Tesina Bellabarba

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Corso di Laurea in Scienze Storiche e forme della memoria
TESINA DI STORIA MODERNA II - LM
L’IMPERIALISMO FRANCESE NELLA SPEDIZIONE IN ALGERIA
DEL 1830
Professore Marco Bellabarba
Studente Diego Ropele
Anno Accademico 2010/2011
INDICE
Introduzione
3
PARTE PRIMA - IL DUALISMO CON L’INGHILTERRA E LA RICERCA DI UNA
PROPRIA IDENTITÀ POLITICA IN PATRIA
1.1 La situazione coloniale francese prima del 1830
5
1.2 La situazione politica in Francia (1814-1830)
6
PARTE SECONDA – I RAPPORTI DURANTE L’EPOCA COLONIALE
2.2 La situazione algerina prima del 1830
10
2.2 La guerra del 1830
11
2.3 Le conseguenze della guerra: Movimenti di rivolta in chiave anti-francese (1830-1871)
ed organizzazione del territorio (1830-1898)
13
PARTE TERZA – LA POSIZIONE DELLA SANTA SEDE SULLA SPEDIZIONE IN
ALGERIA
3.1 Il cattolicesimo ad Algeri nel periodo precoloniale
20
3.2 Pio VIII e Carlo X uniti contro l’Algeria
21
3.3 La creazione del vescovato di Algeri
23
Conclusioni
26
Bibliografia
28
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro si intende analizzare la guerra che la Francia avviò nel 1830 in Algeria, un
avvenimento estremamente importante in quanto prima del 1880 l’Algeria era il solo possedimento
coloniale europeo in Nord Africa, oltre alle piccole e in gran parte dimenticate enclaves spagnole di
Ceuta e Melilla in Marocco, entrambi resti delle crociate quattrocentesche contro l’Islam.1
Prima però di entrare nello specifico sull’azione militare, che in poco meno di un mese conquistò la
capitale Algeri, si è ritenuto utile inserire una prima parte dove sono stati messi in luce alcuni
esempi di espansione coloniale francese nel Settecento, soprattutto nel continente americano e i
difficili rapporti negli stessi territori con l’Inghilterra. Entrambe miravano ad assumere una
posizione egemone in Europa e per farlo avevano deciso di intraprendere politiche di espansione
che prevedessero la conquista di territori da tramutare in colonie: esse sarebbero state trasformate in
un luogo in grado di poter provvedere alle crescenti spese dello stato. Per quanto riguarda l’Algeria
vedremo che questa formula non potrà essere valida in quanto non sussisterà nello stato africano,
che faticosamente verrà conquistato nel corso di anni di guerra cruenta e difficile, un’iniziativa
economica consistente: le stesse motivazioni che diedero il via alla preparazione dello sbarco a Sidi
Ferruch non avevano nulla di economico, bensì erano il frutto di un tentativo di accrescere un
consenso interno fortemente compromesso attraverso una politica estera aggressiva. Proprio per
questo il primo capitolo si concluderà con una rapida panoramica sulla situazione politica francese
negli anni che vanno dal Congresso di Vienna alla formazione del governo di Luigi Filippo
D’Orleans dopo la rivoluzione di Luglio: sedici anni nei quali si attraverseranno le ultime fasi
dell’impero di Napoleone e i regni di Luigi XVIII e di suo fratello Carlo X.
La seconda parte entra nel merito della questione algerina e lo fa in varie fasi: una prima
panoramica su come si presentava l’Algeria al momento dell’intervento francese, lo sbarco vero e
proprio e la conquista di Algeri, le annessioni di città e territori limitrofi che si susseguirono negli
anni e infine i problemi del dopo conquista: dalla riorganizzazione delle truppe locali all’impronta
politica di gestione del territorio creata dai francesi. Essa come vedremo sarà molto spesso confusa
e disorganizzata, rafforzando pertanto la tesi di una guerra nata praticamente senza veri obiettivi e
mancante di fondamenti storici. Non è un caso se ancor prima di Carlo X sia Luigi XIV che
Napoleone avevano preso in esame la possibilità di occupare l’Algeria nel quadro di più ampi
progetti imperiali ma alla fine entrambi erano giunti alla stessa conclusione: l’Algeria non era
necessaria per la Francia.2 Anche dopo la deposizione di Carlo X Luigi Filippo avrebbe potuto
ritirare le truppe ma si trovava di fronte ad un bivio: o abbandonare i territori o continuare a
1
2
David K. Fieldhouse, L’età dell’imperialismo, Bari, Laterza, p.125
Ibidem, p. 126
rimanere rischiando di irritare l’Inghilterra. Si decise, sebbene sia lo stesso Luigi Filippo che Thiers
fossero su posizioni pacifiste, di rimanere per evitare che la ritirata potesse essere vista all’interno
come un segno di debolezza e risultare quindi impopolare.
La terza ed ultima parte pone in risalto un aspetto poco conosciuto della spedizione: quello dei
rapporti che intercorsero tra il re francese e papa Pio VIII. Anche in questo capitolo prima di
addentrarsi sul rapporto tra i due si è provveduto a dare una panoramica generale sui precedenti, e
non sempre amichevoli, rapporti tra i governi francesi e la Santa Sede e sulla situazione del
cattolicesimo ad Algeri nei decenni precedenti al 1830. Infine verranno analizzate le tappe che
portarono tra il 1838 e il 1839 alla creazione del vescovato di Algeri.
PARTE PRIMA
IL DUALISMO CON L’INGHILTERRA E LA RICERCA DI UNA PROPRIA IDENTITÀ
POLITICA IN PATRIA
1.1 La situazione coloniale francese prima del 1830
Già prima dell’avventura coloniale in Algeria la Francia si era dovuta confrontare con varie
esperienze oltreoceano, che l’avevano portata ad avere delle colonie soprattutto nei territori del
Nord e del Centro-America. Esse diedero l’illusione ai francesi di poter essere in grado di
competere a pari livello con l’altra grande potenza europea impegnata nelle conquiste: la Gran
Bretagna. L’obiettivo di entrambe era quello di estendere e consolidare la propria autorità
soprattutto limitando, o meglio ancora, eliminando quello dell’altra. Raymonds Betts analizza fin
dalle prime pagine del suo testo L’alba illusoria come questa autorità nel corso del diciottesimo
secolo si sia evoluta: il primo passo è stata la presa di coscienza nel creare, dopo la conquista
militare, un sistema nel quale si fondavano la supremazia politica delle metropoli e la conseguente
dipendenza delle colonie. La fusione di questi due concetti generava il termine di madrepatria.3
Lo scontro tra le due potenze sorse essenzialmente con le prime esperienze coloniali di Luigi XIV,
raggiungendo il punto di scontro verso la metà del Settecento: l’Inghilterra riuscì a sconfiggere i
francesi sia in Canada che in India dimostrando, attraverso il trattato di pace che pose fine alla
guerra dei Sette Anni, che in quel momento nessuna potenza europea poteva competere con lei. Con
l’avvento di Napoleone la Francia abbandonò il suo essere passivo di fronte ai successi inglesi e
decise di sfidarli ancora sul terreno coloniale. Il generale francese infatti, fin dalla sua salita al
potere, sviluppò una visione autoritaria e accentratrice della gestione dello Stato e del potere,
allontanandosi sempre di più dagli ideali della Rivoluzione. Il primo passo fu, dopo l’occupazione
nel 1795 dell’Olanda, la campagna d’Italia tra il 1796 e il 1797 e la creazione della Repubblica
Batava, l’organizzazione della campagna d’Egitto con lo scopo di giungere fino in India e vendicare
così le ultime, cocenti delusioni inflitte dall’Inghilterra. Il 28 maggio 1798 un’importante flotta
salpò da Tolone e sbarcò in Egitto; dopo lo sbarco ad Alessandria ed una serie di successi che
permise ai francesi di giungere fino al Cairo in poco più di un mese, gli inglesi si riorganizzarono e
grazie alle grandi capacità del generale Nelson riuscirono a sconfiggere le truppe napoleoniche nella
“La teoria secondo cui le colonie esistevano per il benessere economico dello Stato che le aveva fondate giustificava la
pratica di un commercio ristretto al movimento bilaterale tra la colonia e la madrepatria; l’idea che tutto il potere
emanasse dalla Corona giustificava le società per azioni con patente reale e la presenza di amministratori coloniali in
veste di autocrati”. Raymonds Betts, L’alba illusoria, Bologna, Il Mulino, cit., p. 59
3
battaglia di Abukir. Ritornando al continente americano negli stessi anni si verificarono numerose
problematiche anche nelle difficili realtà di Santo Domingo e in Louisiana. Santo Domingo era una
colonia francese a cui gli inglesi avevano rivolto un particolare interesse; essa era governata da
Toussaint l’Overture sotto la supervisione francese che però non riuscì ad impedire che Toussaint di
assumere un’autorità illimitata che impegnò per intraprendere una strada fatta di riforme e
miglioramenti economici. Egli radunò inoltre un esercito composto da 15000 uomini che riuscì a
sconfiggere gli inglesi e a mettere in allarme in francesi che dovettero far ricorso alla forza. Nel
1802 un’armata di 20000 uomini invase l’isola e riuscì a catturare Toussaint e a deportarlo in
Francia, dove morì l’anno seguente. La rivolta comunque, nonostante la perdita del leader
carismatico, proseguì con un vigore ancora maggiore tanto che le truppe napoleoniche furono
decimate non solo dalla forza degli insorti ma anche dall’epidemia di febbre gialla. La Louisiana
invece, venduta dalla Spagna alla Francia nel 1713 venne spartita tra a stessa Spagna e l’Inghilterra
dopo la pace di Parigi del 1763 ma ritornò, almeno nella sua parte occidentale, francese nel 1801.
