Materiali_2_02_030310 - Dipartimento di Sociologia e Ricerca

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Materiali 2 II settimana 1-3 Marzo 2010
II Settimana 2 3, Marzo 2010: materiali di complemento
NB Questi materiali sono del tutto facoltativi e di complemento. Hanno una relazione lasca con i temi trattati nel corso
delle lezioni. Servono per chi vuole fare approfondimenti.
Nascita e sviluppo della città industriale. Un primo tema concerne la "naturalità" del mercato. Come è noto gran parte
del pensiero liberale classico si basava sull'assunto che l'essere regolata dal mercato fosse la condizione "naturale" della
società e che tale caratteristica fosse basata sulla "propensione [dell'uomo] al baratto,al commercio e allo scambio di
una cosa con l'altra". Come ricorda Karl Polany "da questa frase doveva poi nascere il concetto dell'Uomo
Economico".(Karl POLANY, La grande trasformazione,(trad.it. a cura di Roberto Vigevani),Einaudi,Torino
1974,p.58.Il lavoro di Polany è stato tradotto in Italia solo trentanni dopo la sua pubblicazione in Inghilterra nel 1944.
Come ci rammenta l'Autore il libro è stato scritto in America,durante la Seconda Guerra Mondiale, ma il lavoro aveva
preso l'avvio in Inghilterra, paes dove è avvenuta la pubblicazione.) Ed è proprio Karl Polany che, ricorrendo a una
ricca documentazione storica, in buona parte di derivazione antropologica, affronta tra i primi, in modo sistematico e da
un punto di vista anticapitalistico, ma non marxista, i fondamenti teorici del pensiero liberale contrapponendosi ad
autori come Hayeck e Von Mises.(Karl POLANY, La grande trasformazione cit.,pp.viii sgg.)
Lo "straordinario assunto" che sta alla base di una economia di mercato è che essa si fondi su un sistema di
mercati autoregolati ed è quindi "diretta da prezzi di mercato e soltanto da prezzi di mercato". Ma, afferma Polany,
"prima del nostro tempo non è mai esistita un'economia che anche in linea di principio fosse controllata dai mercati.
Nonostante il coro di invenzioni accademiche tanto insistente nel diciannovesimo secolo, il guadagno e il profitto nello
scambio non hanno mai prima svolto una parte importante nell'economia e per quanto l'istituzione del mercato fosse
abbastanza comune a partire dalla tarda Età della Pietra, il suo ruolo era soltanto incidentale nei confronti della vita
economica". (Karl POLANY, La grande trasformazione cit., p.57.)
Resta il fatto che "nessun fraintendimento del passato si è mai rivelato maggiormente profetico rispetto al
futuro" perchè mentre quella "propensity to barter, truck and exchange one thing for another" era rimasta marginale
fino al tempo di Adam Smith, un secolo dopo, l'umanità veniva spinta su scala planetaria in tutte le sue attività da quella
propensione. Secondo Polany, l'errore teorico chiave che ha contribuito al "fraintendimento" è da ricercare nella
equiparazione fatta nella seconda metà del diciannovesimo secolo da Herbert Spencer ("senza nulla più di una
conoscenza superficiale dell'economia") del principio della divisione del lavoro con il baratto e lo scambio. Errore che
si è protratto fino a Von Mises e Walter Lippmann e che ha coinvolto una schiera di sociologi, economisti e filosofi.
"In realtà i suggerimenti di Adam Smith sulla psicologia economica dell'uomo primitivo erano tanto falsi
quanto la psicologia politica del selvaggio di Rousseau. La divisione del lavoro, un fenomeno antico quanto la
società,nasce da differenze inerenti al sesso, alla geografia e alle doti individuali e la presunta disposizione dell'uomo al
baratto e allo scambio è quasi del tutto apocrifa. Se la storia e l'etnografia parlano di diversi tipi di economie,la maggior
parte delle quali comprendenti l'istituzione del mercato, esse tuttavia non ne conoscono alcuna, antecedente alla nostra,
anche approssimativamente controllata e regolata dai mercati,[dalla storia] emergerà che il ruolo svolto dai mercati
nell'economia interna dei diversi paesi era insignificante fino a tempi recenti..."(Karl POLANY, La grande
trasformazione cit.,pp.58-59.) Il mercato è appunto una "istituzione" sociale, nel doppio significato di questo vocabolo:
rappresenta la cristallizzazione legittimata e tramandabile di comportamenti socialmente sanzionati - ed è quindi un
"fatto sociale" nel senso tecnico durkheimiano (Emile DURKHEIM, Le regole del metodo sociologico, cit.) - e, in
quanto tale deve essere "istituita", cioè deve essere creata. Cosa che richiede tempo, buona volontà collettiva e
condizioni storiche favorevoli.
Non vi sarebbe forse ragione per richiamare questi concetti ormai largamente acquisiti alla scienza sociale, se
non si osservasse che pregiudizi da tempo contestati sul piano scientifico, hanno ancora grande vitalità nella opinione
corrente e nella politica. Ne viviamo (con conseguenze inquietanti non solo per i popoli direttamente interessati) un
esempio epocale in questi ultimissimi anni in cui si è diffusa l'idea che nei sistemi dell'Europa orientale bastasse levare
il coperchio del sistema burocratico di governo dell'economia per far rinascere "naturalmente" e "spontaneamente" un'
economia di mercato. Ci si sta accorgendo che non è così. Poiché il mercato è una istituzione sociale, per funzionare
richiede anche una adeguata cultura da parte degli attori sociali coinvolti: proprio perché il mercato non fa parte della
natura umana, le regole del suo funzionamento devono essere inscritte nelle menti degli uomini. La costruzione di una
economia di mercato - ammesso che questo sia lo scopo da perseguire - è quindi un processo lungo e faticoso e, occorre
aggiungere, socialmente costoso. Così è stato originariamente. Perchè si potesse giungere un sistema sociale basato su
un sistema di mercati autoregolantesi, è stato necessario che si creassero mercati, cioè che si assegnassero prezzi, o
valori, a "merci" che non erano generalmente ritenute tali. E la società reagiva alla estensione delle regole di mercato (la
"mercificazione", secondo la terminologia marxiana ora entrata nell'uso comune) a comportamenti in qualche modo
ritenuti appartenenti a sfere sacre della vita associata.
"L'eccezionale scoperta delle recenti ricerche storiche ed antropologiche è che l'economia dell'uomo, di regola,
è immersa nei suoi rapporti sociali. L'uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel
possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali,i suoi
vantaggi sociali. Egli valuta i beni materiali soltanto nella misura in cui essi servono a questo fine."(Karl POLANY, La
grande trasformazione cit.,p.61.) Oggi questa affermazione è condivisa da un gran numero di studiosi, anche se certo
non dalla totalità degli economisti, ma benchè sia alquanto self-evident nell'esperienza comune, non corrisponde per
nulla alla visione prevalente nell'opinione pubblica, che continua a vedere l'economia non come un pezzo della società
ad essa intrinsecamente legata, ma come un sistema separato nel quale si entra e si esce a piacimento adattando i propri
comportamenti individuali. Così come ci si toglie e si mette un cappello, o meglio una uniforme. Anche l'uso improprio,
ma diffusissimo, di un brutto neologismo (partorito dal sindacalese assitenzialistico) "il sociale", sottolinea l'idea assai
comune, che esista un settore di comportamenti "sociali", distinguibile da quello "economico" ( o, in altre versioni, da
quello "politico"). Il "sociale" non esiste: tutto è "sociale", anche il comportamento economico, che non obbedisce a
leggi immutabili e astratte, ma a norme e valori costruiti dagli uomini (Vedi Luciano GALLINO, La società.Perchè
cambia, come funziona, Paravia, Torino 1980, p.18.)
Ma, si obietterà, se non facciamo una distinzione tra la sfera della vita economica e la sfera della vita sociale,
come possiamo discernere i comportamenti che obbediscono allo stretto criterio utilitaristico, nella prima sfera, e
comportamenti di altro tipo - per esempio di natura altruistica - teoricamente possibili nella seconda sfera? Dicendo che
la distinzione tra le due sfere è fittizia e può essere fuorviante, non si vuol certo sostenere che non esistono ambiti di
comportamento diversi nel complesso della società. Si vuol soltanto sottolineare che la razionalità strettamente
utilitaristica che regola normativamente il comportamento di attori individuali e collettivi sul mercato è una razionalità
socialmente sanzionata: è legittima e funziona, solo se è accettata dalla società.
