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Paolo Lanciani
Addestrare il performer di Playback Theatre
Il vincolo come opportunità e il vincolo come tale.
PREMESSA
Mi accingo a ripensare un’esperienza biennale di conduzione di un laboratorio rivolto ad
adolescenti e giovani adulti tra i 18 e i 25 anni. Nel tentativo di passare dall’azione alla conserva,
dal qui ed ora al la ed allora, dal vissuto al pensato, scelgo di esplorare la mia biblioteca.
Sulla scrivania, gli scritti di Jonathan Fox e Joe Salas, i testi di Nadia Lotti e Gigi Dotti e gli scritti
di Moreno e Zerka (Psicomusica e Il Teatro della Spontaneità su tutti). Mi parlano delle radici. E
altri, come Il Giovane Holden, che mi parlano della mia storia. Tra i tanti mi colpisce la presenza di
due testi: Il poliziotto e la maschera, di Augusto Boal e Emozioni in gioco di D’Alfonso,
Garghentini e Parolini. I loro sottotitoli, giochi e attività per un’educazione alle emozioni e giochi,
esercizi e tecniche del teatro dell’oppresso, sanno offrire qualcosa che la “nostra” letteratura non
propone quasi mai1: un bell’elenco di attività ed esercizi da proporre. Eppure chiunque abbia
partecipato a un laboratorio di playback theatre sa bene che si passa di attività in attività, di
esercizio in esercizio. Chi detiene questo sapere? Si tratta di una tradizione orale (tanto cara a
Jonathan) che i padri fondatori tramandano in occasione di un segreto rito d’iniziazione? O meno
romanticamente si attinge a testi come quelli sopracitati e non dimenticando evidentemente i grandi
del teatro come Stanislavskij? D’altronde perché perdere tempo a riscrivere cose che già sono
disponibili? Sono queste le domande a cui mi propongo di rispondere. Questo contributo non si
propone di essere una ricerca archeologica tra i sacri testi del teatro più o meno classico, ma di dare
forma a una storia, una storia che nasce dall’incontro tra l’opera di alcuni autori e una compagnia di
playback theatre nata nel dicembre 2006 a Garbagnate Milanese.
PARTE 1
Un laboratorio al Cento di Aggregazione Giovanile
1. Perché avviare un laboratorio di PT
Nel 2004 al Più Voci con Davide Motta avemmo occasione di partecipare ad una giornata di
laboratorio, nonché ad una performance di PT condotte proprio da Nadia. Ma all’epoca ero troppo
preso dal mio incontro con lo psicodramma per potermi accorgere veramente del playback theatre.
Certo il calore e la spontaneità di Nadia mi avevano colpito.
Fu solo alla fine del secondo anno di scuola di psicodramma che, durante un seminario residenziale,
ebbi modo di incontrare il playback theatre e sentire quanto questa forma di teatro mi parlasse e
risuonasse in me. Uso il termine “risuonare” perché fu proprio la musica l’elemento che per primo
divenne significativo per me e mi mosse a chiedere, sempre con Davide, di organizzare un Core
Training a Milano per il settembre 2006. esplicitai da subito a Nadia la mia intenzione di formarmi
per poter, un domani, avviare una forma di playback essenzialmente musicale.
Cito questi fatti perché raccontano le circostanze che hanno reso possibile l’avvio di un laboratorio
da me condotto:
innanzi tutto una certa competenza nella conduzione di gruppo, maturata in due anni di scuola e
nelle relative esperienze pratiche;
1
Maria Caterina Boria Migliorini nel suo Arte - terapia e psicodramma classico propone una serie di esempi per
attività del gruppo.
poi il mio ruolo di referente organizzativo nell’avvio del core training a Milano, che mi ha dato
modo di verificare che è possibile coinvolgere le persone;
e ancora il supporto di Nadia, che da subito ha saputo trasmettermi entusiasmo, mi ha
responsabilizzato e sostenuto concretamente;
e naturalmente l’aver intravisto la possibilità di dare forma ad un mio sogno di espressione
musicale nell’ambito dell’improvvisazione.
