Diverse ortodossie, non eresie

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Diverse ortodossie,
non eresie
ABSTRACT
l tema dell’eresia medievale è solitamente affrontato in modo veloIinternet
ce nei manuali scolastici, a differenza dell’immaginario comune – da
all’editoria fantasy e al cinema – dove l’eresia è quasi una costante, anche se trattata in modo superficiale e con molti stereotipi.
Nel Medioevo in realtà più che di eresie, è corretto parlare di diverse
ortodossie o di “eresia della disobbedienza” (Hageneder) nei confronti
della Chiesa di Roma. Per restare all’interno dell’ortodossia è infatti
necessario obbedire al papato, guida della cristianità e garante dell’ortodossia stessa. Non a caso tra il XII e il XIII secolo l’accusa di eresia
subisce una progressiva estensione nell’uso ed è rivolta a tutti coloro
che si oppongono alle decisioni del papato o che in qualche modo minacciano la libertas ecclesiae. Ripercorrendo la storia delle eresie dei
secoli XI e XII, di valdesi, catari e delle più tarde tendenze di natura
escatologica e apocalittica, ci si renderà conto di come nella maggior
parte dei casi non si tratti di eresie dogmatiche o dottrinarie, ma di forme di contestazione nei confronti delle istituzioni e del clero, che ricercano un ritorno alla povertà evangelica e un contatto diretto con
la lettura dei testi sacri. Nodo centrale è un attento uso delle fonti, che,
oltre a essere di parte, sono poche, spesso dubbie e tendenziose, tanto che a volte si rischia di “inventare l’eresia” (Zerner).
Nei manuali scolastici il tema dell’eresia medievale è solitamente trattato in
modo molto veloce, talvolta relegato in “finestre” poste a margine del testo
narrativo. Prive di legami con la storia sociale o politica, con il contesto in
cui si inseriscono, le eresie fanno la loro apparizione nelle pagine dei nostri
libri senza un vero perché e poste tutte su un medesimo piano, come se fossero prive di una propria specificità. Al contrario nell’immaginario comune
sul Medioevo – da internet all’editoria fantasy e al cinema – l’eresia è un tema
che ritorna spesso, anche se trattato in modo superficiale e con molti stereotipi. Ma quali erano dunque queste eresie e che cosa le caratterizzava?
In realtà, per tutto il Medioevo, come suggerisce il titolo di queste poche
pagine, è forse più corretto parlare di diverse ortodossie che di eresie vere
e proprie o, come propone Othmar Hageneder, di “eresia della disobbedienza”.
Ma disobbedienza rispetto a che cosa? È un reale allontanamento dalla
“giusta dottrina”, dall’ortodossia, o forse piuttosto si prendono le distanze
da chi si fa garante di questa ortodossia?
Quella che nel Medioevo viene definita ortodossia nasce da un lungo
dibattito a più voci che attraversa tutto il periodo tardo-antico e trova il suo
compimento solo a metà del V secolo. Il primo cristianesimo, ancora fluido
sul piano dottrinale, visse infatti una lunga fase di definizione. Il problema
fu inizialmente la Trinità. Nel concilio di Nicea del 325, convocato dall’imperatore Costantino, fu definito il Credo valido ancora oggi: in opposizione
ad Ario di Alessandria e ad altri vescovi delle Chiese orientali che predicavano la subordinazione del Figlio rispetto al Padre (arianesimo), considerandolo creatura e non creatore a sua volta, si proclamò la consustanzialità
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Barbara Garofani
CRISM - Centro di Ricerca sulle
Istituzioni e le Società Medievali Torino
Fig. 1 La trinità
Le eresie dei primi tempi della Chiesa furono
di tipo cristologico e teologico. Riguardavano
sia la figura di Cristo, se fosse uomo o dio, o
avesse entrambe le nature; oppure la difficile
considerazione della trinità, qui raffigurata in
un breviario del XVI secolo, di Conques, in
Francia. Quel periodo vide la creazione di un
gran numero di opere teologiche, su questo
argomento. Quando le eresie ricomparvero,
nei primi secoli del Medioevo, la Chiesa le
interpretò alla luce di quelle opere antiche,
anche se le nuove eresie non riguardavano
affatto i problemi che avevano lacerato la
cristianità mezzo millennio prima.