In realtà il paradosso classico dell'utilitarismo nasce proprio dalla distinzione tra le due sfere. Se si assume che
la razionalità economica sia il tipo "puro" di razionalità, svestito degli orpelli dell'ipocrisia sociale - come credono
molte persone che sottoscrivono pubblicamente, o nel loro intimo, questo assunto del liberalesimo estremo - non si
spiega come sia possibile l'azione volontaria e altruistica, se non ricorrendo alla spiegazione che anche l'azione
disinteressata è "utile" per chi vive i valori che la sostengono. Spiegazione nominalistica che begs the question
risolvendola in un cerchio tautologico. Se invece accettiamo l'idea, in certo qual modo opposta, che il comportamento
economico sia una parte del comportamento sociale in generale e che obbedisca a sue regole particolari solo perchè i
valori della razionalità economica fanno parte delll'insieme delle norme accettate dalla società, il paradosso cade e
possiamo senza difficoltà distinguere tra comportamenti che in sfere diverse della società obbediscono a norme diverse.
Diventa allora più plausibile il ruolo della cultura e della religione nello sviluppo del capitalismo che, originalmente e
per molti aspetti provocatoriamente intravisto da Max Weber, e pur ripetutamente contestato in ambito scientifico, non
sembra oggi seriamente negabile. La contraddizione implicita nei diversi tipi di azione si risolve anche eticamente nel
precetto di "guadagnare il più possibile, risparmiare quanto si può e donare molto in beneficenza" che rieccheggia in
versione calvinista la sfida del pecca fortiter sed crede fortius. Certo oggi viviamo in società in cui le regole di mercato
governano l'insieme dei rapporti sociali, mentre prima della formazione della società capitalistica avveniva esattamente
il contrario. La storia della nascita dell'economia di mercato è una storia trionfale lastricata di immani sofferenze, ma
può anche essere vista - suggerisce Polany - come la storia dei tentativi della società nel suo complesso di circoscrivere,
frenare e regolamentare la diffusione dirompente dei mercati autoregolantesi.
Il cammino fatto dai paesi first comers è noto e non si può certo ripercorrere in poche parole. Vale però la pena
di sottolineare il nodo strategico della creazione dei mercati virtuali. Perchè sia possibile giungere a una economia di
mercato occorre che si stabiliscano mercati ( e quindi retribuzioni) anche per tre merci particolari:la terra,il danaro e il
lavoro. Le merci (commodities) sono "empiricamente definibili come oggetti prodotti per la vendita sul mercato:i
mercati a loro volta sono definiti empiricamente come contatti effettivi tra compratori e venditori ... in pratica questo
significa che devono esservi mercati per ogni elemento dell'industria... questi innumerevoli mercati si collegano tra loro
e costituiscono un unico Grande Mercato. Il punto cruciale è questo: lavoro, terra e moneta sono elementi essenziali
dell'industria [e quindi devono anch'esse organizzarsi in mercati... ma] secondo la definizione empirica di merce essi
non sono merci"( Karl POLANY, La grande trasformazione cit.,p.93.). Perchè palesemente non sono "prodotti per la
vendita". Infatti il lavoro non è che un altro nome per un'attività umana; la terra non è che un altro nome per la natura,
che non è prodotta per la vendita, e il denaro non è che un simbolo del potere d'acquisto. Qeste merci sono
peculiari,perchè, a differenza delle altre , pur avendo come tutte le merci un prezzo, che si chiama rispettivamente,
salario,rendita e interesse, sono merci virtuali o fittizie."La descrizione del lavoro,della terra e della moneta come
merce è quindi interamente fittizia".(Ivi,p.94.)
Come è noto il percorso storico per la creazione di mercati per queste merci fittizie è lungo e doloroso. Per
"liberare" la terra dai vincoli feudali è occorso in Inghilterra il lungo e sanguinoso processo delle "recinzioni", che ha
prodotto quella capitalistizzazione delle campagne, di cui parla Marx e che è ripresa da molti autori tra i quali
Barrington Moore.(BARRINGTON MOORE Jr.,Le origini sociali della dittatura e della democrazia,(trad.it.a cura di
Domenico Settembrini), Einaudi, Torino 1969). La creazione del mercato del denaro è un prodotto delle attività della
istituzione bancaria che si sono affermate contro le fortissime sanzioni contro l'usura. E interessante notare, a questo
proposito, che solo un sistema bancario fortemente sviluppato può limitare l'usura ( se non si vuol sostenere
provocatoriamente che tutta l'attività creditizia è usuraria). In assenza di meccanismi regolativi e di alternative il prezzo
del denaro è totalmente determinato dal bisogno di chi chiede e può essere costretto a subire lo strozzinaggio più
indecoroso.
La creazione del mercato del lavoro, l'ultima in ordine di tempo, significa molto semplicemente l'eliminazione
di tutti quegli schermi protettivi di cui la società feudale aveva circondato il lavoro. E oggi si ripete l'effetto dirompente
della creazione di un mercato del lavoro nei sistemi già-socialisti. Un secondo nodo è quello del ruolo svolto dallo stato
nel processo di creazione di una società di mercato che abbiamo descritto. Grazie alla rigida contrapposizione tra
mercato e stato che ha governato ideologicamente la grande dicotomia tra società capitalistiche e società socialiste, si
èin qualche modo diffusa l'idea che il mercato si sia affermato al di fuori e forse contro il potere statuale. Ma questa è
una nozione storicamente falsa e del tutto fuorviante. Infatti storicamente la società di mercato nasce al termine di un
lungo periodo di trasformazione degli stati europei, dal feudalesimo medioevale al feudalesimo dello stato assoluto, e si
avvantaggia non solo delle strutture organizzative statuali-nazionali create dall'assolutismo, ma anche degli interventi
diretti degli stati nell'economia, e sopratutto nell'espansione dei mercati internazionali nel periodo del mercantilismo.
La clamorosa visibilità della rottura storica nel principio di legittimazione (nella formola politica moschiana)
avvenuta con la decapitazione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793 offusca,in certo qual modo, gli elementi di continuità tra
l'organizzazione statuale dell'assolutismo e quella dei sistemi politici successivi alla rivoluzione francese (anche al di là
degli effetti delle varie restaurazioni successive al congresso di Vienna). Lo stato assoluto, ha costruito nel corso dei
secoli molte componenti organizzative confluite poi nello stato moderno. Innanzitutto un corpus di leggi basato sulla
riscoperta del Diritto Romano e sulla codificazione della pletora di norme create dai diritti medievali, e poi l'esercito, il
sistema fiscale, un corpo funzionariale infine un sistema di relazioni internazionali basato sulla diplomazia
professionale, per sostenere il commercio (Perry ANDERSON, Lineages of the Absolutist State, NLB, London 1974,
pp.24 sgg.). E vero che lo stato assoluto rimane un sistema feudale, o meglio come dice Perry Anderson a redeployed
and recharged apparatus of feudal domination,(Ivi ,p.18) cioè un fedualesimo riorganizzato per far fronte alla nascita
della classe mercantile successiva alla rivoluzione urbana dei primi secoli del secondo millennio, ma questo non
diminuisce l'importanza degli elementi di continuità tra sistema tradizionale-patrimoniale e sistema razionale-legale. La
sostituzione del principio di legittimità non cambia la sostanza della struttura statuale la cui costruzione era già stata
avviata dall'ancien regime, ma spezza, come è stato detto, un carapace troppo stretto per il nuovo organismo e ne
permette lo sviluppo maturo. Non solo ma i principi di universalismo impliciti nella imposizione del sovrano assoluto
sui particolarismi della società feudale, costituiscono un presupposto necessario per lo sviluppo dello stato politico
rappresentativo.
La rivoluzione industriale e la creazione di una economia di mercato. Se ciò che accomuna gran parte degli
scienziati e dei filosofi sociali dell'ottocento è l'idea di una applicazione del metodo scientifico alla società - e quindi in
ultima analisi la convinzione profonda che sia possibile "costruire" una società ideale - le varie scuole sono invece
inconciliabilmente divise sui modi con cui questo progetto può essere realizzato sul senso del mutamento storico, e
sull'idea di progresso in generale. L'identificazione della rivoluzione borghese (e della distinzione tra società civile e
stato che ne scaturisce) con l'idea stessa di progresso, sta alla base delle filosofie liberali, ma questa idea è stata
radicalmente criticata dalla scuola marxista. Nel pensiero marxista non si nega che "la borghesia [abbia] avuto nella
storia un ruolo sommamente rivoluzionario", ma si nega che la democrazia borghese abbia effettivamente introdotto
quella libertà che si proponeva e che l'ideologia liberale vanta.(Karl MARX e Friedrich ENGELS," Il manifesto del
partito comunista" in Opere scelte a cura di Luciano Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1971,p.294). Nel suo testo più
suggestivo sull'argomento, Marx solleva il problema partendo dalla questione ebraica e dalla critica della soluzione a
questa questione proposta da Bruno Bauer. Come è noto Bauer attribuiva l'impossibilità di risolvere in Germania la
questione ebraica alla arretratezza dello Stato tedesco ancora imbevuto di elementi feudali e caratterizzato quindi dalla
permanenza di elementi religiosi nella politica. Marx nega che l'emancipazione degli ebrei possa derivare dalla
modernizzazione dello stato tedesco perchè - ed è questo il punto centrale del ragionamento che ci interessa in questo
contesto - lo stato borghese introducendo la distinzione tra homme e citoyen non solo non emancipa l'uomo, ma anzi
sanziona e rende più potenti le divisioni sociali.
