antonacci e devia: che regine

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Eventi Scala Venerdì 7 Dicembre 2007 Corriere della Sera
PRIMEDONNE
Elisabetta I
Maria Stuarda
Potente e illuminata
Prigioniera e decapitata
Elisabetta I fu regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558
al 1603, anno in cui morì. Il suo regno fu segnato
da una straordinaria fioritura artistica e culturale
La cattolicissima Mary Stuart, regina di Scozia,
imprigionata in Inghilterra, viene condannata
alla decapitazione da Elisabetta I nel 1587
Il duello
ANTONACCI
E DEVIA:
CHE REGINE
Anna Caterina Antonacci
Interpreta Elisabetta I in «Maria Stuarda». «Il potere —
afferma — rende attraenti, ma avvelena ogni rapporto,
non sai mai se amano te o quello che rappresenti»
Mariella Devia
La soprano nel ruolo di Maria Stuarda. Dice: «Elisabetta
alla sua epoca aveva più potere della Thatcher. Oggi
la regina d’Inghilterra non conta granché»
DI VALERIO CAPPELLI
M
aria contro Elisabetta. Mariella con Anna Caterina.
Mentre il cinema con Elizabeth: the Golden Age ci
mostra il nuovo capitolo della saga tra la rivale in catene
in lotta con Elisabetta I, che dedicò la sua vita alla corona
inglese, irrompono sulla scena altre due regine, stavolta
acclamate entrambe, senza conflitti né dissensi.
Mariella Devia e Anna Caterina Antonacci, regine del
canto italiano, si preparano per Maria Stuarda di Donizetti lustrata a nuovo da Pier Luigi Pizzi. È solo la seconda
volta, dopo Don Giovanni , che si ritrovano in scena l’una
al fianco dell’altra. Si stimano, hanno poco in comune come stile vocale e ancor meno come temperamento. Anche la vita in questo momento le separa: Mariella, la voce
limpidissima, non si è ancora ripresa dal lutto per la perdita del marito, che suonava la tromba all’Orchestra della
Rai; ha una figlia di 35 anni che fa l’assistente alla regia
alla Rai. Anna Caterina ha un figlio di 7 anni che le scodinzola accanto anche ora e fa le domande bellissime dei
bambini, «mamma, ma la Terra quando si ferma?»; è bella, timida come Mariella, e quando canta sprigiona una
straordinaria intensità drammatica.
La Devia in Italia è esplosa relativamente tardi, nell’86
a Bologna con I Puritani : «Cantavo sempre al Met di New
York». Anna ha avuto «una carriera costruita senza
exploit particolari, in Francia ho avuto un Berlioz nel
2003 che mi ha portato alla grande notorietà». Mariella
quando si alza il sipario soffre di crisi di panico, Anna
non le crede: «Esagera, Mariella. Avrà un po’ di pauretta.
Ti viene se non ti senti bene».
Maria Stuarda , un unico precedente per entrambe: per
Mariella a Roma, per Anna fu il debutto assoluto, a Bari
nell’88, dopo il concorso «Callas». Due passioni avvicinano le protagoniste: il belcanto e il cinema. Mariella ama
Katherine Hepburn e Grace Kelly, Anna vota Glenda Jackson proprio come Elisabetta: «Era giusta, superba, algida». Appena potranno, vedranno Cate Blanchett nel film
su Elisabetta in guerra con l’Invincibile Armata spagnola
di Filippo II. Cate Blanchett nel film indossa vestiti esagerati come architetture barocche, bianchi pizzi puntuti a
forma di raggiera, perle e diamanti accecanti... Mariella si
diverte quando si maschera in scena: «Certo a volte il peso da reggere è eccessivo, ricordo una Elisabetta al castello di Kenilworth , sempre di Donizetti, a Bergamo, raggiunsi il trono in tre passi, di più non potevo. Non te lo dicono
mai quanto pesano i costumi, so solo che ci vollero due
sarte. Il problema sono gli ornamenti, le sottane, le stecche». Sovrappeso, canta allo stesso modo? «Ci provo, ma
la fatica è doppia». Anna: «Quando un costume è bello
me lo porterei a casa, a Parigi feci carte false per un abito
mozartiano degli Herman, marito e moglie. I costumi elisabettiani sono anche un po’ folli, sapendo a Milano che
c’è Pizzi, sarà meraviglioso. Adoro i rossi. Mi piace cambiare. Il nero no, lo porto sempre nella vita».