Napoleone si convinse che quel territorio potesse diventare il luogo da cui poter ricavare tutto ciò
che serviva alle colonie delle isole caraibiche, soprattutto a Santo Domingo, generi alimentari e
materie prime necessari affinché l’impero francese diventasse autosufficiente. Ma i problemi di
Santo Domingo convinsero Napoleone ad intraprendere un negoziato con la neonata repubblica
americana, acquistando il territorio nel 1803. Con la sconfitta dell’imperatore francese anche
l’impero francese nel continente americano si sgretolò, mantenendo solamente le isole di Martinica
e di Guadalupa e il territorio della Guiana.4
1.2 La situazione politica in Francia (1814-1830)
Gli anni che precedettero la guerra in Algeria furono per la Francia particolarmente complessi da un
punto di vista politico ed istituzionale. Si risentiva ancora in maniera forte delle ripercussioni uscite
dalla Rivoluzione francese prima e dal periodo napoleonico poi. La sconfitta di Napoleone portò
alla convocazione nell’autunno del 1814 del Congresso di Vienna, nel quale venne espresso il
cosiddetto principio di legittimità: attraverso esso si volevano ripristinare i governi o le dinastie
regnanti presenti nelle aree territoriali dalle quali essi erano stati allontanati prima dalla rivoluzione
francese eppoi dall’occupazione napoleonica. In Francia tutto ciò era avvenuto ancor prima del
Congresso di Vienna quando Talleyrand, capo del governo provvisorio che depose Napoleone,
nominò il 6 aprile 1814 Luigi XVIII re di Francia. Uno dei primi provvedimenti adottati dal nuovo
sovrano fu la promulgazione di una nuova carta costituzionale, redatta non da un’assemblea
4
Betts, op. cit., p. 63
costituente ma dallo stesso sovrano e dai suoi più stretti collaboratori.5 Luigi XVIII rimase sul trono
di Francia per breve tempo visto che, con il ritorno di Napoleone a Parigi il 20 marzo 1815
dall’esilio dell’isola d’Elba, si ritirò a Gand, facendo ritorno a Parigi solamente dopo la sconfitta del
generale francese a Waterloo. Governò dall’8 luglio 1815 fino al 16 settembre 1824, riuscendo
comunque a permettere, anche grazie all’abile lavoro di Talleyrand, un reinserimento della Francia
nell’ambito delle grandi potenze europee che culminò con l’affidamento del comando per reprimere
l’esperimento costituzionale spagnolo.6 Nella gestione della politica interna fu il promotore di
importanti leggi che assicurarono un moderato regime di libertà, uno sviluppo della stampa e del
dibattito politico e una ripresa delle attività economiche dopo il difficile biennio del 1816-1817 nel
quale la Francia dovette fare i conti con la carestia. Fu riformata la legge elettorale elevando a 30
anni l’età per essere elettori e a 40 per essere eleggibili: questi diritti erano riservati a coloro che
pagavano un’imposta di 300 franchi, se si voleva diventare elettori, e 1000 franchi se si voleva
essere eleggibili. Le persone che pagarono queste somme, e che quindi potevano entrare a far parte
del meccanismo di elezione dei propri rappresentanti o essere stessi eletti, appartenevano per la
maggior parte alle categorie dei medi proprietari fondiari, ai professionisti, ai commercianti, ai
piccoli industriali e al ceto medio delle campagne e dei capoluoghi provinciali.7 La stabilità però fu
minata nel febbraio 1820 dall’assassinio del duca di Berry che sancì il ritorno prepotente di idee
legate alla destra monarchica più reazionaria a scapito della nascente ala di sinistra.8
La vittoria della destra fu sancita alla morte di Luigi XVIII al quale succedette suo fratello Carlo X,
conte di Artois. Già nei mesi antecedenti la sua elezione si era contraddistinto per una condotta
politica alle Camere che puntava all’abolizione delle norme liberali precedentemente approvate.
Ben presto la monarchia costituzionale francese si trasformò in una monarchia assoluta nella quale
5
La costituzione prevedeva un parlamento bicamerale: una Camera bassa eletta a suffragio elettorale rigidamente
censitario e pertanto con un numero molto basso di elettori, quantificabile in circa 90000 maschi adulti che
rappresentava lo 0,3% del totale della popolazione e una Camera alta formata da membri di nomina regia. Il parlamento
aveva solo la possibilità di approvare o respingere le proposte di legge formulate dal re senza poter avanzare degli
emendamenti integrativi per delle possibili modifiche. Venne riconosciuta l’eguaglianza di tutti i francesi davanti alla
legge senza distinzione di titolo e rango, stabilisce che la religione cattolica è la religione di stato, pur riconoscendo a
chiunque libertà di confessione religiosa. Alberto Mario Banti, L’età contemporanea: dalle rivoluzioni settecentesche
all’imperialismo, Bari, Laterza, p. 131
6
Il Congresso di Verona apertosi il 30 ottobre 1822 e che vide la partecipazione delle potenze della Santa Alleanza
condannò il ripristino della costituzione che Ferdinando VII, dopo averla abolita nel 1814 per instaurare un regime
neoassolutista, era stato costretto a concedere al movimento rivoluzionario guidato dai colonnelli Rafael del Riego e
Antonio Quiroga. Il 7 aprile 1823 un esercito francese composto da 100000 unità e guidato dal duca D’Angoulëme
entrò in Spagna, sconfiggendo i rivoluzionari al Trocadero, davanti a Cadice. Banti, op. cit., p. 152
7
Pasquale Villani, L’età contemporanea., Bologna, Il Mulino pp. 97-98
8
Questa era meno legata alla monarchia dei Borboni, più sensibile ai ricordi e alle esperienze della prima fase della
rivoluzione francese, più aperta agli interessi della borghesia operante nel campo finanziario. Era inoltre fautrice di
un’estensione in senso parlamentare del regime costituzionale. Tra i suoi esponenti principali ricordiamo i banchieri
Laffitte e Périer, un veterano della rivoluzione come il generale La Fayette e l’intellettuale Benjamin Constant che nel
suo Corso di politica costituzionale poneva alla base di un giusto governo il principio della sovranità popolare
affiancato dalla tutela della sfera degli interessi pubblici e privati del cittadino contro ogni prevaricazione e intolleranza.
Villani, op. cit., pp. 97-98
il sovrano si riteneva il centro decisionale ultimo rispetto ai vari poteri che componevano lo stato
(parlamento, governo, magistratura, esercito). Un altro esempio di recupero di tradizioni legate alla
vecchia monarchia di stampo seicentesco è dato dalla decisione di rimettere in scena l’antico rituale
dell’incoronazione a Reims, inclusa l’unzione e il tocco taumaturgico sui malati di scrofola. Nella
gestione dello stato si ebbe un’azione politica che spinse il governo a presentare norme che
autorizzavano l’indennizzo di tutti coloro che durante la rivoluzione francese erano emigrati e
avevano perso per questo le loro proprietà terriere e immobiliari, norme che punivano con la pena di
morte il reato di sacrilegio commesso contro gli oggetti sacri alla religione cattolica e norme contro
la libertà di stampa. L’opinione pubblica faticò a conformarsi alle nuove disposizioni giungendo
spesso a manifestare la propria contrarietà. Il malcontento nel paese aumentò a partire dal 1825,
quando la Francia visse un periodo di recessione e una nuova crisi agricola. Le difficoltà del
governo, gestito dal ministro Villèle, furono testimoniate dall’aumento del numero di parlamentari
liberali alle elezioni del novembre 1827, dove alla camera dei deputati si trovavano ormai in
maggioranza rispetto ai monarchici di destra. Villèle si dimise ma Carlo X decise di non consegnare
il paese nelle mani dei liberali, affidando prima le sorti del governo a Martignac eppoi, quando
questo cadde in seguito alla bocciatura della Camera della legge sulla riorganizzazione degli enti
locali, nominò primo ministro il principe Jules de Polignac, leader degli ultras (monarchici di
destra). Polignac capì che l’unico modo per dare forza al governo era quello di intraprendere una
politica estera aggressiva alla conquista di nuovi territori. Dapprima sostenne l’invio di un corpo
d’armata in Grecia per la sua liberazione poi iniziò a preparare la spedizione in Algeria. Nonostante
questo la tensione tra il governo e la Camera non diminuì, anzi l’opposizione aumentò la sua
battaglia nei confronti del re.9 Carlo X minacciò la Camera di procedere per ordinanze qualora si
fosse manifestato un blocco delle istituzioni. La Camera non arretrò dalle sue posizioni tanto che
votò il cosiddetto Indirizzo dei 221, con cui si chiedeva di sostituire Polignac e avviare un processo
di riforma costituzionale. Il re si rifiutò di seguire l’indirizzo della Camera e di conseguenza la
sciolse, provvedendo alla convocazione di nuove elezioni con la speranza che il governo si
rafforzasse; il re non voleva prendere coscienza del fatto che ormai il suo modello di governo era
stato rifiutato dai francesi. Le nuove elezioni una volta per tutte sancirono la vittoria schiacciante
della componente liberale che aumentò i propri seggi alla Camera. Carlo X allora tentò un ultimo
colpo di mano e il 25 luglio 1830 promulgò le Ordinanze di Saint Cloud. Interpretando in maniera
estrema un articolo della carta costituzionale sospendevano la libertà di stampa, scioglievano la
9
Il principale esponente dell’opposizione era il presidente della Camera Royer-Collard che sosteneva che “per il buon
andamento degli affari di stato era necessario che le opinioni del governo coincidessero con quelle della maggioranza
dei rappresentanti del popolo: il governo cioè avrebbe dovuto godere non solo della fiducia del re ma anche di quella
della Camera”. Villani, op. cit., p.100
Camera appena eletta nonostante essa non si fosse mai riunita, cambiavano la legge elettorale che
rimaneva sì su base censitaria, ma furono modificati i redditi che potevano essere ammessi: non più
i redditi derivanti dai commerci, dalla finanza e dalle altre attività, ma i soli redditi fondiari. Infine
vennero riconvocate le elezioni per il mese di settembre. Il sovrano con questi provvedimenti
raggiunse il punto più basso della sua popolarità tanto che appena il popolo fu a conoscenza delle
ordinanze scese per le strade, manifestando tutto il suo disagio e chiedendo le dimissioni di
Polignac.10 Il governo mandò contro di essi l’esercito guidato dal generale Marmont, ma ormai era
troppo tardi e gli scontri provocarono in tre giorni, dal 27 al 29 luglio, 800 morti e 4000 feriti tra i
civili, 200 morti e 800 feriti tra i soldati.11 Il 30 luglio i capi liberali tra cui ricordiamo Adolphe
Thiers e Francois Mignet proclamarono Luigi filippo D’Orleans “luogotenente generale del Regno”
e, in virtù della carica, capo del governo provvisorio. Carlo X andò in esilio in Inghilterra,
concludendo nel peggiore dei modi la sua esperienza politica.