"Qual'era il carattere della vecchia societa? - si chiede Marx - Una sola parola la caratterizza: la feudalità. La
vecchia società civile aveva immediatamente un carattere politico, cioè gli elementi della vita civile, come la proprietà o
la famiglia o la maniera del lavoro, nella forma del dominio fondiario,dello stato e della corporazione, erano innalzati a
elementi della vita dello Stato ... La rivoluzione politica (i.e. la rivoluzione democratico-borghese) soppresse ... il
carattere politico della società civile" ..."L'emancipazione politica è la riduzione dell'uomo, da un lato, a membro della
società civile, all'individuo egoista indipendente, dall'altro, al cittadino, alla persona morale. Solo quando l'uomo reale,
individuale riassume in sè il cittadino astratto,e come uomo individuale nella sua vita empirica,nel suo lavoro
individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto membro della specie umana, soltanto quanto l'uomo ha riconosciuto
e organizzato le sue "forces propres",come forze sociali, e perciò non separa più da sè la forza sociale nella figura della
forza politica, soltanto allora l'emancipazione umana è compiuta."(Karl MARX "Sulla questione ebraica" in Opere
scelte a cura di Luciano Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1971,pp.98-101,passim.)
Il percorso logico (e storico) tracciato da Marx nella judenfrage può essere semplificato in uno schema che
individua le due variabili cruciali della identificazione o scissione tra società civile e stato e della presenza di
diseguaglianze (economiche, sociali,religiose ecc.) nella società.
Anche se le distinzioni proposte da Marx sono di tipo logico-sistemico, cioè sono basate su caratteristiche della
società, come spesso avviene nel pensiero marxiano, e marxista in genere, i modelli di società si susseguono anche sul
piano storico. Nella società feudale la politica e la società sono fuse e quindi la politica esercita automaticamente un
controllo sulla società.(Questo concetto sarà ripreso da Polany). Ma ciò avviene in una situazione di forti diseguaglianze
sociali e di oppressione da parte delle classi dominanti. Nella società borghese, stato e società si scindono, ma ciò non
porta nè a una riduzione delle diseguaglianze nè a una vera libertà. Infatti la politica non solo non può controllare le
diseguaglianze insite nella società civile, ma anzi le esalta. Il principio dell'uguaglianza di fronte alla legge è punitivo
per il debole che eguale non è. Solo in una società futura in cui uomo e cittadino siano ricomposti, in cui cioè la politica
controlla la società civile, ma in condizioni di eguaglianza, è possibile raggiungere oltre all'eguaglianza anche una
condizione sostanziale e non puramente formale di libertà.
Sviluppando i concetti base contenuti nella judenfrage, ( anche se peculiarmente questo titolo non compare
nelle fonti da lui citate, nonostante l'impegno di riportare "tutti i passi o almeno tutti i passi fondamentali di Marx e
Engels sullo stato... in maniera quanto più possibile completa".V.I.LENIN, Stato e Rivoluzione,(edizione a cura di
Valentino Giarratana), Editori Riuniti, Roma 1970,p.60.) V.I.Lenin offre una sintesi dell'argomentazione marxista in
Stato e Rivoluzione. Questo testo è fondamentale perchè esprime nella forma più pura gli assunti portanti della teoria
marxista-leninista del mutamento sociale ( così come il Manifesto ne aveva chiarificato i principi della versione MarxEngelsiana). E la forma pura è un sillogismo con premessa maggiore, premessa minore e conclusione, corredato da una
prova sperimentale. La premessa maggiore è: " Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi
inconciliabili tra le classi"(p.61). La premessa minore è: "Il proletariato si impadronisce del potere e anzitutto trasforma
i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma così sopprime se stesso come proletariato,sopprime ogni differenza di
classe e ogni antagonismo di classe" (ivi). La conclusione: "[ergo], lo Stato si estingue" (p.62). La prova empirica di
tutto ciò è l'esperienza della Comune che Lenin tratta per esteso nel II capitolo dell'opera.
Sarebbe sciocco sottovalutare la potenza evocativa di questo ragionamento su cui sono stati scritti fiumi di
inchiostro e che ha costituito la bussola giroscopica per l'azione politica di generazioni di militanti in innumerevoli
paesi del mondo, anche se oggi è facile dire che le cose sono andate diversamente ed è anche facile trovare in altre parti
dello scritto di Lenin il nucleo della debolezza logica del ragionamento, una debolezza che va ricercata nel concetto di
dittatura del proletariato. Lo stato postrivoluzionario avrebbe dovuto cominciare a estinguersi nel momento stesso in
cui si è compiuta la rivoluzione "il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la
società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società,cioè la presa di possesso di tutti i
mezzi di produzione in nome della società è a un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di
una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso".
Friedrich ENGELS, Antiduehring, trad. it., Edizioni Rinascita, Roma 1950 p.305, cit. in V.I.LENIN, Stato e rivoluzione
cit.,p.72.) Invece di estinguersi o assopirsi (schlafen) come dicono Engles e Lenin,(Su questo termine (in inglese
withering away) e sul suo significato esiste, come è noto, un dibattito serrato,in parte anticipato nell'opera di
Lenin,ibidem.) lo stato proletario si espande e si gonfia fino al punto da divorare se stesso e l'intera società.(Questo era
il destino che Lenin preconizzava per lo Stato borghese a seguito della prima guerra mondiale la quale "ha avvicinato a
una catastrofe completa il processo grazie al quale un potere statale vorace "minaccia di inghiottire" tutte le forze della
società" (p.66).Parole profetiche per l'avvento dello statalismo fascista, ma anche per il destino dei sistemi a capitalismo
di stato). Come è stata possibile questa tragica svista? Si è trattato di una macroscopica incapacità di prevedere gli
sviluppi post-rivoluzionari oppure di una conseguenza inevitabile del marxismo-leninismo? Ingenuità o errore? Come è
noto questo è il tema centrale del dibattito sullo stalinismo, visto da alcuni come una logica evoluzione del pensero
leninista e da altri invece come una perversione accidentale o storicamente determinata della rivoluzione socialista.
Senza pretendere in alcun modo di entrare in questa querelle mai sopita, va tuttavia notato, da un punto di vista
strettamente filologico ed esegetico, che una premessa teorica dell'ampliamento dei compiti dello Stato è chiaramente
rinvenibile in Stato e Rivoluzione ed è derivata da Engels (Friedrich ENGELS, Antiduehring, trad it.,Edizioni di
Rinascita, Roma 1950, p.305 passim, citato in I.L.LENIN, Stato e rivoluzione, cit. pp.72 sgg.). Lenin ricorda infatti, da
un lato, che l'estinzione dello Stato riguarda lo stato proletario postrivoluzionario, mentre lo stato della borghesia deve
venire soppresso per opera della rivoluzione proletaria."Lo stato borghese,secondo Engels, non si "estingue"; esso
viene"soppresso" dal proletariato nel corso della rivoluzione. Ciò che si estingue dopo questa rivoluzione è lo Stato
proletario o semi-Stato"(pp.73-74). Si noti il termine curioso di "semi-Stato" introdotto qui da Lenin,per descrivere un
sistema politico che non è più Stato (in base alla premessa maggiore del sillogismo) perchè essendo state abolite le
classi con la rivoluzione viene a mancare una componente fondamentale dello stato. D'altro canto l'idea di estinzione
sottolinea la circostanza, persin troppo nota nella teoria marxista, che la scomparsa delle classi non può avvenire
immediatamente dopo il momento rivoluzionario. perchè "l''attò della presa di possesso dei mezzi di produzione in
nome della società... [consiste nella sostituzione della] 'forza repressivà particolare del proletariato da parte della
borghesia...[e] deve essere sostituita da una 'forza repressiva particolarè della borghesia da parte del proletariato
(dittatura del proletariato)"(p.74).
Ecco perchè il semi-Stato invece di cominciare a declinare dopo la rivoluzione, per finalmente estinguersi, si
amplia a dismisura, investito da una missione che prima ancora che repressiva è pedagogica: l'eliminazione della cultura
borghese dalle coscienze individuali - le basi materiali della borghesia essendo già state eliminate con la
collettivizzazione restano da estirpare i residui della mentalità borghese. E si sa che in questa lotta contro la cultura
borghese,che doveva essere breve, ma si è rivelata eterna, si sono consumate le peggiori efferatezze burocratiche dei
regimi marxisti postrivoluzionari, ponendo le premesse per la costruzione di uno smisurato apparato di controllo della
società. La levità dell'estinzione di un semi-Stato si trasforma - nel breve succedersi di un paragrafo del testo leniniano nel peso plumbeo della dittatura del proletariato(Su questi punti si è combattuta la grande battaglia tra riformismo
socialdemocratico e rivoluzionarismo comunista, ma qui non ci interessa approfondire l'aspetto più propriamente
politico o politologico del problema).
