Stella Regia e sceneggiatura: Sylvie Verheyde – Montaggio

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Stella
Regia e sceneggiatura: Sylvie Verheyde – Montaggio: Christel Dewynter – Fotografia: Nicolas
Gaurin – Musica: Nousdeux The Band – Interpreti: Léora Barbara, Karole Rocher, Benjamin
Biolay, Melissa Rodrigues, Laëtitia Guerard, Guillaume Depardieu, Johan Libereau, Jeannick
Gravelines, Thierry Neuvic - Produzione: Les Films du Veyrier.
Francia, 2008, 35 mm col., 103’
1977. Stella, 11 anni, è al suo primo anno in una prestigiosa scuola media di Parigi. Per lei è
l'ingresso in un mondo nuovo, lontano da tutto quello che conosce. Quasi un miracolo, per una
ragazzina che vive in un caffé frequentato dalla classe operaia, alla periferia di Parigi. Questo nuovo
anno di scuola cambierà la sua vita per sempre.
Sylvie Verheyde
Già nota in patria per i suoi premiati cortometraggi Entre chiens et loups (1992) e La Maison verte
(1993), Sylvie Verheyde ha poi scritto e diretto il suo primo lungometraggio, Un frère, presentato al
50° Festival di Cannes nella sezione “Cinémas en France”, vincitore del Premio Cyril Collard nel
1998 e del César per la Migliore Promessa Femminile ad Emma de Caunes. Nel 2000, realizza il
suo secondo lungometraggio, Princesses, con Emma de Caunes e Jean- Hugues Anglade. Nel 2001
per la televisione M6 scrive e dirige Un amour de femme, per il ciclo “Combat de femmes”, e nel
2007 Sang froid, una fiction per ARTE con Benjamin Biolay e Laura Smet (premio per la Miglior
Regia al Festival de la Rochelle 2007). Stella è il suo terzo lungometraggio per il cinema.
Intervista con Sylvie Verheyde
Da dove viene l'idea di Stella?
La storia di Stella è ispirata ai miei ricordi d'infanzia ed in particolar modo al mio primo anno alle
scuole medie, nel 1977. Era da tempo che volevo fare un film che parlasse di questo, ma ho iniziato
a scrivere il soggetto solo 4 anni fa, quando mio figlio iniziava le scuole medie. Era un momento di
grande fermento e discussioni: sull'autorità, sul velo, sulla scuola come strumento di crescita sociale
etc. Mi sono trovata a riflettere sulla mia propria visione della scuola, di quella media in particolare.
Scuola alla quale io mi sono aggrappata, nonostante i numerosi spostamenti dei miei genitori. E'
stata il mio unico punto di riferimento, la mia ancora durante l'adolescenza. Volevo parlare
dell'opportunità che mi era stata data.
Stella quindi è un film autobiografico.
Si. Come Stella io sono cresciuta in un caffé frequentato dalla classe operaia, un ambiente difficile,
violento, molto lontano dal mondo dell'infanzia.. Come lei sono stata catapultata in una famosa
scuola parigina. E come lei ci sono arrivata da sola, con solo il mio pallone da calcio sotto braccio.
Come lei ho sputato ad un ragazzino sul campo da gioco e mi sono ritrovata un occhio nero il primo
giorno di scuola!
Stella è anche Léora Barbara. Come l'ha trovata?
Volevo andare oltre il punto di vista "giornalistico" e addentrarmi nel regno del romanzesco, il tutto
dal punto di vista di una ragazzina. Cercavo un'eroina. Ho visto Léora durante la prima settimana di
casting. E' arrivata determinata, fragile e misteriosa. Non aveva mai fatto un film. Mi sono fidata di
lei. Sul set non parlavamo molto. Le ho dato davvero poche indicazioni. Ci capivamo. Ha messo
tutta se stessa in questo lavoro, cosa che era necessaria, e talvolta le riprese non sono state facili. Mi
ha aiutata molto e più giravamo, più la storia di Stella diventava la sua.
La voce fuori campo che accompagna Stella è la sua?
Sì. All'inizio era la voce di un adulto che parlava al passato: la mia voce. E' stato di grande aiuto per
scrivere la sceneggiatura. E' stato un modo, per me, di mantenere le distanze e vedere le cose con
maggiore humor... Ha dato struttura al racconto, così da non doversi attenere ad una stretta
cronologia. Ha aiutato gli eventi a, semplicemente, succedersi in modo caotico così come ci si
aspetta che un bambino li viva. Ha aiutato anche ad andare dritti al cuore della vicenda. Alla fine
poi ho usato il presente ed è diventata la voce di Stella.