2. Come avviare un laboratorio di PT
Nel mio progetto di avviare il laboratorio fui favorito dal fatto di lavorare come educatore in un
Centro di Aggregazione Giovanile. La mia responsabile e la mia collega riconobbero il potenziale
dello strumento applicato come occasione di crescita per i ragazzi del centro e mi sostennero
nell’idea di organizzare una performance di presentazione che servisse per promuovere un
laboratorio presso il CAG.
La promozione presso il comune aveva dunque il compito di richiamare potenziali partecipanti “al
corso di teatro”, la promozione tra i conoscenti aveva il compito di proporre un occasione di
conoscere il PT per avviare delle riflessioni che portassero alla realizzazione del progetto musicale2.
All’epoca non ero ancora inserito nel circuito del PT e quindi i miei contatti erano limitati al gruppo
con cui avevo partecipato al core training e alla scuola di psicodramma. Feci un doppio giro di mail
per raccogliere volontari che si volessero prestare come attori per la performance di presentazione.
Benché l’entusiasmo fosse ancora alto, gli impegni lavorativi e famigliari ridussero il gruppo a due,
troppo pochi! A quel punto chiesi anche a persone della scuola di psicodramma e a amici e parenti,
tutti senza esperienza specifica.
Alla fine il gruppo era composto da me nel ruolo di conduttore, naturalmente alla mia prima
esperienza3, da Simona Bianchi e Elena Polli della compagnia di Milano, da due compagnie di
scuola di psicodramma, di cui una non aveva mai visto una performance e da mio fratello,
altrettanto digiuno di PT. A rendere le cose ancora più “spontanee” gli attori sono stati istruiti sul
datarsi solo venti minuti prima di iniziare. Poche coordinate, tre forme espressive e la fiducia
nell’ascolto delle storie, delle loro risonanze e dei compagni… Sarà stata la fortuna del principiante,
saranno state le dritte di Nadia o il talento dei performer, ma ha funzionato!
Oggi nella compagnia è ancora presente uno degli attori che all’epoca fece parte di quel primo
pubblico. All’epoca furono in tre ad aderire e ognuno di loro portò altri. Oltre al passaparola su
quella serata furono efficaci le locandine e i volantini distribuiti presso i luoghi di aggregazione e i
servizi della città. Alla fine la prima serata di laboratorio prevedeva otto iscritti.
2
Di seguito riporto il testo della mail che feci girare per promuovere la performance:
Ciao a tutti,
ho aggiunto alcuni indirizzi che mi mancavano quindi in parte mi ripeto,
ne ho già parlato a molti: finalmente si fa la performance di Play-Back Theatre, teatro improvvisato su stimoli del
pubblico.
è una serata di promozione per il centro di aggregazione di Garbagnate, dove lavoro,
ma soprattutto è l'occasione di vedere di cosa si tratta e capirne il potenziale
in particolare mi riferisco al mio progetto di realizzare un laboratorio di musicisti che si sperimentino nel creare una
performance suonata piuttosto che recitata...
sul volantino trovate l'indirizzo e l'orario...
a presto,
Paolo
3
A rendere indimenticabile la serata ci ha pensato il mio migliore amico che ha raccontato una storia che vedeva me tra
i protagonisti… tanto per rendere il tutto più facile…
3. Cosa fare a un laboratorio di PT
Per la prima parte dell’anno sarei stato tranquillo. A posteriori avevamo ricostruito gli esercizi che
Nadia ci aveva proposto al CT e poi la costituzione del gruppo era una mia competenza da
psicodrammatista arrivato intanto al terzo anno.
Va qui detto che da subito mi venne spontaneo condurre il gruppo con una modalità direttiva che
favorisse relazioni inter-soggettive piuttosto che inter-dipendenti. Ovviamente il contesto non mi
portò ad attenermi in maniera eccessivamente rigorosa ai criteri di simmetria, circolarità e
sospensione della risposta, se non nei momenti di condivisione rispetto al proprio vissuto come
attori o narratori.