Le cose che abbiamo detto sono largamente note e, come si è detto, sono state riprese qui unicamente per
individuare all'interno di questo complesso insieme di problemi qualche tema da sviluppare ulteriormente.
TESTI:
Perry ANDERSON, Lineages of the Absolutist State, NLB, London 1974; Giovanni ARRIGHI, (tr.it.) Il lungo secolo.
Denaro,potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano 1996, pp.27,310 passim [The Long Twentieth
Century, 1994]; Gino GERMANI (a cura) Urbanizzazione e modernizzazione, Il Mulino, Bologna 1975, parti II e III; ;
L.MUMFORD (1977) Vol.III; Karl POLANY, La grande trasformazione, (trad.it.a cura di Roberto Vigevani), Einaudi,
Torino 1974; Alessandro PIZZORNO,"Sviluppo economico e urbanizzazione", Quaderni di sociologia, XI (1962)
pp.23-51, anche in Gino GERMANI(1975); Marco ROMANO, L'estetica della città europea. Forme e immagini,
Einaudi, Torino 1993; Peter SAUNDERS, Teoria sociale e questione urbana, (Tr.it. prefazione di Enzo Mingione)
(Social Theory and Urban Question, 1981,1986), Edizioni Lavoro, Roma 1988, Introduzione e cap. I; Max WEBER,
Economia e società,(ed.it. a cura di Pietro ROSSI), Vol.I, Edizioni di Comunità,Milano 1961,p.207-306 (tipi del potere)
e Vol.II, pp 541-680 (Il potere non legittimo – La Città-); oppure La città, Bompiani, Milano 1950, 1979.
Perry ANDERSON, Lineages of the Absolutist State, NLB, London 1974; Giovanni ARRIGHI, (tr.it.) Il lungo secolo.
Denaro,potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano 1996, pp.27,310[The Long Twentieth Century,
1994];BARRINGTON MOORE Jr., Le origini sociali della dittatura e della democrazia,(trad.it.a cura di Domenico
Settembrini), Einaudi, Torino 1969; Asa BRIGGS, Victorian Cities, Penguin, Harmondsworth 1967 (1963); Alberto
CARACCIOLO ( a cura di), Dalla città preindustriale alla città del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1975; Paolo CERI
(a cura di), Industrializzazione e sviluppo urbano, Loescher, Torino 1978; Giorgio CHITTOLINI, "La città europea tra
Medioevo e Rinascimento" in Pietro ROSSI (a cura di) Modelli di città: strutture e funzioni politiche, Einaudi, Torino
1987, pp.371-393; Guido D'AGOSTINO, " Città e monarchie nazionali nell'Europa moderna" Pietro ROSSI (a cura di)
Modelli di città: strutture e funzioni politiche, Einaudi, Torino 1987, pp.395-418; Karl MARX "Sulla questione ebraica"
in Opere scelte a cura di Luciano Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1971; L.MUMFORD (1977) Vol.III; Karl POLANY,
La grande trasformazione, (trad.it.a cura di Roberto Vigevani), Einaudi, Torino 1974; Alessandro
PIZZORNO,"Sviluppo economico e urbanizzazione", Quaderni di sociologia, XI (1962) pp.23-51, anche in Gino
GERMANI(1975); Daniela ROMAGNOLI (a cura di), La città e la corte. Buone e cattive maniere tra Medioevo ed Età
Moderna, Guerini e associati, Milano 1991; Marco ROMANO, L'estetica della città europea. Forme e immagini,
Einaudi, Torino 1993; P.ROSSI (1987),in particolare, parte III, pp.321-464 nonché Antonio TOSI, "Verso un'analisi
comparativa delle città", pp.29-49 e Paolo CERI e Pietro ROSSI, "Uno sguardo d'insieme", pp.539-581; Peter
SAUNDERS, Teoria sociale e questione urbana, (Tr.it. prefazione di Enzo Mingione) (Social Theory and Urban
Question, 1981,1986), Edizioni Lavoro, Roma 1988, Introduzione e cap. I; Stefania VERGATI, L'urbanizzazione.
Concetti, problemi, processi, Palumb o, Palermo 1982;
Il ciclo urbano industriale
Avvicinandoci alla nostra epoca disponiamo di maggiori dati sullo sviluppo della città: quali sono le fonti di cui
dispongono gli studiosi per conoscere l’evoluzione dei sistemi urbani europei, nel medioevo prima e nella
industrializzazione poi? “Perchè qui?”(Gli studiosi si sono posti la domanda sulle condizioni che hanno favorito lo
sviluppo industriale e poi la modernità in Europa. Ci sono ragioni per spiegare perché qui e in questi periodi storici?).
Rapporto tra città medievale e industrializzazione. Individuare le condizioni che hanno permesso quell’ aumento della
accumulazione originaria del capitale nella urbanizzazione medievale e nella urbanizzazione industriale.
Sovrappopolazione relativa, movimenti di popolazione e formazione di nuove classi nella città medievale e nella città
industriale. Descrivere i conflitti di classe e le loro composizioni nella città medievale e nella società industriale. Il
ruolo del diritto e della politica:trasformazioni nella organizzazione e gestione del potere. La nascita di una società di
mercato. Rapporti tra forma architettonica e organizzazione sociale.
Dalla città industriale alla metropoli
La città diventa un laboratorio sociale, anche dal punto di vista conoscitivo. Lo sviluppo della società e della
città industriale vanno di pari passo con il contesto sociale e culturale della città. La comprensione della nuova forma
urbana e industriale diventa uno degli oggetti centrali della scienza sociale. Contemporaneamente, a partire dalla metà
del xix secolo, si costruiscono le discipline che intendono “regolare” o “pianificare” lo sviluppo della città tentando di
migliorare la qualità ambientale e sociale delle città che ovunque crescono a ritmo sempre più rapido. Tutte queste
discipline si pongono come discipline “scientifiche” anche se l’impresa di costruire le città si rivela più ardua del
previsto(Benevolo, capp 6 e 7; Romano, 2004 passim). Si comincia a parlare di “personalità urbana o metropolitana
(Simmel, ed.it. 1995) e la città diventaa oggetto di riflessioni poetiche e filosofiche. Con il xx secolo tuttavia il
continente europeo è dilaniato da una serie di conflitti sempre più distruttivi, tra il 1871 e il 1945, Parigi è bombarda tre
volte dai tedeschi e durante la seconda guerra mondiale la distruzione delle città nemiche tramite l’aviazione diventa
una pratica diffusa. Contemporaneamente però nasce una forma urbana nuova e possiamo ancora una volta studiare il
ciclo urbano nella città senza storia del nuovo mondo in particolare negli Stati Uniti che da grande prateria popolata da
popolazioni pre-neolitiche si trasforma in un breve volgere di decenni nella società più urbanizzata e industrializzata del
mondo. Nello stesso periodo si sviluppano negli USA varie scuole sociologiche che studiavano il fenomeno urbano , per
così dire, sperimentalmente o ccomnque in gran parte con l’osservazione diretta. E’ il primo dei cicli di cui abbiamo
esperienza diretta. Dopo gli anni ’60 eruppe in tutte le città del mondo una forte ondata di conflitti urbani che, trra
l’altro, servirono da base per il rientro della sociologia in Europa.
Nascita e sviluppo della meta-città, da Londra a Shangai, e oltre. La città contemporanea: issues
. Abbiamo già visto che l’urbanizzazione contemporanea sta subendo profonde trasformazioni e nell’ultimo
incontro cercheremo di toccare (elenco provvisorio) :
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
Città e tecnologie della informazione e della comunicazione (TIC)
Le trasformazioni nell’uso del tempo e dello spazio
La mobilità e le nuove popolazioni
La globalità dell’economia e l’economia dei
Immigrazione, integrazione e segregazione
Urbanizzazione nel primo mondo e negli altri
Città, sostenibilità ambiente
.
Il movimento carsico della sociologia e la città americana. Non è raro nella storia del pensiero scientifico e della
cultura in genere, osservare che idee originate in un certo luogo, scompaiono di li' per poi riapparire altrove, con una
sorta di andamento carsico. È quanto è avvenuto con la sociologia, nata in Europa, ma poi sviluppata negli Stati Uniti
tra le due guerre. È normale dar conto di questo tipo di cambiamenti facendo ricorso a spiegazioni economiche. Ma si
tratta di un legame che non è cosi' scontato come generalmente si ritiene. Tra sviluppo economico e sviluppo della
scienza, esistono indubbie relazioni,anche se mancano prove empiriche della linearità di tale rapporto probabilmente
dovuto a un contesto più ampio di sviluppo sociale, da cui tanto l'economia che la scienza risultano favorite.Tra l'altro
fino agli anni '50 le risorse investite nella ricerca scientifica erano una quota molto limitata della ricchezza delle nazioni.