Il suo film mette a confronto due mondi opposti, quello del caffè e quello della scuola. Come si
è relazionata a questi due universi?
Le scene nel caffè erano quelle che mi preoccupavano di più. Quando sei cresciuta in un caffè, ogni
caffè è un po' come fosse casa tua. Conosci ogni odore, ogni rumore- Per questo motivo non c'è
niente che mi esaspera di più, in un film, di una scena in un caffè mal riuscita! Soprattutto, la vita
nel caffè è la vita di Sergio e Rosy, i genitori di Stella, dei loro clienti, in particolare di quelli
abituali. La mamma è Karole Rocher. "Stella" è il nostro terzo film insieme. Abbiamo le stesse
origini. Anche lei, come me, è stata cameriera, conosce bene la gestualità, i toni della voce... Il
padre è Benjamin Biolay. All'inizio l'idea era sembrata strana, soprattutto al produttore. Ma io ero
sicura di me. Avevamo appena finito una fiction per ARTE ed io ero rimasta molto impressionata
dalla performance di Benjamin. Lui e Karole formano una coppia estremamente attraente, vere e
proprie "star" del loro mondo. Per quanto invece riguarda i clienti, quelli abituali, gli amici,
abbiamo dovuto ricreare un gruppo, un mix di caratteri molto diversi tra loro, attori e non
professionisti, che funzionassero bene insieme e sui quali poter contare per mantenere vivo
l'ambiente del caffè. Non avendo un grosso budget queste scene ho potuto girarle così, senza
provarle, semplicemente con la macchina a mano. Nella scuola, invece, la macchina da presa quasi
non si muove. E' un mondo con delle regole, dove talvolta entra il mondo esterno, attraverso campi
lunghi e piani americani. Avevo paura che mi sarei annoiata nella parte dedicata alla scuola, così ho
scelto di lavorare con attori che fossero capaci di sorprendermi. Alcuni erano non professionisti, un
vero insegnante, una vera preside....non volevo fare errori.
In fondo Stella si sente fuori posto a scuola così come nel caffè...
Sì. Quello che è certo è che lei non possiede i codici per accedere al mondo della scuola. Per molto
tempo ho cercato di capire come mostrare la sua mancanza di cultura. Mi sembra che la riflessione
sui campi di sterminio dica tutto ciò che serve. Il caffè, per quanto sia casa sua, non è esattamente il
posto adatto ad una ragazzina. E' un luogo dove non c'è posto per essere bambini. Fino al punto in
cui, a volte, i ruoli s'invertono. Come quando Stella torna da scuola e trova gli adulti nel bel mezzo
di una battaglia di gavettoni. O quando va dalla nonna, al Nord. Anche se passa da sempre tutte le
sue estati là, anche se là c'è la sua unica amica, non riesce comunque ad essere integrata. E' la
"parigina". Così come a scuola è la ragazza povera, nel Nord è la ragazza ricca. Poco a poco Stella
trova il suo posto, quando qualcuno comincia ad ascoltarla: Gladys. Con Gladys Stella trova un
altro mondo, che finalmente non è così lontano da casa. Un mondo al quale prima non aveva
accesso, che nemmeno immaginava potesse esistere. E, soprattutto, scopre parole nuove. Le parole
che mancavano. Prime fra tutte le parole di altri: la letteratura, immagini bellissime che aiutano a
vivere, parole che esprimono sentimenti. E poi, poco a poco, le sue parole.
Il suo sguardo sul mondo degli adulti è duro e tenero al tempo stesso.
Eccezion fatta per il personaggio di Bubu, sì, credo sia così. Se la vita è dura, non lo è solo per
Stella. In questo senso tutti gli adulti del film hanno le loro scuse e sono motivati a fare meglio,
anche se la maggior parte di loro semplicemente non ci riesce. I genitori di Stella, per esempio, non
sono dei mostri. Hanno dei cedimenti, delle mancanze, delle fragilità, ma lottano con la vita. Il film
racconta soprattutto il punto di vista di una ragazzina piena di speranza. Così tutti i personaggi, di
nuovo eccezion fatta per Bubu, sono ancora vivi e vitali.
