel suo paese di origine. Tra le diverse interviste raccolte al Meeting di Sarzana, pubblichiamo quelle a Veronica Sbergia e Max De Bernardi, re- Editoriale Chitarra Acustica Winter di Andrea Carpi Il silenzio della musica di Reno Brandoni duci dall’eccellente album Old Stories for Modern Times, e a Marcus Eaton, cantautore-chitarrista di grande talento, che David Crosby ha voluto con sé per il suo nuovo disco in lavorazione. Marcus appare anche in un recente disco tributo a CSN&Y prodotto dall’etichetta italiana Route 61, Music Is Love – A SingerSongwriters’ Tribute to the Music of CSN&Y, di cui parliamo diffusamente in questo numero e che offre l’occasione di conoscere un vasto mondo di interpreti legati al cantautorato indipendente angloamericano, poco frequentato da noi e di grande interesse. Andrea Carpi pag. 3 pag. 5 Notizie Due chitarristi e un cantautore-chitarrista a Sarzana pag. 6 Blog Prima chitarra: scelta accurata di Luca Franciosopag. 8 Quelli che… costruiscono le chitarre, oh yeah! di Mario Giovannini pag. 9 pag. 10 Perché non parli? di Daniele Bazzani Il palco di Reno Brandonipag. 11 Recensioni pag. 12 3 chitarra acustica 11 duemiladodici sr Artisti Intervista ad Antonio Forcione di Andrea Carpipag. 16 pag. 21 Madiba’s Jive di Antonio Forcione Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi di Dario Fornara pag. 28 pag. 32 Madame Guitar 2012 di Andrea Carpi Music is Love di Alfonso Giardino pag. 38 pag. 42 Intervista a Marcus Eaton di Lauro Luppi e Frank Varano Strumenti Chitarra acustica Peavey Composer Parlor di Mario Giovannini pag. 46 Chitarra acustica Martin DRS 1 di Mario Giovannini pag. 48 Microfono e preamplificatore Gold Tone ABS di Daniele Bazzanipag. 50 Suono e sellette di Dario Fornarapag. 51 GAS Addiction di Mario Giovannini pag. 54 Tecnica pag. 56 Guitar Workshop di Stefan Grossman pag. 60 The Blue Horizon di Peter Finger Basso Acustico - 4 di Dino Fiorenza pag. 64 L’improvvisazione - 5 di Daniele Bazzani pag. 66 Impaginazione e coordinamento web Mario Giovannini [email protected] www.chitarra-acustica.net Direttore responsabile Andrea Carpi [email protected] Chitarra Acustica è una pubblicazione mensile Registrazione del Tribunale di Bologna n. 8151 del 07.12.2010 Iscrizione al R.O.C. n° 21782 Editore Fingerpicking.net Via Prati, 1/10 40057 Granarolo dell’Emilia (BO) [email protected] www.fingerpicking.net Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti, disegni e fotografie. Coordinamento Reno Brandoni [email protected] La rivista viene realizzata interamente senza ricevere alcun tipo di contributo o finanziamento pubblico Stampa Promograph Via Torino, 16 20093 Cologno Monzese (Mi) Pubblicità Tel. +39 349 0931913 [email protected] 4 chitarra acustica 11 duemiladodici ed editoriale Il silenzio della musica Se la vita non mi avesse aggredito con il suo fardello di incontrollabili eventi, se il destino non mi avesse aiutato a scavare nella mia identità sopita, forse non lo avrei mai capito. Certamente lo avrei notato con difficoltà. La musica si è associata al rumore. Oggi non distinguiamo più musica e rumore, ma ogni musica è rumore e ogni rumore è musica. Bisogna vivere un lungo periodo di disintossicazione per capire l’abisso in cui siamo finiti. Io l’ho vissuto per varie vicende personali: un lungo periodo di silenzio, lontano dalla musica, ma molto vicino ai rumori. E dopo un poco ho iniziato a desiderare la musica, la melodia e l’armonia. Ogni volta che potevo arricchire la mia giornata di qualche suono, tutta la mia concentrazione era protesa verso quell’evento: nessuna distrazione, solo il piacere di assorbire l’energia sprigionata da quelle note, raggi di sole in un’oscurità perenne. Selezionavo con cura ogni brano per go- dere appieno di quei momenti di gioia, mi lasciavo trascinare e sommergere da cascate di note. Ma più ne ricevevo, più cercavo di distinguere nel ‘frastuono” armonico l’essenza della musica: quella misurata, fatta di essenzialità e completezza, sfuggendo all’effetto coinvolgente di un’atmosfera artificiosamente creata per soddisfare il solo godimento emotivo. Sono arrivato a selezionare l’essenziale, come le sei Suites di Bach per violoncello solo. ‘Abnormi’, ma dense della completezza da me cercata. Poi, dopo quattro mesi di silenzio, eccomi di nuovo nel nostro mondo, il supermercato, la stazione, il treno, la TV, la radio in macchina, quintali di note gettate lì, regalate, svendute, spinte nella testa di ognuno, ma spesso ignorate o evitate. Nessuno si ferma più ad ascoltare la musica, ma la musica stessa accompagna ogni quotidiano gesto e momento, come il rumore dell’acqua che scorre la mattina nella doccia, il borbottìo ACOUSTIC FRANCIACORTA IN CASTELLO della lavatrice o della caffettiera che avverte che il caffè è pronto. Rumori mischiati a rumori, note su note che hanno fatto del mondo musicale, del piacere dell’ascolto, un incontrollato e aggressivo pianeta, ormai remoto e incomprensibile. Spegniamo per un attimo tutte le fonti, chiudiamo ogni sorgente, ritorniamo al silenzio assoluto, per riprendere un’approccio con la musica e ricominciare da subito a subire il suo fascino e il suo potere. Reno Brandoni of the World”, un pezzo di Michael che Angelo ha accompagnato con il violino, e “Il dono del cervo”, la classica ballata branduardiana impreziosita dal flauto traverso di Hedges. Info: tel. 02 56807350, www.lasalumeriadellamusica.com. A partire dal mese di novembre, presso il Castello Oldofredi di Iseo, prende il via un’edizione straordinaria di Acoustic Franciacorta. L’idea è che il festival non termini alla fine dell’estate, ma continui a tener vivo l’interesse per la musica acustica. Così l’evento che ormai da nove anni anima il periodo di fine estate franciacortino, quest’anno per la prima volta continuerà anche nella stagione invernale e oltre, fino al mese di maggio 2013, con sette appuntamenti a cadenza mensile, che prevedono due momenti musicali e che si terranno nella affascinante cornice dell’auditorium del Castello Oldofredi. Info: Libera Accademia in Franciacorta, tel. 320 7038793, www.franciacortalaif.it. MICHAEL MANRING – 4 dicembre: Milano, Salumeria della Musica, “Michael Hedges Tribute”; – 5 dicembre: Milano, Accademia del Suono, ore 16, seminario (tel. 02 2593869); – 8 dicembe: Rieti, TBA; – 9 dicembre: Roma, Big Mama, ore 22, concerto con Pino Forastiere; – 10 dicembre: Roma, TBA, seminario. Info: Armadillo Club, [email protected]. MICHAEL HEDGES TRIBUTE – 4 dicembre, Milano, Salumeria della musica, ore 21.30: “Il Jimi Hendrix della chitarra acustica a quindici anni dalla morte”, serata speciale presentata da Ezio Guaitamacchi con la partecipazione di Beppe Gambetta, Guitar Republic, Pino Forastiere in duo con il vocalist Boris Savoldelli, Finaz della Bandabardò; ospite speciale: Michael Manring. Nel corso della serata verranno proiettati estratti dall’ultimo concerto di Michael Hedges in Italia, tenuto Il 23 novembre 1991 al Teatro di Porta Romana di Milano, dove Michael concluse il festival Musica & Natura aprendo lo spettacolo di Angelo Branduardi. Insieme, i due musicisti suonarono “Woman BOB BROZMAN – 7 dicembre: Arcola (SP), G & G Guitar Sound Center, seminario (tel. 0187 1997983); – 8 dicembre: Savona, TBA ([email protected]); – 9 dicembre: Poggio Berni (RN), Circolo dei Malfattori, ore 22; – 11 dicembre: Firenze, Teatro del Sale (tel. 055 2001492); – 12 dicembre: Cecina (LI), Birroteca Doppio Malto (tel. 0586 018125); – 14 dicembre: Soresina (CR), Teatro Soresina (tel. 0374 340454, [email protected]). Info: Armadillo Club, [email protected]. 5 chitarra acustica 11 duemiladodici nt notizie DUE CHITARRISTI E UN CANTAUTORE-CHITARRISTA A SARZANA Con fingerpicking.net e Chitarra Acustica Come ormai consuetudine, la prima serata di concerti della prossima XVI edizione dell’Acoustic Guitar Meeting, che si terrà alla Fortezza Firmafede di Sarzana dal 22 al 26 maggio 2013, sarà consacrata al concorso New Sounds of Acoustic Music – Premio Carisch 2013 (In memoria di Stefano Rosso), vinto nell’edizione precedente dal chitarrista Matteo Crugnola e dal cantautore-chitarrista Daniele Li Bassi. Dieci giovani chitarristi acustici, dell’età massima di 35 anni, si alterneranno alle ore 19 di giovedì 23 maggio sul palco centrale della manifestazione per presentare due brani a testa, che potranno essere inediti per chitarra di propria composizione o adattamenti originali per chitarra di brani musicali di qualsiasi origine, oppure brani cantati composti personalmente e accompagnati con la chitarra acustica. La lunghezza dei due brani deve essere contenuta in 4 minuti ciascuno. Sarà possibile utilizzare chitarre acustiche con corde metalliche o anche con corde di nylon, ma lo stile dei brani dovrà essere di chiara matrice moderna e non classica. La selezione dei 10 giovani artisti emergenti – 6 chitarristi solisti più 4 cantautori-chitarristi – è affidata all’associazione culturale Armadillo Club che organizza la manifestazione (selezionerà 3 cantautori-chitarristi), al Centro Studi Fingerstyle (selezionerà 2 chitarristi), a Lizard Accademie Musicali (selezionerà 1 chitarrista), alla rivista GTR & Bass (selezionerà 1 chitarrista) oltre che al nostro portale fingerpicking.net, che selezionerà 2 chitarristi e 1 cantautore-chitarrista. I partecipanti dovranno inviare entro il 28 febbraio i propri nominativi, una breve biografia e le registrazioni dei brani da proporre ad una soltanto delle citate organizzazioni che effettuano la selezione. Alla fine del mese di marzo sarà comunicato agli interessati l’eventuale superamento della selezione in vista della partecipazione alla serata finale. Per chi desidera inviare il materiale a fingerpicking.net, è possibile inviare direttamente il materiale a [email protected]. Nella serata finale, una giuria selezionata premierà la migliore esibizione chitarristica e la migliore esibizione cantautorale. I premi saranno messi a disposizione dalla ditta Carisch, partner dell’evento, e si tratterà di strumenti e accessori di grande qualità. Altri omaggi sono previsti dalle aziende John Pearse Strings e B-Band. Inoltre, i due primi classificati saranno ospiti della successiva edizione dell’Acoustic Guitar Meeting e parteciperanno ad altre manifestazioni chitarristiche organizzate dall’Armadillo Club. Una serie di altri riconoscimenti e menzioni saranno assegnati a tutti i partecipanti. Un grande artista internazionale sarà ospite speciale della serata finale e ‘tutore’ dei partecipanti, esibendosi successivamente in concerto e prendendo parte alla giuria. Faranno parte della giuria: Stefania Rosso, figlia di Stefano Rosso; Davide Mastrangelo, direttore del Centro Studi Fingerstyle; Andrea Carpi; Giovanni Unterberger, fondatore di Lizard Accademie Musicali; Giovanni Pelosi per fingerpicking.net; Marino Vignali per la ADGPA Italiana; Claudio Chianura per GTR & Bass; Germano Dantone per Carisch; Fiorenzo Baruzzo per Heineken Italia; Alessio Ambrosi, direttore artistico del festival, e infine un artista e un liutaio tra le presenze internazionali della manifestazione. Info: www.acousticguitarmeeting.net. Affrettatevi a inviare i vostri brani a: [email protected]. 6 chitarra acustica 11 duemiladodici Sostieni la chitarra acustica Sostieni BREVI, SEGNALAZIONI, OLDIES BUT GOODIES Dal mondo virtuale a quello reale: è disponibile anche in formato cartaceo con la possibilità di ricevere direttamente a casa propria 12 numeri all’anno a prezzo scontato SOTTOSCRIVI SUBITO L’ABBONAMENTO Abbonamento rivista cartacea: Semestrale Euro 30 Annuale Euro 50 [email protected] www.chitarra-acustica.net/abbonamento In formato elettronico: File pdf scaricabile Euro 3 a numero Sfogliatore on line Euro 1 a numero bl blog Prima chitarra: scelta accurata Ecco che al primo barré anche i più volenterosi studenti potrebbero arrendersi di fronte al dolore fisico e all’impostazione sbilenca che strumenti economici causano. È vero che a volte il talento non viene fermato neppure da chitarre di compensato, ma è altrettanto vero che non sempre sono i più talentuosi a regalare musica raffinata, di conseguenza credo che vada tutelata la possibilità di riuscita di ogni mano, anche la meno portata, con un’accurata scelta del primo strumento e non con l’acquisto ottuso di una chitarra qualsiasi, purché economica. Non dico certo che la ‘chitarra da studio’ debba per forza essere uno strumento di liuteria, ma vero è che migliore è la fattura costruttiva della chitarra con cui si studia, migliore sarà il risultato dello studente. Dall’altra parte, invece, c’è chi pensa che un cospicuo investimento corrisponda sempre e senza eccezioni al migliore strumento in commercio. Inutile dire che non è così. Più volte ho visto chitarre dal nome imbarazzante avere più personalità di chitarre rinomate. È l’equilibrio fra il budget a disposizione e la qualità della chitarra la soluzione a cui aspirare. Troppo spesso sento dire da genitori di piccoli e aspiranti chitarristi la parola ‘chitarra da studio’ riferita per lo più a strumenti in compensato super economici e quasi impossibili da suonare, più o meno dei giocattoli che non gravano sul portafogli familiare, ma che non hanno niente a che fare con il concetto di studio. Questo ormai obsoleto luogo comune, come un ritornello di una canzone poco riuscita, mi suona nelle orecchie da quando anche i miei genitori ne hanno cantato qualche verso, spinti anche loro dal comprensibile timore che un ragazzino, circondato da mille attrazioni, possa perdere presto interesse. In effetti di frequente accade che uno strumento venga seppellito in cantina perché la curiosità del suo apprendista esecutore ha tirato le cuoia prima di esalare il primo accordo, e il rammarico dei genitori solitamente è pari alla soddisfazione di non aver speso cifre esose per un capriccio passeggero del figlio. Il fatto è, però, che uno strumento di pessima fattura non agevola affatto l’apprendimento, anzi molto spesso ne ostacola il percorso, rendendo difficile ciò che è semplice e impossibile ciò che è difficile. FRANCO MORONE ! w Ne CD di Luca Francioso “Back To my Best” Nuovo cd e Nuovo libro Disponibili nello shop online!!!! oltre a.....Offerte speciali * CD * Libri* mp3* brani singoli notazione musicale ed intavoltura Franco Morone Back To My Best Ne w BO OK ! www.francomorone.com 8 chitarra acustica 11 duemiladodici bl blog Quelli che… costruiscono le chitarre, oh yeah! di Mario Giovannini Ci sono quelli che “cianno da fare”, sempre da fare, troppo da fare. E non hanno tempo. Per nulla. Se vuoi una loro chitarra devi chiedere, implorare, sperare. E alla fine te la danno, ma con almeno un anno di ritardo. Perché cianno da fare! Ci sono quelli che “hanno il campionario”, ovvero le chitarre da esposizione. E a ogni fiera, anno dopo anno, li vedi sempre con gli stessi strumenti. Poi, se ne provi una e ti piace, se la vuoi comprare, non te la danno. Perché è il campionario. Se la vuoi, te ne fanno un’altra, uguale. Ma senza fretta, perché, comunque, cianno da fare! Ci sono quelli che “niente foto alle mie chitarre, grazie”. Ha sei corde, una cassa, un ponte e un manico. È una OM. Non avendo a disposizione una macchina a raggi X portatile e, comunque, non capendoci una beata mazza di niente su incatenature e affini, cosa potrò mai copiare dalla foto della tua chitarra? Quelli che “io la cassa/la paletta/il manico così non faccio, assolutamente”… ma non dovresti ascoltare le richieste del cliente, cioé io? Quelli che “la chitarra è garantita a vita”, ma sono pochissimi. E di solito molto anziani. Immagino non si riferiscano allo strumento. Quelli che “fanno tutto a mano, niente macchine”. E fanno tutto a mano, effettivamente. Quella che gli è rimasta. Ma comunque un paio di dita se le sono giocate anche in quella. Quelli che “il liutaio non deve suonare la chitarra, perché i calli sui polpastrelli non ti fanno sentire le vibrazioni del legno”. Di solito, ma non sempre, appartengono anche alla categoria niente macchine e il problema dei calli sulle dita lo hanno già risolto. Alla radice. Quelli che “in America sono avanti mille anni, perché la chitarra l’hanno inventata loro”… e io che ero convinto che fosse nata in Europa dal liuto arabo. Quelli che “in America non capiscono un c…o”… e io che ero convinto che… Oddìo non sono più convinto di nulla, che confusione. Oh yeah! Decidere di farsi costruire una chitarra da un liutaio è un passo importante, possiamo anche dire fondamentale, nella vita di un artista. Implica una certa maturità, sia tecnica che musicale, oltre a una profonda consapevolezza di quelle che sono le proprie reali necessità. E la capacità di trasmettere tutto questo a chi dovrà realizzare lo strumento. O almeno così dovrebbe essere… ma di questo parleremo un’altra volta. Presa la storica decisione, fatto partire il piano quinquennale di accantonamento fondi necessario perché, sia chiaro – com’è giusto che sia – nessuno regala nulla, a meno che non si sia amici d’infanzia di uno di questi signori, si deve poi scegliere il ‘Mastro Geppetto’ che realizzerà la nostra creatura. Il sistema migliore, naturalmente, è visitare il più possibile le fiere di settore in cui questi artigiani espongono le loro opere. Per poi rendersi conto di essere precipitati in una sorta di universo parallelo, in cui valgono strane regole e curiose convenzioni sociali. I liutai si conoscono tutti fra loro. Tutti. Sono sempre cordialissimi e molto gentili. E ognuno è convinto di essere l’unico a saper lavorare. Tutti gli altri sono dei dilettanti. Magari qualcuno non è poi così malaccio, ma ne ha ancora di strada da fare. Ciascuno è convinto di essere il depositario della verità assoluta. Ci sono quelli che “usano solo colla animale” perché le Martin pre-war sono le uniche chitarre degne di tale nome. E niente trussrod, solo barre a T nel manico. Quindi, in cento anni non abbiamo fatto un solo passo avanti. Del resto già fanno sistematicamente strage di piante, che gli frega di qualche animaletto. Ci sono quelli che “mettono le tavole armoniche a riposare sul fondo di un torrente per anni, perché assorbano le vibrazioni della Terra”, in modo che acquisiscano sonorità uniche. Di solito lavorano solo di notte, preferibilmente quando c’è luna piena, biascicando frasi incomprensibili. 9 chitarra acustica 11 duemiladodici bl blog Perché non parli? di Daniele Bazzani te suoneremo meglio, altre peggio, ma il tentativo deve essere fatto. Troppe volte ho visto gente salire sul palco pensando di tirar via la serata, magari raccontando qualche storiella simpatica, ma si capisce quasi subito se per montare lo show abbiamo lavorato un anno, o un’ora. Quello è il vero “rispetto” che il pubblico merita. Dagli americani ho imparato una grande lezione anche riguardo a come ci si presenta sul palco, c’è un episodio che mi ha fatto sorridere ma anche riflettere. Ero a Nashville in occasione della CAAS, il festival dedicato a Chet Atkins, sul palco c’era Boots Randolph, un grandissimo sassofonista americano, celebre fra le altre cose per aver portato al successo negli anni ’60 “Yakety Sax”, scritta da James Q. ‘Spider’ Rich (ricordate la musica di Benny Hill?). Randolph è stato l’unico ad aver suonato il sax da solista su un disco di Elvis, e ha contribuito in maniera importante a creare, con il suo strumento, il famoso ‘Nashville Sound’, insieme a Atkins che produsse molta musica di quel periodo scoprendo talenti incredibili. Torniamo allo spettacolo, perché a un certo punto Randolph si avvicina al microfono, proprio prima del brano in questione e dice: “Questa è la canzone che mi ha fatto scendere dalle colline del Kentucky... e mi ha fatto salire su quelle del Tennessee”. La battuta mi ha fatto ridere, ma avevo accanto un signore piuttosto anziano che rimaneva del tutto impassibile, quasi infastidito. Gli chiedo, visto che avevamo chiacchierato brevemente poco prima, se non la trovasse una cosa divertente, lui fa una pausa e mi dice: “L’ho visto 40 anni fa e ha detto la stessa battuta”. A quel punto ho riso davvero. Poi però ho ragionato su quanto si possa preparare anche una singola frase messa al punto giusto, se la si ritiene opportuna, e ho capito che se ogni sera ci esibiamo in un contesto differente, lo show non sembrerà mai una ripetizione, anche se a dire frasi sempre allo stesso modo, nello stesso punto, forse ci sentiremo limitati, ma è meglio una frase preparata bene che una improvvisata male, non c’è dubbio. Parto da una veloce considerazione: a me, se un musicista parla durante il concerto, non dispiace. Mi fa piacere sentire storie che riguardino le canzoni o i brani strumentali (se non hanno testo), o aneddoti e storie simpatiche, qualora il musicista fosse in grado di raccontarne in maniera divertente e intrigante. Non lo nego. Il problema è un altro. Ho sentito spesso commentare il concerto del taciturno artista di turno (perdonate l’orrendo gioco di parole) con frasi tipo: “Si ma due parole poteva anche dirle”. Chi è abituato a stare sul palco sa bene che una frase azzeccata al momento giusto può portare il pubblico dalla propria parte, lo ben dispone anche riguardo alla musica, non che si possa essere simpatici e suonare male, ma sembra che il contrario non si possa fare. Vengo al punto. Il mio obbiettivo, quando compro il biglietto di un concerto, è andare a sentire musica, non voglio altro. Se poi altro c’è, me lo prendo. Ho visto Frank Zappa negli anni ’80, un’ora e un quarto di musica senza una sola pausa, poi se ne è andato per non rientrare, non una parola, uno dei concerti più straordinari della mia vita. Ho visto Paco De Lucia più volte, non so che voce abbia se non per un bellissimo documentario su Dvd dove si racconta, non certo per quello che dice durante i concerti. Non credo ci sia bisogno di dire quanto belli siano stati i suoi spettacoli. Ho visto Bob Dylan e non lo ricordo presentare nulla, o dirci qualcosa. Meraviglioso. Che voglio dire? Che se il concerto è bello, sono lì per quello, non per altro. Se vado al cinema a vedere un film con Robert De Niro, non mi aspetto che all’intervallo (o fra due scene clou) mi dica qualcosa, sono lì per vedere come recita, e vedere il film. A teatro mi basta la presenza sul palco e magari un inchino di ringraziamento alla fine, ma nessuno si aspetta un grande attore prendere la parola. Perché ai musicisti questo sembra non essere concesso, o concesso con fastidio? Alla base di tutto c’è una semplice considerazione: il rispetto per il pubblico di un concerto sta nel cercare di offrirgli il miglior spettacolo musicale possibile, non credo ci sia altro. Va detto anche che alcuni (molti) artisti, hanno trovato il modo di comunicare attraverso la loro musica, perché con le parole non riescono, non sono proprio capaci, non è che non vogliano. Oltretutto se si parla a sproposito (chi è mai salito su un qualsiasi palco sa bene cosa intendo) si rischia di rovinare tutto, di fare la figura degli imbecilli, quando magari stiamo solo cercando di sforzarci per compiacere chi abbiamo davanti. L’unico vero, grande impegno che ha un musicista è quello di dare il massimo, tutto quello che abbiamo e nel miglior modo possibile, sapendo che a vol- La lezione può quindi essere: cercate di dare tutto quello che potete quando siete sul palco, se questo comprende anche il parlare e dire cose sensate o divertenti va bene, in caso contrario state zitti, che è meglio. Se siete spettatori, non pensiate che il musicista sia vostro amico e sia lì per parlare, il biglietto lo avete pagato per la musica, non per sentirlo chiacchierare. Tanto se il concerto è bello, avrete speso bene i vostri soldi, se è brutto, non saranno due battute azzeccate a renderlo migliore. 