Ne consegue che per capire l'evoluzione dei sistemi di istruzione superiore occorre prendere in considerazione anche
fattori culturali e politici,oltrechè istituzionali, ed è questo il punto di vista che adotteremo nella nostra analisi. Nel
classico saggio di Joseph Ben David su Fundamental Research and the Universities, troviamo due riflessioni che
offrono una utile guida per inquadrare il problema del'istruzione superiore nel mondo contemporaneo. In primo luogo,
secondo questo autore,la stretta relazione esistente tra le istituzioni educative accademiche e la ricerca scientifica, è
imperniata sul ruolo della ricerca di base o fundamental research. Solo grazie alla ricerca di base e alla
sistematizzazione delle conoscenze attuata dalle istituzioni accademiche,in cui il sapere viene organizzato e trasmesso, è
possibile realizzare quegli investimenti intellettuali che permettono l'avanzamento della scienza.Se prevale la ricerca
applicata, sostiene Ben David, il pensiero scientifico si depaupera perchè orientato a produrre conoscenze legittimate
dalla società solo in quanto siano "utili". E il fine utilitario,anche se nobilitato dalle veste di "utilità sociale",può
spingere lo scienziato a cercare solo risposte di immediata rilevanza o a investigare problemi la cui importanza è
definita non dall'istituzione scientifica,ma al suo esterno. Nel caso della quasi scomparsa della sociologia dalla scena
culturale europea giocarono ragioni intellettuali quali la crisi del positivismo e la rinascita di filosofie idealistiche e
ragioni politiche, l'affermarsi del fascismo e di regimi dispotici in Europa. Con un movimento non dissimile da quello
descritto da Ben David per la diffusione della scienza.
Ricerca e insegnamento universitario, pur non si svolgendosi sempre in un'unica organizzazione concreta,fanno
tuttavia parte del medesimo complesso istituzionale, che ha tra i suoi compiti anche quello di "proteggere," per cosi'
dire,il ricercatore da considerazioni troppo stringenti di immediata utilità sociale della sua attività. Quindi,anche se in
questo specifico saggio ci occuperemo sopratutto di formazione universitaria - il problema della ricerca sarà infatti
trattato in altra parte del volume - non dobbiamo dimenticare la stretta connessione tra le due funzioni,accettando
ovviamente le debite variazioni disciplinari nel loro peso reciproco. Del resto non sarebbe neppure necessario
sottolineare questo aspetto,in un sistema come il nostro, in cui ricerca e insegnamento universitario convivono, persino
troppo strettamente nella medesima istituzione,se non si avesse il timore che per rispondere a legittime esigenze dello
sviluppo economico e sociale le spinte verso la ricerca applicativa possano assumere un peso eccessivo.E si tratta di un
pericolo assai più reale nell'università italiana che è un sistema istituzionalmente debole e molto osmotico con la società
esterna, di quanto non lo sia,per esempio,nel sistema anglosassone,in cui la "protezione" della istituzione universitaria
dalle pressioni della rilevanza sociale è un dato acquisito, anche se non del tutto al riparo da critiche. D'altro canto, la
posizione neo-weberiana di Ben David non deve certo essere assunta come canone normativo rigido,ma come una
constatazione valida storicamente e come un principio informatore di carattere generale.
Ben David osserva poi che gli spostamenti del baricentro mondiale del complesso istituzionale università e
ricerca scientifica,sono storicamente avvenuti secondo un percorso che delinea i contorni di ciò che egli definisce
"l'ecologia della scienza moderna sin dai suoi primi vagiti nel sedicesimo secolo".Dalle origini, l'intrapresa scientifica
ha manifestato la tendenza a concentrarsi di volta in volta in un' area specifica. Un fenomeno assimilabile aa quello
prodotto dalle "esternalità" o dalle economie di scala nei sistemi economici."Fino alla metà del cinquecento - nota più
precisamente Ben-David - il centro indiscusso degli studi scientifici era l'Italia, ma già nella seconda metà di quel
secolo il centro di gravità si era spostato e chi si interessava di scienza non poteva non rilevare la favorevole situazione
per gli studi scientifici creatasi in Inghilterra. Tuttavia, poiché il progresso del pensiero scientifico in Francia segui'
strettamente quello avvenuto in Inghilterra, Parigi divenne il centro indiscusso attorno al 1800. Nessuno che praticasse
la scienza poteva permettersi di ignorare la lingua francese e gli studiosi si recavano a Parigi per fare ricerca o
semplicemente per incontrare le persone più famose nel loro campo. Quarant'anni più tardi,il luogo di incontro e di
formazione degli scienziati di tutto il mondo era la Germania, che mantenne tale posizione fino agli anni venti. Poi il
centro mondiale si spostò negli Stati Uniti, con la Gran Bretagna attestata su una posizione secondaria." (BEN
DAVID,1971, p.15) Anche oggi, sostiene sempre Ben-David, la relazione tra investimenti e progresso scientifico non è
cosi' lineare come si assume correntemente.
Lo sviluppo contemporaneo:le città americane. I precursori americani, riforme sociali e ricerca empirica,
coloro che speravano di impiegare la scienza per rimediare ai mali sociali. Le caratteristiche della città americana. La
multietnicità e la grid. I meccanismi del mercato dell'abitazione nella formazione dei ghetti. La città come corporation,
(incorporation e fallimento = Orange County). La scuola di Chicago e l'ecologia sociale. Ecologia sociale e
funzionalismo: il mainstream della sociologia negli anni '50. L'isolamento culturale dell'Italia come effetto della
dittatura. Il filtro dell'immagine americana egemonica. Nello sviluppo della sociologia urbana americana e in particolare
dell'ecologia umana di cui è oppotuno richiamare due specificità. Da un lato il contesto sociale dello sviluppo urbano in
cui i sociologi americani si rtrovavano a operare e, dall'altro, il background culturale al cui interno si sviluppa la scuola
di Chicago, e in particolare l'ecologia umana. Come si era precedentemente accennato questa scuola ha le sue radici
nella critica alla macchina politica municipale tipica del progressive movement del primo novecento e della esperienza
del giornalismo di denuncia personificato da Lincoln Steffens (The Shame of Our Cities, 1904). Si aggiunga che
l'orientamento alla ricerca empirica si colloca in un quadro intellettuale che per la Scuola di Chicago era molto lontano,
anche se non del tutto staccato, dalla tradizione europea classica. Come fa notare Milla Aissa Alihan, l' impostazione
teorica della ecologia sociale, che ha influenzato profondamente e non sempre positivamente lo studio della città in
questo secolo, trova le sue radici nella cultura di un Middle West "somewhat removed from the sharp edges of world
events". "Una tradizione, scrive ancora la Alihan, in cui benché la frontiera avesse già ceduto il passo a un'economia
metropolitana, sopravvivevano tuttavia lo spirito dei pioneri e la tradizione di conquista dell'ambiente geografico. Ed
era una battaglia combattuta principalmente in termini fisici,mentre il Calvinismo intransigente che la ispirava voltava
rigidamente le spalle alle più rilassate tradizioni europee (Milla Aissa ALIHAN, Social Ecology.A Critical Analysis,
Columbia University Press, New York 1938, p.6). Ne sono tracce più che evidenti gli esiti della conquista coloniale del
Nord America, proprio in questi ultimi tempi sottoposti a critica in occasione delle celebrazioni colombiane. Mentre
nell'America centrale i conquistadores spagnoli si sono trovati di fronte entità statuali lo scontro tra il confine espansivo
della società industriale (la"Frontiera", che tanto peso ha avuto nella storia americana) e l'organizzazione tribale di gran
parte degli indiani nordamericani si è risolto in un genocidio. Un genocidio (forse storicamente inevitabile,ma non per
questo meno tragico) che è stato reso, se possibile, anche più distruttivo delle popolazioni originarie, dal tipo di
settlement dei coloni americani che, diversamente da quello centro e sud-americano, è stato un insediamento di unità
familiari, che condannava come profondamente deviante ogni forma di esogamia. L'epica western costruita dai massmedia, proprio a cominciare dai primi decenni di questo secolo, ha completato la distruzione della cultura locale. Non
stupisce quindi che, con l'inevitabile accompagnamento delle tentazioni romantiche che gli stessi media propongono, si
cerchi ora una revisione storica che si è trasformata in un issue drammatico della società americana contemporanea.
Nell'introdurre i temi specifici della ecologia umana va tenuto presente un primo esame comparativo della
morfologia sociale della città americana e della città europea mettendo in luce le diversità con l'esperienza sociologica,
europea. I sociologi europei che si sono occupati della città avevano di fronte una realtà urbana storicamente stratificata
nei secoli e un ricco materiale storiografico su cui basare le proprie riflessioni. Inoltre il tema fondamentale della
riflessione sociologica europea è imperniato sulla trasformazione della società tradizionale in società moderna, una
trasformazione di cui la società urbana è stata l'arena principale e più visibile. La città americana non nasce dalla
trasformazione di una società tradizionale: manca nell'America pre-urbana l'ingrediente essenziale della classe
contadina, con la sua storia di oppressione e rivolte, ma anche con il suo bagaglio di culture locali e tradizioni.