La musica gioca un ruolo molto importante nel film. Per la maggior parte "hits" degli Anni
'70. Che cosa ha determinato il loro utilizzo e le sue scelte?
La musica popolare serve soltanto a dirci in quale epoca siamo. E anche a definire una classe
sociale. A casa di Gladys, in salotto, ci sono scaffali pieni di libri. A casa di Stella c'è un jukebox.
Ho usato la musica letteralmente. I sentimenti di Stella e la sua voce si rispecchiano nelle canzoni di
Sheila, Daniel Guichard e Gérard Lenormand, o nei testi di Bernard Lavilliers. La musica segue
l'evoluzione di Stella. Più il film va avanti più Stella entra in contatto con il proprio sentire e più la
musica originale diventa importante. E poi c'è la canzone dei titoli di coda. Sono le sue parole:
"Vado lontano...sono lontano... non voglio fermarmi qui... ". Ma la voce è la mia.
A proposito del cast…
Léora Barbara (Stella)
Ho saputo quasi subito che Léora sarebbe stata Stella. C’era qualcosa in lei, un modo di non
cercare di piacere, né di fare bene per forza, che ho riconosciuto immediatamente. Una familiarità
tra noi. Ho visto altre bambine, certo, ma sono tornata velocemente su Léora. Abbiamo fatto delle
prove, prima, io e lei. Poi anche con Karole. E poi abbiamo dovuto convincere sua madre che
aveva qualche reticenza su alcuni aspetti della sceneggiatura. In nessun momento ho rimpianto la
mia scelta. In scena Léora è divenuta una persona sulla quale poter contare sempre, malgrado le
situazioni di ripresa non sempre facili. Léora ha imparato molto velocemente a farsi rispettare da
tutti, a modo suo, un modo che a volte metteva addirittura in soggezione la troupe. La fiducia che si
è instaurata tra noi, la sua intelligenza, la maniera con cui si è impossessata del personaggio,
autonomamente, hanno creato un rapporto molto esclusivo che, adesso lo so, ha fatto bene al film.
Non c’era bisogno di parlare. Lei sapeva…(Sylvie Verheyde)
Léora Barbara ha 11 anni. Ha debuttato in Etat de grâce, un telefilm di Pascal Chaumeil. Stella è il
suo debutto cinematografico.
Melissa Rodrigues (Gladys)
E’ François Guignard, il direttore casting, che ha scoperto Melissa in un doposcuola a Pantin. Era
un po’ “il terrore” degli altri bambini. François aveva inizialmente pensato a lei come ad una
possibile Stella. Ma io ero già convinta di Léora, ed ho visto in Melissa una possibile Gladys. Io
non cercavo un’amica che sembrasse messa lì per far apparire Stella "buona" e Melissa mi è subito
parsa abbastanza sveglia da evitare questa trappola. E l'immediata differenza visibile tra le due
m'incuriosiva molto. Melissa si è messa a lavoro con vera determinazione. Non è stata
immediatamente credibile come di "prima della classe". Abbiamo lavorato e, grazie al suo talento,
Melissa è riuscita ad imporsi, col mix di dolcezza e forza che la contraddistingue. L’incontro con
Léora mi ha poi convinta definitivamente. Il modo in cui si sono alleate, mantenendo ognuna la
propria natura, corrispondeva perfettamente ai due personaggi. (Sylvie Verheyde)
Stella è la prima interpretazione di Melissa Rodrigues.
Karol Rocher (La madre di Stella)
Karole è sempre stata "la madre di Stella". Sin dalla scrittura della sceneggiatura. Poi, dal
momento in cui la mia scelta si è posata su Léora, ho avuto bisogno di vederle insieme. Appena ho
colto il talento per l'improvvisazione di Karole, ho capito che se Léora avesse retto il colpo sarebbe
stato un buon segno. Sapevo sin dall’inizio che avrei potuto contare su Karole, sul suo talento, la
sua energia: era per me fondamentale avere un'alleata come lei. Era la sola in grado di rendere
giustizia al mix di brutalità, durezza ed estrema fragilità del suo personaggio. E, soprattutto, a
renderlo emozionante. (Sylvie Verheyde)
Karole Rocher ha debuttato nel 1995 in un video di Olivier Dahar per “Princesse Erika”: Faut qu’je
travaille. Ha poi lavorato a fianco di Emma de Caunes in Un frère di Sylvie Verheyde, e di
Christian Vincent in Sauve moi, Ha ritrovato Sylvie Verheyde nel 2001 per Princesses. Ha recitato
anche in Osmose di Raphael Fetjo ed in Scorpion di Julien Séri.