10 chitarra acustica 11 duemiladodici bl blog Il palco di Reno Brandoni È certo che quando vado a un concerto mi aspetto qualcosa! Qualcosa in più di quello che posso avere comprando il CD del musicista o ascoltando i suoi brani su iTunes, YouTube o dalla radio della mia macchina. È certo che se vado a un concerto e il musicista mi risuona esattamente tutto il suo CD, magari con qualche brano a sorpresa o qualche cover d’effetto, tutto sommato so di aver avuto ciò per cui ho pagato, ma sicuramente non era il vero motivo per cui ero li. Solitamente vado ad un concerto per incontrare l’uomo, misurare il suo carisma e le sue debolezze, e mi aspetto che mi comunichi qualcosa di suo, di personale che non può essere impresso o svelato in una registrazione. E chissenefrega se fa delle battute stupide o balbetta, non tutti possiamo essere fantastici oratori: mi basta che sia se stesso, che scopra le sue carte, che mi racconti della sua vita, che mi faccia capire il perché della sua musica, il senso delle sue composizioni. Mi sono un po’ stancato dei maestri dell’arroganza che salgono sul palco per darti una lezione su come si suona, pronti a ‘regalarti’ l’ultima loro evoluzione, e che si compiacciono di se stessi. Ho voglia di umanità, di errori, di verità, forse anche di frasi trite e ritrite che annoieranno i fan più assidui. Ma il palco è vita e io mi aspetto un musicista vivo. Suonare la musica è una cosa, salire su un palco è completamente un’altra, un’altra arte. Magari certi musicisti sono fantastici a casa o meravigliosi nel proporre la propria musica su un CD, poi sul palco sono una frana; mentre altri non trasferiscono nessuna emozione dai loro CD, ma sul palco hanno forza e carisma e regalano più emozioni di tecnici ‘sperduti’ o di vani eroi. Allora salire su un palco significa qualcosa di preciso: mostrarsi al pubblico, esporsi, raccontarsi, condividere musica e vita, avere il coraggio di svelarsi, confrontarsi, regalare la propria essenza, esporsi a un pubblico con il vero volto, senza schermature o effetti speciali, tu, la tua musica e il tuo essere. Perché pagare per tutto questo? Perché sorbirsi incapaci oratori che calpestano il palco, spaventati o timorosi, nervosi e ansiosi, preoccupati di sbagliare ed emozionati dalla luce che li illumina sottraendoli al contesto? Perché la musica è anche tutto questo: sbagliare, lasciare alle spalle la perfezione figlia di un progresso deleterio, suonare per godere, per piacere, sopratutto a se stessi. Vaneggio, lo so, so anche che è dura subire tra le poltrone della platea l’intrepido tentativo di qual- cuno sul palco che cerca di comunicarmi qualcosa senza riuscirci. So che sarebbe fastidioso sentire frasi scoordinate o concetti stralunati tenuti insieme da nessun pensiero logico. Poi ripenso a un film intitolato Oltre il giardino con Peter Sellers, dove uno sconnesso giardiniere veniva genialmente ‘interpretato’ nel suo vaneggiare; oppure più di recente a Francesco De Gregori, che a chi gli chiedeva dettagli sui suoi testi rispondeva con una storica “Niente da capire”. Un concerto allora forse non è fatto di sola musica, ma è fatto di persone che provano sentimenti. In un tour di tanti anni fa ricordo un mio amico/ collega chitarrista che era stato lasciato dalla moglie e piangeva tutto il giorno, ma la sera, salito sul palco, rideva, scherzava e faceva divertire. Un giorno gli chiesi come mai. Mi sembrava strano questo contrasto tra la grande tristezza nel retropalco e la grande allegria sul palco, e lui mi rispose che la gente pagava per divertirsi… Ecco, ora non sono più tanto d’accordo su questo concetto, oggi mi verrebbe voglia di dirgli che forse la gente pagava per capire, per capirti, darti una mano ad affrontare la vita ed essere te stesso. E poi non è proprio vero che «Ma cosa gliene frega agli altri dei nostri sentimenti»… Forse il mondo è quello che è proprio per questo, perché pensiamo che a nessuno freghi niente di noi. Invece no, proviamo ad esporci con coraggio e orgoglio, onestà e sincerità e una spolverata di emozioni. Ed il gioco è fatto, nessun mistero ma solo verità. E che si spengano le luci e la musica abbia inizio. Ecco a voi l’uomo! 11 chitarra acustica 11 duemiladodici rc Nibs van der Spuy A House across the River 2 Feet Music – Sheer Group Quest’ultima produzione, uscita nel 2010, è già il nono album di Nibs van der Spuy. Una lunga carriera che, nonostante l’ancora giovane età, lo ha fatto riconoscere come uno dei più originali esponenti del Nu Folk e che gli ha consentito di affermarsi sempre più sulla ribalta internazionale. Nove brani originali (tra i quali due strumentali) e due cover (l’acustica “Little Martha” di Duane Allman e “Cripples Cry” di Tim Buckley), che confermano le grandi doti artistiche di questo chitarrista-cantautore sudafricano. Tutte le tracce vedono Nibs protagonista strumentale: armonica, chitarre acustiche ed elettriche sono tutte suonate da lui, oltre alla voce e al cuatro portoricano (lo strumento a cinque corde doppie che imbraccia nella foto di copertina), con il quale richiama le tipiche sonorità degli strumenti a corda africani come la kora. Le percussioni e il piano di Gareth Gale, insieme al basso e al violoncello di Kieran Smith, completano l’ensemble in studio, senza dimenticare le prestigiose partecipazioni di Piers Faccini e dell’amico Guy Buttery, con il quale divide spesso il palco nei suoi tour com’è accaduto quest’ultimo settembre al festival internazionale Madame Guitar di Tricesimo in provincia di Udine. Fin dalla prima traccia “A Hou- recensioni se Across The River”, compreso “Nieu Bethesda” all’odor di Ben Harper, in tutti i brani è sempre presente una leggera vena malinconica, maggiormente caratterizzata dal particolare timbro vocale che ci riporta alla mente un certo Nick Drake (“My Little Singing Bird” è illuminante sotto quest’aspetto, grazie anche alla presenza di un violoncello nel delicato arrangiamento) o il primo Cat Stevens (“Once I Climbed A Lion Mountain” sembra estratta da Teaser and the Firecat) . Quella di van der Spuy è una musica che mira prima di tutto al cuore, che all’influenza della musica anglosassone bianca associa le forti radici della musica corale Zulu, il tutto riproposto con una veste acustica e molto intimista. Alfonso Giardino Béla Fleck and the Marcus Roberts Trio Across the Imaginary Divide Rounder/EgeaMusic Già da tempo Béla Fleck ci ha abituati al suo newgrass, quella forma di bluegrass cosiddetto progressivo con marcati elementi swing. E i musicisti di area jazzfusion con i quali ha dato vita al suo gruppo più famoso, i Flecktones, stanno lì a dimostrarlo. Ma qui si sta prendendo in considerazione un jazz neoclassico, che recupera gli elementi migliori del primo jazz adulto, quello di Thelonious Monk, Art Tatum, Duke Ellington, lo stesso George 12 chitarra acustica 11 duemiladodici Gershwin. Può il bluegrass incontrare questo jazz? Ebbene sì. Ancora una volta le sonorità del banjo di Fleck trovano la chiave giusta per entrare in un mondo solo apparentemente lontano e sconosciuto. La cronaca ci racconta di quella sera in cui il grande banjoista si reca al Savannah Music Festival solo per ascoltare il pianista Marcus Roberts, di essere invitato sul palco per suonare con la band, e… che la cosa ha maledettamente funzionato! Un anno dopo Béla Fleck e Marcus Roberts accettano di esibirsi ufficialmente insieme per la prima volta proprio al Savannah Music Festival. Il trio di Marcus Roberts, nato nel 1995, è un ensemble, si diceva, d’impostazione classica, dallo stile melodico, ma allo stesso tempo pieno di contrasto dinamico. Oltre al pianista leader, che ha iniziato la carriera nella big band del trombettista Wynton Marsalis, il trio conta Rodney Jordan al contrabbasso e Jason Marsalis (sì, la famiglia è la stessa di Branford e Wynton) alla batteria, una ritmica di gran classe. Dal canto suo Béla Fleck è da tempo riconosciuto come il più importante virtuoso di banjo del mondo. Ha letteralmente reinventato l‘immagine e il suono del banjo attraverso una carriera straordinaria e una serie di progetti musicali innovativi. Come questo Across The Imaginary Divide, naturale seguito dell’esperienza positiva degli incontri al Savannah Music Festival. Un disco divertente, fresco, brillante, dove la maestria tecnica, i funambolismi stilistici non sempre naturalmente contigui e la grande cantabilità s’intrecciano magistralmente. I due leader sembrano suonare insieme da una vita. A volte, come in „Petunia“, il terreno comune del blues richiama entrambi ad un’intesa ancestrale; in altri casi, come in „Kalimba“, va reinventato tutto, rc c’è da dissodare un terreno vergine che porta verso scenari armonici e ritmici assolutamente inediti. Naturalmente c’è anche lo swing tradizionale, che riporta il banjo di Fleck ad accenti più ‚domestici‘, pur se comunque non proprio consoni alla sua grammatica originaria, ma con il risultato comunque di essere sempre credibile, sempre dentro il pezzo. Una bella prova discografica dove il virtuosismo è sempre al servizio della classe, del grande gusto musicale. Gabriele Longo Massimo Varini Urban Guitar Kymotto Music Chi conosce Massimo capirà subito che in questo nuovo CD c’è dentro tutta la sua vita, un lavoro in qualche modo riepilogativo di un lungo percorso, un sommario di eventi che descrivono la storia di questo musicista che ha fatto della chitarra la propria arte e il proprio mestiere. Urban Guitar è un viaggio alla scoperta di mondi diversi non sempre contigui od omogenei, ma che hanno alla base le sei corde e la maestria interpretativa di Varini. La chitarra si presenta sia nuda che vestita della voce di Rossella Zanasi, una voce grintosa e determinata che combatte ad armi pari con la tecnica chitarristicha di Massimo. “Luce”, “Sign Your Name”, “Smooth Operator”, “Come Together” sono i brani cantati, che danno a questo lavoro un’impronta diversa dai precedenti e aprono il CD a un pubblico più vasto, che difficilmente tollererebbe un disco solo suonato. Quello di non ‘annoiare’ è un vecchio problema dei chitarristi acustici, e questi inserimenti cantati danno a tutto il percorso d’ascolto una piacevole diversità. Descrivere brano per brano le emozioni di ogni singolo pezzo sarebbe complesso e il giudizio sarebbe troppo personale. Certo è che durante l’ascolto si creano delle preferenze legate alle proprie esperienze e ai propri gusti: io per esempio reputo un bel gioiello “When the Castles Crumbled” (composto la notte del terremoto in Emilia), un brano nel quale ho trovato molta italianità, molte citazioni – forse inconsce – della musica di Piovani. Sarà questione di gusti, ma le cose più ‘romantiche’ di Varini sono quelle che mi catturano di più: sembra proprio che in quei brani Varini trovi la sua giusta lunghezza d’onda comunicativa. Neanche una nota si perde e alla fine del brano ogni singola nota suonata la ritrovi dentro di te, conservata nel giusto ordine pronta a essere riassaporata dalla memoria. “Leonanna” è un altro pezzo importante della vita del chitarrista, un brano in cui il cuore scivola attraverso le mani bagnando le corde della chitarra di passione e amore. Questo lavoro restituisce a Massimo la sua dimensione pop, che è un po’ all’origine di una così lunga carriera: un CD autobiografico, che evidenzia le diverse esperienze musicali maturate negli anni e che qui ritrovano un giusto momento di riflessione. In effetti questo disco lo trovo molto ‘da palco’, molto suonato, molto ritmico, deciso e aggressivo. “Il mio mondo è in Do settima” è un esempio di set live, che identifica questa voglia di spettacolo e di musica dal vivo. Che il ‘vecchio’ rocker sia tornato tra noi armato di una chitarra acustica? Registrazione e suono come sempre impeccabili. Reno Brandoni 13 chitarra acustica 11 duemiladodici Finaz Guitar Solo Mojito Records Finaz, la ‘chitarra virtuosa e solitaria’ della Bandabardò, si cimenta in un disco di sola chitarra acustica. Ed è sempre un gran piacere quando un chitarrista proveniente dal mondo dei gruppi e della musica pop e rock si avvicina al mondo della chitarra acustica, un mondo che rischia a volte di rinchiudersi in se stesso e nel quale elementi esterni possono portare tutta l’energia che deriva da una maggiore consuetudine con un rapporto vivo con il pubblico. Questo è tanto più vero nel caso di un musicista della Bandabardò, da sempre una delle band più attive nel circuito dei concerti dal vivo. Come ci si poteva aspettare, gran parte di Guitar Solo si esprime in un linguaggio di ‘rock acustico’, che si manifesta tecnicamente attraverso un uso efficacissimo del plettro, del plettro unito alle dita e dello strumming. Ma si tratta di un rock acustico che, com’è nelle corde della Bandabardò, assorbe molti generi diversi in uno spirito di contaminazione, attraverso citazioni e sviluppi originali, senza mai dimenticare l’amore per i frenetici ritmi popolareschi e i ritornelli da intonare assieme a squarciagola. Si va dalla Spagna di “Malagueña”, con suoni ispirati all’oud sulle corde di nylon, al flamenco di “Como el sol”; dal Brasile di “One by One”, con l’imitazione del berimbao, a “Tango” e “Tarantella”. Finaz fa anche un uso esteso dei nuovi stili chitarristici a due mani, del tapping e delle percus- rc sioni sulla chitarra. E qui viene fuori prepotentemente la sua tecnica notevolissima: a tratti sembra di ascoltare delle sovraincisioni ma, guardando i suoi video di alcuni di questi brani su YouTube, ci si rende conto che sono effettivamente suonati a solo e in diretta. Il fatto è che Finaz riesce sempre a incastonare in modo serrato queste nuove tecniche nell’insieme del brano, in modo sempre funzionale al senso della composizione, senza cedere mai alle lusinghe del solo virtuosismo, ma facendolo sempre convivere con la necessaria energia espressiva. Ascoltare “Blue Haze”, originale citazione dello spirito hendrixiano, per credere. Non mancano poi gli esempi di vero e proprio fingerstyle, più vicini al mondo specifico della chitarra acustica. Sono esempi che ripropongono soprattutto i nuovi orientamenti del genere, basati sulle accordature alternative e sulle tecniche percussive, come “51st Street” nella classica accordatura DADGAD dagli accenti celtici, o la meno tradizionale “New Song” in DADG#AD, che evoca le lezioni di Michael Hedges. Insomma un disco molto vario, suonato benissimo, che si ascolta con piacere dall’inizio alla fine, grazie anche all’inserimento di alcuni brani più intimi e di atmosfera. L’esordio solista di Finaz ha superato brillantemente la prova, ma non poteva essere altrimenti con una ‘chitarra virtuosa e solitaria’ come la sua. Andrea Carpi Davide Peron Fin qui www.davideperon.it Lo dico subito: anche se questo nuovo album di Davide Peron fosse composto da un’unica traccia – “Na stela alpina” (non è un errore: il testo è in lingua veneta), ripresa in chiusura da una intensa versione corale – varrebbe la pena averlo e ascoltarlo. Raramente, infatti, capita di trovarsi ad un crocicchio nel quale semplici- tà, profondità e poesia si incontrano, con così tanta naturalezza. Brano bellissimo, che – non so per quale ragione (probabilmente la cadenza, visto che non ci sono altri punti di contatto) – trasmette qualcosa di quella struggente melancolia cubana che pervadeva un capolavoro come Buena Vista Social Club. Quella di Davide Peron è certo canzone d’autore di qualità. È evidente, infatti, la lezione nobile di grandi maestri tra i quali De André e De Gregori (aggiungerei anche Massimo Bubola – veneto anch’egli – soprattutto per la sua produzione al fianco di De André) nella scelta dei temi (le cose semplici della vita vera, la terra, l’amore, la guerra), nel ‘senso della frase’ (mi riferisco al rapporto linea melodica/testo), nella scelta di sonorità che spaziano dal blues acustico alla ballad, a certa world music. Lezione prima sapientemente interiorizzata, poi intelligentemente dimenticata – come dovrebbe fare ogni artista – e, alla fine, sublimata in una lingua personale (sia in termini vocali che compositivi) fra le più interessanti tra quelle che si possono ascoltare oggi nel nostro paese. Canzone d’autore, dunque, ma soprattutto canzone d’altura. Musica – verrebbe da dire – per le ‘alte vie’. Non è affatto un caso, infatti, che nell’estate 2008 il musicista vicentino abbia dato vita ad un progetto affascinante come “Mi rifugio in tour”, suonando nei rifugi di montagna delle piccole Dolomiti. Per Davide la montagna non è semplice sfondo. È ben altro. È fondo. Vale a dire: senso delle cose. Una compagna di viaggio irrinunciabile, grazie 14 chitarra acustica 11 duemiladodici alla quale è davvero possibile dare il giusto significato alla parola panorama: ‘vedere tutto’. Sì, perché la montagna è così: più sali su di lei, più scendi dentro di te. Un cammino, lento e faticoso, che è sia ascesa che ascesi. «Ho sbiancato la mia anima col sudore che mi ha lavato il cuore», canta nella bellissima “Na stela alpina”. E ancora: «E lassù sulla cima, che mi aspettava da prima ancora che partissi, ho trovato una stella alpina che sapeva già tutto di me» (la traduzione è della mia metà di sangue veneto. Spero che sia buono – il sangue, intendo – e che non menta). Salendo, dunque, ci si allontana dalla superficie delle cose, per avvicinarsi alla loro sostanza. Dal fenomeno, avrebbe detto qualcuno, al noumeno. Dall’apparenza – diciamo noi comuni mortali – all’essenza. Dall’alto, infatti, le cose ritrovano le giuste proporzioni e noi riusciamo, finalmente, a distinguere cosa e chi conta davvero e cosa e chi, invece, è solo ‘chiacchiere e distintivo’, orpello, ingombro, ostacolo. Salire per capire, verrebbe da dire. E ascoltare per risalire. E le canzoni – quelle buone, almeno – sono montagne rovesciate. «Più le mandi giù, più ti tirano su», come avrebbe recitato un vecchio spot del caffè. Ascoltare per credere. Belle le canzoni, belli gli arrangiamenti, bella l’ambientazione ‘unplugged’, bellissime le chitarre (grazie anche alla sapienza di un certo Andrea ‘Manne’ Ballarin), bella e profonda la batteria (piena e tonda come nel miglior Bandini), belli i sax, belle le voci: più di così! Che altro dire? Nulla. Solo: grazie, caro Davide, di averci portati Fin qui. Alla prossima scalata. Se, in chiusura, mi è permesso suggerire un abbinamento, direi che ideale contrappunto di quest’album potrebbe essere Sulla traccia di Nives (Mondadori, 2006), straordinario incontro di anime e montagne, firmato da Erri de Luca e Nives Meroi. Giuseppe Cesaro BREVI, SEGNALAZIONI, OLDIES BUT GOODIES rc tarristica inarrivabile, tutt’altro. E non ha la classica voce impostata e ‘studiata’. Ma ha qualcos’altro: quel leggero alone di magia che impone il silenzio, attorno, quando imbraccia uno strumento e si mette a cantare. Anche la produzione