Tutt’e due si vedono mille miglia lontane dal carattere
dei loro personaggi. Donne di potere. Anna: «Il potere rende attraenti, ma avvelena ogni rapporto, non sai mai se
amano te o quello che rappresenti». Mariella: «Una volta
c’era la Thatcher, non suscitava grandi simpatie, esercitava il potere. Elisabetta alla sua epoca ne aveva di più, era
come quello di Bush negli Usa. Oggi la regina Elisabetta
non conta granché. Le donne non hanno fatto un passo
indietro, una volta si riceveva per una questione ereditaria. Le donne il potere possono esercitarlo anche nell’ambito familiare, mica c’è niente di male». Se doveste descrivere le vostre nobildonne, sulle orme di Schiller, a uno
studente che non ne sa nulla? Mariella: «Maria Stuarda è
ritratta dal momento in cui viene condannata, dall’incontro con Elisabetta a quando viene portata al patibolo. Soffre soltanto». Un’eroina-vittima o una che, tramando, se
l’è andata a cercare? «Maria è vittima anche di se stessa,
perché ha comunque intrigato per rendersi libera. Resta
il mistero per cui non sai quanto sia innocente e quanto
colpevole». Le suscita compassione? «Oddio, in catene
non la si vede mai, la sua prigionia avviene in un bel ca-
Faccia a faccia per Donizetti
fioritura artistica, Shakespeare,
Marlowe, Ben Jonson, Bacone.
Oggi abbiamo voi, gli interpreUna è Elisabetta I, l’altra Maria Stuarda nell’omonima ti, la figura del compositore s’è
sbiadita. «C’è una creatività diversa, supportata dalla tecnoloopera del compositore bergamasco: così due star
gia. Qualche autore del nostro
tempo c’è ma io non lo canto,
mi sono sposata con le arie lundel belcanto si identificano nei loro personaggi
ghe di Donizetti». «Io invece —
dice Anna — Donizetti lo trovo
un po’ fuori moda per la mia
stello in mezzo al bosco, ora si direbbe che è agli arresti sensibilità attuale. Mi sento attratta da Berlioz, Gluck,
domiciliari». Anna: «Anche la mia Elisabetta ha molto sof- Cherubini. Quanto alla creatività, è un casino, di bellezza
ne vedo poca. È un momento storico dove tutto nell’arte
ferto, ma nell’infanzia. È una ex bambina abbandonata,
malvoluta come poteva capitare ai piccoli principi, un po’ va male e l’opera non fa eccezione. All’estero c’è più atsgraziata fisicamente, è diventata una ragazza rigida, in- tenzione alla lirica. In Francia si ama la cultura. E infatti
telligente, determinata. Ed è passata come la più grande ho scelto di abitarci. Ma sono molto contenta di tornare
alla Scala. Cantando molto all’estero, incontri giri diversi,
sovrana che si ricordi nella storia della Gran Bretagna».
L’età elisabettiana fu contrassegnata da una splendida di rado sono amici. A Milano sarà una rimpatriata».
LUCA RONCONI RITORNO A PUCCINI
«Il mio Trittico unito dalla morte»
DI CLAUDIA PROVVEDINI
P
oche volte il Trittico pucciniano, dal debutto nel
dicembre 1918 al Metropolitan di New York, è andato in scena nella stessa serata. Alla Scala, dal 6 marzo, sarà integrale, con la direzione di Riccardo Chailly
e la regia di Luca Ronconi. «Se si chiama Trittico —
ragiona divertito Ronconi — va rispettato nella sua integrità, pur essendo composto di tre opere complete,
di un’ora soltanto ciascuna. Ma complete. E complementari, con alcune costanti tra loro».