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di Padre e Figlio. Dopo Nicea il dibattito teologico si spostò sul problema
cristologico (il rapporto tra umanità e divinità del Cristo). Furono elaborate
molteplici teorie, tra cui ebbero ampio sviluppo il nestorianesimo (che nella persona di Cristo poneva in risalto l’umanità) e il monofisismo (esaltazione dell’elemento divino). Anche se le controversie durarono ancora a
lungo, il concilio di Calcedonia del 451 diede una definizione della dottrina
cristiana nelle sue componenti fondamentali, affermando l’unione inscindibile delle due nature in Cristo (formula diofisita). Non a caso, da quella
data in poi, non fu più considerato eretico chi non riconosceva quanto detto in un particolare concilio, ma chi non riconosceva nella sua totalità una
dottrina fondata sulla tradizione. Ed è da questo momento che si inizia a
parlare di un’ortodossia di cui diventa custode la Chiesa di Roma.
1. L’“eresia della disobbedienza”:
da reato di opinione a crimine penale
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Fig. 2 Sant’Agostino
Fra i padri della chiesa più usati nella lotta
contro le eresie vi era sant’Agostino, qui
raffigurato in un manoscritto del XII secolo.
Durante la sua attività pastorale, egli aveva
combattuto contro gli eretici africani, i
donatisti e circoncellioni, che accusò non
solo di errori religiosi, ma anche di violenza
sociale. Inoltre, aveva polemizzato contro il
manicheismo, una religione proveniente
dall’Iran, che sosteneva un principio di
dualità divina (il Bene e il Male). Mezzo
millennio più tardi, sotto l’influsso delle sue
opere, i teologi cattolici pensarono che i
catari non fossero altro che i discendenti
degli antichi manichei.
In Occidente, dopo il definirsi dell’ortodossia, a metà del V secolo, l’eresia
sembra scomparire fino all’inizio del basso Medioevo. La ripresa dell’eresia
in Occidente coincide con la riforma dell’XI secolo: la Chiesa elimina qualunque ruolo ecclesiale dei laici, restaurando una completa centralità sacramentale e istituzionale del clero. Con il pontificato di Gregorio VII, la Chiesa si trasforma in una monarchia e il rifiuto dell’autorità del papa diventa
eresia. Di qui parte il radicalizzarsi dell’intolleranza verso qualunque forma
di dissenso religioso e si pongono le basi per quella che, come abbiamo visto, Othmar Hageneder ha definito l’“eresia della disobbedienza”.
Per quanto riguarda i provvedimenti adottati dalla Chiesa, come ha rilevato Thomas Scharff, due sono le tendenze a partire dal XII secolo: l’isolamento degli eretici attraverso la persecuzione di chiunque avesse a che
fare con loro e il coinvolgimento delle autorità laiche nella persecuzione
all’eresia. Il terzo concilio Lateranense (1179) diede ai principi laici la facoltà di confiscare i beni degli eretici e di ridurli in servitù e, sempre sotto
la guida dei principi laici, invitò tutti i credenti alla crociata contro gli eretici. Fondamentale fu il ruolo svolto da papa Innocenzo III, che comprese
chiaramente come la supremazia politica della Chiesa e la repressione
dell’eresia fossero strettamente collegate: nelle sue decretali (ad esempio
la Vergentis in senium del 1199) equiparò gli eretici ai rei di lesa maestà,
condannandoli alla pena capitale.