in studio è stata molto attenta a mantenere questo effetto, sincero e immediato, anche su disco. Bisogna approfittarne. Michelangelo Piperno MP3 MP Music Production fingerpicking.net Nella nostra recensione del metodo Original Compositions, realizzato dal fondatore della scuola Music Academy Roma per fingerpicking.net – Carisch (Chitarra Acustica, aprile 2012), avevamo scritto, presentandoli, che i brani che lo compongono fanno parte del suo repertorio live: ed ecco che ben otto su nove sono anche in questo suo terzo lavoro discografico. A questi si aggiungono due suoi arrangiamenti per omaggiare la canzone d’autore italiana (“Attenti al lupo” di Lucio Dalla e “Vieni via con me” di Paolo Conte), una sua composizione di nuova produzione (“Buddy Brothers” ed il groove la fa da prodone) ed un vivace medley in fingerpicking (“Miss Medley”, con “Donna” del Quartetto Cetra e “Amarcord” e “8 ½” di Nino Rota). Con questo suo lavoro Michelangelo Piperno conferma di essere in possesso di ottima tecnica, gusto ed ispirazione artistica, tutto in egual misura, grazie ai molteplici stimoli che la sua intensa attività di didatta e concertista gli offrono. Alfonso Giardino Matt Epp Never Have I Loved Like This Acoustic Music Records È canadese. Suona la chitarra e l’armonica. Canta. A chi state pensando? No, siete sulla cattiva strada. Anche se non è difficile immaginare che l’accostamento con ‘Nello il Giovine’ potrebbe non dispiacere al buon Epp. Che non è dotato di una tecnica chi- del chitarrista berlinese esce un Bach sorprendentemente moderno e coinvolgente, e la scelta del repertorio è un’ottima ‘scusa’ per scoprirne le composizioni meno note e popolari. Per andare oltre la solita “Bourrée”, insomma, è il disco giusto. Markus Segschneider Hands at Work Acoustic Music Records Terzo CD solista del chitarrista tedesco, sempre per la Acoustic di Peter Finger, che mette in bella evidenza la maturazione di un ottimo musicista. Markus è un fingerstyler duro e puro, in grado di regalare brani eleganti, con belle melodie e un solido impianto di arrangiamento. Ha anche un bel ‘tiro’, cosa che non guasta, e non disdegna un certo ecletismo nella scelta del repertorio e dei generi da affrontare. Manca niente? Pare di no… infatti è un gran bel lavoro. Martin Hegel Bach Solo Acoustic Music Records Ci vuole un gran coraggio per proporre arrangiamenti originali di brani di uno dei più grandi compositori della storia. Oltre a una profonda conoscenza della materia. Vincitore della prima edizione della “Bach International Competition”, Martin Hegel ha evidentemente grande dimestichezza con la musica del grande Thomaskantor. Così come è lampante, sin dalle prime note, il solido bagaglio tecnico su cui si poggia questa impresa. Dalle mani 15 chitarra acustica 11 duemiladodici Sándor Szabó & Dean Magraw Reservoir Acoustic Music Records Se si prendono un ungherese e un americano (no, non è l’attacco della solita barzelletta), preferibilmente chitarristi di livello altissimo, magari dediti alla sperimentazione e all’improvvisazione, e li si chiude in uno studio di registrazione per qualche giorno, i risultati possono essere sorprendenti. Soprattutto se si tratta di Sándor Szabó e Dean Magraw. Certo non si tratta di un disco ‘facile’ e necessita di qualche ascolto, anche piuttosto attento. I brani sono lunghi – si arriva a superare gli 8 minuti in “Cloud” – articolati e complessi. Non c’è niente di prevedibile in un lavoro di questo genere. Ed è proprio il suo bello. ar artisti Da Montecilfone all’Africa Intervista ad Antonio Forcione di Andrea Carpi Fortunatamente, da qualche anno a questa parte, Antonio Forcione si fa vedere più spesso nel nostro paese, anche grazie al felice diffondersi dei festival di chitarra acustica. Lo abbiamo incontrato l’anno scorso a Madame Guitar, per due edizioni di seguito a Un Paese a Sei Corde e infine a settembre ad Acoustic Franciacorta, incontro dal quale è scaturita questa intervista. La sua partecipazione alla rassegna in Franciacorta è stata di poco successiva alla presentazione ufficiale del suo nuovo disco Sketches of Africa, avvenuta all’Edinburgh Festival Fringe lungo tutto lo scorso mese di agosto. Sketches of Africa, da noi recensito nel precedente numero di ottobre, era un disco molto atteso, poiché giunto dopo parecchi anni dai suoi ultimi lavori, Antonio Forcione Quartet in Concert del 2007, edizione in CD delle registrazioni contenute nel precedente DVD omonimo del 2005, e lo splendido album in duo con Charlie Haden, Heartplay del 2006. bum, “Madiba’s Jive”, che presenteremo in due puntate su questo e sul prossimo numero. È con queste parole che Antonio ha introdotto il pezzo: «“Madiba’s Jive” è un omaggio a Nelson Mandela, un uomo tra gli uomini, che ha ispirato e combattuto per intere generazioni di persone con la sua visione e la sua umanità. In questa traccia volevo fondere gli elementi che, a mio parere, sarebbero stati appropriati per descrivere l’aspetto umano di questo grande uomo. Anche se lui è principalmente associato alla dignità, alla saggezza e alla grazia, Ora possiamo dire che le aspettative non sono state disattese, visto che questi ‘Schizzi dell’Africa’ si dimostrano un’opera molto ricca e coinvolgente, accolta subito con favore dalla stampa specializzata tanto da meritarsi, tra gli altri riconoscimenti, di figurare come “Disco del mese” su questo numero di novembre della prestigiosa rivista inglese Guitar Techniques. Insieme all’intervista, Antonio ci ha anche concesso la pubblicazione di una trascrizione molto completa, con tanto di parti percussive e sovraincise di chitarra, del brano di apertura dell’al16 chitarra acustica 11 duemiladodici Intervista ad Antonio Forcione ar ho cercato di catturare con semplicità il suo umorismo e il suo sorriso nel groove della musica, come la positività che mi ispirava». Questa descrizione, in fondo, vale anche per l’intero Sketches of Africa. In occasione di un tuo concerto di due estati fa nel tuo paese d’origine in Molise hai raccontato: «Avevo circa otto anni quando, passeggiando per le strade di Montecilfone sono stato attratto dalla musica che veniva fuori da un’osteria, una classica osteria con gli uomini che giocavano a carte e bevevano vino e due musicisti con fisarmonica e chitarra. Ecco, sono rimasto colpito da quell’atmosfera fantastica fatta di allegria e musica. È questa stessa atmosfera che cerco sempre di ricreare nei miei concerti dovunque io vada, perché credo fermamente nel potenziale sociale della musica». Quanto è stata importante l’Africa di Sketches of Africa per mantenere vivo questo potenziale sociale? Il primo invito a suonare in Africa mi è arrivato nel 2006 dall’Harare International Festival of the Arts (HIFA) nello Zimbabwe, dopo un’esibizione del mio Antonio Forcione Quartet al Festival di Edimburgo. Sapevamo che lo Zimbabwe stava attraversando un periodo particolarmente difficile ma, nonostante il rischio e i pochi soldi disponibili, abbiamo accettato l’invito. Sono seguiti due bellissimi concerti sotto le stelle, in una specie di ‘anfiteatro’ di mille posti costruito su una struttura semplice di travi di legno, con cavi di corrente pericolosamente collegati e uno staff di tecnici simpatici, che lavoravano con ritmi molto lenti. Ad un certo punto in concerto, durante il mio solo di chitarra, l’elettricità è andata in black out e ci siamo ritrovati tutti al buio senza luci e senza impianto di amplificazione. A quel punto, non potendo continuare, ho salutato e mi sono diretto verso il retropalco. Mentre uscivo, però, mi è sembrato sbagliato abbandonare la scena e lasciare il pubblico alle precarietà del sistema, così sono tornato indietro e mi seduto sul bordo del palco invitandoli a schioccare le dita al ritmo della “Pantera rosa” di Henry Mancini. Be’, non vorrei esagerare, ma la reazione del pubblico è stata immediata: improvvisamente si era creata una complicità in un gioco collettivo tra me e il pubblico, dove la musica fungeva da veicolo e la precarietà del buio si è trasformata in magia sotto le stelle. Un rito antico che mi ha ricordato quell’energia dell’osteria di tanti anni prima… Un’esperienza che non dimenticherò mai. È stata la bellezza e la forza di quella gente che mi ha ispirato a scrivere il brano “Song for Zimbabwe” per Sketches of Africa. Con la chitarra Uddan cosa hai trovato su quelle rive lontane, com’è avvenuto l’impatto tra il tuo retroterra prevalentemente latino e la musica del continente africano? Posso dire che le lancette della bussola dei miei viaggi puntano spesso e volentieri verso le direzioni di una musica che cerca le radici. L’Africa la sento come la madre di tutto questo. Ho la fortuna di vivere a Londra da circa trent’anni e ho potuto verificare direttamente gli intrecci musicali di tutto il mondo e la validità di questa idea. Nella musica, diversamente dalla realtà politica, le frontiere non esistono e c’è un po’ di Africa in ogni cultura. L’ossatura dell’album è realizzata con i componenti dell’Antonio Forcione Quartet, la violoncellista inglese di origini nigeriane Jenny Adejayan, l’australiano Nathan Thomson al contrabbasso, flauti e kalimba, e il brasiliano Adriano Adewale alle percussioni: puoi raccontarci come si è formato questo gruppo di ‘musica del mondo’ e come è entrato nel progetto africano? Ho conosciuto Jenny Adejayan nel ’96-97 durante un evento a Londra, nel quale si alternavano musicisti, umoristi e poeti. Quella sera le ho dato un passaggio a casa e regalato il mio album Acoustic Revenge. L’ho rivista un anno più tardi in occasione di un mio concerto, e mi ha confessato di aver letteralmente consumato il mio CD per le tante volte che lo aveva ascoltato. Poco dopo abbiamo a provare insieme e da lì è nata una delle collaborazioni più durature della mia carriera. Jenny non è soltanto una grande violoncellista con un’educazione musicale classica, un orecchio assoluto e capacità melodico-ritmiche impressionanti. Jenny è anche una gran bella persona, con una sensibilità, umiltà e onestà disarmanti, una delle mie amiche più care. Il tocco bellissimo di Adriano l’ho intuito mentre viaggiavamo in macchina ascoltando la sua musica registrata… Rimasi talmente colpito dalla delicatezza del suo stile e dall’affinità che sentivo col mio modo d’intendere la musica, che ho voluto conoscerlo immediatamente. È nato subito un bel rapporto con lui e lo sento come un fratello più piccolo. La sua energia e la passione per il suo lavoro lo rendono un artista speciale. La sinergia che si crea A proposito di un altro brano del disco, “Tarifa”, ispirato dalla località che si trova nella punta più meridionale della Spagna, hai raccontato la grande emozione che aveva suscitato in te la vista in lontananza delle coste dell’Africa. Avendo già abbracciato altri universi musicali come la musica spagnola, brasiliana, popolare italiana, 17 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Intervista ad Antonio Forcione sul palco con lui rende la performance un’esperienza elettrizzante. Riguardo a Nathan, Jenny mi parlò molto bene di lui, con il quale aveva lavorato qualche anno prima. Lo contattai e cominciammo a registrare l’album Tears of Joy. Per la sua estrema riservatezza, ho scoperto con fatica altre sue doti: suonava bene il flauto, aveva un bagaglio di esperienza di musica africana e di radici etniche, aveva vissuto e suonato con musicisti della Tanzania; in ultimo, ma non per minore importanza, si dedica ad attività di recupero di bambini con difficoltà psichiche e motorie. Lo ringrazio per avermi coinvolto insieme agli altri in questa attività. Mi chiese un po’ di tempo per scrivere le parole e disse che mi avrebbe contattato più in là per spedirmi le tracce con le voci. È stato un giorno di pura gioia per me e il co-produttore Chris Chimsey, quando abbiamo ascoltato le tracce della sua registrazione. Altri musicisti africani sono Seckou Keita del Senegal all’arpa-liuto kora, Juldeh Camara dal Gambia al violino monocorde riti e il cantante sudafricano Zamo Mbutho. Ci puoi raccontare il tuo incontro e la tua collaborazione con loro? Ho conosciuto Seckou Keita tramite il contrabbassista Davide Mantovani. L’ho invitato a casa per una jam e abbiamo suonato per ore ininterrottamente, sembravamo come due bambini in un luna park. Così abbiamo deciso di mettere su un repertorio e, poco dopo, abbiamo debuttato in una chiesa sconsacrata qui a Londra, una bella esperienza da ripetere al piu presto. Infatti, nel 2011, ci siamo presentati insieme ad Adriano Adewale al Festival di Edimburgo come AKA Trio. I concerti sono stati molto apprezzati dai critici e dal pubblico, culminando in una apparizione nella rete nazionale della BBC. Per quanto riguarda Julde Camarah, una sera al ritorno da un concerto, il mio fonico mi parla di un musicista del Gambia che suona un violino ad una corda… Fermo subito la macchina e chiedo il suo contatto! Vive in Inghilterra e tra l’altro ha lavorato anche con Robert Plant. Lo contatto e gli propongo di registrare un paio di brani nel mio album, “Africa” e “Sun Groove”. In studio la sua perplessità iniziale, che avvertivo nel suo sguardo, si scioglie poco dopo in un grande sorriso durante l’ascolto di “Africa”. Si siede, parte la registrazione e lui comincia subito a partecipare con movimenti del corpo, mentre dal Al disco hanno collaborato anche musicisti provenienti da diverse parti dell’Africa. In particolare sono curioso di conoscere come si è sviluppata la già citata “Song for Zimbabwe”, interpretata dalla cantante dello Zimbabwe, Chiwoniso Maraire, e costruita su un suo testo. Durante la mia prima visita al Festival di Harare, ho avuto l’occasione di ascoltare molta musica del posto e di conoscere, tra i tanti musicisti, la bravissima cantante Chiwoniso Maraire. Dopo un suo bellissimo concerto, siamo andati in un caffè e abbiamo parlato di interessi comuni, quindi ovviamente di musica e musicisti. Quando ci siamo salutati, mi ha regalato un CD stupendo di materiale originale. Al ritorno ad Harare nel 2011, avevo già pronto quasi tutto il materiale per il progetto Sketches of Africa. Sentivo però il bisogno che Chiwoniso cantasse il brano “Song for Zimbabwe”, in quanto lei – non solo come artista di cui apprezzavo le doti, ma avendola conosciuta personalmente – aveva un forte valore di riferimento per rappresentare il meraviglioso popolo dello Zimbabwe che avevo conosciuto. Festival di Edimburgo con Anselmo Netto, Matheus Nova e Mother Africa 18 chitarra acustica 11 duemiladodici News By FingerPrint suo ‘violino’ partono fraseggi di un linguaggio estremamente espressivo e privo di regole, bellissimo e indecifrabile. Sempre durante la registrazione, io e Chris rimaniamo ancora piu stupiti quando Julde abbandona il violino e comincia, ad occhi chiusi, a parlare in un dialetto africano: ci spiegherà dopo che era per raccontare l’emozione del momento che stava vivendo con noi, in una dimensione ‘ritrovata’. Infine Zamo Mbutho: ero in uno studio di registrazione a Johannesburg, alla ricerca di una voce idonea per la parte del coro di “Song for Zimbabwe”; mi fanno ascoltare diverse voci e mi colpisce in particolare quella di Zamo. Ho la fortuna di poterlo contattare e nel giro di due ore concludiamo il lavoro con reciproca soddisfazione. Vengo a sapere, chiacchierando con lui, che per più di venticinque anni ha lavorato con Miriam Makeba in tournée e registrazioni! Peter Finger Works, vol. 1 Guitar Workshop Order No. FP 8125 v 24,90 Book + CD, 128 p., notation and tabs L’album è registrato e co-prodotto da Chris Kimsey, notissimo in particolare per avere a lungo collaborato con i Rolling Stones. Come si è svolto il vostro lavoro insieme? Io e Chris Kimsey siamo amici da più di sette anni e abbiamo diverse conoscenze in comune. Quando mi ha sentito suonare dal vivo la prima volta, ricordo che alla fine del concerto venne in camerino per complimentarsi e mi abbracciò. In seguito ci siamo visti in più occasioni e, ogni volta, ci ripromettevamo di collaborare. Così, un anno fa, l’ho chiamato senza esitare e gli ho proposto il progetto. Collaborare con un mostro sacro del rhythm and blues può sembrare un po’ contraddittorio per uno come me che opera in una dimensione acustica. Però, devo dire che la sua concezione di sintesi, com’è quella del R&B, è stata a mio parere un giusto equilibrio per il progetto Sketches of Africa. La professionalità e la lunga esperienza di Chris mi hanno permesso di ‘volare in alto’, sapendo di avere un tecnico con i piedi ben saldi per terra e le mani sui tasti giusti. 24,90 v Come to My Window • Dream Dancer • Liebeslied • We’ll Meet Again • Passing Clouds • Niemandsland • Unvergesslich • Onkel Frédéric • Vive la vie • Over the Horizon • Ballad for a Princess • Sinn ohne Worte • Vielleicht im nächsten Leben A book and CD to play along with, to be inspired by, but above all - to enjoy! Nel disco si ascoltano molti riff, molta melodia, molto ritmo, alcune divisioni ritmiche complesse, molte sonorità diverse: quali sono stati gli elementi principali con cui hai cercato di catturare lo spirito delle musiche africane? La musica ‘africana’, come quasi tutte le musiche etniche, muove qualcosa che non ha molto a che fare con gli studi musicali. È qualcosa di sofisticatamente primordiale, è una lingua parlata con il corpo, con lo spirito e con un’istintualità infantile, che mi affascina e coinvolge per la profondità emozionale… this volume brings together thirteen of Peter Finger’s finest pieces, compositions which originated in the course of his travels, at home, or in the recording studio. thoughts and experiences, translated into the language of music. this makes “Works” an extremely personal opus, a kind of musical autobiography which leaves the reader eager for a sequel. As well as detailed depictions of all pieces in musical notation and tablature, with clear directions for fingerings and playing techniques, this volume includes for the first time transcriptions of the improvised passages, thus making them understandable and above all playable for other guitarists. È difficile ormai collocare il tuo stile chitarristico: in effetti c’è un po’ di tutto, dal fingerstyle all’uso del plettro, dagli stacchi ritmici agli assoli, dalle corde di nylon alle corde di metallo, dalla sei corde alla dodici corde, dai fraseggi ‘stoppati’ all’uso di chitarre fretless… Come ti definiresti oggi come chitarrista? Non saprei proprio definirmi come chitarrista. Non lo sento come un mio bisogno. Per me, comunque, Acoustic Music GmbH & Co. KG Postfach 19 45 · 49009 Osnabrück · Germany tel.: +49-(0)5 41 - 71 00 20 · Fax: - 70 86 67 email: [email protected] w w w . a c o u s t i c - m u s i c . d e 19 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Intervista ad Antonio Forcione APX-10 con pickup Yamaha SPX-10, Fishman Rare Earth e microfono interno. La mia pedaliera comprende un pedale volume Boss FV300L, un Boss Super Octave OC-3, un Fishman Pro EQ Platinum per il pickup, un Fishman Dual Parametric D.I. per il microfono interno e un riverbero Strymon Bluesky. In particolare cosa sono le Admira Uddan e Octan fretless che usi nel disco? Cosa significano i loro nomi? L’idea di avere uno strumento fretless mi è venuta dopo aver ascoltato il suono dell’oud, che ha origini risalenti all’antica Persia. La chitarra Uddan è una chitarra a sei corde di nylon modificata, con l’aggiunta di altre otto corde trasversali. L’Octan è a sua volta una chitarra a sei corde di nylon modificata, senza corde supplementari e con corde molto più grosse, per ottenere un’accordatura all’ottava inferiore. Lo strumento è stata rinforzato internamente perché le corde, essendo molto più spesse, producono una maggiore tensione sul manico e sulla cassa armonica. Il nome Uddan è composto da ‘udd’, che sta per ‘oud’, e da ‘an’, che sono le due prime lettere del mio nome. Il nome Octan invece è composto da ‘oct’, che sta per ‘octave’, e ‘an’. Festival di Edimburgo con Mother Africa l’uso di tecniche, gli strumenti, gli stili diversi non sono l’obiettivo vero, ma appunto gli ‘strumenti’ che ritengo più idonei di volta in volta a inseguire un’idea musicale che ho in mente. Con che formazione hai presentato Sketches of Africa all’Edinburgh Festival Fringe? Il Festival di Edimburgo è l’appuntamento più importante dell’anno per la mia attività. Ho partecipato a circa diciannove edizioni negli ultimi ventun’anni ed è stato senza dubbio la mia miglior palestra, non solo dal punto di vista artistico, ma anche di vita. La scelta di presentare il mio album Sketches of Africa al mio pubblico più fedele in un teatro di trecentosettanta posti per ventiquattro sere consecutive era una decisione più che ovvia. Ho suonato all’inizio in trio con Seckou Keita alla kora e Dado Pasqualini alle percussioni, che mi hanno accompagnato per undici serate. Poi ho continuato con un nuovo trio insieme ad Anselmo Netto alle percussioni e Matheus Nova al basso acustico. E abbiamo avuto anche la fortuna di ospitare artisti provenienti dallo Zimbabwe e dal Sudafrica, ospiti speciali come le cantanti e ballerine del gruppo Mother AfricaUn’esperienza indimenticabile. La tua ‘portata’ come musicista tende a travalicare i limiti di un pubblico di