L'America rurale è popolata sopratutto di farmers e di allevatori, gruppi sociali assai diversi dai peasants europei o
asiatici. L'unico gruppo che, sia pure nelle grandi diversità, può avere qualche apparentamento con la classe contadina
sono i negri del sud che si inurbano portando con sé la propria cultura peculiare legata a una storia centenaria, ma non
millenaria, di oppressione e rivolte . E forse parte delle peculiari difficoltà di integrazione che hanno marcato le
popolazioni nere urbane negli Stati Uniti può essere fatta risalire a questa loro chiara e specifica origine rurale "pseudocontadina". In questo quadro si può collocare il paradigma della ecologia umana (testi di riferimento in primo luogo il
capitolo II di SAUNDERS e i saggi a pp.459-618 di Città e analisi sociologica con le corrispondenti parti dell'
Introduzione e poi DICKENS cap.II e HANNERZ capp II e III).E si è quindi individuato il punto di maggiore fragilità
della teoria ecologica nel rapporto tra spiegazioni funzionali e proiezioni spaziali dei fenomeni sociali.
I caratteri dell'urbanizzazione americana. Cosa si chiedono i sociologi urbani americani? Sono nel pieno della
creazione di un nuovo tipo di città. Da cosa è caratterizzata questa città? Dalla sua rapida costruzione in extenso e dalla
non presenza di precedenti insediamenti Lo sviluppo della sociologia urbana americana va inquadrato da un duplice
punto di vista. Con riferimento alla storia del pensiero sociologico e in particolare alla cesura occorsa con la scomparsa
della sociologia dalla scene europee e la sua rinascita oltreoceano. E con riferimento ai caratteri della città americana
che, diversamente da quella che si trovavano di fronte i precursori e i classici europei non ha profonde radici e non si
sviluppa nel contesto di una più generale trasformazione da società tradizionale a società moderna. Lo studio
sociologico della città americana si è sviluppato lungo diverse linee che hanno dato vita a specifiche "tradizioni di
ricerca", ciascuna con propri metodi e con tematiche relativamente circoscritte e non di rado con iterazioni dello studio
empirico. Una tradizione, coltivata dalla Scuola di Chicago con gli studi di Louis WIRTH, The Ghetto,(1928) e H.W.
ZORBAUGH, The Gold Coast and the Slum, (1929), ma che ha importanti precedenti nella ricerca antropologica è lo
studio delle comunità interne alla città. Si tratta di un tipo di studi che risponde all'esigenza di "scoprire" o "svelare" la
realtà delle città americane, con un approccio diretto che permette di rompere il muro di pregiudizi che la classe media
americana nutriva per le ampie e diffuse aree urbane dove abitava l'"altra America" e che venivano accomunate nel
termine generico di slums, con il quale si dava per scontato che in queste aree si concentravano le patologie sociali
urbane, criminalità,povertà,vizio e disorganizzazione sociale. Questo tipo di studi trova il suo esempio più illustre in
Street Corner Society di William Foote WHYTE (1943). Whyte, che peraltro non appartiene alla Scuola di Chicago,
studia un quartiere etnico italiano, uno slum,il North End di Boston scrivendo un testo che per rigore metodologico,
acutezza di analisi e appassionato rapporto con l'oggetto rimane uno dei testi più affascinanti della storia del pensiero
sociologico. In questo studio Whyte consegue diversi importanti risultati e dà al pensiero sociologico e alla
comprensione della società americana alcuni contributi fondamentali. In primo luogo mette a punto e codifica il metodo
della "osservazione partecipante", vivendo ed "entrando" personalmente ed emotivamente nel quartiere oggetto di
studio. In secondo luogo dimostra conclusivamente, come peraltro avevano fatto molti altri studi, che lo slum non è un
luogo di disorganizzazione sociale o di devianza, ma una comunità con le sue regole e le sue istituzioni, in cui gli
immigrati italiani trovano protezione, sia pure al prezzo di un certo grado di separatezza dal resto della città. Il ruolo del
racket e della political machine va interpretato in questa tensione tra protezione e marginalità che caratterizza in
generale la vita dei ghetti etnici in tutte le città americane. E, più in generale,questo tema si ricollega alle teorie degli
urban villages di cui parla Saunders. Infine, confrontando l'erlebnis urbana dei due gruppi avversari, i Corner boys
guidati da Doc e i College boys guidati da Chick, Whyte riprende in campo di sperimentale naturale e con grande
acutezza la teorizzazione toennesiana della contrapposizione tra Gemeinschaft e Gesellschaft, indicando i due diversi
percorsi di socializzazione che si offrono ai giovani del ghetto italiano. Da un lato la carriera individualistica dei
College boys che porta all'integrazione con il sistema di valori e degli stili di vita della società americana, al prezzo di
rinnegare in qualche misura la propria appartenenza e identità. E dall'altro la scelta comunitaria dei corner boys che
accentuano la propria identità etnica e di gruppo, rimanendo tuttavia marginali al sistema. Si tratta di una tensione che
era già stata rilevata da altri autori (per esempio da Zorbaugh in The Gold Coast and the Slum) ha avuto conseguenze
importanti anche sul piano politico e che ritroveremo poi sia pure con accentuazioni assai diverse non solo nei
movimenti neri degli anni sessanta, quali i black panters, ma più in generale in tutta la politica contemporanea dei
movimenti etnici negli Stati Uniti e in altri paesi. Un altro aspetto del medesimo problema riaffiora poi nella tipologia
mertoniana del rapporto tra mezzi e fini e il comportamento delle comunità immigrate. Un secondo filone di ricerca è
quello degli studi di comunità che a partire dall'opera dei LYND cerca di individuare le categorie teoriche necessarie
per descrivere e "comprendere" il funzionamento di una comunità Questi studi si articolano successivamente anche in
studi specifici sul potere di comunità (Community power structure) con i lavori,che propongono approcci e spiegazioni
contrapposte di Floyd HUNTER e Robert DAHL.
La crisi del paradigma funzionalista.
Critici americani del modello funzionalista.C.Wright Mills,David Riesman La folla solitaria e Richard Sennet, declino
del privato. La crisi del modello di sviluppo Rostow e linearità e sviluppo dei movimenti urbani, l'incontro con la
sociologia europea. Problemi sociali affrontati nello studio delle trasformazioni della città europea e italiana in
particolare. I quattro modi di regolazione della società:reciprocità o simmetria, mercato, organizzazione, scambio
politico (Vedi BAGNASCO,Torino Operai massa (es.Fiat a Torino ed effetto della mobilitazione e della
crescita).Studenti e movimenti per la casa. Movimenti sociali attorno ai tre grandi settori del Welfare come luogo dei
conflitti per la redistribuzione. 3 grandi settori del welfare:Istruzione(=Formazione capitale umano), protezione, sanità.
Il rientro della sociologia in Europa e in Italia in particolare: la riscoperta del paese. Levi, Scotellaro l'antropologia
sociale americana:.Banfield. Il dualismo e le comunità arretrate. La ricostruzione. Il grande influsso di popolazione. Gli
immigrati e la città, Visconti, Bianciardi, Fellini. La fabbrica, Olivetti e Ivrea. Scontro tra modernizzazione privata o di
settori e arretratezza della politica. L'area metropolitana a Milano.
In questa lezione si sono richiamati i temi della ecologia sociale e del funzionalismo: il mainstream
della Sociologia negli anni '50/'60 che riflette i temi dell'ordine e della società di massa nel sistema del capitalismo di
consumo. Si sono ripresi i punti della sequenza dello sviluppo della sociologia urbana. Il rientro della sociologia in
Europa e in Italia in particolare: la riscoperta del paese. La rottura dello schema: il marxismo di Manuel Castells. Il '68 e
i movimenti sociali urbani. Immigrati, quartieri e microsociologia urbana. Si sono poi esaminati i tre livelli a cui
possiamo studiare la formazione di nuovi equilibri tra popolazioni e territorio. L'incontro con le sociologie del conflitto
e i movimenti. L'incontro con il paradigma marxista. I movimenti sociali .La crisi del paradigma funzionalista. Nascita
dei movimenti ambientalistici.