A partire dalla fine del XII secolo, la Chiesa, avviata una politica di centralizzazione, divenne sempre più intollerante, tanto che Robert Moore parla di una “società persecutrice”. Innocenzo III avviò l’Inquisizione vescovile, poi sostituita con Gregorio IX da quella papale affidata ai frati domenicani. Gli inquisitori dovevano render conto della loro attività solo al papa,
mentre il ruolo dei vescovi, formalmente paritetico, divenne sempre meno
significativo. Per restare all’interno dell’ortodossia era necessario obbedire
al papato, guida della cristianità e garante dell’ortodossia stessa.
Tra il XII e il XIII secolo, nella lotta contro l’eresia, il papato accentuò
la dimensione politico-militare: la minaccia ereticale era percepita come
un’entità sempre più pericolosa di fronte alla quale tutti, chierici e laici, dovevano fare la loro parte. L’accusa di eresia subì una progressiva estensione
nell’uso e fu rivolta a tutti coloro, singoli o collettività, che si opponevano
alle decisioni del papato o che in qualche modo minacciavano la libertas
ecclesiae. La difesa dell’ortodossia finì per coincidere con la difesa dell’istituzione ecclesiastica e principalmente del papato. L’accusa di eresia divenne un mezzo politico per colpire chi si ribellava al papa.
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2. Il problema delle fonti
Affrontare il tema delle eresie in classe significa in primo luogo toccare un
grosso problema di metodologia storica: l’uso delle fonti. In molti casi lo
studio delle eresie può essere definito “di parte”. Ciò è riscontrabile già nelle fonti medievali, prodotte quasi esclusivamente in ambito ecclesiastico,
ma è un dato che ritorna anche negli scritti di eruditi, polemisti e storici
dei secoli successivi.
A parlare degli eretici nel Medioevo sono fondamentalmente gli avversari, autori cattolici che non si preoccupano tanto di descrivere le diverse
eresie, quanto di sottolineare come esse possano essere pericolose per la
società. L’ortodossia cattolica medievale spesso non si è preoccupata di
cogliere la specificità delle cosiddette eresie – di contenuto etico più che
dottrinale – e si è limitata a riprendere schemi concettuali forniti nei primi
secoli dalla patristica e, in particolare, da Agostino. Il problema delle eresie ritorna in molti scritti del vescovo di Ippona, primo tra tutti il Liber de
haeresibus, un compendio che fissa alcune definizioni che segnarono
profondamente i secoli successivi, dove si tendeva a usare “etichette” come ariano o manicheo anche se non esisteva alcun legame con le antiche
eresie.
Oltre a essere parziali, le fonti sono poche, spesso dubbie e tendenziose,
tanto che la storica francese Monique Zerner ha parlato del rischio di “inventare l’eresia”, invitando a un’attenta rilettura delle fonti, tenendo sempre
ben in considerazione il contesto in cui ciascuna di esse è nata.
Le prime testimonianze dirette del mondo ereticale risalgono alla metà
del XIII secolo, ma per conoscere realmente il punto di vista “ereticale” bisogna aspettare la fine del XIV secolo.
3. Le prime forme di contestazione
La ripresa dell’eresia in Occidente, come abbiamo detto prima, coincide
con la riforma dell’XI secolo: nei primi trent’anni di questo secolo si assiste infatti a un generale risveglio dell’ideale di vita apostolica.
Un’improvvisa ondata di predicazioni eterodosse (così almeno sono definite nelle fonti) attraversa Francia, Germania, Italia settentrionale,
Fig. 3 Accuse contro i vescovi
In questa miniatura (Angers, XIV secolo) un
laico accusa il vescovo di aver compiuto un
peccato carnale.
Fig. 4 La punizione del prete peccatore
Spesso, le eresie dei secoli XI e successivi,
erano mosse da preoccupazioni etiche, più
che da problemi di natura teologica. Si
pretendeva, sempre più frequentemente, che
i membri della Chiesa avessero
comportamenti consoni con la morale
evangelica. A volte, tuttavia, la stessa Chiesa
si muoveva per fare ordine al proprio interno.
In questo manoscritto del XIV secolo, di
Angers, si vede la punizione inflitta ad un
prete, fornicatore e assassino.