appassionati della chitarra e a toccare una platea più vasta: qual è il segreto attraverso il quale un chitarrista ‘solista’ può raggiungere ogni tipo di pubblico? Non so e non credo ci siano formule. Io non faccio altro che inseguire il mio istinto e il mio senso artistico. Il fatto di voler raggiungere ogni tipo di pubblico non è certo un mio obiettivo, anche se non nascondo che – quando vedo tre generazioni coinvolte nei miei concerti – mi fa molto piacere scoprire che la mia musica tocca molte persone. Ci puoi parlare della tua strumentazione in studio e dal vivo? In studio tendo a privilegiare molto di più il suono acustico rispetto a quello dei pickup. Quindi cerco di fare un buon uso di microfoni esterni, di solito due, come il Neumann o l’AKG 114, posizionati l’uno vicino alla buca e l’altro vicino al dodicesimo tasto. Premetto, però, che queste non sono regole che valgono per tutte le occasioni e per tutte le chitarre. È sempre bene usare l’orecchio. A volte, per dare un po’ più di presenza sui medio-bassi, aggiungo un venti per cento di pickup al suono microfonico. Nel caso della registrazione del brano “Madiba’s Jive” ho utilizzato due microfoni esterni, un Fishman Rare Earth e un Boss Super Octave OC-3 per arricchire le linee di basso. Dal vivo uso chitarre Yamaha: una NCX-2000FM con pickup Yamaha e microfono interno; e una A cosa stai lavorando attualmente e quali sono i tuoi prossimi progetti? Sto lavorando a un progetto che mi coinvolge come direttore artistico, arrangiatore e chitarrista. La lineup comprenderà il coro delle Voci Bulgare, un percussionista spagnolo, un cantante di flamenco e un famoso contrabbassista… Ti saprò dire di più quando le cose cominceranno a prendere forma! Andrea Carpi www.antonioforcione.com 20 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Madiba’s Jive di Antonio Forcione dall’album Sketches of Africa (parte I) Chitarra acustica steel-string Accordatura standard – Capo III N.B.: la tablatura è scritta come se il terzo tasto fosse il tasto 0 Video: http://www.youtube.com/watch?v=LJSxY-5YePI 21 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Madiba’s Jive 22 chitarra acustica 11 duemiladodici Madiba’s Jive 23 chitarra acustica 11 duemiladodici ar ar Madiba’s Jive 24 chitarra acustica 11 duemiladodici Madiba’s Jive 25 chitarra acustica 11 duemiladodici ar ar Madiba’s Jive 26 chitarra acustica 11 duemiladodici Madiba’s Jive 27 chitarra acustica 11 duemiladodici ar ar artisti Vecchie storie per tempi moderni Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi di Dario Fornara foto di Mario Giovannini Quando penso a Veronica Sbergia e a Max De Bernardi mi arriva subito un ‘segnale’ positivo. A dire il vero niente di così strano, considerata la simpatia che sono in grado di trasmettere durante i loro concerti e non solo, ma… non lasciamoci ingannare! Dietro a questa facciata un po’ ironica e scanzonata si nascondono, neanche troppo velatamente, due grandi musicisti, due artisti autentici che, al contrario di molti altri, non concedono alcun compromesso nel (ri)proporre un genere che sembra essere ormai parte di loro, allo stesso modo dei grandi ai quali si ispirano. E tutto questo con una naturalezza quasi imbarazzante. L’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana è sempre una grande occasione di incontri ma, complice un maledettissimo microregistratore digitale che ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per riuscire a cancellare questa intervista, recuperati i file miracolosamente, con un po’ di ritardo vi propongo questa chiacchierata. Ora provate a immaginare il classico marasma acustico di sottofondo che accompagna solitamente le giornate dell’AGM… intanto io schiaccio ‘Play’, si parte! 28 chitarra acustica 11 duemiladodici Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi ar Ciao Veronica e ciao Max, ormai siete di casa qui all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana. Vista l’abituale frequentazione, penso siate particolarmente legati a questa manifestazione. Max: Si è vero. Penso sia il decimo anno che partecipo a questa manifestazione! A volte mi definisco ‘musicista in affitto’ e in passato ci sono venuto anche come dimostratore di strumenti. Ma a Sarzana si viene soprattutto per proporre la propria musica, per presentare i propri lavori… e poi qui si fanno conoscenze, si mantengono e si creano rapporti, nascono collaborazioni. Un chitarrista acustico non può non esserci! Pagato il giusto tributo all’AGM, partiamo dalla fine: Old Stories for Modern Times è il vostro ultimo lavoro; intanto, complimenti! Com’è nato questo progetto? Veronica: All’inizio pensavamo semplicemente di fare un disco in duo, solo Max e io, un lavoro per andare a riscoprire quelle che erano state le voci femminili folk-blues ’minori’, intese come popolarità, ma importanti per la storia di questa musica. Artisti che, per scarsità di materiale, ancora oggi sono quasi sconosciuti. Durante la realizzazione abbiamo però cambiato leggermente direzione: alcuni brani del progetto iniziale sono rimasti, ma abbiamo deciso di inserire anche la musica di quei personaggi fondamentali della musica che amiamo, quindi di proporre un excursus di tutta quella che è la vecchia tradizione americana, con il blues, il folk, il ragtime… la musica delle radici. Max: E poi scopri che nelle vecchie storie, raccontate da questi artisti, c’è anche tanta attualità, quindi povertà, mancanza di soldi e di lavoro: alcune canzoni del CD parlano di queste cose e sono passati ottant’anni! maggiore groove, una dimensione che reputo necessaria soprattutto a chi suona in duo come noi. Si possono ascoltare gli interventi di alcuni ospiti illustri come Bob Brozman, Leo Di Giacomo, Massimo Gatti: come sono nate queste collaborazioni? Immagino vi accomuni una certa amicizia… Veronica: Come nel progetto The Red Wine Serenaders, anche qui ci siamo ritrovati soprattutto con degli amici. Ad esempio abbiamo chiesto a Massimo Gatti, che conosciamo da tempo, e a Leo Di Giacomo di suonare su una traccia, “Some of These Days”, un brano che abbiamo definito gipsy grass per il tipo di arrangiamento un po’ alla Django Reinhardt abbinato a sonorità marcatamente bluegrass. Abbiamo chiamato Sugar Blue, con la sua armonica, e poi il grande Bob Brozman, del quale vorremmo fregiarci del titolo di amici, anche se in realtà abbiamo avuto modo di suonare insieme solo in qualche occasione: una persona gentilissima che ha espresso dei pareri molto lusinghieri su di noi… è stato un vero onore la sua partecipazione a questo lavoro. Poi c’è Dario Polerani, un carissimo amico contrabbassista che collabora con Max, penso, dall’età scolare! Vorrei soffermarmi sul ‘suono’ di questo CD: avete adottato delle tecniche di registrazione particolari per ricreare quest’originale sonorità old-time music che caratterizza l’intero lavoro? Max: Guarda, in realtà noi non siamo poi dei maniaci del vintage a tutti i costi, il titolo stesso del disco ne è una dimostrazione. Sicuramente ci interessano le sonorità acustiche, nessuno degli strumenti che suonano sul disco e stato ‘pluggato’, abbiamo registrato solo dei suoni naturali. Cerchiamo, però, di essere moderni e di proporre una versione di queste sonorità sicuramente più attuale. La registrazione è avvenuta sfruttando la tecnologia digitale, ma tutto è stato poi riversato su nastro, per poi terminare il missaggio in mono di nuovo sul digitale. Il missaggio in mono non vuole ricreare una timbrica vintage, lo abbiamo utilizzato per riuscire a ottenere una sonorità più compatta e diretta, che ci permettesse di ottenere una maggiore spinta e un Che strumenti avete usato durante le registrazioni? Max: Abbiamo utilizzato davvero parecchi strumenti in questo disco. Per un vecchio pezzo di Jimmie Rodgers, “Miss the Mississippi and You”, 29 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi L’apprendimento è stato un processo molto naturale, perché era veramente quello che desideravo fare. Questa cosa non dipende dall’appartenenza a una certa cultura, la stessa identica cosa può capitare, e capita allo stesso modo, a un chitarrista americano, magari con influenze differenti vista la distanza spazio-temporale. Ho imparato tutto dai dischi, e parlo di vinili anche vecchissimi [non ne avevamo dubbi, Max! – ndr]: mi sono ‘tirato giù’ di tutto, veramente, molte cose me le sono dovute reinterpretare, ma così facendo le ho fatte veramente mie. Veronica: Sono cresciuta con la musica ‘nera’! Mio padre è un grande appassionato di jazz e ho avuto un’educazione musicale che mi ha avvicinato, sin dagli inizi, alla musica americana. Ho iniziato a studiare canto quando ero molto piccola e il mio modo di cantare è sempre stato in continua evoluzione. Anche rispetto alle prime registrazioni con Max, riascoltandomi oggi mi trovo quasi irriconoscibile! Più canti questo tipo di musica, maggiormente entri nel suo spirito, lo interiorizzi e ne diventi parte. Mi fa piacere che tu abbia notato questa ‘naturalezza’ perché è uno dei nostri obiettivi, uno dei più difficili da far arrivare alla gente che ci ascolta. Diciamo che, a distanza di anni, si è creata un po’ questa osmosi e oggi siamo veramente ‘dentro’ la musica che suoniamo. abbiamo rispolverato un glockenspiel… e poi una vecchia Dobro square neck con una sonorità tipicamente hawaiiana, una Martin 000, alcune National resofoniche; abbiamo utilizzato il kazoo e la washboard, la tipica ‘asse da lavare’ che Veronica usa creando questa sua sonorità molto simile a quella di un rullante, suonandola con le spazzole e ottenendo un suono molto più morbido rispetto all’originale, realizzato con i ditali e con una componente timbrica molto più percussiva. Poi, ancora, una chitarra tenore resofonica National, uno strumento alquanto atipico al giorno d’oggi, un modello molto raro del 1933; e svariati mandolini e ukulele di varie epoche. Le session delle registrazioni sono avvenute nell’arco di circa sei mesi e, a dire il vero, non mi ricordo neppure tutto! Ascoltando il CD, ma soprattutto ascoltandovi dal vivo, si rimane sinceramente stupiti sia per la naturalezza, sia per la ‘credibilità’ con la quale proponete un genere che – almeno virtualmente, per localizzazione sia fisica che temporale – dovrebbe essere a voi molto lontano… Veronica: ...Ma che bella domanda! Davvero… [risate] Max: Quando ho iniziato a suonare la chitarra, mi sono subito innamorato di queste sonorità acustiche e mi sono messo a imparare il fingerpicking tradizionale. Direi, molto semplicemente, che volevo suonare questo genere e farlo in questo modo. Ma riuscite a staccarvi da tutto questo nella quotidianità della vita? È difficile pensarlo. 30 chitarra acustica 11 duemiladodici Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi Veronica: No, no, noi siamo proprio così! La nostra vita s’incastra continuamente con la nostra musica, e viceversa! Max: La musica è talmente parte del quotidiano che a volte non mi rendo neppure conto della sua presenza. Anche con Veronica, nei nostri discorsi, c’è sempre qualcosa, un pensiero, un’idea legata alla musica o comunque qualcosa che ne è influenzato. La musica è una parte di me, e non ci faccio più caso! ar ma di comunicazione di massa, radio, televisione. La musica, da noi, è un’altra cosa: un’autoradio in macchina con in sottofondo la Pausini, con tutto il rispetto. Da noi si è anche perso soprattutto il gusto di andare a scoprire, magari pagando un biglietto, un musicista poco conosciuto. La gente non ha neppure più voglia di informarsi prima su chi sei e cosa proponi. Tutto funziona solo se sei già molto famoso e popolare. In Inghilterra, in Francia, in Svizzera, la gente che viene ai nostri concerti, magari, non ci ha mai ascoltato, ma si è informata e viene per conoscerci! Una cosa assolutamente normale, ma in Italia è più difficile che accada. Max, il blues è una malattia o una medicina? Max: Ma, guarda, onestamente non credo che sia né una cosa né l’altra! Sono lontano dallo stereotipo e dall’idea un po’ romantica della tristezza legata al blues. Quando sono triste non ascolto solitamente un disco di blues e soprattutto non ci soffro insieme! Potrei mettermi ad ascoltare tranquillamente gli Emerson Lake & Palmer! Il blues è la musica che amo, e basta. Due parole sui prossimi vostri progetti. Veronica: Abbiamo in programma parecchie date per promuovere Old Stories for Modern Times. Anche nei teatri, dove proponiamo questa sorta di concerto raccontato, cercando anche di spiegare la musica che suoniamo, sempre nel nostro stile un po’ scanzonato, senza assolutamente far sembrare il tutto una sorta di lezione! Ci piace dare, a chi partecipa a un nostro concerto, la possibilità di portarsi a casa anche qualche notizia in più su quello che ha ascoltato. Poi suoneremo in Francia e in Inghilterra, e c’è questo progetto di Max interamente dedicato all’ukulele, un CD che s’intitolerà Ukeology, dove comparirò anch’io in un paio di brani! I vostri concerti sono sempre molto coinvolgenti, il pubblico si diverte e sembra sempre apprezzare la vostra proposta musicale: quanto è difficile proporre nel nostro paese il vostro genere al di fuori del circuito delle manifestazioni legate alla chitarra e dei locali specializzati? È così anche all’estero? Max: In Italia, molto semplicemente, questa musica non esiste, non è contemplata da nessuna for- Dario Fornara 31 chitarra acustica 11 duemiladodici ar artisti Madame Guitar 2012 di Andrea Carpi Foto di Riccardo Bostiancich Guitar Republic Nibs van der Spuy & Guy Buttery Hussy Hicks Andrea Castelfranato Madame Guitar è giunta alla sua settima edizione, da venerdì 21 a domenica 23 dello scorso settembre, e ancora una volta l’art director Marco Miconi è riuscito a superarsi, costruendo un cartellone folto e di grande qualità. Seguendo una tendenza che si era già manifestata nelle ultime edizioni, il festival ha cercato quest’anno di equilibrare il più possibile il livello dei concerti diurni nel centro cittadino rispetto a quelli serali in teatro, evitando di relegare i primi a eventi di contorno. Non più soprattutto artisti locali e proposte ‘emergenti’ nelle esibizioni in piazza, quindi, ma anche musicisti noti, nel tentativo di calibrare le scelte tra i vari generi musicali, individuando gli artisti più adatti a richiamare l’attenzione di un pubblico diurno non pagante e non specificamente motivato, e quelli più idonei nella circostanza attuale ad attirare un pubblico pagante, più orientato e determinato. Un pubblico pagante che – Miconi ci ha tenuto a precisarlo – non ha dovuto sopportare aumenti di prezzo, che i maggiori sforzi organizzativi avrebbero potuto giustificare, ma che i morsi crescenti della crisi economica rendevano inopportuni. I concerti diurni, inoltre, si sono tutti concentrati nel collaudato spiazzo antistante il Municipio, sul quale si affacciavano anche le mostre di liuteria e di dischi da collezione, che hanno potuto godere così di un afflusso di visitatori più omogeneo e meno dispersivo. Ma cerchiamo di andare con ordine. 32 chitarra acustica 11 duemiladodici Madame Guitar 2012 Guitar Republic. Hanno aperto il festival nel concerto serale di venerdì e la loro musica è ‘arrivata’ immediatamente agli spettatori. L’efficace idea della formazione in trio, in grado di catturare l’attenzione anche del pubblico meno orientato, rappresenta sicuramente una testa di ponte importante per l’affermazione di Sergio Altamura, Stefano Barone e Pino Forastiere. I tre sono abituati a suonare soprattutto all’estero e in particolare in America, ma da qualche tempo a questa parte riusciamo ad ascoltarli più spesso anche nel nostro paese. Del resto, com’è naturale, il loro affiatamento cresce di continuo, la loro performance dal vivo è sempre più collaudata, il loro suono invidiabile. Speriamo che, continuando così, anche il lavoro dei singoli componenti possa suscitare un uguale interesse. ar della cantante Busi Mhlongo con Urbanzulu (1998) alla musica dei Tananas, primo gruppo dell’integrazione formato dal chitarrista bianco Steve Newman, dal bassista Gito Baloi del Mozambico e dal percussionista meticcio Ian Herman, con i dischi Tananas (1988), Spiral (1990) e Time (1994); per concludere con l’album Matabele Ants (2001) del già citato maestro Tony Cox. Hussy Hicks & Kristy Lee. Hanno concluso nel migliore dei modi la serata di venerdì. Il pubblico dei festival di chitarra acustica le ha viste crescere di anno in anno fino a diventare una certezza. Se il talento della chitarrista Julz Parker è stato da subito evidente, la potenza espressiva della cantante Leesa Gentz è stata una scoperta che si è rafforzata di giorno in giorno. Il loro set è stato un crescendo esaltante ma, giunto al suo culmine e quando eravamo tutti soddisfatti e felici di aprire il rito dei bis, le due australiane hanno chiamato sul palco una ‘ragazzona’ dell’Alabama, che si chiama Kristy Lee. Appena ha iniziato a cantare, l’emozione è salita alle stelle: una voce ‘soul’ potente ma, soprattutto, intensa, vibrante e sensibilissima. Quando poi ha intonato con il supporto delle Hussy Hicks il ritornello di “Baby of Mine”, «Let there be peace down in your soul, for the things of this world we can’t control» (‘Fai che scenda la pace nella tua anima, per le cose di questo mondo che non possiamo controllare’), i brividi sono corsi lungo la schiena. Kristy, sempre insieme alle beniamine australiane, ha presentato il suo repertorio la domenica mattina in piazza, ricevendo dal pubblico un’accoglienza generosissima. Abbiamo scoperto che il suo nuovo disco Raise the Dead, realizzato proprio con la collaborazione delle Hussy Hicks, è di imminente uscita: lo aspettiamo con ansia. Nibs van der Spuy & Guy Buttery. Negli ultimi anni sembra essersi creato un filo rosso che unisce Madame Guitar ai chitarristi acustici del Sudafrica: nel 2008, segnalato da Beppe Gambetta, è venuto a suonare Guy Buttery, seguito nel 2009 da uno dei suoi principali ispiratori e icona del fingerstyle sudafricano, Tony Cox; l’anno scorso ha riscosso un grande successo Nibs van der Spuy, che quest’anno è tornato insieme a Buttery, complice un bell’album appena inciso insieme, In the Shade of the Wild Fig, già premiato con un prestigioso Silver Ovation Award al National Arts Festival di Grahamstown. I due non sono soltanto degli artisti raffinati, ma anche delle persone squisite, estremamente disponibili, che il mattino dopo il concerto hanno tenuto un incontro sul tema “La musica in e del Sudafrica”, incentrato sulla formazione musicale dei sudafricani di origini europea della loro generazione. Nibs, in particolare, ha raccontato la sua vita emblematica: nato a Johannesburg nel 1966 nel periodo dell’apartheid, non aveva come riferimento una musica originale della comunità bianca ed è cresciuto ascoltando la musica angloamericana. Sua nonna era nata in Inghilterra e andava ogni anno nel suo paese d’origine, dal quale riportò in quegli anni i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones. Negli anni ’70, la prima musica nera che Nibs ha ascoltato è stata quella di Jimi Hendrix, Little Richard, James Brown, il blues rock. Nel frattempo la nonna era andata a vivere a Durban nella provincia di KwaZulu-Natal a cinque ore da Johannesburg, dove vive la comunità zulu. Nibs ci andava per le vacanze ed è lì che ha ascoltato per la prima volta la musica tradizionale zulu chiamata maskanda, caratterizzata in particolare dalle oil drum guitars (chitarre con il corpo ricavato da taniche d’olio) suonate in una forma di fingerpicking. Questa musica, che per lungo tempo non è stata registrata e documentata a livello discografico, e della quale sentiva profonde somiglianze con la musica di John Lee Hooker e del Delta blues, lo ha influenzato in modo determinante. Nibs e Guy ci hanno così proposto un breve percorso di ascolti, per descrivere la progressiva penetrazione di quella forma musicale nella musica sudafricana attuale: si è partiti da Shiyani Ngcobo, rappresentante fondamentale della tradizione maskanda, con Introducing Shiyani Ngcobo (World Music Network, 2004), per arrivare alla collaborazione tra Madala Kunene, altro esponente del maskanda, con il cantautore folk bianco Syd Kitchen nell’album Bafo Bafo – What Kind?! (Melt Music Phase 2, 2005); dal zulu pop Lino Straulino. Lino Straulino ha sempre seguito in un certo senso le note indicazioni di Alan Lomax e Pete Seeger, che predicavano alle giovani generazioni di cantare le proprie tradizioni, e si è sempre dedicato con amore e perseveranza a riproporre il folklore musicale della propria terra, a rivalutare la lingua friulana e a scrivere nuove canzoni in quella lingua. Ma al tempo stesso covava nel suo intimo un’attrazione emozionale nei confronti delle musiche angloamericane dal folk inglese alla West Coast, che in qualche misura traspare nei suoi lavori. Non è forse un caso allora se – nel presentarsi il sabato mattina a Madame Guitar e al mondo della chitarra acustica, che notoriamente fa riferimento soprattutto al fingerstyle di matrice angloamericana – abbia voluto riproporre il repertorio del suo recente album L’alegrie (Nota, 2010) nel quale esplicitamente riarrangia in chiave country e blues alcune delle più conosciute villotte friulane, vestendo