Il particolare contesto in cui si teneva il laboratorio fece si che da subito fu chiaro che non si
trattava di un gruppo chiuso. I ragazzi non erano costanti, o almeno non tutti, e comunque ogni
volta arrivavano una o due persone nuove a provare, era comunque un servizio pubblico.Quello che
sulla carta potrebbe sembrare un vincolo in realtà si è dimostrata un’opportunità. Il fatto che il
laboratorio fosse aperto ha reso morbidi i ragazzi che non si sono irrigiditi sull’idea di essere un
gruppo chiuso. Inoltre i nuovi ingressi e le visite, oltre a portare aria fresca e storie nuove, offrivano
il pretesto per tornare a spiegare le forme senza sembrare ripetitivi.
In questa fase del laboratorio emerse subito l’importanza di trovare esercizi chiari che
accompagnassero i ragazzi a conoscere le varie forme espressive del PT. Ricordo che fu il periodo
dove cercai proprio quei testi specifici di cui sopra… Nadia dove aveva preso quei bei giochi e
splendidi esercizi usati al CT? Certo dopo qualche mese il materiale che avevo si sarebbe esaurito.
Che cosa dovevo fare inventarmeli?
4. Che cosa abbiamo fatto a un laboratorio di PT
Nel corso del secondo anno di laboratorio le serate con i ragazzi hanno assunto una loro ritualità
relativamente costante. Gli incontri hanno cadenza settimanale e durano circa tre ore. Il laboratorio
rimane aperto per cui sono presenti gli attori stabili, ma spesso partecipano ospiti e un certo numero
di ragazzi satellite che vengono spesso ma non si sentono parte della compagnia.
Il laboratorio si tiene al centro di aggregazione. Benché io crei un teatro (spostando sedie e tavoli)
lo spazio è un ibrido e molti dei ragazzi lo frequentano e conoscono anche in altri contesti. Arrivano
alla spicciolata tra le otto e mezza e le nove e mezza orario in cui iniziamo a lavorare(a volte anche
dopo). Questa ora è dedicata alla cosiddetta relazione (educativa) informale tipica del cag, si prende
il caffè si chiacchiera e guarda la TV (in particolare casca bene la coincidenza con “Buona la
prima”).
Alle nove e mezza ci sediamo in cerchio, è il segnale che si inizia, anche le luci sono accese in
modo da evidenziare lo spazio scenico e l’uditorio.
Generalmente la prima proposta è un gioco che metta in moto le persone. Tra i tanti mi piace citare
il “ballo dei musicisti” (definizione coniata ora). Si tratta di un’attività che prevede di muoversi al
ritmo della musica (amo proporre la Bossa Nova), dopo un po’ si sceglie uno strumento e si
accompagna il ritmo. Man mano che il gruppo si scalda la musica registrata si abbassa e lascia il
posto ad una creazione del gruppo. A questo punto il conduttore attribuisce dei ruoli (es.: tu sei il
direttore; voi siete due bande; uno inizia poi il secondo aggiunge…). Sostanzialmente viene
proposta un’attività che li metta in relazione. Una volta scaldati gli attori si individua un tema che
farà da filo conduttore al lavoro della serata. Il tema emerge spesso dai commenti degli attori
all’attività precedente. A partire da questo tema ci esercitiamo prima come attori. Ho notato che a
volte la riflessione su elementi scenici tipo posizione e tono di voce può essere disturbante per i
ragazzi che nel momento del playback si giocano su un piano personale che li coinvolge molto sia
come attori che come performer (anche quando si parla “semplicemente” di brutto tempo o treni in
ritardo) (non è molto chiaro..). Il momento di lavoro come attori slegati dalle storie personali li
arricchisce di possibilità da giocare poi spontaneamente come performer di PT, quindi con dei
narratori a turno e l’utilizzo delle forme espressive (non si capisce molto..).
Alla fine della serata dedichiamo un tempo alla condivisione del vissuto di ciascuno. Ovviamente
qualora una determinata attività precedentemente proposta avesse fatto emergere vissuti importanti
al termine della stessa sarebbe seguito un primo giro di scambio.