10
È anche da sottolineare che ancor prima della protesta popolare vi era stata la protesta degli editori: il 27 luglio,
ignorando le ordinanze, comparirono senza autorizzazione nelle edicole i quotidiani Le National, Le Temps, Le Globe e
Le Journal du commerce.
11
Villani, op. cit., p.101
PARTE SECONDA
I RAPPORTI DURANTE L’EPOCA COLONIALE
2.1 La situazione algerina prima del 1830
La guerra che si svolse in Algeria, a partire dallo sbarco di Sidi Ferruch del 1830, non fu un
episodio isolato nella storia, un singolo momento di crisi tra due stati, ma era la conseguenza di un
complesso rapporto che da circa tre secoli interessava i due paesi per ragioni essenzialmente
economiche. Agli inizi del XVI secolo la Francia, che si preoccupava delle attività dei corsari nel
Mediterraneo, fece un intesa con il sultano di Costantinopoli e stipulò un accordo di principio con la
Reggenza d’Algeri, da esso dipendente.12 Questo accordo risultava essere molto favorevole per la
Francia poiché permetteva alle navi mercantili francesi di non essere attaccate dai corsari, attribuiva
una sorta di monopolio sull’estrazione del corallo alla Francia su certe zone del litorale algerino e
consentiva l'installazione di un consolato francese d'Algeri che avesse poteri esclusivi sui cittadini
francesi. Inoltre Francesco I di Francia fece ricorso a più riprese della potenza navale di Khadyr ed
Din sia nella lotta del 1535 contro i genovesi sia nel 1536 per scacciare le forze di Carlo V dalla
Provenza e nel 1595 per liberare Marsiglia, occupata dalle forza spagnole.13
Successivamente, durante il periodo napoleonico, il Dey14 di Algeri mantenne lo stesso
atteggiamento amichevole verso la Francia dei secoli precedenti, nonostante l’atteggiamento ostile
dell'Inghilterra. Il Dey non si limitò a permettere l’approvvigionamento delle navi francesi nei suoi
porti, ma concesse ai francesi dei prestiti e ad autorizzò delle forniture di cereali, il cui regolamento
diede origine ad incidenti che condussero alla guerra del 1830. Da un punto di vista economico il
XVIII secolo in generale non fu particolarmente positivo per l’Algeria che vide calare gli introiti
12
I turchi riuscirono a strappare il territorio algerino al controllo degli spagnoli quando nel 1518 Khadyr ed Din, un
importante esponente di una tribù locale, si affrettò a rendere omaggio al sultano turco Selim dichiarandosi suo leale
rappresentante in Berberia. Selim accettò la cosa tanto da nominarlo beylerbey (emiro degli emiri del Nord Africa) e gli
inviò un ingente numero di uomini, armi e denaro che gli consentì di sconfiggere gli spagnoli, cosa che non era riuscita
nel 1516 a suo fratello Arug. Romain Rainero, Storia dell’Algeria, Firenze, Sansoni, pp. 65-66
13
Rainero, op. cit., p. 73
14
Il periodo dei Dey attraversa la storia del paese dal 1671 al 1830 e viene dopo il periodo dei beylerbey (1518-1587),
dei pascià triennali (1587-1659), degli agha della milizia (1659-1671). I quattro periodi sancirono la progressiva
emancipazione di Algeri nei riguardi di Costantinopoli e il mantenimento di una struttura politico / militare senza
particolari modifiche rispetto a quella creata da Khadyr ed Din. Essa si basava sulla od giaq, un corpo privilegiato posto
a salvaguardia del potere centrale, che controllava un territorio, che sul piano amministrativo e territoriale era suddiviso
in una zona sultaniale (dar es soltan), che dipendeva dal potere centrale di Algeri e che comprendeva, oltre alla capitale,
le città di Kolea, Blida, Cherchel, Dellys e i distretti di Sahel e Mitigia. Il governo esercitava la propria autorità
attraverso un organo militare ed un organo civile composto da quattro ministri; grande peso ad Algeri lo avevano le
corporazioni ognuna delle quali eleggeva un proprio rappresentante che faceva da tramite con il sindaco della città.
Fuori dalla zona sultaniale il rimanente territorio era diviso in tre beylicati: beylicato dell’Ovest, beylicato del Titteri e il
beylicato dell’Est. Ognuna di queste tre province era retta dal bey nominato da Algeri ed assistito da commissari
amministrativi (caid) e da capi tribù (sceicchi). Rainero, op. cit., pp.68-70
della pirateria e la stagnazione della produzione: anche per questo divenne debitrice delle grandi
potenze e fin troppo dipendente dalle fortune del commercio internazionale. Gli stati europei
cercarono di approfittare della cosa poiché capirono che porre delle basi in quella zona sarebbe stato
strategico per il controllo del Mediterraneo, ma la Francia non gradiva che l'Algeria intraprendesse
relazioni con altre potenze e per questo motivo Napoleone cercò di velocizzare il suo
coinvolgimento in questa regione per evitare che la grande influenza francese dovesse essere
spartita con altri stati, alcuni dei quali particolarmente avversi al generale francese. Ecco spiegato il
motivo del perché, subito dopo la conclusione della campagna d’Egitto, inviò un ufficiale, il
generale Boutin, che segnalò la penisola di Sidi Ferruch come il luogo più adatto per uno sbarco. Il
progetto però rimase ascritto solamente ad un piano teorico in quanto le difficoltà di Napoleone in
Europa non permisero di svilupparlo e di renderlo pratico.
Come abbiamo appena visto la situazione per quanto riguarda i rapporti tra Algeria, Francia ed altre
potenze europee era abbastanza complessa e si reggeva su un fragile equilibrio, sempre pronto ad
essere spezzato. Anche sul piano interno la situazione algerina era parecchio articolata e ricca di
mutamenti: le zone dell'interno erano teatri di vari tentativi autonomistici specie nelle regioni della
frontiera tra la pianura e gli altopiani e verso le zone desertiche del Sahara. Dal punto di vista
amministrativo era possibile dividere il paese in due zone: il bled al-maghzen (paese sottomesso al
governo centrale) e il bled el-Siba (paese della dissidenza). A seconda dell'autorità e delle relazioni
personali del dey una zona governativa si allargava, o si restringeva, a danno o favore della
dissidenza. 15
2.2 La guerra del 1830
Dopo aver esaminato la situazione algerina nei secoli che precedettero lo sbarco francese ora è
giunto il momento di porre il nostro sguardo sulla guerra del 1830, sulle sue cause e sulla sua
evoluzione. La versione corrente racconta che alla base di tutto vi fu una disputa legata ad un
mancato pagamento del grano da parte francese: nel 1796 due negozianti israeliti di Algeri Bacri e
Busnach avevano venduto al direttorio ingenti quantità di grano attraverso finanziamenti in parte
formati da un prestito senza interessi da parte del dey di Algeri. Nel 1819 una commissione
francese, vista la cattiva qualità della merce ridusse la somma dovuta da 18 a 7 milioni che furono
pagati a Bacri e Busnach, i quali invece di consegnare la somma al Dey divisero la somma con degli
individui risultati poi essere amici o parenti dei commercianti. Il Dey, all’oscuro di tutto e stanco di
non vedersi consegnata la somma a suo tempo pattuita, ricevette il 29 aprile 1827 il console
francese Duval invitandolo a saldare il conto. Quest’ultimo si rifiutò, provocando una reazione del
15
Rainero, op. cit., p. 75
sovrano che lo invitò ad andarsene colpendolo più volte con uno scacciamosche. L’episodio,
considerato dalla Francia come un’offesa verso il paese, fu il pretesto ideale per ad inviare ad Algeri
una divisione navale in modo da intimidire il Dey Hussein, ottenendo così un risarcimento. Ad una
situazione già difficile e ricca di tensione si venne ad aggiungere un altro episodio critico: dopo
quasi tre anni di blocco navale, nell'agosto del 1829 il vascello francese di "La Povence", battente
bandiera parlamentare, subì il fuoco delle batterie algerine. L'insieme di questi avvenimenti indusse
il governo francese di Carlo X a rompere gli indugi e ad attaccare l’Algeria. Nonostante questa
fosse la versione ufficiale data da Parigi, alla luce dei fatti, questa giustificazione dell’impresa
appare alquanto semplicistica. La guerra ebbe, almeno inizialmente, non una valenza di conquista
di nuove terre con la conseguente politica di sfruttamento e assoggettamento della popolazione ma
fu sfruttata dal governo della restaurazione guidato da Carlo X per superare le difficoltà del suo
governo attraverso un’operazione di prestigio al di fuori dei confini francesi. Inoltre Polignac era
convinto che con la conquista di Algeri si sarebbe accelerato il processo di disintegrazione
dell’impero Ottomano, allora impegnato in una disastrosa guerra contro la Russia, e sarebbe
aumentata l’influenza francese in zone dove predominante era il controllo degli inglesi.16
I preparativi per la spedizione furono organizzati molto velocemente riuscendo a superare un
problema che per fortuna dei francesi rimase solamente teorico: c’era infatti il rischio che la Gran
Bretagna, interessata a mantenere l'equilibrio del Mediterraneo, potesse reagire ad un attacco
francese in Algeria ma alla fine si giunse ad un tacito accordo17. Dopo circa tre mesi di allestimenti,
la flotta guidata dall'ammiraglio Duperré, con a bordo il generale di Buormont, ministro della
guerra di Carlo X, ed un corpo di trentamila uomini partì dal porto di Tolone il 25 maggio 1830. Lo
sbarco avvenne il 14 giugno 1830 a Sidi Ferruch e dopo una breve resistenza da parte algerina, le
armate francesi costrinsero il Dey Hussein a firmare il 5 luglio 1830 una convenzione che
prevedeva la capitolazione e la promessa che sarebbe stata garantita la libertà di tutti gli abitanti
attraverso la libera professione della loro religione, la difesa delle loro proprietà, dei loro commerci
e delle loro industrie18. Forte di questi primi successi in generale Bourmont, a cui era affidato il
comando delle truppe, annunciava il 7 luglio a Parigi che la Reggenza sarebbe stata ridotta in suo
potere entro massimo 15 giorni. La conquista dell'Algeria nella sua totalità del territorio si presentò
invece lunga e costosa, ma ciò che importava in quel momento al pericolante governo francese di
16
Betts, op. cit., p.72
La Gran Bretagna probabilmente travagliata dalle vicende interne che avrebbero poi portato i liberali al potere nel
novembre del 1830, tramite il Ministro degli esteri Lord Aderdeen si limitò solamente il 26 luglio a chiedere, in maniera
neppure tanto decisa a Carlo X di un ritorno allo status quo. Londra e Parigi inoltre raggiunsero un tacito accordo nel
quale la Gran Bretagna si disinteressava della questione algerina mentre la Francia non interveniva sulla questione
belga, risolta in seguito con i trattati di Londra del 26 gennaio 1831, 15 novembre 1831 e 21 maggio 1833 e con la
convenzione di Bruxelles del 10 novembre 1832
18
Rainero, op.cit., p. 79
17
Polignac era influenzare favorevolmente l'opinione pubblica e dimostrare alla Camera dei deputati,
che in quel momento accusava la Monarchia di essere troppo passiva verso le potenze straniere, che
si stava sbagliando. In realtà il successo dello sbarco ad Algeri non salvò Carlo X che fu costretto il
29 luglio a rinunciare al trono in favore del duca d’Orléans, re sotto il nome di Luigi Filippo I.