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Fig. 5 Il vescovo eretico
Gli eretici, specialmente quelli che i cattolici
chiamavano catari (essi si definivano “buoni
cristiani”), si organizzavano sul modello della
Chiesa romana o vescovile, con una propria
gerarchia. Nel XIII secolo, l’Inquisizione si
attiva specialmente alla ricerca dei vescovi
eretici. Si ricorda una sorta di retata di
vescovi catari, fatta in Veneto nella seconda
metà del XIII secolo, e terminata con un rogo
collettivo. Qui vediamo la punizione di un
vescovo eretico, in un manoscritto di Angers
del XIV secolo.
coinvolgendo laici ed ecclesiastici di differenti livelli sociali. Si tratta di
gruppi di persone, di comunità che non mettono in discussione la forza
salvatrice di Gesù Cristo, ma la mediazione ecclesiastica: contestano i
sacramenti (battesimo, eucarestia e matrimonio), praticano un evangelismo radicale e rifiutano ciò che è estraneo al Nuovo Testamento (liturgia,
preghiere per i morti) e i segni esteriori di culto (icone, segno di croce).
Portano avanti una sorta di “rivolta morale” nei confronti di una Chiesa
che considerano corrotta. Vogliono vivere integralmente il Vangelo e,
forse, è proprio questo “fondamentalismo” – come lo ha definito JeanLouis Biget – a far paura alla Chiesa stessa che, spaventata, risponde in
modo violento.
Brian Stock ha definito questi primi gruppi “comunità testuali”, in quanto al loro interno tutti, anche i laici illetterati, potevano avvicinarsi alla lettura dei testi sacri (Salmi, Atti degli apostoli, Vangeli). Ed è questo un elemento che ritorna in molte eresie medievali, sfidando il monopolio ecclesiastico dell’interpretazione della scrittura.
Una situazione analoga caratterizza i movimenti della prima metà del
XII secolo che, sia pur con leader (tra cui spiccano le figure di Pietro di
Bruis e del monaco Enrico) e in contesti locali diversi, presentano alcuni
tratti comuni. Il più significativo è l’aggressività nei confronti di una Chiesa
che ritengono debba essere trasformata e il secondo è lo stretto legame fra
predicazione e povertà. Ancora una volta non si tratta di eresie dogmatiche
o dottrinarie, ma di forme di contestazione nei confronti delle istituzioni e
del clero, tutto sommato in linea con le istanze portate avanti dallo stesso
movimento riformatore.
4. La predicazione valdese
Una prima precisazione circa la storia del movimento valdese, nato a Lione
negli anni Settanta del XII secolo, è che sarebbe più corretto parlare di valdismi al plurale, in quanto – come ha osservato Grado Giovanni Merlo – i
valdesi manifestano da subito una forte capacità di adattamento alle diverse
situazioni e danno vita a orientamenti tra loro differenziati. Ancora una volta
probabilmente sono le fonti a dare l’idea di un’apparente unità, classificando
sotto l’etichetta “valdese” esperienze tra loro diverse.
Valdesio, il “fondatore” del movimento, era un ricco abitante di Lione che scelse di cambiare vita per riscoprire la
povertà evangelica del cristianesimo primitivo. I poveri di
Lione – così si facevano chiamare i suoi seguaci – non rifiutavano la Chiesa cattolica, ma volevano poter accedere
liberamente alla Parola di Dio e annunciarla.
E proprio la predicazione fu ancora una volta l’elemento
di rottura con la Chiesa di Roma. Come ha sottolineato Michel Rubellin, Valdesio inizialmente sembra addirittura collaborare con la Chiesa di Lione al tempo guidata da Guichard, un vescovo riformista, ma tutto cambia nel 1181, anno
in cui muoiono sia papa Alessandro III (cui Valdesio aveva
richiesto l’autorizzazione a predicare) sia l’arcivescovo Guichard. Il nuovo arcivescovo di Lione, Jean Bellesmaines, più
conservatore, ritirò immediatamente a Valdesio l’autorizzazione a predicare concessa dal predecessore e vietò qualsiasi
forma di apostolato, dando inizio alla storia “ereticale” del
movimento.