Benjamin Biolay (Il padre di Stella)
Per incarnare il padre di Stella, ovvero mio padre, avevo bisogno di un attore capace
d’interpretare con eleganza un uomo al limite della decenza. Avevamo fatto Sang Froid insieme, lui
interpretava il ruolo principale, ed io sapevo di poter trovare in lui quella profondità e quella
delicatezza necessarie ad interpretare mio padre. Ha saputo rendere degno, amabile, persino sexy,
un personaggio che non aveva affatto i presupposti per esserlo: un alcolizzato, fallito e fuori tempo
massimo. Era fondamentale riuscire a condividere l'amore con cui Stella guarda suo padre.
Benjamin, con la sua generosità, la dolcezza che emana, lo ha reso possibile. (Sylvie Verheyde)
Cantante e compositore, Benjamin Biolay ha pubblicato 5 album dal 2001. Ha debuttato sullo
schermo nel 2007 a fianco di Géraldine Pailhas in Didine di Vincent Dietschy ed in Sang froid di
Sylvie Verheyde. E lavorato in C’est pour quand?, un cortometraggio di Katia Lewkowicz.
Guillaume Depardieu (Alain-Bernard)
Avevo preso in considerazione Guillaume per il ruolo del padre di Stella, ma quando l’ho
incontrato, ho immediatamente pensato che avrebbe dovuto interpretare Alain-Bernard, il
personaggio positivo del film. Il "Principe azzurro" di Stella. Lui aveva tutto per piacerle: la
profondità, la gentilezza, la tristezza ed un volto che non mente. Guillaume mi ha portato il suo
talento, un modo di esserci, completamente e totalmente, per il film. Ha saputo, con estremo
pudore, creare con Léora un rapporto privilegiato. Come "Principe azzurro" non potevo sognare di
meglio. (Sylvie Verheyde)
Guillaume Depardieu, prematuramente scomparso di recente, ha debuttato nel 1991 in Tous les
matins du monde di Alain Corneau. La sua strada si è poi incrociata con quella di Pierre Salvadori
con il quale ha lavorato in Cible emouvante del 1992, Les apprentis del 1994 e Comme elle respire
del 1997. Ha, tra gli altri, lavorato anche con Leos Carax in Pola X (1998), con Serge Bozon in La
France (2007), con Jacques Rivette in Ne touchez pas la hache (2007), con Pierre Schoeller in
Versailles, con Bertrand Bonello in De la guerre, con Sarah Petit in Au voleur e con Christine Dory
in Circuit fermè.
Sylvie Verheyde: 'Con Stella invito i ragazzi ad amare la cultura'
Dopo la presentazione alle Giornate degli autori di Venezia, arriva nelle sale italiane Stella, un nuovo film
francese sui bambini dietro i banchi di scuola. A presentarlo è la regista Sylvie Verheyde.
I bambini francesi dietro i banchi di scuola avevano già fatto capolino nelle nostre sale un paio di
mesi fa in quel La classe - Entre les murs di Laurent Cantet che aveva incantato i giurati dell'ultimo
Festival di Cannes, dov'è stato premiato con la Palma d'oro, e che ora spera di riportare in Francia,
sedici anni dopo Indocina, l'Oscar per il miglior film straniero. Intanto, il cinema d'oltralpe torna a
parlare di scuola e bambini con Stella, che racconta il primo anno in una nuova scuola media di una
undicennene che allo studio preferisce le chiacchiere degli avventori del bar di famiglia. Presentato
con successo alle Giornate degli autori della recente Mostra del cinema di Venezia, il film è
ambientato negli anni '70 ed è interpretato dall'esordiente Léora Barbara, dal cantautore Benjamin
Biolay e da Guillaume Depardieu, figlio di Gérard, recentemente scomparso all'età di 37 anni in
seguito a delle complicazioni causate da una polmonite. Il film arriva in italia con la benedizione di
Nanni Moretti che lo distribuirà con la sua Sacher a partire da venerdì 5 dicembre in quindici copie,
tre delle quali in versione originale con sottotitoli in italiano. Nella conferenza stampa di
presentazione del film, tenutasi all'Ambasciata di Francia a Roma, la regista Sylvie Verheyde ci
parla di quest'opera autobiografica nata dai suoi ricordi di bambina e dell'importante messaggio che
attraverso di essa voleva trasmettere.