con ironia i panni del cowboy e armato di armonica blues e banjo chitarra, uno strumento che più di ogni altro può richiamare l’incontro tra i nostri vecchi emigranti e la musica del nuovo mondo. Un operazione di grande interesse, che a mio parere richiederebbe però un ulteriore sforzo di amalgama. So che Lino sta lavorando anche a un repertorio di balli tradizionali del Norditalia rielaborati in fingerstyle attraverso l’uso di accordature aperte: ne ha suonati alcuni al seminario di John Renbourn a Madame Guitar del 2009, e Renbourn ha dimostra33 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Madame Guitar 2012 to di apprezzarli. Credo che questo lavoro sarebbe sicuramente un tassello importante nella direzione intrapresa e aprirebbe ancor più le porte del popolo della chitarra acustica. quello che è certo è che vale la pena prestare l’attenzione necessaria alla sua musica effervescente ma sofisticata. Amine & Hamza. Amine e Hamza M’raihi sono due giovani fratelli tunisini nati tra il 1986 e il 1987, che suonano rispettivamente l’oud e il kanoun, un grande salterio trapezoidale a corde pizzicate, che si suona appoggiato sulle ginocchia con dei plettri digitali. Educati alla musica classica araba, sono però aperti alle nuove composizioni e alla collaborazione con musicisti classici occidentali e di altre culture. Sono molto attivi nei circuiti della world music e hanno già inciso sei album a partire dal 2003, quando avevano cioè rispettivamente sedici e diciassette anni. La loro musica, spesso meditativa e ricca di sviluppi improvvisativi, può sembrare ‘difficile’ a un ascolto superficiale, ma è sicuramente di alto livello e di grande interesse. Martin Moro. Ha suonato sabato pomeriggio ed è stato una sorpresa per me: suona la chitarra (una bellissima Breedlove), la chitarra resofonica e il mandolino; tecnicamente è molto bravo e ha un suono molto curato. Nel suo paese, l’Austria, porta avanti attività multiformi come solista, componente di gruppi folk e non solo, musicista di studio, produttore, arrangiatore e compositore. Credo che varrebbe la pena riascoltarlo. Gabor Lesko. Viene da un passato legato soprattutto a una musica fusion, elettrica e acustica, molto arrangiata e orchestrata. Come Massimo Varini, viene a sua volta da un passato di collaborazioni con importanti artisti pop e, da qualche tempo, si è avvicinato a una dimensione più intima della musica, più concentrata e legata al fingerstyle per chitarra sola. Come Varini, anche lui è un acquisto prezioso per il nostro piccolo grande mondo della chitarra acustica, perché può portarci una visione forse più ampia dell’attività musicale e una maggiore esperienza delle esigenze del pubblico non specialistico. Nel suo set in piazza del Municipio ha mostrato la capacità di creare atmosfere varie, dai brani delicati in fingerstyle alle evoluzioni dinamiche in strumming, dalle canzoni morbide alle plettrate virtuosistiche, dagli effetti percussivi all’uso dei loop. W.I.N.D. unplugged. Di unplugged avevano solo la chitarra acustica, accompagnata dal basso elettrico e da una batteria ‘dura’. Ma è pur vero che un po’ di sano rock blues a volte ci vuole. E loro il rock blues lo sanno suonare, cantare e anche comporre. Così come si capisce che nel loro campo sono uno dei gruppi italiani più riconosciuti in campo internazionale. E quando alla fine hanno intonato un inno come “I Shall Be Released”, ci siamo ritrovati tutti a cercare di cantare il ritornello assieme a loro. Springsteen, Buckley & The Beatles. La domenica mattina si è svolta la presentazione di tre novità librarie, coordinata da Nicola Cossar, uno dei soci fondatori del Folk Club di Buttrio e giornalista del Messaggero Veneto, alla presenza dei tre autori. Il primo libro, All the way home – Bruce Springsteen in the Italian Land 1985-2012 di Daniele Benvenuti, edito dalla casa editrice Luglio, è un appassionato e puntuale studio sul rapporto tra il rocker del New Jersey e l’Italia: contiene un’analisi di tutti i quaranta concerti tenuti dal Boss in Italia, indagini sociologiche sul fenomeno condotte con il supporto di esperti del settore, una bibliografia italiana commentata, il censimento di tutti i fan club, le fanzine e le mailing list, gli eventi a tema e le centinaia di artisti italiani legati più o meno esplicitamente alla musica e alla poetica di Springsteen. Durante la presentazione, il cantautore ‘springsteeniano Miky Martina ha cantato alcune canzoni di Bruce e alcune canzoni proprie. Andrea Castelfranato. Ha aperto con successo il concerto serale del sabato. Molto migliorato e attento sul piano della presenza scenica e della tenuta del palco, con la capacità già collaudata di gestire al meglio la sua doppia anima di chitarrista latino e flamenco sulle corde di nylon, e di chitarrista fingerstyle attento all’uso delle accordature aperte e delle nuove tecniche a due mani sulle corde metalliche, può essere oggi considerato tranquillamente nel numero dei migliori chitarristi acustici italiani. Nei giorni precedenti il concerto, inoltre, Andrea ha tenuto dei seguitissimi seminari di introduzione alla chitarra acustica per due scuole medie di Udine e nella scuola media di Tricesimo. Bob Bonastre. Ha uno stile molto personale, caratterizzato costantemente da un fingerstyle svincolato da modelli sulle corde di nylon, da intermezzi di parti percussive e da inserti vocali senza parole, di grande estensione fino al falsetto. Uno stile talmente personale che, a un ascolto distratto, potrebbe apparire ripetitivo. Ma, a ben ascoltare, ci si rende conto che di ogni viaggio musicale che intraprende, di ogni idea che vuole esprimere, riesce a cogliere certi aspetti intimi e a evocare certi dettagli importanti. Quando suona “Bamako”, la capitale del Mali, si sentono le sonorità della kora e il timbro della voce è proprio quello della regione del Niger. Quando esegue un nuovo brano dal titolo provvisorio “Can You Hear The Children Playing”, si sentono i bambini giocare. E così via. Sembra forse un modo di comporre e di procedere molto ‘pensato’, molto riflessivo, che potrebbe rispecchiare la parte francese della sua natura (lui è nato in Senegal da una famiglia per metà francese e metà spagnola). Ma Daniele Bazzani, Giorgio Cordini e Giovanni Pelosi. Il secondo libro è stato The White Book – I Beatles e la chitarra di Daniele Bazzani e Davide Canazza, edito da fingerpicking.net/Carisch, che i frequentatori di fingerpicking.net e i lettori di Chitarra Acustica ben conoscono, per essere stato pubblicato prima in dodici puntate sul sito, poi come numero speciale estivo della rivista. Daniele Bazzani, che ha partecipato alla presentazione del volume, si è unito più tardi a Giorgio Cordini e Giovanni Pelosi, per aprire il concerto serale con un festeggiamento del cinquantesimo anniversario dalla pubblicazione del primo singolo dei Beatles, “Love Me Do / P.S. I Love You”, avvenuta il 5 ottobre 1962. I tre convinti beatlesiani si sono alternati ciascuno con i propri arrangiamenti prefe34 chitarra acustica 11 duemiladodici Madame Guitar 2012 ar riti delle canzoni dei Fab Four, a volte riunendosi in duo. Il pubblico ha apprezzato molto, canticchiando in sottofondo alcune delle più belle canzoni ‘popolari’ dei nostri tempi. Gary Lucas. Il terzo libro è stato Touched by Grace – La mia musica con Jeff Buckley di Gary Lucas, edito da Arcana. Una bella sintesi dello spirito dell’opera si può trovare subito nel primo capitolo: «Attenzione, però, questa non è né una biografia di Jeff né un libro che parla di me. Quella che voglio raccontare è la storia – vera e vista dall’interno – di come io, collaboratore storico di Jeff e coautore di due dei suoi capolavori, l’ho conosciuto, e di come ho lavorato con lui. Negli anni sono usciti tanti documentari e biografie di Jeff, tutti zeppi di errori riguardo alla mia relazione con lui: il mio intento è quello di mettere una volta per tutte i puntini sulle i e di fare un resoconto affettuoso, ma senza censure né ricami, di come ci siamo prima alleati, poi separati con dolore, e infine ritrovati in un ultimo dolceamaro incontro. Sarà anche l’occasione per dare uno sguardo approfondito al processo creativo che ha dato vita alle nostre immortali “Grace” e “Mojo Pin”». Un argomento appassionante, ma anche spinoso: l’incontro-scontro di due ego importanti che, raccontato a quindici anni di distanza dalla scomparsa dell’uno, potrebbe suscitare qualche disagio. Gary era molto emozionato nel parlare di questo lavoro. Nel concerto serale Gary non mi è parso in buona forma. Quest’anno, a differenza della sua prima apparizione a Madame Guitar nel 2009, aveva a disposizione tutti i suoi pedalini per la chitarra elettrica e la sua amplificazione. E ha costruito un set molto elettronico, con un uso esteso dei loop, molto libero, forse un po’ slegato. Lucas è un tipo di rocker sperimentale e di artista d’avanguardia, rispetto al quale a volte faccio fatica a comprendere fin dove arriva la sua bravura di musicista, e fin dove arriva il suo genio e la sua inventiva. Credo che buona parte del pubblico presente, in questo contesto di festival di chitarra acustica, sia rimasto spiazzato da questa esibizione. E anche per me resta qualcosa di indecifrabile, a confronto con la statura del suo curriculum. Bob Bonastre Amine & Hamza Silvia & the Fishes on Friday. Una delle cose più belle nel seguire queste manifestazioni, è veder crescere i giovani artisti di anno in anno, segno tangibile dell’applicazione che riversano in questa loro passione. È il caso di Silvia & the Fishes on Friday, che hanno suonato nel pomeriggio di domenica. Rispetto alla loro esibizione dell’anno scorso, sono apparsi molto più amalgamati e compatti negli arrangiamenti, e la voce di Silvia Guerra ha acquistato molta più definizione e sicurezza. Gary Lucas Andrea Valeri. Anche lui ha suonato domenica pomeriggio, con una nuova fiammante Maton con la sua firma. Dopo il suo ultimo album DayDream, è decollato per una tournée internazionale che ha toccato Sudafrica, Australia, Russia, Polonia, Germania e Nuova Zelanda. Lo abbiamo ritrovato a sua volta molto cresciuto, non tanto per l’aspetto musicale, quanto sul piano personale. Ma di questo parleremo più profondamente in una prossima intervista. Andrea Valeri 35 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Madame Guitar 2012 dei suoni e dei ritmi degli tsaatan, gruppo etnico che pratica lo sciamanesimo, e da questa esperienza è nato il libro Mongolia – La via dell’acqua (Il Filo, 2009). Era quindi la persona più adatta a interpretare in conclusione, con il supporto del Morin Khuur Ensemble, l’inno del festival, “Madame Guitar” di Sergio Endrigo. Morin Khuur State Ensemble. L’ultimo set del festival è stato affidato a un’orchestra di stato della Mongolia, un ensemble di strumenti ad arco basato sul tradizionale morin khuur, sorta di violino a due corde dal corpo trapezoidale, tenuto verticalmente in grembo o tra le gambe dell’esecutore; le note non vengono ottenute premendo le corde su una tastiera, ma semplicemente ‘stoppate’ attraverso tecniche specifiche delle dita della mano sinistra. Ai morin khuur si affiancano gli ikh khuur, fratelli maggiori a due o tre corde dal suono più basso, e l’organico si completa con il limbe, flauto a becco, lo yatga, grande cetra a corde pizzicate con la tavola superiore convessa, e lo yoochin, grande cetra a corde percosse, ai quali si aggiunge infine un pianoforte occidentale. La presenza del pianoforte testimonia di una musica complessa, radicata nella tradizione popolare e classica della Mongolia e, al tempo stesso, aperta a nuove composizioni e ad elementi di contaminazione con la musica classica occidentale. Tra i vari e affascinanti brani strumentali, si sono inserite le esibizioni di alcuni cantanti, che hanno dato dimostrazione dei due stili vocali fondamentali della tradizione mongola: lo urtyn duu, forma di canto lirico ‘alla longa’, caratterizzato da note lunghe, e il khöömii, lo straordinario canto difonico o armonico, nel quale la cavità orale è disposta in modo da far risaltare gli armonici presenti nella voce, così da produrre simultaneamente due o più linee melodiche distinte. Ascoltare dal vivo questo tipo di canto è un’esperienza veramente emozionante, che ha impreziosito l’esibizione trionfale del Morin Khuur Ensemble. Resta infine lo spazio solo per alcune altre segnalazioni: Veronica Sbergia & Max De Bernardi, che hanno suonato in piazza e che sono presenti in questo numero con un’intervista; Kiana, folksinger e songwriter nata in Giappone da padre giapponese e madre americana, oggi trapiantata alle Hawaii; il Trio Yerba, impegnato in un vasto repertorio tradizionale e d’autore latinoamericano; Guitar Soundtracks, duo formato dai chitarristi Michele Pirona e Alain Fantini, i cui arrangiamenti di colonne sonore hanno mostrato forse troppa separazione tra la parte solista e la parte ritmica di accompagnamento; Raqs Sharqi, gruppo friulano dedito alle danze mediorientali, composto di tre strumentisti e due ballerine; Giorgio Tosolini, solitario responsabile dell’ottimo suono in teatro, e Gianfranco Lugano, responsabile del suono negli interventi esterni nelle scuole. Ma il ricordo finale va a Luisa Terrenzani, moglie di Marco Miconi, che è venuta a mancare all’inizio dell’estate e alla quale è stata dedicata la rassegna di quest’anno. Luisa ha sempre sostenuto con totale disponibilità Marco nelle sue infinite peripezie tra il Folk Club Buttrio e Madame Guitar, curando le questioni di segreteria, le pratiche burocratiche, la biglietteria, accompagnando gli artisti a destra e a sinistra, eventualmente cucinando per gli ultimi arrivati. Lei sarà stata triste di non aver potuto partecipare a questa bellissima settima edizione del festival. Ma si sarà rasserenata nel constatare che la volontà di portare avanti le cose, malgrado tutte le difficoltà, è ferrea e la fede incrollabile. Il gran finale. Per celebrare il rito tradizionale di chiusura della manifestazione, è salita sul palco Enrica Bacchia. Cantante jazz di Conegliano Veneto, nota a livello internazionale, ha iniziato nel 1999 una serie di viaggi in Cina che l’hanno vista nella duplice veste di interprete e di insegnante di canto ‘occidentale’ presso il Beijing Contemporary Institute of Music di Pechino. Ha viaggiato inoltre tra Siberia e Mongolia, alla scoperta della cultura, Andrea Carpi Daniele Bazzani, Giovanni Pelosi, Giorgio Cordini 36 chitarra acustica 11 duemiladodici ar artisti MUSIC IS LOVE Un tributo a Crosby, Stills, Nash & Young di Alfonso Giardino La musica è amore e sicuramente era questo (e ancora lo è…) il sentimento che ha guidato l’intera carriera artistica dei quattro musicisti che – più di tutti – hanno caratterizzato e influenzato quel genere che negli anni ’70 prendeva il nome di West Coast. Ed è ancora l’amore, la passione, ad aver guidato un progetto che ha voluto rendere omaggio a chi ha influenzato, musicalmente e spiritualmente, almeno un paio di generazioni. Per chi non l’avesse ancora capito, stiamo parlando di un disco tributo per i leggendari David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young. Music Is Love – A Singer-Songwriters’ Tribute to the Music of Crosby, Stills, Nash & Young è un progetto italiano e ad oggi unico, ideato da Ermanno Labianca, Francesco Lucarelli e Peter Holmstedt, prodotto dall’etichetta Route 61 Music dello stesso Labianca, in collaborazione con la svedese Hemifrån, e distribuito in tutto il mondo dalla BTF. Stills e Young), Everybody Knows This Is Nowhere (Young) o il primo di Crosby, Stills & Nash. Un cofanetto con CD doppio molto ben confezionato, che ha visto la luce lo scorso mese di ottobre e ha richiesto circa due anni di duro lavoro, corredato di un booklet di trentasei pagine contenente anche inedite foto offerte da Henry Diltz, il memorabile fotografo dei Doors, e una presentazione di Dave Zimmer, biografo di CSN. Immaginate un po’: ventisette canzoni per altrettanti artisti provenienti da ambienti e generi diversi (folksinger, rocker, band vocali, country e alternative, americani, inglesi, australiani e irlandesi), tutte registrate a Nashville (e l’elevata qualità delle registrazioni lo testimonia) con la prestigiosa collaborazione in studio di musicisti del calibro di Tony Levin (King Crimson, Peter Gabriel, Paul Simon), Marty Rifkin (da Tom Petty Music Is Love non si limita ad omaggiare CSN&Y nella loro unica veste di supergruppo. Basterà leggere le note di copertina per comprenderne la vera portata: «A tribute to the outstanding body of work produced by Crosby, Stills, Nash and Young». Con questa produzione, infatti, si è voluto cogliere l’occasione di ricordare il quarantennale della mitica stagione musicale che tra il 1971 e il 1972, sulla spinta di album come Déjà Vu e After the Gold Rush, ha visto la produzione di pietre miliari quali 4 Way Street (CSN&Y), Stills 2, If I Could Only Remember My Name (Crosby), Songs for Beginners (Nash), Harvest (Young), Manassas e il primo album di Crosby & Nash. Senza dimenticare però altri lavori che i nostri eroi, in formazione sparsa, hanno realizzato, compresi quelli dei loro esordi come Buffalo Springfield (tra le loro fila i giovanissimi 38 chitarra acustica 11 duemiladodici MUSIC IS LOVE ar con il biondo chitarrista di Dallas, eccoci a Jennifer Stills e Judy Collins: la prima (non è così difficile intuirlo) è proprio la figlia di cotanto padre, anche lei musicista, molto attiva specialmente nell’area di Hollywood, che qui interpreta “Love the One You’re With” (S.S.) con animo romantico e quasi malinconico, nonostante il crescendo ritmico, a differenza della sfrontata allegria che la versione originale ha avuto fin dalla sua prima apparizione nell’album dell’esordio solistico nel 1970. Della seconda interprete avranno, forse, sentito parlare solo i biografi più informati o gli appassionati della folk music: la Collins, infatti, oltre ad essere una cantautrice e attrice statunitense conosciuta come una delle maggiori esponenti della musica popolare degli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70, è stata la musa ispiratrice di “Suite: Judy Blue Eyes” (vedere una sua qualsiasi foto sul web per capirne il motivo), brano che però ha deciso di non riproporre (questione di buon gusto…), optando invece, per una “Helplessly Hoping” (S.S.) anch’essa fedele all’originale nello spirito, ma nella quella l’amato fingerpicking, con il quale Stills sosteneva tutte le voci, non è più l’unico protagonista strumentale, avendo abdicato in favore di un pianoforte forse più adatto alla bella e dolce voce della cantante. alla Seeger Sessions Band di Bruce Springsteen), Victor Blasetti (Los Lobos), Richard Dodd (Foo Fighters, Johnny Cash). I nomi dei titolari delle varie tracce testimoniano la presenza di artisti che sono oggettivamente più famosi oltreoceano che qui da noi. Tra questi, comunque, spiccano artisti ben noti anche ad italiche orecchie. C’è Elliott Murphy, cantautore e giornalista newyorkese spesso in tour in Italia e amico personale del Boss Springsteen, che, da rocker qual è, propone una versione di “Birds” (N.Y.) in versione ballad, preferendo sonorità chitarristiche (acustica e slide) a quelle più intimiste e liriche (pianoforte e background vocals) dell’originale. Il contributo di un altro nome noto non può certo lasciare indifferenti i fan in particolare di Crosby: Steve Wynn, chitarrista e cantautore californiano ex leader dei Dream Syndicate, mette in pratica tutta la sua esperienza maturata nel rock alternativo anni ’80, trasformando l’essenziale “Triad” (D.C.) in una quasi irriconoscibile, comunque affascinante, ossessione psichedelica. Altro approccio è quello di Willie Nile, classe ’48, che il New York Times ha definito «uno dei più dotati cantautori ad emergere dalla scena di New York», il quale canta e suona “Rockin’ in the Free World” (N.Y.) con la medesima grinta e determinazione delle esibizioni live di Neil Young. Non solo glorie ‘stagionate’, c’è anche un certo Marcus Eaton, ormai nuova star del firmamento statunitense, giovane e raffinato singer-songwriter che (come abbiamo già accennato nella nostra recensione del suo ultimo album nello scorso numero di settembre) sta collaborando al nuovo CD di Crosby e la cui versione di “Bittersweet” (D.C.) è una prova delle sue grandi capacità di arrangiatore. Ai tanti americani si alternano anche artisti provenienti dal vecchio mondo come Ian McNabb, cantante e compositore di Liverpool ex voce solista degli Icicle Works (negli anni ha suonato anche con personaggi come Ringo Starr, Crazy Horse, Mike Scott dei Waterboys, Danny Thompson dei Pentangle), e Liam O’Maonlai, musicista irlandese meglio conosciuto come voce degli Hothouse Flowers. Il primo affronta la title track “Music Is Love” (CN&Y) in un crescendo di sovraincisioni vocali e strumentali, elettriche ed elettroniche, che ben richiamano quelle per lo più acustiche dell’originale, mentre il secondo decide di fare il pari con la ben nota “Lady of the Island” (G.N.) abbandonando, però, la chitarra e preferendo accompagnarsi con un più etereo pianoforte. Altri nomi, poi, anche se a noi forse non conosciuti per meriti prettamente musicali, non passano