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Fig. 6 La lotta militare agli eretici
Nei secoli XI-XII, la lotta agli eretici è
organizzata localmente. È frutto
dell’Inquisizione (che vuol dire “inchiesta”)
dei vescovi. Nel XIII secolo, dopo il pontificato
di Innocenzo III, si afferma la necessità di
centralizzare questa persecuzione, che viene
affidata, dal successivo papa Gregorio IX,
prima ai domenicani e, qualche anno dopo, ai
francescani. Era una lotta crudele e cruenta,
nella quale il papa non disdegnava di invitare
alla mobilitazione militare, come vediamo in
questa miniatura, tratta da un manoscritto di
Tours della fine del XIII secolo.
Dopo la morte di Valdesio, la compattezza venne meno abbastanza presto: le tensioni, già proprie del valdismo delle origini, presero il sopravvento
dando vita a una serie di fratture. I valdesi più moderati rientrarono nella
Chiesa romana quasi subito: nel 1208 nacque l’ordine religioso dei Poveri
cattolici e nel 1210 quello dei Poveri riconciliati. Gli altri valdesi si sparsero
in tutta Europa e resistettero a lungo alla repressione dell’Inquisizione. Anche se in origine i valdesi non volevano sostituire la Chiesa con un’altra Chiesa, nel corso del XIII secolo si organizzarono in forme analoghe a un ordine
religioso con gradi differenti (diaconale, presbiteriale, episcopale).
5. I catari e la crociata contro gli Albigesi
Le fonti dei secoli XII e XIII accorpano diversi episodi ereticali sotto l’etichetta di catari, presentati come una sorta di grande Chiesa antagonista a
quella cattolica, che si sarebbe sviluppata dai Balcani all’Atlantico e dalla
Renania all’Italia.
Chi erano i catari (anche se i diretti interessati non si definirono mai in
questo modo, ma continuarono a chiamarsi “buoni cristiani”)? Secondo le
fonti, questi eretici, su cui la Chiesa concentrò la propria attenzione, si rifacevano a teorie dualistiche, cioè a teorie che, accanto al Dio buono, ammettevano un pari principio opposto e che sarebbero derivate dal manicheismo antico o dal bogomilismo.
In realtà la questione catara è oggi molto discussa. Diversi studiosi
(Lambert, Biget, Zerner, Moore) hanno sottolineato come il catarismo non
sia da considerarsi una dottrina costruita in Oriente e importata in Occidente. D’altra parte, l’immagine di una contro-Chiesa catara dualista è presente solo nelle fonti dei polemisti cattolici. Anche il catarismo, come altri
movimenti contemporanei, sarebbe invece nato dall’atteggiamento di chiusura del clero verso i laici, chiusura derivata dalla sempre più forte clericalizzazione della Chiesa a partire dalla riforma.
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I catari – come gli altri movimenti ereticali – erano ottimi conoscitori
ed esegeti dei testi sacri: usavano il Vangelo come base per le loro argomentazioni, spogliandolo della sacralità attribuitagli dai cattolici. È proprio
con il Vangelo, infatti, che Cristo ha rivelato all’uomo come ritrovare la purezza dell’anima attraverso la preghiera – in particolare il Padre Nostro,
l’unica riconducibile direttamente all’insegnamento di Cristo – e l’ascesi rigorosa.
Alla fine del XII secolo la diffusione del catarismo era ormai diventata
un fenomeno di dimensioni europee che aveva messo seriamente in discussione il monopolio della Chiesa cattolica. C’erano dunque i presupposti per
l’adozione di provvedimenti drastici, quali l’uso della cosiddetta “guerra
santa” anche all’interno della comunità cristiana. E così fu fatto. Dal 1204
tutti coloro che si impegnavano fideliter contro gli eretici furono equiparati
ai crociati in Terrasanta e nel 1209 papa Innocenzo III bandì la crociata
contro gli Albigesi (gli abitanti della città di Albi). A partire dal 1233, la
Francia meridionale fu poi duramente colpita dall’Inquisizione: le chiese
catare del Sud della Francia furono disperse e i pochi catari che sopravvissero furono costretti all’esilio o a vivere in clandestinità.