5. Il laboratorio oggi
Non posso che pensare il laboratorio con i ragazzi come il prodotto del nostro incontro. Da subito
mi è stato chiaro che spontaneità e creatività non potevano che essere il frutto di una co-creazione.
Ogni esercizio, ogni gioco nasce dall’intreccio originale dei ruoli che ciascuno di noi porta con se.
Spesso sono le riflessioni, le domande e le intuizioni dei ragazzi a dare lo spunto per
approfondimenti inaspettati e originali.
Insieme abbiamo capito che se l’esperienza del laboratorio vuole rimanere appagante e stimolante,
sia per il conduttore, che per i ragazzi è fondamentale trovare sempre nuovi stimoli. Ecco che le
forme espressive non restano che un importante riferimento rituale da riempire dell’intensità della
vita. Non è facile per i ragazzi mettersi in gioco sempre e in maniera così totale. L’atto spontaneo
costa fatica e non può che stimolarne un altro (in che senso?.) I ragazzi si confrontano con i loro
vissuti e la frustrazione di chi crea qualcosa che non rimane, almeno non in senso fisico (spiega
meglio..) . In maniera sempre più adeguata ciascuno porta il proprio contributo di auto-osservazione
sia da un punto di vista emotivo che intellettuale. Il nostro laboratorio non è un luogo dove
qualcuno spiega il come si fa una cosa, ma dove ci si interroga in maniera creativa sul perché si fa.
PARTE 2
L’addestramento dei performer nel Playback Theatre
1. Introduzione:
La conduzione di un laboratorio di PT ha sicuramente tra i suoi principali obiettivi l’addestramento
dei performer. Ma non si tratta “solo” di questo. Nel corso di un ciclo di incontri il conduttore dovrà
tenere conto delle dinamiche di gruppo, del livello di motivazione dei partecipanti, degli aspetti
organizzativi e dell’organizzazione e preparazione delle performance(s) (in italiano non si mette la
“s”che metteresti nel plurale inglese). Non sarà in questa sede possibile trattare tutti questi aspetti
se non nel loro costante intreccio con lo specifico del addestramento.
2. Cosa fa il performer, quali ruoli gioca
Prima di esplorare il percorso formativo dell’attore di PT sarà importante capire quali debbano
essere gli obiettivi della sua formazione. A questo proposito intendo partire dall’osservazione del
momento in cui l’attore fa quello per cui si è formato, la performance.
Per rendere questa osservazione funzionale all’individuazione di criteri di addestramento scelgo
però di ricorrere ad un punto di vista preciso, quello di J.L.Moreno. In particolare intendo riferirmi
alla teoria del ruolo e ai concetti di spontaneità e creatività.
Teoria del ruolo e ruoli del performer.
Per Moreno il ruolo può essere identificato con le forme reali e percepibili che il sé prende.
Pertanto definiamo il ruolo come la forma operativa che l’individuo assume nel momento
specifico in cui reagisce ad una situazione specifica nella quale sono implicate altre persone od
oggetti. La rappresentazione simbolica di questa forma operativa, percepita dall’individuo e
dagli altri, è chiamata ruolo. La forma è creata dalle esperienze passate e dai modelli culturali
della società in cui la persona vive, ed è sostanziata dalle caratteristiche specifiche delle
capacità produttive della persona stessa. Ogni ruolo contiene una fusione di elementi sia privati
che collettivi. Ogni ruolo presenta due aspetti uno privato e uno collettivo (Moreno 1961,
pag520, American Journal of Psychiatry).
Questa lunga definizione ci permette di cogliere alcuni aspetti che saranno determinanti
nell’illustrare le modalità di addestramento per i performer. Innanzi tutto Moreno ci offre la
possibilità di guardare alla persona, in questo caso all’attore, come a qualcosa che ha preso una
data forma. Possiamo pensare l’attore perché lo cogliamo in un dato momento, in un dato
spazio, circondato o in relazione con persone e cose. Non si tratta di un concetto astratto, ma di
quell’attore in quel momento. Nel rendere il ruolo forma operativa, possiamo mantenere
l’accento sull’unicità di chi lo incarna con le sue caratteristiche specifiche. Ogni attore di PT
siede sul cubo e aspetta una storia, ma ognuno lo farà, lo vivrà, a modo suo. La lettura
moreniana del ruolo ci permette di cogliere l’unicità di tempo, spazio e soggettività dell’attore.