2.3 Le conseguenze della guerra: Movimenti di rivolta in chiave anti-francese (1830-1871) ed
organizzazione del territorio (1830-1898)
Sebbene Carlo X avesse potuto godere di una rinnovata popolarità con la conquista di una parte del
Nord Africa, ci si rese ben presto conto che la conquista di Algeri e la conseguente capitolazione di
Hussein non era la sottomissione dell’intera Algeria proprio perché, come abbiamo visto in
precedenza, l’autorità del Dey non si estendeva su tutto il territorio algerino ma era molto
circoscritta. Quella che però sembrava una conquista senza troppi patemi si trasformò nel corso del
tempo in un lungo scontro tra le forze locali e quelle francesi. Fin da subito la confraternita
musulmana guidata da Abd el Kader19 cercò di far breccia tra la popolazione, trasformando
l’occupazione in
una
“guerra santa”:
così
facendo i
francesi,
inizialmente sorpresi
dall’atteggiamento aggressivo e poco arrendevole algerino, decisero di modificare in maniera
consistente il loro approccio con lo stato nordafricano impiegando un numero di mezzi militari e
risorse umane sempre maggiore e adottando politiche di sottomissione brutali con un obiettivo ben
preciso: bloccare ogni forma di protesta ed estendere il loro controllo sul paese attraverso una
conquista sistematica che riunisse sotto l’egida francese un paese che fino a quel momento si era
contraddistinto per la totale assenza di unità politica. Ma tutto ciò si scontrava con una questione di
fondo messa in luce dallo studioso Calchi Novati: la Francia si trovò ad affrontare una guerra con
mezzi adeguati sia a livello di risorse economiche sia di risorse umane, ma senza una base solida.
Infatti la Francia, al pari di molti altri stati europei, non aveva ancora concepito né una politica di
espansione né una spinta interna che avrebbe potuto giustificare un inverno coloniale. L'idea di
fondare nel Nord Africa un importante colonia emerse molti mesi dopo la conquista di Algeri per
bocca del presidente del consiglio Gérard in un discorso del novembre 1830. Questa confusione
negli intenti e la mancanza di organizzazione data soprattutto dalla velocità di organizzare una
spedizione in tempi brevissimi non deve farci stupire se la politica francese in Algeria, nei primi
anni di colonizzazione, fu improvvisata e incerta, priva di direttive coerenti è affidata all'iniziativa
19
Abd el Kader, figlio di un santone venerato nella regione di Orano, nacque nel 1808 vicino a Mascara ricevendo fin
dall’infanzia una forte educazione religiosa e letteraria. Si recò due volte in pellegrinaggio alla Mecca e visitò a
Baghdad la tomba di un venerato santone locale. Con il suo ritorno in patria divenne un punto di riferimento per il
mondo islamico, tanto che nel 1832 fu chiamato da tre grosse tribù della regione di Orano a dirigere e ad organizzare in
qualità di emiro la lotta contro i francesi. Rainero, op. cit., p. 85
dei singoli governatori che molto spesso emanavano ordini contraddittori. A ciò si deve aggiungere
un’altra fondamentale questione già analizzata in precedenza: il caos politico che stava regnando
nel paese, con l’abbandono del potere da parte di Carlo X e la sua sostituzione con Luigi Filippo
d’Orleans, e che continuerà anche in seguito con il passaggio alla seconda Repubblica al secondo
Impero e quindi alla terza Repubblica. Questo susseguirsi di continui governi sottopose
l'amministrazione statale ad innumerevoli sbandamenti poiché chi saliva al potere non
rappresentava l’intero paese o almeno la sua maggioranza ma gli interessi di specifiche classi
sociali, portatrici di propri ideali e che perseguivano in campo coloniale obiettivi e politiche in
qualche modo discordanti.20
La grave sconfitta francese della Macta, il 12 giugno 1835, segnò l'inizio delle ostilità con Kader e
il suo esercito, che durarono fino al 20 maggio 1837 e si conclusero con il trattato di Tafna. La
Francia decise di sottoscriverlo poiché si voleva iniziare una nuova lotta con un nemico ritenuto
ancora più pericoloso di Abd el Kader: il bey Ahmed di Costantina che controllava numerosi
territori dell’Est. Il trattato di Tafna riconosceva la sovranità all'emiro sulla provincia di Titteri e su
quasi tutta la provincia di Orano mentre i possedimenti francesi erano limiti alle città di Orano,
Mostaganem, Arzew, Algeri, alle regioni limitrofe e ai territori di Costantina in possesso del bey
Ahmed 21.
Abd el Kader cercò di creare uno stato organizzato in grado di avviare rapporti di vicinato in quei
territori occupati dalla Francia e di esercitare la giustizia e la fiscalità. I comandi dei territori
vennero affidati a speciali delegati del centro che assumevano responsabilità amministrative verso
zone sempre più ristrette. Inoltre dotò lo stato di arsenali e piazzeforti presidiati da un esercito
regolare.22 Nonostante i buoni propositi la sua politica alla fine era più mirata a consolidare i suoi
poteri sugli algerini piuttosto che effettuare una lotta contro la Francia ed edificare uno stato ancora
più efficiente erano aspetti complementari. Anche per questo dal 1839 quando la Francia, sistemata
la questione di Ahmed, concentrò tutte le sue risorse nella lotta contro el Kader, egli dovette
soccombere. Grazie all’operato del generale Bugeaud nel maggio 1841 la capitale del regno di
Kader, Mascara, fu occupata come pure Saida, Boghar, Tlemcen ed altri punti strategici del dominio
dell'emiro che nel 1843 fu costretto a fuggire dall’Algeria e a rifugiarsi in Marocco, dove godeva
dell'amicizia del sultano Abd el-Rahman. Una ferrea offensiva francese privò in breve l’emiro di
ogni valido appoggio e sorpreso alla frontiera algero-marocchina egli si arrese. La guerra durò fino
20
G. Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente: dalla guerra di liberazione al fondamentalismo islamico, Milano,
Bompiani, pp. 15-16
21
La stesura di questo contratto appariva abbastanza ambigua, in quanto a seconda della lingua in cui questo fu redatto,
francese e arabo, era possibile interpretarlo in maniera differente.
22
Rainero, op. cit., pp. 88-89
al 23 dicembre 1847 quando l'emiro si consegnò nelle mani del generale La Morcière per essere poi
relegato in esilio a Parigi dove morì nel 1883.
Nonostante la sconfitta di Abd el Kader, leader carismatico in grado di riunire i vari focolai di
rivolta, accorpandoli e dando loro più forza ed organizzazione, la situazione per la Francia rimaneva
molto difficile soprattutto nella zona Sud del paese, dove le tribù Berbere continuavano a
combattere. Per loro i francesi
erano alla pari dei vecchi conquistatori ottomani e quindi
organizzarono una serie di rivolte più o meno spontanee, seguite da pesanti rappresaglie, ritardando
così la stabilizzazione del un potere coloniale che non esitò ad utilizzare tutti i mezzi di repressione
e di tortura per mantenere l'ordine. Fra tutte le rivolte quella di Moqrani nel 1871 fu la più violenta
e difficile da sedare per i francesi sia per le dimensioni assunte sia perché sospinta dalla frustrazione
delle masse contadine private delle terre. La repressione che seguì questa insurrezione aveva un
duplice obiettivo: terrorizzare i contadini in modo tale che non avrebbero avuto più il coraggio e la
forza per ribellarsi, e procurarsi altre terre per una nuova fase della colonizzazione. Se il secondo
obiettivo venne raggiunto il primo invece rimase soltanto un sogno francese, poiché da quella
rivolta in Algeria si venne formando una tradizione di lotta, radicata soprattutto nelle campagne, che
la rivoluzione nazionale del secondo dopoguerra, dopo più di un secolo di occupazione francese,
avrebbe utilizzato nel grande sforzo di liberazione. Certo è che con l’affermazione in Francia della
terza Repubblica la guerra di conquista, avviata un quarantennio prima, si poteva considerare
sostanzialmente terminata, con un paese, l’Algeria, ormai stremata e in preda a difficoltà di ogni
genere, anche se nel cuore del popolo algerino vi era la volontà di non mollare, di resistere ai
francesi.23
Come spesso accade in queste situazioni complesse, con numerosi avvenimenti riavvicinati che non
permettono un’organizzazione capillare del nuovo potere, anche in Algeria si instaurò fin da subito
una lotta per il controllo del territorio tra il potere civile e quello militare che abbiamo visto portò ad
una politica di organizzazione territoriale priva di idee, legata solamente all’uso delle armi per
estirpare i frequenti focolai di rivolta. I territori conquistati rimanevano sotto la teorica supervisione
del governatore generale il quale però tendeva a lasciare carta bianca per quanto riguarda
l’amministrazione ai vari comandi. Assente era invece una qualsiasi forma di collaborazione o
integrazione tra le autorità francesi ed i rappresentanti algerini. La situazione rimase
particolarmente caotica fino al 1848, anche se già nel 1844 si era cercato di porre ordine attraverso
l’istituzione del servizio degli Uffici arabi24 e in Francia si erano realizzati provvedimenti volti a
“Non c'è alcun dubbio per quanto profondo fosse il senso di identità islamica a livello degli individui della comunità,
che era la natura distruttiva della politica coloniale della Francia a provocare in ultima istanza la reazione aggressiva di
un'identità algerina indigena fortemente legata alla cultura islamica nativa". Calchi Novati, op. cit., pp. 21-23.
