La felicità come cura di sé Rosario Di Sauro Si può insegnare ad essere felici? E quale felicità è degna di essere vissuta? Sono queste la parole con le quali l’Autrice apre e affronta, attraverso un percorso filosofico - pedagogico, i grandi interrogativi sulla felicità ed i progetti ad essa collegati dell’uomo d’oggi. L’utilità di inserire un contributo di carattere filosofico, all’interno di una collana che raccoglie perlopiù lavori psicologici e psicoanalitici, nasce dal fatto che la riflessione sulla felicità che l’Autrice ci propone è un richiamo multidisciplinare e trasversale all’Esser-ci, ovvero alla costruzione significativa dei nessi esistenziali e delle relazioni che sono alla base del nostro modo di vivere, in altri termini, è un richiamo a costruire la propria felicità. In fondo, di cosa si occupa la psicologia, e più specificamente la psicoterapia, se non di rifondare il concetto di “felicità”? Esso risulta sempre più compromesso - “mancante” direbbe Pavesi – all’uomo di oggi che continuamente vive rapporti che non tengono conto delle emozioni e dei sentimenti, e non danno la possibilità di accrescere il proprio senso di sé e il proprio divenire all’interno della collettività. Ecco allora che la felicità, intesa come costrutto individuale, si lega indissolubilmente con l’Alterità, anzi, ne diventa un elemento fondamentale. In questi ultimi anni, e non a caso, la psicologia dello sviluppo si sta interrogando fortemente sul senso dell’essere genitori, primi ad essere “Altro” per il bambino, e non vi è volume che si interessi di sviluppo psicologico, o dell’arco di vita diremmo oggi, che non tenga conto di questi importanti studi. La genitorialità, quando si esprime in forma inadeguata e viene sostanziata anche da processi sociali effimeri e poco concordanti con le forze intrinseche della realizzazione di sé, paradossalmente può diventare per l’individuo la prima pietra d’inciampo nella costruzione della sua felicità. E’ per questo motivo che il costrutto dell’intersoggettività, così significativo per la psicologia dello sviluppo e per una psicoanalisi evoluta, sta assumendo una rilevanza sempre più significativa nel panorama scientifico, denso di contributi che vanno dalle neuroscienze alle applicazioni terapeutiche più innovative. Va tuttavia riconosciuto, ed implicitamente ne diamo valore anche attraverso questo volume, che la riflessione sull’intersoggettività, condotta dalle neuroscienze, dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicoanalisi definita appunto “intersoggettiva”, pur evidenziando i processi relazionali ed intersoggettivi sin dalla strutturazione fetale, non preclude l’ importanza dell’azione individuale nella realizzazione del proprio progetto esistenziale, unico ed irripetibile: in altri termini, se per un verso la qualità della relazione con i caregivers deve essere necessariamente sana e creativa, dall’altro va riconosciuta una precisa responsabilità dell’individuo della propria crescita, pur riconoscendone tutti gli impedimenti oggettivi. Ecco che l’individualità del soggetto, l’Io freudiano per intenderci, si coniuga intimamente con i processi interpersonali e finanche sociali. Ed è in tal senso che questo volume esprime egregiamente il percorso della “trascendenza” dell’uomo che, in sintonia con la propria responsività, declina il suo divenire con impegno e libertà, condividendo con gli altri la propria esistenza. E’ una riflessione che si pone in modo propedeutico al volume successivo della collana dal titolo “Quale psicoterapia per l’uomo d’oggi” che racchiude una serie di riflessioni, tra cui il prezioso contributo filosofico del Prof. Baccarini, 1 sulle esigenze e i bisogni dell’uomo d’oggi. Ben si coniugano quindi i due volumi, in quanto costruttori di un processo di pensiero fortemente esistenziale: l’uno prevalentemente prettamente clinico, ma filosofico, entrambi l’altro sostenitori dell’importanza della cura di sé come condizione imprescindibile per il raggiungimento della felicità dell’individuo. Ben inteso, e questo è anche uno dei moniti descritti in questo volume, che la felicità, come ci fa notare l’Autrice, già a partire da Platone, ma soprattutto da Aristotele, ha un valore per l’individualità, ma ancora di più se viene vissuta nei valori di una società che mette in 1 Emilio Baccarini, docente di Filosofia e Antropologia filosofica presso l’Università Tor Vergata di Roma. evidenza i sentimenti, le emozioni e le relazioni umane come presupposto del bene comune. Ecco allora che la società si deve confrontare necessariamente con una mancanza di senso che orienti i più giovani verso un percorso di realizzazione di sé dove la felicità, prima individuale, poi collettiva, diventa la conditio sine qua non per la “cura di sé”. Purtroppo, bisogna riconoscere che la ricerca di soddisfazioni effimere, la perdita di valori sui quali fondare l’esistenza umana, il poco impegno verso la costruzione del vero Bene Comune, come sottolinea l’Autrice; basti pensare ad es., alle scelte politiche dei nostri governanti rispetto la Scuola, non consentono all’uomo d’oggi di esprimersi al meglio nel proprio divenire. In questo senso, anche la crisi di figure di riferimento pedagogico pregne di significato: morale, etico e formativo, non consentono ai giovani di rispecchiarsi in adulti capaci e maturi. La ricerca e, in un qualche modo, la soluzione che l’autrice propone è stata quella di mettere in evidenza “una tipologia di felicità che sia capace di dare significato non a singoli momenti, ma all’esistenza intera e che si leghi alla libertà di scelta dell’individuo, secondo l’unicità del suo essere”. Nel concetto di eudaimonia, intesa come piena fioritura della propria essenza, nel senso aristotelico di realizzazione di “ciò per cui una certa cosa è quello che è”., si intravede la possibilità del senso di sé, attraverso la cura di sé, per una evoluzione esistenziale degna di essere vissuta. Essere felici, tuttavia, come ci ammonisce l’Autrice, non è solo un dovere verso se stessi, ma anche verso l’umanità, perché solo una persona felice è in grado di guardare l’Altro per ascoltarlo e aiutarlo, come espressione esterna di quella stessa cura che rivolge a se stesso. Compito dei filosofi da una parte e dei pedagogisti, come degli psicologi o degli psicoterapeuti dall’altra, tentare di formulare insieme una serie di costrutti, valori, teorie o tecniche che in un certo senso possano contribuire a realizzazione della propria felicità. Il lettore può trovare il testo completo in Pavesi P. (2015), La felicità come cura di sé, Aracne, Roma