Ripresa fasi del ciclo. Si riparte dalla riscoperta della società italiana ed europea nel dopoguerra. Nuove
relazioni con gli USA. Banfield familismo amorale e Robert Putnam. Società arretrate nel sud. Laura Balbo, ma anche
esodo dal Polesine. In questa lezione si è anche affrontata l' esposizione generale delle fasi dello sviluppo del pensiero
sociologico applicato ai problemi urbani. In questo contesto si è innanzitutto analizzata l'idea di città come una porzione
della società, complessa e di grandi dimensioni. La specificità della sociologia urbana va individuata nel quadro dello
sviluppo delle scienze sociali, ma va anche vista criticamente nel quadro istituzionale delle cosiddette "sociologie
speciali" che, come molte altre specializzazioni disciplinari, non sempre obbedisce a esigenze epistemologiche
interamente fondate. Nella lezione si è quindi richiamata l'attenzione dello studente sul carattere di generalità di questa
disciplina. Da un lato sottolineando come l'oggetto della sociologia urbana, la città, non costituisca un sottosistema
funzionale della società, come l'economia, la politica, o la cultura, ma un "campione" di società o una "società in sé".
Cioé una porzione del sistema sociale complessivo che tende tuttavia a essere dotato di tutte (o quasi) le caratteristiche
di un sistema sociale. E dall'altro rilevando come il carattere "autocontenuto" dell'oggetto, abbia spinto in più momenti,
ma in particolare nella fase di costruzione dell'ecologia umana e della scuola di Chicago degli anni '20, lo studio
sociologico della città verso l'elaborazione di teorie generali della società. La Sociologia urbana appare dunque come
una disciplina speciale che si occupa di un oggetto di natura generale. Anche la famiglia, tema di una importante branca
disciplinare della sociologia, si occupa di un oggetto della stessa natura, cioè di una "società" in senso durkheimiano. La
società famigliare, appunto. Ma la famiglia, pur essendo un oggetto sociologicamente complesso è di piccole
dimensioni, e ciò permette l'uso di tecniche di analisi assai diverse da quelle necessarie per studiare la città, che può
essere definita come un "oggetto sociologicamente complesso e di grandi dimensioni".
TESTI:
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fosse interessato a una introduzione semplice all'analisi dell'urbanizzazione americana;
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TREVES.
Antonio TOSI, Saggi critici di sociologia urbana, Memo editore, Milano 1967.
Albert WEALE, The New Politics of Pollution, Manchester U. Press, Manchester 1992
William Foote WHYTE, Street Corner Society,University of Chicago Press,Chicago 1943 e 1955 (trad.it.a cura di
Margherita Ciacci, Little Italy.Uno slum italo-americano, Laterza, Bari 1968);
Harvey Warren ZORBAUGH, The Gold Coast and the Slum. A Sociological Study of Chicago’s Near North Side, The
University of Chicago Press, Chicago 1929, pp.159-181 ("Little Hell").
Indicazioni di lettura per queste lezioni
1) (se a qualcuno interessa) I percorsi intellettuali delle scienze sociali tra Europa e Nuovo Mondo e ritorno. Ci
sono accenni nel mio sillabo con riferimenti bibliografici sufficienti
2) La metropoli Simmeliana e le categorie Toennesiane come parte delle “dicotomie fondamentali” citate da
Pizzorno per definire i principali schemi teorici della sociologia. Trovate i riferimenti bibliografici qui sotto,
ma anche negli allegati, il testo di Simmel e pezzi della mia introduzione che probabilmente non si trova più:
3) La metropoli americana:
Il classico Park & Burgess è il testo classico della “Scuola di Chicago”, e l’introduzione di Pizzorno
inquadra bene il lavoro; l’altra tradizione americana è quella dello studio delle comunità etniche e il
classico è Whyte. Sulla trasformazione metropolitana ci sono molti lavori, ma penso che il Beauregard
faccia bene il punto sulla questione. E’ un po’ ripetitivo, ma va bene. Tralascio altre tradizioni ella
sociologia americana come gli studi di comunità e lo studio dei poteri locali (i Lynd, Floyd Hunter,
Robert Dahl, Herbert Gans) perché non avremo tempo di parlarne e non voglio sovraccaricare.
4) La città e i conflitti sociali:
Con gli anni sessanta gli studiosi di città di tutto il mondo si trovano di fronte alla crescente ondata di
conflitti sociali su temi urbani (la casa, il lavoro in fabbrica, la scuola) che assumono forme diverse da
quelle delle tradizionali formazioni politiche della città industriali( Castells e la questione urbana).
Intanto in tutta Europa le scienze sociali conoscono un nuovo sviluppo in parte per derivazione dalla
sociologia nordamericana in parte per sviluppo autoctono, soprattutto come sviluppo del marxismo. In
Italia questo sviluppo ebbe come oggetto lo studio di comunità (Banfield e il “familismo amorale”)
l’immigrazione interna, e l’organizzazione del lavoro in fabbrica.
5) La nuova forma metropolitana:
Già a partire dagli anni settanta, ma con un crescendo progressivo, anche il tessuto urbano
europeo tradizionale si trasforma lungo assi simili a quelle nordamericane, la cui forma metropolitana
inaugura un nuovo ciclo urbano che oggi domina il pianeta. Sfortunatamente,mentre queste
trasformazioni investivano la società italiana con diverse successive ondate, nel grande ciclo di
espansione capitalistica del dopoguerra fino alla crisi globale del primo decennio del xxi secolo ( i
cicli intermedi hanno introdotto pause e distorsioni, ma l’espansione urbana non si è arrestata) la
cultura pubblica del paese ha interpretato le trasformazioni in corso usando vecchi modelli
interpretativi, sostanzialmente utilizzando la coppia toennesiana di Gemeinschaft vs Gesellschaft
elaborata per i fenomeni di trasformazione sociale e territoriale di un secolo prima. Particolarmente
grave è stata la incomprensione dei processi in corso negli ultimi decenni del XX secolo quando si è
formato il vasto sprawl attorno a tutte le città italiane che ha risucchiato persone e rapporti sociali sia
dall’esterno sia dai centri tradizionali che la cultura pubblica italiana ha interpretato come un
assolutamente improbabile ritorno alla campagna delle famose lucciole di Pasolini (che non sono mai
scomparse) e dei Rio Bo che qualche eminente politico recita ai suoi ospiti incantati. Vedi il mio testo
Metropoli e l’Introduzione a Urban civilization
Letture aggiuntive (opzionali)
Piero BAIRATI, " La città nord-americana" in Pietro ROSSI (a cura di) Modelli di città: strutture e funzioni politiche,
Einaudi, Torino 1987, pp.513-535; Edward BANFIELD, The Moral Basis of a Backward Society, Free Press,
Glencoe,Ill.. 1958 (tr.it.) Una comunità nel Mezzzogiorno, Il Mulino, Bologna 1961
Robert A. BEAUREGARD, When America Became Suburban, University of Minnesota Press, Minneapolis 2006;
Davide DIAMANTINI e Guido MARTINOTTI (eds) Urban Civilization from Yesterday to the Next Day, ScriptaWeb,
Napoli 2009;
Guido MARTINOTTI, (a cura di) Città e analisi sociologica, Marsilio, Padova 1967; Metropoli. La nuova morfologia
sociale della città, Il Mulino, Bologna 1993
Robert E.PARK, Ernest W.BURGESS, Roderick D.McKENZIE, The City, The University of Chicago Press, Chicago
1925 (trad. it., Comunità, Milano 1966) “Introduzione” di Alessandro Pizzorno;
Georg SIMMEL, La Metropoli e la vita dello spirito, Armando editore, Roma 1995, in particolare “Introduzione” di
Paolo Jedlowski;”La psicologia dell’urbanìta” in G.MARTINOTTI (1967) pp. 275-289
Ferdinand TOENNIES, Comunità e società, (Trad.it.) Comunità, Milano 1963, in particolare l'Introduzione di Renato
TREVES.
Serena VICARI, La città contemporanea, Il Mulino, Bologna 2004
William Foote WHYTE, Street Corner Society,University of Chicago Press,Chicago 1943 e 1955 (trad.it.a cura di
Margherita Ciacci, Little Italy.Uno slum italo-americano, Laterza, Bari 1968);
LETTURE
Purtroppo non ho trovato il digitale del testo di Simmel. Ho solo il mio sunto nella
“Introduzione” del 1967 take it or leave it.