24
Questo servizio comprendeva un ufficio centrale detto “Ufficio politico” con sede ad Algeri e tre direzioni provinciali
che erano a capo delle sezioni minori e dei circondari. Aveva lo scopo di essere un tramite tra le autorità francesi e la
23
riconsiderare la funzione dell’Algeria nei rapporti con la madrepatria. 25 Nel 1848 una svolta si ebbe
con la nascita a Parigi della seconda Repubblica che fin dalla sua creazione si impegnò per dare alla
politica coloniale in Algeria una matrice ben precisa: quella dell’assimilazione attraverso l’idea che
nei territori conquistati mancasse un’individualità storico-culturale propria che doveva essere creata
dalla civilizzazione francese. Possedimenti e sudditi coloniali si sarebbero dovuti fondere e
confondere nella realtà rappresentata dalla Francia.
Fin dal 4 marzo 1848, cioè appena dieci giorni dopo la formazione del governo provvisorio a Parigi,
un decreto dichiarò d'Algeria "parte integrante dei territori francesi" e tutte le misure prese all'epoca
in virtù di questo principio, tesero all'obiettivo di introdurre e realizzare nella colonia un apparato
amministrativo che fosse il più simile possibile a quello della madrepatria. In base al decreto citato,
confermato dall'articolo 21 della costituzione del 4 novembre dello stesso anno, i francesi d'Algeria
furono ammessi a godere gli stessi diritti di quelli di loro compatrioti in Francia e autorizzati ad
inviare rappresentanti all'assemblea costituente.26
Si suddivise il paese in due zone ben distinte: al Nord furono creati i tre dipartimenti di Algeri,
Costantina e Orano, che dipendevano direttamente dalla madrepatria, mentre il Sud rimase sotto il
controllo dell’esercito. Questo sistema si ridusse in un doppio regime amministrativo abbastanza
confusionario e senza il controllo di alcuna autorità superiore, che portò ad una sorta di anarchia nel
paese, favorita anche dai frequenti cambiamenti di governatori. Per quanto riguarda i dipartimenti il
controllo della madrepatria in alcune situazioni si fece meno pressante, come durante il regno di
Napoleone III. Con l’avvento del secondo impero la situazione in Algeria vide continui mutamenti,
con Napoleone III sempre pronto a mutare idea sul come amministrare la colonia africana, a
testimonianza di una profonda confusione che regnava nello stato francese. Il primo passo fu
l’emanazione di una nuova Costituzione il 14 gennaio 1852 che sopprimeva il precedente sistema di
governo del 1848, riducendo notevolmente il potere dell’autorità civile a vantaggio dei militari.
Successivamente, con il decreto del 14 giugno 1858, l'imperatore sottrasse gran parte del potere dei
militari in Algeria attraverso la soppressione della carica di governatore generale e l’istituzione al
suo posto del Ministero d'Algeria e delle colonie, il quale da Parigi avrebbe dovuto amministrare il
paese attraverso dei prefetti assistiti da Consigli generali. Se da un lato il nuovo sistema di
amministrazione, basato sull’accentramento dei poteri di governo a Parigi, sembrava in grado di
risolvere i problemi dall’altro si rivelò controproducente poiché accrebbe il malcontento sia nella
popolazione locale anche se il tutto risultava essere molto difficile a causa della rigidità di Bugeaud. Rainero, op. cit.,
p.94
25
“Alle Camere la maggioranza dei rappresentanti riteneva che più che una colonia l’Algeria dovesse essere proclamata
naturale proseguimento transmediterraneo della Francia. Su questa via il primo provvedimento appare nel 1844 allorché
spese ed entrate algerine vengono incorporate nel bilancio dello Stato. Rainero, op. cit., pp. 94-95
26
R. Rainero, op. cit., pp. 96-97
popolazione civile, convinta di vedere ancora peggiorate le proprie condizioni di vita, sia nei
militari che temevano di veder nuovamente sottratto il loro potere a favore dei civili. La situazione
rimase in questa fase di stallo per due anni, fino a quando nel settembre 1860 Napoleone III compì
il suo primo viaggio in Algeria, e fu probabilmente questo viaggio che determinò un cambiamento
nel suo sistema e l'inaugurazione della cosiddetta politica del "regno arabo". Questa politica fu
enunciata per la prima volta nel 6 febbraio 1863 in una lettera dell'imperatore al governatore
generale, maresciallo Pèlissier, nella quale si affermava: "l'Algeria non è una vera e propria colonia
bensì un regno arabo. Gli indigeni hanno come i coloni pari diritto alla mia protezione...Sono tanto
imperatore degli arabi quando imperatore dei francesi: preferisco valermi della loro bravura che
dissanguare la loro povertà”. 27
Con un decreto del 24 novembre 1860, il ministero della Algeria venne soppresso e fu ristabilito il
governatore generale che, a differenza di quanto ci si potesse aspettare non fu guidato da un civile
bensì da un militare: il maresciallo Pèlissier. Questi trasformò la piccola colonizzazione dell’inizio
con una più grande di matrice capitalistica, attraverso l’entrata di grosse banche francesi ed europee
e di società finanziarie che avevano come finalità principale l’accaparramento del maggior numero
di ettari di terra fertile. 28
Napoleone III cercava in tutti i modi di bloccare l'emigrazione dei propri cittadini, tanto più che la
potenza finanziaria dei grandi complessi francesi andavano, come appena dimostrato, verso la
valorizzazione delle prime forme di imperialismo bancario commerciale, meno dispendioso per lo
Stato. Fra indigeni e coloni doveva essere instaurata comunque un'"eguaglianza perfetta" che
l’imperatore cercò di realizzare attraverso il ricorso ad una doppia manovra che riconosceva da una
parte agli indigeni il possesso della terra, allora nelle loro mani, e dall'altra offriva loro tramite la
nazionalizzazione la via legale per diventare cittadini francesi di pieno statuto. I due documenti
rivestirono la forma di due senato-consulti rispettivamente in data 22 aprile 1863 (sulla proprietà
fondiaria) e 14 luglio 1865 (sullo statuto degli indigeni). Il primo senato-consulto non abrogava
però le leggi del 1851 che autorizzavano l'esproprio delle terre appartenenti ai villaggi da parte
dell'amministrazione francese e in più sanciva l'acquisto delle terre già sequestrate e occupate dagli
europei. Il secondo senato-consulto, quello sullo statuto degli indigeni, permetteva l'accesso alla
cittadinanza francese agli indigeni ma solamente a patto di un precedente abbandono dello statuto
personale coranico.29 Nonostante le nuove disposizioni il miglioramento delle condizioni di vita di
Arabi, Barbari, ed Ebrei fu alquanto limitato come dimostrato da Wolfgang Reinhard.
27
Rainero, op. cit., p. 100
Alcuni esempi sono la Compagnia ginevrina che ottenne 20 mila ettari nella regione di Setif, la Società dell’Habra e
della Macta che ottenne 25 mila ettari nella pianura del Sig e la Società algerina che ebbe 100 mila ettari nel
costantinese. Rainero, op. cit., p. 100
29
G. Calchi Novati, op. cit.., p. 32
28
“Essi potevano bensì diventare cittadini, funzionari e soldati francesi, ma solo rinunciando al loro
diritto islamico o ebraico, vale a dire alla propria identità culturale. I diritti civili e il diritto
elettorale erano riconosciuti solo ai “Francesi”. […] Solo una minoranza di loro coltivava la terra,
ma il settore agricolo si espanse grazie alla sistematica politica di esproprio condotta dal governo
nelle fertili regioni del Nord. Dapprima vennero espropriati principi ostili e fondazioni islamiche,
poi tribù ribelli, che vennero cacciate nell’interno del paese (refoulment), infine potè venire inclusa
la proprietà fondiaria considerata eccedente di una tribù (cantonnement)”. 30
Anche per questo non vi fu mai una vera e propria integrazione: le due realtà rimasero ben distinte e
frequenti erano i motivi di malcontento e ribellione, dovuti anche alla grave crisi economica e alle
epidemie che stavano dilagando nel paese.31 Non c’era da parte francese la volontà di intraprendere
un dialogo con la popolazione algerina ed i suoi rappresentanti, di allargare l’istruzione pubblica,
mentre da parte algerina non esisteva quasi la possibilità di rinunciare alla propria identità culturale.