Inoltre Moreno sottolinea la presenza degli altri che possiamo porre come contro-ruoli (in senso
complementare e non avversativo) o eleggere a ruoli, a seconda del punto di vista che decidiamo
di assumere.
Cosa vuole dire, dunque, guardare all’attore e ai suoi ruoli? Vuol dire interrogarsi su come ogni
attore della compagnia viva, dia forma, all’attesa, alla disponibilità, all’ascolto. Vuol dire poter
osservare ciascun ruolo come protagonista di una scena e allo stesso tempo come contro- ruolo.
Emerge il carattere di co-creazione tipica del PT. Ogni persona presente ad una performance è
co-creatrice di quell’evento. Ogni persona è presente nell’unicità del proprio, o meglio, dei
propri ruoli. Ogni ruolo è influenzato e influenza gli altri ruoli, rendendo unica e irripetibile
quella particolare esperienza. Chi si è occupato di PT probabilmente ha provato a rivedere
registrazioni di performance per coglierne spunti d’apprendimento. Probabilmente avrà anche
vissuto quella strana sensazione di appiattimento nel rivedere una cosa che si è vissuta in
maniera molto intensa, ma sul video non le rende merito(farei breve accenno anche alla valenza
della dimensione rituale..). La magia del momento è data dall’alchimia dei ruoli e non può
essere riprodotta. Persino una scena rifatta immediatamente dopo o sarà meno intensa, o
diventerà un'altra scena con nuovi spunti.
Una prima stesura dei ruoli a cui l’attore nella sua unicità, di spazio, tempo e soggettività, da
forma durante una performance potrebbe essere: colui che si presenta, colui che si rende
disponibile, colui che ascolta, colui che si alza, colui che da forma ad un ruolo altro, colui che
gioca un ruolo, colui che si ferma, colui che guarda il protagonista, colui che attende un’altra
storia… La sensibilità e l’esperienza di ciascuno potrebbero modificare questo elenco che non
ha valore definitorio, ma vuole mettere in luce una possibile chiave di lettura. Si noti che i ruoli
possono essere più o meno complessi. Dare forma ad un ruolo altro è più complesso che
fermarsi, ma è possibile scomporre il primo ruolo in (sotto-) ruoli più elementari. Il livello di
scomposizione della forma operativa è funzionale al livello su cui si vuole intervenire.
Spontaneità e creatività. Ovvero, come lavorare sui ruoli.
Lavorare sui ruoli dell’attore vuol dire avere un idea di cosa vada migliorato o cambiato. In
questo senso sarà utile ricorrere al concetto di adeguatezza del ruolo. Per Moreno un ruolo è
spontaneo e creativo, e quindi adeguato, quando sa dare risposte nuove a situazioni già
conosciute e risposte adeguate a situazioni nuove. Per adeguato si intende che risponda alle
istanze del protagonista (del ruolo che si assume come tale) e dei suoi contro-ruoli siano essi
persone od oggetti.
Nello specifico del PT i contro-ruoli di cui l’attore deve tener conto sono: gli altri attori
(compreso il musicista) che sono co-protagonisti; il conduttore; il narratore; il pubblico.
Inoltre l’attore si propone di mettersi al servizio del processo e assume una serie di istanze
particolari. Egli è consapevole di avere il ruolo di colui che, insieme al resto della compagnia,
da forma ai quattro livelli della storia (personale, interpersonale, sociale e trans personale).
Inoltre è consapevole di dover agire all’interno di una cornice rituale e di dover favorire il
processo dinamico della performance.
Per incrementare il livello di adeguatezza Moreno individua l’addestramento alla spontaneità.