GEORG SIMMEL: LA PSICOLOGIA DELL'URBANÍTA
Così come Weber ha gettato i fondamenti di una teoria sociologica della città, Simmel ha
elaborato nelle linee generali quella che può essere chiamata a ragione una teoria psicologica del
comportamento sociale nelle aree urbane. nel fare questa distinzione occorre però avanzare una
cautela, poiché sociologia e psicologia sociale sono etichette che si riferiscono a contenuti consolidati
(e nemmeno troppo chiaramente), molto tempo dopo gli scritti dei due autori, pertanto possono essere
male intese, in questo particolare contesto. La differenza essenziale tuttavia, a prescindere dalla
precisa collocazione disciplinare che si vuol dare ai due lavori, stà nel fatto che l'oggetto principale
dell'analisi weberiana erano i gruppi sociali della città e le loro istituzioni sociali e politiche, mentre
l'analisi di Simmel verte principalmente sulle peculiarità psicologiche del carattere degli individui che
abitano in un'area urbana. Anzi, a questo proposito, occorre far rilevare che il titolo originale tedesco,
Die Grosstädte und das Geistesleben rende forse meno bene il contenuto del saggio che non il titolo
della versione inglese di Gerth e Mills che, impiegando il termine Mental Life mette maggiormente il
luce quelle tendenze nettamente psicologistiche di una parte dell'analisi di Simmel il quale insiste
molto sugli aspetti fisiologici degli stimoli nervosi cui è sottoposto l'abitante delle città. Un'altra
differenza, che è bene far rilevare, fra il lavoro di Weber e quello di Simmel sta nel fatto che, nel
secondo caso non si tratta di un'analisi teorica complessa ed esauriente come quella weberiana, ma
di un saggio relativamente breve (originariamente una conferenza) in cui sono, più che trattati a fondo,
accennati e ripresi alcuni dei temi fondamentali che Simmel aveva già trattato nel suo Philosophie del
Geldes. E' vero d'altro canto che, anche se appena abbozzati, i problemi indicati da Simmel toccano in
gran parte dei temi fondamentali della successiva letteratura che si è occupata dell'argomento.
Lo scopo principale dell'analisi di Simmel è la descrizione delle caratteristiche della psicologia
del cittadino, sia per quanto riguarda la psicologia individuale, che egli definisce sinteticamente con il
termine, poi divenuto famoso, di atteggiamento blasé (Blaisertheit, blasé attitude), sia per quanto
riguarda la manifestazione sociale di questo tratto psicologico che secondo Simmel si traduce in un
atteggiamento di riservatezza (reserviertheit). Le cause di questi atteggiamenti risiedono in due ordini
di fattori l'uno, diciamo così, di tipo fisico, connesso cioè alle caratteristiche ambientali di dimensione,
densità ed eterogeneità dell'insediamento urbano, e l'altro, di tipo culturale, derivante dall'economia
monetaria su cui si fonda la città.
L'atteggiamento blasé caratteristico della personalità metropolitana consiste essenzialmente
in una difesa psicologica dell'individuo derivata dalla sua esigenza di autopreservazione nel processo
di aggiustamento dell'ambiente sociale della città. Questa difesa si traduce in una diminuita reattività
agli stimoli esterni o, per usare il termine di Simmel, in un "ottundimento delle capacità discriminanti".
Tuttavia con questo Simmel non intende affatto identificare l'atteggiamento blasé con una
degradazione delle capacità intellettuali, ma anzi dice espressamente che l'atteggiamento comporta
un accresciuto grado di intellettualità che compensa una minore sensibilità affettiva. 1
1
I riferimenti sono tratti da GEORG SIMMEL «Mental life and the Metropolis», in Cities and Society, cit., pp.
635-646. Si noti che il termine usato da Simmel a questo proposito è Gemütlicheit, che nella versione inglese è
stato tradotto con emotion, emotional. Il saggio di Simmel, originariamente una conferenza, è stato pubblicato in
versione tedesca con il titolo «Die Grosstädte und das Geisteleben», nel volume collettaneo a cura di KARL
BÜCHER et al., Die Grosstadt in Jahrbuch der Gehestiftung zu Dresden, Band IX, Zahn e Jaensch, Dresden
1903. Recentemente è stato ripubblicato in GEORG SIMMEL, Brücke und Tür, K. F. Koehler, Stuttgart, 1957.
Le versioni inglesi sono due, una douta a Edward Shils e pubblicata a Chicago nel 1936, come materiale per un
corso di sociologia, e l'altra di Hans Gerth e C. Wright Mills, usata per un corso di sociologia alla University of
Wisconsin. Quest'ultima è stata riportata nel volume di KURT H. WOLFF, (a cura di) The Sociology of Georg
Simmel, Free Press, Glencoe, 1950.
Il meccanismo di difesa che crea l'atteggiamento blasé è messo in moto dalle particolari
situazioni ambientali della metropoli che causano un'"intensificazione degli stimoli nervosi risultante
dall'alternarsi rapido e ininterrotto di stimoli interni ed esterni". 2 Mentre nella vita rurale il ritmo con cui
si susseguono gli avvenimenti è assai lento e i contatti interpersonali sono poco frequenti e poco
diversificati, lasciando così adito alla personalità di sviluppare atteggiamenti e strutture emotive
profondamente radicate nella psiche, nella società metropolitana "ad ogni attraversamento di strada,
con il ritmo e la molteplicità della vita economica, sociale e lavorativa, la città crea un netto contrasto
con la vita rurale e delle piccole città, per quanto riguarda i fondamenti sensoriali della vita psichica". 3
Poiché l'apparato emotivo dell'individuo è radicato "negli strati inconsci della psiche" ed è
quindi meno suscettibile a rapidi mutamenti, nell'ambiente cittadino, onde evitare turbamenti e
preservare l'integrità mentale, l'individuo deve necessariamente declassare l'importanza delle proprie
emozioni e trasferire gli stimoli nervosi ad un livello più astratto della psiche, e cioè a quello che
Simmel definisce intelletto (Ort des Verstandes). Esso infatti, "ha il suo locus negli starti superiori della
psiche che sono più trasparenti e coscienti ed è la più adattabile delle nostre forze interiori".4 Nel
processo di difesa originato dall'eccessiva stimolazione nervosa, l'individuo dà maggiore sviluppo alla
vita intellettuale, riducendo per contro le proprie capacità emotive che non si adattano alle condizioni
ambientali della vita nella metropoli.
Tuttavia questo processo di trasformazione della personalità non è il solo a contribuire alla
formazione dell'atteggiamento blasé. La vita della metropoli infatti contiene in sé molti altri fattori che
esigono un atteggiamento intellettualistico, scevro il più possibile di residui emotivi, e il principale di
questi fattori è l'economia monetaria. Il denaro è un mezzo di scambio spersonalizzato che riduce i
rapporti fra i contraenti a quantità astratte e che necessita sempre più di una organizzazione
indipendente di mercato in cui i rapporti personali fra produttore e compratore (frequenti in
un'economia artigianale), vanno via via scomparendo. La città è la sede naturale dell'economia di
mercato, basata su scambi monetari, e, come afferma il costituzionalista inglese citato da Simmel,
nella storia inglese Londra non è mai stata il cuore dell'Inghilterra, ma spesso il suo cervello e sempre
il suo portafogli.
ma non è tanto l'astrattezza del denaro quanto l'organizzazione sociale complessa,
necessaria all'economia cittadina, che spingono l'uomo della metropoli verso l'atteggiamento blasé: la
vita cittadina e la vita moderna in genere divengono via via più intellettualistiche e richiedono una
precisione di contatti interpersonali che non sarebbe possibile se questi si svolgessero su un piano
umano e valutativo. "le relazioni e gli affari del tipico uomo metropolitano sono di solito così vari e
complessi che senza la più esatta puntualità nell'adempimento delle promesse e nella prestazione dei
servizi l'intera struttura si spezzerebbe in un caos inestricabile. Soprattutto questa esigenza è creata
dalla aggregazione di persone tanto numerose con interessi così differenti che devono integrare la
loro attività e relazioni in un organismo estremamente complesso".5
A causa di questi due ordini di fattori, quello fisiologico dovuto alla stimolazione nervosa, e
quello culturale o sociale dovuto alla prevalenza dell'organizzazione e alla diffusione del denaro come
mezzo di scambio, la personalità si trasforma e sviluppa l'atteggiamento blasé, tuttavia la "auto
conservazione della personalità è guadagnata a prezzo di una svalutazione dell'intero mondo
oggettivo, una svalutazione che inevitabilmente trascina con sé la stessa personalità dell'individuo
dandogli una sensazione della medesima mancanza di ogni valore". 6 E' facile ravvedere in queste
righe le linee principali di quello che sarà un tema ricorrente nella letteratura sulla città e in seguito
sulla società di massa, che svilupperà questi concetti accentuando il carattere anomico o alienante
della vita urbana.
Atteggiamento blasé, che costituisce la risposta, sul piano psicologico, dell'adattamento
individuale alle condizioni ambientali metropolitane, corrisponde sul piano del comportamento, o
meglio di quello che più tardi sarà chiamato carattere sociale, un atteggiamento di riservatezza nei
confronti degli altri individui. Questa riservatezza, che secondo Simmel è qualcosa di più di una
semplice indifferenza, ma si carica di sfumature di repulsione e può anche sfociare in odio aperto, in
determinate occasioni, è la tipica caratteristica del comportamento cittadino "al punto che sovente non
2
Ibidem, p. 635.
Ibidem, p. 636.
4
Ibidem, p. 636.
5
Ibidem, p. 638.
6
Ibidem, p. 639.
3
conosciamo neppure di vista persone che hanno vissuto vicino a noi per anni", 7 ed è quella che "ci fa
apparire agli occhi degli abitanti delle piccole città, come freddi e senza cuore". 8
7
8
Ibidem, p. 640.
Ibidem, p. 640.
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