di certo inosservati, visto il loro stretto legame con il mondo di CSN&Y. Si va da Sonny Mone, voce, chitarra e membro fondatore dei Crazy Horse (con i quali ha suonato con e senza Neil Young), che propone una “You Don’t Have to Cry” (S.S.) molto fedele all’originale di CS&N, compreso l’acustica ’alla Stills. E volendo continuare ad avere a che fare Ma, al di là di queste prestigiose partecipazioni, è forse la presenza di altri nomi ad impreziosire questa produzione. Artisti ’di nicchia’, appartenenti a quel mondo immenso che è il panorama musicale americano e anglosassone in genere, che solo un pubblico nostrano specializzato ha fino ad oggi apprezzato. Riteniamo quindi opportuno mettere sotto la lente questi musicisti, per capirne la qualità e apprezzare la scelta fatta dai produttori. Jennifer e Judy non sono le sole donne ad aver partecipato a questo lavoro, nel quale le quote rosa sono state sicuramente rispettate, a testimonianza di come l’altra metà di questo cielo musicale sia, forse, meno condizionato dai pregiudizi. Sadie Jemmett, cantautrice e polistrumentista britannica nota in patria anche per la sua attività di compositrice di musica per teatro, contribuisce con una versione di “Teach Your Children” (G.N.) priva di qualsiasi riferimento country (ricordate le frasi della lap steel?), più ariosa e leggera, con qualche spruzzatina di pop. Torniamo al continente americano e in particolare al sole californiano con la cantante Jenai Huff che, dopo molta gavetta e un lunghissimo periodo di inattività, pubblica il suo primo CD nel 2011 con il produttore Ben Wisch (due volte vincitore del Grammy) e la collaborazione di un certo Jeff Pevar (sì, quello dei CPR: Crosby, Pevar & Raymond!), e con Cindy Lee Berryhill, cantante e songwriter con una carriera che la trasforma da rude ed essenziale folksinger a quasi diva del pop. Le loro interpretazioni, rispettivamente “I’ll Be There for You” (Douglas Ingoldsby, G.N., Joseph A. Vitale) e “It Doesn’t Matter” (Chris Hillman, S.S.), sostanzialmente non 39 chitarra acustica 11 duemiladodici ar MUSIC IS LOVE che in Oh Yes I Can c’era la sola chitarra di Michael Hedges a tesserne le armonie). Gruppi di lungo corso, ma anche formati appositamente per l’occasione, come Bonoff, Cowan, Szcześniak & Waldman. A Karla Bonoff e Wendy Waldman, due singer-songwriter di successo che hanno sempre alternato la loro carriera solista a quella dei Bryndle (una band di folk-rock formatasi a Los Angeles negli anni ’60, che tra vicissitudini e variazioni d’organico è attualmente inattiva), si sono uniti per l’occasione John Cowan, bassista e voce solista dei New Grass Revival (gruppo statunitense di progressive bluegrass, prodotto in passato dalla stessa Waldman) e Mietek Szcześniak, cantante polacco di estrazione jazz (anche nella produzione del suo recente primo disco in inglese c’è lo zampino della Waldman). Insieme propongono una “Guinnevere” (D.C.) di grande fascino, con le quattro splendide voci che si alternano e rincorrono (nota chitarristica: l’arpeggio portante è stato sostanzialmente riproposto uguale alla versione originale). Tra le varie categorie, se vogliamo dire così, rappresentate in questo album doppio c’è anche quella delle ‘coppie di fatto’. I Sugarcane Jane sono composti da Anthony Crawford e da sua moglie Savana Lee, lui songwriter e strumentista con una lunga collaborazione in tour con gente come Neil Young, Steve Winwood e Nicolette Larson, lei con innumerevoli collaborazioni ed esperienze musicali. La loro versione di “Bluebird” (S.S.) abbandona le sonorità elettriche dei Buffalo Springfield per quelle più accattivanti di un country rock contemporaneo. Analoga operazione la fanno anche Michael McDermott & Heather Horton, trasformando l’originale “Southern Cross” (S.S., Richard Curtis, Michael Curtis) da brano corale a ballata country, solo chitarra (sembra di sentire il tipico picking di Stills) e violino. Qualche cenno alla particolare storia artistica di Michael: dopo un esordio folgorante nel 1991, giunge ad essere catturato dal mondo del cinema, dove il produttore Brian Koppelman realizza un film ispirato alla sua gioventù, Rounders – Il Giocatore con Matt Damon ed Edward Norton, mentre lo scrittore Stephen King lo cita in più di un romanzo; si è poi sposato due anni fa in Italia con Heather Horton, che già lo accompagnava sul palco. Questo ‘gioco delle coppie’ si chiude con Andy Hill & Renée Safier, protagonisti con i loro Hard Rain di molti degli eventi live presenti nell’area di L.A. (più di duecento concerti l’anno, dai festival agli house concert) oltre ad essere anche da più di ventidue anni gli organizzatori del Bob Dylan Fest. E l’anima dylaniana traspare chiaramente dalla loro interpretazione di “Thrasher” (N.Y.), più ricca grazie anche ad un arrangiamento dalle venature folk. L’enorme varietà artistica è evidente già da quanto sopra presentato, ma non finisce qui. Abbiamo ancora personaggi come Neal Casal, cantautore e chitarrista statunitense già lead guitarist dei Cardinals di Ryan Adams (forse pochi lo sanno, ma c’è si discostano dalle versioni originali, pur avendone entrambe sottratto qualcosa (di certo non la bellezza): la prima un po’ di ritmo, la seconda… l’assolo di Stills! Scendiamo ora fin quasi in Messico con la texana Carrie Rodriguez, stella del nuovo folk americano: paragonata a Norah Jones e Lucinda Williams, è stata una degli ospiti internazionali sul palco del Teatro Ariston al Premio Tenco dello scorso anno. Sarà per le sue inequivocabili origini latine o per un gioco del destino, ma a lei tocca “Cortez the Killer” (N.Y.), forse meno tagliente e spigolosa dell’interminabile versione di Zuma, ma ugualmente ipnotica e con un bel solo di elettrica sorretto dal violino della stessa Carrie. Come la Rodriguez anche altri artisti, dei ventisette qui presenti, hanno avuto modo di attraversare l’oceano per esibirsi su palchi italiani. C’è Ron LaSalle, newyorkese trapiantato a Nashville, che si è posto sulla scia di Van Morrison, John Hiatt, Bob Seger e Tom Waits: a lui il compito della prima traccia, “For What It’s Worth” (S.S.), una versione leggermente più ruvida e nera di quella dei Buffalo Springfield, grazie anche alla sua voce di cartavetrata. C’è poi chi, come il già citato Marcus Eaton nel maggio scorso, ha calcato un palco a noi molto noto e familiare, quello dell’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana: The Coal Porters, nel 2005, ed Eileen Rose & The Legendary Rich Gilbert nel 2010. La band british-american, guidata da Sid Griffin (fondatore dei Long Ryders) e da Neil Robert Herd, si è trovata più che a proprio agio nell’originale bluegrass di “Fallen Eagle” (S.S.), tanto da sembrare di stare a una festa paesana nell’immancabile fienile. Dall’altro canto la songwriter di Nashville (a metà strada tra Neil Young e Nico dei Velvet Undergroud), con il fido Rich alla chitarra elettrica e alla pedal steel, propone una bella versione di “Just a Song Before I Go” (G.N.) caratterizzata dall’intensa voce di Eileen ed un arrangiamento vagamente psichedelico. Non solo solisti, quindi, ma anche gruppi. Tra questi spiccano i Venice: gruppo vocale californiano nato nel 1977 e composto dai fratelli-cugini Lennon, vantano una serie infinita di collaborazioni alle spalle da Bruce Springsteen, Elton John, Phil Collins a Sting, Melissa Etheridge, Cher, Ozzy Osbourne fino a Jackson Browne, David Crosby, Doobie Brothers, Linda Ronstadt e tantissimi altri. La loro versione di “After the Gold Rush” (N.Y.) presenta una scelta apparentemente improbabile, ma liricamente efficace: a sorreggere le quattro voci dei Lennon, solo una chitarra in fingerpicking e un filo di tastiere. Con “Tracks in the Dust” (D.C.) anche i Mary Lee’s Corvette sono intervenuti solo sull’arrangiamento. La band newyorkese guidata dalla cantante Mary Lee Kortes (la critica colloca la sua voce tra Dolly Parton e Chrissie Hynde) ha deciso di non stravolgere lo spirito originario, cambiandone semplicemente la veste (e non avrebbe potuto fare altrimenti, visto 40 chitarra acustica 11 duemiladodici MUSIC IS LOVE anche un suo fan club italiano): canta e suona tutto da solo “Hey You (Looking at the Moon)” (G.N.), alla quale sottrae un po’ di quelle cadenze cantalenanti tipiche del suo autore. Oppure Louis Ledford, cantore appassionato della realtà rurale degli Appalachi, con la sua versione di “Wasted on the Way” (G.N.) più malinconica di quella presente in Daylight Again grazie anche a una lap steel che sostituisce il fiddle dell’originale. E ancora Bocephus King (Jamie Perry, il suo vero nome), artista indie proveniente da Vancouver, Canada, che trasforma “Down by the River” (N.Y.) in una sorta di preghiera mistica orientaleggiante. Non tutti made in USA, quindi, come Nick Barker (da non confondere con l’omonimo batterista metal), cantautore e chitarrista pop-rock australiano di Melbourne, che sceglie la strada della fedeltà con una versione di “Long May You Run” (N.Y.) che presenta la medesima ambientazione country rock datagli in origine dalla Stills-Young Band. Operazione diversa, invece, quella di Clarence Bucaro. Sarà per la sua ancor giovane età o le influenze musicali ricevute dagli artisti con i quali ha condiviso il palco (da Aaron Neville a The Blind Boys of Alabama e Chrissie Hynde and the Pretenders) ma questo cantautore originario di Cleveland, dalla voce calda e dolce allo stesso tempo, compie una operazione molto originale: ci regala una “Out on the Weekend” ar (N.Y.) tutta nuova, con un arrangiamento soul jazz impreziosito da una sezione di trombe, nella quale ha voluto, però, incastonare il solo di armonica così come è possibile ancora ascoltarlo in Harvest. Come già detto, Music Is Love è un disco tributo, ma è anche una finestra spalancata su una realtà musicale contemporanea tutta da scoprire, fatta di generi ancora poco frequentati dalle nostre parti e da musicisti di notevole spessore tecnico e artistico, le cui esecuzioni sono state qui esaltate grazie all’elevata qualità delle registrazioni made in Nashville. Visto che siamo su Chitarra Acustica, be’… forse viene a mancare un po’ della chitarra degli originali ma, come ritengo sia stato giusto fare, questa operazione ha voluto far conoscere la musica di CSN&Y a quanti non avessero ancora avuto modo di ascoltarla, valorizzandone la forza melodica e compositiva, seppure correndo il rischio di ‘dechitarrizzare’ quanto è stato fonte di apprendimento per centinaia di migliaia di chitarristi in tutto il mondo… Dopo tutte queste parole, però, dove si può ascoltare un po’ di musica? È possibile averne un assaggio? Andate pure sul ‘tubo’ e cercate il canale “route61music”: troverete un paio di video promo con tante foto e la title track in sottofondo, tanto per farsi venire l’acquolina in bocca. Alfonso Giardino Jennifer Stills 41 chitarra acustica 11 duemiladodici ar artisti Come se avessi le ali Intervista a Marcus Eaton di Lauro Luppi e Frank Varano Quest’anno all’AGM di Sarzana abbiamo incontrato un altro cantautorechitarrista di quelli che piacciono a noi: ottimo cantante, bravo scrittore di canzoni, bravissimo chitarrista! Si chiama Marcus Eaton ed è venuto al Meeting come dimostratore delle nuove chitarre Martin Performing Artist Series e in compagnia del suo amico Roy McAlister, il grande liutaio che a Sarzana ha lasciato un pezzo di cuore. Suo padre, Steve Eaton, è un autore di canzoni che ha scritto per artisti del calibro di Art Garfunkel, Glen Campbell, i Carpenters e Anne Murray. Così Marcus è cresciuto con la canzone d’autore nel sangue. I suoi idoli musicali sono poi Tim Reynolds e Dave Matthews, e questo già ci fa capire qualcosa della sua musica. Infine il suo ultimo album If I Had Wings, recensito sul numero di settembre, ci ha dato una prova tangibile del suo valore. Del suo talento si è accorto ultimamente anche David Crosby, che lo ha voluto con sé nel suo prossimo disco in lavorazione: mica male, no? Nella propria pagina Facebook, Marcus ha inserito un album di foto dal titolo Falling in love with Italy 2012 (“Innamorandosi dell’Italia 2012”): mentre lo intervistavamo – con in sottofondo, nello stand accanto, il fior fiore dei ‘bluegrassari’ italiani, Davide Facchini, Danilo Cartia, Andrea Tarquini, Paolo Monesi e Leonardo Petrucci in testa, che intonavano “Will the Circle Be Unbroken” – abbiamo avuto la netta sensazione che presto lo rivedremo. (a.c.) 42 chitarra acustica 11 duemiladodici Intervista a Marcus Eaton ar Puoi raccontare come hai cominciato e come sei arrivato a questo tuo quinto disco If I Had Wings? Ho registrato il mio primo album a diciannove anni, un disco indipendente autoprodotto. In seguito ho formato un gruppo, Marcus Eaton and the Lobby, e abbiamo inciso un paio di altri dischi per nostro conto, No Way Out nel 1999 e Marcus Eaton and the Lobby nel 2002. Nello stesso anno abbiamo firmato un contratto con l’etichetta discografica Uninhibited/Universal e nel 2003 è uscito un nuovo album intitolato The Day the World Awoke, che ci ha aperto le porte per avere un impresario, fare un tour negli Stati Uniti e condividere il palco con musicisti conosciuti. Purtroppo, nel 2004, la nostra casa discografica è fallita… È in quel periodo che hai incontrato Tim Reynolds? Dopo il fallimento della casa discografica il gruppo è entrato in crisi, ha perso fiducia, si girava troppo per troppi pochi soldi. Così ho continuato come solista ed è stato allora che ho iniziato a lavorare con Tim Reynolds. Tim mi ha aiutato molto e in un anno ho diviso il palco con lui in ventisei concerti negli Stati Uniti. È in quello stesso periodo che sono entrato in contatto anche con David Crosby. In occasione di un concerto ad Aspen nel Colorado ho conosciuto un certo Norm Waitt, che mi ha invitato a suonare a una sua festa privata ad Omaha nel Nebraska. Grazie a lui ho avuto anche l’opportunità di partecipare a un importante concerto di Dave Matthews con Tim Reynolds al Santa Barbara Bowl in California, anche se poi ci sono state delle restrizioni sull’orario e non ho potuto realmente suonare. Inoltre ho scoperto che Norm era il titolare dell’etichetta Samson Records, che ha pubblicato alcuni album di Crosby con CPR, e un giorno mi disse: «Sono amico di David Crosby e vorrei presentartelo, potrebbe essere un buon contatto per te». È così che ho cominciato a collaborare con Crosby! materiale di altri, ma la capacità di scrivere canzoni mi era familiare e ho cominciato a scriverne fin da molto giovane. Quindi tu ti consideri in primo luogo un cantautore? Dopo essere stato a Sarzana, certamente sì… perché i chitarristi qui sono talmente ‘fottutamente’ bravi, che non oserò mai più considerarmi un chitarrista! A parte gli scherzi, tu sei formalmente un cantautore, perché canti le tue proprie canzoni, ma non suoni come un cantautore tradizionale… No, c’è qualcosa di più progressivo. Vorre essere innovativo, non vorrei solo ripetere… Come mai, secondo te, Waitt ha pensato di presentarti a Crosby? Più precisamente, quali sono state le tue doti che hanno convinto Waitt a promuovere l’incontro con Crosby? Be’, Norm ha un buon orecchio! Ed io sono stato molto fortunato nella mia formazione musicale: mio padre è un musicista, i miei nonni erano entrambi cantanti lirici, cantavano l’opera italiana! E così sono cresciuto con la musica intorno. Sono stato fortunato anche perché mio padre è un autore di canzoni, non si limitava a suonare e riproporre canzoni di altri. Molti artisti, quando iniziano a cercare la propria identità, di solito continuano a suonare il repertorio di altri musicisti per molto tempo. Io invece, non è che non abbia a mia volta suonato il Una cosa che ci ha colpito è che tu non sei molto ‘lineare’ nell’esecuzione e nei tuoi brani: hai una bellissima scrittura, ma è veramente nuova, fresca, lontana da formule prestabilite. È stato difficile per me, perché spesso negli Stati Uniti, quando sembra che le cose non ‘quadrano’, non si ‘adattano’, allora ti dicono: «Ah, questo è reggae! Ah, questo è rock!» Ma le cose sono più complicate, io cerco di spingermi oltre i limiti. E penso anche che in giro ci siano molti musicisti bravissimi, 43 chitarra acustica 11 duemiladodici ar Intervista a Marcus Eaton e poi i cantautori. Ma non c’è niente in mezzo, che unisca la grande abilità musicale e la scrittura di canzoni. Io vorrei stare in qualche modo nel mezzo, includere entrambi gli aspetti… Vedete, ancora una volta sono molto fortunato: non avevo mai incontrato nessuno veramente come lui, così aperto a nuove idee. È veramente una situazione incredibile, dove l’ego non esiste, dove non c’è spazio per l’egocentrismo. Credo che questa sia una cosa rara. E credo anche che sia rara per uno della generazione di David Crosby: perché siamo io, della mia generazione, James, di una diversa generazione, e David. Siamo tre generazioni a lavorare assieme! David ha un iPad, un iPhone, usa la tecnologia, la capisce, è aperto, è desideroso di provare nuove idee, di provare qualsiasi cosa. Credo che questo sia ammirevole e sono veramente fortunato di condivedere tutta questa situazione. In effetti, nel corso degli anni qui a Sarzana, abbiamo potuto ascoltare da una parte Tommy Emmanuel, un chitarrista ipervulcanico, dall’altra John Gorka, un bravissimo cantautore con un approccio alla chitarra totalmente diverso… Sì, e in un certo senso non hanno nulla in comune, anche se magari l’uno potrebbe dire che gli piacerebbe che l’altro suonasse nel proprio disco… Ma io vorrei fare tutte e due le cose! Da questo punto di vista Tim Reynolds è il mio pallino, è un musicista eccezionale. È quello che vorrei fare, suonare altrettanto bene e al tempo stesso scrivere e cantare canzoni. È difficile farlo. È anche difficile incorporare un bel modo di suonare in un breve spazio di tempo, come avviene in una canzone. Fanno della tecnologia lo stesso uso che ne fai tu, oppure tu sei il ‘ragazzino’ del gruppo che ha posto un maggiore accento sulla tecnologia? Al contrario, è lui a volte a essere più avanzato, a introdurre nuove idee. Per esempio abbiamo appena finito di scrivere e registrare un brano a casa sua, tutto tramite iPad, iPhone e iTunes collegati direttamente agli speaker. È estremamente intelligente e saggio. Stare accanto a una persona così piena di saggezza e priva di qualsiasi forma di egocentrismo ha rappresentato per me un beneficio immenso. È una domanda quasi stupida, ma mi serve per aprire poi un altro discorso: nelle tue collaborazioni, con Tim Reynolds, con David Crosby, ti danno delle direzioni? Oppure ti dicono «Noi conosciamo il tuo stile, sei un musicista con cui vogliamo suonare perché stiamo bene insieme, fai semplicemente un buon lavoro» e ti lasciano libero di esprimerti davvero secondo le tue idee È un’ottima domanda! Il più delle volte, quando si suona per altri musicisti, credo che i parametri in cui ci si muove siano limitati, l’ambito è ristretto. Personalmente, non ho lavorato molto sul materiale di altri musicisti, per cui l’album di Crosby è stato veramente la mia prima esperienza del genere ed ero un po’ nervoso, non ero sicuro di essere all’altezza, non avevo idea di cosa mi potessi aspettare. Ma fortunamente lui è stato talmente collaborativo, che mi ha permesso di fare quello che pensavo e addirittura di comporre delle cose insieme, una cosa incredibile, al di là di ogni aspettativa! D’altra parte il suo materiale musicale è molto vicino a quello che io faccio, anche grazie a suo figlio James Raymond, che è un pianista eccezionale con il quale mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda. Ma la tecnologia, mi sembra, è sempre al servizio delle persone e della musica, non c’è mai uno sconfinamento nell’abuso: la usate perché è utile… Sì, la usiamo per trarne vantaggio. Vi racconto una storiella simpatica: io sono su Facebook e ho un amico in Italia che si chiama Nick. Un giorno mi ha scritto dicendomi: «Sei diventato famoso, sei diventato famoso!» E mi ha raccontato che Crosby mi aveva citato in un giornale italiano, la Repubblica. Così mi ha mandato il link dell’articolo, era poco dopo il mio incontro con David, che diceva: «Uno dei miei cantautori preferiti adesso è Marcus Eaton». Non ci potevo credere, ero assolutamente sconvolto: un giornale italiano che parlava di me, era la mia prima apparizione internazionale! La tecnologia serve anche a questo… Ti sei quindi ritrovato a collaborare con David Crosby, uno dei capisaldi storici della ricerca sulle accordature alternative. Tu le usavi già? Lui ti ha trasmesso qualcosa? Oppure anche in questo caso è stato così aperto da accogliere delle accordature che tu gli hai proposto? Buona domanda! Quando ci siamo presentati la prima volta a cena con l’amico Norm, abbiamo molto parlato di musica. Poi lui mi ha scritto delle email dicendo che aveva alcune accordature aperte da mostrarmi e che voleva incontrarmi. Incredibile! Così, la prima volta che abbiamo suonato insieme Visto che hai questa libertà, ti faccio una domanda un po’ provocatoria: ci hai spiegato che sei libero anche di collaborare alla scrittura dei brani, cioè stai collaborando proprio alla nascita di questo disco, ma saresti libero anche di proporre dei musicisti? Tu qui a Sarzana ti sei presentato come un artista solista che usa delle basi e dei loop, ma il tuo disco è realizzato in trio: potresti proporre qualche musicista che conosci e che secondo te potrebbe trovarsi bene in questa nuova situazione con Crosby? 