6. Sul finire del Medioevo
L’ultimo decennio del XIII secolo fu percorso da forti attese di natura escatologica e apocalittica, incentrate sulla speranza di un profondo rinnovamento della società e della Chiesa. Le origini di queste manifestazioni, che
spesso – come avvenuto in precedenza – misero in discussione l’autorità
del papato e della gerarchia ecclesiastica, si possono ricondurre a Gioacchino da Fiore. È in questo ambito che possiamo inserire uno degli eretici
più noti al mondo contemporaneo, Dolcino. Anche in questo caso non abbiamo scritti originali e il suo pensiero è noto attraverso le tracce lasciate
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Fig. 7 Violenza sacra
Man mano che si organizza, la lotta contro gli
eretici fa sempre più uso dell’esercito. Si
organizzano delle crociate, come quella
contro gli Albigesi nel 1208 (altre ne
seguirono in Provenza per quasi mezzo secolo
ancora). I soldati vengono, in queste
occasioni, motivati con ricompense sacre,
simili a quelle destinate ai crociati di
Terrasanta. Qui li vediamo in un manoscritto
del XIV secolo.
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Fig. 8 Eretici sordi alla parola di Dio
Gli eretici e gli ebrei sono rappresentati con
le orecchie tappate, incapaci di ascoltare la
parola di Dio. La miniatura è contenuta nel
De Universo di Rabano Mauro, un
manoscritto dell’XI secolo.
dai suoi avversari. Dolcino portò avanti una sua “dottrina” di stampo gioachimita fondata sull’esegesi critica dei testi sacri: contrappose il suo modello di una Chiesa perfetta a quello corrotto della Chiesa romana, ripromettendosi di vivere conformemente al modello di Cristo nell’attuazione del
messaggio evangelico.
La volontà di ricercare una vita religiosa più autentica, lontana dal modello
in quei secoli predominante all’interno della Chiesa ufficiale, fu un elemento
comune a molte delle cosiddette eresie del Tre e del Quattrocento e che sarebbe
stato ancora presente nei primi passi della Riforma protestante. Talvolta la volontà di rinnovamento spirituale si intrecciò con istanze di tipo sociale, come in
Inghilterra nel caso dei lollardi guidati da John Wycliffe che, richiamandosi al
modello della Chiesa delle origini, predicavano la lettura individuale della Bibbia, la povertà e l’uguaglianza fra gli uomini, rifiutando le gerarchie ecclesiastiche e il pagamento delle decime al clero. In altri casi, come in Boemia con il
teologo Jan Hus, le istanze religiose si identificarono con quelle civili e politiche,
favorendo – ma siamo ormai agli albori della storia moderna – lo sviluppo di
una coscienza nazionale.
Riferimenti bibliografici
Per una visione complessiva delle eresie e del contesto storico in cui si inseriscono possono essere utili alcune sintesi: B. Garofani, Le eresie medievali, Carocci, Roma 2008; M.
Zerner, Eresia, in Dizionario dell’Occidente medievale, Einaudi, Torino 2003, pp. 351-370;
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493-534; G.G. Merlo, Contro gli eretici, Il Mulino, Bologna 1996; Id., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna 1989; M. Lambert, Medieval Heresy. Popular Movements from
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Valdesi e valdismi medievali, Claudiana, Torino 1984; Id., Eretici e inquisitori nella società piemontese del Trecento, Claudiana, Torino 1977. Sui catari: M. Lambert, I catari,
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York 1987. Sul pensiero di Gioacchino da Fiore: G.L. Potestà, Il tempo dell’Apocalisse. Vita di Gioacchino da Fiore, Laterza, Roma-Bari 2004.
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