Infatti fino al 1891 solamente 736 algerini fecero uso della possibilità di diventare cittadini francesi,
mentre nel 1934 il numero crebbe a 2500.32
L'incremento naturale della popolazione europea residente e l'arrivo di francesi al seguito delle
compagnie finanziarie e industriali non consentirono l'effettiva riduzione della popolazione non
indigena, tanto che nel 1871, al crollo del Secondo Impero, gli europei d’Algeria erano saliti a 245 a
mila (dei quali 130 mila francesi). Fu questo il momento a partire dal quale i coloni acquisteranno la
consapevolezza di poter rappresentare un forte gruppo di pressione e non vorranno essere più
soltanto uno strumento nelle mani della Francia. Il problema crebbe sempre di più a partire dalla
terza Repubblica, che possiamo considerare l’epoca della vera colonizzazione dove i francesi
residenti, i cosiddetti pieds-noirs, godevano di prerogative che neppure Parigi osava contrastare. In
questo periodo vi fu un aumento del flusso migratorio, proveniente soprattutto dalle regioni
dell’Alsazia e della Lorena, e che era stato favorito dal governo attraverso la legge del 21 giugno
1871 ma anche la Francia si dovette confrontare con un nuovo, importante tentativo di insurrezione
fomentato da Ahmed el Mokrani. El Mokrani riuscì anche grazie all’aiuto di Mohammed el
Haddad, capo della potente confraternita musulmana Rhamaniya, ad impegnare i francesi in una
vasta zona di guerra che andava da Algeri alla frontiera tunisina 33. Sempre negli anni della terza
Repubblica tre furono i grandi motivi di contrasto tra i colonizzatori francesi e gli algerini: il
30
Wolfgang Reinhard, Storia del colonialismo, Torino, Einaudi, cit. p. 243
Gli anni che vanno dal 1845 al 1851 furono chiamati "gli anni della miseria". La crisi economica, accentuata da tre
anni di siccità, colpì sia i coloni sia i contadini algerini, Inoltre un'epidemia di colera si abbatté sulla popolazione
algerina dal 1849 al 1851
32
Reinhard, op. cit., p. 251
33
Rainero, op. cit., p. 107
31
problema della non divisione delle terre34, la riforma delle competenze separate35 e la nascita delle
delegazioni finanziarie.36
A conclusione di questa parte cerchiamo di vedere la breve analisi che Reinhard ha proposto in
merito ad un confronto tra l’Algeria e altri modelli coloniali: per lo studioso lo stato africano non si
distaccava da modelli coloniali precedenti come l’America ispanica e il Sudafrica, territori quindi
non soggetti al controllo francese: era una forma mista di colonia di insediamento e dominio
coloniale. Per colonia di insediamento si deve considerare un territorio nel quale sono presenti
popolazioni meno “sviluppate” che all’arrivo dei coloni potevano avere solamente due possibilità:
l’abbandono della terra, con la conseguente sostituzione della popolazione e la bonifica della terra
da parte dei nuovi arrivati che introdussero anche forme più evolute di coltivazione della terra e
l’introduzione della proprietà privata del fondo e del terreno. Nei domini coloniali la colonizzazione
non si limitava all’acquisizione di basi di appoggio ma si procedeva ad un controllo del paese senza
necessariamente passando per la ripopolazione integrale.37 Rimaneva esclusa una terza
suddivisione: quella della colonia come base d’appoggio, in cui si fonde un aspetto economico /
commerciale e uno militare.38
34
Le terre potevano essere riconosciute come "proprietà" dal senato-consulto napoleonico del 1863 ma apparivano per
la maggior parte appartenenti ad una tribù e non ad un singolo contadino. I coloni premettero quindi per far approvare
una legge che stabilisse la proprietà individuale nella tribù. Si raggiunse attraverso la legge Warnier del 1873 un
risultato ancora migliore in quanto si favoriva il passaggio di proprietà degli apprezzamenti dagli algerini ai coloni.
35
La dottrina delle "competenze separate" dopo essere stata difesa dai governatori A. Grévy (1879-1881) e L.Tirman
(1881-1891), fu violentemente attaccata dal loro successore J. Cambon (1891-1897) che riuscì a far varare al governo il
decreto del 31 dicembre 1896 che metteva fine del sistema. Dando ai coloni ed al governatore un'autonomia notevole il
decreto 1896 consacrerà il fallimento delle politiche di assimilazione e farà convergere nelle mani del governatore
residente ad Algeri i poteri fino ad allora ripartiti tra i vari ministeri. Rainero, op. cit., p.111
36
Le assemblee o delegazioni finanziarie vennero create con una serie di decreti a partire dal 23 agosto 1898. Erano tre
ed erano formate rispettivamente dai coloni (24 membri) dai non coloni (industriali e commercianti) e dagli indigeni (21
membri). Si riunivano separatamente e deliberavano in comune, anche se non possedevano competenze ne in campo
politico ne in quello finanziario; votavano solo il bilancio, senza aver l’iniziativa delle spese. Inoltre il loro voto era
solamente consultivo visto che il bilancio poi poteva essere soggetto alla revisione da parte del Consiglio superiore del
governo. Rainero, op. cit., pp. 112-113
37
Reinhard, op. cit., pp. 5-6
38
Questo modello è tipico delle colonie inglesi e portoghesi
PARTE TERZA
LA POSIZIONE DELLA SANTA SEDE SULLA SPEDIZIONE IN ALGERIA
3.1 Il cattolicesimo ad Algeri nel periodo precoloniale
La presenza di religiosi cattolici con funzioni ufficiali di assistenza alla popolazione cristiana della
Reggenza di Algeri risaliva al 1630, quando la Santa Sede aveva investito di particolari e speciali
poteri alcuni sacerdoti schiavi.39 Nel 1650 si decise per un intervento più “ufficiale” e quindi venne
nominato un vicario apostolico di fede lazzarista. I sacerdoti lazzaristi, sempre di origine francese,
rimarranno i responsabili del vicariato di Algeri con qualche eccezione e interruzione dalla metà del
Seicento agli inizi dell’Ottocento.40 La Francia, oltre a fornire i vicari, interveniva anche da un
punto di vista economico, garantendo sempre un’importante spesa in denaro per il mantenimento e
il funzionamento del vicariato e di tutte quelle iniziative legate alla missione evangelizzatrice del
paese. Ecco pertanto spiegato come i rapporti tra il vicariato di Algeri e la Santa Sede si riducevano
essenzialmente alle questioni legate alla spiritualità come ad esempio l’organizzazione del culto e la
giurisdizione sugli schiavi cattolici residenti ad Algeri e le notizie provenienti dal Nord Africa erano
piuttosto scarne.41
Gli ultimi lazzaristi lasciarono Algeri nel 1827 in seguito all’apertura delle prime schermaglie tra la
Francia e l’Algeria e la Congregazione di Propaganda, a cui spettava il controllo
dell’amministrazione religiosa in terre di missione, nominò Michele Trulio come superiore
ecclesiastico provvisorio: dai suoi carteggi emerge un senso di frustrazione e sentimenti negativi
non solo per lo scontro in atto ma per l’atteggiamento degli algerini considerato deleterio per una
possibile soluzione pacifica della questione.42
39
Non era infrequente che durante le guerre tra cristiani e musulmani del Mediterraneo molti europei venissero catturati
e da quel momento si avviassero trattative per la loro liberazione, operate dagli ordini religiosi dei mercedari e dei
trinitari e dalle famiglie stesse delle vittime che si impegnavano a raccogliere i fondi per la liberazione dei loro cari. Per
quanto riguarda Algeri la cattura più famosa fu quella ai danni di Miguel Cervantes, prigioniero tra il 1575 e il 1580 e
liberato solo grazie ad un intervento della famiglia che intercede presso il re di Spagna affinché conceda loro la licenza
per vendere alcuni tipi di merci in modo da raccogliere il denaro per pagare il riscatto. James Amelang, L’autobiografia
popolare nella Spagna moderna in Giovanni Ciappelli, Memoria, famiglia, identità tra Italia ed Europa nell’età
moderna
40
Federico Cresti, Iniziativa coloniale e conflitto religioso in Algeria 1830-1839, Milano, Franco Angeli, p. 23
41
Il vicario e i missionari cattolici risultavano le uniche fonte di informazione diretta per la Santa Sede che da quando è
giunta in Algeria non ha mai avuto un proprio rappresentante diplomatico dal momento che non realizzò mai alcun
trattato con la Reggenza e mantenne uno stato di teorica belligeranza continua con il governo di Algeri. Solamente nel
1818 stipulò una convenzione di pace con una delle reggenze delle coste maghrebine ma non si trattava di Algeri bensì
di Tripoli. Cresti, op. cit., p. 24 e nota 5
42
Nella lettera datata 20 agosto 1829 ed inviata al segretario di Propaganda così si esprime sullo scontro: “L’ultimo
dello scorso luglio venne a terra un vascello e un brick con bandiera di parlamento francese, e sbarcò l’ammiraglio per
trattare la pace tra la Francia e questa Reggenza e in tre giorni niente si concluse, anzi il giorno tre di questo furono
obbligati a partir subito, e come il vento era contrario, il vascello fu obbligato a passare a mezzo tiro di cannone avanti a
tutte le batterie della città […] gli tiravano più di 60 cannonate a palle e a mitraglia, e fu un miracolo che il vascello non
Quello che è certo è che a partire dalla Rivoluzione francese i rapporti tra la Francia e la Santa Sede
vissero momenti difficili che raggiunsero il punto di frattura più ampio con la soppressione delle
congregazioni religiose che ebbe conseguenze indirette anche per quanto riguarda l’Algeria. Infatti i
missionari nel paese africano, preoccupati per questa nuova quanto inaspettata politica anticlericale,
si erano organizzati per chiedere protezione alla Spagna. Terminato il periodo della lotta
rivoluzionaria Francia e Santa Sede raggiunsero un accordo tramite il Concordato del 1801 nel
quale l’autorità politica, nella persona del capo dello stato, aveva il diritto di nomina dei vescovi. Fu
però, come vedremo a breve, durante il regno di Carlo X che ci fu un riavvicinamento tra le due
istituzioni che in un certo senso raggiunsero un accordo in grado di poter, per ognuna delle due
parti, ricevere grossi benefici.