44 chitarra acustica 11 duemiladodici Intervista a Marcus Eaton ar era chiusa, il mio polso bloccato. Ho dovuto lavorare molto per rendere il mio polso rilassato, decontratto. E nelle figurazioni ritmiche molto veloci, la parte più importante della mia tecnica ricade sulla mano sinistra. La mano sinistra è fondamentale per guidare la pulsazione, rilasciando ritmicamente la pressione sulle corde. Tra le figurazioni ritmiche suonate dalla mano destra, rilascio la mano sinistra per stoppare le note, è come il pedale di un pianoforte. Alla fine di “Life in Reverse”, il primo brano di As If You Had Wings, questa tecnica è particolarmente evidente. me le ha mostrate e ci siamo scambiati diverse accordature. Per la verità io non uso tante accordature, ma adesso che abbiamo suonato insieme, ho scritto delle canzoni con quelle accordature. E queste canzoni funzionano. Ho lavorato un po’ sulle sue accordature e sono tornato da lui con delle canzoni nuove scritte con le sue accordature: una cosa fantastica! Un’accordatura era quella per “Dèjà Vu” e “Guinnevere”, l’altra era per “Tracks in the Dust”. La prima è quella che ho usato di più: EBDGAD. L’altra è CGDDAD. Abitualmente suonavo in accordatura standard o in Dropped D, e un’altra delle mie preferite era una Dropped B con il Mi basso abbassato in Si. Inoltre uso anche un’accordatura in Do. Le corde che utilizzo sono delle Martin SP Phosphor Bronze abbastanza grosse, di scalatura media .013-.056. Grazie Marcus, è stata una chiacchierata e un incontro molto piacevole, vorresti aggiungere qualcosa di personale per concludere? Questo viaggio in Italia è stato il più bello che io abbia mai fatto. Sono stato contentissimo di scoprire quanto i musicisti, qui, prendano seriamente la musica. Perché questo in effetti è il luogo di nascita dell’arte e della cultura, questo è il posto dove tutto è partito. Anche il mio modo di suonare, sono sicuro, proviene in qualche modo da qui. Mi sento proprio fortunato di essere entrato in contatto con persone così speciali, con musicisti così bravi. Questo festival di chitarra poi è incredibile, mi ha veramente riscaldato il cuore! A parte le accordature, puoi parlarci di qualche altro elemento essenziale del tuo stile chitarristico? Un aspetto che ci ha particolarmente colpito è il modo in cui porti il ritmo e l’uso delle stoppate. Innanzitutto consiglio di usare sempre il metronomo quando ci si esercita. Inoltre, c’è da dire che per molto tempo non ho usato il plettro. Per cui sapevo suonare tutte le mie figurazioni ritmiche senza plettro. Quando ho cominciato a usarlo, il mio modo di tenerlo era sbagliato, la posizione della mia mano Lauro Luppi e Frank Varano Con David Crosby 45 chitarra acustica 11 duemiladodici st strumenti Chitarra acustica PEAVEY Composer Parlor di Mario Giovannini Hartley Peavey ha fondato la Peavey Elettronics nel 1965, sull’onda del successo ottenuto dal suo primo amplificatore, costruito pochi anni prima. Come tanti suoi coetanei, sognava di diventare una rock star ma, anche se le cose non sono andate esattamente come sperava, un’impronta tangibile sulla musica di questo secolo l’ha sicuramente lasciata. Difficile sapere se immaginasse già allora le dimensioni che la sua azienda avrebbe raggiunto in poco più di cinquant’anni. Con sedi in Nord America, Europa e Asia, oggi Peavey Elettronics è uno dei colossi a livello mondiale della produzione di strumenti musicali e attrezzature audio professionali. Il grosso successo, almeno qui da noi, l’ha ottenuto negli anni ’80, soprattutto grazie a una serie di amplificatori valvolari particolarmente azzeccati per robustezza e rapporto qualità/prezzo. Ovviamente, non è esattamente il primo marchio che viene alla mente parlando di chitarre acustiche, anzi. È un segmento di mercato che la casa americana non ha mai frequentato molto. Ma i tempi cambiano e lo sviluppo esponenziale del settore non poteva lasciarli indifferenti. Per cui sono comparsi in catalogo, nel giro di poco, un ampli per acustica, una serie di chitarre in materiali compositi e la serie Composer Parlor di cui abbiamo ricevuto un esemplare in prova. Anche se parlare di ‘serie’, almeno per il momento, è abbastanza ottimistico, ne esitono due versioni: natural e sunburst. Più un ukulele con la stessa forma. A noi è toccata quella natural. La Composer Parlor ha uno shape del corpo particolare, che ci si potrebbe quasi arrischiare a definire originale. Dimensioni molto ridotte, attacco del manico al XII tasto, spalla mancante a punta – una sorta di venetian estrema – e buca a goccia. Il design di quest’ultima è una ‘citazione’ abbastanza 46 chitarra acustica 11 duemiladodici PEAVEY Composer Parlor st Scheda tecnica Tipo: Chitarra acustica Costruzione: Cina Distributore: Peavey Italia Srl – via P. La Torre, 21 – Zona Ind.le Cerretano – 60022 Castelfidardo – Tel. 071 7823442 – www. peavey.it – [email protected] Prezzo: € 159 (IVA inclusa) Top: abete laminato Catene: abete Fasce e fondo: aghatis Manico: mogano malese Tastiera: palassandro indonesiano Binding: celluloide Meccaniche: DM 08 Lima cromate Scala: 628,5 mm Tasti: 18 evidente di quella della C1C della Tacoma – e della sua sorellina economica Olympia – uno strumento che, negli anni ’90, ha avuto un discreto successo; Tacoma, poi inglobata da Fender, che è stata messa in stand by all’inizio del 2000, cessando le sue produzioni. Molto bella esteticamente, ma che non vi venga mai in mente di elettrificarla perché sono guai… sotto al ponte non si arriva. La chitarra, pur appartendo ad una fascia estremamente economica, è ben realizzata e ha un ottimo livello di finiture. Binding in celluloide su cassa e manico, tastiera e ponte in palissandro indonesiano. La cassa armonica ha la tavola in abete e fasce e fondo in agathis, un mogano senegalese molto diffuso e a buon mercato. Si tratta di laminati, ma la qualità e l’impatto estetico sono di buon livello. Una volta imbracciata, pur risultando piacevolmente bilanciata, necessita di qualche attimo di adattamento, tanto per prenderci un po’ le misure. Poi, in effetti, si supera e si apprezza anche la comodità di uno strumento per nulla ingombrante. Il suono è molto da parlor: secco, diretto con un attacco immediato. Sorprendentemente il volume e la proiezione non mancano, con una buona definizione su tutta la gamma. La trama sonora non è molto complessa, un po’ ferma sulle fondamentali. Ma, del resto, stiamo parlando di una chitarra che costa meno di un pedale… Si suona bene sia a plettro che con le dita e, come capita spesso di dire con chitarre di questo tipo, attenzione che la scala ‘molto’ corta può dare dipendenza. Le dimensioni molto ridotte unite alla scala del manico ‘veramente, ma veramente’ corta farebbero venire il ‘dubbio’ che si tratti di una chitarra da viaggio. In effetti, anche se non è dichiaratamente questa la sua destinazione d’uso, sembra proprio la chitarra ideale da trascinarsi dietro in giro per il mondo, senza grossi patemi d’animo. Oppure potrebbe essere molto adatta come primo strumento per bambini/ragazzi/donne minute/uomini molto minuti. Manca forse una custodia/zaino ben imbottita per completare il tutto, ma a questo prezzo è difficile pretendere di più. Lo strumento in prova è stato gentilmente messo a disposizione da: Dosio Music – Via Verdi 35/44/46 Vercelli – Tel. 0161 253047 [email protected] 47 chitarra acustica 11 duemiladodici st strumenti Chitarra acustica MARTIN DRS1 di Mario Giovannini Difficile non tornare a parlare di Martin ogni tre per due. Sia perché la casa americana non è certo parca di novità – anzi – e ogni anno non manca mai di rinnovare il suo catalogo in maniera significativa. Spesso con serie limitate decisamente non accessibili ai comuni mortali, ma non disdegnando ogni tanto di volgere lo sguardo anche verso la parte un po’ più ‘terra terra’ dei suoi ammiratori. Poi, è anche inutile negarlo: si tratta di uno di quei marchi che fanno parte del DNA della quasi totalità dei chitarristi in circolazione e quindi, alla fine, si torna sempre lì, anche solo per dare un’occhiata. La Serie 1 ci aveva già positivamente impressionato nel corso della prova della OM-1GT (Chitarra Acustica, n. 4, aprile 2012), e l’uscita di una dread tutta in mogano nella stessa fascia di prezzo non poteva certo passare inosservata. Quindi ci siamo fatti forza e abbiamo affrontato la dura prova, ricordate: lo facciamo solo per voi! a goccia in plastica nera. In compenso, però, la realizzazione dello strumento è impeccabile sotto ogni punto di vista e la tavola è in massello. Ponte e tastiera sono realizzati in Black Richlite, un materiale ottenuto mischiando carta riciclata e resina fenolica, mentre il manico è in Rust Stratabond, ovvero un Scherzi a parte, la DRS1 è una bella dread interamente realizzata in sapele, una varietà africana di mogano, con il classico stile no frills che caratterizza questa produzione. Niente binding né ornamenti di nessun genere, a eccezione di un semplice triplo filetto bianco che orna la buca e il classico battipenna 48 chitarra acustica 11 duemiladodici MARTIN DRS1 st Scheda tecnica laminato pressato unito a colla. Da un lato si può considerare particolarmente ‘etica’ la decisione di utilizzare materiali alternativi e provenienti da riciclo anche su strumenti musicali. Dall’altro qualche ragionevole perplessità si può avere, di primo acchito. In Rete si leggono spesso commenti perplessi in particolare sul Rust Stratabond, colpevole di un ipotetico alto assorbimento di ‘umidità’ con conseguente deformazione del manico. In realtà, negli ultimi dieci anni, di manici di questo tipo ce ne ne sono passati per le mani un numero considerevole, ma problemi di questo tipo non ne abbiamo mai riscontrati. Magari vivendo in Thailandia o Vietnam la si potrebbe pensare diversamente, ma anche qui bisognerebbe avere l’opportunità di toccare con mano. Ma torniamo alla nostra DRS1 che, oltre a essere ben realizzata, intonata e con un set up decisamente user friendly, risulta piacevolmente bilanziata, una volta ‘indossata’. Fin dal primo accordo ci si rende conto che non ci sarà tanto ‘fumo’, ma la sostanza non manca. I bassi hanno una bella botta, che si trasmette piacevolmente allo stomaco di chi la imbraccia. Medi marcati e leggermente compressi, cantini rotondi e corposi. Probabilmente proprio per merito del mogano, gli acuti non rimangono indietro, come di solito capita con chitarre con questo shape del corpo, ma rimangono belli presenti e definiti. Insomma, suona come deve: una dred a tutti gli effetti, ma con una marcia in più sulle note alte. Questo la rende piacevolmente versatile: con il plettro è la morte sua, niente da dire, ma anche con le dita ha il suo perché. Il sustain è lungo e corposo, con una bella punta di riverbero naturale. E dire queste cose di uno strumento tutto in mogano non è che capiti tutti i giorni. Il Sonitone della Fishman, montato di serie, ha i controlli alla buca e l’alimentazione fissata all’interno della cassa, senza nessun citofono sulla fascia. C’è voluto quasi un decennio, ma anche su queste cose le grandi case si stanno finalmente adeguando alle richieste del mercato. Non si tratta di un sistema di rilevazione ‘esoterico’, ma fa il suo mestiere degnamente. Del resto, la base di partenza è buona e non è difficile fare un buon lavoro in fase di amplificazione. La presenta del secondo pin per la tracolla all’attaccatura del manico, oltre a un’amplificazione on board estremamente plug’n’play, danno allo strumento una connotazione decisamente indirizzata all’uso dal vivo. Sarà anche l’effetto MTV, ma sono chitarre che si vedono spesso imbracciate dai folk singer americani di ultima generazione. Del resto sono non troppo costose, suonano bene e sono pronte per andare su un palco, cosa altro serve? Tipo: Chitarra acustica Costruzione: Messico Distributore: EKO Music Group SpA – via Falleroni, 92 – P.O. Box 52 – 62019 Recanati (MC) – Tel. 0733 226271 – www. ekomusicgroup.com Prezzo: € 1139 (IVA inclusa) Top: mogano sapele massello Catene: mogano Fasce e fondo: mogano sapele Manico: Rust Stratabond Tastiera: Black Richlite Binding: no Meccaniche: Martin Scala: 648 mm Tasti: 20 Amplificazione: Fishman Sonitone Lo strumento in prova è stato gentilmente messo a disposizione da: Dosio Music – Via Verdi 35/44/46 Vercelli – Tel. 0161 253047 [email protected] 49 chitarra acustica 11 duemiladodici st strumenti Microfono e preamplificatore per resofoniche, gipsy e banjo Gold Tone ABS di Daniele Bazzani Pensato per risolvere i problemi relativi all’amplificazione su alcuni degli strumenti di solito più difficili da riprendere, il microfono dotato di preamplificatore della casa americana fornisce una soluzione piuttosto interessante e di qualità. Il concetto alla base è semplice, ed è quello che un qualsiasi tecnico del suono ci proporrebbe sul palco: un microfono a condensatore piazzato di fronte allo strumento che suoniamo. La differenza risiede nel tipo di microfono che abbiamo a disposizione, di solito sul palco questo viene fissato a un’asta ‘legandoci’ materialmente a una posizione fissa, spostarsi di pochi centimetri può stravolgere il suono e siamo quindi impossibilitati a muoverci liberamente. Non è una cosa poi così positiva o una bella sensazione mentre cerchiamo di esprimerci in musica. Il microfono Gold Tone ABS (Andvanced Banjo Microphone System) è una capsula microfonica fissata a un supporto, tramite un piccolo braccio regolabile, che ha un sistema di bloccaggio pensato per strumenti dotati di una cordiera metallica: ecco che le resofoniche, le chitarre da gipsy jazz e il banjo hanno una nuova possibilità di farsi sentire sul palco. Al piccolo microfono si aggiunge il preamplificatore ABS-2 Acoustic Preamp Stompbox, dotato di controlli di tono con Alti, Medi e Bassi e un Volume, oltre all’inversione di fase. È pensato per darci un’ulteriore possibilità sonora, quella di poter incrementare il volume in caso di assolo o di necessità del momento, è molto utile e fa già parte del sistema evitandoci una ricerca successiva all’acquisto. A tale proposito, il controllo di volume svolge una comoda funzione permettendoci di trovare il giusto limite di suono, e in quel caso una piccola aggiustata all’equalizzazione potrebbe essere utile: sappiamo che alzando il volume c’è un maggior rischio di feedback e una leggera riduzione delle basse frequenze può aiutarci ad evitare fastidiosi rientri. Il microfono, a detta del produttore, è costruito sulle specifiche dell’oramai leggendario Shure SM57, un microfono a condensatore che, insieme al fratello SM58, ha segnato la storia della musica live degli ultimi decenni, quindi dovrebbe essere una garanzia. Il supporto metallico è semplicissimo da agganciare e ci permette anche di spostarlo da uno strumento all’altro durante il concerto, l’unica cosa a cui prestare attenzione è il braccio regolabile e la conseguente posizione del microfono, cruciale per la ricerca del suono giusto, quindi attenzione sia a poggiare lo strumento quando non utilizzato o a muovere il sistema da uno all’altro, è l’unica vera raccomandazione che ci sentiamo di dare. Il tutto viene in una bella custodia rigida che accoglie entrambi i pezzi permettendoci di portarli in giro comodamente. Info: www.goldtone.com 50 chitarra acustica 11 duemiladodici st strumenti Suono e sellette di Dario Fornara Selletta in mammut fossile Tecnicamente lo sappiamo tutti: la selletta (saddle in inglese) è quell’elemento attraverso il quale la corda trasmette la propria vibrazione al ponte e alla tavola armonica di una chitarra acustica. È un elemento importante perché, oltre ad essere in parte responsabile della timbrica del nostro strumento, può agire e correggerne l’intonazione. La trasmissione della vibrazione è influenzata dalla tipologia del materiale con la quale è costruita, dalle dimensioni e dal tipo di incastro, più o meno solidale, con il ponte sottostante. Nell’analizzare le particolarità timbriche che possiamo ottenere adottando sellette costruite con materiali differenti, ipotizziamo di sostituire la nostra ‘anonima’ selletta in plastica prestampata con altre di materiale diverso: questa selletta in plastica sarà il nostro termine di paragone, considerando la timbrica neutra e la discreta resistenza all’usura che riesce a garantire. Parlando di materiali alternativi, i più comuni ed utilizzati sono Corian e Micarta, che hanno buone caratteristiche timbriche e garantiscono una maggiore durata nel tempo. In questo breve articolo abbiamo però voluto prendere in considerazione altri materiali, utilizzati in liuteria su strumenti generalmente di buon livello e oggi facilmente reperibili sul mercato. Le considerazioni che seguono si riferiscono all’utilizzo di una ipotetica selletta montata direttamente a contatto con il ponte, ovvero senza che tra i due elementi vi sia interposto, per esempio, un rilevatore piezo per l’amplificazione, o qualsivoglia materiale che potrebbe variare la risposta timbrica naturale dello strumento. Vediamone allora alcuni tipi. 51 chitarra acustica 11 duemiladodici st Suono e sellette Selletta in osso. Solitamente si ricava da pezzi di osso bovino e la lavorazione avviene manualmente. La timbrica di una selletta in osso può variare da modello a modello anche in modo significativo, in quanto la struttura dell’osso stessa può cambiare per peso e densità in porzioni di materiale anche molto vicine (amplificando lo strumento a volte si riscontrano problemi di bilanciamento di volume tra le corde proprio a causa del materiale strutturalmente poco omogeneo). Detto questo la timbrica acustica di base risulta spesso più potente e definita rispetto all’analoga in plastica, e con poca spesa è possibile migliorare in modo sensibile la timbrica di una chitarra un po’ spenta e legnosa, tipica di molti strumenti economici. Selletta in osso su Lowden S38 Selletta in avorio. Di difficile reperibilità per i giusti motivi legati alla sopravvivenza della specie protetta dalla quale proviene, è un materiale nobile sia esteticamente che timbricamente. Genera un attacco migliore rispetto ad altri, producendo una timbrica definita, con un buon sustain, rispettando fedelmente le caratteristiche di base dello strumento. Generalmente ha una densità piuttosto omogenea ed è abbastanza raro imbattersi in sellette ‘spente’ o con problemi di ‘trasmissione’. I limiti di reperibilità e utilizzo lo rendono sempre più raro e ricercato, ma è un ottimo materiale, come d’altronde la storia della liuteria in generale ci insegna. Selletta in corno Black Tusq su Chatelier FD Custom Selletta in corno su Illotta FD Custom 52 chitarra acustica 11 duemiladodici Selletta in Tusq. Il Tusq è un materiale sintetico. Il processo di produzione ne garantisce una perfetta omogeneità e una maggiore resistenza meccanica alle varie sollecitazioni; inoltre è un materiale ‘autolubrificante’ che garantisce un attrito praticamente nullo allo scorrimento e per questo largamente utilizzato anche per la realizzazione dei capotasti. È rigido e compatto e la nostra selletta permetterà di trasferire alla tavola il suono ‘puro’ della corda, in modo molto fedele e dettagliato, condito spesso da un incremento del riverbero naturale. Con una selletta in Tusq avremo (forse) un po’ meno calore, ma potenza e trasparenza saranno assicurati. Ottima se utilizzata come ‘supporto’ a sistemi di amplificazione sottosella, proprio grazie alla caratteristica uniformità strutturale. Suono e sellette Selletta in ottone. L’ottone è un materiale in realtà poco utilizzato nella realizzazione della selletta del ponte. Alcuni costruttori lo ritengono un materiale troppo pesante e in grado di caratterizzare in modo invasivo la timbrica naturale dello strumento, aggiungendo all’attacco della nota un suono metallico e soprattutto generando una ‘compressione’ non sempre gradita. Anni fa ho montato una selletta in ottone su una vecchia chitarra acustica Bozo a 12 corde e ho ripetuto l’esperimento su altri strumenti ricavandone le stesse impressioni: suono effettivamente più metallico, timbrica con maggiore corpo ma più compressa. st di timbrica generata. A causa della sua morbidezza, le corde tendono a incidere la superfice di appoggio con facilità e quindi deve essere tenuto ‘sotto controllo’ con maggiore attenzione. Tutto ciò non vuole e non deve essere visto in maniera negativa, ma solo come una possibilità in più nella ricerca del proprio suono ideale. Sicuramente merita di essere sperimentato. Selletta in carbonio. Esistono sellette in carbonio di vario tipo e, infatti, con questo termine a volte vengono proposti materiali piuttosto differenti sia per composizione che per struttura. Personalmente ho montato su una mia chitarra una selletta in carbonio e grafite sinterizzata (abbastanza difficile da reperire) veramente incredibile, in grado di generare un sustain e una definizione timbrica davvero fuori dal comune. Più comuni sono invece le sellette realizzate in fibra di carbonio, grazie alle quali è possibile ottenere una timbrica di