A tal proposito egli (in Who Shall survive?) spiega che la spontaneità e la creatività …
appartengono a due categorie diverse: la creatività appartiene alla categoria della sostanza, è
l’archi-sostanza; la spontaneità appartiene invece alla categoria dei catalizzatori, è l’archicatalizzatore (1953, pag27). In altri termini si potrebbe dire che la spontaneità è un energia che
permette di accedere alla propria dotazione di creatività. Si pensi ad un braccio che va a pescare
(grazie alla spontaneità) in un sacchetto (che contiene la creatività). Secondo questa prospettiva
la dotazione di creatività di ciascuno è data e non modificabile. Quello che si può addestrare è la
spontaneità. Tornando all’esempio del sacchetto, il braccio deve ricevere un informazione dal
cervello attraverso un percorso neuronale che diventa più veloce ogni volta che viene percorso e
attivare una serie di muscoli che passano dall’inerzia all’azione con tanta più rapidità quanto più
sono caldi. Inoltre il movimento per essere adeguato deve avere l’ampiezza giusta, un tempo
che permetta di cogliere la parte più adeguata disponibile alla situazione dal sacchetto della
creatività. La forza, la velocità e la precisione possono essere allenate con più o meno
consapevolezza, ma non sono una dotazione che si accumula ed è sempre presente. Si tratta
piuttosto di una forma di energia che si rende potenziale e va preparata con un adeguato
riscaldamento.
L’addestramento dell’attore dunque non si propone di incrementare la dotazione di creatività
che egli possa mettere in gioco nei diversi ruoli e in relazione ai vari contro-ruoli, ma di
accrescere il suo potenziale di spontaneità.
3. Definire l’addestramento: cosa vuol dire addestrare un performer:
Il laboratorio di PT potrebbe dunque essere inteso come un luogo dove giocare quanti più ruoli
possibili, offrendo occasioni di auto-osservazione che diano consapevolezza dei movimenti, sia
fisici che interni. L’esplorazione dei ruoli secondo il criterio dell’adeguatezza non può che avvenire
nel costante confronto con le istanze del ruolo e del contro-ruolo.
Sul piano teorico un esercizio deve prevedere la possibilità di dare forma a ruolo e contro ruolo e la
possibilità di osservarli per poter diventare consapevoli della misura in cui si è stati coerenti con le
istanze di ciascuno.
Sul piano pratico l’attore agisce e poi riflette sulla propria azione confrontandosi con gli altri
presenti. Il confronto può avvenire come una risposta scenica ad un azione scenica (es.: il cerchio
ritmico di Toronto) o come una riflessione e uno scambio che segue l’azione scenica.
Si pensi alla scultura meccanica. Un attore va al centro della scena ed esegue un suono e un
movimento ripetitivo; un altro si aggiunge (dietro, di fianco, davanti più in basso…) e fa un suono e
un movimento, mentre il primo attore continua il suo; seguono successivamente tutti gli attori, fino
a che, con un crescendo, con uno smorzando, un’accelerazione o un rallentamento, la scultura
diventa statica. Stop di 5 secondi e poi gli attori tornano ai cubi in presenza scenica (Dotti 2006,
pag.140). Siamo in presenza di una sequenza di ruoli che ogni attore assume. Perché la ricchezza di
questa forma espressiva emerga, perché sia accessibile il suo potenziale creativo, il conduttore di
laboratorio deve trovare esercizi utili a esplorare ciascuno dei sotto-ruoli che compongono questo
ruolo. Come già esplicitato precedentemente non si fa riferimento a una lista di ruoli pre-ordinata,
ma i ruoli su cui sia utile lavorare emergono nella dinamica dell’azione. Vi è un certo numero di
ruoli che il conduttore sa essere essenziali a priori, come per esempio il ruolo di chi trova una
relazione spaziale adeguata con i compagni. Egli sa per esempio che alcune delle istanze da
considerare in tal senso sono la compattezza della forma espressiva4; la possibilità di essere visti dal
pubblico; un posizionamento che nella sua eterogeneità offra una maggiore plasticità. Ma il
conduttore non può sapere quali siano le istanze del singolo attore che gioca quel ruolo in quel
momento e forse non lo sa neanche l’attore stesso. Un’osservazione attenta al particolare può
aumentare la consapevolezza e favorire la spontaneità. Si possono quindi proporre da una parte
esercitazioni sulla scultura meccanica, ma dall’altra è importante trovare occasioni di esplorare i
sotto-ruoli che la compongono. Potrà essere quindi utile proporre un’attività di suono e movimento,
o un’attività di scultura statica, o un’attività volta a valorizzare la complementarietà
dell’esecuzione, o ancora un’attività che esplori la capacità di trovare uno stop comune.