3.2 Pio VIII e Carlo X uniti contro l’Algeria
Interessante è a questo punto porre l’attenzione sul rapporto che intercorse tra la Francia e la Santa
Sede durante i mesi della spedizione e gli anni successivi della riorganizzazione politica. Nel
periodo storico trattato la Chiesa, oltre ad essere un’istituzione dello “spirito” che si poneva come
baluardo e difesa della dottrina cattolica, dei suoi dogmi era soprattutto un’istituzione politica, con
uno stato all’interno della penisola italiana, con rappresentanze ed interessi anche all’esterno di
esso. Fatta questa premessa è quindi più facile capire e comprendere perché Pio VIII 43 appoggiò la
spedizione francese e vi fu un fitto carteggio verso la Francia da parte dell’ambasciatore di Francia
a Roma conte de La Ferronays e dal principe di Polignac, ministro degli esteri di Carlo X. Lo stretto
rapporto di collaborazione tra Pio VIII e Carlo X ebbe origine comunque già prima dell’intervento
militare in Algeria; la marina commerciale degli stati pontifici infatti era costretta a subire le
vessazioni da parte dei corsari algerini e quindi, in mancanza di un rappresentante diplomatico ad
Algeri, il papa si trovava a scegliere tra due opzioni: o porsi sotto la protezione francese oppure
accettare un trattato con la Reggenza algerina, proposta avanzata dal console del regno delle Due
Sicilie Magliuolo. Pio VIII scelse la prima strada molto probabilmente perché era venuto a
conoscenza dai suoi informatori che vi poteva essere uno stretto legame tra lo stesso Magliuolo e i
corsari algerini sotto forma di divisione degli utili delle razzie e anche perché gli stessi corsari, forse
per far accettare l’accordo al papa, avevano preso il 18 luglio 1826 due bastimenti battenti bandiera
pontificia. A questo punto intervenne la Francia che chiese il loro rilascio al dey Hussein ma questi
andasse a fondo […] Dietro un insulto così terribile, che interessa tutte le nazioni civilizzate, si crede che generalmente
questa guerra finirà in modo, che farà epoca nella istoria”. Cresti, op. cit., p.26 nota 9
43
Pio VIII, al secolo Francesco Saverio Castiglioni, è stato il 253° papa della storia. Salito sul trono pontificio il 31
marzo 1829 vi rimase fino alla morte avvenuta il 1° marzo 1830.
oppose un deciso rifiuto al rilascio dei due bastimenti se il papa non avesse pagato un’ingente
somma di denaro.44 Ciò che viene messo in luce dallo scambio di documenti tra Francia e Santa
Sede negli anni immediatamente precedenti alla spedizione del 1830 è la difficile situazione nel
Mediterraneo e nei rapporti con gli Etats barbaresques, tanto che i porti di Algeri, Orano, Bona e
Bugia vennero bloccati per porre un freno all’azione dei pirati. Non stupisce quindi che la rete
diplomatica francese cercò di porsi, agli occhi di tutti quegli stati colpiti dalla piaga della pirateria,
come l’unica potenza europea in grado di arginare il fenomeno e di garantire in quei territori un
sensibile miglioramento delle condizioni delle persone di fede cristiana, in particolare attraverso
l’abolizione della schiavitù. Destinatario delle missive francesi non era soltanto il pontefice ma
anche le corti di Torino, Firenze, Napoli e Vienna. La Santa Sede, per mano del suo segretario di
Stato Cardinale Albani, approvò l’intenzione francese di un intervento in Algeria che avrebbe
garantito un sensibile miglioramento della situazione italiana e internazionale, attraverso “la
suppression de l’esclavage et la destruction des pirates barbaresques.45 Ciò si rendeva necessario
poiché l’Italia, a causa della sua posizione geografica sul Mediterraneo, era più esposta alle sortite
navali dei pirati. Le uniche perplessità venivano mosse sul futuro assetto politico della zona visto
che l’Inghilterra difficilmente avrebbe permesso un controllo francese in Algeria e non convinceva
assolutamente la creazione di un governo musulmano guidato da Mehemet Alì, vassallo del sultano
di Turchia. Il Cardinale Albani auspicava una soluzione che prendesse in considerazione o il
governo dei territori da parte di un principe spagnolo oppure il controllo da parte dei cavalieri di
Malta: l’importante è che alla guida vi fosse un regnante di religione cristiana cattolica.46 La Francia
venne incontro almeno in parte alle richieste della Santa Sede e promise attraverso Bellocq,
sostituto temporaneo di La Ferronays e primo segretario d’ambasciata, che Mehemet Alì non
sarebbe stato coinvolto ne nella fase preparatoria ne in quella successiva. Il 25 marzo, dopo vari
tentativi di convincere i rappresentanti papali, i francesi ottennero la possibilità di utilizzare come
basi d’appoggio i porti dello stato della Chiesa e di ricevere assistenza. Pio VIII comunicò inoltre in
un’udienza successiva il 12 maggio 1830 concessa a La Ferronays che, pur non volendo intervenire
con un proprio esercito, era pronto ad offrire il concorso di duecento cavalieri dell’Ordine di San
Giovanni di Gerusalemme desiderosi di arruolarsi quali combattenti volontari.47 A partire dal
momento della partenza del corpo di spedizione da Tolone, proseguendo con lo sbarco di Sidi
Ferruch e terminando con la notizia della conquista di Algeri, la Santa Sede ricevette continui
44
Cesar Vidal, La Santa Sede e la spedizione francese in Algeria (1830), Roma, Società romana di storia patria, p.77
Vidal, op. cit., p.79
46
Il cardinale Albani temeva che in Algeria potesse succedere quanto era avvenuto qualche mese prima in Grecia,
quando la Francia aveva lasciato i diritti di protezione all’Inghilterra, paese notoriamente legato al protestantesimo.
Cresti, op. cit., p. 33
47
Vidal, op. cit., p.84
45
aggiornamenti sull’evolversi della situazione. Polignac il 5 luglio 1830 scrisse appena avuta la
notizia della caduta della città all’ambasciatore presso la Santa Sede, informandolo che Algeri era
stata occupata dalle truppe francesi e che era un successo che avrebbe fatto piacere al papa poiché
da questo momento si sarebbe potuto intraprendere, dopo l’eliminazione di un nemico crudele e
spietato, un processo di civilizzazione della popolazione locale e di introduzione della morale
cristiana in territori mai permeati dal messaggio evangelico.
Per sancire il significato religioso della spedizione venne organizzata la settimana successiva, il 12
luglio, una celebrazione religiosa presso la cattedrale parigina di Nôtre Dame, nella quale venne
cantato l’inno del Te Deum come ringraziamento a Dio per la sua protezione senza la quale la
vittoria non sarebbe stata possibile. La stessa cerimonia venne ripetuta nella chiesa romana di San
Luigi de’ Francesi pochi giorni dopo, anche se il pontefice non vi partecipò a causa delle sue
cagionevoli condizioni di salute.48
3.3 La creazione del vescovato di Algeri
L’organizzazione a livello religioso, che in quei primi mesi del 1830 stava faticosamente prendendo
forma, si interruppe bruscamente a causa di due situazioni non previste fino in fondo: la cacciata di
Carlo X in Francia e la morte di Pio VIII. Quando la Francia fu investita dalla rivoluzione di luglio
il Vaticano riconobbe subito il nuovo governo di Luigi Filippo d’Orleans ma altrettanto
velocemente sorsero gravi contrasti in conseguenza dell’approvazione alle Camere di misure
anticlericali che in un certo senso erano ancora più limitative rispetto a quelle emanate nel periodo
rivoluzionario. Tra i provvedimenti ricordiamo l’eliminazione del sussidio dello stato ai cardinali, la
soppressione del seminario dello Spirito Santo49 e l’abolizione degli elemosinieri di reggimento
presenti in Algeria in quanto molti di essi si erano rifiutati di prestare il giuramento di fedeltà a
Luigi Filippo. Anche per questo fino all’agosto 1831 la Congregazione di Propaganda agì in
maniera del tutto indipendente, con operazioni ed iniziative non concordate con il governo francese.