Com'è stato accolto Stella in Francia, in particolare dai più giovani?
Il film è stato accolto molto bene, sia dalla critica che dal pubblico. Ha suscitato in tutti grande
commozione e ognuno ha trovato ragioni diverse per amarlo o vari elementi nei quali ci si è
riconosciuti. I giovani, in particolare, si riconoscono in questa ragazzina che va male a scuola, ma
riesce a trovare la forza per recuperare.
Il film ha molti punti in comune con I 400 colpi. Si è ispirata in qualche modo all'opera di
François Truffaut nella realizzazione di Stella?
No, non ho mai pensato a quel film. L'idea per Stella mi è venuta da fatti personali e lo spunto è
stato l'iscrizione di mio figlio in prima media. Mi ha fatto venire in mente i miei ricordi e
l'importanza della scuola nella mia vita. In particolare, l'incontro con la letteratura che mi ha
cambiato completamente la vita.
Che relazione c'è tra la scuola degli anni '70 e quella di oggi?
L'idea di ambientare la storia nel 1977 è stata presa per conservare l'autenticità della mia storia
personale e per far riflettere sui cambiamenti avvenuti nella scuola in questi trent'anni. In Francia
c'è un grande dibattito sulla scuola, sulle classi miste, sull'utilità del grembiule, ecc. Col mio film,
intendevo anche lanciare il messaggio positivo del melange che c'è tra diverse culture e classi
sociali. Oggi non è cambiata la maniera in cui i ragazzi affrontano con difficoltà la scuola. In
passato però la cultura aveva un maggior peso e oggi bisognerebbe recuperare quest'amore per la
cultura e la letteratura, perché solo così si può crescere bene.
Che importanza ha la musica nel film?
La musica ha un ruolo fondamentale. Nell'ambiente di Stella non c'è cultura, c'è soltanto la musica.
A casa della sua amica Gladys ci sono scaffali pieni di libri, mentre a casa di Stella c'è solo un
jokebox. All'inizio del film non ha parole per esprimersi, solo i testi delle canzoni popolari. Via via
il suo mondo cambia e la musica originale diventa sempre più importante.
Come ha scelto la giovane Léora Barbara per il ruolo di Stella?
Abbiamo fatto un normale casting e all'inizio credevo mi ci sarebbe voluto tanto per trovare l'attrice
giusta per un ruolo così importante, che da solo regge tutto il film. Ho visto Léora in un video la
prima settimana e subito mi è sembrata quella giusta. Mi piaceva perché non giocava a far l'attrice,
non si atteggiava a entrare nel ruolo ed era molto determinata. All'inizio sua madre non voleva che
la figlia interpretasse questo ruolo, perché trovava la sceneggiatura troppo dura, poi ne abbiamo
parlato insieme, abbiamo apportato piccoli cambiamenti e alla fine il film si è fatto con Léora e lei è
stata davvero perfetta. Abbiamo provato tanto le scene prima di cominciare le riprese. Tra di noi
c'era una grande alchimia e quando abbiamo cominciato a girare avevamo tutti grande fiducia in lei
e questo credo che traspaia nel film. Quello che mi importava, comunque, era che l'attrice riuscisse
a capire la portata della storia che doveva interpretare. Come diceva Truffaut, c'è bisogno di avere
coscienza di quello che si fa.
Com'è avvenuta invece la scelta per gli altri ruoli?
Quello che mi interessava nella realizzazione del film era creare un ambiente con un misto di attori
professionisti e non attori. Le scene nel bar sono state poco scritte, ci siamo basati molto
sull'improvvisazione, per ricreare la normale atmosfera del caffè. I due genitori della protagonista
sono persone che provengono dal sottoproletariato, ma che hanno in sé grande fascino e carisma. In
Francia, Benjamin Biolay è un cantante molto conosciuto, in passato avevo già lavorato con lui per
una fiction per ARTE e lo trovavo perfetto per la parte, ha una fisicità importante, ma anche grande
profondità ed eleganza. La mamma è invece Karole Rocher, con la quale avevo già fatto due film e
che mi è sembrata adatta perché con lei condividevo le stesse origini e conosceva bene la gestualità
della cameriera perché lo è stata in passato. A Guillaume Depardieu ho proposto il ruolo del
principe azzurro e sul set lo è stato per tutta la troupe. Siamo stati tutti colpiti dalla sua morte, ma
mi rende orgogliosa il fatto che le ultimi immagini di lui sul grande schermo siano così luminose.