In alcuni casi un’esercitazione relativa ad un sotto-ruolo diventerà occasione di individuare dei
“sotto-sotto-ruoli” sui cui sia interessante lavorare. Il sotto-ruolo non è mai tale è solo un ruolo
trovato alla lente di ingrandimento. Quanto più l’attore si addestra a sotto-ruoli spontanei, tanto più
accederà a “super-ruoli” spontanei (puoi spiegare meglio?). Se l’attore acquisisce un alto livello di
spontaneità rispetto alla sua gestione spaziale sulla scena avrà più risorse da spendere sul piano
emotivo. Sempre Moreno afferma che la spontaneità si esprime in antitesi all’ansia, quindi se
l’attore non è preoccupato “di dove mettersi” potrà accedere a maggiori livelli di spontaneità anche
rispetto agli altri ruoli o sotto-ruoli che è chiamato a giocare.
Questa prospettiva parte dall’assunzione che il conduttore di un laboratorio di PT non abbia il ruolo
di chi passa delle competenze attoriali, ma di chi propone delle esperienze che facciano accedere a
nuovi livelli della propria creatività riscaldando alla spontaneità. Il performer non si posiziona in un
determinato punto della scena perché vuole esprimere una certa emozione o relazione e sa attribuire
un determinato valore alla prossimità o distanza. Egli si posiziona in scena agendo un ruolo (es.:
quello di chi si posiziona in scena) in maniera spontanea e creativa, tenendo dunque conto delle
proprie istanze (anche quelle di attore) e di quelle di tutti i contro-ruoli coinvolti.
4. Esercitazioni e giochi come possibilità o come vincolo
Può il conduttore di laboratorio arrivare con una scaletta composta da esercizi precostituiti, magari
presi da qualche testo? Per rispondere a questa domanda ancora una volta può risultare utile partire
dall’analisi dei ruoli che il conduttore è chiamato a giocare in qualità di formatore. Egli è colui che
ha una competenza e conoscenza relativa al PT, nel senso che conosce il processo, ha
consapevolezza della finalità del processo che si attiva durante una performance, ma soprattutto è
chiamato ad addestrare la spontaneità degli attori nel giocare i loro ruoli. Chi conduce il laboratorio
è chiamato a farsi garante di una cornice rituale che abbassi l’ansia (in quanto antitetica alla
spontaneità) e a trovare attività di azione e auto-osservazione che favoriscano i performer
nell’esplorare quanti più ruoli possibili.
Per rispondere a queste istanze si potrà attingere a tutto quel materiale d’esperienza o scritto che
risulti attivare dei processi (attribuire dei ruoli) senza però prevedere il risultato a priori.
L’obbiettivo di qualsiasi gioco o esercizio, che sia scritto o inventato, non può mai essere quello di
suscitare un risultato predeterminato (per esempio l’emersione di un dato vissuto emotivo), ma deve
essere quello di fare un esperienza che permetta all’attore di dare forma al proprio vissuto con la
consapevolezza che si tratta di un atto scenico ed è rivolto ad un pubblico. Nello specifico del PT,
inoltre, l’azione scenica è una restituzione autentica al narratore. Un esercizio utile al performer non
ha l’intenzione di insegnargli a recitare un’emozione che si sia colta nella storia del narratore, ma ad
ascoltare e dare forma a quanto si percepisce nel qui ed ora della scena in cui si giocano in modo
spontaneo e creativo i ruoli della storia (frase un po’contorta). Nel caso della scultura meccanica,
4
La scultura meccanica infatti propone una serie di elementi complementari ma indipendenti e sono la coerenza con il
narrato e la prossimità fisica (nonché il piano acustico) a dare il senso di unità dell’azione scenica.