Come tra le figure delle pale sacre, tra gli elementi
del Trittico pucciniano vi è corrispondenza, all’interno di un disegno complessivo. «Quando si può tracciarne la geometria, vuol dire che un’opera non è descrittiva o legata a un ambiente, non è un quadretto
di genere, ma è libera e dunque si può legare ad altre,
in una continuità nella differenza. Questo nel Trittico
pucciniano accade. Mi è sembrato interessante».
La regia teatrale ha trasformato i cantanti, li ha resi
vivi, credibili, meno melodrammatici. «Il teatro in musica ha un equilibrio difficile. Bisogna curare l’attendibilità del personaggio, ma nell’interpretazione il cantante non può misurarsi con l’attore del teatro di parola; la sua è una ricerca di economia di atteggiamenti,
più che di gesti. Con il cantante devi lavorare nell’ampiezza delle sue possibilità: Montserrat Caballé, cara
amica e grande artista, mi mostrò i soli due gesti che
sapeva fare, eppure... Inoltre, l’attendibilità non si
può ottenere attraverso una riproduzione, un’imitazione della realtà: l’opera è davvero un altro mondo».
Con la distanza affascinata dell’esteta, Luca Ronconi guarda al Tabarro, a Suor Angelica, a Gianni Schicchi. «A legare i tre personaggi non è l’epoca, che ogni
volta cambia, all’indietro. A legarli è il tema della morte». Che si attua, per così dire, in tre modi: nel Tabarro, di genere drammatico, c’è un delitto; in Suor Angelica, genere patetico, un suicidio; nel Gianni Schicchi,
comico, un decesso naturale. «Diverso è il modo dei
personaggi di rapportarsi all’evento comune, umano,
della morte. Diverso è anche il "colore" delle tre opere — crepuscolo/tramonto; luce abbagliante che sembra guidare l’azione fin dall’inizio come una retta; ca-
Sorprendente
«La Caballé mi mostrò
i soli due gesti che
sapeva fare. Eppure...»
rattere fiorentino — così come variano le conseguenze del loro gesto su chi resta vivo. Come dice il proverbio: il morto tace e il vivo si dà pace? — ironizza Ronconi —. E, causa della tragedia o da essa in qualche
modo beneficiata, è puccinianamente una donna: nel
Tabarro, Giorgetta si attira i guai; in Suor Angelica vita e morte s’incontrano; nello Schicchi, la dipartita di
ser Buoso aiuta Lauretta a sposare Rinuccio».
Atteggiamenti privati verso un fatto «pubblico», tanto più comune in quegli anni della Grande guerra della quale, tuttavia, nel Trittico non vi è eco. «Chi non
l’ha vissuta non lo sa, ma durante la guerra la vita continua, vuol sentirsi addirittura "leggera" . I Pierre Bezuchov che vanno in giro per i campi di battaglia sono
di Tolstoj». Era più sensibile, forse, Puccini a «guerre»
letterarie... «Dal punto di vista drammaturgico, naturalmente (quello musicale non mi compete), credo
che gli autori che lo ispirarono, e cioè i Balasco, i Sardou, l’Abbé Prévost, siano assai distanti dai grandi
che tra la fine dell’800 e i primi del ’900 scrissero per il
teatro, Cechov, Ibsen, Maeterlinck. Se poi pensiamo
alla musica, al Wozzeck di Berg da Büchner...». Insomma, Puccini non è un rivoluzionario. «Neppure forse
aggiornato. Puccini è al posto suo: molto schietto, nulla di filisteo, non cerca titoli di nobiltà; un occhio al
mercato musicale, che non guasta, e un volgarizzatore della prima ora. E la sua Fanciulla del West anticipa il musical».
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