base presente e brillante, guadagnandone in volume e dettaglio, ma… ripeto, si trovano in commercio prodotti che possono essere molto diversi fra di loro, anche come sonorità. Selletta in mammut fossile. Siamo nell’esoterico timbrico chitarristico. E ci sono caduto anch’io con la selletta della mia Martin 00028. Il mammut fossile non è neppure un materiale così raro da trovare e si può recuperare facilmente: basta avere la voglia e la possibilità di sborsare un piccolo capitale che da solo supera l’acquisto di certi strumenti ‘da supermercato’. Il suono è bello, molto definito; quello della mia triplo zero si è leggermente aperto, perdendo un filo della sua mediosità. Solo per strumenti rigorosamente acustici e per chi è disposto a metterci un po’ di suggestione. Ma forse è un parere un po’ troppo personale… Conclusioni Senza aspettarsi grandi miracoli, e sempre tenendo presente che una buona selletta è solo un elemento che concorre alla formazione della timbrica del nostro strumento, il consiglio è quello di sperimentare, magari approfittando del prossimo ‘tagliando’ dal vostro (naturalmente bravissimo) amico liutaio di fiducia. Attendo le vostre opinioni! Selletta in corno. Al di là di un discorso puramente estetico, che però in questo caso già da solo potrebbe determinarne la scelta, la selletta in corno ha un suono leggermente più spento e medioso. L’attacco può essere meno definito e soprattutto le corde non avvolte possono perdere parte della propria complessità armonica. È un materiale piuttosto morbido e la cosa sembra proprio riflettersi sul tipo Dario Fornara [email protected] Selletta in csrbonio 53 chitarra acustica 11 duemiladodici st strumenti GAS Addiction di Mario Giovannini Eko Diavolo di un Varini. Non si ferma mai. Da dicembre saranno disponibili i nuovi modelli della sua serie signature per la casa di Recanati: Eko Mia 018 Cutaway 12 corde, Mia Parlor, Mia Nylon, Mia per mancini, Mia Learning per i principianti. Quest’ultima, in particolare, dotata di sistema FastLok per la regolazione del manico, viene proposta ad un prezzo davvero per ‘studenti’. Non mancheremo di approfondire. www.ekomusicgroup.it Schecter Sono finalmente disponibili anche sul mercato italiano le nuovissime chitarre acustiche Schecter della serie Hellraiser e Omen Extreme. La nuova linea di chitarre acustiche Schecter punta a proporre strumenti dal look accattivante in linea con il target dei clienti Schecter, ovvero musicisti alla ricerca di una chitarra dal look moderno e di buon suono acustico per le loro performance in ambienti pop/rock. Le acustiche della serie Hellraiser sono disponibili nelle versioni Stage (spalla mancante fiorentina) e Studio (spalla mancante veneziana); entrambe vengono prodotte in finitura lucida, sia nella colorazione BCH (black cherry) che nel STBLK (nero trasparente). La gamma di acustiche Hellraiser presenta top, fondo e fasce in acero quilted, capotasto e traversino Black Tusq Graph Tech, ponte dal design esclusivo Schecter Custom, intarsi in abalone, rosetta in palissandro, meccaniche Grover ed elettrificazione Fishman PreSys. Le acustiche della serie Omen Extreme vengono prodotte in finitura lucida, nelle colorazioni ANTQ (antique amber), BCH (black cherry) e VSB (vintage sunburst). La gamma di acustiche Omen Extreme presenta top in acero quilted (colorazioni ANTQ e BCH) o abete (colorazione VSB), fondo e fasce in acero quilted (colorazioni ANTQ e BCH) o palissandro (colorazione VSB), capotasto e traversino Ivory Tusq Graph Tech, ponte dal design esclusivo Schecter Custom, intarsi in abalone, binding e rosetta multistrato, meccaniche Grover ed elettrificazione Fishman ISys. www.goldmusic.it 54 chitarra acustica 11 duemiladodici st Schertler La casa elvetica ha presentato il ‘fratello minore’ dello Yellow Blender provato su queste pagine pochi mesi fa. Si tratta di una versione monocanale del preamplificatore in Classe A di Schertler con 1 In, 3 Out ed Effect Loop integrato. Yellow Single offre: – design moderno e sofisticato, costruito in un robusto e leggero case in alluminio; – massimo due canali di ingresso per tutti i tipi di microfoni e pickup; – massimo quattro linee di uscita con connessioni multiple; – uscita per le cuffie; – Send & Return per loop effetti; – EQ quadribanda con altri filtri dedicati per garantire un’ampia gamma di controlli di tono e la massima flessibilità; – elettronica in pura classe A per la migliore performance possibile. Ogni singola sezione è stata pensata e progettata per garantire il massimo potenziale da ogni tipo di sorgente sonora. www.schertler.com Admira La Gold Music Srl e la Enrique Keller S.A. sono liete di annunciare che le celebri chitarre classiche spagnole Admira verranno distribuite e commercializzate in esclusiva sul territorio italiano dalla Gold Music. In occasione dell’annuncio di questa nuova prestigiosa distribuzione, la Gold Music è lieta di introdurre due nuovissimi prodotti Admira che si vanno a collocare nella fascia student. Si tratta dei modelli Alba e Diana che permettono di avere una chitarra classica spagnola di pregio (il marchio Admira è da sempre sinonimo di qualità) ad un prezzo davvero accessibile a tutti (range di prezzo al pubblico 100,00/150,00 euro). Alba: chitarra classica 4/4, serie Admira Eki con top in abete canadese, fondo e fasce in sapele, manico in mogano, scala di 650 mm, ponte e tastiera in palissandro, binding nero su top e fondo, rosetta in legno, meccaniche ‘Lyre’ nichelate, finitura lucida. Diana: chitarra classica 4/4, serie Admira Eki, top in cedro canadese massello, fondo e fasce in sapele, manico in mogano, scala di 650 mm, ponte e tastiera in palissandro, binding nero su top e fondo, rosetta in legno, meccaniche ‘Lyre’ nichelate, finitura lucida. www.goldmusic.it 55 chitarra acustica 11 duemiladodici tc tecnica Guitar Workshop di Stefan Grossman David Laibman è conosciuto come il padre del revival chitarristico contemporaneo del ragtime classico. I suoi arrangiamenti in questo campo sono sbalorditivi oltre che splendidi. Potete ascoltarli nel suo album solista Classical Ragtime Guitar (Rounder, 1981) e in The New Ragtime Guitar (Folkways, 1971) inciso con Eric Schoenberg. Ma quando Dave iniziava a dare una scossa alla scena folk nei primi anni ’60 con il suo incredibile stile chitarristico, molti dei suoi pezzi erano presi dal gruppo di old-time revival The New Lost City Ramblers. Dai dischi dei Ramblers aveva infatti imparato “Money’s All Gone”, “Dallas Rag” e “Colo- red Aristocracy”. La sua versione di “Colored Aristocracy” [in AA.VV., Novelty Guitar Instrumentals, Stefan Grossman’s Guitar Workshop, 1a ed. 1975] combina un carattere quasi nashvilliano con alcune interessanti posizioni di accordi, dando vita a un arrangiamento molto impegnativo e stimolante. Mentre la maggior parte dei chitarristi cercano ad esempio di catturare lo stile degli strumenti irlandesi nei loro arrangiamenti di melodie celtiche, Dave ha optato per un approccio diverso, basato sulle sue tecniche legate al ragtime classico. Il pezzo è in basso alternato. Fate attenzione, perché nell’arrangiamento ci sono a volte dei giri e degli sviluppi imprevisti che David Laibman, dalla copertina del suo CD Adventures in Ragtime, Stefan Grossman’s Guitar Workshop, 2008 56 chitarra acustica 11 duemiladodici dovete leggere accuratamente nella trascrizione musicale. Siamo in tonalità di La e si inizia con una posizione dell’accordo di La con un barré sulle prime quattro corde al secondo tasto. La terza battuta introduce un accordo di Fa# suonato con il pollice della mano sinistra agganciato dietro al manico per premere la sesta corda al secondo tasto, mentre l’indice esegue un piccolo barré sulle prime due corde al secondo tasto, il medio preme la terza corda al terzo tasto e l’anulare preme la quarta corda al quarto tasto. Suonate questo accordo con questa diteggiatura. Se provate a suonarlo con un barré completo, avrete dei seri problemi a suonare la melodia. Nella quinta misura dovete prendere un barré al settimo tasto sulle prime tre corde. Tenete questa posizione per tutta la battuta. Alla sesta misura la posizione cambia: l’anulare preme la seconda corda al settimo tasto, l’indice preme la terza corda al sesto tasto e il medio preme la quarta corda al settimo tasto. Questa diteggiatura molto ingegnosa ci permette di mantenere il basso alternato e suonare la melodia sugli acuti. La diteggiatura di Si7 alla settima misura tc prevede ancora l’indice sulla terza corda al sesto tasto, ma il medio e l’anulare ora premono rispettivamente la sesta e quarta corda al settimo tasto. È questa un’altra posizione molto interessante, che dona all’arrangiamento fluidità e colore. L’ottava misura inizia con un accordo di Mi in prima posizione. Diteggiate l’accordo completo, anche se la trascrizione chiede soltanto di pizzicare la sesta e Traditional, Arranged by prima corda a vuoto. Tenendo la posizione intera dell’accordo, otterrete un suono più pieno, perché Dave Laibman la chitarra catturerà le varie vibrazioni per simpatia. Queste sono praticamente tutte le posizioni richieste. L’unica altra posizione si può trovare all’inizio della seconda sezione, dove l’accordo di La è preso con una forma di Fa al quinto tasto. Di nuovo, fate attenzione a utilizzare il pollice per premere la sesta corda al quinto tasto e a non eseguire un barré completo. Colored Aristocracy Colored Aristocracy traditional – arranged by David Laibman Section One ### 4 & 4 T A B œ ¿œ œ J 0 F# ### ú & œ 3 A 3 œ œ 2 2 0 0 . . 4 œ 0 2 3 4 2 3 4 2 j ### œ œ œ œ œ œ . œ œ & œ œ A 0 7 4 6 0 0 D œ 3 7 0 0 2 0 œ # œ nœœ œ # œ œ œœ œ œ 0 8 7 7 7 6 8 7 œ nœ 6 0 4 3 œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ B7 0 œ 0 7 4 Ó 2 2 2 6 7 j j œ ú œ œ œ œ œ j j Ó j œ œ œ #œ œ #œ.œ nœ œ œ 2 0 .. œ œ 9 10 10 0 ú 9 0 7 0 0 Ó E œ œ ‹œ œ 0 2 4 0 0 7 7 57 chitarra-acustica 11 Reserved. duemiladodici ©1975 Shining Shadow Music All rights Used With Kind Permission. 3 tc 9 & Colored Aristocracy ### A œ œ œ œ 2 2 0 0 j j œ ú œ œ œ œ œ 4 Ó # # # œj #œ.œ nœ & œ 0 œ nœ 2 œ 0 4 3 2 9 7 10 3 0 10 9 j œ œ œ œ œ œ .œ œ œ œ 0 7 0 0 4 A 0 7 2 2 œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ 0 2 j j œ œ #œ œ œ 4 0 0 œ 3 œ ú œ 2 7 4 Ó 2 D 12 3 2 0 F# 7 6 0 7 0 7 0 Section Two 15 & ### B7 E7 œ # œ nœœ œ œ œ œ œ œ œ 0 0 0 8 6 7 7 F# # # # œœ .. & œ 18 2 2 2 2 4 2 ú œ 0 0 4 . . 0 0 2 4 2 0 2 0 4 2 2 4 2 58 chitarra acustica 11 duemiladodici œ œ 5 5 œ œ œœœ œ œ 3 7 5 7 5 œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ 4 2 ú œ œ A .. 2 0 j j œ œ œ. œ œ œ Ó A 0 6 5 7 5 #œ œ 3 2 œ œ œ œ 2 2 4 4 Œ œ 2 tc Colored Aristocracy ### œ œ œ œ œ œ œ œ & œ œ œ œ 21 D 7 9 10 & 10 0 0 24 7 E 0 0 0 7 œ œ œ 5 5 œ œ 0 7 6 7 0 A œ ‹œ œ 7 0 Ó ### ú 9 j œ œ œ œ œ œ .œ œ œ œ 2 3 4 7 5 5 2 0 0 2 2 4 0 4 2 2 A 7 0 0 7 6 7 0 0 œ œ ú œ 2 2 4 4 2 2 4 2 œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ D œ 7 9 6 0 59 chitarra acustica 11 duemiladodici 7 10 0 0 0 7 7 7 2 4 œ # œ n œœ œ œ œ œ œ œ œ 8 2 7 E7 0 0 6 j j œ œ œ. œ œ œ 2 B7 7 8 7 œœ .. œ 2 0 7 F# 5 6 2 j ### œ œ œ œ œ . œœ œ & œ œ 30 8 6 7 5 3 0 7 œ œ œ œ œ œ ### œ œ œ œ œ œ œ œ #œ & œ œ œ œ œ 4 0 3 27 2 œ # œ nœœ œ # œ œ œœ œ œ 0 0 7 0 B7 0 0 10 9 7 0 0 A ú œ œ Ó ú 2 4 0 0 0 tc tecnica The Blue Horizon di Peter Finger The blue Horizon “The Blue Horizon” è un altro brano della mia serie di miniature, che si ispira a un dipinto del mare, principalmente in tonalità blu. Potete trovarlo nel mio Peter Finger album Dream Dancer. L’accordatura è EBEGAD, cioè l‘accordatura che uso nella maggior parte della mia musica. Dal momento che è necessario innalzare di un tono intero la quarta e quinta corda, avrete su queste corde una tensione un po’ maggiore, mentre la tensione sarà minore sulla prima e seconda guitar che tuning: B E G A Dun tono sotto. Si tratta di un pezzo lento, che crea corda, sonoE accordate un’atmosfera capo: 2nd fret di calma se suonato correttamente. Cercate di lavorare su ogni nota e di costruire un movimento di tensione e rilascio, che renderà il brano molto più interessante. Ci sono molte più note nella linea di basso che nella melodia. I bassi tirano in avanti e la melodia tiene indietro il tempo. La linea di basso si ripete continuamente fino alla battuta 28. Dalla battuta 29 inizia una sezione completamente diversa, che presenta molte più note nella melodia rispetto alla linea di basso, con una sorta di tema popolare tradizionale e ritmi dispari. Questo può creare un bel contrasto con il resto della composizione. Spero che vi divertiate a sperimentare l’accordatura EBEGAD e a suonare questo pezzo. Ogni bene! Accordatura: EBEGAD E (a d d b1 3 ) Capo II 60 q» # c V ∑ œ œ œ œ π T A B 3 4 0 4 Œ ‰. r Ó œ . œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ . œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ 4 0 3 4 0 4 3 4 0 4 3 4 2 4 0 3 4 4 4 0 3 5 4 4 F (a d d b1 3 )/E œ œœ b œ b úœ œ œ œœ œ n œœ œ w œ b œ œ œ œ œ œ œ œ œ π p # œ . œ œ úœ œ œ œœ . œn œ V œ œ 4 p 0 4 2 3 4 0 4 3 4 3 5 6 5 0 4 5 0 E (a d d b1 3 ) 7 V # 0 3 5 2 5 0 5 4 5 0 5 4 5 b B m (a d d 1 3 ) œ . œ œ œœ œ œ .œ œ œœ # œ œ œ œœ# œ œœ ú œ œ œ œ œ œ œ 2 5 4 5 4 3 4 4 0 4 3 5 1 4 0 4 3 1 4 0 4 3 4 60 chitarra acustica 11 duemiladodici œ. œ œ #œ œ. œ œ #œ œ œ œ œœ œ 5 0 2 0 2 4 0 2 0 0 2 1 tc D (a d d b1 3 ) 10 # œ œ b œœ œ œœ œ œ œ œœ œ œ œ œ . œ œ b œœ œ œœ . œ œ. œœ œ œ œ œ œ p V wœ œ œ œ œ œ œ œ 0 2 0 2 0 2 0 0 2 0 0 3 3 2 0 0 3 3 4 0 0 2 0 4 0 2 0 3 3 2 0 3 2 0 3 E (a d d b1 3 ) # b œœ . œ œ œ œ .œ b œœ . œ œ œ œ œ œ b œœ œ œœ œ úœ œ œ œ V œ œœ . œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ 13 F 7 6 7 5 6 7 7 8 6 7 7 6 5 7 7 6 7 7 6 7 6 7 E (a d d b1 3 ) œœ œœ # œœ œœ œœ œ V œ œœ œ œœ œ œœ œ œ 2 4 3 4 0 2 4 3 4 0 2 4 3 4 0 2 3 7 7 œœ b œœ f 9 7 5 7 4 2 3 4 C (a d d b1 3 ) B (a d d b1 3 ) 5fr. 16 6 3 2 4 4 3 4 E add 9 n œœœ œ 4 2 0 2 2 ( D /C œœ œœ 5 3 1 3 0 4 5 4 3 4 0 ) # www w F 0 0 2 1 2 1 2 0 E (a d d b1 3 ) 19 # V œ π 0 ∑ œ œ œ 4 3 4 œ 0 œœœ 4 3 4 Œ Œ Œ ‰ ≈ œ œ œ . œ œ. œ œœœ œœœ œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ 0 4 3 4 0 4 3 4 4 p 2 61 chitarra acustica 11 duemiladodici H 4 0 4 3 4 5 p 2 H 5 0 4 3 4 4 p 2 H tc The Blue Horizon D (a d d b1 3 ) # œ . œ œ úœ . œ œ œ œ V œ œ œ œ œ b œœ œ œ œ œ . œ œ œ œ œ œ œ œ 22 p 4 4 0 ( B m m a j7 25 V # H 202 3 V # 0 4 0 0 3 3 0 2 4 0 0 3 3 2 0 H 02 4 0 3 0 3 0 0 3 3 œ ú # œ œ œ # œ œ œ œ œ œ œ œ œ œœ œ œ œ # œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ P 2 0 27 4 0 w bœ œ œ œ œ œ œ œ ) 1 D (a d d 4 3 rK œ 2 4 0 1 2 2 4 1 0 2 2 4 0 1 2 2 4 0 0 2 2 4 0 0 œ œ 2 4 2 0 2 0 2 C b1 3 )/E œ œ nœ œ œ 5 œ w œ b œœ œœ œ œœ œ œœ œœ œ œ b œ œ œ œ œ œ 38 .. œœ œœ œ 16 J J J f F 0 0 2 2 2 4 4 1 1 1 1 . 3 5 3 5 30 2 0 2 2 2 2 2 2 2 2 0 0 0 0 3 . 3 3 œ œ 3 3 p p D 9 ( b 1 3 )/A # 5 œ œ œ œ nœ œ . 3 . œ . 8 . V 16 œ œ R J J 3 3 30 p 3 3 5 3 3 5 3 0 0 . . . . 5 œœ œœ œ b œœ œ n œœ œ œ 16 J J J J 3 3 3 p 5 5 2 5 3 p 2 3 2 0 0 62 chitarra acustica 11 duemiladodici 5 5 3 œ b œœ œ n œ œ .. 3 œ 8 J R 3 2 p 5 3 2 3 2 0 . . tc The Blue Horizon E 9 ( b 1 3 )/B G m7 4fr. 3fr. # 3 . œœ œ œœ œ œ œ œ 5 œœ œ œœ œ œ œ . 3 . œ n œ b œœ œ œj 5 œ œ n œ 16 V 8 . J J œ 16 J œ . 8 . œ J J J J R 3 3 3 33 3 3 3 3 3 . . 4 7 7 p p 4 5 4 0 7 5 4 7 7 0 p 4 5 4 7 5 0 . . . . 3 5 3 3 5 3 3 5 p3 6 E (a d d b1 3 ) 5fr. # 5 œ n œ œ œ ≈ . 3 . œ œ œœ œ œ œ œ 5 V 16 œ b œJ œ . 8 . œJ J œ 16 R J J 36 3 5 3 3 3 3 . . 3 5 3 5 .7 .7 3 9 3 p œœ J p 9 5 4 0 0 7 5 # 3 œœ œ œœ œ œ œ œ 5 œœ œ œœ œ œ œ . c V 8J J œ 16 J J œ . J R 3 3 œœ œœ 3 39 7 7 9 p p 9 5 4 0 7 5 9 7 7 0 p 9 5 0 7 5 0 # w V # ww w P 42 2 2 1 0 9 7 5 7 E (a d d b1 3 ) E 5fr. ∑ ∑ œ œ œ œ œœ œœœ œ œœ œœœ œ π 0 4 3 4 0 4 3 4 0 4 3 4 0 4 3 4 œœ b œœ f . . 5 3 1 3 F 9 7 5 7 63 chitarra acustica 11 duemiladodici œ œ œ œ 38 R 9 7 5 œ b œœœ 5 3 1 3 œœ œœ 4 2 0 2 C (a d d b1 3 ) B (a d d b1 3 ) œœ œœ 3 C (a d d b1 3 ) B (a d d b1 3 ) 5fr. 3 œ œ œ J 9 7 7 E (a d d b1 3 ) 3 3 œœ œœ 4 2 0 2 5 0 p 0 D /C n œœœ œ 0 0 2 1 D /C n œœœ œ 0 0 2 1 ( E add 9 ) # www w 2 1 2 0 tc tecnica Basso Acustico - 4 di Dino Fiorenza Rieccoci ancora qua. Oggi parliamo di un nuovo modo di percuotere, come si vede dalla foto: Adesso sarà la mano sinistra che percuoterà la cassa sull’angolo sinistro, e questo ci darà modo di utilizzare la destra per iniziare ad applicare il tapping e quindi avere una completezza armonica delle nostre esecuzioni, potendo cosi suonare sia la parte ritmica che quella armonica e addirittura la linea di basso. Il primo esercizio ci dà modo di prendere confidenza con questa nuova posizione; suoniamo in La: Moderate ; 44 1 c B & C + B & B C + & C + B & C + Con il secondo esercizio aggiungiamo con la mano destra alla tonica di La il suo voicing per creare l’accordo di Lam7: Moderate ; 44 1 c B & BB/ T "( "( B & BB/ B T "( "( & 64 chitarra acustica 11 duemiladodici BB/ T "( "( B & BB/ T "( "( tc Adesso viene il bello, uniamo tutti e due gli esercizi: il risultato è strepitoso, sentiamo suonare tonica, voicing e supporto ritmico: BB/ Moderate ; 44 1 c B C T "( "( & BB/ B T "( "( + BB/ C T "( "( & BB/ T "( "( + Bene, estendiamo l’esercizio precedente alla progressione armonica seguente: Am7 / D7 / Gmaj7 / Cmaj7. BB/ Moderate ; 44 1 c 3 B $ B & C T "( "( DBB / T "' "' BB/ + C + B/ DB B T "( "( BB/ B T "' "' $ C T "( "' & BB/ T "( "& BB/ T "( "' + C + BB/ T "( "& Ditemi voi se il risultato non è davvero bello! Ci vediamo il prossimo mese e come al solito non esitate a contattarmi per qualsiasi vostra curiosità o altro. Buon lavoro! [email protected] 65 chitarra acustica 11 duemiladodici Page 1/1 tc tecnica L’improvvisazione - 5 Come suonano le note? di Daniele Bazzani Come ho accennato nelle puntate precedenti, queste non sono vere e proprie lezioni, dare esercizi e poi verificarli insieme è molto complicato, cercherò di limitarmi a concetti grossolani ma fondamentali, per dare un’idea di quella che può essere una direzione da seguire negli anni. Perché per imparare ad improvvisare non bastano giorni, né mesi. accordi in fila, se siamo in Do saranno: Do / Rem / Mim / Fa / Sol / Lam / Sim5b; se fossero di 7a quindi a 4 voci avremmo: Domaj7 / Rem7 / Mim7 / Famaj7 / Sol7 / Lam7 / Sim7(5b). A questo punto fate scorrere la progressione e suonate solo la nota Do ascoltando cosa accade, vi assicuro che è molto interessante. Ripetete più volte per sentire bene le sfumature e poi fermatevi a cercare di capire cosa avete fatto, perché avrete in realtà suonato una sola nota ma con sette significati diversi: sull’accordo di Do sarà la Tonica, su quello di Rem sarà la settima minore, su Mim la sesta minore, e via dicendo. Il passo successivo sarà di fare la stessa cosa con le altre note della scala, alla fine, con solo sette note, ne avrete suonate molte di più. Questo esercizio stimolerà la vostra sensibilità ai ‘colori’ che hanno e danno le note, perché quei sette, semplici pallini neri sul pentagramma, che tendiamo spesso a snobbare, sono in realtà il nostro amico più fidato, il magma da modellare per scolpire nella storia la nostra musica. Possiamo anche estendere il lavoro alle note ‘fuori’ scala, e se pensiamo al risultato sorprendente già solo su una banale progressione, immaginiamo cosa potrebbe accadere se gli accordi cambiassero sempre, se modulassero e via dicendo. Scusate se ogni tanto mi ripeto, ma cerco di riallacciare i vari discorsi fatti oramai a distanza di mesi, quindi se ripenso a quanto già scritto posso considerare la musica un linguaggio e l’improvvisazione simile a ciò che accade quando parliamo: usiamo parole che conosciamo, le mettiamo insieme seguendo regole grammaticali, parliamo degli argomenti che ci troviamo ad affrontare durante il giorno, non ci portiamo le frasi scritte da casa. In una parola, improvvisiamo. Ecco che ci si rende conto piuttosto in fretta che in musica invece abbiamo delle note, un ritmo da seguire e un ritmo a cui e su cui suonarle, degli accordi da tenere a mente, una canzone a cui adattare il tutto. E poi ci saranno la nostra personalità e conoscenza musicale che ci spingeranno in questa o quella direzione. Un bel casino, non c’è che dire. Perché a tutto questo dobbiamo aggiungere quelle cose basilari che si studiano all’inizio del percorso come accordi, scale, triadi, arpeggi e via dicendo. Ma torno a quanto accennato nel titolo, come suonano le note? Una cosa interessante che molti non fanno è provare a suonare una sola nota sugli accordi che cambiano, una qualsiasi progressione: se avete modo di registrarvi mentre suonate una ritmica fatelo, o prendete programmi tipo Band in a Box o software online come Jam Studio, o basi preregistrate di canzoni famose, va tutto bene purché sappiate su cosa state suonando. La cosa migliore, all’inizio, sarebbe suonare su una semplice progressione armonica con gli A questo esercizio possiamo aggiungere complessità per renderlo ancora più accattivante e musicale, suonando magari due note, ad esempio Do e Re, sugli stessi accordi, e alternandole come ci sentiamo di fare, senza pensare a nulla se non alla nostra sensibilità, e poi una terza, e via dicendo. Questo ci dà anche la misura di quanto si possa fare con poche note e un po’ di fantasia. Mi sono sbilanciato ancora, in effetti questo è un altro esercizio. 66 chitarra acustica 11 duemiladodici