Massimo Borriello
Stella di Sylvie Verheyde - Crudeltà e tenerezza sotto i cieli di Parigi
Capita sempre più raramente, ma a volte capita, di imbattersi in un film che ti accompagna anche
fuori dalla sala cinematografica, e nel ricordo stimola riflessioni, analisi e rinnova la commozione
provata. Sono film che a distanza d’anni si ricordano, forse con qualche sfocatura, ma si ricordano.
Stella racconta la sua vita in un tempo presente che risale al 1977, quando una mattina lascia la
desolata banlieue in cui vive per il suo primo giorno di scuola in un liceo della Parigi borghese,
quella del XII arrondissement. Esce dal conosciuto microcosmo del bar dei suoi genitori per
affrontare un nuovo mondo; si allontana con un pallone tra le braccia e fa ritorno a casa con un
occhio nero, il risultato del primo di molti match. Stella è la messa in scena dei ricordi di Sylvie
Verheyde, regista e sceneggiatrice francese al suo terzo lungometraggio; parla di innocenza, di
crescita e di consapevolezza, ma esce dallo schema del film di genere perché il mondo raccontato
oltrepassa il particolare dell’adolescenza espandendosi ad una rappresentazione storico-sociale di
luoghi del disagio dove convivono crudeltà e poesia. La scuola e il bar sono due realtà contrapposte
ma riequilibratrici, l’una dell’altra. Stella (l’esordiente e bravissima Léora Barbara) è una ragazzina
che scopre che la cultura nutre la vita e non grazie all’istituzione scolastica, che in principio le è
ostile, ma attraverso la solidale amicizia con Gladys, la migliore della classe, ebrea argentina, di
famiglia borghese, mentre il bar con la sua chiassosa e marginale umanità, sofferente ma vitale, le
consente di radicarsi nell’appartenenza, cosa che la scuola le nega. Dagli interni del liceo, dove la
macchina da presa frammenta lo spazio con inquadrature statiche, alla vorticosa dinamica utilizzata
per afferrare la realtà multiforme del bar con la forte evidenza di dolore, passione e disperazione.
La voce del pensiero di Stella collega mondi diversi che poche occasioni hanno di sfiorarsi, e senza
opportunismo coglie il meglio che entrambi possono offrirle. La dimensione affettiva è per Sylvie
Verheyde il motore principale: amore e compassione traghettano da una riva all’altra della storia la
protagonista che senza vergogna per le sue origini e senza strategie mimetiche impara da adattarsi e
ad imporsi nel suo nuovo mondo, mentre il tempo della storia è dichiarato da una compilation di
brani che sottolineano le diverse temperature del film: dall’iniziale Love Me Baby a 15ème round di
Bernard Lavilliers fino a Ti amo di Umberto Tozzi.
Attenta alle sfumature della crescita e del distacco, la regista rende con la forza delle immagini i
passaggi di stato e le sue inevitabili conseguenze. È la riflessione sociale, quando la chance di
cambiamento della protagonista è messa a confronto con l’ineluttabile immobilità della sua
coetanea che vive in una desolata campagna del nord; è la riflessione sulle emozioni quando Stella,
conosciuto l’amore per un coetaneo, si distacca emotivamente da un giovane avventore del bar
(Guillaume Depardieu), un principe maledetto che prima di tutti capisce che la sta perdendo, e con
malinconia le dice: “Mi mancherai”. Il disagio sociale e la precarietà del vivere producono
sentimenti ambivalenti e la difficoltà di misurare il male portano la protagonista ad essere vittima di
un abuso; un trauma che risolverà nel silenzio di chi ormai sa di dover bastare a se stessa e che
l’autrice, con pudore e dolore, risolve con brevità e un repentino passaggio di tempo.
Stella, fiore nato dal terreno dell’emarginazione, non stringe più la palla dopo un anno di scuola, ma
legge Balzac. Ha perso l’innocenza, è piena di paure, ma riconosce nella scuola la possibilità di
riscattarsi da un mondo senza speranza, mentre una mano stringe la sua. Stella di Sylvie Verheyde è
un film da non perdere.
Fabrizia Centola, NSC, 3 dicembre 2008
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