Lo scontro tra le personalità legate all’ambiente militare francese e a quello ecclesiastico legato al
papa si concentrava soprattutto su un punto: impedire all’altra parte di assumere un grande potere in
La notizia venne riportata il 21 luglio 1830 sulla prima pagina del Diario di Roma: ”Questa mattina nella R. Chiesa di
San Luigi de’ Francesi con espressa soddisfazione di Nostro Signore, è stato cantato solenne Te Deum in rendimento di
grazie all’Altissimo per la memorabile vittoria riportata dalle armi gloriose di Francia sopra i Barbari africani, e loro
entrata trionfale in Algeri. Il Regio Tempio era nobilmente parato. Ne accrescevano la maestà il gruppo de’ lampadari e
il vario panneggiamento di magnifici drappi sparsi di code di ermellino, e fregiati nei lembi di trina d’oro. Tutto era
semplice, bello ed ammirabile. Una guardia scelta di Granatieri Pontifici custodiva le porte del Tempio. Il numeroso
popolo concorso era situato lungo le navate laterali e sotto la estesa orchestra, la quale s’avanzava con elegante paratere
quasi presso ai primi pilastri”. Fu lo stesso Pio VIII ad inserire la frase “con espressa soddisfazione di Nostro Signore”
quando il gazzettiere gli sottopose la minuta del giornale. Vidal, op. cit., p.87
49
Questo seminario, che risultava sotto la giurisdizione del ministero della marina e delle colonie, era particolarmente
importante perché fino ad allora si erano formati i sacerdoti destinati ai servizi religiosi nei possedimenti francesi
48
un territorio difficilmente controllabile. La Francia cercava in tutti i modi di evitare l’intromissione
della Santa Sede e le stesse autorità militari manifestavano un forte senso di insofferenza e
intolleranza nei confronti di tutti quei sacerdoti estranei alla giurisdizione del ministero della Guerra
adducendo come scusa l’incertezza sul futuro dei territori occupati.50
Una schiarita, almeno di facciata, si ebbe nel dicembre 1831, quando il nuovo comandante
dell’Armée d’Afrique, il generale Savary, giunto ad Algeri si pronunciò per un aumento della
presenza di religiosi cattolici in quanto la situazione era particolarmente difficile. Per quanto questa
potesse essere un’azione in grado di distendere i rapporti Savary si contraddistinse per condannare
l’operato di quei sacerdoti già presenti in territorio algerino e tentò in tutti i modi di ampliare le
prerogative che in quel momento erano sotto la giurisdizione del comando supremo. Nonostante
tutto ciò nel 1832 approvò la decisione di uno dei suoi più acerrimi avversari, il prefetto Collin, per
la costruzione di un nuovo edificio per il culto cattolico.51 La collaborazione tra i due si esaurì ben
presto in quanto lo strumento della religione assumeva per i due un carattere totalmente diverso: se
per il generale Savary rappresentava uno strumento di controllo dei civili europei per Collin era un
mero strumento di imposizione del cattolicesimo alla popolazione musulmana. I sacerdoti negli anni
seguenti cercarono di convertire la popolazione ma i risultati furono particolarmente deludenti,
sebbene nel 1835 giunsero ad Algeri per dare loro aiuto le suore della Carità.52
Il 1835 rappresentò forse l’anno più difficile nei rapporti tra il governo di Luigi Filippo e il papa
Gregorio XVI in quanto Luigi Filippo pretendeva di scegliere le modalità e il nome del vicario
lazzarista ad Algeri.53 Gregorio XVI decise di non cedere, soprattutto mettendo in luce il suo
disaccordo per i punti 2 e 4, dichiarando che era impossibile per la Santa Sede “rinunziare al
naturale suo diritto di nomina del vicario apostolico né di ammetterlo o riconoscerlo formalmente
nel Re dei Francesi”.54 Solamente nel 1838 il braccio di ferro si interruppe; il governo francese fece
un passo indietro comunicando alla sua ambasciata che il progetto era stato definitivamente
abbandonato in favore della creazione di un vescovato che venne istituito il 25 agosto 1838 tramite
50
Nonostante i diversi tentativi di boicottaggio la Congregazione della Propaganda riuscì ad inviare due sacerdoti in
ausilio all’abate Collin. Cresti, op. cit., p.44
51
L’edificio che divenne la prima chiesa ad Algeri fu la moschea Ketchawa; questo era in deciso contrasto con gli
accordi del trattato di capitolazione che prevedeva il rispetto del culto e degli edifici sacri musulmani. La moschea
Ketchawa venne occupata militarmente il 17 dicembre 1832 Cresti, op. cit. pp.53-54
52
Il ruolo delle suore della Carità rimase molto spesso circoscritto e legato all’assistenza ospedaliera e al battesimo dei
bambini musulmani in articulo mortis. Cresti, op. cit., p.88
53
L’accordo, inviato dall’ambasciata di Francia alla Santa Sede, era suddiviso in quattro punti: 1) Il servizio religioso
nei territori dell’Africa settentrionale sottoposti alla Francia doveva essere affidato alla congregazione di San Lazzaro
che avrebbe provveduto a fornire il territorio dei sacerdoti necessari per lo svolgimento del servizio 2) Uno di questi
sacerdoti avrebbe dovuto acquisire il titolo di Vicario Apostolico, essere nominato dal Santo Padre su presentazione del
Re 3) La giurisdizione del Vicario Apostolico si sarebbe estesa a tutte le possessioni francesi nel Nord Africa ed era
l’unico in grado di dare i vari poteri ai sacerdoti presenti 4) Il superiore generale dei Lazzaristi avrebbe conservato il
diritto di cambiare il Vicario Apostolico dopo averne ottenuto il consenso dalla Santa Sede. Cresti, op. cit., p.98
54
Cresti, op. cit., p.109
la promulgazione in Francia di un’ordinanza reale nella quale si sanciva lo stabilirsi della sede
episcopale ad Algeri (Art.1) e il pieno accordo raggiunto con la Santa Sede visto che la bolla era
stata approvata senza che all’interno di essa fossero presenti clausole o formule contrarie sia alla
carta Costituzionale sia ai principi della Chiesa (Art.3). Quella che sembrava una sconfitta della
politica anticlericale francese fu trasformata da Luigi Filippo in una propria vittoria, tanto che alla
riapertura delle Camere il re magnificò la politica africana del suo governo dando alla creazione del
Vescovato di Algeri un significato meramente politico affermando che “La création de l’évêché
d’Alger est un nouveau gage de la stabilité de notre possession.55
La creazione del vescovato non fu però vista di buon occhio in Francia come testimoniato
dall’articolo apparso sul giornale Le commerce del 4 agosto 1839 nel quale vennero riassunte le
posizioni laiche ed anticlericali di buona parte dell’opinione pubblica favorevole sì alla
colonizzazione dell’Algeria ma certamente contraria al potere assunto dalla Chiesa nella stessa. 56
55
Cresti, op. cit., p.135
“Di tutti gli errori commessi in Algeria, il più pericoloso senza dubbio è l’organizzazione del proselitismo
ecclesiastico. La creazione di una sede episcopale ad Algeri, espediente politico immaginato per far piacere alla corte di
Roma, e forse all’arcivescovo di Parigi, non poteva avere altro fine che quello di convertire le popolazioni musulmane;
era chiaro che ciò non rispondeva ai bisogni spirituali dei militari e dei coloni cattolici, per i quali sarebbe stato
sufficiente l’arcivescovo di Aix e alcuni cappellani o elemosinieri […] Il papa ha dichiarato formalmente il progetto di
convertire gli infedeli. […] Da parte loro i capi nemici hanno colto al volo questa occasione per unire contro di noi le
loro tribù che cominciavano a mostrarsi meno ostili sotto l’influenza dei nostri costumi dolci e tolleranti.
56
CONCLUSIONI
La guerra combattuta dai francesi per il controllo dell’Algeria fu uno degli episodi più importanti
dell’imperialismo ottocentesco. Se la conquista iniziò, come abbiamo visto, per motivazioni
totalmente diverse rispetto alle conquiste che portarono per esempio alla formazione dell’impero
coloniale inglese o di quello spagnolo anche la gestione del periodo successivo ebbe delle
peculiarità proprie. La ricerca del consenso accompagnò non solo i primi mesi della conquista ma
anche gli anni e i decenni successivi tanto che le notizie allarmanti che giungevano in Francia dai
territori dell’Africa del Nord avevano nei governi l’effetto di proseguire ed anzi intensificare la
presenza sul territorio seppure gli stessi che governavano non avevano appoggiato l’intervento.
Fieldhouse si spinge oltre giungendo ad affermare che i successivi interventi coloniali francesi in
Tunisia nel 1881 e in Marocco nel 1911 furono effettuati per ricercare la sicurezza in Algeria.57
L’ossessione per la messa in sicurezza della zona mise decisamente in secondo piano la questione
economica tanto che i coloni francesi o quelli provenienti da altri paesi europei giunsero sì in
Algeria, ma solo per riempire i vuoti causati dal refoulement di arabi e berberi. In maniera analoga
le aziende agricole capitalistiche francesi, che acquistarono le grandi proprietà espropriate agli
algerini, furono fatte intervenire dal governo nella speranza che così facendo si potesse incoraggiare
l’immigrazione di contadini ma in realtà la situazione fu totalmente capovolta in quanto i nuovi
proprietari preferirono riaffittare le proprie aree agli algerini cacciati.58
Il contrasto tra potere civile e potere militare, iniziato già nelle settimane successive allo sbarco,
continuò a perdurare anche dopo la sconfitta di Abd el Kader e la rivolta di Moqrani e vide
prevalere alla fine i militari che riuscirono a gestire la situazione con estrema fermezza e
determinazione, non soltanto nel contesto di controllo della popolazione locale ma anche nel far
percepire allo stato francese che non era possibile intraprendere azioni di pacificazione nei confronti
degli stati arabi se non si fosse proceduto ad una loro definitiva sconfitta che comportava la
distruzione di ogni forma di cultura e sistema politico autoctono. Il prestigio dell’esercito venne
equiparato al prestigio dello stato francese e, nonostante gli algerini continuassero a rifiutare
l’occupazione, l’opinione pubblica francese e gli stessi vertici dello stato erano convinti che quella
fosse l’esatta via da seguire tanto che molte teorie di governo applicate in Algeria vennero trasferite
in Senegal e anche in territori extra-africani come l’Indocina.
Per quanto riguarda i rapporti tra la Francia e la Santa Sede dall’analisi fatta in queste pagine si è
potuto constatare, come nel caso della gestione politica del territorio, una grande confusione e un
continuo conflitto. Il tutto ebbe origine negli anni precedenti allo sbarco di Sidi Ferruch, quando
57
58
Fieldhouse, op. cit., p. 128
Ibidem, p. 129
Carlo X decise di porsi garante della Chiesa contro la pirateria che affliggeva il commercio delle
navi mercantili battenti bandiera pontificia. L’accordo avrebbe dovuto garantire al re francese un
accrescimento del consenso popolare in patria ma con la caduta del suo governo durante la
rivoluzione di luglio la situazione mutò radicalmente. Questo patto, basato su un accordo molto
fragile e senza fondamenti concreti, si sbriciolò con la salita al potere di Luigi Filippo. La Chiesa
almeno inizialmente non riuscì a comprendere fino in fondo l’evolversi della situazione e si
impegnò a fondo per il suo obiettivo nei territori algerini: una rapida e facile conversione delle
popolazioni musulmane al cattolicesimo. Ma le politiche anticlericali di Luigi Filippo misero tutto
in discussione logorando i rapporti tra le due istituzioni fino alla creazione del vescovato. E
anch’essa non cancellò i problemi visto che le visioni di intenti erano diverse: la Chiesa vedette
nell’accordo il primo passo per la conversione della popolazione mentre la Francia intendeva
limitare l’opera della chiesa cattolica alla gestione della religione per la popolazione europea.
Questo si rendeva necessario per evitare che le popolazioni locali, già messe sotto pressione da un
punto di vista politico a causa delle continue sottrazioni di possedimenti in favore dei coloni,
potessero adducere un nuovo pretesto per ribellarsi: quello del tentativo con mezzi coercitivi di
sradicare la propria cultura e il proprio credo religioso. In realtà è difficile pensare che la
componente religiosa potesse smuovere le masse contadine algerine più delle politiche ma per i vari
governi francesi, continuamente messi sotto pressione dall’opinione pubblica a causa di una guerra
nata quasi per caso e che nel corso degli anni richiedeva un impegno sempre maggiore per quanto
riguarda il controllo del territorio, la componente religiosa rappresentava un ottima carta da giocare
per giustificare le numerose difficoltà che si stavano presentando.
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