che per esempio risponde a chi si racconta come scrittore di una tesi, non si tratta di recitare,
l’azione di chi scrive sul computer con aria stanca, ma di giocare il sotto-ruolo di colui che scrive ed
esprimere quanto si prova sulla scena. È l’azione a suggerire l’emozione e non l’emozione a
suggerire l’azione. Si ricordi infatti che la storia è già stata raccontata e l’elemento di novità non sta
nel ri-recitare quello che è stato detto, ma nel dare forma a ciò che il vissuto sulla scena stimola
all’attore.
Saranno quindi adeguati e utili tutti quegli esercizi che seguono questi criteri e le esigenze del
momento del gruppo. Saranno invece un vincolo (che limita il processo spontaneo?) per il
performer tutti quegli esercizi che rinforzano un percorso che antepone il pensato all’azione.
5. Oltre il vincolo come tale, il vincolo come opportunità
Al conduttore di laboratorio è chiesta un’altissima dose di spontaneità. Egli è chiamato a
individuare quanti più sotto-ruoli possibili per offrire sempre nuovi punti di vista e percorsi alla
spontaneità della sua compagnia. In questo percorso che sembra aprirsi all’infinto sono proprio i
vincoli a diventare preziose opportunità di sperimentazione. Si pensi a quanto sia utile chiedere agli
attori di rinunciare ad uno dei canali espressivi (che sia la parola o il movimento), o a quanto possa
essere utile aumentare o ridurre il materiale scenico. Volendo tornare su un piano teorico, si può
affermare che il conduttore ha la capacità di riconoscere i ruoli che sono a disposizione degli attori e
li mette nelle condizioni di prendere consapevolezza suddividendoli in sotto-ruoli o ampliandoli con
ruoli nuovi e in qualche misura connessi ai precedenti.
Un conduttore non può pensarsi come il detentore di una competenza da passare, che per quanto
estesa prima o poi finirà. In maniera del tutto analoga al suo ruolo nella performance egli fa da
maestro di cerimonie, da tramite e da catalizzatore. La sue due più grandi doti sono l’ascolto e la
capacità di delegare agli attori in qualità di co-creatori.
CONCLUSIONI
Mi piace pensare questo breve contributo come un playback dell’esperienza di conduttore. In
quest’ottica penso a quali siano i ruoli e i contro-ruoli in gioco. Innanzitutto il pubblico, composto
da tutti coloro che potenzialmente possono leggere quanto sopra.
Poi il narratore, o meglio, i narratori. In questo ruolo immagino per primi i ragazzi che hanno
condiviso con me questa bellissima esperienza; la comunità del PT che mi ha formato e con cui ho
condiviso esperienze e pensiero; e, naturalmente, me stesso, le mie esperienze didattiche e di vita
che non possono che intrecciarsi con quelle di tutti coloro che ho incontrato.
Nel ruolo del conduttore sento la presenza di Jonathan Fox, che non un incredibile atto spontaneo
ha dato vita a questa forma di teatro; e ancora Nadia Lotti e il direttivo della scuola che
assegnandoci la tesi pronunciano un ideale “let’s watch!”.
Nel ruolo del musicista penso al mio sogno di proporre un PT solo musicale, come la forza che ha
dato il LA alla scena e ne ha sottolineato alcuni passaggi.
Infine nel ruolo degli attori metto me stesso. Ma non mi penso solista; accanto a me ci sono le altre
persone che praticano, pensano e raccontano il PT nei suoi molteplici aspetti. Questo pensiero mi
rende consapevole di come il mio contributo sia parziale e possa avere senso compiuto solo se
integrato con il contributo degli altri attori.
Non posso che concludere tornando a volgere lo sguardo al narratore, offrendo il mio contributo
come una forma espressiva che non ha presunzione di esaustività, ma in quanto osservabile offre
uno stimolo con cui confrontarsi e da cui prendere spunto per una nuova storia che saprà rispondere
a quella appena conclusa.
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